Microtargeting politico su Facebook e le gravi responsabilità dei partiti (tedeschi)! Il Post di @NOYBeu (PS: ma che fine avrà fatto la segnalazione di #MonitoraPA al @gpdp_it sui partiti italiani?)
(Ricordiamo a questo proposito, l'iniziativa promossa meno di un anno fa da @Monitora PA
e che non ha decisamente raccolto l'attenzione che meritava)
Di seguito le denunce effettuate da @noyb.eu
- Denuncia contro la CDU
- Denuncia contro l'AFD
- Denuncia contro l'SPD
- Denuncia contro Bündnis 90/Die Grünen
- Denuncia contro DIE LINKE
- Denuncia contro il Partito Democratico Ecologico
Tutti i partiti del Bundestag tedesco utilizzano il microtargeting. Una ricerca di ZDF Magazin Royale ha rivelato che tutti i partiti rappresentati nel Bundestag hanno utilizzato il microtargeting politico su Facebook per indirizzare gli annunci a un gruppo selezionato di persone. Le informazioni su come i partiti "prendono di mira" i loro elettori sono tenute segrete da Facebook. Nell'aprile 2021, lo spettacolo notturno tedesco ZDF Magazin Royale ha chiesto al proprio pubblico di installare un'estensione del browser per registrare i dati di microtargeting. Dopo una richiesta di accesso a questi dati, noyb è stata in grado di analizzare questi dati e identificare specifiche violazioni del GDPR.
Dati sensibili per il microtargeting. L'analisi dei dati di noyb ha rivelato che gli utenti di Facebook sono stati presi di mira con pubblicità politica più recentemente durante le elezioni federali tedesche. Questo non è illegale di per sé. Tuttavia, gli utenti sono stati selezionati perché Facebook aveva valutato in background le loro opinioni politiche. Le opinioni politiche sono specificamente protette dall'articolo 9 del GDPR, pertanto sia le parti che il social network hanno violato il GDPR. Le denunce sono state intentate contro vari soggetti o sub-organizzazioni, in quanto responsabili degli annunci pubblicitari.
" Qualsiasi dato sulle opinioni politiche di una persona è protetto in modo particolarmente rigoroso dal GDPR. Tali dati non solo sono estremamente sensibili, ma consentono anche la manipolazione su larga scala degli elettori, come ha dimostrato Cambridge Analytica" . - Felix Mikolasch, avvocato per la privacy presso noyb
Il microtargeting come pericolo per la democrazia. Uno dei maggiori pericoli del microtargeting politico è che l'opinione politica di un elettore può essere influenzata e alterata. I partiti politici possono fare innumerevoli promesse a gruppi specifici di elettori e possono nascondere la loro posizione personalizzata al grande pubblico. Ciò può portare ad aspettative molto diverse negli elettori, che la politica non potrà mai soddisfare. Il risultato è una società polarizzata, ei singoli partiti possono crearsi dei vantaggi in campagna elettorale facendo promesse contraddittorie.
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Il #GarantePrivacy tedesco dice davvero le stesse cose sostenute da #MonitoraPA?
Sì! 8-)8-)😎
Direttamente dal #GarantePrivacy tedesco, tutto quello che vorreste sapere sui servizi cloud di #Microsoft, ma non avreste mai osato chiedere.
- Quali sono i problemi in termini di GDPR quando si utilizza Microsoft365?
- Perché l’opzione offerta da Microsoft di elaborare i dati su server europei non è sufficiente per un funzionamento conforme alla protezione dei dati?
- Perché la legge statunitense CLOUD Act pone un problema di protezione dei dati?
- Implicazioni della decisione dell’OLG di Karlsruhe del settembre 2022 per l’uso di MS 365 nelle scuole
- A quali condizioni è possibile un utilizzo di Microsoft 365 conforme alla protezione dei dati?
- Quali “dati di utilizzo” vengono trasmessi con Microsoft 365?
- Quali misure tecniche e organizzative possono essere adottate per impedire il trasferimento dei dati diagnostici a Microsoft?
- Come valutare l’utilizzo di Microsoft 365 su tablet o smartphone?
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Guerra in Ucraina: Schlein, purtroppo, ‘imagine’ e niente più!
No, decisamente non ci siamo. Mi dispiace dover dire che le prime mosse di Elly Schlein non mi convincono per nulla. Tanto più che, come mosse, di politico hanno molto poco. Se solo penso al modo scialbo e poco chiaro con il quale il PD ha affrontato la discussione sui finanziamenti delle armi all’Ucraina, non […]
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Come il fediverso potrebbe plasmare il futuro del web. Le riflessioni di @edans sul suo blog
Siamo di fronte alla crescita del cosiddetto fediverso, un insieme di nodi federati tra loro che mira a portare il decentramento sui social network: ogni server stabilisce le proprie regole, e tutti permettono lo scambio di informazioni tra di loro, indipendentemente dal le grandi aziende che hanno dominato finora il panorama del social web.
Se leggete che, dopo il clamore iniziale, gli utenti stanno abbandonando Mastodon o il fediverso, domandatevi: probabilmente sono giornalisti troppo pigri per fare bene il loro lavoro. La realtà è che i numeri di Mastodon continuano a salire, che il dibattito si fa più interessante e che la configurazione, sebbene con le sue ovvie vulnerabilità e cavilli, sta iniziando a sembrare qualcosa di molto più ambizioso di un semplice sostituto di Twitter, che a quanto pare era l'idea iniziale.
Qui è possibile leggere il post "Come il fediverso potrebbe plasmare il futuro del web" di @edans@me.dm
Questo articolo è disponibile anche in spagnolo sulla pagina Medium dell'autore
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Tra colpa e innocenza: la metamorfosi politica della guerra
Nel 2012, a Nataruk, una trentina di chilometri dal lago Turkana in Kenia, furono rinvenuti i poveri resti di 21 adulti e 6 bambini trucidati. Ignota la mano come ignoto il motivo della strage. Solo la data venne ricostruita con sufficiente precisione: 10.000 anni fa. Quella di Nataruk rimane dunque la prima testimonianza scientifica di […]
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La Russia di Putin è ormai “vassalla” della Cina
C'era grande attesa per l'incontro tra Xi Jinping e Vladimir Putin. Mosca ha accolto l’alleato con tutti gli onori del caso ma soprattutto ha mostrato con ancora più evidenza come ormai il rapporto tra le due potenze sia completamente squilibrato a favore di Pechino.
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Il diritto alla felicità
Ogni anno ed in tutto il mondo, il 20 marzo si celebra la Giornata Internazionale della Felicità, istituita dall’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Nel documento istitutivo si legge che, scopo della giornata, è quello di promuovere la ricerca della felicità da parte di ogni individuo e incentivare lo “sviluppo sostenibile, l’eradicazione della povertà, la felicità e il benessere di tutte le persone”.
L’ONU ogni anno stila un rapporto fitto di dati da cui emerge che, in base ai parametri tenuti in considerazione (ad es. aspettative di vita, la libertà di fare le proprie scelte di vita, la percezione della corruzione, l’assistenza sociale), i cittadini più felici al mondo sono quelli della Finlandia, seguiti da quelli della Danimarca e poi, al terzo posto, quelli islandesi. L’Italia figura al 31° posto della classifica. Ma come può uno stato contribuire ad assicurare la felicità dei propri cittadini?
Nell’opera “La scienza della legislazione” del 1780, il giurista napoletano Gaetano Filangieri, afferma che «le buone leggi sono l’unico sostegno della felicità nazionale». Dunque, secondo questa tesi di stampo illuminista, è lo stato che, attraverso le sue articolazioni istituzionali, può garantire la felicità dei suoi consociati. Questa teoria è ripresa da Benjamin Franklin (con il quale il Filangeri ebbe una fitta corrispondenza) che la trasfuse nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 4 luglio 1776, nella quale si legge che «tutti gli uomini sono creati uguali; che essi sono dal creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti vi sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità». Questo concetto viene ripreso dalla Dichiarazione francese sui diritti dell’uomo del 1789, dove all’art. 1 si legge che il fine delle istituzioni pubbliche è rappresentato dalla «felicità di tutti».
Il riconoscimento del diritto al perseguimento della felicità, quale fine principale del legislatore, è presente anche nell’art. 13 della Costituzione dell’Impero giapponese del 1946, che testualmente recita «tutte le persone saranno rispettate come individui ed il loro diritto alla vita, alla libertà ed al perseguimento della felicità, entro i limiti del benessere pubblico, costituiranno l’obiettivo supremo nella legislazione e negli affari di governo».
E nel nostro paese? L’art. 3 della nostra Costituzione, a differenza dello Statuto Albertino del 1848 che faceva riferimento alla “Nazione felice” non riconosce espressamente la felicità degli individui quale diritto, ma stabilisce che è compito dello stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona.
Occorre che ciò sia realizzato come premessa generale per il conseguimento di uno stato di benessere individuale, ma poi è compito di ciascuno attivarsi per realizzarlo, anche magari semplicemente seguendo Voltaire che amava dire «ho deciso di essere felice perché fa bene alla mia salute».
L'articolo Il diritto alla felicità proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
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Papa Francesco: alle radici della sua elezione
Non crediamo mai abbastanza a ciò in cui non crediamo (M. Conte S. 2004) «La Chiesa è chiamata ad uscire da sé stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle […]
L'articolo Papa Francesco: alle radici della sua elezione proviene da L'Indro.
Rèvolte
Ciò che accade in Francia non è conseguenza della riforma pensionistica. Che è mite. Nell’originario vino macroniano è stata versata tanta acqua. Le pensioni sono soltanto l’occasione di una rivolta contro la realtà, di un’aggressività che nasce dalla paura, di un ribaltamento che affianca l’estrema destra all’estrema sinistra. In Francia è scoppiato un bubbone il cui pus è in ciascuna delle nostre società europee e più generalmente occidentali.
Il presidente francese sapeva di andare allo scontro, senza neanche la certezza di spuntarla (per ora). Una scelta l’aveva; sarebbe bastato mollare dell’altro, attenersi al manzoniano conte zio: «sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire». E Manzoni ci serve per capire, giacché in ballo c’è quel che molti governanti italiani, nel tempo, non hanno creduto esista: la storia. Molti francesi invece sì, ci credono. E se avesse mollato, Macron sarebbe stato considerato un inerte mollusco non appena il banco delle pensioni fosse saltato. Perché saltano tutti quei sistemi – anche da noi – se la leva demografica negativa s’accompagna alla prodigalità pensionistica in conto a figli che non esistono. Macron ha scelto lo scontro. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensi quella sinistra italiana che ieri si sdilinquiva innanzi al presidente capace di mettere sotto scacco la destra sovranista.
Ma la révolte nasce da altro, perché quella riforma non è poi così dura e semmai toglie qualche privilegio corporativo messo in conto a tutti i lavoratori francesi. Che dovrebbero festeggiare, non protestare. La révolte si alimenta di tanti rivoli che spingono una corrente. C’è la pretesa che vivendo in un Paese ricco ciascuno abbia diritto a una quota crescente di ricchezza, a prescindere dal proprio contributo a crearla. In questo noi siamo maestri, avendo intitolato alla “cittadinanza” un trasferimento di soldi del contribuente in cambio di niente. E c’è la paura, innescata dalla consapevolezza che la ricchezza è oggi tanta, ma potrebbe scemare. Specie se la si spende per finanziare il non lavoro. C’è l’antipolitica che abbraccia non una rivendicazione, quindi un interesse, ma tutte le rivendicazioni, quindi tutti gli interessi, anche in conflitto fra loro, purché siano “contro”. La destra francese lo ha fatto per anni, vestendo l’antieuropeismo e prendendo anche soldi da Putin, ma quell’abito ora è di moda nella sinistra mai stata responsabile di alcun governo o scelta. Difatti i loro voti convergono, pur facendo cilecca. Ci sono i falso pacifisti e i no-vax ri-rivoltosi, stessi indirizzi social. E ci sono sindacati e corporazioni che incassavano la rendita dell’intermediazione inconcludente. Macron avrebbe potuto assecondare questi ultimi, dividere le estreme, rinunciare a procedere e tirare a campare. Ha deciso di esistere, forte di una cosa sconosciuta in Italia: le elezioni le aveva vinte dicendo prima che avrebbe riformato le pensioni. Sta qui il buon esempio. Non aveva vinto negando, ma affermando. Lo aveva fatto in piazza, fra le proteste. Da noi sarebbe considerato elettoralmente suicida.
Per questa ragione lo scontro è coerente con i voti che prese, salvo non avere un partito forte e perdere poi le legislative. Non gli si contesta l’incoerenza, come capita a chi governa l’Italia, ma la coerenza.
Il che non toglie che la rivolta ci sia e che al riparo del consenso ci sia sì la presidenza della Repubblica, ma non il governo. E che dietro il governo non ci siano più i partiti politici (un’assenza che è il male diffuso delle nostre democrazie), con i loro apparati in grado di creare consenso, non solo di raccattarlo arlecchinescamente. A questo giro le barricate non le hanno fatte i rivoluzionari ma i conservatori in divisa da reazionari, anche se tinta di rosso. Ed è l’altra importante lezione: le rivolte, anche elettorali, le oscillazioni brusche, nascono dal provare a conservare il passato. Se non si torna a fare seriamente politica – anche facendo i conti con le pensioni, però – si cancella il futuro.
L'articolo Rèvolte proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Il piano arabo per la Siria mette in difficoltà Stati Uniti ed Europa
Una spinta degli alleati arabi degli Stati Uniti per salvare la Siria dal freddo mette in luce i limiti di un riavvicinamento mediato dalla Cina tra gli acerrimi rivali del Medio Oriente, l’Arabia Saudita e l’Iran. Progettata per creare un cuneo tra Siria e Iran, la spinta alla distensione è guidata dagli Emirati Arabi Uniti […]
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Cina: il Congresso nazionale del popolo rivela nuove iniziative e minacciosi avvertimenti
Appena una settimana prima di marzo, quasi 3.000 delegati si sono riuniti presso la Grande Sala del Popolo a Pechino per l’apertura della Quattordicesima Assemblea Nazionale del Popolo e, separatamente, della Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese. Sebbene il Congresso nazionale del popolo sia, secondo la costituzione cinese, il più alto organo legislativo del paese, […]
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Il 23 marzo torna l’appuntamento mensile con L'Ora di Costituzione!
L'iniziativa sostenuta dal Senato prosegue con il ciclo di incontri per illustrare i principali articoli della Carta agli studenti.
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Gli Stati Uniti non possono salvare Taiwan dall’Honduras
Il 14 marzo, il Presidente dell’Honduras Xiomara Castro ha annunciato che sta prendendo provvedimenti per avviare relazioni diplomatiche ufficiali con la Cina, una mossa che reciderebbe i legami con Taiwan. L’Honduras è uno dei soli 14 Paesi che riconosce ancora diplomaticamente Taipei rispetto a Pechino, ma ora sembra destinato a cambiare. La situazione diplomatica di […]
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Russia – Cina: nella visita di Xi Jinping a Putin, gli Stati Uniti vedono solo minacce
L’attività di politica estera più popolare a Washington questa settimana sta lanciando l’allarme sulla visita di Xi Jinping a Mosca e su cosa potrebbe significare per un’alleanza sino-russa. Ma questo clamore minaccia di nascondere la complessità della situazione e, cosa più importante, la libertà d’azione che gli Stati Uniti hanno ancora per scongiurare una simile […]
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Il calvario giudiziario di Enzo Tortora raccontato dalla figlia Gaia
E’ in carcere, accusato di reati gravissimi e infamanti. Pochi, ancora, credono alla sua innocenza. Tanti si sono uniti al “crucifige” della procura di Napoli che ha dato credito a collaboratori di giustizia uno più falso dell’altro. Il suo è un “caso”, giudiziario e non solo che desta un tale clamore mai visto prima. […]
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Prigionieri palestinesi in sciopero della fame contro Ben Gvir
di Michele Giorgio
(foto di Physicians for Human Rights)
Pagine Esteri, 22 marzo 2023 – Le misure sempre più restrittive imposte nelle carceri israeliane dal ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir, alla fine hanno spinto i prigionieri politici palestinesi verso una protesta di massa. Ieri sera alcuni dei detenuti più noti, tra i quali Marwan Barghouti, Nael Barghouti e Mohammed al Tus (in prigione dal 1985), hanno cominciato un digiuno di protesta in anticipo sullo sciopero della fame che dovrebbe scattare oggi per gran parte degli altri prigionieri palestinesi (circa 5mila, centinaia dei quali non hanno mai subito un processo) mentre comincia il mese di Ramadan. La protesta – «Vulcano della libertà o del martirio» – è una risposta diretta alla decisione di Ben Gvir di «mettere fine» a quelle che per il ministro, uno dei leader dell’estrema destra israeliana, sarebbero le buone condizioni di vita, simili a un «campo estivo», di cui avrebbero goduto sino a qualche mese fa i prigionieri palestinesi.
Ben Gvir ha ordinato di effettuare ispezioni continue nelle celle, controlli capillari, la chiusura dei forni che producevano pane per i detenuti e la revoca di altre misure che, sempre a suo dire, garantivano ai palestinesi una «comoda detenzione». Lo sciopero della fame, come è già accaduto per proteste simili nelle carceri, sarà accompagnato dalla mobilitazione di attivisti, forze politiche e famigliari dei detenuti. Già ieri si sono tenuti raduni seguiti da veglie notturne in diverse località cisgiordane.
Nel frattempo, la Knesset controllata dalla maggioranza di estrema destra religiosa che sostiene il governo Netanyahu, ha approvato lunedì notte un emendamento ad una legge del 2005 relativa al ritiro israeliano dalla striscia di Gaza e da quattro piccoli insediamenti coloniali nella Cisgiordania settentrionale, nelle vicinanze di Jenin. In base a questo emendamento, sarà lecito per i coloni israeliani tornare nelle aree dei quattro insediamenti abbandonati. Di fatto è l’annullamento del disimpegno (ritiro) israeliano dalla Striscia di Gaza voluto nel 2005 dal premier di destra Ariel Sharon, che includeva anche l’evacuazione e distruzione delle quattro piccole colonie. Un ritiro molto limitato – imposto dalla impossibilità per Israele di mantenere il controllo e la sicurezza delle sue colonie a Gaza durante la seconda Intifada palestinese – ma che la destra più radicale ha sempre chiesto di revocare. «Adesso – ha proclamato l’altra sera la deputata ultranazionalista Limor Son Har Melech – dobbiamo riedificare quei quattro insediamenti e anche tornare a casa nel Gush Katif», ossia nell’area di colonizzazione ebraica che fino al 2005 si trovava nel sud della Striscia di Gaza.
L’Unione europea ha condannato l’approvazione dell’emendamento da parte della Knesset. «La decisione di abrogare alcuni articoli della legge sul disimpegno del 2005 nel Nord della Cisgiordania è controproducente per gli sforzi volti a ridurre le tensioni e ostacola la possibilità di perseguire misure di rafforzamento della fiducia e creare un orizzonte politico per il dialogo. La decisione della Knesset è un chiaro passo indietro», ha protestato Peter Stano, portavoce dell’alto rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell. Gli insediamenti, ha aggiunto, «costituiscono un grave ostacolo alla pace e minacciano la fattibilità della soluzione dei due Stati». Pagine Esteri
L'articolo Prigionieri palestinesi in sciopero della fame contro Ben Gvir proviene da Pagine Esteri.
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Autonomia strategica e Difesa. Le lezioni ucraine per l’industria
L’indipendenza nazionale passa anche (e soprattutto) attraverso la sovranità tecnologica, un fattore cruciale in tutti i settori del sistema-Paese, ma che assume una valenza ulteriore nel caso della dimensione militare e del relativo comparto industriale. È quanto emerso nel corso del panel dedicato alla “Difesa e industria della Difesa”, parte del più ampio incontro organizzato dalla Fondazione Farefuturo, nel corso del quale si sono confrontati il presidente di Fincantieri e già presidente del Comitato militare dell’Ue, generale Claudio Graziano, e gli amministratori delegati di Elettronica, Domitilla Benigni, di Rheinmetall Italia, Alessandro Ercolani, e di Avio, Giulio Ranzo.
Consapevolezza della Difesa
In particolare, come registrato da Mauro Mazza, direttore editoriale di Farefuturo che ha moderato il panel, a un anno dall’invasione russa dell’Ucraina ci siamo accorti che “nulla è più come prima” e che la “nostra vita è cambiata, e non è stato un cambiamento in positivo”. Tutto questo ha modificato anche il senso e il ruolo della Difesa e della sua industria. Per il generale Graziano, infatti, il cambiamento era in atto già da tempo, e il 24 febbraio è servito solo per rendersene conto. “L’obiettivo del 2% del Pil alla difesa in ambito Nato o le iniziative europee di sicurezza erano in atto da prima del 2022” e l’invasione ha solo fatto tornare attuali parole come “guerra” e “ricerca della pace”. Tutto questo “richiede di essere preparati con maggiore consapevolezza nazionale”, come per esempio nell’avere sempre chiaro che “supportare l’Ucraina è un dovere, e che aiutando Kiev a difendersi, indirettamente difendiamo anche la nostra libertà”. Il nemico, per il generale, non è infatti direttamente ai nostri confini, ma poco al di fuori, in Ucraina e nel sud del mondo. Tutti questi problemi, tuttavia, non sono affrontabili da un solo Paese, ed è per questo che bisogna sostenere la costruzione di una Difesa europea e il rafforzamento di quella nazionale, in un’ottica di scala per cui, come l’architettura militar e l’autonomia strategica europea non sarebbe contro la Nato, ma per essere in grado di operare “da soli se necessario, insieme se possibile”, allo stesso modo la difesa nazionale dev’essere in grado di fare la stessa cosa con l’Ue e la Nato, ma rimanendo in grado di agire a sostegno dell’interesse nazionale italiano. “Questo lo si può fare solo con una industria forte, e per questo bisogna investire e far parte del quadro di sicurezza internazionale”.
La sfida digitale
Aspetto cruciale del nuovo scenario di sicurezza è l’emergere di nuove tecnologie e di nuovi domini di competizione, primo fra tutti quello del cyber-spazio. “La prima parte dell’invasione dell’Ucraina è stata una vera guerra ibrida, un guerra cyber” ha infatti registrato Domitilla Benigni, sottolineando quanto dal punto di vista della rete “siamo sotto attacco, in una situazione di pandemia digitale endemica, globale”, con una crescita esponenziale degli attacchi. Il problema sono i bassi costi degli attacchi, per cui servono solo competenze e software economici, e l’impossibilità di identificare con sicurezza la minaccia: “in una cyber-guerra non sai contro chi stai combattendo”. Di fronte a questa vera crisi digitale, la Nato ha inserito lo spazio cyber tra quelli coperti dall’articolo 5, per cui un Paese è autorizzato a rispondere a un attacco cyber come fosse convenzionale. L’Italia, però, non è rimasta a guardare “e ha accelerato sulle sue difese cyber” istituendo l’Agenzia per la cyber-sicurezza nazionale, implementando il perimetro di sicurezza cyber e costituendo presso il Comando operativo di vertice interforze il Comando operazioni in rete, il centro militare per operazioni cyber.
Vantaggio tecnologico
Naturalmente, cruciale per tutte queste sfide sarà la dimensione tecnologica, e il mantenimento di un costante vantaggio competitivo in termini di innovazione rispetto ai potenziali avversari. Tuttavia, “le tecnologie sono figlie di intuizioni e processi industriali” ha sottolineato Ercolani, registrando come se per le dottrine militari vale il principio quasi darwiniano di adattamento all’ambiente per il quale vengono sviluppate, lo stesso può dirsi per le tecnologie: “In assenza di un ambiente operativo per il quale testare, non sappiamo se funzionano”. Prima dell’invasione del 24 febbraio, in Europa in qualche modo era mancata l’idea di un ambiente che provasse l’efficacia delle dottrine e delle tecnologie. “Dalla guerra dobbiamo apprendere delle lezioni per il futuro, come il fatto che abbiamo ‘riscoperto’ che le guerre senza munizioni non si fanno”. L’Ucraina ha dimostrato come Europa (e Italia) non siano pronte ad affrontare le sfide del futuro da questo punto di vista. “Gli Usa producono 200mila colpi l’anno, numeri simili in Europa; in un giorno di guerra in Ucraina si sparano 9mila colpi al giorno, due milioni l’anno”.
Autonomie strategiche
Come confermato anche da Ranzo “il rateo di consumo di missili nel conflitto ucraino, in alcuni momenti di picco, ha superato in un giorno la produzione di un anno”. Una condizione che dovrebbe mettere in allarme sia l’Europa, sia gli Usa, “che pure hanno una produzione dodici volte superiore” a quella del Vecchio continente. Sono valutazioni, ha sottolineato ancora l’ad di Avio, che vanno fatte “in tempi calmi”. Come per gli attacchi cyber, “se ci si pone il problema della cyber-sicurezza dopo che un attacco è avvenuto, è troppo tardi”. La sovranità tecnologica, allora, è un qualcosa su cui ragionare quando si è in pace, per identificare “le aree da presidiare assolutamente, sia in Europa, sia a livello nazionale in modo da garantirci un contributo che non sia gregario, ma di leadership”. La guerra in Ucraina, allora, deve essere uno stimolo per ragionare sui diversi settori nei quali l’autonomia è necessaria. Ne sono esempi l’energia, “ma anche sul prossimo conflitto, più pericoloso, sui semiconduttori”, una risorsa scarsa e importante “posta sotto il rischio di indisponibilità perché concentrata in Paesi essi stessi oggetto di tensioni e contrasti geopolitici”.
In Cina e Asia – Xi a Mosca: La Cina è dalla parte della pace”
Xi a Mosca: La Cina è dalla parte della pace"
La Russia risponde alla visita di Kishida in Ucraina
Gli Usa hanno condiviso intelligence con l'India durante gli scontri con la Cina
Hong Kong tra censura e arresti
Esercitazioni militari tra Cina e Cambogiano
L'articolo In Cina e Asia – Xi a Mosca: La Cina è dalla parte della pace” proviene da China Files.
COLOMBIA. Progressi e difficoltà della “Pace totale” del presidente Petro con le formazioni armate
dell’Agenzia DIRE
(Membri del Clan del Golfo colombiano in una foto dal sito infobae.com)
Pagine Esteri, 22 marzo 2023– Il Clan del Golfo, “l’organizzazione erede del paramilitarismo”, si sta dimostrando come previsto l’ostacolo più duro da affrontare per il governo del presidente Gustavo Petro nell’ambito della sua politica di ‘Pace totale’. Questo processo però “rappresenta una sfida enorme e necessaria e deve andare avanti”. L’analisi e l’auspicio sono del giornalista colombiano Eduardo Celis Mendez, ascoltato dall’Agenzia Dire dopo che il capo dello Stato ha reso nota la sospensione del cessate il fuoco bilaterale con il Clan del Golfo, uno dei tre gruppi militari con cui il governo aveva raggiunto una tregua a partire dallo scorso dicembre.
Petro ha comunicato la decisione al termine di un consiglio di sicurezza che si è svolto nel Bajo Cauca, sottoregione del dipartimento settentrionale di Antioquia, epicentro da oltre due settimane di una mobilitazione dei minatori denominata “Paro minero” che secondo il governo sarebbe finanziata e fomentata dal Clan. A determinare la rottura della tregua, primo passo della “Paz total” (la pace totale) al centro delle politiche del governo, un attacco “contro le forze di polizia” denunciato da Petro su Twitter. Stando a quanto riferito da media locali tra cui il quotidiano El colombiano, un attentato contro la forza pubblica si è verificato nel fine settimana lungo la strada che unisce Tarazà a Valdivia, località situate più di 100 chilometri a nord di Medellin, capoluogo di Antioquia e seconda città della Colombia. “Il Clan del Golfo è accusato dal governo di aver dirottato la mobilitazione dei minatori, che è reale”, spiega Mendez, consulente del think tank colombiano Fundacion Paz y Reconciliación, residente nella capitale Bogotà.
La milizia al centro dello scontro con il governo di Bogotà è stata fondata intorno al 2005 da ex dirigenti paramilitari e soprattutto dell’organizzazione armata nota come Autodefensas Unidas de Colombia (Auc), fra le protagoniste della fase più recente del conflitto che affligge la Colombia almeno dagli anni ’60. In una nota, il Clan ha respinto le accuse del governo, affermando di operare “con umilità, ma con dignità, in difesa degli interessi del popolo che ci ha appoggiato durante tutta la nostra esistenza”. L’organizzazione ha chiarito però di “continuare a essere interessata al processo di pace che porta avanti il governo, come dimostrato dalla recente nomina di una squadra di avvocati” per poter partecipare al processo che rientra nella definizione di Paz total.
“La mediazione con questo gruppo è molto complessa – premette però il giornalista interpellato dalla Dire – perché si tratta di una rete di organizzazioni criminali il cui obiettivo centrale è trovare risorse tramite il traffico di stupefacenti, le attività minerarie illegali e l’estorsione ai danni delle attività commerciali”. Esiste quindi “un interesse affinché anche il Clan del Golfo entri nel solco della giustizia e si è disposti a facilitarlo con alcune concessioni sul piano finanziario e penale”. Ma la situazione, ribadisce il consulente, “non è semplice”.
Diverso il discorso relativo agli altri due gruppi con cui si stanno portando avanti i negoziati della Paz Total, nella visione di Celis Mendez. “Con l’Ejército de Liberación Nacional (Eln) il processo è più strutturato. A questa organizzazione poi si riconoscono delle istanze di ribellione politica, è aperto un tavolo negoziale, e un calendario di incontri è stato già concordato”, riferisce il cronista.
Meno agevole, ma comunque in uno stato più avanzato di quello embrionale, il processo di avvicinamento con “quei gruppi delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc) che non hanno firmato gli accordi di pace del 2016 o che poi ne sono usciti, come l’Estado mayor central nel primo caso e la cosiddetta Segunda Marquetalia nel secondo”, prosegue il giornalista. “Ci sono una serie di problemi giuridico-legali ma soprattutto per quanto riguarda l’Estado Mayor central già sono state individuate delle figure che possano negoziare con il governo. Al momento queste persone sono in carcere ma una roadmap non è lontana dall’essere definita”. Pagine Esteri
L'articolo COLOMBIA. Progressi e difficoltà della “Pace totale” del presidente Petro con le formazioni armate proviene da Pagine Esteri.
Fr. #23 / Di feticci e simulacri
Frammenti è la rubrica che riassume e commenta le notizie più interessanti della settimana e propone citazioni di autori famosi e meme. Un modo per restare informati con Privacy Chronicles, ma in modo leggero.
L’angelo della sorveglianza
Pare che a Napoli sia stato avviato un progetto per aiutare le vittime di minacce e stalking che prende il nome di “Mobile Angel”. È uno smartwatch con integrato un sistema di SOS e geolocalizzazione collegato alla centrale operativa del comando provinciale dei carabinieri di Napoli.
Una donna, che pare abbia ricevuto ripetute minacce di morte da parte dell’ex-marito, è la prima a possedere lo smartwatch: «Ora posso uscire più serena e tranquilla dopo mesi e mesi trascorsi rintanata in casa. Grazie a questo orologio mi sento protetta. Vero, devo rinunciare alla mia privacy, ma è un prezzo che sono disposta a pagare1»
Purtroppo la sua serenità è malriposta. Se togliamo il potere rasserenante del feticcio tecnologico, non resta molto altro. In che modo uno smartwatch con geolocalizzazione e pulsante SOS potrebbe mai aiutare la povera donna in caso di aggressione da parte dell’ex-marito?
Non lasciarti tentare dai profeti della sorveglianza, iscriviti a Privacy Chronicles!
Il feticcio ha la stessa utilità di un santino di Padre Pio nella tasca dei pantaloni. Anzi, peggio: almeno il santino di Padre Pio non è uno strumento di sorveglianza e monitoraggio governativo.
Ma ancor più grave dell’irrazionalità, comprensibile, della povera donna, è la diffusione da parte delle istituzioni e dei mass media di un messaggio completamente fuorviante: “lo smartwatch contro i femminicidi”? Non scherziamo.
Perché convincere le persone a rinunciare alla loro privacy in cambio di un aberrante e infondato senso di sicurezza? Forse perché è molto più comodo avere una popolazione psicologicamente fragile, impaurita e sorvegliata che una popolazione di persone che rifiutano la sorveglianza e sanno difendere se stessi e il prossimo dalle aggressioni (di chiunque).
Volete fare il bene di queste donne? Insegnategli a sparare e date loro una licenza per portare armi da fuoco nella borsa.
Murabba, il nuovo ghetto hi-tech da 15 minuti
Pare che l’idea delle città da 15 minuti sia arrivata anche in Arabia Saudita. Da qualche tempo infatti gira voce che nelle capitale, Riyadh, vogliano costruire un nuovo e scintillante centro città che offra tutto ciò di cui hanno bisogno le persone a una comoda distanza di 15 minuti a piedi o in bici. Il tutto corredato da modernissimi e fichissimi mezzi pubblici.
Al centro del nuovo quartiere, che sarà di circa 19 km quadrati, un inquietante cubo 400x400 metri chiamato Mukaab. Un simulacro dell’ingegneria sociale che dovrebbe essere completato entro il 2030. Al suo interno centri commerciali, musei, e tante altre splendide distrazioni di massa.
Sarò sincero: sembra una trovata di marketing da parte di qualche fondo d’investimento con troppi soldi da riciclare. Non dubito però che una proposta del genere possa avere un certo appeal al giorno d’oggi. Chi non vorrebbe vivere in un quartiere iper tecnologico, super sorvegliato e pieno di sbrilluccicanti distrazioni utili a non pensare e spendere il più possibile?
Sempre sulle città da 15 minuti
Sempre sulle città da 15 minuti ho recentemente fatto un’intervista andata in onda la scorsa settimana su Lombardia TV. Per chi volesse vederla in differita è disponibile adesso anche online, basta cliccare qui.
Abbiamo parlato di diverse cose attinenti allo stato della sorveglianza di massa nel mondo e delle implicazioni per la nostra libertà. È un’oretta di discussione piacevole con Luigi Degan.
Meme del giorno
Citazione del giorno
“A man that flies from his fear may find that he has only taken a short cut to meet it.”
― J.R.R. Tolkien
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Effetto Panopticon e autosorveglianza
In un mondo in cui la sorveglianza di massa è sempre più pervasiva, sistematica e normale spesso dimentichiamo l’impatto psicologico che questo monitoraggio costante, sia online che offline, ha su tutti noi. Ancor più spesso, sottovalutiamo le conseguenze che questa ha nella…
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4 days ago · 7 likes · Matte Galt
Virgolettato preso da questo articolo di Open. Onestamente mi sembra una citazione inventata di sana pianta per far passare un certo messaggio, ma sicuramente mi sbaglio.
Ucraina: Xi Jinping va da Putin, ma Biden vieta la pace
Leggevo della notizia, semplicemente orrenda, di quel giovane napoletano che ha ucciso un suo coetaneo l’altro giorno perché quest’ultimo gli aveva sporcato una scarpa pulitissima bianca, forse comprata con i soldi di mammà! Un orrore insormontabile, specie se è visto in contemporanea alla volgarità, alla rozzezza, all’oscurantismo, alla cultura da postribolo, alla disgustosa espressione sempre […]
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Ucraina vs Russia: guerra e pace secondo ChatGPT
Qualche giorno fa, mi è venuta l’idea di verificare cosa aveva da dire il ChatGPT basato sull’intelligenza artificiale sulle questioni relative alla guerra in Ucraina. Devo dire che le sue risposte sono state una piacevole sorpresa dal punto di vista che mi sta a cuore: la pace. Ecco cosa ho chiesto e cosa mi ha risposto in un […]
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Holodomor: come la politica di collettivizzazione di Stalin ha ucciso milioni di ucraini
L’anno 1933 è passato alla storia come l’anno della scarsità in tutto il mondo e l’anno di Adolf Hitler. Per le strade delle città americane ed europee, molte persone hanno perso il lavoro a causa della Grande Depressione del 1929-1933. I cittadini attendevano in fila per ore per i beni di prima necessità: pane, farina, […]
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Calenda in Fondazione per parlare di separazione delle carriere: “Sono favorevole, è un principio di civiltà giuridica”
“La separazione delle carriere e ovviamente la separazione dei CSM rappresentano un principio di civiltà giuridica: chi indaga non può essere collega di chi ti giudica. È fondamentale per passare in questo paese da una cultura della magistratura contro l’imputato a un confronto per verificare la verità processuale e arrivare a una decisione giusta”, è quanto ha affermato Carlo Calenda nel corso del dibattito sostenuto nel pomeriggio con il presidente della Fondazione Luigi Einaudi Giuseppe Benedetto, che si è svolto a Roma presso la sede della Fondazione.
Un incontro che si inserisce nell’ambito di una serie di confronti che la Fondazione Luigi Einaudi ha avviato con tutti i leader delle forze politiche per affrontare il tema cruciale, relativo alla riforma della Giustizia, della separazione delle carriere dei magistrati.
Incalzato dal Segretario Generale Andrea Cangini, in merito alla proposta della FLE di eleggere una Assemblea di cento competenti, indicati dai partiti, per riformare la seconda parte della Costituzione, Calenda si è detto favorevole pur riscontrando però “un clima politico di conflitto permanente” che non agevola una soluzione. Il leader di Azione si è comunque detto disponibile ad aprire un dialogo, e a cercare punti di raccordo, con la maggioranza. Come, ad esempio, in merito al fisco, “è ragionevole – ha detto Calenda – che il Terzo Polo trovi una convergenza con la maggioranza sulla riforma fiscale in generale, e in particolare sullo Statuto contribuente, perché è praticamente la stessa riforma fatta da Draghi. L’unico problema è che c’è la flat tax, e se diventa la battaglia della flat tax, allora no. Ma credo che sulla riforma fiscale ci sia margine di lavoro”, ha concluso.
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Il mandato d’arresto per Putin segna una pietra miliare
Il mandato d’arresto del presidente russo Vladimir Putin per crimini di guerra segna una pietra miliare nella storia del diritto internazionale umanitario e una svolta nel conflitto in Ucraina. Qualunque disinformazione la Russia ei suoi alleati possano voler diffondere, qualunque confusione e dubbio gli oppositori politici della solidarietà con l’Ucraina possano tentare di schierare, le […]
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Andrea Russo
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