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Giovanna Capelli La Francia in questi anni è stata attraversata da fenomeni di grande mobilitazione sociale , di lunga durata contro le politiche neoliberi


Tre Vuoti


Il primo partito è il più trascurato. Gli si rivolge un omaggio retorico e subito ce ne si dimentica. È quello di chi non va a votare. Anche questo, però, come i due schieramenti in gara, si divide in due opposte correnti. Astenuti, destra e sinistra: ved

Il primo partito è il più trascurato. Gli si rivolge un omaggio retorico e subito ce ne si dimentica. È quello di chi non va a votare. Anche questo, però, come i due schieramenti in gara, si divide in due opposte correnti. Astenuti, destra e sinistra: vediamoli.

Fra quanti non vanno a votare, sempre più numerosi, c’è chi ritiene che tanto non ci sono grandi differenze e non valga la pena spendersi. Ma con due opposte versioni: da una parte quelli per cui non si corrono rischi, quindi si può restare ad osservare senza partecipare; dall’altra quelli che non vedono opportunità, quindi non saprebbero come decentemente partecipare. Non basta fare appelli insipidi al voto, al dovere civico e altre inutili cose, servirebbe che le forze politiche, senza distinzione di schieramento, s’interrogassero su cosa di loro stesse non convince gli astenuti del secondo gruppo. L’offerta del falso bipolarismo, anno dopo anno, perde clienti. Dovranno pur prenderne atto.

Le elezioni amministrative restano tali, si elegge il sindaco e il Consiglio comunale, mica il Parlamento. I risultati sono influenzati da fattori locali, ci sono molte liste civiche e alcuni candidati hanno una forza propria che diventa irrilevante su scala nazionale. Ciò non cancella alcune evidenze.

La destra vince, ma non stravince. Rispetto alle brancaleonate della sinistra la coalizione di destra è riconoscibile proprio perché vincente. Quando non lo era aveva compenti che stavano al governo e altre all’opposizione, con eguale discendenza norcina. Epperò è evidente che c’è una componente crescente, Fratelli d’Italia, che sarebbe la teoricamente più a destra e, invece, è quella che più desidera affrancarsi dall’isolamento che la destra ideologica comporta. Dall’occidentalismo al ruolo in Unione europea alla prudenza in economia, la distanza fra i vincenti di destra e i perdenti di destra cresce.

La sinistra perde, ma è capace anche di trionfi. Che le creano problemi. Giustamente, dal loro punto di vista, i capi della destra avevano scelto di chiudere, assieme, la campagna a Brescia. Sapevano che quella era una posta importante. L’hanno persa. Ma a vincere non è il Pd radicalizzatosi, bensì il suo opposto: una candidata di area laica e socialista, che va alle urne senza allearsi con i pentastellati. E vince al primo turno. Scena analoga a Udine. La sinistra che sconfigge la destra ha candidati che prendono voti al centro, e non sono alleati di quelli che il Pd ha scelto come alleati.

Se esistessero la politica e i partiti politici, questi sarebbero gli argomenti in discussione. Da una parte e dall’altra, puntando a recuperare i renitenti. Se non esistono, se sono tre vuoti impacchettati, stiamo perdendo tempo a parlarne.

La Ragione

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News da Marte #16 | Coelum Astronomia

"In questo 16esimo appuntamento della rubrica vediamo le ultime notizie sulla missione del rover cinese Zhurong e le più recenti operazioni di Curiosity e Perseverance. Ne approfittiamo anche per un piccolo approfondimento tecnico di astrofotografia marziana."

coelum.com/news/news-da-marte-…

#16


GERUSALEMME. La “Marcia delle bandiere” di Israele nella zona palestinese della città


Negli ultimi anni la Marcia delle bandiere si è rivelata un’occasione per gli ultranazionalisti di lanciarsi in intimidazioni se non in aggressioni a danno dei palestinesi L'articolo GERUSALEMME. La “Marcia delle bandiere” di Israele nella zona palestine

della redazione

Pagine Esteri, 18 maggio 2023 – A Gerusalemme si prevede oggi una giornata di forte tensione. Decine di migliaia di ultranazionalisti israeliani terranno la Marcia delle Bandiere nella parte palestinese della città. Si tratta dell’evento principale del “Giorno di Gerusalemme”, la ricorrenza annuale in cui gli israeliani celebrano ciò che descrivono come la “riunificazione” della città sotto il controllo dello Stato ebraico avvenuta nel giugno del 1967 con l’occupazione militare della zona araba (Est) di Gerusalemme (non riconosciuta dalla comunità internazionale).

Intenzione degli organizzatori è quella di indirizzare il lungo corteo nella città vecchia di Gerusalemme attraverso la Porta di Damasco, l’ingresso principale della casbah, e di sfilare nel quartiere musulmano fino al piazzale del Muro del Pianto sventolando le bandiere di Israele. Negli ultimi anni, e si teme che possa accadere anche oggi, la Marcia delle bandiere si è rivelata un’occasione per gli ultranazionalisti, specie quelli più giovani, di lanciarsi in intimidazioni se non in aggressioni vere e proprie a danno dei palestinesi che incontrano sulla loro strada. Anche per questo i negozi della città vecchia oggi resteranno chiusi. Inoltre, i partecipanti alla Marcia delle bandiere con ogni probabilità intoneranno in massa cori come “Morte agli arabi”, “Possa il tuo villaggio bruciare”, “Vi manderemo tutti a Gaza”, come è avvenuto in questi ultimi anni.

È opinione diffusa che la presenza al potere del governo di estrema destra religiosa guidato da Benyamin Netanyahu offra ulteriori incentivi ai manifestanti di affermare con forza il controllo di Israele anche sulla Gerusalemme palestinese. Alla marcia è peraltro prevista la partecipazione di numerosi ministri, tra i quali quello della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, e del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, entrambi leader di partiti di destra estrema. La polizia ha dispiegato oltre 3mila poliziotti a protezione della manifestazione.

Già questa mattina centinaia di attivisti e religiosi di destra hanno sfilato nel complesso della Spianata delle moschee. Non si sono registrati incidenti di rilievo con i fedeli palestinesi. Nel pomeriggio decine di migliaia di persone cominceranno a radunarsi nel centro di Gerusalemme per la marcia che inizierà nella parte ebraica della città per poi procedere verso quella palestinese. Quindi dalla Porta di Damasco andranno al Muro del Pianto. Le donne invece marceranno passando per la Porta di Giaffa.

L’ong Ir Amim ha chiesto di impedire alla Marcia delle bandiere di entrare nella parte orientale di Gerusalemme e di impedire violenze a danno dei palestinesi. «Gli estremisti di destra vogliono attraversare il quartiere musulmano e la Porta di Damasco limitando il movimento dei palestinesi e cantando ad alta voce ‘Morte agli arabi’. Questa è una marcia piena di odio nel cuore dello spazio palestinese», ha twittato Ir Amin. Alcune decine di attivisti anti-marcia terranno sit in di protesta in diversi punti di Gerusalemme. Pagine Esteri

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Oggi ultimo appuntamento con L'Ora di Costituzione! Il Prof. Luciano Violante illustrerà agli studenti i Rapporti politici (dall’art. 48 all’art. 54).

Seguite qui la diretta streaming dalle ore 10.30 ▶️ youtube.



In Cina e in Asia – Quanto è difficile per l’Europa staccare la spina dalla Cina


In Cina e in Asia – Quanto è difficile per l’Europa staccare la spina dalla Cina ue
I titoli di oggi: Quanto è difficile per l’Europa staccare la spina dalla Cina Via la “propaganda politicizzata” dalle sedi delle ambasciate cinesi Huawei aumenta l’interesse nei settori tradizionali delle città cinesi Comici multati dalle autorità per una battuta sull’esercito cinese Al via il primo corso di formazione per i funzionari locali cinese Disaccoppiamento o de-risking? L’Unione europea è alla ...

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ECUADOR. Muerte Cruzada. I blindati dell’esercito circondano il palazzo della presidenza


Il presidente Guillermo Lasso ha sciolto il parlamento e chiesto nuove elezioni. Università e scuole sospendono le attività. Ora la parola alla Corte Costituzionale L'articolo ECUADOR. Muerte Cruzada. I blindati dell’esercito circondano il palazzo della

di Davide Matrone –

Pagine Esteri, 18 maggio 2023.

Ecuador: scioglimento delle Camere ed elezioni anticipate

di Davide Matrone

Muerte Cruzada

Il Presidente della Repubblica dell’Ecuador, Guillermo Lasso ha firmato la Muerte Cruzada come prevede l’articolo 148 della Costituzione Politica dell’Ecuador in vigore dal 2008. Alle ore 7 della mattina del 17 maggio il Presidente della Repubblica in un discorso della durata di quasi 15 minuti, ha annunciato lo scioglimento delle Camere e quindi le elezioni anticipate.

“Ecuadoriani! L’Ecuador ha la necessità di un nuovo patto politico e sociale che gli permette di uscire fuori dalla grave crisi politica in cui si trova e che ogni giorno di più si rende insostenibile”, queste le prime parole del discorso alla nazione del Presidente in presenza dei rappresentanti del Gabinetto Presidenziale. Durante l’annuncio un’assenza ha fatto colpo: quella del Vicepresidente della Repubblica Alfredo Borrero che ha raggiunto Lasso solo in un secondo momento al Palacio Carondelet. Al momento nessuna chiarificazione rispetto a questa importante assenza.

La causa per la quale si è applicata la Muerte Cruzada di ieri è la terza secondo la quale si aziona quando c’è crisi politica e grave difficoltà interna. Tuttavia, ci sono delle voci contrarie da parte dell’opposizione che dichiarano che lo scioglimento delle Camere è incostituzionale in quanto non si applicherebbe in nessuno dei casi consentiti dalla Costituzione. Molti esponenti politici ieri hanno dichiarato che quest’atto imporvviso avviene perché il Presidente non vuole sottoporsi all’impeachment. A sostenere questa posizione c’è l’ex candidato alla Presidenza Rabascall ed anche l’ex Presidente della Repubblica, Rafael Correa. Inoltre, altri politici di Pachakutik sostengono che c’erano molte probabilità che Lasso venisse destituito dal Parlamento perché vi era una maggioranza che superasse i 92 voti sufficienti per la mozione di sfiducia.

Giudizio Politico

Con quest’atto, si pone fine a un periodo di ingovernabilità nel paese che non aveva altri sbocchi. Ieri, inoltre, si era insediata la seduta parlamentare per continuare il giudizio politico contro Lasso accusato da una parte del Parlamento di appropiazione indebita per un contratto della compagnia pubblica di trasporto petrolifero Flopec e Amazon Tanker. L’evento di ieri era giàentrato nella storia politica del paese in quanto è stata la prima volta nella storia del paese che un Presidente dovesse presentarsi in Parlamento e difendersi da gravi accuse da parte del Parlamento. Il Presidente ha pronunciato un intervento di 50 minuti (aveva a disposizione 3 ore secondo il regolamento dell’Assemblea) e non ha dato risposte e chiarificazioni convincenti rispetto alle accuse contro di lui. Piuttosto ha cercato di difendersi attaccando quegli assembleisti che l’hanno ostacolato e appoggiato l’impeachment. La sua affermazione “vi accuso” ripetuta in più occasioni, è diventata addirittura virale nelle reti sociali del paese in poco tempo e per qualche ora. Lasso si è autoproclamato assolutamente innocente in quanto le accuse sono infondate e “sostenute da un’assoluta immaginazione” e accusa i legislatori delle opposizione di essere stati ossessionati contro di lui e contro il suo governo, di aver voluto ostinatamente prendere il potere in 4 occasioni perché spinti dal rancore. Infine li accusa per aver trascorso più tempo a costruire il processo contro di lui che a fare leggi per il bene del paese. Il giudizio politico contro Lasso, si costituisce dopo una serie di ricerche effettuate dal mezzo di comunicazione digitale La Posta che aveva scoperto una fitta trama di corruzione in cui presumibilmente ci sarebbe stato il coinvolgimento del Presidente e di altri funzionari del Governo. Una volta depositati gli atti al Parlamento dell’Ecuador, quest’ultimo ha costituito una Commisione d’Inchiesta parlamentare che ha lavorato per un tempo fino a giungere alla conclusione che bisognasse continuare il processo politico. In due occasioni il Parlamento ha votato a favore del proseguimento dell’impeachment. Dall’inchiesta del mezzo La Posta a ieri son trascorsi 4 mesi; un tempo sufficiente a erosionare quel poco di leggitimità di cui “godeva” Presidente Lasso. Secondo l’ultimo sondaggio dell’impresa Market si riscontrava una disapprovazione del 82.6% da parte del popolo dell’Ecuador verso la gestione del governo in carica. Due i punti maggiormente criticati: la gestione economica e la questione della sicurezza.

Le prime reazioni

Una volta firmato lo scioglimento delle Camere si sono registrate una serie di eventi importanti. Il primo è stato quello delle Forze Armate che in forma congiunta hanno dichiarato di voler rispettare la Costituzione e la legge del paese e di non avere nessun altro interesse se non quello di vigilare per il bene degli ecuadoriani. Questa presa di posizione è stata poi accompagnata dall’arrivo di blindati e dell’esercito alla capitale Quito che hanno circondato il Palacio Carondelet (sede della Presidenza della Repubblica), i Ministeri e tutte le principali Istituzioni dell’Ecuador. Dopo si sono susseguite una serie di dichiarazioni da parte di alcuni Ministri tra i quali quelle della Ministra dell’Educazione che ha dichiarato che nel paese le attività scolastiche sarebbero continuate con regolarità. Tuttavia, nella stessa giornata di ieri alcune scuole elementari e medie, situate nel centro storico della città e in prossimità dei Ministeri, hanno interrotto le loro attivitá didattiche. Lo stesso ha fatto l’Università Centrale dell’Ecuador che attraverso un comunicato ha dichiarato la sospensione temporanea dei lavori accademici. La CONAIE alle ore 14.00, attraverso il suo presidente Leonidas Iza ha convocato tutta la sua base all’unità convocando l’Assemblea Permanente dei Popoli Indigeni dell’Ecuador. Il già ex presidente del Parlamento Virgilio Saquisela ha dichiarato di rispettare l’atto presidenziale e di attendere con responsabilità il verdetto della Corte Costituzionale che dovrà pronunciarsi in queste ore. Nella stessa giornata di ieri, inoltre, si è registrata la presenza di rappresentanti diplomatici di paesi stranieri che si sono recati al Palazzo Presidenziale dell’Ecuador.

Prossimi sviluppi

Dopo quanto successo ieri, si possono presentare vari scenari. Il primo: la Corte Costituzionale dell’Ecuador potrebbe accogliere la muerte cruzada e quindi proseguire con il processo di convocazione di elezioni anrticipate. In questo caso entrerebbe già in azione il Consiglio Nazionale Elettorale che in una settimana comincerà il processo elettorale. Il paese, nel frattempo, sarà governato per un periodo di 6 mesi dal Presidente Lasso che attraverso decreti presidenziali governerà l’ordinario. Questo sembra essere lo scenario più probabile al momento. Il secondo: la Corte Costituzionale potrebbe respingere per inconstituzionalità la muerte cruzada e quindi si ritornerà al Parlamento che continuerà con l’impeachment presidenziale. Terzo e quarto caso: Convocazione di manifestazioni di piazza o scioperi che porterebbero ad un’ulteriore crisi politica e sociale e una risposta autoritaria del governo. Al momento questa pista è da scartare cosi come quella dell’intervento dei militari e l’istaurazione di un regime militare.

Al momento, c’è sicuramente incertezza e preoccupazione in Ecuador. Un paese che attraversa una grave crisi sociale con l’aumento esponenziale della criminalità in tutto il paese e in particolare nelle Regioni di Esmeraldas, del Guayas e di Santo Domingo dove le bande criminali hanno conquistato sempre più territori. Nel frattempo giá emergono alcuni nomi dei primi candidati presidenziali come quello di Fernando Villavicencio vicino al Presidente Lasso, dell’avvocato di Guayaquil Pedro Granja e riappaiono alcune figure politiche che si sono già candidati a elezioni municipali e politiche come Yaku Perez (al quasi ballottaggio alle elezioni del 2021), Hervas candidato a sindaco di Quito. Nelle prossime ore, con il pronunciamento della Corte Costituzionale avremo più chiara la situazione in un paese sempre più in balie delle onde.

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Terza e ultima giornata di Forum PA!
Il Capo del Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali del Ministero dell’Istruzione e del Merito, Jacopo Greco, interverrà oggi, nell’Arena del Forum, all’evento dal titolo “PNRR e Coesione: com…


1946-2023: i 77 anni dello statuto speciale della Regione Siciliana – 19 maggio 2023


Terzo appuntamento del ciclo di incontri organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi a celebrazione dei 77 anni dello Statuto Speciale della Regione Siciliana Venerdì 19 maggio 2023 – ore 11.00 Istituto di Istruzione Superiore “G. Galilei – T. Campailla” P

Terzo appuntamento del ciclo di incontri organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi a celebrazione dei 77 anni dello Statuto Speciale della Regione Siciliana

Venerdì 19 maggio 2023 – ore 11.00
Istituto di Istruzione Superiore “G. Galilei – T. Campailla” Piazzale Baden Powell, 10 – 97015 Modica (RG)

Relatori: Marco Sammito, Giuseppe Tringali, Gian Marco Bovenzi

Approfondisci l’intero ciclo di seminari

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Li Hui in Ucraina, Xi riceve a Xi’an i leader dell’Asia centrale


Li Hui in Ucraina, Xi riceve a Xi’an i leader dell’Asia centrale ucraina
L'inviato speciale incontra il ministro degli Esteri ucraino Kuleba, nel viaggio cinese a Kiev più rilevante da febbraio 2022. Intanto, nell'antica capitale della Via della Seta va in scena il primo summit tra i leader di Pechino e delle 5 repubbliche ex sovietiche senza la Russia

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Dialoghi: Pechino e il mondo: quali lingue straniere si studiano in Cina?


Dialoghi: Pechino e il mondo: quali lingue straniere si studiano in Cina? lingue straniere
Tra studenti all’estero e studenti “da app”, la storia delle lingue straniere in Cina racconta un percorso fatto di interessi individuali e di relazioni internazionali che danno forma al mondo del lavoro e della cultura di oggi. “Dialoghi” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano

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Alla popolazione dei comuni dell'Emilia Romagna sommersi da acqua e fango e ai familiari delle vittime esprimiamo la solidarietà e il cordoglio del Partito del


“Si è  parlato in queste ore in comunicati stampa e/o in dichiarazioni televisive e social che l’effetto Meloni non si è esaurito ed il contrario;


Proiezione HACKING JUSTICE
v.o. sub ita. 89 min.
ingresso libero gratuito

Sala CGIL
Via E. Dandolo 8

22 maggio 2023
Ore 20.



La Meloni ha morso il cane autieuropeista, ma i giornali hanno ignorato la notizia


Secondo una cattiva interpretazione della vecchia regola per cui a fare notizia non è il cane che morde l’uomo, ma l’uomo che morde il cane, i giornali hanno bellamente ignorato il discorso pronunciato ieri da Giorgia Meloni al Consiglio d’Europa riunito

Secondo una cattiva interpretazione della vecchia regola per cui a fare notizia non è il cane che morde l’uomo, ma l’uomo che morde il cane, i giornali hanno bellamente ignorato il discorso pronunciato ieri da Giorgia Meloni al Consiglio d’Europa riunito a Reykjavik. C’è da credere che se il presidente del Consiglio italiano avesse parlato male dell’Europa la notizia sarebbe stata colta e, per così dire, valorizzata. Ne ha invece parlato bene, benissimo, e di conseguenza nessuno ne ha dato conto. Eppure, la professione di europeismo enunciata da un leader politico sostanzialmente antieuropeista fino allo scorso semestre dovrebbe avere valore di notizia non meno dell’uomo che morde il cane.

Infatti ha morso, Giorgia a Meloni, eccome se ha morso. La Giorgia Meloni presidente del Consiglio ha letteralmente sbranato la Giorgia Meloni leader dell’opposizione, fino a cancellarne ogni passata traccia politica. Del resto, che qualcosa di profondo fosse cambiato l’ha detto all’inizio del suo discorso islandese. “La guerra in Ucraina – ha esordito Meloni, evidentemente riferendosi alle aspettative di pace – ha messo in discussione certezze sulle quali ci eravamo per troppo tempo ingenuamente adagiati”. Con l’attacco militare di Putin a Kiev tutto è, appunto, cambiato. Più o meno quello che è successo con il passaggio della Meloni dall’irresponsabilità dell’opposizione alle responsabilità del governo. E infatti: “Il Consiglio d’Europa – ha detto la premier davanti ai capi di Stato e di governo dei paesi membri – è la casa di tutti gli europei” ed “europea è la nostra comune identità”. Un’identità “fondata sui valori di libertà, democrazia, giustizia, uguaglianza tra gli uomini”. Valori che “l’eroico popolo ucraino” sta difendendo in prima persona al posto nostro.

Il cambio di paradigma è netto, radicale. Giorgia Meloni si è evidentemente resa conto del fatto che non è pensabile governare l’Italia contro l’Europa e ha di conseguenza innestato la retromarcia. Per un decennio ha fatto leva sulla vecchia identità post missina, per un decennio ha alimentato l’euroscetticismo, per un decennio ha cavalcato ogni onda che si levava dalla società per andare ad infrangersi contro l’establishment. Soprattutto contro “l’establishment tecnocratico europeo”. Poi, più nulla.

Che sia realpolitik o reale convinzione è difficile dirlo. Certo è che da quando si trova a capo del governo Giorgia Meloni ha ribaltato i canoni della propria narrazione pubblica nel tentativo evidente di rassicurare i partner e di dare una nuova identità a se stessa e al proprio partito. Quella di Meloni è un’operazione a cavallo tra politica e cultura. Un’operazione eminentemente identitaria, utile tanto a lei quanto all’Italia. Ma se i giornali continuano ad ignorarla rischia di rivelarsi un’operazione clandestina.

Huffington Post

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Amnesty: numero delle esecuzioni nel 2022 è il più alto da cinque anni


L'organizzazione per i diritti umani ha registrato 883 esecuzioni in 20 Stati, con un aumento del 53% rispetto al 2021. L'articolo Amnesty: numero delle esecuzioni nel 2022 è il più alto da cinque anni proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/

Comunicato di Amnesty International

Pagine Esteri, 17 maggio 2023 – Hakamada Iwao, giapponese ormai quasi novantenne, ha trascorso 45 anni nel braccio della morte, perlopiù in isolamento. Amnesty International segue la sua vicenda da decenni, perché Hakamada non solo è stato il prigioniero che ha trascorso più tempo al mondo in un braccio della morte, ma anche perché la sua è la condanna di un innocente.

Nel 1968 Hakamada è stato giudicato colpevole dell’omicidio del suo datore di lavoro, della moglie e dei loro due figli. Per i decenni successivi, ha lottato per dimostrare che la sua confessione di colpevolezza era stata estorta dopo interminabili interrogatori gestiti con costanti pestaggi e intimidazioni. Dopo alterne vicende giudiziarie, uscito dal braccio della morte nel 2014, finalmente nelle ultime settimane l’Alta Corte di Tokio ha ammesso che ha diritto a un nuovo processo.

Proprio quando la Dichiarazione universale dei diritti umani compie 75 anni, la notizia della revisione del processo di Hakamada apre alla speranza di un lieto fine per questa storia lunga quasi mezzo secolo. Un lieto fine che è frutto anche dell’impegno incessante di Amnesty International contro la pena di morte e altre violazioni dei diritti umani. Per sostenere ogni giorno questo impegno, fondamentale è stato il supporto di chi negli anni ha donato all’Organizzazione il suo 5×1000. “Per molti anni, attraverso il 5×1000 in favore di Amnesty International Italia, abbiamo finanziato iniziative, mobilitazioni, appelli ed eventi in favore di Hakamada Iwao. Anche grazie alle tante persone che hanno deciso di sostenerci in questo modo, finalmente ce l’abbiamo fatta” dichiara Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.

Scrivere ancora tante altre storie a lieto fine: questo l’impegno dell’Organizzazione, che ha di recente pubblicato il Rapporto annuale sulla pena di morte nel mondo. Dall’analisi di Amnesty International, emerge come il numero delle esecuzioni registrate nel 2022 sia il più alto da cinque anni. L’organizzazione per i diritti umani ha registrato 883 esecuzioni in 20 stati, con un aumento del 53% rispetto al 2021. Il notevole incremento, che non tiene conto delle migliaia di condanne a morte presumibilmente eseguite in Cina, i cui dati rimangono un segreto di stato, dipende dagli stati dell’area Medio Oriente – Africa del Nord, il cui totale è salito da 520 nel 2021 a 825 nel 2022. Nell’ultimo anno, sono cinque gli stati in cui sono state riprese le esecuzioni: Afghanistan, Kuwait, Myanmar, Palestina e Singapore.

“Non si può mai accettare – spiega Noury – che lo stato uccida per mostrare che non si deve uccidere. Ma quando a rischiare l’esecuzione è un innocente o addirittura viene messo a morte un innocente, è ancora più inaccettabile. Hakamada Iwao per ora è salvo. La vita di tante persone, condannate alla pena capitale per reati che non hanno commesso, è ancora in pericolo: come quella dello scienziato Ahmadreza Djajali, che da sette anni rischia l’impiccagione per ciò che non ha mai fatto: la spia. Per questo, il 5×1000 in favore di Amnesty International Italia può salvare vite umane”.

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⏰ Domani, 18 maggio, l’ultimo appuntamento per quest’anno scolastico con L'Ora di Costituzione!

Oltre al Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato Alberto Balboni, ci sarà anche il Prof.



Gerusalemme. Cala popolazione ebraica, cresce quella palestinese


La maggioranza ebraica della città è passata dal 60,4% alla fine del 2020 al 59,7% alla fine del 2021. E si stima che sia ulteriormente scesa nel 2023. I palestinesi sono il 38,9%. L'articolo Gerusalemme. Cala popolazione ebraica, cresce quella palestine

della redazione

Pagine Esteri, 17 maggio 2023 – La maggioranza ebraica di Gerusalemme continua a ridursi nonostante l’alto tasso di natalità nel settore haredi (religioso ultraortodosso), secondo i dati diffusi dall’Ufficio centrale di statistica israeliano (CBS).

Alla fine del 2021, riferisce il CBS, i residenti erano complessivamente 966.200, di cui 576.600 ebrei, pari al 59,7% della popolazione totale, 375.600 arabi (38,9% del totale) – di cui 362.600 musulmani e 12.900 Cristiani – insieme a 3.500 cristiani non arabi (0,4%) e 10.500 residenti senza classificazione religiosa (1,1%).

La maggioranza ebraica della città è passata dal 60,4%, alla fine del 2020, al 59,7% alla fine del 2021. E si stima che sia ulteriormente scesa nel 2023. Si tratta del margine più stretto per la maggioranza ebraica nella città da quando nel 1967 Israele ha occupato militarmente la zona araba di Gerusalemme proclamandola unilateralmente e contro le leggi internazionali parre della sua capitale unita.

La comunità haredi costituisce circa il 48% della popolazione ebraica di Gerusalemme e circa il 29% della popolazione complessiva della città. Dei 322.800 ebrei di età pari o superiore a 20 anni che vivono a Gerusalemme, il 19% si dichiara come laico (62.400), il 25% tradizionalista (81.800), il 20% come religioso (65.600) e il 35% come haredi (113.100).

Nel 2021, l’età media tra i residenti di Gerusalemme era di 24,2 anni, con i ragazzi sotto i 14 anni che costituiscono il 33% della popolazione totale della città.

La città ha un alto tasso di fertilità complessivo, pari a 3,9. Tra le donne ebree a Gerusalemme il tasso di fertilità è 4,4, superiore a quello delle donne arabe a Gerusalemme, pari 3,1.
Nel 2021, il 39% delle famiglie che vivevano a Gerusalemme (125.900) era al di sotto della soglia di povertà, insieme al 51% dei bambini (202.400).

Il tasso di povertà a Gerusalemme è particolarmente alto: il 21% delle famiglie e il 28% dei bambini. La povertà a Gerusalemme è diffusa tra le popolazioni haredi e nei quartieri arabi. Pagine Esteri

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Data Breach in Malta: Company must disclose source within 20 days or face penalties


Violazione dei dati a Malta: L'azienda deve rivelare la fonte entro 20 giorni o incorrere in sanzioni L'Autorità maltese per la protezione dei dati (IDPC) ha intrapreso un'azione decisiva contro C-PLANET, la società informatica responsabile di una violazione dei dati degli elettori a Malta. Leak of personal voter data in Malta


noyb.eu/en/data-breach-malta-c…



Gli occupati nel settore pubblico in Italia sono sempre meno, in assoluto e rispetto agli altri paesi europei, e sempre più precari. IL rapporto Fpa presentat



I conti non tornano e la proposta di legge Calderoli sull’autonomia differenziata, pomposamente presentata dal Ministro per gli Affari Regionali e frettolosam


1946-2023: i 77 anni dello statuto speciale della Regione Siciliana – 17 maggio 2023


Secondo appuntamento del ciclo di incontri organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi a celebrazione dei 77 anni dello Statuto Speciale della Regione Siciliana Mercoledì 17 maggio 2023 – ore 16.00 Villa Piccolo – Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella

Secondo appuntamento del ciclo di incontri organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi a celebrazione dei 77 anni dello Statuto Speciale della Regione Siciliana

Mercoledì 17 maggio 2023 – ore 16.00
Villa Piccolo – Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella
S.S. 113, km 109, 98071 Capo d’Orlando (ME)

Relatori: Andrea Pruiti Ciarello, Gian Marco Bovenzi

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“Non diamoci del tu”, Benedetto a Pescara con il saggio sulla separazione delle carriere – Il Centro


Giornale Il Centro L'articolo “Non diamoci del tu”, Benedetto a Pescara con il saggio sulla separazione delle carriere – Il Centro proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/non-diamoci-del-tu-benedetto-a-pescara-con-il-


Al via la seconda giornata di Forum PA!

Il Ministro Giuseppe Valditara sarà presente oggi alle 14.30, nell’Arena del Forum, dove si parlerà delle novità in campo per la scuola, a partire dal Piano di semplificazioni recentemente approvato.



Oggi è la Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia, istituita con risoluzione del Parlamento Europeo del 26 aprile 2007.


Ereditare


Per i beni che si ricevono in eredità, l’Italia è un paradiso fiscale. E siccome i paradisi sono migliori degli inferni, sarebbe bello goderselo. Se non fosse che quel paradiso coabita con l’inferno della pressione fiscale complessiva, aggravato da un’ele

Per i beni che si ricevono in eredità, l’Italia è un paradiso fiscale. E siccome i paradisi sono migliori degli inferni, sarebbe bello goderselo. Se non fosse che quel paradiso coabita con l’inferno della pressione fiscale complessiva, aggravato da un’elevata evasione fiscale, il che rende l’inferno degli onesti ulteriormente demoniaco. Paghiamo meno degli altri europei sulle eredità, ma ereditiamo un sistema fortemente squilibrato, tassando alla grande il lavoro e meno le rendite. E mentre la tassazione del lavoro è progressiva – come la Costituzione vuole (articolo 53) – il resto non lo è. Il che avvantaggia i patrimoni più ricchi.

Il valore netto di quel che si riceve in eredità, quindi detratti eventuali debiti, è esente da tassazione fino a 1 milione di euro. Dopo di che si paga il 4% fisso, non progressivo. In tutti i grandi Paesi europei la franchigia è inferiore e l’aliquota superiore. Ma, ripeto, non c’è motivo di volersi allineare. O forse c’è, ma va cercato nella distribuzione del peso fiscale.

Quanti studiano i sistemi fiscali osservano gli effetti dell’andamento demografico sul prelievo, presente e futuro. Da ultimo circola un approfondimento del Joint Research Centre, che fa capo alla Commissione europea. Parentesi: la Commissione Ue non tassa nessuno; la materia fiscale non è di competenza Ue; gli studi si riferiscono alla sostenibilità dei rispettivi sistemi di riscossione e spesa; è privo di senso lamentarsi perché in Ue c’è concorrenza fiscale e poi lamentarsi per ogni suggerimento di omogenizzazione fiscale. Ma capisco che già si fa troppo complicato per chi ama la propaganda a tre palle un soldo, con il soldo che manco è proprio ma del contribuente. Tutti quegli studi convergono sull’ovvio: se i lavoratori diminuiscono di numero, aumentando gli ex lavoratori che percepiscono una rendita (denominata pensione) i soldi si dovrà andarli a prendere da un’altra parte, ad esempio nei patrimoni ereditati.

Per chi, come noi in Italia, tassa forsennatamente il lavoro e abita paradisi per le successioni, quell’effetto di spiazzamento diventa ancora più grande. Ed è questa la ragione per cui vale la pena pensarci, non perché lo chiede questo o quello. Che, peraltro, non fa che argomentare l’evidenza.

Pensarci non significa tassare di più. Anzi, direi che è a non pensarci che si dovrà poi tassare di più. Che fare? I grandi patrimoni si organizzano da soli, con attrezzati consulenti fiscali. Essendo poco tassati, quando evadono lo fanno per vocazione. I patrimoni familiari sono, per lo più, composti da immobili e qualche risparmio. Gli immobili subiscono anch’essi l’effetto della leva demografica, sicché sempre meno cittadini ereditano sempre più case, che non è affatto detto si trovino dove servono loro. Ciascuno, con quel che è proprio, fa quello che gli pare, ma il patrimonio è anche un costo e quando erode una parte eccessiva dei guadagni non ha senso chiedere bonus e defiscalizzazioni, perché si traducono in maggiore pressione fiscale sui guadagni da lavoro. Mentre è ragionevole non favorire l’immobilizzazione del patrimonio, favorendone la rimessa in circolazione. Quindi aggiornamento del catasto (anche per beccare gli evasori), riqualificazione per evitare di muoversi fra ruderi, messa a reddito o vendita. Ma siccome ciascuno deve continuare a fare quel che vuole, tassare maggiormente quel che non si è guadagnato rispetto a quel che si guadagna non è che sia una bestemmia. Tanto più che ci pensava anche Luigi Einaudi, non propriamente un bolscevico.

L’obiettivo, però, non deve essere quello – perverso – di inseguire la spesa con il gettito, bensì quello di far scendere la spesa corrente per diminuire il bisogno di gettito. Che non significa meno sanità, ma migliore spesa sanitaria e minore regalia di pensioni non basate su contributi versati. Altrimenti si ricevono in eredità squilibri e debiti, solo che – al contrario di quel che avviene in privato – in questo caso non è possibile rinunciare all’eredità.

La Ragione

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EuroPace


Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, non parla e non viaggia per tenere normali rapporti fra Stati. La sua è una condizione molto particolare: guida il Paese che sta combattendo contro un’aggressione, utilizzando le nostre armi. Ma la sua condizione

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, non parla e non viaggia per tenere normali rapporti fra Stati. La sua è una condizione molto particolare: guida il Paese che sta combattendo contro un’aggressione, utilizzando le nostre armi. Ma la sua condizione ha anche un altro aspetto: guida un popolo che sta dando il suo sangue, per evitare che per difendere i nostri interessi e il nostro ordine internazionale si debba versare il nostro sangue. Per questo è stata avviata la procedura accelerata d’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea, affinché si tratti di armi e di sangue fra concittadini.

Ma c’è ancora un altro aspetto che caratterizza le numerose visite dei governanti europei in Ucraina e questa di Zelensky in Italia e in altri Paesi dell’Ue: l’aggressione russa ha creato un collante schiettamente politico fra europei, dando all’Unione un ruolo e un peso internazionali che non aveva. E ha creato un discrimine che non assorbe le altre – numerose e positive – differenze politiche fra partiti e culture europee, ma le sovrasta: il sostegno all’Ucraina è il comune denominatore di tutte le forze che non si sono allineate ai desideri dell’invasore russo. E questo cambia la storia.

Il maggior sostegno agli ucraini è giunto e giungerà dagli Stati Uniti. Anche in questo la scelta di Putin è stata suicida, visto che venivamo da anni in cui l’Atlantico s’era allargato. Ma la scelta immediata di tutte le democrazie occidentali, di non offrire alcuno spiraglio alle divisioni, è quella che ha segnato la sconfitta, militare e politica, della Russia. Non oggi, ma il giorno dopo la criminale invasione. Putin ha investito, soldi e influenze, sulle nostre divisioni, ma ha perso la scommessa e a dividersi è il suo mondo. Posto ciò, che non è affatto poco, ci sono tre cose che sappiamo fin dall’inizio. Tre cose imprescindibili per una pace che stabilizzi l’ordine internazionale.

1. La partita non si gioca sul campo di battaglia. Su quello la carneficina può andare avanti ancora a lungo. Gli aiuti occidentali servono proprio ad evitare che la supremazia bellica e numerica della Russia si traduca nella sua vittoria. Nel corso della guerra, inoltre, abbiamo imparato che militari e mercenari russi non difettano in ferocia, non lesinano crimini, ma sono l’opposto di un’armata invincibile, tarlati dalla corruzione e compensanti l’impreparazione con la strage dei loro giovani. La pace, comunque, non arriverà dalle trincee.

2. È rilevante il ruolo cinese. Su quel fronte l’iniziativa di pace è stata europea, cosa di cui va reso merito al presidente francese, Emanuel Macron, e alla non irrilevante e contemporanea iniziativa della Commissione europea, con Ursula von der Leyen. La Cina, dal canto suo, coglie due opportunità: usa il suicidio di Putin per nuocere all’Occidente e incassa da quel suicidio influenza asiatica, che si espande. Quindi la Cina non è in ritardo, ma sincrona ai propri interessi. Il ruolo delle nostre diplomazie è chiarire i limiti di quell’imperiale ambizione. Quando sarà messa a fuoco la pace sarà vicina e tutto si potrà negoziare.

3. Ma questo porta alla terza evidenza: la Russia ne uscirà politicamente distrutta e militarmente umiliata. Il pericolo è che il sapore della fine inneschi il desiderio di distruzione atomica, ma non lo si contiene cedendo. In quel modo lo si incentiva. Ciò significa che, finita questa storia, toccherà a noi occidentali difendere gli interessi e l’identità dei russi, altrimenti destinati al vassallaggio cinese. Cosa che è contro i nostri interessi e contro l’equilibrio dell’intera area. Il russofobo è Putin.

Zelensky, che oggi arriva a Roma, non è, quindi, un ospite straniero da onorare, ma un pezzo della nostra storia e del nostro futuro, che abbiamo il dovere e l’onere di difendere.

In quanto al rifiuto della guerra, che anima anime per niente belle: lo dicano a chi l’ha scatenata. Far vincere l’aggressore non porta alla pace, ma alla peggiore delle guerre. Pacifisti siamo noi, che ci sentiamo ucraini.

La Ragione

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Ben(e)detto – 17 maggio 2023


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In Cina e Asia – La ripresa economica cinese potrebbe richiedere più del previsto


In Cina e Asia – La ripresa economica cinese potrebbe richiedere più del previsto economia
I titoli di oggi:

La ripresa economica cinese potrebbe richiedere più del previsto
Cina, chiude un’altra organizzazione per i diritti Lgbq+
Biden riduce la visita in Asia, e salta il Quad
Arrestato a Shanghai il centrocampista sudcoreano Son Jun-Ho
Sentenza fino a 4 anni di carcere per gli attivisti pro-democrazia di Hong Kong
Hong Kong, le biblioteche pubbliche cancellano il massacro di Tiananmen
Gli Usa avviano procedimenti penali contro il furto di tecnologia
La ripresa economica cinese potrebbe richiedere più del previsto

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A Shanwei un esercito arrabbiato di rider contro Meituan


A Shanwei un esercito arrabbiato di rider contro Meituan rider
Dopo lo sciopero dei rider a Shanwei aumenta la paga per le consegne, ma la compagnia porta in città un camion di crumiri, e lega il compenso alla valutazione dei lavoratori da parte degli utenti sull’app

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AMBIENTE. Isabella Pratesi (Wwf): il 68% degli ecosistemi italiani è in pericolo


Intervista a Isabella Pratesi, direttrice del programma conservazione del Wwf- In Italia – denuncia - c’è un problema di governance ambientale’. L'articolo AMBIENTE. Isabella Pratesi (Wwf): il 68% degli ecosistemi italiani è in pericolo proviene da Pagin

di Daniela Volpecina

Pagine Esteri, 16 maggio 2023. Migliaia di attivisti del Wwf, provenienti da tutta Italia, si sono incontrati a Caserta per il Forum nazionale dei volontari. Nel corso di questa due giorni è stato presentato il report ‘Biodiversità fragile, maneggiare con cura’. Ne è emerso un quadro preoccupante: il 68% degli ecosistemi italiani è in pericolo. Il 57% dei fiumi e l’80% dei laghi si trovano in uno stato ecologico non buono. Il 25% delle specie animali marine del Mediterraneo è a rischio estinzione. Chi è responsabile di tutto ciò? Quali sono le best practices da mettere in campo per ridurre gli effetti di questo disastro? Cosa sta facendo il governo italiano per invertire la rotta? A queste e a tante altre domande ha risposto Isabella Pratesi, direttrice del programma conservazione del Wwf, con la quale abbiamo affrontato anche la vicenda degli orsi in Trentino, la privatizzazione delle risorse idriche, l’emergenza climatica, la crescente desertificazione dei suoli e i numerosi dossier aperti sul tavolo del Ministero dell’Ambiente ancora in attesa di una risposta. ‘In Italia – denuncia Pratesi – c’è un problema di governance ambientale’. Tutti i dettagli in questa intervista.

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Nella Turchia di Erdogan con una poesia si rischia l’ergastolo


Il poema di un teorico marxista morto negli anni '70, alcune considerazioni personali sulla Palestina, una foto con i ritratti dei membri di una band musicale. È bastato questo per riportare Ayten Öztürk a processo. L'articolo Nella Turchia di Erdogan co

di Eliana Riva

[Questo articolo è stato pubblicato la prima volta su Pagine Esteri il giorno 12 maggio 2023. A causa di un attacco hacker avvenuto il giorno successivo, il pezzo è andato perduto. Lo ripubblichiamo oggi]

Il sogno dell’isolano in cella

[…]

La mia isola è boscosa.

Una foresta di amicizia, cameratismo, cavalleria,

copre tutta la mia isola.

Il sole della grazia illumina l’uomo ventiquattro ore al giorno.

Noi isolani non conosciamo il buio.

Sono un isolano, maledetta cella, isolano.

Giusto. Come potresti conoscere la mia isola, cella millenaria, feudale, militarista.

E tu, che ti muovi e ti gonfi fino a sembrare un bue.

Invidioso mostro rana, conosci la mia isola?

Il mondo è oscuro, un’isola così dove il sole non tramonta mai

non esiste sulla terra.

Giusto, nano delle tenebre, povero disgraziato?

E tu, poeta dei pipistrelli, pietoso Cacomcho?

Non esiste un’isola del genere, né nelle poesie, né nelle fiabe.

Un’isola del genere è contro la natura delle cose.

Non è così per te, poeta delle tenebre?

Quello che dici non è contro la natura delle cose, ma contro la natura delle tenebre.

I nani delle tenebre, i vecchi bisbetici, i farabutti…

Saranno esposti nello zoo della Turchia di domani.

[…]

di Mahir Çayan

Pagine Esteri, 12 maggio 2023. Per queste parole pubblicate nel suo libro, per questa poesia di Mahir Çayan, rivoluzionario marxista morto nel 1972, una giovane donna turca è stata accusata di finanziare il terrorismo.

Rischia già 2 ergastoli Ayten Öztürk, confermati in due gradi di giudizio, è ai domiciliari in attesa della sentenza definitiva. È da qui, dalla sua casa di Istanbul, che ha scritto il suo libro “Resistenza e vittoria. Nei centri di tortura segreti del fascismo”, in cui racconta del rapimento, dei 6 mesi di tortura, della prigionia, dei processi farsa.

Abbiamo già parlato di lei su Pagine Esteri, siamo andati a trovarla solo 3 mesi fa, abbiamo raccolto la sua testimonianza, ci ha raccontato tutto quello che ha subito e spiegato perché non intende arretrare. Costi quel che costi.

In Turchia si terranno, tra pochissimi giorni, il 14 maggio, le elezioni. Il partito del presidente Erdoğan, l’Akp, per i sondaggi è al momento secondo, a qualche punto in percentuale di distanza dal Partito Popolare della Repubblica di Kılıçdaroğlu.

Tutto potrebbe accadere. Ma la strada che la Turchia ha da percorrere per raggiungere la democrazia resta un cammino lungo che necessita di un cambiamento di direzione netto. Oggi la Turchia di Erdoğan è quella che in una retata a pochi giorni dal voto arresta 126 persone tra giornalisti, avvocati, artisti, politici, membri della sinistra. L’accusa è sempre la stessa per gli oppositori: terrorismo.

Anche Ayten Öztürk è un’oppositrice politica e fa parte di una minoranza, quella degli aleviti, discriminata e perseguitata dal governo del presidente conservatore.

Nel suo libro “Resistenza e Vittoria. Nei centri di tortura segreti del fascismo”, Ayten ha raccontato la sua storia e ha raccolto pensieri e riflessioni sul suo Paese, la Turchia, sulla sua politica interna e su quella estera. È un libro auto-pubblicato di 313 pagine che comincia così:

“Come le favole, inizio con «C’era una volta»… Ma quello che racconto in questo libro non è una favola. È la verità! Sono esistita e scomparsa in un istante. Questa è la storia di una sparizione durata 6 mesi! L’unica cosa che rimane di me è il filmato della telecamera che mi ha ripreso all’aeroporto libanese, ma il governo del Libano, che ha collaborato con quello turco, ha negato tutto. E così hanno permesso mesi di tortura. Chissà con quali accordi mi hanno consegnata alle autorità turche. Tanto da provare poi a cancellare la mia voce, il mio viso, la mia immagine.

Sei mesi di resistenza dopo il rapimento dal Libano, in una prigione segreta di Ankara, al buio, alla sete, al dolore e alla tortura! Sei mesi di vita che ho perso! A sei mesi il bambino inizia a gattonare. Emette i primi suoni. Le sue mani afferrano gli oggetti. In sei mesi volevano rubarmi la vita, la salute, le aspirazioni.

In sei mesi, hanno cercato di strapparmi a me stessa, ai miei valori e alle mie convinzioni con ogni tipo di tortura: l’elettricità, l’elettroshock, le molestie, il tentativo di stupro, l’abbandono in una bara, l’annegamento, le impiccagioni e le percosse. Ogni parte del mio corpo era livida, gonfia e segnata. Ho perso 25 chili. 898 cicatrici si sono aperte sul mio corpo. Sono stata abbandonata in un campo, in uno stato irriconoscibile.

Perché? Perché sono una rivoluzionaria… Perché lotto per un paese libero, indipendente, uguale e giusto… Perché amo la mia patria, il mio popolo, i miei compagni…”

Ayten si trovava in Siria quando è scoppiata la guerra. Tentava di raggiungere la Grecia facendo scalo a Beirut. All’aeroporto è stata trattenuta e poi consegnata ai servizi segreti turchi cha l’hanno portata,occhi e bocca bendati, ad Ankara. Ci ha raccontato le torture subite, lo sciopero della fame, l’alimentazione forzata e poi l’abbandono in un terreno sul quale la polizia ha finto un casuale ritrovamento. Il direttore del carcere in cui è stata portata si è rifiutato di ammetterla: nonostante nelle ultime settimane fosse stata curata e alimentata forzatamente dai suoi aguzzini, le sue condizioni rimanevano gravi. Così è andata in ospedale, poi in prigione e in fine agli arresti domiciliari.

Rischia due ergastoli con accuse insensate ed è solo in attesa del giudizio definitivo, quello della Corte Suprema. In tribunale è comparso un testimone che l’ha accusata di aver assistito al linciaggio di un uomo, un pedofilo con precedenti penali che è stato aggredito dalla folla. Non è morto. Ayten, dice il testimone, sarebbe stata lì, sul marciapiede opposto a quello dove si stavano svolgendo i fatti e non avrebbe fatto nulla per evitare il pestaggio. Forse anzi, ha dichiarato e poi ritirato il testimone, incitava la folla. Lei nega tutto. Il tribunale l’ha così giudicata: colpevole. E poi ha deciso la condanna: ergastolo.

Il testimone, invece, identificato come uno degli artefici del pestaggio, ha goduto, per la sua dichiarazione, di un importante sconto di pena.

Un altro testimone dice di averla vista nella sede di un’associazione per i diritti umani: l’Associazione per i diritti e le libertà è legale in Turchia e la sede è aperta e accessibile a tutti. Il tribunale l’ha giudicata colpevole di tentare di rovesciare il governo e l’ha condannata all’ergastolo.

Due ergastoli, quindi, confermati in due gradi di giudizio. Tutto dopo aver denunciato le torture. Nonostante ciò, ha continuato a parlare e a denunciare l’accanimento giudiziario, le ingiustizie che sta subendo, così come fanno i suoi avvocati.

Nei primi giorni di Maggio la polizia, che irrompe spesso a casa di Ayten, soprattutto all’alba, ufficialmente per perquisizioni e controlli vari, l’ha interrogata. Sul suo libro, sulla poesia di Mahir Çayan, su ciò che ha scritto sulla Palestina. Una fotografia che Ayten ha pubblicato sui social è stata inclusa come prova nel fascicolo di indagine. Tutte le copie del libro sono state confiscate e la vendita è stata vietata.

È stata avviata un’indagine contro Öztürk per “propaganda a favore di un’organizzazione terroristica”. Il poema di Çayan è stato considerato propaganda per il Partito popolare di Liberazione-Fronte della Turchia, l’organizzazione che lo stesso Çayan fondò insieme ad altre persone nel 1970. L’organizzazione è stata messa al bando. Come prova a sostegno dell’accusa è stata usata la fotografia a cui prima accennavamo: Ayten è nella sua casa e sul muro alle sue spalle pendono delle immagini. Tra le altre ci sono le foto di Helin Bölek e Ibrahim Gökçek. Erano due musicisti, membri della band Grup Yorum, il famoso gruppo folk fu accusato di sostenere il terrorismo. Una delle loro canzoni parla di Çayan. Pochi giorni prima di morire Gökçek scriveva:

“Sono sempre stato un musicista, e ora mi ritrovo a essere un terrorista. Mi hanno preso che ero un chitarrista, e hanno usato le mie dichiarazioni facendo di me uno strumento. Eravamo un gruppo che si esibiva davanti a un milione di persone, siamo diventati dei terroristi ricercati”.

Helin Bölek e İbrahim Gökçek sono entrambi morti di sciopero della fame dopo essere stati arrestati, sempre con l’accusa di sostenere il terrorismo.

In 4 anni, dal 2016 al 2020 1,6 milioni di persone sono state accusate di terrorismo in Turchia[1].

Secondo la polizia turca, però, non solo Ayten sosterrebbe il Partito popolare di Liberazione ma lo finanzierebbe pure, attraverso i proventi della vendita del volume.

Un’altra accusa formulata a partire dal suo libro è quella di “insincerità”. O meglio, è accusata di aver incolpato il suo Paese (il suo governo, in realtà) di non essere stato sincero.

Nella sua deposizione nell’ambito dell’indagine condotta dall’Ufficio investigativo sul terrorismo e sulla criminalità organizzata dell’ufficio del procuratore generale di Istanbul, Öztürk è stata interrogata anche in merito alle valutazioni fatte sulla Palestina.

Il rapporto stilato dalla polizia fa riferimento a uno specifico passaggio all’interno del libro, nel quale Ayten esprime un proprio giudizio sui rapporti intercorsi tra la Turchia e il popolo palestinese. Il rapporto dice “[nel libro viene riportato] che il nostro Paese non era sincero quando affermava di difendere il popolo palestinese e che ciò che è avvenuto a Davos è stato un inganno”.

Nella città svizzera di Davos si è tenuto, nel 2009, il World Economic Forum. Erdoğan era presente e il 29 gennaiopartecipò a un confronto con l’allora presidente israeliano Shimon Peres. Fu molto contrariato dalla gestione dell’evento da parte del moderatore che concesse a Peres di parlare per 25 minuti. 12 furono riservati ad Erdoğan. Quando l’incontro doveva essere già terminato, il presidente turco continuò a chiedere al moderatore di dargli “un minuto” (per questo l’evento è ricordato anche come “un minuto”), prese la parola e accusò senza mezzi termini il presidente israeliano di essere un assassino:

“…lei presidente Peres, ha un tono di voce molto forte e io credo sia perché si sente colpevole. Tu uccidi persone, ricordo i bambini che hai ucciso sulla spiaggia, ricordo due ex premier del tuo paese che dissero che si sentivano molto felici quando entravano in Palestina sui carrarmati […]. Lo trovo molto triste perché ci sono molte persone lì che vengono uccise”.

Terminata la dichiarazione andò via, dicendo che non sarebbe più tornato a Davos. Nel suo Paese fu accolto come un eroe, con bandiere turche e palestinesi che sventolavano insieme. Come si può immaginare, anche nei Territori Palestinesi Occupati lo scontro retorico tra i due ebbe una grande eco. Nei palestinesi sparsi per il Medio Oriente albeggiò la speranza che potesse essere, Erdoğan, la figura forte che li avrebbe difesi da Israele e dall’occidente. Anche nei campi profughi, dove a centinaia di migliaia vivono i palestinesi dalla Nakba, dal 1948, germogliò timida questa fiducia. Ayten era in Siria quando avvenne il confronto di Davos e viveva la vita del campo profughi di Yarmouk, uno dei campi più grandi e popolosi del Medio Oriente, che avrebbe avuto un triste destino, occupato dall’ISIS negli anni della guerra siriana. Nel suo libro ricorda così il campo:

“Questo quartiere, abitato da giovani che se ne stanno senza far niente negli internet café e agli angoli delle strade, da uomini adulti disoccupati seduti davanti ai portoni a fumare e bere tè e caffè tutto il giorno e da donne con il velo che passano con le borse della spesa in mano, puzza di povertà dall’inizio alla fine. Tanto che lo paragonavo ai quartieri poveri di Istanbul. Purtroppo, quando questa povera gente dal cuore grande ci ha accolto, era inebriata dagli inganni turchi di «one minute» e «Davos». Pochi sapevano che quelle cose avevano lo scopo di ottenere un effetto positivo sui popoli del Medio Oriente per poter realizzare lì i propri progetti. Essere dalla parte del popolo palestinese significa essere contro Israele sionista e l’arcinemica America. Ma i legami militari, politici e commerciali che la Turchia ha sia con Israele che con gli Stati Uniti sono bastati a svelare questo inganno”.

Queste parole, pensieri e testimonianze, scritte in un libro autoprodotto e stampato nell’agosto del 2022, potrebbero rappresentare l’ultimo tassello di un quadro di sopraffazione e violenza che toglie la voce alla vittima e magnifica il carnefice, ragno dalle mille zampe che si trascina con comodità sulle mura vischiose e flaccide di una giustizia che in Turchia semplicemente non esiste.

“Il vero crimine non è raccontare ma torturare” ci ha detto Ayten. “Non c’è nulla nel libro che possa essere considerato un reato. Ma aspetto ancora che si apra un’indagine sui torturatori”.


[1] swp-berlin.org/en/publication/…

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#31 / L'UE insegna al mondo come si fa


ll Consiglio approva due pacchetti per la sorveglianza di massa nel settore crypto / Anche a Firenze arriva la "smart city control room" / La Skynet cinese vuole il sangue dei bambini.

L’Unione Europea insegna al mondo come si fa


Con due comunicati ieri il Consiglio dell’Unione Europea ha dichiarato di aver definito la sua posizione in merito a due pacchetti normativi già in discussione da tempo in materia di antiriciclaggio e condivisione di informazioni ai fini tributari tra paesi membri.

Il primo è il pacchetto AML/CFT, cioè antiriciclaggio e contro il finanziamento al terrorismo, di cui avevo scritto anche lo scorso anno.

Chi non si iscrive è uno spione

L'aggiornamento normativo, tra le altre cose, estenderà la "Travel Rule" al mondo crypto e obbligherà gli exchange a identificare ogni utente e tracciare ogni transazione, anche di pochi centesimi.

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Lo scopo è ovviamente avere dati a disposizione per analizzare le transazioni ed eventualmente bloccarle. Migliaia di algoritmi e qualche burocrate saranno incaricati di decidere se quella transazione di 2 dogecoin sia sospetta o meno.

Il problema come al solito non risiede nel mero abuso della privacy, ma nel potenziale abuso di potere e quasi certo elevato tasso di errore di questi sistemi di monitoraggio. Già nel sistema bancario tradizionale fanno acqua da tutte le parti e spesso finiscono per mettere nei guai gente perbene, figuriamoci in un settore estremamente complesso e tecnologico come quello delle crypto. I falsi positivi saranno all’ordine del giorno.

Il secondo punto riguarda invece la Direttiva "DAC", che è una roba di cui sicuramente non avrete mai sentito parlare ma che dal 2011 prevede la comunicazione e condivisione dei nostri dati tra tutti gli stati membri: conti correnti, rapporti commerciali, depositi, e tanto altro. A breve comprenderà anche tutto ciò che riguarda l’uso di cryptovalute.

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Lo scopo in questo caso è fare comunella per rubare il più possibile. Finora gli stati membri hanno avuto qualche difficoltà a mettere le mani sul cripto-gruzzoletto degli europei. Nel frattempo, il processo di criminalizzazione di chi vorrebbe solo essere lasciato in pace è quasi completo.

La Ministra delle finanze svedese, Elisabeth Svantesson, commenta così la buona novella: “The agreement is yet another example of the EU as a leader in the implementation of global standards”.

Grazie Elisabetta, siamo tutti molto felici di essere all’avanguardia della sorveglianza di massa.

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Dopo Venezia, a Firenze una “Smart City Control Room”


Mega-schermi, comode poltrone, qualche dipendente pubblico annoiato con gli occhi rossi. Anche a Firenze arriverà a novembre una stanza dei bottoni da cui poter controllare in tempo reale tutta la città, grazie alle più di 1.600 telecamere diffuse sul territorio.

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A questo si aggiungono le 81 nuove telecamere che saranno posizionate in più di 55 varchi che costituiranno lo “scudo verde” (cioè una ZTL) per monitorare gli ingressi e le uscite dalla città. Il progetto ricorda molto quello dell’Area B di Milano: sorveglianza di massa dei cittadini e di tutti coloro che per qualche motivo saranno costretti a varcare la soglia di Firenze.

Il Sindaco dice che la Control Room “migliorerà anche la gestione di eventi legati al maltempo o alle manifestazioni". Chi l’avrebbe mai detto che per mitigare gli effetti del maltempo sarebbero bastati qualche migliaio di telecamere e una decina di pannelli LCD. Forse in Emilia Romagna dovrebbero installare più telecamere.

Quando leggo queste cose mi chiedo sempre cosa ne pensa chi vive in queste città.

Se fossimo in condizioni di democrazia diretta, come si faceva una volta nelle antiche città greche, siamo sicuri che la maggioranza avrebbe votato per auto-sorvegliarsi in questo modo e per assegnare a qualche burocrate il potere assoluto di decidere chi può circolare e chi invece no?

La Skynet cinese vuole anche neonati e bambini


Il governo cinese ha iniziato a schedare anche neonati e bambini attraverso identificazione biometrica e genetica: impronte digitali, retina, voce e perfino DNA con prelievi del sangue.

Finora gli stati-nazione si erano degnati di risparmiare neonati e bambini dal processo di schedatura legato alla produzione di documenti d’identità, ma è evidente che adesso non basta più. Tutti devono essere nel sistema, il prima possibile.

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Avrà a che fare con l’inizio della fase pilota dello yuan digitale? È possibile, considerando che questa nuova forma di moneta potrà essere usata solo coloro che possiedono un’identità di stato. I bambini iniziano presto a usare i soldi, ancor prima di ricevere il primo documento d’identità. È quindi naturale che debbano essere schedati fin da piccoli.

Meme del giorno


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Citazione del giorno

“Someone must have slandered Josef K., for one morning, without having done anything truly wrong, he was arrested.”

Kafka, Der Process

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Hamas batte Fatah e vince le elezioni studentesche a Nablus


Il Blocco Islamico ha ottenuto 40 seggi, Fatah 38 e 3 il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp, sinistra). L'articolo Hamas batte Fatah e vince le elezioni studentesche a Nablus proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/

della redazione

Pagine Esteri, 16 maggio 2023 – Il Blocco Islamico, gli studenti che fanno capo al movimento islamista Hamas, ha vinto le elezioni dei membri del consiglio studentesco dell’Università Al-Najah di Nablus. E’ la prima vittoria di Hamas in 10 anni nell’università con il più alto numero di iscritti della Cisgiordania, ed è avvenuta a spese della lista presentata dal partito Fatah guidato dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen.

Hamas ha ottenuto 40 seggi, Fatah 38 e 3 il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp, sinistra).

La conquista dell’università di Nablus si aggiunge alla vittoria conseguita un anno fa dal Blocco Islamico all’università di Bir Zeit, considerata il più prestigioso degli atenei palestinesi e un tempo baluardo di Fatah e delle organizzazioni laiche palestinesi.

Le elezioni per il rinnovo dei consigli studenteschi sono ritenute un indicatore delle pulsioni politiche tra i giovani palestinesi. Quelle appena svolte a Nablus confermano peraltro la popolarità crescente di Hamas nelle città autonome in Cisgiordania, amministrate dall’Anp.

La città vecchia di Nablus e il vicino campo profughi di Balata sono due roccaforti della militanza armata contro l’occupazione militare israeliana. Non è raro vedere in città proteste della popolazione contro le operazioni di polizia dell’Anp nei confronti di membri della Fossa dei Leoni, il più popolare tra i gruppi armati palestinesi. Pagine Esteri

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Dal Mediterraneo al Pacifico. Come sarà il summit Nato secondo Peronaci e Smith


Quello di Vilnius sarà un vertice in cui la Nato si concentrerà non solo sulla sfida più immediata, il contrasto all’invasione russa dell’Ucraina, ma anche sulle minacce del prossimo futuro a livello internazionale, dalla deterrenza alla sicurezza informa

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Quello di Vilnius sarà un vertice in cui la Nato si concentrerà non solo sulla sfida più immediata, il contrasto all’invasione russa dell’Ucraina, ma anche sulle minacce del prossimo futuro a livello internazionale, dalla deterrenza alla sicurezza informatica, ai grandi cambiamenti globali. È questa la visione condivisa restituita dai rappresentanti permanenti presso Consiglio Atlantico d’Italia, ambasciatore Marco Peronaci, e degli Stati Uniti d’America, ambasciatrice Julianne Smith, intervistati dal direttore delle riviste Formiche e Airpress Flavia Giacobbe nel corso dell’evento “La Nato verso Vilnius” promosso dalla Nato Public Diplomacy Division e Formiche.

Sfide a 360°

A Vilnius gli alleati riaffermeranno “l’unità e la determinazione nel contrastare la guerra in Ucraina, e verranno prese decisioni strategiche per rafforzare gli assetti organizzativi di medio-lungo periodo”, ha spiegato l’ambasciatore Peronaci, ricordando l’importanza che ha rappresentato la recente visita a Roma del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. “A Vilnius vogliamo lanciare il messaggio che la Nato è più forte oggi rispetto a quando la guerra è iniziata”. Importanti, per Peronaci, saranno anche i partenariati internazionali, sui quali è intervenuta anche l’ambasciatrice Smith: “Non ci concentreremo solo sull’Ucraina, ma avremo uno sguardo a 360°. Vogliamo guardare anche al futuro”. Per la diplomatica Usa, infatti, la Nato può vantare “l’incredibile capacità di creare ed evolvere nuove partnership e rafforzare quelle esistenti” mettendola in condizioni sia di garantire il sostegno di cui l’Ucraina ha bisogno, sia di affrontare le nuove sfide emergenti.

Spese per la Difesa

Per far fronte a queste evoluzioni, sarà ovviamente necessario investire le risorse adeguate, in primis raggiungendo la soglia del 2% del Pil da dedicare alle spese per la Difesa, traguardo che in Lituania potrebbe essere anche elevato verso il 3%. “L’Italia sostiene con forza l’incremento delle spese per la Difesa, e riconfermerà l’impegno verso il 2%” ha assicurato Peronaci, sottolineando come l’Italia abbia un percorso di avvicinamento consolidato anche “dal dato economico secondo cui il nostro Paese crescerà più degli altri” e pertanto siamo fiduciosi di riuscire a raggiungere l’obiettivo. “Ma oltre a vedere quanto si spende, dobbiamo anche vedere come” ha precisato il diplomatico italiano, sottolineando l’importanza dei contributi effettivi italiani alla Nato, dai battlegroup schierati dalla Lettonia alla Bulgaria, fino agli assetti aerei pregiati messi a disposizione dell’Air policing.

Sguardo Indo-Pacifico

Lo sguardo della Nato si allunga anche verso l’Indo-Pacifico, con la previsione fatta a Madrid di inserire per la prima volta la Cina come competitor strategico. “Per la prima volta gli alleati si sono detti d’accordo nel ritenere la Cina una sfida sistemica” ha spiegato Smith, aggiungendo come Pechino stia “cercando di erodere il sistema attuale creato oltre settant’anni fa”. Per questo, la Nato dovrà rafforzare i propri rapporti con i Paesi dell’Indo-Pacifico, in particolare quattro, Australia, Nuova Zelanda, Corea del sud e Giappone, i cui leader saranno presenti al summit. Insieme “cercheremo dei modi per creare una serie di strumenti per far sì che l’Alleanza possa proteggersi dalle sfide che la Cina potrebbe portare nell’aerea Euro-Atlantica”. Non si tratta di una espansione verso l’Asia, ha specificato Smith, quanto piuttosto parlare con i partner della regione delle sfide comuni.

Le minacce da sud

Lo sguardo a 360° della Nato dovrà naturalmente posarsi anche sulle minacce che arrivano da sud, in primis dal Mediterraneo, l’Africa e il Medio oriente. “La Nato già si occupa di sud – ha detto Peronaci – e ha rapporti di partenariato con molti Paesi come con l’Iniziativa di cooperazione di Istanbul o i Dialoghi mediterranei”. Per l’ambasciatore italiano, ci troviamo nella condizione di dover rispondere a una guerra, ma la Nato dovrà essere capace anche di agire “prima e dopo le guerre, con la prevenzione e la stabilizzazione”. Del resto, “in assenza di una presenza forte di Paesi democratici, altri attori occupano gli spazi che sarà poi difficile recuperare”. L’Alleanza, ha ricordato l’ambasciatrice americana, “ha già quaranta partner nel mondo, molti dei quali nel sud dello spazio alleato, nel Mediterraneo, in Africa e in Medio oriente, e molti di questi Paesi hanno espresso l’interesse a rafforzare i propri legami con la Nato”. Cosa che può avvenire in diverse forme, “dall’assistenza per riformare la sicurezza a un contributo Nato per garantire la sicurezza informatica o per contrastare le campagne di disinformazione russe e cinesi”.

Il legame Italia-Usa

Fondamentali saranno i rapporti tra Washington e Roma. “Gli Stati Uniti e l’Italia hanno rapporti bilaterali molto forti, e una lunga storia di collaborazione per affrontare le sfide nello spazio euro-atlantico e in altre zone del mondo” ha raccontato Smith, aggiungendo come per il futuro sarà necessaria una maggiore collaborazione “anche ad alto livello, sulle sfide globali come i cambiamenti climatici, le migrazioni, la sanità mondiale e i problemi economici”. Per Peronaci “Gli Stati Uniti sanno che l’Italia è un loro amico tradizionale, un legame che oltre i governi lega due comunità”. Per l’ambasciatore italiano, il nostro Paese può garantire agli Usa “una presenza negli organismi internazionali, come l’Unione europea, aperta alla cooperazione transatlantica”. Una collaborazione essenziale anche per la Difesa comune: “in Europa spendiamo molto ma, se divisi, spendiamo male. Dobbiamo farlo meglio aiutati dagli amici Usa”.


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Presentazione del libro “LUIGI EINAUDI ANGLOFILO E LA CARTA. Dalla Consulta nazionale all’Assemblea costituente” di Luca Tedesco


Il giorno 17 maggio 2023 alle ore 17:30 si terrà la presentazione del libro “LUIGI EINAUDI ANGLOFILO E LA CARTA. Dalla Consulta nazionale all’Assemblea costituente” del Prof. Luca Tedesco. Interverranno Luca Tedesco Giancristiano Desiderio Alberto Giordan

Il giorno 17 maggio 2023 alle ore 17:30 si terrà la presentazione del libro “LUIGI EINAUDI ANGLOFILO E LA CARTA. Dalla Consulta nazionale all’Assemblea costituente” del Prof. Luca Tedesco.

Interverranno
Luca Tedesco

Giancristiano Desiderio

Alberto Giordano

Modera
Emma Galli

L’evento si svolgerà completamente in remoto

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NASCE L’OSSERVATORIO DIGITALE DELLA FONDAZIONE LUIGI EINAUDI. IL VICEMINISTRO ALLE IMPRESE VALENTINI: “DIGITALE VOLANO DI SVILUPPO”


“La società sta diventando ibrida, il digitale ha effetti dirompenti. Crea grandi aspettative e al tempo stesso grandi timori. Sono perciò necessarie linee guida condivise a livello internazionale che orientino lo sviluppo e la progressione di questa rivo

“La società sta diventando ibrida, il digitale ha effetti dirompenti. Crea grandi aspettative e al tempo stesso grandi timori. Sono perciò necessarie linee guida condivise a livello internazionale che orientino lo sviluppo e la progressione di questa rivoluzione epocale. Gli strumenti digitali sono e ancor più saranno la leva determinante per promuovere lo sviluppo delle nostre imprese sui mercati nazionali e internazionali, e anche per tutelare il made in Italy, infatti servono per proteggere le filiere dai processi di contraffazione, per ottimizzare i processi produttivi, per rafforzare il controllo di qualità dei prodotti, così come per ottimizzare la logistica e la sostenibilità energetica”, lo ha detto il viceministro alle Imprese e al Made in Italy, Valentino Valentini, intervenendo questa mattina al convegno “Digitalizziamo l’Italia”, organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi in collaborazione con Oliver Wyman. Il primo di una serie di incontri tra istituzioni e stakeholder che segna l’avvio del nuovo Osservatorio digitale della Fondazione Einaudi.

Il viceministro ha poi parlato dell’importanza di favorire la digitalizzazione come volano di sviluppo per le imprese rimarcando le azioni già promosse dall’attuale esecutivo. “Abbiamo creato, come ministero, una rete di centri di trasferimento tecnologico che vuole essere più capillare e alla cui estensione ha contribuito il PNRR con uno stanziamento di 350milioni di euro nell’ambito della missione 4.2 “Dalla ricerca all’impresa”, ha spiegato. “Si tratta di 8 competence centers impegnati in progetti di ricerca applicata, di trasferimento tecnologico e formazione sulle tecnologie più avanzate, ai quali affiancheremo 13 European Digital Innovation Hubs e 24 poli europei di innovazione digitale. Tutto questo consentirà alle imprese, soprattutto PMI, di accedere a tecnologie innovative e a competenze digitali avanzate. Sempre nelle misure volte a favorire la digitalizzazione rientra il piano transizione 4.0, attraverso una serie di crediti d’imposta favorisce l’acquisto i beni materiali e immateriali, oltre alle attività di ricerca e sviluppo e di innovazione. Di questi contributi hanno beneficiato finora 150 mila imprese e auspichiamo che questo numero possa crescere in futuro. Il Mimit attraverso degli accordi per l’innovazione, sempre sulla sperimentazione applicata al sistema produttivo, ha in progetto una linea di finanziamento per progetti di sperimentazione e di ricerca orientati alle tecnologie emergenti nel campo del 5G”.

Il paese ha molti talenti imprenditoriali individuali, ma non ha ancora realizzato quell’ecosistema nazionale che consenta loro di crescere e affermarsi. Le aziende devono cambiare mentalità e rivoluzionare i loro processi interni, ma lo Stato deve dare ordine e continuità nel tempo e agli investimenti, facilitandone l’accesso alle imprese, e temperare la smodata inclinazione alla regolamentazione, perché molte start up vengono oggi soffocate dalla burocrazia. Sono questi i temi emersi dal confronto tra imprenditori, manager, giovani startupper, professionisti ed esperti di settore.

“Debutta con il convegno odierno l’Osservatorio digitale della Fondazione Luigi Einaudi, coordinato dal professor Gianluca Sgueo. Nostro obiettivo è aiutare la classe dirigente a cogliere con cognizione di causa le opportunità che la rivoluzione digitale offre all’Italia. Il metodo è quello einaudiano del confronto tra esperti, mondo dell’impresa, professionisti del settore e decisore politico”, ha detto il segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi, Andrea Cangini.

Il dibattito si è sviluppato in due Panel. Il primo, dal titolo “Digitalizzazione come volano di crescita e internazionalizzazione”, è stato aperto da Marco Grieco, partner di Oliver Wyman, che ha spiegato come, dati alla mano, “le imprese in Italia crescano storicamente: aumentano proporzionalmente le medie, le grandi e le microimprese, rallentano invece le piccole imprese”, eppure nonostante gli investimenti nel nostro Paese siano in crescita anche dopo la pandemia, “per essere resilienti di fronte a nuove possibili crisi, come le recenti dovute al Covid-19 e alla guerra in Ucraina, serve una infrastruttura tecnologica all’avanguardia”.

È intervenuto poi Roberto Scaramella, Partner di Oliver Wyman, che ha detto: “esiste nella cultura dell’imprenditore italiano del piccolo bello e sano e di una certa riluttanza a credere che il finanziamento pubblico sia utile, questo atteggiamento ha poi visto comportamenti conseguenti poco virtuosi” e ha poi chiesto alla platea di manager e imprenditori presenti se “questo è un limite, anche in ottica Pnrr, e come facciamo a superarlo?”.

“Il Pnrr sarà importante, l’aspetto principale però sarà legato a una fruizione semplice di queste risorse per le imprese e che queste non abbiano effetti discorsivi”, ha risposto Fabio Tomassini, membro del Cda della Fondazione Luigi Einaudi. “Il tema fondamentale – ha osservato – è l’eliminazione della burocrazia: facilità di accesso e di rendicontazione, elementi oggi troppo onerosi e spesso rischiosi”.

Per Carmine Auletta, Chief Innovation & Strategy Officer di InfoCert, “il tema della digitalizzazione è multidimensionale. Fino a trenta anni fa internet non c’era e tutta la nostra economia era basata sul mondo fisico. C’è chi dice che nel 2024 ci saranno le ultime elezioni non decise dall’intelligenza artificiale. In Italia abbiamo delle eccellenze che spesso non riusciamo a mettere a sistema perché non c’è stabilità politica, e lo sviluppo di un Paese necessita di una strategia di medio lungo periodo. Non si possono continuamente rimettere in discussione programmazione e strategie. In tal senso il Pnrr può essere un’opportunità, ma non deve essere inteso in modo rigido, ma deve essere flessibile e va adeguato alle evoluzioni del mercato”.

Marco Massenzi, CEO Teleconsys e Membro di Unindustria, ha sottolineato invece che “la tecnologia è l’ultimo elemento della digital trasformation. Prima vengono cultura, formazione, strategia e visione. La tecnologia pertanto se non viene declinata su questi elementi, non porta valore. Gli imprenditori devono necessariamente accedere a queste competenze”.

Secondo il Founder e Investment Director Lumen Venture Capital, Valerio Durazzo, “per fare realmente innovazione, è necessario investire sì in capitale umano, perché le aziende senza le competenze non vanno da nessuna parte, ma è fondamentale lavorare sull’educazione” Da questo punto di vista, spiega, “siamo indietro anni luce rispetto ad altri Paesi”. Durazzo osserva che “il nostro sistema non prepara i ragazzi a lavorare, tanto che spesso le aziende che assumono devono formare di nuovo i ragazzi da zero. Eppure oggi si va sempre più verso le scuole di specializzazione”.

Sulla stesso lunghezza d’onda Marco Scioli, Founder e Presidente Starting Finance, che nel suo intervento ha detto “chi fa formazione oggi parte dalle esigenze del docente o della università invece di andare a parlare con le aziende, dobbiamo cambiare questo paradigma”. Riguardo all’innovazione, prosegue, “negli Usa la fanno le start up che poi vengono acquistate dalla grande aziende, da noi invece ciò non avviene perché le start up hanno ancora bisogno delle competenze delle grandi aziende. È necessario integrare i due modelli: la start up che ha bisogno dell’azienda per crescere e l’azienda che ha bisogno della freschezza delle start up per innovare”.

Il secondo panel “Quali opportunità per i distretti italiani del Big Data e dell’intelligenza artificiale” è stato aperto dal coordinatore dell’Osservatorio digitale della Fondazione Einaudi, Gianluca Sgueo. “C’è una grande attenzione in Unione europea nella regolazione dell’innovazione,” ha osservato, “il che crea più tutele per i cittadini, ma rappresenta un freno per le imprese”. Oggi, sottolinea, “bisogno creare in Europa più spazi per la sperimentazione (sandbox) come già avviene, ad esempio, negli Stati Uniti”.

È poi intervenuto Alessandro Petrillo, CEO di K-Value. “Il mondo della consulenza – ha detto – ha un’alta densità di competitor e sviluppa circa 5 miliardi all’anno di fatturato, sviluppato per il 60% dalle grandi aziende. Oggi bisogna cercare di specializzarsi e di differenziarsi, puntando sul talento. È chiaro che siamo in un contesto complicato, bisogna vedere quale sia la reale capacità del Paese di fare innovazione sostenibile”. Le microimprese, ha sottolineato, “hanno un bisogno disperato di competenza e managerialità per crescere e per far crescere i propri clienti”.

Ha concluso il dibattito Lucio Campanelli, manager che lavora nel settore della physical security, digitalizzazione dei sistemi di sicurezza, che ha affermato: “È fondamentale sviluppare una cultura nel cliente, convincere cioè i clienti a comprare un servizio da una start up giovane, cosa che oggi non avviene agevolmente perché in Italia non c’è una vera cultura della start up. A questo si aggiungono, nel nostro Paese, criticità nella struttura dei pagamenti e nei test dei prodotti”.

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