Cattura Matteo Messina Denaro: Fiammetta Borsellino, le giornate di festa non servono
Deve certamente far riflettere che il boss di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, sia potuto restare latitante e impunito per trent’anni. Non è l’unico caso. Sono tanti i boss di mafia, ‘ndrangheta, camorra e altre organizzazioni di delinquenza organizzata latitanti, e spesso “latitanti in casa”. Non intende essere una giustificazione; è solo un dato di […]
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Serve una Strategia di sicurezza nazionale. L’audizione di Crosetto
Intervenendo davanti alle commissioni riunite Difesa di Camera e Senato, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha illustrato le linee programmatiche di palazzo Baracchini per l’evoluzione dello strumento militare nazionale. L’attenzione è rivolta in particolare alle sfide che attendono il Paese nel prossimo futuro, con un contesto globale che impone un ripensamento dello strumento militare nazionale. Dopo il periodo caratterizzato dal principale uso delle Forze armate in missioni di pace, bisogna prendere atto del ritorno della conflittualità nello scacchiere globale. Per mettere in condizione i nostri uomini e donne in uniforme di affrontare queste sfide, la priorità è lo sviluppo di capacità e tecnologie, meglio se nazionali, da incentivare attraverso investimenti certi e sicuri.
Serve una Strategia di sicurezza nazionale
“Per anni ci siamo illusi di vivere in un mondo caratterizzato dalla fine dei conflitti di natura ideologica e strategica” ha spiegato il ministro facendo un’analisi dello scenario geopolitico nel quale si muove la Difesa, aggiungendo come “su queste certezze abbiamo costruito uno strumento politico-militare focalizzato principalmente alla conduzione di missioni internazionali di pace”. Invece, “questo presente sembra un ritorno in chiave tecnologicamente evoluta agli orrori dei conflitti mondiali del secolo scorso”, una realizzazione che deve portare all’evoluzione dello strumento militare del paese. Per questo, secondo il ministro “si dovrà partire dalla stesura di una chiara Strategia di sicurezza nazionale”, valida per tutte le diramazioni dello Stato “per il conseguimento di obiettivi sinergicamente definiti all’interno di una visione unitaria dell’interesse nazionale”
Sfide di cambiamento e trasformazione
Di fronte alle nuove minacce, dunque, le Forze armate devono evolversi per affrontare al meglio le sfide sul futuro, soprattutto nel “modo di pensare la Difesa a 360°”. La visione del ministro è chiara: “dovremo realizzare un Sistema Difesa sinergico nelle sue componenti”, a partire dalle componenti delle Forze armate, che non dovranno più semplicemente essere in grado di agire nel multidominio, ma dovranno “essere multidominio”. Questo si potrà ottenere integrando la formazione del personale, e mettendo insieme in chiave interforze tutti quegli assetti la cui necessità è comune a tutte le Forze armate, evitando duplicazioni, come sul piano ordinativo, logistico, tecnologico e normativo, e unificando settori e servizi comuni, dalla difesa Cbrn, alla sanità, fino allo spazio e al cyber, nel lungo termine.
La tecnologia richiede investimenti
La capacità di agire dello strumento militare è, naturalmente, correlata alla tecnologia. “dal punto di vista militare siamo nel pieno di una nuova rivoluzione, dettata dal tentativo di più potenze di raggiungere la supremazia nello sviluppo delle nuove tecnologie” ha spiegato Crosetto. Sistemi unmanned, capacità cyber, l’uso dello spazio, fino alla IA, sono elementi sempre più imprescindibili per la Difesa, il cui possesso deve essere garantito in maniera autonoma al sistema nazionale. Per raggiungere questo obiettivo c’è bisogno della “certezza e la stabilità dei finanziamenti” valorizzando le capacità industriali del Paese e dando un concreto supporto all’export. Il modello proposto dal ministro è quindi la definizione di una legge triennale sull’investimento per la Difesa “che accorpi in un’unica manovra i volumi finanziari relativi a 3 provvedimenti successivi, con profondità a 17 anni”.
Come fare a “ripristinare le scorte per la difesa nazionale, contando i materiali impiegati nell’aiuto dell’Ucraina?”, si chiede. “L’unico modo che mi è venuto in mente, che è tecnico, è quello di escludere gli investimenti della Difesa dal calcolo del Patto di stabilità. Non significa che noi diminuiremmo il debito, significherebbe che non ci sarebbe concorrenza tra tipi di spese. Il ministro Giorgetti ha condiviso, l’abbiamo posta sul tavolo all’Europa come hanno fatto altri Paesi, perché in questo momento nessun Paese può tagliare le spese per la difesa”, ha precisato nelle repliche.
Autonomia strategica e Golden power
La sfida globale richiede al nostro Paese di assicurarsi “una base industriale solida e tecnologicamente avanzata, non vulnerabile a tentativi di penetrazione straniera ed in grado di sostenere la propria proiezione internazionale”. Interrogato dai membri della commissione sul tema, il ministro ha voluto ribadire che “spesso, nonostante siano presenti tecnologie nostrane rilevanti, riteniamo che quelle estere possano essere migliori”, mentre per alcune tecnologie “bisogna mantenere la sovranità nazionale”, in particolare per il cyber. È quindi necessario “sviluppare un piano per il supporto dell’Industria nazionale, anche attraverso l’applicazione in ambito Difesa dei poteri speciali, la cosiddetta Golden power” finalizzati alla tutela di asset e know-how strategici nazionali.
Una nuova postura nelle missioni
Sullo scenario internazionale, inoltre, il ministro ha sottolineato come sia necessario un cambio di passo del Paese all’interno delle principali alleanze, con il ruolo della Difesa che “non può limitarsi meramente a quello di nazione contributrice di truppe”. Per Crosetto, l’Italia deve aumentare la propria rilevanza e capacità autonoma di influenzare processi e operazioni in ambito internazionale. Il ministro ha sottolineato segnali positivo, come “l’essere riusciti a far riconoscere dalla Nato la priorità del Fianco Sud” nel Concetto strategico. Tuttavia, per il ministro, è necessario adottare “un postura più matura nei confronti delle operazioni militari”, auspicando l’assunzione di posizioni di leadership all’interno delle operazioni multinazionali, venendo coinvolti nei processi di pianificazione. Occorre “avviare un processo di revisione della postura con cui vengono generati i contributi nazionali, per arrivare a proiettare non più solo elementi di forza da asservire agli obiettivi elaborati da altri, ma moduli operativi completi di capacità di pianificazione, esecuzione e gestione delle operazioni militari”.
Saga dei carri armati Leopard: Germania prigioniera dalla storia
Mentre l’invasione russa dell’Ucraina si avvicina al traguardo di un anno, la Germania deve affrontare le accuse di stallo sulla questione critica di fornire all’Ucraina carri armati Leopard. I funzionari ucraini hanno da tempo identificato il modello Leopard 2 di fabbricazione tedesca come una delle massime priorità del paese, ma la Germania ha finora rifiutato […]
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Etiopia: dopo 600 mila morti una pace molto fragile
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 19 gennaio 2023 – Probabilmente, un bilancio esatto delle vittime del conflitto che ha insanguinato il nord dell’Etiopia negli ultimi due anni non sarà mai disponibile. Ma quelli forniti finora da diverse fonti parlano tutti di alcune centinaia di migliaia di morti.
In un’intervista al “Financial Times”, ad esempio, il mediatore dell’Unione Africana sul conflitto in Tigray, l’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, afferma che in due anni di guerra potrebbero essere morte fino a 600 mila persone.
Obasanjo ha ricordato che lo scorso 2 novembre, quando a Pretoria i funzionari etiopi hanno firmato un accordo di pace con i rappresentanti della guerriglia tigrina, i partecipanti alle trattative hanno parlato di una media di mille morti al giorno nei due anni di scontri tra l’esercito federale di Addis Abeba – e le milizie regionali alleate – e le forze del Fronte di Liberazione del Popolo Tigrino (Tplf).
«Sulla base dei rapporti dal campo, il numero di morti potrebbe essere compreso tra 300 mila e 400 mila solo tra le vittime civili causate dalle atrocità, dalla fame e dalla mancanza di assistenza sanitaria» ha detto sempre al “Financial Times” Tim Vanden Bempt, membro del gruppo di ricercatori attivo all’Università belga di Gand che indaga sulle conseguenze del conflitto.
Due anni di guerra e centinaia di migliaia di vittime
I combattimenti hanno avuto inizio il 4 novembre 2020, quando il primo ministro federale Abiy Ahmed ordinò l’intervento delle truppe etiopi contro le milizie del governo regionale del Tigray che poche ore prima avevano assaltato alcune caserme. A fianco di Ahmed – riconfermato nonostante la scadenza del suo mandato dopo la sospensione delle elezioni legislative a causa della pandemia – si schierarono anche le truppe dell’Eritrea e le milizie di alcuni stati regionali etiopi, come l’Amhara. Al fianco del TPLF – che aveva a lungo gestito il potere a livello federale prima di essere estromesso dalla corrente panetiopista capeggiata da Ahmed – si è schierato invece l’Esercito di Liberazione Oromo, che pur rappresentando l’etnia alla quale appartiene il primo ministro si batte per l’autodeterminazione del proprio territorio.
Per alcuni mesi sembrò che le truppe federali e gli eritrei – nemici storici di Addis Abeba prima che nel 2018 Ahmed siglasse la pace con il regime di Asmara aggiudicandosi un Nobel per la Pace – fossero in grado di sbaragliare le forze ribelli. Ma poi un’offensiva congiunta di tigrini e Oromo ha inflitto cocenti sconfitte alle truppe federali tanto che ad un certo punto i ribelli sembravano in grado di conquistare addirittura la capitale federale dopo aver conquistato ampie porzioni dell’Amhara e dell’Afar, nel centro-nord del paese.
L’Etiopia cerca nuovi alleati
Mentre Usa e Ue, ex sostenitori di Addis Abeba, imponevano sanzioni all’Etiopia, in soccorso di Abiy Ahmed si sono schierati Cina, Turchia, Russia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, fornendo armi, supporto diplomatico e ingenti prestiti. Nel luglio 2021 l’Etiopia ha firmato con Mosca un accordo che impegna la Russia a fornire addestramento e tecnologie d’avanguardia per riorganizzare l’esercito di Addis Abeba. In cambio Mosca ha ottenuto un trattamento di favore nell’acquisizione di licenze per estrazioni minerarie ed energetiche.
Negli ultimi anni Ahmed ha rafforzato molto il legame con Pechino, che ha nel frattempo finanziato e realizzato decine di opere pubbliche e infrastrutture nel paese, compreso il treno che collega la capitale etiope con Gibuti, preso più volte di mira dal Tplf, e la Grande Diga della Rinascita.
Nei giorni scorsi, il ministro degli Esteri cinese Qin Gang, nell’ambito di un lungo tour africano, ha firmato con l’omologo etiope Demeke Mekonnen diversi accordi bilaterali, tra i quali la cancellazione di una porzione consistente del debito etiope con Pechino (negli ultimi 10 anni la Cina ha prestato ad Addis Abeba 14 miliardi). Pechino ha confermato l’impegno per la realizzazione del Centro Africano per il controllo e la prevenzione delle malattie (Africa Cdc, l’agenzia sanitaria dell’Unione Africana), la cui sede – interamente finanziata dalla Cina con 80 milioni – sorgerà ad Addis Abeba.
Sono stati soprattutto i droni da bombardamento ricevuti dagli alleati – i cinesi Wing Loong 2, i turchi Bayraktar Tb2 e gli iraniani Mujaher-6 – a permettere alle truppe federali di infliggere dure sconfitte al Tplf costringendolo ad arroccarsi nel Tigray e a dichiarare un cessate il fuoco unilaterale. Le forze federali hanno ampiamente fatto ricorso ai bombardamenti indiscriminati sulle città tigrine, colpendo duramente la popolazione già stremata.
Una pace molto fragile
Una lunga e difficile trattativa, mediata dall’Unione Africana, ha finalmente portato alla firma del cessate il fuoco e alla stesura di un’agenda condivisa per un ritorno alla normalità.
Nelle ultime settimane sono stati indubbiamente fatti dei passi avanti. Ieri, ad esempio, le truppe federali sono entrate ad Adigrat, a lungo controllata dal Tplf. Nei giorni scorsi, invece, sono state le milizie amhara a ritirarsi da Scirè, nel Tigray occidentale, ottemperando agli impegni assunti in sede negoziale. Già a fine dicembre la polizia federale etiope era tornata a schierarsi a Mekelle, la capitale del Tigray, dopo due anni di assenza.
Il 10 gennaio, poi, le forze tigrine hanno iniziato a consegnare le armi pesanti sotto il monitoraggio di un apposito team dell’Unione Africana istituito grazie all’accordo raggiunto dalle parti a Nairobi lo scorso 22 dicembre. Il team, in coordinamento con i rappresentanti dei due schieramenti e l’Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo (Igad, che riunisce 8 paesi del Corno d’Africa) è incaricato di monitorare l’applicazione dell’accordo di cessazione delle ostilità e di segnalare ritardi e violazioni.
Nel frattempo, la ministra della Salute Lia Tadesse ha annunciato la riattivazione delle strutture sanitarie distrutte o paralizzate dal conflitto, la distribuzione dei medicinali salvavita e l’avvio delle vaccinazioni contro il morbillo. Anche gli aeroporti di Mekelle e Scirè sono stati riaperti ed alcuni voli hanno riportato nella regione alcuni degli abitanti che erano dovuti fuggire a causa dei combattimenti o delle persecuzioni.
Guerriglieri del Fronte di Liberazione del Popolo Tigrino
Disastro umanitario
Nella regione stanno arrivando anche, seppure a rilento, gli aiuti internazionali destinati alla popolazione, in precedenza bloccati quasi completamente dal governo federale.
Nel Tigray «si stima che 9 persone su 10 abbiano bisogno di assistenza umanitaria e 400mila circa siano vittime di una pesante carestia aggravata dal fatto che l’arrivo di aiuti umanitari è ancora limitato» scrive in un rapporto il Consiglio dell’Onu per i Diritti Umani.
La siccità, oltre alla paralisi dell’economia locale, alla distruzione di molte infrastrutture e all’abbandono dei campi da parte degli sfollati, hanno causato in Tigray un vero e proprio disastro umanitario. Anche in altre regioni aride del paese, nel sud, le cose non vanno meglio: secondo Save the Children, attualmente 12 milioni di persone (su 115 milioni di abitanti totali) patirebbe la fame e 4 milioni di bambini sarebbero malnutriti.
L’incognita eritrea
Quella raggiunta il 2 novembre a Pretoria rischia di essere una pace incerta e provvisoria.
L’incognita maggiore è rappresentata dalla presenza in Tigray delle truppe eritree, negata per mesi sia da Abiy Ahmed sia dal dittatore di Asmara Isaias Afewerki, prima che la presenza di almeno metà dell’esercito del piccolo paese – resosi indipendente da Addis Abeba nel 1993 dopo una sanguinosa guerra durata due decadi – diventasse troppo ingombrante per continuare a nasconderla.
L’Eritrea rappresenta il “convitato di pietra” dell’accordo di cessate il fuoco permanente – alla quale non ha preso parte – e l’atteggiamento di Afewerki potrebbe rappresentare un ostacolo non secondario alla normalizzazione della situazione. Finché tutte le truppe eritree non avranno abbandonato il territorio tigrino, infatti, le milizie del Fronte di Liberazione difficilmente potranno disarmare. Al momento, il Tplf manterrebbe 20 mila miliziani armati schierati nelle zone di confine del Sudan.
Secondo Obasanjo e vari testimoni sul campo, gli eritrei avrebbero cominciato a rientrare lentamente in patria abbandonando ad esempio Axum e Scirè.
Ma ancora a gennaio il Centro di Coordinamento regionale per le emergenze – un gruppo di organizzazioni attive nel Tigray – ha denunciato le ennesime atrocità commesse dalle forze di Asmara contro i civili tigrini e contro gli oppositori di Afewerki che si erano rifugiati nella regione al confine con l’Eritrea.
Nei giorni scorsi molti dei 16 mila tigrini ospitati nel campo di Um Rakuba, nel Sudan orientale, hanno denunciato di non poter tornare a casa perché il loro territorio, nel Tigray occidentale, è occupato dalle milizie e da coloni Amhara o da soldati eritrei.
Secondo fonti tigrine citate dall’Avvenire, alla fine di novembre le truppe eritree avrebbero ucciso «3000 persone in una località a pochi km da Adua, 78 ad Adiabo e 85 nella provincia di Irob».
Nella regione, accusano sempre fonti tigrine, circa 120 mila donne sarebbero state violentate dai soldati etiopi ed eritrei e dai miliziani Amhara. Anche i guerriglieri del Tplf, però sono stati spesso accusati di atrocità nei confronti delle popolazioni delle regioni occupate durante l’offensiva contro Addis Abeba.
Difficilmente Afewerki – che arma milizie tigrine opposte al Tplf – rinuncerà a indebolire ulteriormente il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, che guidava l’Etiopia durante la guerra per l’indipendenza dell’Eritrea.
Anche se finora ha rappresentato un utile alleato del leader etiope, il regime di Asmara potrebbe tentare di rimanere nel Tigray anche senza il consenso di Abiy Ahmed. Numerosi analisti si interrogano sull’effettiva capacità del governo etiope di costringere i combattenti eritrei ad andarsene. Ne potrebbero nascere nuovi scontri, questa volta tra i due paesi prima rivali e poi alleati.
Oppure, il premier etiope potrebbe tacitamente tollerare o addirittura sollecitare la permanenza delle truppe eritree in Tigray per garantirsi il controllo del territorio e al tempo stesso permettere all’esercito federale di concentrare le proprie forze contro la ribellione Oromo, che nelle ultime settimane sembra incendiarsi.
La ribellione Oromo
Mentre a nord si raffreddava il sanguinoso conflitto con i tigrini, Abiy Ahmed ha lanciato un’offensiva su vasta scala per distruggere le milizie dell’Esercito di Liberazione Oromo, che si batte per l’autodeterminazione della regione più vasta e popolosa dello stato (gli Oromo sono circa il 40% della popolazione totale) e la cui insurrezione si è recentemente estesa grazie all’indebolimento delle forze federali impegnate in Tigray. Anche in questo caso l’esercito federale sta facendo ampio uso dei droni sia contro le milizie dell’OLA che contro la popolazione civile. La stessa “Commissione per i diritti umani” di Addis Abeba ha documentato numerose esecuzioni sommarie compiute dalle truppe governative. D’altra parte l’OLA ha preso di mira gli Amhara che vivono nella regione mentre migliaia di Oromo sono stati cacciati o uccisi nelle regioni circostanti.
La situazione si sta «rapidamente deteriorando», ha avvisato l’agenzia di coordinamento degli aiuti dell’ONU. Centinaia di migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le loro case e i servizi essenziali sono sospesi.
I rappresentanti Oromo che sostengono il governo federale chiedono ora al governo di implementare un accordo di pace simile a quello adottato per il Tigray, invocando la mediazione dell’Unione Africana, e accusano Abiy Ahmed di aver esacerbato le contraddizioni etniche nel paese. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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Israele distrugge la comunità di Araqib, nel Negev, per la 212ª volta | Infopal
"Si ritiene che la demolizione di al-Araqib e di altre cittadine nel Negev sia una politica israeliana sistematica volta ad espellere la popolazione nativa dal Negev e a trasferirla in aree governative, con l’obiettivo di aprire la strada all’espansione e alla costruzione di colonie per le comunità ebraiche."
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Piano nazionale di educazione all’immagine per le scuole: le iniziative sono volte a introdurre il linguaggio cinematografico e audiovisivo nelle scuole di ogni ordine e grado, come strumento educativo in grado di facilitare l…
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola Piano nazionale di educazione all’immagine per le scuole: le iniziative sono volte a introdurre il linguaggio cinematografico e audiovisivo nelle scuole di ogni ordine e grado, come strumento educativo in grado di facilitare l…Telegram
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Che cos’è e come funziona il sistema missilistico Samp/T
Dopo il via libera definitivo di ieri del Parlamento al decreto Ucraina, due appuntamenti cruciali sull’agenda odierna di Guido Crosetto, ministro della Difesa: ore 8 presentazione delle linee programmatiche della Difesa nel corso dell’audizione con le commissioni riunite Difesa della Camera e Affari esteri e Difesa del Senato; ore 16 audizione al Copasir. Venerdì scorso, in occasione della riunione del Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina a Ramstein, il ministro aveva chiarito che l’Italia “è pronta a fare la sua parte”. Domenica, alla trasmissione Che tempo che fa su Rai Tre, Crosetto ha confermato: “Il sesto decreto sulle armi da inviare all’Ucraina ci sarà” e “darà all’Ucraina la possibilità di difendersi dagli attacchi aerei”. “In collaborazione con la Francia stiamo finalizzando l’invio del Samp/T, e comunque ci sono altre azioni a cui lavoriamo riservatamente”, ha dichiarato poi Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, al Corriere della Sera.
CHE COS’È IL SAMP/T?
Ma che cos’è il Samp/T? Si tratta di un sistema missilistico terra-aria sviluppato a partire dai primi anni 2000 nell’ambito del programma italo-francese Fsaf (Famille de Sol-Air Futurs, cioè Famiglia di Sistemi superficie aria) dal consorzio europeo Eurosam (formato da Mbda Italia, Mbda Francia e Thales). Come si legge sul sito dell’Esercito italiano, il Samp/T “nasce dall’esigenza di disporre di un sistema missilistico a media portata idoneo a operare in nuovi scenari operativi, prioritariamente caratterizzati da driving factors quali ridotti tempi di reazione contro la minaccia aerea, elevata mobilità e possibilità di adeguare il dispositivo secondo tempi commisurati alla dinamicità della manovra”. Inoltre, l’attuale versione del sistema ha capacità di avanguardia nel contrasto delle minacce aeree e dei missili balistici tattici a corto raggio.
LE BATTERIE IN DOTAZIONE
L’Esercito italiano ha in dotazione cinque batterie del valore di circa un miliardo di euro. Dall’entrata in servizio del sistema nel 2013, sono state impiegate in molteplici attività operative e addestrative, recita la stessa fonte. In particolare, fra il 2015 ed il 2016 un’unità Samp/T è stata schierata a Roma per la sorveglianza dei cieli della capitale in occasione del Giubileo straordinario della Misericordia; contemporaneamente una seconda batteria ha operato in Turchia nell’ambito dell’operazione Nato “Active Fence” dal giugno 2016 al dicembre 2019, garantendo la sorveglianza, 24 ore su 24, della città di Kahramanmaras, sul confine Sud-Est dell’Alleanza Atlantica, contro missili balistici tattici provenienti dal territorio siriano. Ogni anno le batterie Samp/T hanno preso parte al principale evento esercitativo della Difesa, la Joint Stars presso il Poligono interforze di Salto di Quirra in Sardegna, dove hanno dimostrato la piena interoperabilità coi sistemi di difesa aerea nazionale anche in presenza di Electronic Warfare. Inoltre il Samp/T è stato inserito nel programma Nato “Active Layered Theatre Ballistic Missile”, nato con la finalità di realizzare la difesa di aree o di obbiettivi vitali di interesse dell’Alleanza dalla minaccia missilistica. Infine, è stato recentemente approvato lo schieramento di una batteria Samp/T in Kuwait nell’ambito dell’Operazione Inherent Resolve.
I MODULI
La batteria Samp/T è costituita dai seguenti moduli: il modulo di ingaggio costituisce l’elemento dove si esercita il controllo tattico del sistema; nel modulo di comando si esercita la pianificazione della missione, la supervisione della missione in corso e il coordinamento del supporto logistico; il radar multifunzione Arabel 90 effettua la scoperta, l’acquisizione, l’identificazione e l’inseguimento del bersagli; il modulo gruppo elettrogeno viene utilizzato per alimentare il radar; è caratterizzato dalla presenza di un doppio gruppo elettrogeno al fine di garantire la continuità di esercizio; il modulo lanciatore terrestre è equipaggiato con 8 missili Aster30; il missile di tipologia a lancio verticale con guida terminale a seeker attivo; il modulo ricarica terrestre impiegato per effettuare le operazioni di caricamento e scaricamento delle celle dei missili sul lanciatore.
(Foto da https://www.esercito.difesa.it/)
EYELESS IN GAZA – PHOTOGRAPHS AS MEMORIES
@Musica Agorà
iyezine.com/eyeless-in-gaza-ph…
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Il sistema schiavista italiano che abolisce il Rdc e chiede giovani super qualificati gratis | Kulturjam
"Il lavoro gratuito è schiavismo e quando anche le pubbliche istituzioni lo pretendono, vuol dire che tutto il sistema è diventato schiavista. E che tutto il sistema che fa profitto e ricchezza sul lavoro sottopagato e gratuito. E che una classe imprenditoriale e una classe politica che diffondono lo schiavismo meritano solo il rifiuto e la lotta totale."
Sì, va be’, ma il PD?
Finché ci saranno caporioni, capi, capetti e correnti, con Pier Luigi Bersani e Massimo d’Alema che non riescono ancora a dedicarsi alla sopraffina arte delle petanque. Finché ci saranno due tronconi, uno che vuole guardare al M5S e l’altro ad Azione Italia Viva. Finché potranno inserirsi figure senza il più pallido carisma come Paola De […]
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Defence for Children: il decalogo per la protezione dei minori stranieri non accompagnati
a cura di Defence for Children Italia
Pagine Esteri, 25 gennaio 2023 – Uno strumento per qualificare il sistema di accoglienza attraverso la legge. Defence for Children International sintetizza in un decalogo di garanzie, basato sugli standard internazionali e l’ordinamento italiano, ciò che le istituzioni, le strutture e gli operatori devono realizzare per proteggere i minorenni stranieri, rendere sostenibile il sistema di accoglienza e prevenire fenomeni di disagio e di ordine pubblico che pesano sempre di più sui territori dell’accoglienza.
I 10 punti, elaborati sulla base di un lavoro di diversi anni, si propongono come strumento di orientamento, monitoraggio e azione affinché politiche, strategie e pratiche convergano nell’applicare pienamente gli standard internazionali e nazionali a tutti i livelli per tutelare i minorenni e per qualificare in modo sostenibile e utile all’intera comunità l’ingente spesa investita in un sistema che non riesce ad emanciparsi dai livelli dell’emergenza e della contingenza.
Seguendo un approccio integrato e sistemico, il documento trova base nell’attuale impianto normativo nazionale – in particolare la Legge 47/2017 – ed internazionale, in linea con i principi sviluppati e promossi dalla Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (FRA), il Consiglio d‘Europa e la normativa comunitaria.
“Si tratta di un decalogo volutamente sintetico che deriva dal lavoro di analisi e di prossimità che negli anni abbiamo realizzato con e per le persone minorenni straniere che raggiungono il nostro paese. Persone che troppo spesso devono affrontare, nella loro giovane età, oltre alla distanza dalla propria famiglia ed un viaggio pericoloso, le insidie di un contesto che, nonostante quanto preveda il diritto, opera una evidente ed iniqua discriminazione strutturale. La frammentazione, l’emergenza, la contingenza caratterizzano il contesto nel quale questi giovani devono riuscire a realizzare il loro percorso di vita ostacolati dal loro status migratorio e costretti in condizioni di vulnerabilità che frequentemente li espongono a violazioni e violenza.” spiega Pippo Costella, Direttore di Defence for Children International Italia.
“Nel clamore e nelle frequenti strumentalizzazioni sulla questione migrante ci auguriamo che le 10 garanzie proposte vengano intese e utilizzate trasversalmente come una mappa utile di riferimento e di monitoraggio in un territorio che ancora presenta troppa distanza tra la teoria e la realtà dei fatti, tra la competenza e la negligenza, tra il diritto e la sua realizzazione”.
La proposta, che raggiungerà tutti gli attori pubblici e privati del sistema nazionale, è stata presentata in anteprima la settimana scorsa a Bruxelles nell’ambito dell’iniziativa “BECOME SAFE – Building Efforts for Children on the Move in Europe through Systemic Approaches, Facilitation and Expertise”, sostenuta dall’Unione Europea.
Per informazioni e approfondimenti: info@defenceforchildren.it – 0100899050 – 3478798453
Il decalogo è consultabile e scaricabile anche dal sito Defence for children a questo link.
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ECUADOR. Attesa per il referendum popolare in un Paese in pena crisi
di Mishell Mantuano, periodista de Wambra, medio comunitario –
Traduzione Davide Matrone –
Pagine Esteri, 25 gennaio 2023 – A un anno e 8 mesi di governo del presidente Guillermo Lasso, l’Ecuador affronta una grave crisi in termini di sicurezza, soprattutto nella zona costiera di Guayaquil ed Esmeraldas, che si configurano tra le città più pericolose dell’intera regione (secondo uno studio realizzato dall’ONU). A questo si aggiungono 7 massacri nelle carceri che hanno provocato oltre 400 morti e la richiesta inascoltata – da parte dello stato – di giustizia da parte dei familiari.
Il sistema sanitario è al collasso. Non ci sono farmaci e i pazienti che hanno bisogno di attenzione medica negli ospedali o nei centri di salute pubblica devono comprare di tasca propria le formiture per poi essere ricevuti. I bambini e gli adolescenti con cancro muoiono per mancanza di medicine e i pazienti con gravi patologie protestano ed esigono che l’Instituto di Sicurezza Sociale paghi loro le pensioni corrispondenti. Inoltre, associazioni di malati non ricevono nessuna risposta da parte della Presidenza della Repubblica, nonostante le innumerevoli richieste di riunioni con il Presidente Lasso.
I giovani e le giovani del paese son senza alcuna opportunità di accesso all’educazione superiore per mancanza di risorse pubbliche e per i continui tagli alla spesa publica. La Federazione Studentesca Universitaria dell’Ecuador (FEUE), si è mobilitata in vari momenti per esigere dal Governo Nazionale maggiori investimenti e più opportunità per l’accesso alle Università del paese.
Aggiungiamo l’incremento esponenziale della violenza maschilista e misogina che ha generato la morte di bambine e bambini, adolescenti, donne e trans. Dal 1 gennaio al 31 gennaio del 2022, in Ecuador si registrano 322 casi di femminicidio dei quali 189 a causa dell’incremento della criminalità organizzata. Questi dati ci dicono che ogni 26 ore una donna viene uccisa nel paese senza che il governo risponda o generi azioni di contenimento e/o soluzione del problema di violenza di genere che è ormai strutturale.
Tutte queste problematiche preoccupano la popolazione che ogni giorno chiede e vuole risposte. Il prossimo 5 febbraio si dovranno scegliere oltre 5 mila cariche pubbliche e amministrative: 221 sindaci, 23 presidenti e vicepresidenti delle Regioni, 864 consiglieri comunali urbani e 443 consiglieri dell’area rurale, 4109 consiglieri delle circoscrizioni e 7 integranti del Consiglio di Participazione Cittadina e Controllo Sociale; tutti dovranno lavorare con il Governo centrale per risolvere le problematiche prima esposte.
Non è tutto, nonostante la bassa popolarità che ha il presidente Lasso e la poca credibilità che il Popolo gli conferisce per la sua gestione, lo stesso convocherà il Popolo per un Referendum popolare in cui, tra l’altro, si chiederà il voto sull’estradizione per persone che abbiano commesso un delitto in relazione al crimine organizzato internazionale (pregunta 1). L’attuale Costituzione del paese proibisce l’estradizione di nazionali ma con il referendum l’Esecutivo vuole cambiare questa situazione. La pregunta in questione ha generato molta confusione e contraddizioni giacché si pretende di far passare l’idea che l’estradizione sia uguale all’espulsione.
Nei quesiti 3 e 4 si vuole ridurre il numero dei parlamentari e si chiede che i movimenti politici abbiano un minimo di iscritti e un registro periodico con dati sui propri affiliati. Le due proposte in questione riducono la rappresentanza territoriale, erodono la presenza di rappresentanti delle regioni con meno popolazione e prevedono un controllo dei movimenti, partiti e dei propri affiliati.
Ci sono poi due quesiti relativi al Consiglio di Partecipazione Cittadina e Controllo Sociale, l’Organismo che ha la funzione di designare più di 60 autorità di controllo, la Corte dei Conti, il Consiglio Nazionale Elettorale e il Procuratore Generale dello Stato, tra gli altri. Inoltre, ha la funzione di combattere la Corruzione, di promuovere la Partecipazione Cittadina e la promozione del Controllo Sociale.
Ebbene, con il Referendum Popolare il presidente Lasso vuole che il Parlamento sia l’attore che nomini le nuove Autorità di controllo con la maggioranza dei voti e che i consiglieri e le consigliere del Consiglio di Partecipazione Cittadina e Controllo Sociale non vengano più eletti attraverso il voto popolare.
Secondo analisti ed esperti, il principale interesse dell’attuale Governo nazionale risiede propio nei quesiti 5 e 6 sulla nuova designazione di queste importanti autorità nazionali.
Gli ultimi due quesiti si riferiscono a temi ambientali. Il primo sostiene la creazione di un Piano di Protezione Idrica per il Sistema Nazionale delle Aree Protette, sotto il controllo dello Stato, e chiede al popolo se ritiene che le persone, le comunità, i popoli e le nazionalità del paese possano essere beneficiari di compensazioni regolarizzate dallo Stato per il loro appoggio nella gestione di servizi ambientali. Su questi temi i collettivi i movimenti ambientalisti hanno manifestato la loro perplessità, ritenendo che il quesito non basti a risolvere il problema ambientale del paese che è molto più complesso.
In definitiva, i collettivi ambientalisti e altri attori politici come Pachakutik, Unidad Popular e la Revolución Ciudadana, tra gli altri, sostengono che il Referendum non risolva i problemi strutturali del paese, come la mancanza di occupazione, salute ed educazione. Invece considerano che il Governo stia cercando una via d’uscita a una pessima gestione, piena di casi di corruzione e varie crisi che colpiscono il Popolo ecuadoregno.
I risultati di queste elezioni ci diranno molto sul termometro politico dell’Esecutivo in carica.
L'articolo ECUADOR. Attesa per il referendum popolare in un Paese in pena crisi proviene da Pagine Esteri.
Armeni sotto assedio, emergenza umanitaria in Nagorno Karabakh
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 23 gennaio 2023 – Il cibo scarseggia e gli abitanti di Stepanakert e dei piccoli centri contigui sono obbligati a ricorrere alla tessera annonaria istituita dal governo del Nagorno Karabakh per accedere a quel minimo di beni di prima necessità che le autorità dell’enclave riescono a distribuire alla popolazione.
Da giorni mancano anche l’energia elettrica, l’acqua potabile e il gas, perché le condotte e gli elettrodotti provenienti dall’Armenia sono stati bloccati da Baku o sono stati sabotati. Anche internet funziona a singhiozzo. Scuole e uffici pubblici sono chiusi o lavorano a ritmo ridotto per l’impossibilità di illuminare e riscaldare gli edifici.
Gli scaffali di negozi e supermercati sono vuoti e le attività produttive sono per lo più bloccate; migliaia di persone hanno già perso il lavoro.
La situazione è tragica soprattutto negli ospedali dove i medicinali scarseggiano o sono esauriti e i malati gravi possono essere trasferiti in Armenia solo in circostanze eccezionali e grazie all’intervento della Croce Rossa Internazionale. Alcuni pazienti sono già morti per mancanza di cure adeguate e tempestive.
Il disastro umanitario è dietro l’angolo. Circa 120 mila persone sono bloccate, ormai da sei settimane, all’interno di ciò che rimane della Repubblica dell’Artsakh assediata dalle forze azere. Niente e nessuno può entrare o uscire nell’isola armena incastonata in territorio azero.
120 mila persone sotto assedio
Fino al 12 dicembre, ogni giorno a Stepanakert arrivavano circa 400 tonnellate di merci dall’Armenia. Ma quel giorno un folto gruppo di cittadini azeri ha deciso di bloccare il “corridoio di Lachin”, l’unica strada che collega l’Armenia con l’ex territorio azero dichiaratosi unilateralmente indipendente da Baku nel 1991.
Ufficialmente, a trasformare in ostaggi i 120 mila abitanti dell’enclave è una “protesta ambientalista”. A bloccare l’unica via di comunicazione terrestre esistente con Erevan, infatti, sarebbe un gruppo di attivisti ecologisti azeri desiderosi di impedire che le miniere di oro, rame e molibdeno di Drombon e Kashen, nel territorio della provincia ribelle, continuino a sfornare materiali di scarto altamente inquinanti. Ma nel paese guidato da trent’anni dal clan Aliyev non si muove nulla senza il consenso del regime; nessun’altra protesta è stata inoltre inscenata per denunciare l’inquinamento, altrettanto grave, provocato dalle attività estrattive disseminate nel resto dell’Azerbaigian, alcune di proprietà dello stesso presidente Ilham.
I presunti ambientalisti, denunciano Erevan e Stepanakert, altro non sono che militari e attivisti di organizzazioni azere riconducibili al regime di Baku, che assediando il Nagorno Karabakh sperando di convincere molti dei suoi abitanti ad abbandonare quei territori per rifugiarsi in Armenia. Mostrano cartelli contro l’inquinamento, ma intonano slogan e canti ultranazionalisti. «Coloro che non vogliono essere cittadini dell’Azerbaigian sono liberi di farlo; il corridoio di Lachin è aperto, nessuno gli impedirà di andarsene» ha tuonato il dittatore azero.
Il blocco azero a Lachin
Il cessate il fuoco firmato il 10 novembre 2020 da Erevan e Baku dopo la “guerra dei 44 giorni” (durante la quale le truppe azere sostenute da Turchia e Israele hanno strappato agli armeni la maggior parte dei territori conquistati da questi ultimi all’all’inizio degli anni ’90) stabilisce che la percorribilità del “corridoio di Lachin” debba essere garantita dai 2000 soldati inviati da Mosca per monitorare il rispetto dell’accordo imposto dalla Russia per porre fine all’ennesimo scontro armato tra armeni e azeri.
Ma i membri delle forze di sicurezza azere travestiti da difensori dell’ambiente non hanno subito alcun intervento da parte dei peacekeeper russi, rimasti in disparte in prossimità della strada bloccata.
Mosca è impegnata nella difficile avventura ucraina e non vuole aprire altri fronti. Soprattutto, per quanto l’Armenia goda tradizionalmente della protezione russa, a Mosca ora interessa assai di più la proficua relazione con Baku e con Ankara, lo sponsor principale della repubblica turcofona ex sovietica divenuta negli ultimi anni una potenza regionale grazie al gas e al petrolio estratti nel Mar Caspio. E anche alle armi copiosamente acquistate proprio dalla Russia, che tramite una triangolazione con l’Azerbaigian riesce ad esportare in Europa quantità copiose di gas nonostante l’embargo decretato da Bruxelles dopo l’invasione dell’Ucraina. Forte della dipendenza russa dall’asse azero-turco, Aliyev ne approfitta per stringere la corda attorno alla comunità armena del Nagorno Karabakh, per costringerla ad abbandonare un territorio che abita da secoli e ogni pretesa di indipendenza. Baku, poi, vuole imporre all’Armenia l’apertura di un passaggio – il corridoio di Zangezur – che connetta l’Azerbaigian alla Repubblica Autonoma di Nakhchevan (una provincia azera separata dalla madrepatria dal territorio armeno) e di lì direttamente con la Turchia e il Mediterraneo.
Peacekeepers russi
Il tradimento di Mosca
Del resto, il contingente russo non mosse un dito neanche quando, il 13 settembre 2022, le truppe azere lanciarono l’ennesimo attacco militare questa volta direttamente contro il territorio dell’Armenia. L’aggressione militare azera durò alcuni giorni senza che Mosca intervenisse se non invitando entrambe le parti alla moderazione, generando così un’ondata di disillusione nei confronti di Mosca tra la popolazione e la diaspora armena.
Erevan ospita alcune basi militari russe, e l’Armenia e la Russia sono legate da un’alleanza militare diretta. Di fronte alle incursioni e ai micidiali bombardamenti azeri, Erevan chiese esplicitamente l’intervento militare russo a difesa della sua integrità territoriale, invocando l’articolo 4 del Trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO) al quale l’Armenia aderisce insieme a Mosca e ad altre repubbliche ex sovietiche.
La Russia, però, si guardò bene dall’intervenire contro gli azeri e a quel punto il leader armeno Nikol Pashinyan da un lato si dichiarò pronto ad abbandonare a sè stessi gli abitanti dell’Artsakh pur di salvare l’Armenia (scatenando feroci manifestazioni di protesta), dall’altra riprese a invocare la protezione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.
Nel 2018, del resto, Nikol Pashinyan era stato eletto premier a capo di una coalizione politica filo-occidentale e anti-russa che poi però si era dovuta riavvicinare a Mosca sia per motivi economici sia per evitare che il paese fosse completamente sopraffatto dall’Azerbaigian. Ma ora molti armeni si sentono traditi da Vladimir Putin.
Se in precedenza il 64% degli armeni considerava la Russia un paese amico, nel 2021 la quota era scesa al 35%. Secondo un sondaggio pubblicato a gennaio dal Caucasus Research Resource Center, quasi la metà dei residenti dell’Alto Karabakh considerano necessaria l’indipendenza. Un quarto degli intervistati, invece, sceglierebbe l’annessione alla Federazione Russa in forma di repubblica autonoma; una quota di poco inferiore, infine, difende l’unificazione con la Repubblica Armena.
L’Armenia non si fida più di Mosca
Mentre nel territorio assediato – a rischio di essere del tutto abbandonato da Mosca – le critiche all’immobilismo russo sono moderate – in Armenia le denunce nei confronti del doppiogiochismo di Putin si fanno sempre più esplicite.
A fine dicembre, centinaia di manifestanti hanno marciato per 11 km da Stepanakert ad una base del contingente militare russo per chiedere a Mosca di intervenire per sbloccare l’assedio. Nei giorni scorsi alcune forze politiche ultranazionaliste armene hanno manifestato di fronte all’ambasciata russa, perorando un intervento militare di Erevan contro Baku che visti gli attuali rapporti di forza si rivelerebbe suicida. L’8 gennaio un’altra manifestazione è stata organizzata da movimenti nazionalisti a Gjumri, città al confine della Turchiadove si trova la principale base militare russa in Armenia; 65 manifestanti sono stati arrestati.
Pashinyan ha criticato la mancanza di iniziativa di Mosca ed ha annunciato che l’Armenia non ospiterà le esercitazioni militari delle truppe del CSTO guidate dalla Russia previste nel 2023. Per la prima volta, poi, il premier ha affermato che non solo «la presenza militare russa non garantisce la sicurezza armena, ma costituisce una minaccia», anticipando che potrebbe chiedere al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di inviare i caschi blu per sostituire il contingente militare di Mosca.
Le promesse di Washington e Bruxelles
Ovviamente, sia l’amministrazione Biden che l’Unione Europea cercano di approfittarne per aumentare la propria influenza nel Caucaso a scapito di quella russa. In Europa si distingue soprattutto la Francia – paese nel quale, tradizionalmente, la diaspora armena possiede una qualche forza economica e politica – che ha alzato i toni contro Baku. Il governo italiano, al contrario, non prende posizione ed anzi il 12 gennaio il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha incontrato a Baku il presidente Aliyev in cerca di nuove forniture di gas e di commesse per le armi italiane.
Dichiarazioni roboanti a parte, comunque, né Bruxelles né Washington hanno finora intrapreso alcuna iniziativa concreta nei confronti dell’Azerbaigian. Il rapporto col regime di Aliyev e con quello turco, per l’Occidente, è importante quanto per la Russia di Putin. L’Unione Europea pretende che l’Armenia abbandoni l’Unione Economica Eurasiatica guidata dalla Russia per siglare un trattato di associazione con Bruxelles, ma a Erevan non offre alcuna garanzia contro il regime azero.
Anche Pashinyan, da parte sua, è conscio della fortissima dipendenza di Erevan dall’economia (nel 2022 gli scambi commerciali tra Erevan e Mosca sono cresciuti del 67%), dalle forniture energetiche e dalla presenza militare russa e al tempo stesso dell’estrema debolezza del suo paese rispetto alla crescente potenza militare, economica e diplomatica azera.
Manifestazione a Stepanakert contro il blocco azero
“Pulizia etnica”
Finora l’appello delle comunità armene isolate da sei settimane e delle piazze delle città armene affollate di manifestanti è stato raccolto solo dal Tribunale Internazionale dell’Aia, che ha convocato Baku per il 30 gennaio. Anche la Corte Europea dei Diritti Umani ha redarguito gli azeri, mentre il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione di condanna del blocco del corridoio di Lachin. A detta del Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, invece, la Russia «è pronta a dispiegare truppe al confine tra Armenia e Azerbaigian per sedare le tensioni nel Corridoio di Lachin» (cosa che avrebbe già dovuto fare in base dell’accordo del 2020) e starebbe pensando di inviare una missione della CSTO nella regione per “monitorare la situazione”.Dopo aver informato di aver chiesto al suo omologo azero Jeyhun Bayramov di sbloccare il corridoio di Lachin, Lavrov ha aggiunto che «una missione europea nella regione sarebbe controproducente».
Intanto, in mancanza di iniziative rapide e concrete, nell’enclave armena stretta nel gelido inverno caucasico, la situazione si fa ogni giorno più insostenibile. Le autorità dell’Armenia e dell’Artsakh chiedono all’ONU e ai paesi amici di organizzare un ponte aereo per rifornire di cibo e medicinali la popolazione stremata, ma finora nulla si è mosso. Mentre le condizioni di vita all’interno dell’enclave si fanno sempre più difficili, un migliaio di persone che era in territorio armeno al momento dell’inizio del blocco stradale non è potuto rientrare in Artsakh. Tra questi, decine di bambini di Stepanakert che si erano recati a Erevan per partecipare all’Eurovision Junior e ai quali da un mese e mezzo viene impedito di ricongiungersi ai genitori.
«L’assenza di una reazione adeguata all’aggressione azera potrebbe causare nuovi tragici sviluppi» avvertono i ministri degli Esteri di Armenia e Artsakh, mentre la diaspora armena in tutto il mondo lancia l’allarme sul rischio che nel Caucaso si realizzi un nuova ondata di pulizia etnica. Ma finora l’appello ad un intervento della comunità internazionale è rimasto inascoltato. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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I dati di localizzazione sono dati personali - noyb vince il ricorso contro la DPA spagnola I tribunali spagnoli hanno annullato una precedente decisione della DPA spagnola. L'AEPD aveva precedentemente sostenuto che la telco Virgin aveva legittimamente negato ai suoi clienti l'accesso ai propri dati di localizzazione.
In Cina e Asia – La Cina supera gli Usa nelle industrie avanzate ad alto valore aggiunto
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Debt trap: la Cina concederà allo Sri Lanka una moratoria di due anni
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#uncaffèconluigieinaudi ☕ – Liberali non possono illudere il popolo…
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Kyaw Min Yu, lo scrittore birmano giustiziato in segreto
Già leader delle proteste del 1988, Kyaw Min Yu è una delle figure più note della complessa e sofferta transizione democratica del Myanmar, tragicamente interrotta quel 1° febbraio di quasi due anni fa. Il giorno in cui è stato ucciso si è alzato senza sapere che sarebbe stata la sua ultima alba.
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Si scrive ‘intercettazioni’, si legge ‘stampa’
Non so se sia un gioco delle parti, ma, certo, ne ha tutta l’apparenza. E, qualora lo sia, si tratterebbe di un gioco micidiale. Mi riferisco alle diatribe, agli urli scomposti di politicanti vari, a cominciare dal Ministro Carlo Nordio, davvero il peggio del peggio se non altro umanamente parlando, in materia di intercettazioni telefoniche. […]
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Il capitalismo militarizzato fuori da ogni controllo democratico | AFV
"Il capitalismo non ha un’essenza, se non quella di mutare in continuazione. E forse la sua mutazione attuale consiste nell’emergere di un capitalismo centrato sulla potenza militare.
Questo diviene il sistema dominante che organizza tutti gli altri sistemi sociali, il che implica un enorme potere dell’apparato militare-industriale."
Malesia: le risorse strategiche di terre rare rischiano di sgretolarsi a causa di Pechino
Il governo dello Stato di Kedah della Malesia ha firmato un memorandum d’intesa (MoU) con il partner tecnico cinese Xiamen Tungsten Co Ltd per attingere a 60 miliardi di RM di elementi di terre rare (REE) nello Stato, che ha evidenziato la continua dipendenza dall’esperienza e dalle risorse cinesi in l’asset strategico vitale del Paese. […]
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SFondi Ue
La ricchezza è creata solo dalle imprese e dai lavoratori. I governi non creano ricchezza. Va già bene quando riescono a fare in modo che imprese e lavoratori svolgano la loro funzione senza intralci e con adeguate difese dalla violazione delle regole. I governi intermediano i soldi presi ai contribuenti e destinati a pagare spese collettive. Più o meno assennate, dipende dai governi, ma anche dai cittadini che votano i governanti. Quei soldi non sono “dello Stato”, come se vi fosse un generatore esterno di quattrini, ma dei contribuenti onesti. Altri soldi possono essere presi in prestito, il che comporta impegnare quel che i contribuenti verseranno in futuro. Visto che si moltiplicano i fondi europei è bene che questa premessa sia chiara, ricordando che anche quelli sono soldi dei contribuenti. In quel caso europei.
La raccolta fiscale e la spesa pubblica hanno un senso positivo quando i soldi che prendo al contribuente li destino a rendere migliore la vita di tutti. E se li destino ad un altro contribuente, perché bisognoso, opero per la giustizia sociale, rendendo migliore la vita di tutti. Se prendo male la mira e consegno i soldi del contribuente onesto a un evasore fiscale, che allo Stato guercio sembra povero, rendo peggiore la vita di tutti. Ha un senso togliere soldi a chi li ha guadagnati, impedendogli di comprare una nuova chitarra, se riesco ad impiegarli per fare in modo che si investa e lavori meglio, talché la mancata chitarra odierna possa essere un contrabbasso domani. Veniamo a noi.
Oggi l’Italia è il principale percettore dei soldi dei contribuenti europei, versati nei fondi di Ngeu. Da una parte è un impegno verso tutti, dall’altra un’occasione da non perdere. Quel che è decisivo non è quanti ne prendiamo, meno ancora l’umiliante “quanti ce ne danno”, meno che mai il delirante “quanti ce ne siamo accaparrati”, ma: che ci facciamo. Se li si userà per recuperare arretratezze competitive, insufficienze strutturali, squilibri territoriali, ci avremo guadagnato noi e ci avranno guadagnato tutti i contribuenti europei, che vivranno in un mercato più dinamico e ricco. Per riuscirci, però, è necessario accompagnare la spesa per investimenti al lavoro per riformare e cambiare quel che non aveva funzionato. Se continui a prendere l’acqua con lo scolapasta l’importante non è a quanta acqua puoi attingere, ma quanto sei scemo, dissipatore e sempre a secco. Nessuno di noi crede che il mondo cambi aumentando le licenze taxi o mettendo a gara gli stabilimenti balneari, ma se non si è capaci di fare manco quello, se ci si cala le braghe davanti a cose così limitate, è segno che si stanno buttando i soldi. E se i contribuenti europei si arrabbiassero avrebbero ragione.
Ora si parla di un fondo sovrano europeo, destinato a tenere alta la competitività delle nostre imprese. Alla competitività, però, dovrebbero pensare da sole, semmai reclamando scuole funzionanti, giustizia efficiente e burocrazia non demente. Eppure quel fondo può servire, se destinato a compensare squilibri da altri introdotti: gli Usa aiutano le loro imprese nella transizione energetica? se non faremo altrettanto ci sarebbe uno svantaggio. Il che significa non dividere i fondi in quote Paese, ma destinarli all’obiettivo da raggiungere e alle imprese coerenti. Chi non ne ha non becca un soldo. Ma questo porta a un altro problema: chi stabilisce quali sono gli obiettivi giusti? L’impresa che li indovina cresce, quella che li sbaglia fallisce. Se sposto la decisione a livello politico resta solo il contribuente che paga e la pianificazione che impera.
C’è un long covid inquietante, consistente nell’uso smodato del termine: aiuti. E c’è un long covid letale: neanche più le forze politiche sembrano capire che questa è materia politica. Fondi e debito europei sono una meraviglia, ma occorre l’intelligenza, quindi la politica istruita, per stabilire cosa vogliamo ottenere e come. Mentre resta escluso che tu sia sovrano nello sprecare i soldi miei.
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Ricevere la spesa a casa: tutti i vantaggi di EasyCoop
Ricevere la spesa a casa dopo aver effettuato l’ordine online, in tutta comodità? Oggi è possibile e si tratta di un servizio che si sta diffondendo sempre di più, proprio per via dei numerosi vantaggi che permette di ottenere. In Italia, a dire il vero, le insegne che hanno continuato ad offrire questa opportunità anche dopo […]
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Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere”- 4 febbraio 2023, Sant’Angelo Lomellina
4 febbraio 2023 – Teatro – Società Agricola Santangelese, via Mazzini, 61 – SANT’ANGELO LOMELLINA
Introduce
MATTEO GROSSI
Intervengono
MASSIMILIANO ANNETTA
DAVIDE GIACALONE
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Armi a Kyiv, la Camera dà luce verde. Domani Crosetto al Copasir
Oggi la Camera ha dato il via libera definitivo al decreto legge Ucraina, che proroga al fino 31 dicembre 2023 la cessione da parte italiana di materiali militari al Paese impegnato nel conflitto iniziato dalla Russia.
M5S E AVS CONTRARI
Il testo è stato definitivamente approvato a Montecitorio con 215 voti a favore e 46 contrari (Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi Sinistra e il deputato Paolo Ciani del Partito democratico). Dichiarando il voto contrario del Movimento 5 Stelle, il deputato Marco Pellegrini ha definito “inaccettabile” l’aggressione russa – ma non ha mai citato il leader Vladimir Putin – e dichiarato in Aula: “Durante questo anno la strategia dell’Occidente si è focalizzata sull’invio costante di armi e così facendo ci stiamo avvicinando pericolosamente allo scoppio di un conflitto ancor più vasto, magari con l’utilizzo di armi nucleari, come più volte ha minacciato di poter fare o di voler fare la Federazione Russa. Adesso invece servono negoziati di pace, non armi. Fermatevi! Fermatevi prima che sia troppo tardi”.
LE DICHIARAZIONI DI CALOVINI (FDI)
Con il via libera, “l’Italia si pone ancora una volta in prima linea a sostegno di Kiev e a fianco degli storici alleati. Il governo Meloni, insieme a Fratelli d’Italia, è compatto al fianco del popolo ucraino, vittima della brutale invasione russa del febbraio scorso”, ha dichiarato Giangiacomo Calovini, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Affari esteri a Montecitorio. “L’Italia, qualora ci fossero stati incomprensibili dubbi, si conferma un partner serio e affidabile a livello internazionale, sempre dalla parte dell’Alleanza Atlantica e a favore della libertà e della democrazia. Il nostro ruolo a livello geopolitico è chiaro e faremo tutto ciò che è necessario per assicurare una pace giusta all’Ucraina”, ha aggiunto.
IL SESTO PACCHETTO IN PREPARAZIONE
Pellegrini è uno dei membri del Copasir che domani ha in agenda l’audizione di Guido Crosetto, ministro della Difesa. Quest’ultimo nei giorni scorsi ha dichiarato che il sesto decreto di aiuti all’Ucraina, il primo del governo presieduto da Giorgia Meloni, è “in preparazione”. Venerdì, in occasione della riunione del Gruppo di Contatto per la difesa dell’Ucraina a Ramstein, in Germania, aveva riferito che ci si aspetta “nelle prossime settimane un inasprimento della guerra con un aumento esponenziale degli attacchi via terra” e ha aggiunto che “bisogna passare dalle parole ai fatti nel più breve tempo possibile”.
DOMANI CROSETTO AL COPASIR
Domani alle ore 8, il ministro verrà ascoltato dalle commissioni riunite Difesa e Affari esteri, sulle linee programmatiche del suo dicastero. Nella stessa giornata, alle ore 16, Crosetto sarà in audizione al Copasir. È attraverso il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica a Palazzo San Macuto che, nel caso in cui decreto venga secretato così come annunciato, verrà informato il Parlamento. “In collaborazione con la Francia stiamo finalizzando l’invio del Samp-T, e comunque ci sono altre azioni a cui lavoriamo riservatamente”, ha dichiarato nei giorni scorsi Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, al Corriere della Sera.
Quando ho bisogno di un patentino per drone?
Probabilmente sei un appassionato di droni oppure sei una persone che con questo tipo di dispositivo ha intenzione di costruire una carriera lavorativa. In qualunque situazione tu sia, potresti aver sentito parlare della presenza di patentino per drone, una particolare tipologia di licenza che serve a ‘guidare’ i droni in maniera tale da non avere […]
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Consigli degli esperti per scommettere in modo sicuro ed efficace
Chi si approccia al mondo del betting per la prima volta può legittimamente avere qualche preoccupazione su quanto sia sicuro scommettere online. In generale, internet viene ancora visto come un ambiente insidioso, che può celare minacce e pericoli. Illustriamo di seguito i consigli e i suggerimenti degli esperti per scommettere in tutta sicurezza e godersi […]
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Corea del Nord: i test missilistici aumenteranno nel 2023
Per tutto il 2022, la penisola coreana ha assistito a un persistente aumento delle tensioni a causa della baldoria senza precedenti di test missilistici di Pyongyang e delle esercitazioni militari congiunte di rappresaglia su larga scala della Corea del Sud con gli Stati Uniti. Finora il 2023 è stato più o meno lo stesso. Entro […]
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Un punto di svolta nella politica commerciale degli Stati Uniti
Il dicembre 2022 ha evidenziato quanto sia cambiata la politica commerciale degli Stati Uniti negli ultimi anni. Si è tentati di dare la colpa dei cambiamenti all’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, le cui opinioni protezionistiche erano fortemente sostenute e dichiarate chiaramente. Molti osservatori sono rimasti sorpresi dal proseguimento da parte dell’amministrazione Biden di […]
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Il Segretario Generale Andrea Cangini sarà ospite a Coffee Break – La7
Il Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi Andrea Cangini sarà ospite a Coffee Break, su La7, il giorno mercoledì 25 gennaio dalle ore 09:40.
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Banche centrali, corsa all’oro per appianare le perdite
Nel 2022 le banche centrali avranno acquistato la più grande quantità di oro della storia recente. Secondo il World Gold Council, gli acquisti di oro da parte delle banche centrali hanno raggiunto un livello che non si vedeva dal 1967. Le banche centrali del mondo hanno acquistato 673 tonnellate in un mese e nel terzo […]
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Ucraina: la Georgia si allontana dall’Occidente?
All’inizio di gennaio, il governo ha respinto le richieste di Kiev di consegnare armi occidentali pesanti alle forze armate. Questa decisione è stata il coronamento dei disaccordi tra i due Paesi sorti sullo sfondo della non interferenza della Georgia nel conflitto militare in Ucraina. L’aggravarsi delle relazioni georgiano-ucraine è particolarmente sorprendente ora, poiché negli ultimi […]
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Come il ruolo degli Stati Uniti in Ucraina si è lentamente intensificato
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I cento anni di ‘Nano’ Campeggi, l’artista che dipinse il cinema
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Innovazione, il dilemma tra competizione e sopravvivenza
Da tempo si sente parlare dell’innovazione come una leva potenzialmente a disposizione per l’azienda per mantenere la propria competitività, ma anche necessaria per affrontare gli attuali mercati sempre più globalizzati. Indubbiamente la c.d. transizione digitale già ha cambiato in maniera profonda e decisiva le aspettative ed i comportamenti culturali e le dinamiche di mercato in tutti i settori, e si manifesta in termini di “capacità digitali” in senso lato (anche in termini di canali o asset aziendali) che sono fortemente differenziali rispetto al precedente contesto già di pochi anni fa: per questo si cita spesso il concetto di “digital disruption”. La velocità con la quale gli effetti della digital disruption si sono mostrati in ogni ambito e contesto settoriale, amplificata dalla “globalizzazione” che caratterizza ormai quasi tutti i mercati, ha dimostrato che difficilmente le aziende avranno la possibilità di sopravvivere se non mostrano una rapida capacità di adattamento al contesto evolutivo del mercato. Basti pensare all’accelerazione avuta durante e dopo la pandemia Covid.
Dunque più che un’opportunità, o una leva per le aziende/ manager particolarmente preziosa per i grandi e complessi progetti di trasformazione (post merger integration, turn around, ecc.), l’innovazione attualmente rappresenta l’attitudine indispensabile necessaria per garantire la propria sopravvivenza. L’innovazione si associa molto spesso ad “invenzioni” tecnologiche sofisticate in grado di cambiare completamente un settore di business, ma nel recente passato sono state le innovazioni di processo che più frequentemente hanno cambiato completamente la catena del valore del business anche in mercati consolidati e maturi, ne è un esempio emblematico Uber. A prescindere da ogni considerazione relativa al quadro normativo e regolatorio, dove ciascuno può avere una propria posizione, è certamente evidente come una tecnologia disponibile e diffusa applicata in modo innovativo abbia potuto cambiare un intero settore in modo irreversibile.
La progressiva digitalizzazione delle imprese e la pressione competitiva da parte di aziende provenienti da mercati internazionali obbliga, a mio avviso, le aziende nazionali ad identificare interventi di utilizzo della tecnologia disponibile per rendere il proprio modello di business più solido meno rischioso, rafforzando l’efficacia ed in alcuni casi l’efficienza nel rapporto con il proprio mercato. “L’innovazione di processo”, intendendola nell’accezione più ampia del termine, identifica interventi per favorire l’adozione delle tecnologie disponibili da parte delle aziende per accelerare il proprio processo di digitalizzazione. Ad esempio un ambito che ritengo di grande efficacia per avviare progetti di digitalizzazione, che allo stesso tempo è di relativa facilità di implementazione, è l’applicazione della Robotic Process Automation (RPA) ovvero l’automazione attraverso applicativi di robotizzazione di processi aziendali che possono essere applicati a qualsiasi ambito. Non si tratta necessariamente di un’applicazione di intelligenza artificiale, ma anche solo di rendere automatiche attraverso un software attività operative o di controllo che oggi rappresentano molto spesso attività a basso valore aggiunto. La robotizzazione dei processi ha moltissime valenze es. in alcuni casi rende economicamente sostenibili alcuni controlli di business e quindi più efficace l’impatto sul proprio mercato, in altri casi elimina inefficienze di processo, in attività a bassissimo valore aggiunto. Inoltre rappresenta in alcuni casi anche un più agevole modalità di lettura dei dati di business a fronte di un minore sforzo di integrazione tra sistemi a supporto dell’azienda, in special modo nelle medie aziende.
In azienda la digitalizzazione dovrebbe essere un elemento portante della strategia aziendale, volto a cogliere nuove opportunità o rendere più sostenibili il proprio modello di business, infatti la trasformazione digitale:
- non consiste esclusivamente nell’implementazione e adozione delle nuove tecnologie, ma rappresenta l’occasione per ripensare il proprio modello di business, renderlo scalabile e migliorarne la competitività
- consente di sviluppare internamente nuove competenze orami necessarie per competere, creando una cultura aziendale reattiva ai cambiamenti dei propri mercati di riferimento
- definisce nuove modalità di interazione con il proprio ecosistema (clienti/fornitori), con lo scopo di facilitare la scalabilità del business (es. c.d. “integrazione a monte”)
L’innovazione generata attraverso la trasformazione digitale con l’uso di tecnologia già disponibile, per il fatto che non richiede ingenti investimenti, consente l’utilizzo più efficiente del capitale e quindi una maggiore crescita a parità di risorse investite.
La crescita dimensionale è un tema centrale per la competitività dell’azienda, è opinione oramai diffusa, anche alla luce delle evidenze di mercato, che per competere in una dimensione ormai sempre più globale è certamente necessario avere una dimensione adeguata, intesa come la dimensione che consente ad una impresa di avere la capacità di anticipare nuovi trend ed allo stesso modo di aumentarne la resilienza in momenti di shock improvvisi. Nei momenti di crisi è mostrato dalle evidenze che le aziende leader consolidano ulteriormente la propria posizione competitiva.
Il tessuto tipico del nostro paese è caratterizzato da una presenza maggiore delle Piccole e Medie Imprese (c.d. PMI) rispetto agli altri paesi Europei. La classificazione comunitaria prevede la classificazione delle aziende per numero di addetti mostra che in Italia mostra che sulle ca. 4,2 milioni di imprese nel 2020, quelle con più di 50 addetti sono circa 27’000 e generano il 57% del valore della produzione, il 69% degli investimenti ed impiegano piu del 50% dei lavoratori dipendenti.
I medesimi dati di 5 anni prima mostrano come l’incremento della numerica delle aziende con più di 50 addetti sia cresciuta del 5%, mostrando una crescita percentuale più che doppia in termini degli investimenti lordi in beni materiali e dei lavoratori dipendenti. Interessante sarà avere un confronti con le stesse dimensioni post pandemia covid.
La competitività del nostro Paese è certamente condizionata dalla crescita del tessuto delle imprese nazionali in mercati oramai aperti e globalizzati e certamente le iniziative del Governo volte alla modernizzazione del nostro sistema produttivo vanno in questa direzione.
Sono sicuramente trainanti in questa ottica le aziende medio-grandi capaci anche di creare un indotto ed un ecosistema diffuso ed adeguato per il nuovo contesto competitivo.
Certamente la digitalizzazione delle imprese gioca anche un ruolo chiave per avere per l’export, in questo senso ridurre il gap rispetto agli altri paesi dell’e-commerce nazionale potrebbe rappresentare una leva per favorire la commercializzazione dei prodotti Made in italy e favorire la riprese delle filiere produttive nazionali.
L'articolo Innovazione, il dilemma tra competizione e sopravvivenza proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Irish Data Protection Authority gives € 3.97 billion present to Meta.
L'Autorità irlandese per la protezione dei dati personali consegna a Meta 3,97 miliardi di euro. L'Autorità non sarebbe in grado di valutare i benefici finanziari derivanti dalle violazioni del GDPR da parte di Meta. Il DPC ha chiuso un occhio sui ricavi generati da Meta dalla violazione del GDPR dal 2018. Ignorando la richiesta dell'EDPB di includere le entrate illecite di Meta, ha ridotto la multa di 3,97 milioni di euro.
Auguri a tutti gli operatori dell'informazione! Oggi si celebra San Francesco di Sales che 100 anni fa venne proclamato Patrono dei Giornalisti. Ecco i consigli di Pio XI per l'occasione...
OGGI SI CELEBRA SAN FRANCESCO DI SALES CHE 100 ANNI FA VENNE PROCLAMATO PATRONO DEI GIORNALISTI
@Giornalismo e disordine informativo
«Ma vorremmo che da queste solenni ricorrenze precipuo vantaggio ritraessero tutti quei cattolici, che con la pubblicazione o di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la cristiana dottrina. Ad essi è necessario, nelle discussioni, imitare e mantenere quel vigore, congiunto con moderazione e carità, tutto proprio di Francesco. Egli, infatti, con il suo esempio, insegna loro chiaramente la condotta da tenere. Innanzi tutto studino con somma diligenza e giungano, per quanto possono, a possedere la dottrina cattolica; si guardino dal venir meno alla verità, né, con il pretesto di evitare l’offesa degli avversari, la attenuino o la dissimulino; abbiano cura della stessa forma ed eleganza del dire, e si studino di esprimere i pensieri con la perspicuità e l’ornamento delle parole, in maniera che i lettori si dilettino della verità. Se si presenta il caso di combattere gli avversari, sappiano, sì, confutare gli errori e resistere alla improbità dei perversi, ma in modo da dare a conoscere di essere animati da rettitudine e soprattutto mossi dalla carità. E poiché non consta che il Sales sia stato dato a Patrono dei ricordati scrittori cattolici con pubblico e solenne documento di questa Apostolica Sede, Noi, cogliendo questa fausta occasione, di certa scienza e con matura deliberazione, con la Nostra apostolica autorità diamo o confermiamo, e dichiariamo, mediante questa Lettera Enciclica, San Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e Dottore della Chiesa, celeste Patrono di essi tutti, nonostante qualsiasi cosa in contrario.»
cc @Antonio Spadaro @civcatt@mastodon.uno @Marco Vitale🇻🇦🇮🇹🇪🇺🇺🇦
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Bria - Country Covers Vol.2
Bria è una musicista e cantante del gruppo post-punk Frigs e fa parte del gruppo di Orville Peck il famoso crooner country pop uno dei più grandi innovatori moderni del country americano, e nel tempo libero fa dischi deliziosi per conto suo come questo. “Country Covers Vol.2”, pubblicato da Sub Pop Records, è un ep composto da sei piccoli capolavori di rifacimenti di canzoni country in chiave country pop e moderna, fresca e molto valida.
iyezine.com/bria-country-cover…
@Musica Agorà @Poliverso notizie dal fediverso @arte
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Bria è una musicista e cantante del gruppo post-punk Frigs e fa parte del gruppo di Orville Peck il famoso crooner country pop uno dei più grandi innovatori moderni del country americano, e nel tempo libero fa dischi deliziosi per conto suo come ques…Massimo Argo (In Your Eyes ezine)
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