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La scarsa empatia di media, istituzioni e rappresentanze sociali nasce dalla loro tendenza a delegittimarsi reciprocamente


Sintesi dell’intervento del Segretario generale Andrea Cangini al convegno “Eisi, verso un indice nazionale di empatia nei processi decisionali e di informazione” che la Fondazione e Vera Comunicazione hanno tenuto oggi in Senato Dall’indagine curata da V

Sintesi dell’intervento del Segretario generale Andrea Cangini al convegno “Eisi, verso un indice nazionale di empatia nei processi decisionali e di informazione” che la Fondazione e Vera Comunicazione hanno tenuto oggi in Senato

Dall’indagine curata da Vera comunicazione e Fondazione Luigi Einaudi presentata oggi in Senato risulta che i capi azienda italiani considerano poco empatiche le Istituzioni, così come le rappresentanze sociali e i media. Per inquadrare il fenomeno è bene fare una premessa fondata su due casi di studio relativamente recenti. Eccoli.

Nel pieno della campagna elettorale per le presidenziali del 2004, gli psicologi Drew Westen, Stefan Haman e Clint Kilts selezionarono due gruppi di militanti politici, il primo composto da 15 democratici convinti, il secondo da altrettanti non meno convinti repubblicani. Collegarono, dunque, ciascuno di loro ad una macchina che attraverso la risonanza magnetica ne verificava le reazioni cerebrali e gli sottoposero una serie di affermazioni in video del candidato repubblicano (George W. Bush) e di quello democratico (John Kerry), molte delle quali denunciavano evidenti contraddizioni. Come sospettavano, la stragrande maggioranza dei militanti democratici percepì nitidamente le contraddizioni di Bush, mentre non avvertì affatto quelle di Kerry. E viceversa.

Ancora. Questa volta la ricerca è stata condotta dagli psicologi americani Nalini Ambady e Bob Rosental. Selezionato il solito campione rappresentativo di cittadini statunitensi, mostrarono loro dei video lunghi appena una trentina di secondi nei quali, uno dopo l’altro, si vedeva il volto di alcuni professori universitari ripresi mentre tenevano la loro lezione all’inizio del semestre. Impossibile, però, ascoltarne la voce o percepire il tenore dei loro argomenti: l’audio era stato disattivato. Alle “cavie” fu allora chiesto di stilare una classifica dei professori più affidabili, quelli ritenuti più <capaci> e più <sicuri di sé>. Ebbene, il loro parere (lo ricordiamo: frutto di pure sensazioni) nella quasi totalità dei casi coincise con il parere che gli studenti di quegli stessi professori formularono al termine dei corsi semestrali, dunque sulla base di un’esperienza concreta.

Questo per dire che i giudizi umani sono spesso frutto di preconcetti o dinamiche irrazionali e che la cosiddetta empatia può essere intesa anche come un dono di natura: o ce l’hai o non ce l’hai. Quel che vale per le singole persone vale anche per le categorie, a maggior ragione per i soggetti pubblici o istituzionali. Un esempio. Nei primi anni Novanta, sulla scia di Mani Pulite, l’indice di popolarità della magistratura era alle stelle. Oggi, sulla scia del caso Palamara, dalle stelle è precipitato alle stalle. Eppure il sistema giudiziario italiano è sempre lo stesso. Non è una giustificazione, è una constatazione.

I bassi indici di empatia che i manager italiani attribuiscono a istituzioni, rappresentanze sociali e media non stupiscono. Empatia vuol dire fiducia, e viviamo tempi in cui la sfiducia è massima. La sfiducia nel futuro, la sfiducia nella politica, la sfiducia in ogni genere di autorità. Fino ad oggi, l’errore dei soggetti testati è stato quello di pensare di cavarsela aggredendo il soggetto confinante. I giornalisti attaccano i politici e le rappresentanze sociali, i politici attaccano le rappresentanze sociali e i giornalisti, le rappresentanze sociali si attaccano tra loro e attaccano giornalisti e politici. Tutti si delegittimano, l’immagine di nessuno se ne avvantaggia.

Proposta rivoluzionaria: e se ciascuno svolgesse il proprio ruolo col massimo della dedizione e del senso del dovere possibili?

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Esecutivo


Non è un’esclusiva dell’attuale governo, ma questa è un’aggravante. Le tifoserie si soddisfano del dire: “anche quelli di prima”. Peccato che non solo aggrava il problema, ma fra quelli di prima ci sono anche quelli di adesso. Capita e capitò, dunque, di

Non è un’esclusiva dell’attuale governo, ma questa è un’aggravante. Le tifoserie si soddisfano del dire: “anche quelli di prima”. Peccato che non solo aggrava il problema, ma fra quelli di prima ci sono anche quelli di adesso. Capita e capitò, dunque, di sentire questo o quel ministro lamentare l’inefficienza della burocrazia, gli ostacoli alle realizzazioni, i tempi lunghi e non sempre concludenti della macchina pubblica. Colpisce il fatto che lo dicano non immaginando che tocchi a chi governa rimediare. E non si tratta soltanto di distrazione o demagogia, ma di una modifica profonda che l’istituzione governo ha subìto, quasi del tutto perdendo la funzione propria originaria.

In tutti gli Stati di diritto il potere del governo è denominato “esecutivo”. Vale a dire che ha il compito e il potere di eseguire quel che ritiene utile al Paese, sulla base delle leggi elaborate dal Parlamento, denominato “legislativo”. Il giudiziario è, o dovrebbe essere, estraneo alla politica. La Costituzione assegna al governo due possibili strumenti d’iniziativa legislativa: la presentazione al Parlamento di disegni di legge e l’emanazione di decreti legge, in entrambi i casi essendo necessaria la firma del Presidente della Repubblica. Firma che serve non a garantire la costituzionalità (altrimenti che ci starebbe a fare la Corte costituzionale?), ma che quell’iniziativa non scassi la Costituzione.

I disegni di legge non hanno avuto grande fortuna e, difatti, se ne presentano pochi. Sono sottoposti al normale iter parlamentare e quelli che incorporano una delega al governo stesso, affinché emani i decreti attuativi, hanno anche la maledizione d’essere disattesi e disertati dai governi stessi che li vollero. Furoreggiano, invece, i decreti legge. Avevano l’originaria funzione – nei rari casi di “necessità e urgenza” – di intervenire al volo e mettere una pezza dove si è creata un’emergenza o è esplosa una contraddizione legislativa. Hanno assunto la ben diversa funzione di principale strumento di governo, capace di occupare la gran parte dei lavori parlamentari. Ciò perché entrano in vigore subito e devono essere convertiti entro sessanta giorni.

Morale poco morale: il governo ha smesso d’essere un potere esecutivo ed è divenuto una fonte legislativa, sicché qualsiasi problema si tende ad affrontarlo con gli strumenti della legislazione e non dell’amministrazione, con il fare leggi anziché amministrare. Ecco perché il Pnrr s’inceppa, come prima s’inceppava altro: perché il governo dispone di pochi gestori (manager), di pochi esecutori e di un esercito di amministrativisti e consiglieri giuridici, mentre gran parte dei ministri non ci si raccapezza, non conosce la macchina dell’amministrazione e ciascuno pensa d’impadronirsene cambiando la legge. Risultato: non si capisce più neanche la legge, divenuta una storia infinita che ricomincia da dove termina.

C’è una colpa della politica – coadiuvata da tanto giornalismo – che seleziona protagonisti senza appigli a numeri o fatti, elaboratori immaginifici di parole bastevoli a sé stesse. Ma c’è anche una colpa dell’Italia produttiva, con tanti esecutori eccellenti, che snobba la vita politica e si presta solo a qualche rara lezione, tenuta in aule prive di alunni interessati.

La Ragione

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Aiuti militari per contenere la Cina. Così Tokyo cambia strategia


L’annuncio di aiuti militari rompe ufficialmente decenni di pacifismo sancito dalla Costituzione giapponese. Una mossa obbligata per contenere l’aggressività di Pechino, mentre Tokyo si ritaglia un ruolo peculiare nell’area, pur rimanendo alleato degli Stati Uniti

@Politica interna, europea e internazionale

Mercoledì il Giappone ha annunciato che modificherà la propria legislazione per poter fornire assistenza finanziaria a Paesi terzi allo scopo di potenziarne le difese militari. Questa è la prima dipartita inequivocabile dalle regole interne che vietavano l’uso di aiuti internazionali per scopi militari. Tokyo si trova a dover fronteggiare una Cina sempre più potente e aggressiva.

L'articolo di Matteo Turato su Formiche

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di Eleonora Martini - Diritti Il Rapporto e le richieste del Garante dei detenuti Mauro Palma Alfredo Cospito ma non solo. Sottoposte al regime di detenzione


NIGERIA. Uomini armati uccidono 12 persone in quattro attacchi


Gli attacchi sono avvenuti in diverse aree del paese africano dove violenze etniche e religiose sono all'ordine del giorno L'articolo NIGERIA. Uomini armati uccidono 12 persone in quattro attacchi proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/

Pagine Esteri, 5 aprile 2023 – Almeno 12 persone sono state uccise e molte altre ferite o rapite in una serie di attacchi nel nord-est e nel centro della Nigeria. Nello stato di Adamawa uomini armati hanno fatto irruzione nel villaggio di Dabna, nel distretto di Hong, uccidendo tre persone.

Lunedì altri armati avevano attaccato località nello stato centrale di Kogi. Un politico locale è stato ucciso e altre persone sono state ferite.

Domenica miliziani erano entrati in una chiesa nel villaggio di Akenawe-Tswarev, nello stato centro-orientale di Benue, uccidendo un fedele e rapendone altri tre.

Sabato, nello stato del Niger centro-occidentale, uomini armati hanno attaccato diversi villaggi nei distretti di Mashegu e Munya, uccidendo almeno sette persone e rapendo altre 26.Pagine Esteri

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Squilibrati


Ci si è resi conto che la strada dello scaricabarile conduce alla perdizione. Provare a dare la colpa ad altri può eccitare qualche forsennato digitale che non ha capito la più ovvia delle cose: quando si è al governo non serve essere “contro”, si deve di

Ci si è resi conto che la strada dello scaricabarile conduce alla perdizione. Provare a dare la colpa ad altri può eccitare qualche forsennato digitale che non ha capito la più ovvia delle cose: quando si è al governo non serve essere “contro”, si deve dimostrare di saper realizzare qualche cosa, altrimenti continuerà ad andare come va dal 1994: lo scorso vincitore sarà il prossimo perdente, fino a consunzione. Se le riforme e gli investimenti legati a Next generation Eu si rivelassero un fallimento il governo di destra ne sarebbe seppellito. Ma siccome sarebbe anche una tragedia per l’Italia, sbaglia chiunque, opposizioni comprese, punti su quel fallimento per sbarazzarsi dei vincitori delle scorse elezioni. Ergo: fermare le corride a chiacchiere e mettere la testa sui problemi. Perché il governo è a un bivio e quelli non sono solo affari loro, ma di tutti.

Da una parte, preoccupati di riuscire ad utilizzare una grande quantità di soldi, si potrebbe essere tentati di accedere alla tesi che già molti amministratori locali, di diverso colore politico, sostengono: dirigiamoli dove si sa spenderli, i progetti sono già pronti e le stazioni appaltanti funzionanti. Tesi non priva di fondamento, ma che comporta la rinuncia a superare gli squilibri infrastrutturali e territoriali, che anzi sarebbero accresciuti. Dall’altra parte non si può non vedere che se si tiene a mente la missione del riequilibrio si deve fare i conti con un sistema amministrativo meridionale disfunzionale, limaccioso e clientelare. E noi terroni non ne usciremo mai, se non cominceremo almeno a dircelo. Quindi si dovrebbe centralizzare la gestione dei fondi, magari creando un organismo specificamente dedicato e chiamandoci non un esercito di amministrativisti, ma un plotone di realizzatori, presenti in tante imprese di successo (come anche in giganti pubblici).

Non è una scelta facile ed è tutta politica, ma è da squilibrati pensare di tenersi gli squilibri e neanche investire i soldi, solo perché al bivio non si sa quale strada imboccare.

Un esempio: la scuola. Al Vinitaly, prezioso appuntamento di un settore d’eccellenza, cresciuto con investimenti e cultura, s’è detto che piuttosto che poltrire meglio mandare i giovani a zappare. Ma basta guardare una vigna e visitare una cantina per sapere che quello non è lavoro bracciantile, ma altamente specializzato. Serve conoscenza. Il che vale per quasi tutto, nell’era digitale. La scuola funziona da ascensore sociale se meritocratica e selettiva, altrimenti funge da morfina sociale. Per averla efficiente servono insegnanti selezionati e continua valutazione dei risultati. Questa non è una cosa da regione o provincia, ma da Stato nazionale che anche questa missione ha fallito. Ed è l’esempio perfetto di coincidenza fra riforma, innovazione digitale, modifica contrattuale, interazione con la produzione e investimento strutturale. L’alternativa non è tirare a campare, ma destinarsi a capitolare perdendo quello che fu un vantaggio nazionale.

La scuola è stata gestita, a turno, da destra e sinistra. Se qualcuno vuol sostenere di avere avuto dei successi si accomodi pure al concorso faccia tosta. Hanno fallito perché sono rimasti dentro uno schema già morto. Il Pnrr è un’occasione per forzare l’uscita e riprendere a correre, perché unisce gli scopi e li dota di risorse finanziarie. Se dovessimo fallire questo appuntamento non è che sarà un male per la destra o per la sinistra e un vantaggio per questo o quello, ma uno svergognamento generale, capace solo di giustificare una classe dirigente che non conosce la storia, non sa far di conto ed è convinta il congiuntivo sia un’infezione che prende agli occhi. Una classe dirigente che per avere consensi cerca i propri simili in ignoranza, giornalisti compresi, e invoca gli avversari, unica ragione della loro identità.

L’occasione per uscirne c’è. La responsabilità di un eventuale fallimento non sarà divisa equamente, ma esploderà violentemente su tutti. Meglio evitarlo.

La Ragione

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REPORTAGE. Il sacrificio di Gerusalemme


Sotto l'ala protettiva del ministro Ben Gvir, per la Pasqua ebraica il gruppo messianico Ritorno al Tempio promette di sacrificare un agnello sulla Spianata delle moschee di Al Aqsa e della Roccia. Una miccia pronta ad esplodere L'articolo REPORTAGE. Il

di Michele Giorgio

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Rafael Morris

Pagine Esteri, 5 aprile 2023 – Nel paese che ha fatto del successo delle startup e dell’hi tech il suo biglietto da visita, Rafael Morris rappresenta un altro mondo, antico, opposto alla modernità, quello degli israeliani ebrei che hanno abbracciato le profezie messianiche. Il suo ardente desiderio di accelerare la ricostruzione, dopo oltre 1900 anni, del Tempio ebraico sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme dimostra quanto i miti del passato siano radicati nelle aspettative del futuro ponendo le basi per nuove guerre e violenze. Morris, leader del gruppo Ritorno al Tempio, lunedì è stato fermato dalla polizia e interrogato. Gli succede ogni anno. Dopo qualche ora, lo hanno rimandato a casa tra gli applausi dei suoi compagni dopo aver promesso che oggi si terrà lontano dalla Spianata. La rispetterà? Ormai da alcuni anni, in occasione della Pasqua ebraica (Pessah), Morris annuncia il proposito di compiere sacrifici di agnelli sulla Spianata – l’Haram Sharif (Nobile Santuario), terzo luogo santo dell’Islam – ritenuta dalla tradizione religiosa ebraica l’area del monte dove sorgevano il Tempio di Erode e il Tempio di Salomone. Il sacrificio, simile a quello praticato nell’antichità, secondo Morris accelererà l’avvento del Messia e la ricostruzione del Tempio.

In passato andava a tirar fuori Morris dalle stazioni di polizia il suprematista Itamar Ben Gvir, oggi ministro della Sicurezza nazionale del governo Netanyahu ma che fino a qualche mese fa era l’avvocato di coloni ed estremisti di destra. Ben Gvir ora non ha una piena libertà di movimento. Se in cuor suo vorrebbe dar sfogo ai suoi sentimenti messianici, da ministro non può non tenere conto della posizione della Giordania, custode delle moschee della Roccia e di Al Aqsa, che potrebbe interrompere le relazioni con Israele di fronte a violazioni dello status della Spianata concordato con Tel Aviv. A gennaio la «passeggiata» di Ben Gvir su Haram Sharif provocò reazioni in tutto il mondo islamico e anche in Occidente.

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Morris comunque non si arrende. Sostenuto dalle sue schiere sempre più folte, forte dell’appoggio silenzioso di non pochi deputati alla Knesset e incitato a continuare dalla moglie Aviya –, una ultranazionalista che nel 2015 scatenò un putiferio urlando «Maometto è un porco» ai palestinesi musulmani diretti alla moschea di Al Aqsa -, anche quest’anno Morris ha fatto distribuire dal suo movimento volantini nella Città Vecchia invitando gli attivisti a portare un agnello sul Monte del Tempio promettendo 2.500 shekel (700 dollari) per chiunque sarà arrestato dalla polizia e 20.000 shekel (circa 8.300 dollari) per chi riuscirà a compiere il sacrificio. Non solo, ha anche offerto una ricompensa in denaro a chiunque nel quartiere musulmano sarà disposto a prendersi cura di un agnello fino a quando non potrà essere sacrificato. Oggi e i prossimi giorni diranno se Rafael Morris e i suoi seguaci riusciranno a realizzare i loro propositi, magari approfittando della silenziosa compiacenza del ministro Ben Gvir. L’eventuale realizzazione del sacrificio in pieno mese di Ramadan provocherebbe un’ondata di violenze. Nel 1990 l’annuncio dell’«avvio della ricostruzione del Tempio» provocò scontri che si conclusero con l’uccisione di 20 palestinesi da parte della polizia. La tensione in questi giorni è già alta per i «tour» che, con la scorta della polizia, compiono sulla Spianata gruppi di estremisti religiosi descritti ufficialmente come «fedeli ebrei».6379790

Si commette un grave errore considerando i propositi di Morris delle semplici «bizzarrie» di fanatici fuori dal tempo. La ricostruzione del Tempio è un progetto da attuare per una porzione non marginale di israeliani credenti e nazionalisti anche se da un punto di vista teologico era e resta vietata agli ebrei. La svolta è giunta con l’occupazione israeliana di Gerusalemme e del resto dei Territori palestinesi nel 1967. Per quelli inclini a sentirlo, la sopraggiunta sovranità ebraica su tutta Eretz Israele è un disegno divino per la realizzazione della redenzione. La spartizione della Spianata delle moschee è perciò invocata da coloro che pianificano di realizzare a Gerusalemme la «soluzione» di Hebron dove le autorità militari israeliane, dopo la strage di 29 palestinesi nel 1994, divisero in due la Tomba dei Patriarchi assegnandone una metà ai coloni ebrei insediati nella città.

Il fervore messianico coinvolge un numero crescente di fanatici, a partire dai cristiani sionisti di ogni parte del mondo divenuti tra i più accaniti sostenitori della ricostruzione del Tempio. Il regno di Dio è vicino, credono queste persone, spesso ex hippy diventati all’improvviso credenti. E la chiave per la salvezza è il Monte del Tempio di Gerusalemme. Guardano al sito anche i fondamentalisti americani che da un lato forniscono un sostegno incessante a Israele e dall’altro attendono con impazienza un’apocalisse in cui si aspettano che gli ebrei muoiano o si convertano al cristianesimo. Gli esperti di storia delle religioni avevano pronosticato che la febbre da Armageddon dell’anno Duemila si sarebbe smorzata una volta superata la soglia del nuovo millennio. Non è stato così. E tutto si complica quando i politici cercano di incanalare queste insane passioni religiose per i propri scopi.

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Anni fa un’ondata di fervore messianico ha investito i religiosi nazionalisti in Israele dopo che avevano appreso che in un’azienda agricola era nata una giovenca rossa, senza peli bianchi o neri nel mantello, quindi perfetta per il sacrificio necessario per ricostruzione del Tempio. Secondo la Bibbia, le ceneri di una giovenca rossa erano utilizzate migliaia di anni fa dai sacerdoti di Gerusalemme per purificare il popolo ebraico. Dopo averne ispezionato il colore del pelo, rosso intenso dal naso umido fin quasi alla punta della coda, due rabbini Menachem Makover e Haim Richman, stabilirono che la giovenca era quella giusta. Il quotidiano Haaretz invece vide giustamente nella giovenca rossa una «bomba a quattro zampe» potenzialmente in grado di infiammare tutta la regione. Poi, crescendo, sul mantello della giovenca spuntarono dei peli bianchi e la «bomba» fu disinnescata.

L’attesa dei religiosi più nazionalisti come Rafael Morris però resta intatta assieme ai programmi di partiti e uomini politici della destra estrema. «Siamo di fronte a gruppi di piccole dimensioni ma che con le loro azioni, specie se compiute in determinati periodi dell’anno, come la Pessah e il Ramadan, posso provocare un disastro gigantesco e gettare il Medio oriente in una nuova guerra», avverte l’analista ed esperto di nazionalismo religioso Michael Warshansky. Pagine Esteri

Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto

ilmanifesto.it/il-sacrificio-d…

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New Kind of Kicks-Marzo 2023


#MastoRadio #fediradio @Musica Agorà

Cerco nei meandri più reconditi la via di fuga dalla normalità, cerco persone non allineate, cerco pensieri fuori dalla scatola e, per fortuna, ogni mese ne trovo.
Con : 3D and the Holograms, Dell’Anima Nella Serpe, Dyatlov, Gravitsapa, Heavy Mother, Itchy & the Nits, Red Mass, Hood Rats, Zoids, Josnali, Bzdet, Legume Sex, Losers Parade, Nightman, Nosferatu, Parking Lot, Poster Fantasi, Receptacles, Sarin Reaper, Teo Wise, Timber Rattle, Uma Vox, Yamamara, Wasted Pido, Zipper

iyezine.com/new-kind-of-kicks-…

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Fr.#25 / Di guardie e ladri digitali


Nel frammento di oggi: Il Garante Privacy blocca OpenAI / La Germania se la prende con Twitter / Niente da nascondere? L’inc… è dietro l’angolo / Meme e citazione del giorno.

Il Garante Privacy blocca OpenAI, un commento


Lo saprete tutti: da qualche giorno chatGPT non è più disponibile per l’Italia. Il servizio è stato sospeso dopo un provvedimento del Garante Privacy contro OpenAI, la società dietro al sistema d’intelligenza artificiale.

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I motivi della sospensione possono essere sintetizzati nelle seguenti violazioni della normativa privacy europea:

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  • Mancanza di una informativa agli utenti e a tutti gli interessati i cui dati vengono raccolti da OpenAI
  • Assenza di una base giuridica per la raccolta e conservazione di dati personali usati per “addestrare” gli algoritmi
  • Assenza di un filtro per la verifica dell’età degli utenti

Il Garante ha quindi disposto la limitazione immediata del trattamento dei dati di tutti gli utenti situati nel territorio italiano. OpenAI avrà 20 giorni di tempo per comunicare al Garante le misure intraprese per risolvere le violazioni, in attesa dello svolgimento dell’istruttoria aperta.

Guido Scorza, membro del Collegio, commenta così il provvedimento di sospensione1:

Davvero si tratta di scegliere se imboccare la strada dell’innovazione o quella del rispetto dei diritti, delle libertà e della dignità delle persone ed è impossibile pensare di orientare l’innovazione in una direzione più rispettosa delle persone?


Il problema è che la risposta di OpenAI è stata molto semplice: bloccare l’accesso al servizio a 60 milioni di italiani e continuare come se niente fosse. Era la soluzione più efficiente, veloce e scontata. Tutti sapevano che sarebbe andata così.

Ma a parte la risposta di OpenAI, c’è da dire che questo è un provvedimento strano, che non capisco. È strano il suo tempismo, perché è stato qualificato come provvidimento “in via d’urgenza” ancor prima di concludere un’istruttoria. Era davvero urgente sospendere un servizio del genere per mancanza dell’informativa privacy e delle verifiche sull’età degli utenti? Perché poi ricorrere a una misura così forte? La sospensione totale del trattamento non è mai stata richiesta neanche a Google, Meta o TikTok in casi analoghi o ben più gravi. Perché per OpenAI è diverso?

Bloccare l’accesso a 60 milioni di persone crea più danni di quanti ne risolva. Anche a livello sistemico. Sembra infatti che anche altri paesi europei si stiano interessando all’esempio dell’Italia e potrebbero arrivare a bloccare OpenAI. Chi mai vorrebbe investire in UE su tecnologie controverse come l’intelligenza artificiale, sapendo che i loro servizi potrebbero essere bloccati da un momento all’altro? Il rischio imprenditoriale è troppo alto.

Noi italiani / europei potremmo davvero rimanere senza accesso per molto tempo. Con la velocità delle sperimentazioni in questo campo, perdere anche solo qualche mese significa rimanere indietro rispetto al resto del mondo. Perdere accesso del tutto sarebbe un cataclisma.

A che punto l’applicazione della legge smette di essere a tutela delle persone e diventa harakiri?

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I tedeschi se la prendono con Twitter


Pare che la Germania ora ce l’abbia con Twitter. Dopo aver perseguito Telegram adesso hanno deciso che è Twitter a non seguire le regole.

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L’Internet non è un luogo senza regole, dicono. Vero, dico io, ma non è detto che le regole debbano essere quelle imposte da loro con la forza. Il Ministro della Giustizia tedesco Marco Buschmann del partito FDP (liberali) avrà sicuramente una sua personalissima idea di regole e giustizia, che grazie alla sua posizione di potere vuole imporre a qualcun altro.

Twitter oggi non piace ai liberali perché è espressione delle idee di Elon Musk, come giusto che sia. Ai liberali non piacciono le idee altrui, specie quando sono apprezzate secondo meccanismi di libero mercato e non imposte con la forza. E non è neanche la prima volta che Musk viene velatamente minacciato da qualcuno dell’Unione Europea.

Magari fra qualche mese ci servirà una VPN per connetterci anche a Twitter, oltre che chatGPT.

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Se non hai niente da nascondere, l’inc… è dietro l’angolo


E se in Europa abbiamo Autorità e legislatori che pretendono il rispetto delle regole, in Egitto abbiamo invece un esempio di come le autorità siano sempre al di fuori di ogni regola di decenza.

La notizia del giorno è che la polizia egiziana sta usando profili fake o profili reali sequestrati a utenti di Grindr per individuare e arrestare gay e altre persone LGBT.

Da qualche giorno infatti il fornitore dell’applicazione ha diffuso un avvertimento2 che non lascia molto alla fantasia:

“We have been alerted that Egyptian police is actively making arrests of gay, bi, and trans people on digital platforms. They are using fake accounts and have also taken over accounts from real community members who have already been arrested and had their phones taken. Please take extra caution online and offline, including with accounts that may have seemed legitimate in the past.”


Quale esempio migliore per ricordare a tutti che privacy e anonimato non sono solo dei vezzi, ma una protezione contro l’abuso dei più forti? Queste persone certamente non avranno nulla da nascondere, ma forse dovrebbero iniziare a farlo e preferire app in grado di tutelare i loro interessi, piuttosto che questi aggregatori che diventano facilmente degli honeypot per le autorità.

Meme del giorno


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Citazione del giorno

“Government” itself does no harm, because it is a fictional entity. But the belief in “government” – the notion that some people actually have the moral right to rule over others – has caused immeasurable pain and suffering, injustice and oppression, enslavement and death.”
Larken Rose

Articolo consigliato


Immagine/fotoPrivacy Chronicles

Collettivismo vs Privacy

Questa settimana ho letto un interessante articolo tradotto da Bitcoin in Italiano che parla di Bitcoin vs Collettivismo e mi sono detto: cavolo, questa è anche roba da Privacy Chronicles. Possibile che in questi due anni io non abbia mai dedicato un articolo specifico al tema…
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4 days ago · 8 likes · Matte Galt

Leggi gli altri Frammenti!

1

https://startupitalia.eu/195521-20230401-ecco-perche-abbiamo-deciso-di-silenziare-chatgpt

2

abcnews.go.com/International/w…



In Cina e Asia – Manca il nome di Xi: ritirate milioni di copie del Quotidiano del Popolo


In Cina e Asia – Manca il nome di Xi: ritirate milioni di copie del Quotidiano del Popolo xi
I titoli di oggi: Manca il nome di Xi: ritirate milioni di copie del Quotidiano del Popolo Pentagono: si intensificano i movimenti di sottomarini cinesi con armi nucleari nel mar Cinese meridionale CATL nel mirino sia di Pechino che di Washington Cina, cambiano i nomi di 11 località tibetane Cina, aumentate le quote dei poliziotti di ronda Un servizio che ...

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VIDEO. GERUSALEMME, cariche della polizia israeliana sulla Spianata delle moschee


Una dozzina di palestinesi sono rimasti feriti e altre decine contusi e intossicati dai lacrimogeni. Proteste dell'Anp, Egitto, Giordania e Arabia saudita. Israele bombarda Gaza dopo lancio razzi L'articolo VIDEO. GERUSALEMME, cariche della polizia israe

della redazione

Pagine Esteri, 5 aprile 2023 – Notte di violenze a Gerusalemme con una dozzina di palestinesi rimasti feriti e altre decine contusi e intossicati dai gas lacrimogeni, durante le cariche della polizia israeliana sulla Spianata della moschea di Al Aqsa. Numerosi gli arrestati. I primi incidenti sono avvenuti ieri in tarda serata, dopo il ferimento di un 15enne nel quartiere palestinese di Silwan. Decine di giovani si sono barricati nelle moschee. Quindi sono intervenute ingenti forze di sicurezza per sgomberarli. Non è noto se la prova di forza sia stata ordinata dal ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir, leader del partito di estrema destra Otzmah Yehudit e sostenitore dell’uso del pugno di ferro con i palestinesi. Ben Gvir peraltro reclama l’imposizione della piena sovranità israeliana sulla Spianata che è considerata dall’Ebraismo il biblico Monte del Tempio.

Il video che vi proponiamo mostra agenti di polizia che lanciano granate stordenti, colpiscono con i manganelli varie persone e le portano via tra urla di donne. I palestinesi denunciano che i poliziotti sono entrati in sale di preghiera dove centinaia di uomini, donne, anziani e bambini stavano pernottando. Devastata anche l’infermeria della moschea di Al Aqsa.

Queste scene hanno suscitato le proteste dell’Autorità nazionale palestinese, dell’Egitto, dell’Arabia saudita e della Giordania, custode della Spianata di Al Aqsa. In varie località della Cisgiordania si sono svolte manifestazioni di protesta. Poi da Gaza sono stati lanciati 9 razzi e proiettili di mortaio verso il sud di Israele che ha reagito colpendo con la sua aviazione il territorio palestinese.

La tensione in queste ore resta alta. Il movimento islamico Hamas – che ieri aveva chiamato ad impedire un progetto di estremisti religiosi israeliani (il gruppo Ritorno al tempio) di sacrificare agnelli sulla Spianata delle moschee – ha avvertito che non esiterà, come fece nel maggio del 2021, a usare i suoi razzi se il luogo santo di Gerusalemme sarà di nuovo violato dalle forze israeliane. Non si esclude che l’accaduto possa rappresentare il primo atto di una escalation prevista da molti in questo periodo in cui coincidono il Ramadan, la Pasqua ebraica e la Pasqua cristiana.

GUARDA IL VIDEO

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Meno emotività e più realismo. Alegi legge l’intervista al gen. Milley


La retorica di una prossima guerra tra Stati Uniti e Cina è “sopravvalutata”. E c’è da fidarsi se a dirlo è il capo di Stato maggiore congiunto delle Forze armate Usa, il generale Mark Milley, nel corso di una intervista con Defense One. In particolare, i

La retorica di una prossima guerra tra Stati Uniti e Cina è “sopravvalutata”. E c’è da fidarsi se a dirlo è il capo di Stato maggiore congiunto delle Forze armate Usa, il generale Mark Milley, nel corso di una intervista con Defense One. In particolare, il generale ha messo in guardia dalla retorica pericolosa che le due superpotenze sarebbero “sull’orlo di un conflitto” a seguito di una imminente invasione cinese di Taiwan. Per il generale, infatti, occupare l’isola sarebbe un’operazione “estremamente difficile” per le forze militari di Pechino. Naturalmente, la situazione è lontana dalla stabilità, e Washington deve continuare a supportare Taipei con tutte le capacità militari di cui l’isola ha bisogno. “Penso però – ha detto Milley – che gli Usa debbano affrontare la questione con più realismo e meno emotività”, portando le Forze armate a dominare in tutti i settori per dissuadere Pechino “fin dall’inizio”.

Il pericolo della retorica

L’ottica del generale è in particolare orientata all’onda di panico che ha coinvolto in particolare i legislatori Usa a seguito della crisi rappresentata dall’apparire sui cieli statunitensi dei palloni aerostatici cinesi. Nelle ultime settimane i membri del Congresso hanno infatti rivolto al generale Milley e al segretario alla Difesa, Lloyd Austin, una lunga lista di preoccupazioni nei confronti di Pechino, dai chip all’arsenale nucleare. Nervosismi che hanno trovato il concorde sforzo dei due vertici, politico e militare, dello strumento difensivo a stelle e strisce per abbassare la tensione e ribadire che la guerra con Cina (e Russia) non né imminente, né inevitabile. “Penso che ci sia molta retorica che potrebbe creare la percezione che la guerra sia proprio dietro l’angolo” ha detto Milley, registrando che sebbene la possibilità di un incidente che porti all’escalation sia sempre possibile, “la retorica stessa potrebbe contribuire a surriscaldare l’ambiente”.

La lettura di Alegi

Per Gregory Alegi, storico e professore di storia americana e di studi strategici interpellato da Airpress, “la preoccupazione degli Usa nei confronti della Cina come competitore strategico ha ormai più di vent’anni. Numerose azioni stanno a testimoniarlo, dal Pivot to Asia di Obama agli accordi Aukus per i sommergibili, in chiara chiave di contenimento della sfida cinese nel Pacifico. Nulla di questo viene negato dal gen. Milley nella sua intervista”. Per Alegi, allora, la preoccupazione del generale sembra essere piuttosto quella “di una sfida autoalimentante nella quale le reciproche preoccupazioni dei due soggetti alimentano una corsa agli armamenti e un clima di tensione maggiore di quello naturale”. In questo senso, l’avvertimento “più che militare sembra essere di tipo politico, rivolto quindi a chi usa una retorica più incendiaria del necessario”.

La sfida su Taiwan

Per lo storico, allora, l’intervista al generale Milley deve essere letta su due livelli diversi. Il primo, esplicito, “è relativo alle capacità difensive di Taiwan. Il secondo, implicito, è la capacità degli Stati Uniti di proteggere l’isola e dissuadere la Cina dall’intervento armato”. A queste due posizioni corrispondono la necessità di riequipaggiare velocemente Taipei, “il cui margine qualitativo rispetto a Pechino va erodendosi, basti pensare alla rapidissima accelerazione cinese nello spazio, con tutto ciò che comporta per le comunicazioni e le osservazioni militari, o ai caccia di quarta e quinta generazione”. Da questo punto di vista, per Alegi, Taiwan non è riuscita a tenere il passo “con i cugini continentali, anche perché in passato le amministrazioni a stelle e strisce hanno tentato di non provocare la Cina”. Oggi questo si traduce in una relativa arretratezza o complessiva parità tra i due Paesi. “Questo senza trascurare i rapporti puramente numerici, come abbiamo visto in Ucraina anche una forza relativamente meno avanzata può ottenere successi parziali semplicemente tentando di saturare i sistemi avversari”.

La corsa tra aquila e dragone

“L’altro aspetto, quello americano, riguarda invece la quantità” ha continuato Alegi. “Non c’è dubbio che i sistemi Usa siano largamente superiori a quelli cinesi”, ma i numeri relativamente modesti, ulteriormente ridotti dagli invii di materiali in Ucraina, “rendono più che lecita la domanda sulla capacità Usa di affrontare due guerre di grandi dimensioni ancorché non necessariamente avanzate”. Per lo storico, i dati sul consumo di proiettili di artiglieria o missili Stinger “sono probabilmente solo la punta dell’iceberg dei problemi di forze armate che per quindici anni hanno combattuto contro avversari qualitativamente e numericamente inferiori”. Da questo punto di vista “gettare acqua sul fuoco in pubblico – come sta facendo Milley – può servire a prendere tempo per ripensare e ribilanciare lo strumento militare statunitense, nonché per rinforzare gli alleati chiave in quello scacchiere come Giappone e Corea del Sud”.

Lo sguardo di lungo periodo di Milley

“Più che negare la competizione con la Cina, mi sembra che Milley suggerisca di non allarmare i cinesi per non innescare una spirale competitiva alla quale gli USA al momento non sono pronti”, ha concluso Alegi, aggiungendo come “questo fatto, frutto di almeno trent’anni di decisioni e amministrazioni precedenti, non muterebbe neppure con un cambio di inquilino alla Casa bianca”, perché “costruire fabbriche, approvvigionare materiali strategici, ridisegnare le catene di fornitura e altri aspetti sono processi che richiedono molti anni, scavallando inevitabilmente il quadriennio di questo o quel presidente”.


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L’Europa alla corte di Xi: un po’ di Ucraina, tanto business


L’Europa alla corte di Xi: un po’ di Ucraina, tanto business Europa
Domani l'incontro a Pechino con Macron e von der Leyen. In contemporanea negli Stati uniti arriva la presidente di Taiwan: la Cina promette reazioni

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L'appello per le dimissioni di La Russa che abbiamo lanciato sabato pomeriggio ha già superato le 52.000 adesioni. Siamo certi che è solo l'inizio. Le grav


Il Ministro Giuseppe Valditara e il Presidente della Fondazione Fratelli Tutti, Cardinale Mauro Gambetti, hanno firmato oggi il Protocollo d’intesa “Sensibilizzare i giovani nei confronti delle tematiche legate alla pace, al dialogo, alla salvaguardi…


Banane, una potente arma geopolitica


Le banane sono uno dei prodotti alimentari più popolari al mondo che oggi si possono trovare in ogni supermercato. Molti consumatori li consumano come alimento gustoso e perché hanno numerosi benefici per la salute. Le banane erano spesso considerate un simbolo di una bella vita (un certo lusso) e nel corso del XX secolo numerosi […]

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Istruzione, un diritto umano fondamentale per le donne afghane


L’istruzione è ampiamente riconosciuta come un diritto umano fondamentale, essenziale affinché gli individui conducano una vita appagante e piena di potere. Purtroppo in alcune regioni del globo, soprattutto per le donne, l’accesso all’istruzione non è garantito. Il recente ritorno al potere dei talebani in Afghanistan ha esacerbato gli ostacoli di lunga data che le donne […]

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Armenia – Azerbaigian: i vantaggi della riconciliazione


L’esercito azero la scorsa settimana ha adottato misure per controllare nuove alture al confine con l’Armenia lungo una strada di recente costruzione. Ciò era in linea con i termini dell’accordo tripartito di cessate il fuoco del 9 novembre 2020. Questo accordo stabiliva che doveva essere costruita una nuova strada per collegare l’Armenia al Nagorno-Karabakh, evitando […]

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Arabia Saudita e Iran si riavvicinano? Niente di nuovo


Nel febbraio 2008, il defunto re saudita Abdullah ha lanciato un forte avvertimento indicando che Riyadh avrebbe sospeso le sue relazioni con Teheran. Un cablogramma trapelato dall’ambasciata degli Stati Uniti ha affermato che Abdullah ha anche esortato una delegazione statunitense a porre fine al programma nucleare iraniano. Il cablogramma citava le parole del re: “Taglia […]

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Budget difesa e vincoli di bilancio. Crosetto e la strada (in salita) verso il 2%


L’impegno italiano per raggiungere il traguardo del 2% del Pil da dedicare alla Difesa è stato confermato da tutti i governi, e quello attuale non fa eccezione. Sul tema è intervenuto infatti il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ad Agorà su Rai3

L’impegno italiano per raggiungere il traguardo del 2% del Pil da dedicare alla Difesa è stato confermato da tutti i governi, e quello attuale non fa eccezione. Sul tema è intervenuto infatti il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ad Agorà su Rai3 ha ribadito come, però, “l’unico che ha avuto il coraggio di dire a un’assemblea della Nato che non era un impegno facile per motivi economici è stato il sottoscritto” registrando con “stupore” il fatto che i membri dei governi precedenti “che invece non hanno mai detto nulla, adesso ci abbiano ripensato” dopo che tutti “si erano espressi mantenendo l’impegno” assunto al vertice Nato del Galles nel 2014.

Lo scorporo dal Patto di stabilità

La questione riguarda la proposta avanzata dal titolare di palazzo Baracchini di scorporare le spese della Difesa dai vincoli di bilancio, “l’unico modo per non togliere risorse a interventi sociali”, come aveva spiegato lo stesso ministro in audizione alle Camere. La proposta del ministro è stata anche già presentata a Bruxelles. Per il ministro, tra l’altro, l’impegno del 2% assunto nel 2014 è ormai considerato dall’Alleanza Atlantica un punto di partenza, con numerosi Paesi che già spingono per superarlo: “Il tema del 2% verrà posto al prossimo vertice di Vilnius della Nato– ha recentemente ricordato il ministro in Parlamento – e noi rischiamo di essere gli unici a non raggiungerlo o a non essere chiari nei tempi con cui lo raggiungeremo, quando gli altri Paesi già parlano del 3%”.

I numeri di Mediobanca

Il commento del ministro arriva insieme allo studio condotto da Area Studi Mediobanca sui conti annuali di oltre 240 multinazionali industriali mondiali, con un focus dedicato ai principali gruppi mondiali della Difesa. I dati raccolti dall’Area Studi Mediobanca rivelano un trend generale per il quale lo scenario mondiale è diventato più insicuro, aumentando le necessità di dotarsi di adeguati sistemi di deterrenza e difesa. Indubbiamente, ad aver contribuito a questo rapido deterioramento del quadro globale di sicurezza è intervenuta l’invasione russa dell’Ucraina, che ha riportato la guerra ai confini dell’Europa dopo oltre settant’anni di relativa pace. Come conseguenza le spese per la Difesa hanno raggiunto il massimo storico di 2.113 miliardi di dollari, pari al 2,2% del Pil mondiale.

I requisiti Nato

In questo quadro il nostro Paese sta gradualmente innalzando la propria spesa con l’obiettivo di raggiungere la soglia del 2% (circa 40 miliardi di euro, ne mancano ancora circa dieci), entro il 2028, prevedendo naturalmente anche la partecipazione a missioni, operazioni e altre attività. La spesa prevista si baserebbe principalmente sui fondi del ministero della Difesa, ma vedrebbe la partecipazione anche del ministero delle Imprese e quello dell’Economia. All’interno dell’Alleanza, l’Italia rimane tra i venti Paesi, su trenta, a non aver ancora raggiunto il livello previsto in Galles. Ad oggi solo Grecia (3,9%), Stati Uniti (3,5%), Croazia (2,7%), Lettonia (2,3%), Regno Unito ed Estonia (2,2%), Polonia (2,1%), Portogallo, Turchia (2,1%) e Lituania (2,0%) spendono quanto previsto, e dall’est dell’Europa aumentano le voci che chiedono un aumento della soglia minima.

Le mosse di Parigi

Nelle stesse ore arriva dalla Francia l’annuncio di un aumento “senza precedenti” delle proprie spese militari nel bilancio nazionale. La misura sarebbe contenuta nel disegno di legge di programmazione militare d’oltralpe per il periodo 2024-2030, presentato in Consiglio dei ministri. La misura contiene aumenti dai tre ai quattro miliardi di euro per le Forze armate di Parigi. Prima d’ora nessun budget francese era stato così elevato, raggiungendo i 413 miliardi. Da qui al 2030 ci sarà quindi una crescita costante, con un aumento di 3,1 miliardi nel 2024, tre all’anno tra il 2025 e il 2027 e di 4,3 miliardi all’anno fino dal 2028 in poi. Un piano che supera l’attuale quinquennio del presidente Emmanuel Macron. Il budget è orientato a rafforzare la deterrenza nucleare e la capacità di affrontare un conflitto ad alta intensità, oltre che potenziare le capacità nei nuovi domini operativi del cyber, dello spazio e dell’underwater. Tra le priorità anche la modernizzazione dell’artiglieria a lungo raggio, l’inizio della costruzione della prossima portaerei, e i programmi per l’aereo e il carro armato di prossima generazione.


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Riformare l’Italia, l’occasione che Draghi non colse


C’è, per dirla con Giuseppe Prezzolini, l’Italia dei furbi: abbiamo fatto man bassa dei fondi disponibili più di ogni altro Paese europeo, incuranti del fatto che buona parte di essi erano prestiti e non regalie. E c’è, per dirla con Leo Longanesi, l’Ital

C’è, per dirla con Giuseppe Prezzolini, l’Italia dei furbi: abbiamo fatto man bassa dei fondi disponibili più di ogni altro Paese europeo, incuranti del fatto che buona parte di essi erano prestiti e non regalie. E c’è, per dirla con Leo Longanesi, l’Italia ingovernabile e ingovernata: abbiamo redatto 180mila progetti, ne abbiamo completato l’1%, abbiamo speso il 6% dei finanziamenti ottenuti. Ci sono, dunque, nella vicenda Pnrr, tutta le nostre fragilità e tutti i nostri peggiori vizi nazionali.

Siamo l’unico Stato occidentale che per affrontare le crisi globali che la Storia ci ha ingratamente imposto ha dovuto commissariate il governo dei partiti con personalità esterne alla politica (da Ciampi, a Monti, a Draghi). Siamo l’unico Paese occidentale che, non avendo una pubblica amministrazione funzionante e un sistema politico efficiente, dai terremoti alle pandemie si è regolarmente affidato ai poteri eccezionali di commissari straordinari. “È ora di un generale Figluolo per il Pnrr”, invoca, non a torto, il direttore del Foglio, Claudio Cerasa.

Questa è la nostra maledizione, questa la nostra condanna. C’erano, forse, le condizioni per redimerci e correggerci. Ma non le abbiamo colte. È probabile che gli storici racconteranno la parentesi di Mario Draghi come la grande occasione persa dall’Italia. Forse l’ultima. Un governo da stato di eccezione, un raro senso di responsabilità nazionale: c’erano le condizioni, con Mario Draghi plenipotenziario a palazzo Chigi, per incoraggiare il parlamento a varare, rilegittimandosi, quelle riforme istituzionali di cui parliamo da quarant’anni. Ma non è stato fatto. C’erano le condizioni per rivoluzionare la pubblica amministrazione all’insegna dell’efficacia, dell’efficienza, del merito e della responsabilità individuale. Ma, evidentemente, neanche questo è stato fatto.

Non siamo cambiati, dunque. E perciò continueremo a dimenarci penosamente alle prese con problemi oggettivamente complessi, ma che i nostri partner/competitor padroneggiano meglio di noi.

Formiche

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Cresce l’industria della Difesa globale (con Leonardo e Fincantieri). Il report Mediobanca


Le spese per la Difesa raggiungono il massimo storico di 2.113 miliardi di dollari, pari al 2,2% del Pil mondiale, segnando di conseguenza una crescita delle aziende di settore in tutti gli indici economici. È quanto emerge dall’esame condotto dall’Area S

Le spese per la Difesa raggiungono il massimo storico di 2.113 miliardi di dollari, pari al 2,2% del Pil mondiale, segnando di conseguenza una crescita delle aziende di settore in tutti gli indici economici. È quanto emerge dall’esame condotto dall’Area Studi Mediobanca sui conti annuali di oltre 240 multinazionali industriali mondiali, suddivise per comparto, con un focus dedicato ai principali gruppi mondiali della Difesa. Lo studio, infatti, si concentra sui primi trenta gruppi del settore (i cui ricavi superino il miliardo e mezzo di euro). Già la loro distribuzione geografica, quindici nei soli Stati Uniti, dieci in Europa e cinque in Asia, dà la misura delle proporzioni e degli equilibri che esistono sul mercato dell’aerospazio e difesa, il cosiddetto As&D, con Washington che ancora si posiziona saldamente alla guida del comparto.

La spesa mondiale per la Difesa

Come riporta lo studio, infatti, agli Stati Uniti fa capo il 37,9% della spesa mondiale per la Difesa, seguita a notevole distanza dalla Cina al 13,9 (una differenza di oltre due volte e mezzo). L’Italia in questo scenario si pone poco fuori la top ten, all’undicesimo posto (quarta in Europa) con una spesa di 32 miliardi di dollari, un punto e mezzo percentuale della spesa globale. Ma al di là dei singoli numeri, pur importanti, a fare davvero la differenza per il primato a stelle e strisce è la qualità dei propri sistemi. Gli Usa, infatti, nel decennio 2012-2021 hanno ridotto di circa il 6% la spesa per l’approvvigionamento di armi, ben più che controbilanciata dagli aumenti di quella per la ricerca e lo sviluppo, con una crescita del 24%. Questo aumento, dice lo studio “suggerisce che gli Stati Uniti si stanno concentrando maggiormente sulle tecnologie di nuova generazione Il governo degli Stati Uniti ha ripetutamente sottolineato la necessità di preservare il vantaggio tecnologico americano rispetto ai concorrenti”.

Oltre gli indici Esg

I dati raccolti dall’Area Studi Mediobanca rivelano un trend generale per il quale lo scenario mondiale è diventato più insicuro, aumentando le necessità di dotarsi di adeguati sistemi di deterrenza e difesa. Indubbiamente, ad aver contribuito a questo rapido deterioramento del quadro globale di sicurezza è intervenuta l’invasione russa dell’Ucraina, che ha riportato la guerra ai confini dell’Europa dopo oltre settant’anni di relativa pace. Questo quadro ha avuto un suo riflesso nei bilanci delle società, con gli investimenti che sono aumentati a una velocità tripla rispetto ai ricavi. Il “rinnovato valore della sicurezza”, registra lo studio, è stato apprezzato dalle Borse e dagli investitori, un impulso che ha portato al superamento dei vincoli Esg che tradizionalmente hanno penalizzato le industrie di settore. “Il mutato contesto geopolitico, il riconoscimento della deterrenza come strumento di conservazione della pace e l’esigenza di tutelare i valori democratici hanno aperto il dibattito sulla riconsiderazione della compatibilità tra sostenibilità e investimento nei capitali delle imprese della Difesa”.

I risultati italiani

Nel complesso le trenta multinazionali dell’As&D hanno realizzato ricavi complessivi nel core business Difesa per oltre 315 miliardi di euro, con una capitalizzazione in Borsa di 721 miliardi di euro al marzo 2023, lo 0.8% del valore complessivo delle piazze affari mondiali. Tra queste trenta, sono presenti anche le italiane Leonardo, che entra nella top ten al nono posto, e Fincantieri al tredicesimo (ma che escludendo i giganti Usa che dominano i primi posti, diventano rispettivamente terza e quarta in Europa e a livello mondiale). Rispettivamente i due gruppi nazionali registrano un fatturato di 14,7 e 7,3 miliardi di euro.

Di questi ricavi, l’83% per Leonardo e il 32% per Fincantieri provengono dal comparto Difesa. Interessante, tra l’altro, notare che agli estremi della classifica sulle percentuali del business provenienti dal settore di Difesa si collocano la francese Naval Group (100%) e Fincantieri, le quali insieme hanno costituito la joint venture paritaria Naviris per migliorare il supporto alle rispettive Marine, aumentare l’esportazione, sviluppare nuove tecnologie e aumentare la competitività cantieristica dei due Paesi. La classifica cambia se si guarda invece agli investimenti, con Fincantieri che ottiene il sesto posto globale con il 4% del fatturato 2022, e Leonardo al dodicesimo con il 3,3%, entrambi sopra la media internazionale.


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In preparazione all’offensiva di primavera, l’Ucraina organizza ulteriori brigate d’assalto


Prima del primo anniversario dell’invasione su vasta scala della Russia, il ministero dell’Interno ucraino ha annunciato la creazione di ulteriori brigate d’assalto chiamate ‘Guardia offensiva’, che include le nuove formazioni ‘Azov’, ‘Spartan’, ‘Confine di ferro’, ‘Frontier’ e ‘Fury’, insieme ad altre unità volte a liberare i territori ucraini occupati, compresi il Donbass e la Crimea. […]

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No bullsh*t opt-out: free noyb tool for quick and broad Facebook objections!


Strumento gratuito noyb per obiezioni rapide e ampie su Facebook! Utilizzate lo strumento noyb per rinunciare alla pubblicità mirata e a vari altri "interessi legittimi" rivendicati da Meta in modo semplice e legalmente valido.
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Spingere l’Ucraina verso una pace prematura incoraggerebbe solo Putin


Con l’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina giunta ormai al suo secondo anno, il dibattito internazionale continua su dove sta andando la guerra e su come potrebbe finire. Sebbene nessuno contesti che la pace sia disperatamente necessaria, ci sono ancora profonde divisioni su come ciò potrebbe essere raggiunto al meglio e su come potrebbe essere […]

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Ucraina: cosa sbagliano gli Stati Uniti e i loro alleati sulla neutralità cinese


L’ambasciatore dell’Unione Europea in Cina ha recentemente criticato i tentativi di pacificazione di Pechino durante il conflitto Russia-Ucraina, insistendo sul fatto che “non può esserci la cosiddetta neutralità”. Funzionari statunitensi hanno emesso critiche simili, prendendo di mira sia la Cina che i molti altri Stati che si sono rifiutati di unirsi agli sforzi di sanzioni […]

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di Massimo Pasquini - Dal 23 marzo 2023 in Commissione Giustizia della Camera si è avviata la discussione su tre proposte di legge (pdl) presentate dalla Le


La petizione lanciata sabato 1° aprile per chiedere le dimissioni del Presidente del Senato dopo le vergognose dichiarazioni rilasciate in merito all’attenta


La Finlandia entra nella NATO, la Russia annuncia contromisure


Ufficializzato l’ingresso del Paese nell’alleanza militare atlantica. Mosca la giudica una minaccia alla propria sicurezza L'articolo La Finlandia entra nella NATO, la Russia annuncia contromisure proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/

Pagine Esteri, 4 aprile 2023 – La Finlandia ha aderito ufficialmente all’alleanza militare della NATO. L’intenzione era stata resa pubblica dopo l’inizio dell’attacco russo all’Ucraina. I documenti di adesione sono stati consegnati al Segretario di Stato americano Antony Blinken: il Dipartimento di Stato USA è il depositario dei documenti di adesione dei Paesi NATO.

La Russia ha annunciato che prenderà “contromisure” per rispondere a quella che interpreta come una minaccia alla sua sicurezza. E che rafforzerà la propria presenza militare ai confini con la Finlandia se la NATO dovesse inviare le sue truppe nel Paese. “La Federazione Russa sarà costretta ad adottare misure tecnico-militari e altre misure di ritorsione per contrastare le minacce alla nostra sicurezza nazionale derivanti dall’adesione della Finlandia alla NATO”, ha avvertito il ministero degli Esteri in una nota. Aggiungendo che “la scelta della Finlandia segna un cambiamento fondamentale nella situazione nel Nord Europa, che in precedenza era stata una delle regioni più stabili del mondo”.

La Finlandia era in una posizione dichiarata “neutrale” dalla fine della Seconda guerra mondiale. Un altro Paese, neutrale da 200 anni, ha fatto richiesta di aderire all’alleanza militare atlantica, la Svezia. Al momento, però, il processo di accesso è ritardato dalle obiezioni di alcuni Stati membri.

Al momento il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg ha dichiarato che non saranno stanziate truppe militari in Finlandia. Ma allo stesso tempo non ha escluso la possibilità di un aumento delle esercitazioni militari, affermando che la NATO non permetterà alla Russia di dettare le condizioni.

Intanto il parlamento finlandese ha dichiarato che il suo sito web è stato colpito da un cosiddetto attacco denial-of-service, che ha reso il sito difficile da usare, con molte pagine non visibili

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Il David, simbolo di libertà e bellezza, non si discute, si ama


Il David colpisce ancora. Non con la fionda ma con la forza della sua bellezza, dell’ironia e della ragione ha colpito i piccoli Golia dell’oscurantismo, dell’ignoranza, della stupidità che, di tanto in tanto escono allo scoperto in nome del perbenismo contro il nudo nell’arte, scambiato per pornografia. L’ultima crociata è quella lanciata da alcuni cittadini […]

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Gli Accordi di Abramo nella dimensione europea. Terzi: “Importante collaborazione tra Paesi firmatari degli accordi e il mondo Euro-Atlantico”


“Nella preoccupante situazione che si è determinata con l’aggressione russa all’Ucraina e all’Europa, accompagnata dal rafforzamento dell’asse Mosca-Pechino, il valore degli Accordi di Abramo risiede sempre più nella ricerca della stabilità, nella ricostr

“Nella preoccupante situazione che si è determinata con l’aggressione russa all’Ucraina e all’Europa, accompagnata dal rafforzamento dell’asse Mosca-Pechino, il valore degli Accordi di Abramo risiede sempre più nella ricerca della stabilità, nella ricostruzione delle basi essenziali per la deterrenza nel rifiuto dell’utilizzo della forza, nell’azione diplomatica e in una crescente collaborazione dei Paesi firmatari degli accordi con il mondo Euro-Atlantico”, lo ha detto Giulio Terzi di Sant’Agata, senatore di Fratelli d’Italia e, presidente della commissione Politiche dell’Unione europea, intervenendo ieri al convegno organizzato della Fondazione Luigi Einaudi proprio per parlare dell’importanza degli Accordi di Abramo in chiave occidentale, con la prospettiva di allargare l’orizzonte dell’operatività di tale intesa anche al continente europeo, per sviluppare nuove relazioni economiche e commerciali tra l’Ue e i Paesi degli Accordi.

Oltre a Terzi di Sant’Agata, hanno preso parte all’incontro anche Alon Bar, ambasciatore d’Israele in Italia, Naser M.Y. Al Balooshi, ambasciatore del Bahrain in Italia, Nicola Monti, amministratore delegato di Edison, Fiamma Nirenstein, senior member Jerusalem center of public affairs, Gabriele Carrer, giornalista di Formiche.net, e Fabrizio William Luciolli, presidente del Comitato Atlantico in Italia. Nell’aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi, priva di posti a sedere liberi per il gran numero di ospiti venuti a seguire il convegno, ha aperto il dibattito il segretario generale della Fondazione, Andrea Cangini, che ha poi lasciato la parola a Simona Benedettini, membro del comitato scientifico della FLE e moderatrice dell’incontro.

“Il rafforzamento della collaborazione tra gli Stati membri dell’UE e tutti i Paesi degli Accordi di Abramo è sempre più necessario”, ha sottolineato Terzi, “soprattutto dopo le intese fra Iran e Arabia Saudita. Da essi può giungere un rafforzamento dello Stato di diritto nell’ordinamento internazionale, una maggior cooperazione sul piano della sicurezza con il contrasto alla proliferazione nucleare iraniana, una collaborazione tecnologica e di sviluppo e una significativa crescita commerciale visto che, per quanto riguarda l’interscambio dell’Italia con i cinque paesi degli Accordi di Abramo, tra il 2021 e il 2022 il nostro Paese ha registrato un incremento complessivo del 25%”.

Questo scenario è stato confermato anche dall’ambasciatore di Israele in Italia Alon Bar, che ha spiegato come gli investimenti in Israele da parte dei Paesi della regione, anche nel quadro degli Accordi di Abramo, stiano aumentando in modo significativo. “L’accordo di libero scambio firmato nel 2022 con gli Emirati Arabi Uniti ed entrato in vigore lo scorso primo aprile ne è un esempio. Nel 2021, il commercio bilaterale raggiungeva 1,2 miliardi di dollari; nel 2022 i 2,5 miliardi di dollari, mentre nei primi mesi del 2023 abbiamo raggiunto i 5 miliardi di dollari. Entro il 2027 ci aspettiamo di andare oltre i 10 miliardi”, ha detto l’ambasciatore, evidenziando il lavoro da parte di entrambi i governi per rafforzare la cooperazione e facilitare gli investimenti.

L’ambasciatore di Bahrein in Italia, Naser M.Y. Al Balooshi, si è invece soffermato sull’importanza della stabilità politica come elemento essenziale per lo sviluppo economico in Medio Oriente. “Possiamo vedere – ha detto – come la firma degli Accordi di Abramo e la normalizzazione delle relazioni diplomatiche abbia soddisfatto la dimensione del commercio in quanto i rapporti commerciali si sono di gran lunga rafforzati, ma hanno anche favorito la sicurezza nella regione”.

Al termine del convegno, significativo è stato l’intervento dell’amministratore delegato di Edison, Nicola Monti, che ha ricordato quanto sia importante “alimentare il percorso di diversificazione nell’approvvigionamento energetico anche attraverso la collaborazione tra le diverse aree geografiche”. Questo perché, ha detto, “il settore dell’energia è uno strumento di collaborazione e cooperazione tra i Paesi, così come un elemento di stabilità, ricchezza e competitività per il settore industriale di qualsiasi Paese”.

L'articolo Gli Accordi di Abramo nella dimensione europea. Terzi: “Importante collaborazione tra Paesi firmatari degli accordi e il mondo Euro-Atlantico” proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



UK privacy regulator fines TikTok £12.7m for children’s data violations


The UK’s data protection authority sanctioned TikTok £12.7 million for multiple data law violations, including the unlawful use of children’s personal data.


euractiv.com/section/data-priv…



SIRIA. Quarto raid israeliano in 7 giorni, uccisi due civili


E' la quarta volta che Israele bombarda la Siria in meno di una settimana. L'articolo SIRIA. Quarto raid israeliano in 7 giorni, uccisi due civili proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/04/04/medioriente/siria-quarto-raid-israeliano-in-

della redazione

Pagine Esteri, 4 aprile 2023 – Almeno due civili siriani sono morti in un raid aereo israeliano contro Damasco avvenuto la scorsa notte. Oltre alle due vittime civili, l’attacco ha provocato “danni materiali”. E’ la quarta volta che Israele bombarda la Siria in meno di una settimana. Ed è la settima volta che attacca la Siria da quando il Paese è stato devastato da un terremoto di magnitudo 7,7 due mesi fa.

Il 30 e il 31 marzo Israele aveva colpito la capitale siriana delle alture del Golan occupate, uccidendo due consiglieri militari del Corpo delle guardie rivoluzionarie dell’Iran (IRGC). Due giorni dopo, aerei da combattimento israeliani hanno lanciato dallo spazio aereo libanese un nuovo raid contro la città di Homs, ferendo almeno cinque soldati dell’esercito siriano.

Gli attacchi aerei israeliani sulla Siria sono illegali secondo il diritto internazionale ma Tel Aviv li giustifica come raid preventivi contro presunte postazioni e depositi di armi dell’Iran e del movimento sciita libanese Hezbollah, alleati di Damasco. L’escalation avviene in un periodo di forte tensione – segnato da attacchi e rappresaglie con morti e feriti – tra miliziani pro-Iran e le forze statunitensi che occupano porzioni di territorio siriano. A ciò si è aggiunto l’intensificarsi degli attacchi israeliani ai quali l’Iran ha risposto domenica notte lanciando un drone verso il territorio dello Stato ebraico.

In una dichiarazione rilasciata il 31 marzo, il ministero della difesa siriano ha affermato che i continui bombardamenti aerei di Israele sarebbe coordinati con miliziani estremisti. “Questi ripetuti attacchi – è scritto in un comunicato mostrano lo stretto coordinamento tra… Israele e gruppi terroristici… Il coordinamento dimostra oltre ogni dubbio le intenzioni deliberate contro la Siria che mirano a prolungare il conflitto (interno) e a esaurire le capacità del Paese”. Secondo Damasco, dall’inizio della guerra in Siria nel 2011, ci sarebbero stati livelli significativi di coordinamento tra Israele e gruppi jihadisti e qaedisti, in particolare Jabhat al-Nusra – l’ex ramo di Al-Qaeda nel paese, che ora è noto come Hayat Tahrir al -Sham (HTS). Pagine Esteri

L'articolo SIRIA. Quarto raid israeliano in 7 giorni, uccisi due civili proviene da Pagine Esteri.



STEFANO CAVANNA “IL SUONO DEL DOLORE – TRENT’ANNI DI FUNERAL DOOM”


Da qui a pensare di realizzare un volume come “Il Suono del Dolore – Trent’anni di Funeral Doom” il passo è (relativamente) breve. Buon per noi che la Tsunami abbia scelto di sposare il risultato delle sue fatiche, altrimenti non avremmo tra le mani quello che ad oggi possiamo considerare come il volume “definitivo” sul funeral doom metal.
@L’angolo del lettore

iyezine.com/stefano-cavanna-il…

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LIBRI. Recensione: “Ho visto Ramallah”


Il ritorno in Palestina del poeta Murid Al Barghouti. Il percorso a ritroso di una vita vissuta tra due mondi. L'articolo LIBRI. Recensione: “Ho visto Ramallah” proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/04/04/medioriente/libri-recensione-h

di Patrizia Zanelli*

Pagine Esteri, 4 aprile 2023 – “Fa molto caldo sul ponte. Una goccia di sudore. Scivola dalla fronte alla montatura degli occhiali, poi sulle lenti. Il calore offusca quello che vedo, che mi aspetto di vedere, che ricordo. Mi guardo attorno, e questo luogo si confonde con le immagini di tutta una vita, trascorsa per lo più aspettando di ritornare. Attraverso il fiume Giordano. Il legno del ponte scricchiola sotto i miei passi. Sulla spalla sinistra porto una piccola sacca. Cammino verso ovest in modo naturale, ma solo in apparenza. Dietro di me il mondo, davanti a me il mio mondo”.

6357322Il poeta palestinese Murid al-Barghuthi (1944-2021) inizia a raccontare così, in Ho visto Ramallah [1], il suo ritorno in Palestina dopo un lungo esilio. Il ritorno in Palestina del poeta Murid Al Barghouti. Un percorso a ritroso di una vita vissuta tra due mondi. in questo romanzo autobiografico, per cui vinse nel 1997 la “Medaglia Nagib Mahfuz”, prestigioso premio letterario istituito dall’Università Americana del Cairo.

Evento storico cruciale del racconto è la guerra lanciata da Israele il 5 giugno del 1967, per occupare i territori palestinesi di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza, le alture siriane del Golan e la Penisola del Sinai egiziana. Allora laureando in Letteratura Inglese presso l’Università del Cairo, al-Barghuthi scoprirà di essere improvvisamente diventato esule. Poi vivrà in esilio in più paesi. Riuscirà a tornare in Palestina soltanto nell’estate del 1996 grazie agli Accordi di Oslo (1993 e 1995) che, però, lui stesso aveva da subito considerato inadatti a garantire una soluzione giusta e permanente del conflitto mediorientale. Ne ha la conferma appena arriva nel suo paese:

“Allora, sono questi i “territori occupati”! Questo luogo non è più un’espressione usata in un notiziario, puoi vederne chiaramente la terra, i sassi, le colline e le rocce. Questo luogo ha i suoi colori, una temperatura e arbusti che crescono spontanei…

Finalmente entro in Palestina, ma cosa sono tutte queste bandiere israeliane?”.

Via via deluso da quello che vede lungo il tragitto verso Ramallah, l’autore fa una riflessione generale, come se si rivolgesse alla sua gente, ricorrendo alla tipica autoironia: “Dal ’67 in poi tutto quello che abbiamo fatto è stato “temporaneo”, e sarebbe durato finché le cose non si fossero risolte. E ancora oggi, dopo trent’anni, niente è risolto!… Nel 1948, in seguito alla Nakba, la fondazione dello Stato d’Israele, i profughi si stabilirono nei paesi vicini come soluzione “temporanea”. Lasciarono le pentole sul fuoco sperando di tornare dopo qualche ora! Si dispersero nelle tende e in campi di lamiere di zinco e stagno “temporaneamente”… Abbiamo elaborato programmi di liberazione basati su tappe “temporanee”, ci hanno detto di avere accettato gli accordi di Oslo “temporaneamente”, e così via…”

Nella stessa riflessione al-Barghuthi denuncia chiaramente l’illusorietà di un processo di pace fallito in partenza, essendo sponsorizzato da Washington a sostegno di Tel Aviv, e che di fatto si traduce nella continuazione della Nakba. L’autoironia ravviva inoltre lo stile narrativo perlopiù asciutto e lineare, talvolta crudo, quasi giornalistico, tipico della non-fiction, adottato dall’autore per scrivere Ho visto Ramallah, un testo letterario affascinante e coinvolgente per il miscuglio di sentimenti che trasmette e perché la voce narrante è quella di un grande poeta che descrive la vita reale di persone vere. Nella prefazione del libro, Edward Said (1936-2003) nota anzitutto la concisione e la poeticità del racconto che definisce come “uno dei migliori resoconti personali sulla diaspora palestinese che siano mai stati scritti”. Del resto, anche lui aveva raccontato, in un saggio, il suo ritorno in Palestina, e precisamente a Gerusalemme, dopo un lungo esilio [2].

Munito di un permesso temporaneo per visitare i territori occupati da Israele, durante il breve soggiorno in Cisgiordania, al-Barghuthi ricorda la propria vita intrecciata a quella del suo popolo:“L’occupazione ci ha costretto a rimanere nel passato. Ecco la sua grave colpa: non ci ha privato dei forni d’argilla di ieri, ma della curiosità di sapere cosa avremmo potuto inventare un domani.”

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Il futuro negato della Palestina, sottolinea Monica Ruocco, è infatti il problema centrale affrontato da al-Barghuthi in Ho visto Ramallah. L’opera spiega inoltre bene il significato della parola ghurba, usata per indicare la lontananza dalla patria, l’esilio, lo stato psicologico di chi vive una situazione del genere e che, per il poeta palestinese, è come la morte: “La gente crede che tocchi soltanto agli altri. Quell’estate diventai lo straniero che avevo sempre creduto fosse qualcun altro.”

Una volta laureato, al-Barghuthi raggiunge alcuni parenti in Kuwait dove rimane per un paio d’anni. Poi torna al Cairo per sposare, nel 1970, la fidanzata egiziana Radwa Ashur (1946-2014) – che aveva conosciuto all’università -, futura scrittrice femminista, critica letteraria e accademica famosa. Nel 1972, mentre insegna e lavora per l’emittente radiofonica Filasṭīn (Palestina), il poeta pubblica la sua prima raccolta di poesie. Nel giugno del 1977, diventa padre di Tamim, ma, come altri attivisti palestinesi perseguitati dal regime di Sadat, dopo appena cinque mesi sarà espulso dall’Egitto, vivendo poi un secondo esilio. Accolto dall’Ungheria come rappresentante dell’Olp, riuscirà a tornare al Cairo soltanto nel 1994.

In Ho visto Ramallah, l’autore parla di questa lunga lontananza dalla moglie e dal figlio, inframmezzata dai periodi di vacanza in cui loro andavano a trovarlo a Budapest. Nel romanzo, infatti, unisce l’assenza dalla Palestina alla presenza in Palestina, suggerendo che ognuna delle due situazioni è implicita nell’altra nella vita dell’esule; spiega così appieno il senso della ghurba che per lui è una condizione definitiva dell’anima; descrive un dolore che sembra sfumarsi in una malinconia sempre nascosta in fondo al cuore. L’autore riscopre di fatto il suo paese con lo sguardo meravigliato – ma non distaccato – di uno straniero durante quel viaggio fitto di incontri con amici, parenti e intellettuali impegnati in un lavoro di resistenza culturale, come il grande poeta Mahmud Darwish (1941- 2008); e ricorda man mano il passato, per spiegare quello che prova mentre conosce direttamente il presente della sua gente sotto l’occupazione militare israeliana:

“Israele chiude un’area qualsiasi quando vuole. Le persone non possono entrare e uscire, se non quando viene meno il motivo della chiusura, ma di motivi se ne trovano sempre. Vengono alzate barriere tra una città e l’altra. Qui ho sentito la parola mahsom per la prima volta. Vuol dire ‘barriera’ in ebraico. La nascente sensazione di libertà è temporanea.”

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Nel romanzo, l’autore denuncia sia le azioni dell’occupante israeliano sia le scelte e l’arroganza dei dirigenti palestinesi; insiste infatti sull’illusorietà del processo di pace di Oslo: “Quando sentite qualcuno pronunciare da una tribuna l’espressione «smantellare gli insediamenti», fatevi una bella risata. Non sono fortezze fatte da bambini con il Lego o il Meccano. Le colonie sono di per sé Israele. Sono l’idea, l’ideologia, la geografia, un imbroglio, una delle tante trovate di Israele. Sono il luogo che ci apparteneva e che hanno fatto loro. Gli insediamenti sono le loro scritture nella loro forma originaria. Sono la loro Terra promessa. Sono la nostra assenza. Gli insediamenti sono la diaspora palestinese”.

In altri brani, l’autore esprime un misto di rabbia e amarezza nell’osservare la deturpazione del paesaggio tradizionale della Palestina, caratterizzato dall’armonia tra natura e architettura. Ora, invece, lo vede deformato per via delle azioni volute dallo Stato occupante, Israele, in linea con la sua politica di Apartheid volta a impedire ai palestinesi di costruirsi un futuro nel loro stesso paese: colonie sparse a macchia di leopardo, check-point ovunque, segni delle distruzioni compiute dall’esercito e così via.

D’altro canto, nel romanzo, al-Barghuthi descrive anche momenti belli e divertenti della propria vita, inclusi quelli vissuti nel seppure breve soggiorno in Palestina. Torna nel villaggio in cui era nato, Deir Ghassana, ricorda quando a sette anni si era trasferito con la famiglia da lì a Ramallah, allora un sobborgo di Gerusalemme. Descrive un matrimonio, con canti, e in particolare, un giovane che danza la dabka; i caffè; una serata poetica e altro. Nel testo include anche alcune delle sue poesie.

Ma durante quel viaggio non riesce a tornare a Gerusalemme: l’esercito israeliano aveva chiuso ogni accesso alla città. Per presentarla, nel romanzo, l’autore anzitutto la spoglia dei suoi simboli per restituirla alla realtà, rendendola viva. Raccoglie i propri ricordi personali di un’esistenza umana normale; con una modalità quasi cinematografica propone una carrellata di immagini di spazi e oggetti, descrive soprattutto una miriade di persone, di attività, di sensazioni ed emozioni, riuscendo a spiegare l’importanza esistenziale, affettiva e identitaria di questa città per il popolo palestinese: “La Gerusalemme che il mondo conosce è la capitale delle religioni, della politica, dei conflitti. Il mondo non conosce la nostra Gerusalemme, quella della gente […] Questa è la città dei nostri cinque sensi, dei nostri corpi e della nostra infanzia. La Gerusalemme in cui camminavamo senza fare troppo caso alla sua sacralità, perché vivevamo lì. E lei era noi”.

Ho visto Ramallah è un romanzo realistico, privo di sentimentalismi e tuttora attuale, perché l’autore presenta le mille sfumature del dolore palestinese, senza banalizzarlo né idealizzarlo, rivelandone tutta l’umanità. Descrive la vita reale della sua gente, parlando di morte, violenza e oppressione, ma anche di amore, bellezza e voglia di vivere. Nel 1998, inoltre, al-Barghuthi tornò di nuovo in Palestina con il figlio Tamim – adesso un poeta e accademico noto -, per fargli conoscere direttamente il suo paese. L’autore racconta anche quel viaggio, in Sono nato lì. Sono nato qui [3], un altro romanzo autobiografico o complemento di Ho visto Ramallah. Nel 2000, al-Barghuthi vinse il più importante premio letterario palestinese per la poesia. La sua intera opera rientra in una vasta testimonianza letteraria della Storia del popolo della Palestina che, come si sa e come conferma Edward Said, “non è un posto qualunque”. Pagine Esteri

NOTE

[1] Murid al-Barghuthi, Ho visto Ramallah, tr. Monica Ruocco, Ilisso, 2005.

[2] Edward Said, Tra guerra e pace: ritorno in Palestina-Israele, tr. Giovanna Bettini e Maria Antonietta Saracino, Feltrinelli, 1998.

[3] Murid al-Barghuthi, Sono nato lì. Sono nato qui, tr. Enrica Preti, Edizioni Q, 2021.

*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Ha scritto L’arabo colloquiale egiziano (Cafoscarina, 2016); ed è coautrice con Paolo Branca e Barbara De Poli di Il sorriso della mezzaluna: satira, ironia e umorismo nella cultura araba (Carocci, 2011). Ha tradotto diverse opere letterarie, tra cui la raccolta poetica Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad, e il romanzo Atyàf: Fantasmi dell’Egitto e della Palestina (Ilisso, 2008) della scrittrice egiziana Radwa Ashur. Ha curato con Sobhi Boustani, Rasheed El-Enany e Monica Ruocco il volume Fiction and History: the Rebirth of the Historical Novel in Arabic. Proceedings of the 13th EURAMAL Conference, 28 May-1 June 2018, Naples/Italy (Ipocan, 2022).

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Sustanalytics – Combustibili di distruzione di massa


Sustanalytics – Combustibili di distruzione di massa combustibili isole pacifico
La proliferazione dei combustibili fossili sarà regolamentata come per i trattati internazionali sulle armi nucleari? Per alcune isole del Pacifico, che stanno emergendo tra i paesi più attivi sul piano della denuncia multilaterale contro i grandi inquinatori, sì

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In Cina e Asia – Pallone cinese negli Usa, è dibattito sulle informazioni raccolte


In Cina e Asia – Pallone cinese negli Usa, è dibattito sulle informazioni raccolte pallone spia cinese esercitazioni
I titoli di oggi:
Pallone cinese negli Usa, aperto il dibattito sulle informazioni raccolte
App made in China, Pinduoduo bocciata dagli analisti
Cina, i primi dati sulle perdite delle compagnie aeree
Usa, Giappone e Corea del Sud: al via le esercitazioni congiunte nel Pacifico
Mar cinese meridionale, la Malesia chiede un confronto con Pechino mentre le Filippine aprono quattro nuove basi militari agli Usa
Malesia, rimossa la pena di morte obbligatoria per reati gravi
Bangladesh, incendio divora un complesso commerciale

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SUD SUDAN. L’Onu accusa alti ufficiali di abusi e violazioni dei diritti umani


Torture, stupri e esecuzioni sommarie: le persone che si sono macchiate dei crimini rimangono in carica. L'articolo SUD SUDAN. L’Onu accusa alti ufficiali di abusi e violazioni dei diritti umani proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/04

Pagine Esteri, 4 aprile 2023- Una Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto in cui si afferma che alcuni funzionari del Sud Sudan hanno perpetrato gravi violazioni dei diritti umani e dovrebbero essere perseguiti per i propri crimini.

La Commissione parla di omicidi, stupri e schiavitù sessuale come pratiche diffuse. L’indagine è durata un anno e ha coinvolto 6 Stati del Sud Sudan.

Nessuna delle persone ritenute responsabili ha, al momento, affrontato le accuse o ricevuto una condanna.

“Per diversi anni, i nostri risultati hanno costantemente dimostrato che l’impunità per crimini gravi è un motore centrale della violenza e della miseria affrontati dai civili in Sud Sudan”, ha dichiarato Yasmin Sooka, presidente della Commissione. “Quindi abbiamo deciso di fare i nomi di più persone che meritano indagini e procedimenti penali per il loro ruolo in gravi violazioni dei diritti umani”. Tra gli altri, il rapporto nomina il governatore di Unity State, insieme al generale delle forze di difesa del popolo del Sud Sudan, accusati di aver giustiziato sommariamente almeno quattro ufficiali delle truppe governative. Tre sono stati uccisi da un plotone di esecuzione e il quarto è stato bruciato vivo in una capanna.

Il commissario della contea di Koch, invece, è accusato di aver condotto orribili attacchi contro la popolazione civile.

Tutte queste persone non solo non sono state processate ma sono rimaste in carica e continuano a svolgere i propri incarichi.

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Papa Francesco non molla!


«Ho sentito solo un malessere, ma non ho avuto paura», e poi «Ancora vivo, sai»! Sono le parole pronunciate dal Papa all’uscita dal Policlinico Gemelli: le prime parole da lui pronunciate, perfino prima di compiere quel gesto di grandiosa umanità, di abbracciare quella madre privata del figlio, che, per una curiosa coincidenza di quelle che poi […]

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Mi secco a cambiare le batterie del telecomando della TV che ho sulla scrivania, quindi ovvio realizzando un accrocco con graffette e cartone...