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Meta hit with €1.2bn fine, ordered to halt EU-US data transfers


Meta has received a record €1.2 billion fine and the order to stop moving EU personal data to the United States in a landmark decision that found such data transfers illegal.


euractiv.com/section/data-priv…

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L’occasione mancata dello Statuto speciale – La Sicilia


L'articolo L’occasione mancata dello Statuto speciale – La Sicilia proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/loccasione-mancata-dello-statuto-speciale-la-sicilia/ https://www.fondazioneluigieinaudi.it/feed


Dorthia Cottrell - Death Folk Country


Dorthia Cottrell arriva dalla Virginia, East Coast, dove nasce cresce, insieme a poche migliaia di anime, in un ambiente di provincia decisamente conservatore. La sua esigenza di alienarsi da un contesto sociale che le sta stretto, la porta nella vicina Richmond, dove in breve tempo riesce a fondare gli Windhand, band doom che, grazie ai quattro album realizzati fino ad oggi, è riuscita a ritagliarsi un ruolo di tutto rispetto in ambito metal.

#musica #folk iyezine.com/dorthia-cottrell-d…



noyb win: € 1.2 billion fine against Meta over EU-US data transfers


vittoria della noyb: multa da 1,2 miliardi di euro contro Meta per i trasferimenti di dati tra UE e USA Facebook deve interrompere ulteriori trasferimenti di dati personali europei verso gli Stati Uniti, dato che Facebook è soggetto alle leggi di sorveglianza statunitensi (come la FISA 702 e la EO 12.333). meta aps and edpb logo


noyb.eu/en/edpb-decision-faceb…



Sovranamente


S’avanza uno strano sovrano, che vuole andare a fondo. Caracolla quanto basta per indurre il sospetto che il Fondo sovrano – previsto dal governo con il provvedimento linguisticamente non sovrano, ovvero “Made in Italy” – possa cascarci addosso come una s

S’avanza uno strano sovrano, che vuole andare a fondo. Caracolla quanto basta per indurre il sospetto che il Fondo sovrano – previsto dal governo con il provvedimento linguisticamente non sovrano, ovvero “Made in Italy” – possa cascarci addosso come una sovrana corbelleria. Intanto perché disvela un equivoco sulla natura stessa di cosa sia un Fondo di quel tipo, facendo finta di non sapere e vedere quale sia il ruolo delle casse statali nella struttura produttiva italiana.

I Fondi sovrani nascono in Paesi con un forte avanzo valutario, quindi prevalentemente esportatori di materie prime (ad esempio i Paesi petroliferi). Il loro scopo non è quello di sostenere le imprese nazionali, il Made in Arabia, ma acquistare quote di produttori all’estero. In questo modo compensano lo squilibrio (per loro positivo) della bilancia valutaria, accrescono influenza in altri mercati, acquisiscono tecnologie e mettono i quattrini dove suppongono che le cose andranno bene, quindi guadagnandoci. E il sovrano, che colà c’è per davvero, ingrassa felice.

Da quel che si capisce e legge, invece, il Fondo sovrano italiano servirebbe a investire in Italia, acquisendo quote di minoranza in aziende che si ritiene bene sostenere. Quindi ce la suoniamo e ce la cantiamo da soli, ma con due terribili stonature. La prima è che toccherebbe al management nominato dalla politica («Lo voglio amico mio», «No, sarà amico mio», «Vabbè, purché non sia amico loro») stabilire quali aziende meritino aiuto. Che già il fatto di chiedere aiuto è segno che non stanno in piedi da sole, ma come fa un finanziere politicamente nominato a sapere cosa sarà promettente o cosa determinante per il futuro delle produzioni nazionali? Non può sapere cosa piacerà, cosa venderà o cosa farà far soldi. E se lo sapesse col piffero che si farebbe nominare nel Fondo, andrebbe a spalar quattrini per i fatti suoi.

La seconda stonatura è che lo Stato italiano già possiede quote di minoranza in società ritenute strategiche e, in questo modo, riempie di sé più della metà delle quotazioni di Borsa. Tipo: Leonardo, Eni, Enel, Fincantieri, tutte le grandi municipalizzate, Ferrovie, Poste e via andando. Ergo il nuovo Fondo, avendo una dotazione finanziaria di appena un miliardo (le aziende elencate ne fanno decine di utili) e dovendo investire in diverse speranze del futuro e dell’identità nazionale (diviso 10 fa 100 milioni; diviso 20 fa 50 e continuate voi), investirà in aziende piccole. Ma che non sono startup perché già esistono da tempo. E da tempo non sono cresciute. E in fretta si dirà, c’è da scommetterci, che non è giusto dare soldi pubblici a chi ha già soldi e profitti, dovendoli destinare ai derelitti, che si accingono a licenziare. Quindi destinati a essere persi. Faranno anche un bando per selezionare gli amici fortunati destinatari o provvederanno con la rubrica personale?

Un Fondo così concepito non ha funzione né respiro. La presenza e l’influenza imprenditoriale italiana nel mondo esistono già. E non ‘fortunatamente’, ma grazie al lavoro e alla visione di tante imprese, alla preparazione dei collaboratori e all’ingegnosità degli innovatori. Sono quelli i grandi ambasciatori del Made in Italy. Per niente disposti a perdere soldi, ma costantemente tenuti a rischiare. Se fai un Fondo sovrano e lo alimenti con credito venduto al risparmio (che sia postale, tramite Cassa depositi e prestiti o bancario, mediante obbligazioni) altro non farai che togliere alimento al credito e al risparmio disponibile per quei campioni delle esportazioni e dell’innovazione. Come se lo Stato non risucchiasse già tanta parte del risparmio privato, per tenere in equilibrio l’enorme debito pubblico.

S’avanza uno strano sovrano, ma prima che proceda alla ulteriore sovrana dilapidazione, impegnato a farsi reuccio accanto allo sceicco, qualcuno avverta la sora Cesira e il sor Augusto – cittadini esemplari nonché contribuenti fedeli – e suggerisca loro di nascondere il portafoglio. Che il reuccio sovrano immaginario ha bisogno di altro frusciante.

La Ragione

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Elementare


Tornare alla scuola elementare sarà utile a capire molto del Paese in cui viviamo. Perché la nostra scuola elementare funziona bene e consegna risultati ragguardevoli. La pandemia ha arrecato danni notevoli, costringendo a tenere i bambini a casa in un’et

Tornare alla scuola elementare sarà utile a capire molto del Paese in cui viviamo. Perché la nostra scuola elementare funziona bene e consegna risultati ragguardevoli. La pandemia ha arrecato danni notevoli, costringendo a tenere i bambini a casa in un’età in cui per apprendere non basta certo un collegamento audio e video, ma quando la scuola elementare può funzionare funziona bene, visto che il 97% dei bambini di quarta elementare sa leggere e – cosa ancora più importante – leggendo apprende. I test fatti nel 2021 da Iea Pirls (Progress in International Reading Literacy Study, test a cura della International Association for the Evaluation of Educational Achievement), collocano l’Italia sopra la media dei Paesi presi in esame, al 14esimo posto su 43. Singapore fa meglio di tutti, totalizzando 587 punti di valutazione dei loro giovani studenti, ma noi ne prendiamo 537. Per dire: la Francia arriva a 514 e si colloca al 23esimo posto, tanto che il titolo di testa di “Le Monde” gridava con dolore questo risultato.

Si può sempre fare meglio, ma evviva le maestre e i maestri. Ma c’è già da considerare una prima nota orribile: la distanza fra il Nord e il Sud dell’Italia non solo si produce già alle scuole elementari, ma in 15 anni è triplicata. Vuol dire che i bambini del Nord se la potrebbero giocare con quelli di Singapore, ma quelli del Sud sarebbero sotto la media. Intollerabile. Per capire il perché dobbiamo guardare a cosa succede dopo.

Quegli stessi bambini, dieci anni dopo, saranno pronti per l’esame di maturità, dove arriveranno sotto la media Ocse (in questo caso il misuratore sono i test Pisa, Programme for International Student Assessment), totalizzando in matematica 487 punti rispetto alla media di 489, in lettura 476 rispetto a 487 (gli estoni sono sopra 500) e in scienze lo sprofondo, con 468 rispetto a 489. Alle elementari andavano meglio dei coetanei francesi o tedeschi, mentre alla fine della secondaria superiore vanno peggio degli uni e degli altri. Si sono rincretiniti? Loro no, sono gli adulti che li circondano ad avere trasformato la scuola in uno stipendificio senza valutazione del merito, degli insegnanti prima e degli studenti dopo. Metterlo, il merito, nel nome del Ministero serve a nulla: va messo nel contratto.

Anche nei buoni risultati delle elementari – aiutati dalla naturale tendenza dei bimbi a crescere, imparare e misurarsi, cosa che splendidamente fanno pure giocando – più si scende verso Sud, considerandolo un ‘posto’ anziché una vocazione, e più i risultati si fanno deludenti. E spesso al Nord gli insegnanti sono del Sud. Non è una questione genetica, ma una degenerazione disoccupazionale.

Siamo noi che ci siamo costruiti questa roba. Ma la cosa più grave non è tanto che la scuola abbia preso la deriva sindacal-assistenziale, ma che attorno a quella si sia costruita una (in)cultura del compatimento, talché tutti i ragazzi sono a rischio trauma se solo qualcuno gli fa osservare che sono capoccioni e che dovrebbero studiare. La cosa grave non è che tanti cerchino di sistemarsi e avere il posto fisso, ma che alle famiglie stia bene così. Guardiamo quei numeri, torniamo alle elementari e tocchiamo con mano come si faccia a rovinare l’avvenire dei ragazzi e quello collettivo.

A questo punto arriva quello che crede di avere un pensiero ficcante e dice: non è vero, sono i più bravi, hanno successo all’estero e se ne vanno perché li pagano di più. Vero, ma non sono la media dei ragazzi che vengono culturalmente impoveriti da questa scuola: sono i privilegiati dalla natura perché più svegli o intraprendenti, dall’avere frequentato una scuola migliore della media offerta in Italia o da una famiglia che li ha mandati all’estero a farsi lingua e ossa. È così che abbiamo realizzato l’inferno classista inseguendo l’illusione egualitaria.

Si può cambiare, anche se temo sia più facile spiegarlo a un bambino di 9 anni che al politicante che prova a prendere il voto dei suoi genitori.

La Ragione

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Disponibile la nuova puntata del format “Il Ministro risponde” 📲

In questo quinto...

Disponibile la nuova puntata del format “Il Ministro risponde” 📲

In questo quinto appuntamento si parla dei recenti impegni internazionali del Ministro, il Summit sulla professione docente a Washington e il G7 sull'istruzione svoltosi a Toyama; de…



📌 “La Biblioteca scolastica fiorisce con poco e può nascere ovunque”.

Concludiamo così le nostre attività di quest’anno al Salone internazionale del libro 📚 vi aspettiamo per gli ultimi appuntamenti in collaborazione con il Senato della Repubblica, …



In Cina e Asia – G7: la Cina convoca l’ambasciatore giapponese


In Cina e Asia – G7: la Cina convoca l’ambasciatore giapponese G7
I titoli di oggi:

G7: la Cina convoca l'ambasciatore giapponese
Metà dei cinesi approva una “riunificazione” armata di Taiwan
La Cina supera il Giappone come principale paese esportare di auto
Agenti di pubblica sicurezza cinesi responsabili a vita per la gestione dei casi
Carenza di scimmie da laboratorio cinesi negli Usa

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NABLUS. Esercito uccide 3 palestinesi a Balata. Demolite case


Facevano parte delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa. Almeno altri sei palestinesi sono stati feriti L'articolo NABLUS. Esercito uccide 3 palestinesi a Balata. Demolite case proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/05/22/medioriente/nablus

della redazione

Pagine Esteri, 22 maggio 2023 – Tre combattenti palestinesi sono stati uccisi da soldati israeliani penetrati nella notte nel campo profughi di Balata (Nablus), in Cisgiordania. I tre sono stati identificati come Muhammad Zaytoun, 32 anni, Fathi Rizk, 30, e Abdullah Abu Hamdan, 24. Facevano parte delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, un gruppo armato politicamente vicino al partito Fatah. E’ stata la stessa organizzazione a comunicarne i nomi.

I tre uccisi si trovavano insieme nell’abitazione di Rizk quando sono stati circondanti dalle unità speciali dell’esercito israeliano.

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Almeno sei palestinesi sono stati feriti da proiettili – uno è in condizioni critiche – durante gli scontri a fuoco, secondo la Mezzaluna Rossa Palestinese. Sono stati portati all’ospedale Rafidia.

Altri palestinesi sono rimasti feriti durante la demolizione di alcune case da parte di buldozer dell’esercito israeliano. Secondo il portavoce militare uno degli edifici sarebbe stato un “laboratorio per la fabbricazione di armi”. Gli abitanti del campo invece parlano di “punizione collettiva” inflitta a scopo di avvertimento a coloro che danno rifugio ai combattenti palestinesi. Pagine Esteri

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Elezioni in Grecia, per Syriza è una disfatta


La destra vince e doppia Syriza. Mitsotakis però vuole stravincere e governare da solo, grazie al premio di maggioranza, e rimanda il paese alle urne tra un mese L'articolo Elezioni in Grecia, per Syriza è una disfatta proviene da Pagine Esteri. https:/

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 22 maggio 2023 – La destra al governo supera il 40% e guadagna 150 mila voti, doppia letteralmente il partito di Alexis Tsipras che perde 600 mila voti e scende al 20%.
Il risultato delle elezioni di ieri in Grecia smentisce in parte sia i sondaggi della vigilia sia gli exit poll diffusi dopo la chiusura delle urne dalla Tv pubblica ellenica ERT. Lo spoglio ha infatti confermato la preannunciata vittoria della destra ma con dimensioni assai più soverchianti per la coalizione di sinistra che subisce una disfatta senza precedenti.
Nei giorni scorsi Alexis Tsipras aveva dichiarato di sperare nella mobilitazione del voto giovanile – più favorevole a Syriza che alla destra di Mitsotakis – per ribaltare i rapporti di forza o quantomeno accorciare il distacco con Nea Dimokratia a pochi punti percentuali per poter poi unire i propri seggi a quelli conquistati dai socialisti e formare un governo alternativo.
Ma per Syriza il risultato del voto di ieri è catastrofico.

Riferendosi alla sconfitta del 2019, durante la campagna elettorale Tsipras aveva esplicitamente affermato di aver «imparato dai suoi errori» lasciando intendere di aver usato in passato toni populisti e di aver promesso svolte irrealizzabili.
La “Coalizione della Sinistra Radicale” (Sy.Riz.A) mantiene lo stesso nome del partito che nel 2015 promise la rottura con l’austerità imposta dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale ma decise poi di accettare il disastroso terzo memorandum, seppur tentando di applicare una qualche riduzione del danno. Ma l’Alleanza Progressista non è più lo stesso partito dell’epoca. Negli ultimi quattro anni, pur stando all’opposizione, ha accentuato il suo profilo socialdemocratico e governista. Se da una parte migliaia di dirigenti e militanti radicali hanno abbandonato la coalizione – per fondare gruppi dissidenti alla sua sinistra o più spesso per tornare alle lotte tematiche o territoriali quando non a casa – dall’altra il suo organigramma è stato rimpolpato da migliaia di quadri provenienti dal Partito Socialista e da altre organizzazioni moderate.

Ma la moderazione evidentemente non ha pagato, e paradossalmente una parte degli elettori in fuga hanno premiato il Partito Socialista, che dopo la crisi verticale degli anni scorsi sembra risollevarsi e cercare un ruolo di primo piano nello scenario politico. Il Pasok passa dall’8,10 all’11,46 e si afferma come terzo partito.

Per il resto hanno pesato la delusione, la disillusione e la rassegnazione. A sinistra l’unica formazione a beneficiare – senza grandi exploit – del tracollo di Syriza è il Partito Comunista di Grecia (KKE), che dal 5,3 sale al 7,2 superando il 10% in numerose circoscrizioni.

Della crisi di Syriza non riescono ad approfittare invece due formazioni create da transfughi e che rimangono sotto la soglia di sbarramento del 3%. Il risultato peggiore lo ottiene Mera25, movimento fondato dall’ex ministro delle Finanze Yannis Varoufakis che nel 2015 ruppe con Tsipras dopo la decisione del governo di non difendere il ‘no’ uscito vittorioso dal referendum popolare e di accettare le imposizioni della Troika. Alle scorse elezioni il movimento socialdemocratico di sinistra aveva ottenuto il 3,44% e 9 deputati, ma questa volta il 2,62% condanna Mera25 a rimanere fuori dal parlamento. Un po’ meglio è andata a “Plefsi Eleftherias”, il movimento di sinistra libertaria dell’ex presidente del Parlamento Zoi Konstantopoulou, che con il 2,89% manca di poco la soglia di sbarramento necessaria per ottenere rappresentanti.
Un buon risultato – considerando la tenuta di Nuova Democrazia, movimento teoricamente di centrodestra ma dall’identità politica spesso oltranzista su molti temi – lo ha ottenuto “Soluzione greca”, movimento di destra nazionalista che ha di fatto sostituito Alba Dorata nel panorama politico. Elliniki Lysi prende il 4,45 mentre nel 2019 si era fermato al 3,70.

Non ce l’ha fatta invece il movimento di destra clericale “Niki”, che avrebbe potuto fornire una sponda a Mitsotakis per formare una maggioranza al Vouli ton Ellinon (l’assemblea nazionale). Il movimento fondato nel 2019 dal teologo e scrittore Dimitris Natsios a Salonicco (dove supera il 5%) rimane di pochissimo al di sotto del 3%.

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Nonostante la vittoria schiacciante riportata da Nea Dimokratia sull’opposizione e la crescita dell’1% rispetto alla precedente tornata elettorale – dal 39,85 al 40,8 – che gli dà diritto a 146 deputati (solo 5 in meno della maggioranza assoluta) Kyriakos Mtsotakis ha ribadito quanto già affermato durante la campagna elettorale. Il premier uscente non ha nessuna intenzione di negoziare un governo di coalizione con i socialisti, che al pari di Syriza considera un «ostacolo per la stabilità finanziaria e la modernizzazione del paese».
Il leader della destra ha subito annunciato ieri sera che rifiuta il mandato della presidente della Repubblica di cercare alleati al Vouli e che punta a votare di nuovo il 25 giugno, una settimana prima di quanto preventivato nelle scorse settimane nel caso in cui il voto di ieri non gli avesse consegnato la maggioranza assoluta. Mitsotakis spera così di allungare ancora di più il suo vantaggio, sottraendo consensi – in nome del “voto utile” – alle piccole formazioni della destra che ieri non hanno superato lo sbarramento, ma soprattutto di approfittare del premio di maggioranza assegnato al partito che arriva in testa.

Nel 2016 l’esecutivo guidato da Syriza aveva abolito aveva abolito la misura – un premio da 20 a 50 seggi sul totale di 300, concesso in proporzione al risultato raggiunto – che la legge elettorale assegnava alla formazione politica più votata.

Non avendo ottenuto all’epoca il sostegno di almeno due terzi dei parlamentari, come prevede la Costituzione, la riforma elettorale di Syriza non era entrata in vigore subito – e infatti nel 2019 Nea Dimokratia, giunta in testa, si avvalse del premio di maggioranza – slittando alle elezioni di ieri. Il meccanismo maggioritario è stato tuttavia subito ripristinato dal governo di Nuova Democrazia, ma anche in questo caso senza una maggioranza dei due terzi, e quindi tornerà in vigore alla prossima tornata elettorale.

Per l’esponente di una delle famiglie più potenti e politicamente longeve del paese – il padre Konstantinos è stato premier negli anni ’90, mentre la sorella Dora Bakoyanni ha ricoperto la carica di Ministro degli Esteri – quello di ieri è stato un trionfo, sorretto oltretutto da un aumento della partecipazione al voto. Se nel 2019 l’affluenza era stata del 57,8%, alle urne ieri si sono recati il 60,9% degli aventi diritto.

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Le sinistre avevano sperato che i passi falsi dell’oligarca potessero intaccare la sua popolarità, soprattutto dopo la rabbia e l’indignazione generati in settori consistenti della società greca dal terribile incidente ferroviario di Tempe, costato la vita il 28 febbraio a 57 persone.
In piazza, in ripetute occasioni, sono scese circa due milioni di persone, per denunciare che all’origine della tragedia ci sono la privatizzazione e la svendita ai privati – compresa Trenitalia – delle ferrovie elleniche.

Ma in campagna elettorale Mitsotakisha potuto snocciolare una serie di dati economici apparentemente positivi: dal 2019 al 2022 il Pil è cresciuto di 11 miliardi, la disoccupazione è ufficialmente scesa dal 17,3 al 12%, l’inflazione ha rinculato al 5,4% e per l’anno prossimo la Commissione Europea ha previsto per il paese una crescita del 2,4%.

Le opposizioni hanno denunciato che spesso si tratta di dati manipolati, che nascondono una situazione sociale di crescente degrado: la disoccupazione è diminuita solo perché un numero enorme di giovani è emigrato all’estero, i contratti di lavoro sono sempre più precari e milioni di persone hanno visto peggiorare le proprie condizioni di vita negli ultimi anni, a partire dall’erosione dei salari per colpa dell’aumento del prezzo dei generi alimentari e dei carburanti.

Approfittando delle procedure d’urgenza adottate durante la pandemia, il capo del governo ha regalato a oligarchi greci e multinazionali straniere decine miliardi di euro in appalti, ha aumentato il controllo della destra sul sistema mediatico e ha attaccato i sindacati, la contrattazione nazionale e la tenuta dei servizi pubblici; ha avvicinato ancora di più il paese a Washington e a Israele.

Neanche gli scandali che lo hanno visto protagonista hanno impedito il nuovo trionfo di Mitsotakis. Quando è venuto fuori che i servizi segreti spiavano esponenti dell’opposizione, giornalisti e militari utilizzando lo spyware Predator, il premier si è difeso affermando che i responsabili erano non meglio definiti “attori privati”. Anche quando media e ong lo hanno accusato di ributtare in mare i profughi provenienti dalla Turchia – come dimostrato alla vigilia del voto dal filmato pubblicato dal New York Times che ritrae 12 migranti mentre vengono costretti dalla Guardia Costiera a salire su una zattera al largo dell’isola di Lesvos – Mitsotakis ha negato e minimizzato. Il voto di ieri gli ha dato ragione. – Pagine Esteri

7280849* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi: L’Università: La politica e le istituzioni


22 maggio 2023 Luigi Einaudi, Uomo politico consente di affrontare tematiche legate ai temi attuali, quali l’impianto costituzionale, il ruolo dei referendum, il ricorso eccessivo alla normazione anche in sede penale, il mutato ruolo del Presidente della

22 maggio 2023

Luigi Einaudi, Uomo politico consente di affrontare tematiche legate ai temi attuali, quali l’impianto costituzionale, il ruolo dei referendum, il ricorso eccessivo alla normazione anche in sede penale, il mutato ruolo del Presidente della Repubblica, le autonomie regionali etc.

Relatori
Bartolomeo Romano, Ordinario di Diritto Penale nell’Università di Palermo e Consigliere giuridico del Ministro della Giustizia
Antonella Sciortino, Ordinario di Diritto costituzionale
Gaetano Armao, Associato di Diritto amministrativo

Progetto Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi

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Esprimiamo vicinanza e solidarietà alle comunità dell’Emilia-Romagna pesantemente colpite dalle alluvioni di questi giorni che, oltre alla distr


Lo Sinn Fein vince le elezioni amministrative in Irlanda del Nord


Il partito indipendentista di sinistra Sinn Féin ha ottenuto una vittoria storica contro gli unionisti nelle elezioni municipali celebrate in Irlanda del Nord L'articolo Lo Sinn Fein vince le elezioni amministrative in Irlanda del Nord proviene da Pagine

di Redazione

Pagine Esteri, 21 maggio 2023 – Il partito indipendentista di sinistra Sinn Féin ha ottenuto una vittoria storica nelle elezioni amministrative celebrate alla fine della settimana in Irlanda del Nord.

Alle amministrative lo Sinn Féin ha conquistato il 31% dei voti, aumentando di quasi 8 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2019. I repubblicani sono avanzati ovunque e sono giunti per la prima volta in testa anche nelle circoscrizioni di Banbridge e Craigavon.
La destra unionista del Dup ha invece ottenuto solo il 23,3% (calando dello 0,8%), nonostante avesse presentato la tornata elettorale come l’occasione per dimostrare che le richieste della comunità filobritannica – che pretende il ristabilimento delle barriere doganali tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda – sono maggioritarie.

Il Partito dell’Alleanza, di natura intercomunitaria e centrista, ha avuto un risultato più limitato di quanto sperato dopo il successo alle regionali, così come gli estremisti unionisti della “Voce Unionista Tradizionale”, che critica il Dup da posizioni oltranziste.

Nelle undici circoscrizioni in cui è diviso il territorio irlandese sotto amministrazione britannica, lo Sinn Féin ha conquistato 144 eletti (+39); il Dup ha riconfermato i suoi 122; l’Alliance Party è salita a 67 (+14); l’Ulster Unionist Party è sceso a 54 (-21); i Socialdemocratici e Laburisti (centrosinistra repubblicano) si sono fermati 39 consiglieri (-20); Traditional Unionist Voice ha ottenuto 9 rappresentanti (+3), i Verdi 5 (-3), la sinistra socialista di People Before Profit solo 2 (-3) e Aontú, piccola scissione tradizionalista e conservatrice del Sinn Féin, ha perso il suo unico consigliere. Le candidature indipendenti hanno invece ottenuto 19 rappresentanti.

I nazionalisti, favorevoli all’unificazione al resto dell’Irlanda delle province del nord sotto amministrazione britannica, erano già stati il partito più votato alle elezioni “regionali” di un anno fa, ma il principale partito di destra filobritannico, il Partito Democratico Unionista (Dup), ha continuato a boicottare la formazione di nuovo governo di coalizione – imposto dagli Accordi del Venerdì Santo del 1998, che portarono allo scioglimento dell’Esercito Repubblicano Irlandese e alla fine dell’attività armata da parte delle milizie unioniste – per evitare che la leader repubblicana Michelle O’Neill possa guidare l’esecutivo di Stormont.
Il Dup ha deciso di paralizzare le istituzioni locali nordirlandesi per protestate contro il Protocollo per l’Irlanda, l’accordo siglato dopo la Brexit tra Londra e Bruxelles. Neanche il cosiddetto Accordo quadro di Windsor, che in parte corregge il Protocollo, firmato dal premier britannico Rishi Sunak con l’UE, ha convinto la destra unionista a cambiare atteggiamento.

Dopo la chiusura delle urne Michelle O’Neill ha sollecitato Londra e Bruxelles a premere sugli unionisti per convincerli a consentire la formazione del governo dell’Irlanda del Nord. – Pagine Esteri

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di Dino Greco - Egregio direttore, Ieri, in piazza del Foro, è andato in scena, nella totale indifferenza degli organi istituzionali, il raduno promosso


Le terre di Romagna vengono allagate per la seconda volta in un mese e le istituzioni a tutti i livelli gridano all’emergenza. Dizionario alla mano, emergenza


L'intellighenzia finalmente libera di esprimere "idee" al #SalTo23, grazie alla repressione del "fascismo degli antifascisti" commissionata alla Digos:

torino.repubblica.it/cronaca/2…



Ora è il momento degli F-16 a Kiev. L’appello di Tricarico


Mai momento fu e sarà più propizio per equipaggiare l’aeronautica ucraina con velivoli F-16. Una congiuntura favorevole sotto molti aspetti, a iniziare da quello operativo, quello della pressante esigenza di un paese in conflitto e sprovvisto di una compo

Mai momento fu e sarà più propizio per equipaggiare l’aeronautica ucraina con velivoli F-16.

Una congiuntura favorevole sotto molti aspetti, a iniziare da quello operativo, quello della pressante esigenza di un paese in conflitto e sprovvisto di una componente aerotattica di qualità, da inserire in uno scenario molto peculiare, alquanto anomalo e bizzarro, uno scenario in cui non sembra essere stato compreso il principio cardine che l’acquisizione della superiorità aerea è una precondizione irrinunciabile all’avvio e alla prosecuzione di ogni operazione bellica.

Anche il calendario di rinnovo dei sistemi d’arma di svariate aeronautiche occidentali sembra stranamente fasato con le esigenze di Volodymyr Zelensky: Olanda, Danimarca, Portogallo, Norvegia, e in prospettiva Grecia (che di F-16 ne ha molti) stanno dismettendo le loro flotte per equipaggiarsi con F-35. Oltre agli USA che, all’occorrenza, potrebbe privarsi del significativo sovrappiù nei loro hangar.
Per cedere i propri F-16 all’Ucraina, i paesi donatori dovranno essere agevolati mediante un rifasamento del calendario generale di consegna degli F-35 da parte della casa costruttrice Lockheed Martin, in modo che il rimpiazzo degli F-16 ceduti non comporti discontinuità operativa.

Circolano poi le più disparate stime sui tempi necessari all’Ucraina a gestire il nuovo sistema d’arma, stime sulle quali va fatta chiarezza e molte volte forse costruite ad hoc per prender tempo, per frenare la legittima aspirazione ucraina ad avere una componente aerotattica degna di questo nome. O semplicemente perché formulate a caso da soggetti inesperti.

In effetti, tenendo in considerazione che si tratta di una conversione operativa in tempo di guerra, molti passaggi ordinari potrebbero essere saltati a piè pari, soprattutto quelli attinenti alla sicurezza del volo che in condizioni di pace assorbono molto tempo.

L’impegno più oneroso in termini calendariali riguarderebbe un doppio ordine di provvedimenti, il primo riguardante le infrastrutture di volo, hangar, piazzali, pista di volo, vie di rullaggio. Lo F-16, più di ogni altro velivolo simile, succhia impurità da terra, è una sorta di “aspirapolvere” molto performante che ha bisogno di aree di operazioni molto pulite, e a occhio e croce quelle “sovietiche” non lo sono. Pena l’ingestione di oggetti letali per il velivolo; anche una sola vite ingerita nel motore provoca danni irreparabili: il notorio Fod (Foreign object damage), un vero spauracchio per operazioni a terra su superfici poco accudite.

L’altra isteresi significativa riguarda la manutenzione quotidiana dei velivoli, la capacità dei tecnici di metter mano a piccole e grandi riparazioni o interventi di routine sui vari apparati, meccanici, elettronici, idraulici, elettrici.
In termini di tempo, per questo duplice ordine di approntamenti, sarebbero ipotizzabili più o meno sei mesi ognuno, da condurre ovviamente in contemporanea.

Più semplice il discorso dei piloti, volare è un po’ come nuotare o andare in bici, una volta appreso, si può cambiare macchina agevolmente; probabilmente la difficoltà maggiore potrebbe essere la lingua inglese con cui sono scritti i manuali o contrassegnati i vari interruttori e comandi in cabina. Anche avuto riguardo a questa peculiare difficoltà, un pilota esperto potrebbe aver bisogno di massimo due mesi per “volare” la macchina e di altrettanto per usarne correttamente i sistemi e l’armamento.

Da tener presente che lo F-16 è il caccia più maturo al mondo, ne sono stati costruiti in diverse migliaia nelle più disparate varianti, è un velivolo che non riserva più alcun segreto nella manutenzione e nell’impiego e può assolvere a una pluralità di missioni a seconda delle peculiari necessità; in altre parole, se si ritenga di contenere l’uso alla sola difesa aerea, lo si può fare dotando Zelensky della variante e dell’armamento specifici.

In conclusione, non esistono motivi per non rimboccarsi tutti le maniche e dar corso alla transizione dell’Aeronautica ucraina su un sistema d’arma che, più di ogni altro finora fornito, potrebbe riequilibrare le capacità militari tra Davide e Golia.

Mettendo anche fine a una serie di titubanze che non avevano e non hanno motivo di esistere e che hanno finora un atto dovuto e di grande contenuto operativo.


formiche.net/2023/05/f16-ucrai…




Polvere da sparo, crittografia e Individui Sovrani


Dalla rivoluzione della polvere da sparo alla rivoluzione industriale, fino alla società dell'informazione: il tramonto dello stato-nazione e l'alba di un nuovo sistema economico-sociale.

Chi siamo, dove siamo, ma soprattutto: dove stiamo andando?

Oggi faremo insieme un piccolo viaggio nella storia, per capire meglio alcune dinamiche a cui siamo sottoposti oggi, come sorveglianza e manipolazione di massa da parte di governi e corporazioni. Partiremo dalla rivoluzione della polvere da sparo del XIV secolo per arrivare fino ad oggi, passando per la rivoluzione industriale.

Lo faremo grazie al contributo di grandi pensatori come Murray Rothbard, James Dale Davidson e Lord William Rees-Mogg, Ted Kaczynski e Timothy May. Consiglio di leggere direttamente il pensiero di questi autori, ma la speranza è che questo articolo possa offrire un’interpretazione fruibile per tutti e spunti di riflessione sulla società attuale e sul futuro che ci aspetta.

Chi sei e dove vai? In realtà non mi interessa. A Privacy Chronicles puoi iscriverti anche con un alias.

Dalla società agraria alla rivoluzione della polvere da sparo


Nel corso della nostra lunga storia, l’umanità ha percorso e superato diverse tappe che hanno segnato incommensurabili trasformazioni sociali.

James Dale Davidson e Lord William Rees-Mogg, che scrissero nel 1997 il libro chiamato “The Sovereign Individual: Mastering the Transition to the Information Age”, definiscono queste imponenti trasformazioni sociali, che spesso richiedono diversi secoli, come “megapolitiche”. Secondo gli autori le trasformazioni megapolitiche sono provocate da eventi che in qualche modo destabilizzano gli equilibri e rapporti di forza, come grandi scoperte tecnologiche.

Una delle più recenti trasformazioni megapolitiche fu quella che segnò il passaggio dal sistema feudale all’attuale sistema degli stati-nazione. Il principale fattore che nel corso di cinque secoli determinò la fine del sistema feudale fu la cosiddetta rivoluzione della polvere da sparo.

La diffusione delle armi da fuoco ebbe un profondo impatto sulla società: pistole, fucili e cannoni resero inutili e obsolete armi e armature che per migliaia di anni avevano definito i rapporti di forza a livello globale. I nuovi strumenti di offesa e difesa erano però molto più costosi rispetto a spade, archi e balestre.

Il sistema feudale, composto di tanti piccoli sovrani feudali in competizione tra loro, non era più efficiente per estrarre dal popolo le risorse necessarie per permettersi e sostenere milizie armate di fucili e cannoni.

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Manifesta per la libertà, contro il regime iraniano: Sarina Esmailzadeh uccisa a colpi di manganello


Sarina Esmailzadeh, appena sedicenne, era un’adolescente in cerca di libertà, contraria all’obbligo dell’hijab e si interessava molto ai problemi sociali del popolo iraniano. Amava discutere dei diritti delle donne. Era piena di energia e ballava senza il

Sarina Esmailzadeh, appena sedicenne, era un’adolescente in cerca di libertà, contraria all’obbligo dell’hijab e si interessava molto ai problemi sociali del popolo iraniano. Amava discutere dei diritti delle donne. Era piena di energia e ballava senza il velo con un ragazzo di poco più grande di lei. Lo faceva nel chiuso della sua stanza, davanti alla videocamera del suo computer o ripresa dal suo smartphone.

“Invece di chiamarci contestatrici ci chiamano provocatrici”, diceva, rivolta ai follower del suo canale YouTube, su Telegram e Instagram.

“Ci prendono di mira, anche se siamo a mani nude. Ci colpiscono, ci torturano, ci stuprano, ci accecano o ci ammazzano. Ci hanno stuprate nelle prigioni e torturate anche psicologicamente per spingerci al suicidio una volta uscite dal carcere e, dopo che ci hanno uccise, la tortura colpisce le nostre famiglie, i nostri genitori per indurli a dichiarare che invece siamo morte perché ci siamo suicidate, lanciandoci nel vuoto o perché drogate o ammalate”.

La rivoluzione in Iran, “Donna, Vita, Libertà”, nasce da una lunga storia di movimenti per i diritti delle donne e di attivismo all’interno e all’esterno del paese. Le cittadine iraniane da anni elaborano strategie per sfidare la discriminazione di genere, sia in politica che nella società. Nata e guidata da donne, la rivolta attraversa le divisioni di genere, di classe ed etnia e rappresenta la più seria sfida popolare ai leader teocratici e all’autoritarismo.

A scendere nelle piazze è soprattutto la “Generazione Z”, quella che non ha nulla da perdere; una generazione che rifiuta l’ipocrisia di vivere la libertà solo nello spazio privato e la rivendica ovunque, a cominciare dallo spazio pubblico.

Quella iraniana è anche per questo una rivoluzione nata dalla periferia, dagli ultimi, dalle minoranze delle più remote province del paese e subito divampata nei centri urbani con le donne protagoniste, con la generazione dei ventenni, con gli studenti a cui si sono uniti operai e lavoratori di settori produttivi strategici, che sta rivelando una inedita sintonia tra strati della società da sempre distanti, ma che ora sembrano uniti nella comune alta richiesta di libertà.

Quel che accade in Iran dal 16 settembre 2022 è un evento epocale anche perché allontana la preoccupazione che esisteva fino a poco tempo fa che faceva immaginare un destino per l’Iran drammatico.

Il paese, lacerato lungo linee di frattura etnica e religiosa, faceva presagire la possibilità di una sua balcanizzazione per le profonde divisioni esistenti. Fino a poco tempo fa si temeva che il centro e la periferia avrebbero finito per scontrarsi brutalmente. Fortunatamente sta accadendo il contrario. Grazie alle donne e ai giovanissimi.

La mamma di Sarina si sarebbe tolta la vita, impiccandosi poco dopo aver appreso che le forze di sicurezza iraniane avevano picchiato sua figlia fino alla morte. L’adolescente è stata uccisa da un duro colpo di manganello infertole sulla testa dai miliziani volontari pasdaran dei Guardiani della rivoluzione islamica durante una manifestazione anti regime a Karaj, pochi giorni dopo l’uccisione di Jîna, Mahsa Amini, la ventiduenne curda-iraniana picchiata fino alla morte dalla cosiddetta “polizia morale” di Tehran per presunta violazione del rigido codice di abbigliamento islamico.

Dopo la fine del suo corso di lingua, Sarina si era unita a un raduno di studenti nei pressi della sua scuola per sostenere le proteste.

Durante la manifestazione gli agenti di sicurezza l’hanno colpita violentemente alla testa facendola sanguinare copiosamente.

Le sue amiche l’hanno portata per le cure in una delle abitazioni vicine al luogo dell’aggressione poiché non c’erano le condizioni per il suo trasferimento in ospedale, ma Sarina non ce l’ha fatta ed è morta lì, dissanguata.

Il 23 settembre 2022, intorno alle ore 12, le forze di sicurezza hanno chiamato i familiari di Sarina chiedendo loro di recarsi rapidamente al cimitero per ricevere il corpo senza vita della ragazza e per poter procedere al “ghusul”, l’abluzione secondo il rito islamico che prescrive che il corpo del defunto venga disinfettato e pulito da tutte le impurità visibili.

Affinché la sua famiglia identificasse Sarina, le forze di sicurezza hanno mostrato il suo volto, che ha rivelato numerose ferite; la parte destra della fronte della ragazza era completamente fracassata.

Dopo la sua sepoltura, Hossein Fazeli Harikandi, il capo della magistratura di Alborz, ha affermato che la giovane si sarebbe suicidata lanciandosi dal tetto della casa di sua nonna ad Azimieh, a Karaj, la mattina del 23 settembre.

I pasdaran hanno minacciato sua madre dicendole che non avrebbe mai visto il fratello di Sarina nel caso in cui non avesse suffragato la versione fornita dalle autorità iraniane.

I pasdaran avevano deriso la mamma straziata dal dolore, dicendole che sua figlia era immorale, che era una terrorista perché teorizzava sui social uno stile di vita come quello occidentale. La famiglia stava cercando da due giorni Sarina che non aveva fatto ritorno a casa dal 21 settembre, giorno della sua morte. Dopo averne finalmente visto il corpo martoriato, sua madre, vessata dai pasdaran nel tentativo di metterla a tacere affinché non rivelasse la causa reale della morte di sua figlia, è tornata a casa dove si sarebbe impiccata.

I genitori dei manifestanti uccisi dalle forze paramilitari volontarie chiamate basij che desiderano seppellire i propri figli sono spesso soggetti a severe normative da parte delle autorità iraniane e a un ricatto: quello di poter ottenere la restituzione del corpo del congiunto morto solo in cambio del silenzio.

Sarina era orfana di padre dal 2013, da quando aveva appena sei anni, e viveva con sua madre e col fratello maggiore. La sua mamma era gravemente malata, aveva un tumore al cervello. La ragazza è stata sepolta in una tomba a due piani accanto a suo padre Aref nel cimitero di Behesht Sakineh di Karaj.

Nel quarantesimo giorno dalla sua morte, i compagni di classe di Sarina hanno tenuto una cerimonia commemorativa e hanno rimosso la foto di Khamenei dalla parete della loro classe affiggendo al suo posto la foto della loro compagna. Una sua amica ha scritto sul account Telegram: “La primavera sta arrivando. Anche se ci uccidi, anche se ci tagli la testa, anche se ci colpisci, cosa farai con gli inevitabili germogli?”

Su Telegram e YouTube la giovane ripeteva ai suoi fan: “Non siamo come la generazione precedente, quella, di 20 anni fa, che non sapeva com’era la vita fuori dall’Iran. Noi siamo consapevoli di ciò che accade oggi nel mondo e ci chiediamo cosa abbiamo in meno rispetto agli altri adolescenti che vivono in altri paesi. Perché dobbiamo soffrire costrette a vivere una doppia vita, quella pubblica in cui dobbiamo celare la nostra identità e quella privata nel chiuso delle nostre stanze?”

Nel suo ultimo video su Telegram, Sarina, ha pronunciato queste parole: “Mi sembra di essere in esilio nella mia stessa patria”.

L'articolo Manifesta per la libertà, contro il regime iraniano: Sarina Esmailzadeh uccisa a colpi di manganello proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Puntare su innovazione e Blue economy. Tutto pronto per Seafuture


È in arrivo l’ottava edizione di Seafuture, uno degli eventi nazionali più importanti nel settore della Blue economy, nonché primo hub del Mare nostrum che prende in considerazione tutti i diversi aspetti di una politica marittima integrata, basata sulla

È in arrivo l’ottava edizione di Seafuture, uno degli eventi nazionali più importanti nel settore della Blue economy, nonché primo hub del Mare nostrum che prende in considerazione tutti i diversi aspetti di una politica marittima integrata, basata sulla strategia “Blue growht” così come indicato dalla Commissione europea. Nella sede della Federazione del Mare si è svolta la conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa, che si svolgerà dal 5 all’8 giugno a La Spezia, in Liguria, ed è organizzata dalla Marina militare insieme all’Italian blue growht.

La presentazione

All’evento di presentazione era presente anche il sottocapo di Stato maggiore della Marina militare, l’ammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto, insieme a lui vi erano anche la presidente di Italian blue growht, Cristina Pagani, e il segretario generale della Federazione del mare, Laurence Martin. Seafuture ancor di più quest’anno è fortemente improntata all’internazionalizzazione. “Con grande piacere noto come l’edizione di quest’anno, rispetto alle precedenti, registri il più elevato numero di rappresentanza di Marine straniere, presenti con 28 capi di Stato maggiore e 33 delegati”, ha infatti raccontato il sottocapo. Questa, a detta dell’ammiraglio, rappresenta una “evidente testimonianza della bontà del nostro operato e dell’attrattività dei prodotti e delle tecnologie italiane che riscuotono sempre maggior interesse a livello globale”.

Seafuture

Saranno infatti più di 300 le aziende che esporranno i propri prodotti e servizi nell’area della storica Base Navale della Spezia, di cui 78 imprese straniere provenienti dagli Usa, dal Canada e dagli altri Paesi europei. Tra le realtà industriali saranno presenti anche i principali sponsor dell’iniziativa da Fincantieri a Mbda, da Elettronica a Leonardo. Con l’intervento previsto di 71 delegazioni estere, 12 imbarcazioni ormeggiate nella Dock Area e una vasta area espositiva, Seafuture si prepara ad essere un vero e proprio polo internazionale dedicato al dominio marittimo. A sostenere l’iniziativa, oltre alla Marina militare, vi sono anche Segredifesa e la Federazione delle aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad). Non solo, a La Spezia si concentreranno anche iniziative speciali dedicate alla cultura, all’arte e al cinema, andando a delineare un programma di oltre 50 eventi in quattro giorni.

L’importanza della Blue economy

Parallelamente agli appuntamenti descritti, non mancheranno tavole rotonde con lo scopo di promuovere la costruzione di un consenso attorno ai temi della transizione energetica, dell’economia circolare e della salute dell’ambiente marino. Al centro dei dibattiti vi saranno infatti temi di grande attualità e interesse strategico quali la sicurezza marittima, l’electronic warfare, la cyber-security e la difesa underwater. Tutto questo partendo dall’assunto, ribadito dall’ammiraglio Berutti Bergotto, che: “La sicurezza dei mari è fondamentale per la nostra sopravvivenza”.


formiche.net/2023/05/tutto-pro…



Il pensiero di Friedman e l’eredità di Antonio Martino: Messina ricorda il suo ministro liberale


Amici, politici, studiosi, docenti universitari hanno ricordato l’impegno scientifico e politico di Martino, l’eredità del pensiero liberale, il suo legame con Messina e con Milton Friedman di cui fu allievo Milton Friedman e Antonio Martino. Il maestro p

Amici, politici, studiosi, docenti universitari hanno ricordato l’impegno scientifico e politico di Martino, l’eredità del pensiero liberale, il suo legame con Messina e con Milton Friedman di cui fu allievo

Milton Friedman e Antonio Martino. Il maestro premio Nobel e l’allievo diventato a sua volta professore e ministro degli Affari esteri. Un intreccio di personalità eccezionali che passa anche per Messina, terra di origine di Antonio Martino. A poco più di un anno dalla scomparsa, la figura di Antonio Martino è stata ricordata nella sala dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti dell’università su iniziativa dell’istituto Milton Friedman con il convegno “La parola a Friedman ricordando Martino”.

Amici, politici, studiosi, docenti universitari hanno ricordato l’impegno scientifico e politico di Martino, l’eredità del pensiero liberale, il suo legame con Messina e con Milton Friedman di cui fu allievo. E’ venuto fuori il ritratto di un uomo colto, legato all’università cosi come alla sua terra di origine e alle amicizie di una vita. Un uomo impegnato nell’università, era professore e in politica, era tra i fondatori di Forza Italia, che sapeva essere ironico ma soprattutto libero che non ha mai sofferto il confronto con il padre Gaetano, uno dei promotori della comunità europea.

Il ruolo istituzionale e il legame con l’università di Messina è stato ricordato dal prorettore vicario Giovanni Moschella. “Martino e Friedman – ha detto – sono figure importanti non solo per il loro impegno scientifico ma anche per il contributo che hanno dato nell’elaborazione del pensiero economico, dando l’avvio di un nuovo modello di cui ancora vediamo i frutti”. L’assessora regionale Elvira Amata ha ricordato Martino come “un uomo garbato, elegante, che quando parlava di economia riusciva farla comprendere a tutti”. Un ricordo affettuoso anche della senatrice Michaela Biancofiore e della sottosegretaria Matilde Siracusano presenti con un contributo video. L’ultima uscita pubblica di Martino che andò in visita alla fondazione Einaudi è stata ricordata da Renato Loiero, consigliere per le Politiche di bilancio del presidente del consiglio dei ministri, mentre Gaetano Armao, docente di diritto amministrativo già vicepresidente della Regione Sicilia, collegato in video, ha ricordato Martino come “un uomo libero nelle idee che professava e che comunicava non temendo di restare in minoranza, un uomo più fedele alle sue idee che alle tessere di partito”.

gazzettadelsud.it

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Loredana Fraleone* La risposta dei genitori appartenenti al Consiglio d’Istituto del liceo classico “Pilo Albertelli” di Roma all’insulso articolo di


Prosegue il Salone internazionale del libro! 📚 Oggi si svolgerà il terzo evento sul tema delle Biblioteche scolastiche. Vi aspettiamo al nostro stand!

Qui il programma ▶️ miur.gov.it/documents/20182/0/…



Manifesta per la libertà, contro il regime iraniano: Sarina Hesmailzadeh uccisa a colpi di manganello


Sarina Esmailzadeh, appena sedicenne, era un’adolescente in cerca di libertà, contraria all’obbligo dell’hijab e si interessava molto ai problemi sociali del popolo iraniano. Amava discutere dei diritti delle donne. Era piena di energia e ballava senza il

Sarina Esmailzadeh, appena sedicenne, era un’adolescente in cerca di libertà, contraria all’obbligo dell’hijab e si interessava molto ai problemi sociali del popolo iraniano. Amava discutere dei diritti delle donne. Era piena di energia e ballava senza il velo con un ragazzo di poco più grande di lei. Lo faceva nel chiuso della sua stanza, davanti alla videocamera del suo computer o ripresa dal suo smartphone.

“Invece di chiamarci contestatrici ci chiamano provocatrici”, diceva, rivolta ai follower del suo canale YouTube, su Telegram e Instagram.

“Ci prendono di mira, anche se siamo a mani nude. Ci colpiscono, ci torturano, ci stuprano, ci accecano o ci ammazzano. Ci hanno stuprate nelle prigioni e torturate anche psicologicamente per spingerci al suicidio una volta uscite dal carcere e, dopo che ci hanno uccise, la tortura colpisce le nostre famiglie, i nostri genitori per indurli a dichiarare che invece siamo morte perché ci siamo suicidate, lanciandoci nel vuoto o perché drogate o ammalate”.

La rivoluzione in Iran, “Donna, Vita, Libertà”, nasce da una lunga storia di movimenti per i diritti delle donne e di attivismo all’interno e all’esterno del paese. Le cittadine iraniane da anni elaborano strategie per sfidare la discriminazione di genere, sia in politica che nella società. Nata e guidata da donne, la rivolta attraversa le divisioni di genere, di classe ed etnia e rappresenta la più seria sfida popolare ai leader teocratici e all’autoritarismo.

A scendere nelle piazze è soprattutto la “Generazione Z”, quella che non ha nulla da perdere; una generazione che rifiuta l’ipocrisia di vivere la libertà solo nello spazio privato e la rivendica ovunque, a cominciare dallo spazio pubblico.

Quella iraniana è anche per questo una rivoluzione nata dalla periferia, dagli ultimi, dalle minoranze delle più remote province del paese e subito divampata nei centri urbani con le donne protagoniste, con la generazione dei ventenni, con gli studenti a cui si sono uniti operai e lavoratori di settori produttivi strategici, che sta rivelando una inedita sintonia tra strati della società da sempre distanti, ma che ora sembrano uniti nella comune alta richiesta di libertà.

Quel che accade in Iran dal 16 settembre 2022 è un evento epocale anche perché allontana la preoccupazione che esisteva fino a poco tempo fa che faceva immaginare un destino per l’Iran drammatico.

Il paese, lacerato lungo linee di frattura etnica e religiosa, faceva presagire la possibilità di una sua balcanizzazione per le profonde divisioni esistenti. Fino a poco tempo fa si temeva che il centro e la periferia avrebbero finito per scontrarsi brutalmente. Fortunatamente sta accadendo il contrario. Grazie alle donne e ai giovanissimi.

La mamma di Sarina si sarebbe tolta la vita, impiccandosi poco dopo aver appreso che le forze di sicurezza iraniane avevano picchiato sua figlia fino alla morte. L’adolescente è stata uccisa da un duro colpo di manganello infertole sulla testa dai miliziani volontari pasdaran dei Guardiani della rivoluzione islamica durante una manifestazione anti regime a Karaj, pochi giorni dopo l’uccisione di Jîna, Mahsa Amini, la ventiduenne curda-iraniana picchiata fino alla morte dalla cosiddetta “polizia morale” di Tehran per presunta violazione del rigido codice di abbigliamento islamico.

Dopo la fine del suo corso di lingua, Sarina si era unita a un raduno di studenti nei pressi della sua scuola per sostenere le proteste.

Durante la manifestazione gli agenti di sicurezza l’hanno colpita violentemente alla testa facendola sanguinare copiosamente.

Le sue amiche l’hanno portata per le cure in una delle abitazioni vicine al luogo dell’aggressione poiché non c’erano le condizioni per il suo trasferimento in ospedale, ma Sarina non ce l’ha fatta ed è morta lì, dissanguata.

Il 23 settembre 2022, intorno alle ore 12, le forze di sicurezza hanno chiamato i familiari di Sarina chiedendo loro di recarsi rapidamente al cimitero per ricevere il corpo senza vita della ragazza e per poter procedere al “ghusul”, l’abluzione secondo il rito islamico che prescrive che il corpo del defunto venga disinfettato e pulito da tutte le impurità visibili.

Affinché la sua famiglia identificasse Sarina, le forze di sicurezza hanno mostrato il suo volto, che ha rivelato numerose ferite; la parte destra della fronte della ragazza era completamente fracassata.

Dopo la sua sepoltura, Hossein Fazeli Harikandi, il capo della magistratura di Alborz, ha affermato che la giovane si sarebbe suicidata lanciandosi dal tetto della casa di sua nonna ad Azimieh, a Karaj, la mattina del 23 settembre.

I pasdaran hanno minacciato sua madre dicendole che non avrebbe mai visto il fratello di Sarina nel caso in cui non avesse suffragato la versione fornita dalle autorità iraniane.

I pasdaran avevano deriso la mamma straziata dal dolore, dicendole che sua figlia era immorale, che era una terrorista perché teorizzava sui social uno stile di vita come quello occidentale. La famiglia stava cercando da due giorni Sarina che non aveva fatto ritorno a casa dal 21 settembre, giorno della sua morte. Dopo averne finalmente visto il corpo martoriato, sua madre, vessata dai pasdaran nel tentativo di metterla a tacere affinché non rivelasse la causa reale della morte di sua figlia, è tornata a casa dove si sarebbe impiccata.

I genitori dei manifestanti uccisi dalle forze paramilitari volontarie chiamate basij che desiderano seppellire i propri figli sono spesso soggetti a severe normative da parte delle autorità iraniane e a un ricatto: quello di poter ottenere la restituzione del corpo del congiunto morto solo in cambio del silenzio.

Sarina era orfana di padre dal 2013, da quando aveva appena sei anni, e viveva con sua madre e col fratello maggiore. La sua mamma era gravemente malata, aveva un tumore al cervello. La ragazza è stata sepolta in una tomba a due piani accanto a suo padre Aref nel cimitero di Behesht Sakineh di Karaj.

Nel quarantesimo giorno dalla sua morte, i compagni di classe di Sarina hanno tenuto una cerimonia commemorativa e hanno rimosso la foto di Khamenei dalla parete della loro classe affiggendo al suo posto la foto della loro compagna. Una sua amica ha scritto sul account Telegram: “La primavera sta arrivando. Anche se ci uccidi, anche se ci tagli la testa, anche se ci colpisci, cosa farai con gli inevitabili germogli?”

Su Telegram e YouTube la giovane ripeteva ai suoi fan: “Non siamo come la generazione precedente, quella, di 20 anni fa, che non sapeva com’era la vita fuori dall’Iran. Noi siamo consapevoli di ciò che accade oggi nel mondo e ci chiediamo cosa abbiamo in meno rispetto agli altri adolescenti che vivono in altri paesi. Perché dobbiamo soffrire costrette a vivere una doppia vita, quella pubblica in cui dobbiamo celare la nostra identità e quella privata nel chiuso delle nostre stanze?”

Nel suo ultimo video su Telegram, Sarina, ha pronunciato queste parole: “Mi sembra di essere in esilio nella mia stessa patria”.

L'articolo Manifesta per la libertà, contro il regime iraniano: Sarina Hesmailzadeh uccisa a colpi di manganello proviene da Fondazione Luigi Einaudi.




Oggi, 19 maggio, noi di Unione Popolare abbiamo depositato in Corte di Cassazione la “Proposta di legge per l’istituzione del salario minimo legale”. I


Grecia al voto: destra favorita, Syriza spera nei giovani


Domenica si vota in Grecia. I sondaggi prevedono la vittoria della destra mentre Syriza spera nel voto dei giovani, più critici nei confronti del governo attuale L'articolo Grecia al voto: destra favorita, Syriza spera nei giovani proviene da Pagine Este

di Redazione

Pagine Esteri, 19 maggio 2023 – Domenica 21 maggio gli elettori della Greciasono chiamati alle urne per rinnovare il Parlamento. Gli aventi diritto sono circa 10 milioni mentre i partiti ammessi alla competizione sono complessivamente 36. All’assemblea accederanno però soltanto quelli che riusciranno a superare la soglia di sbarramento del 3%.

La sfida per conquistare la maggioranza dei 300 seggi parlamentari è tra il premier uscente Kyriakos Mitsotakis (Nuova Democrazia, destra) e Alexis Tsipras (Syriza-Alleanza Progressista, centrosinistra) che invece ha guidato il paese tra il 2015 e il 2019. Tutti i sondaggi danno Nuova Democrazia in vantaggio di 4-6 punti percentuali sull’ex formazione di sinistra radicale.

Dei 300 seggi totali, 285 vengono assegnati in via proporzionale, 12 dalle cosiddette liste bloccate, che non prevedono voti di preferenza, e tre dai greci all’estero, che per la prima volta hanno la possibilità di esprimere la loro preferenza alle urne direttamente nel luogo di residenza.

Nel 2016 l’esecutivo guidato da Syriza ha abolito il premio di maggioranza di 50 seggi – sui 300 totali – che la legge elettorale assegnava alla formazione politica più votata.

Non avendo ottenuto all’epoca il sostegno di almeno due terzi dei parlamentari, come prevede la Costituzione, la riforma elettorale non è entrata in vigore subito – e infatti nel 2019 Nea Dimokratia, giunta in testa, si avvalse del premio di maggioranza – slittando alle elezioni di domenica prossima. Il premio di maggioranza – dai 20 ai 50 seggi in proporzione alle percentuali conquistate – è stato tuttavia già ripristinato dal governo Mitsotakis – anche in questo caso senza una maggioranza dei due terzi – e tornerà pertanto in vigore alla prossima tornata elettorale, che si potrebbe tenere già nel mese di luglio qualora i risultati di domenica non dovessero consentire la formazione di un esecutivo.

Ad oggi, sulla base delle posizioni mostrate dai principali leader politici greci durante la campagna elettorale, risulta complicato prevedere quali equilibri e scenari si possano creare una volta chiuse le urne. Mitsotakis ha più volte ribadito di voler tornare al voto a luglio nel caso in cui Nuova Democrazia non dovesse conquistare la maggioranza assoluta in autonomia. Risulta assai improbabile che da sola la destra ottenga il 45% che gli consentirebbe di ottenere la maggioranza assoluta.
Tsipras si è invece detto disponibile a discutere la formazione di un governo con la coalizione di centrosinistra Movimento per il cambiamento guidata dai socialisti del Pasok. La coalizione, presieduta da Nikos Androulakis, dovrebbe piazzarsi in terza posizione con circa il 10% dei voti, dopo Nea Dimokratia (35-38%) e Syriza-Alleanza progressista (29-32%). Alle scorse elezioni ND aveva ottenuto il 39,9% e Syriza il 31,5%.

Per ribaltare quanto previsto dai sondaggi, Alexis Tsipras auspica una massiccia partecipazione alla tornata elettorale delle fasce più giovani della popolazione (tra i 17 e i 45 anni) che, secondo le rilevazioni sulle intenzioni di voto, preferirebbero di gran lunga Syriza a Nea Dimokratia. Rispetto all’ultima elezione del 2019, hanno diritto al voto circa 439 mila giovani tra i 17 e i 21 anni.

Da parte sua, Mitsotakis ha più volte ribadito di essere certo di vincere, sostenendo che l’unica proposta di governo realizzabile è quella della sua formazione il cui programma si basa sulla “modernizzazione” e su un ulteriore piano di privatizzazioni di ciò che resta del patrimonio pubblico.

Stando ai sondaggi, tra le restanti formazioni politiche elleniche, quelle che potrebbero conquistare l’accesso al Parlamento sarebbero tre: il Partito comunista della Grecia (Kke), di Dimitris Koutsoumpas, dovrebbe ottenere tra il 6 e il 7%, i socialdemocratici di sinistra del Fronte della disobbedienza realistica europea (MeRA25) guidato dall’ex ministro delle Finanze di Tsipras, Yanis Varoufakis, che potrebbe conquistare il 3,5%, e infine Soluzione greca, partito nazionalista di estrema destra guidato da Kyriakos Velopoulos, che dovrebbe superare di poco lo sbarramento del 3%.

Qualche possibilità di oltrepassare il 3%, affermano i sondaggi, ce l’ha anche “Creazione nazionale” (Ethniki Dimiourgia), formazione di destra liberal-conservatrice con un discorso anticomunista e anti-immigrazione.

Dalle elezioni è stato invece escluso un altro partito di estrema destra, denominato “Partito Nazionale dei Greci” e recentemente fondato dall’ex dirigente di Alba Dorata Ilias Kasidiaris che si trova in carcere, condannato a 13 anni per associazione a delinquere insieme ad altri leader della formazione neonazista sciolta dopo l’omicidio del rapper e attivista antifascista Pavlos Fyssas (2013). – Pagine Esteri

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Fuori i magistrati dal ministero


Intervista a Sabino Cassese «Fuori i magistrati dal Ministero, solo così si salva l’indipendenza» Ieri mattina abbiamo aperto la nostra terza esperienza al Salone internazionale del Libro di Torino con una intervista al costituzionalista Sabino Cassese. C

Intervista a Sabino Cassese

«Fuori i magistrati dal Ministero, solo così si salva l’indipendenza»


Ieri mattina abbiamo aperto la nostra terza esperienza al Salone internazionale del Libro di Torino con una intervista al costituzionalista Sabino Cassese. Con lui abbiamo parlato di riforme costituzionali e di giustizia e come le prime possono influenzare la seconda. Al termine dell’intervista, che potete rivedere sulla nostra pagina Facebook, abbiamo invitato il professor Cassese a visitare la cella di isolamento che abbiamo allestito nel nostro stand. Dopo averla vista ha dichiarato: «A guardarla, bisogna invece ispirarsi a quella in cui è recluso Anders Behring Breivik», l’autore della strage sull’isola di Utøya il 22 luglio 2011.

Lei in una intervista a Repubblica ha ricordato che il nostro Paese ha avuto 68 governi in 75 anni. Abbiamo un problema. È l’ora di riforme costituzionali?
In realtà esistono tre questioni da affrontare e risolvere: durata, coesione e poteri del Governo. Rispetto a quest’ultimo in questo momento il Governo ha sufficienti poteri soprattutto ora per la concentrazione di potere del presidente del Consiglio nei rapporti internazionali. Inoltre il Governo è diventato il vero legislatore nel nostro Paese: un decreto legge a settimana. E poi si raddoppiano durante il passaggio parlamentare alla conversione. I problemi riguardano invece la durata e la coesione. Per la prima basta stabilire una durata, salvo una sfiducia costruttiva. Per quanto concerne la coesione dando la possibilità al presidente del Consiglio di mettere in riga i ministri recalcitranti, cioè mandarli a casa.

C’è a suo parere un atteggiamento conservativo e in parte anche impaurito da parte del centro-sinistra verso le riforme costituzionali?
Darei una diagnosi di questo tipo: lo Stato è una macchina che non funziona. Tutti quelli che vanno alla sua guida cercano di modificarla per migliorarne il funzionamento. Ma tutti quelli che non hanno il volante in mano si interessano un po’ meno del funzionamento della macchina e qualche volta sono anche contenti che non funzioni se al comando della macchina c’è qualcuno che a loro non garba.

“L’attrazione del Presidente della Repubblica nell’agone politico e il radicale mutamento della sua fisionomia istituzionale avrebbero immediate ricadute sui poteri che attualmente la Carta costituzionale gli attribuisce nell’area del giudiziario: la presidenza del Csm, la nomina di cinque membri della Corte costituzionale, il potere di grazia”. Lo ha evidenziato un articolo pubblicato su Questione Giustizia, la rivista di Magistratura democratica, a firma del direttore Nello Rossi. Lei condivide?
Senza ombra di dubbio ogni riforma costituzionale ha delle implicazioni su altri rami della Costituzione. La Costituzione ha affidato alla presidenza del Consiglio superiore della magistratura al Presidente della Repubblica perché considerato organo di persuasione. È chiaro che se il Capo dello Stato, nella forma massima del presidenzialismo, diventa la persona che determina l’indirizzo politico non può presiedere il Csm. Debbo aggiungere però un piccolo dettaglio.

Prego professore.
Tutti i nostri presidenti della Repubblica hanno presieduto molto poco il Csm, con una eccezione che lascio a lei indovinare.

In un colloquio con il Foglio il ministro Nordio ha detto: “È ovvio che il Nordio editorialista non potrà mai essere uguale al Nordio ministro. Ma fidatevi: non vi deluderemo”. Secondo lei in questi ultimi mesi chi ha prevalso?
Nordio, proprio in un convegno nel quale eravamo entrambi ospiti poco dopo la sua nomina, ha detto chiaramente che le sue posizioni personali vanno poi ponderate con le opinioni dell’organo collegiale di cui fa parte. E mi sembra giusto. Avrei però qualche riserva su tutto quello che ha fatto fino ad ora.

Come mai?
Mi è sembrato, come dire, un Nordio a rallentatore, mi è sembrato paradossale, per una persona che ha parlato per tanto tempo di depenalizzazioni, che si sono aggiunti nuovi reati e perché continua l’occupazione del ministero della Giustizia. Diciamo la verità.

Assolutamente.
Il nostro ordine giudiziario non sarà veramente indipendente fino a che nel ministero della Giustizia ci saranno dei magistrati. Non possono esserci dei magistrati al vertice del potere esecutivo. E lo stesso vale per gli altri ministeri. Quindi da questo punto di vista c’è stata anche una regressione. Sono stati nominati altri magistrati a via Arenula anche in posti prima occupati da funzionari amministrativi. Ribadiamolo questo punto: in un ordinamento nel quale c’è a) la separazione dei poteri b) il principio costituzionale dell’indipendenza della magistratura che ogni giorno i magistrati mangiano a colazione, pranzo e cena riempendoci la testa con l’indipendenza della magistratura, una magistratura indipendente vuol dire una magistratura che non dipende dal potere esecutivo.

Il tema dei fuori-ruolo è un cavallo di battaglia dell’Unione delle Camere Penali e del deputato di Azione Enrico Costa. Un altro è quello della separazione delle carriere: secondo lei si riuscirà a raggiungere questo obiettivo?
La classe politica italiana sostanzialmente vive nel terrore del potere giudiziario. All’interno di esso poche persone dal momento in cui sono mutate le norme costituzionali, cioè da 30 anni, tengono sotto scacco la classe politica italiana. E quindi c’è molta timidezza nell’affrontare questo problema che deriva implicitamente dalla riforma Vassalli. Io non sono molto fiducioso.

Vorrei farle una domanda sulla Corte Costituzionale. Qualche mese fa Quaderni Costituzionali, diretti da Marta Cartabia e Andrea Pugiotto, hanno organizzato un dibattito sulle nuove forme di consultazione della Consulta. Si è discusso anche di dissenting opinion. Lei sarebbe favorevole?
Non solo sono favorevole ma ne ho anche scritto nelle appendici del mio libro “Dentro la Corte”. Ho organizzato anche dei seminari alla Corte quando ero giudice costituzionale. Ho fatto venire dei giudici americani della Corte Suprema a parlare alla Corte Costituzionale su questo tema. E durante il mio mandato in Corte, la Consulta ha discusso per la terza volta di questo argomento. La prima volta i favorevoli erano due, la terza volta tre, quando c’ero io eravamo in quattro. Quindi, lentamente, può darsi che ci arriveremo. Non so quando.

Il Dubbio

L'articolo Fuori i magistrati dal ministero proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Per l’Italia saranno 35,7 i miliardi destinati al budget Difesa. Le previsioni di Global Data


L’Italia sembra essere pronta ad aumentare il proprio bilancio della Difesa, con l’obiettivo ambizioso di raggiungere quota 35,7 miliardi di euro (pari a circa 38,5 miliardi di dollari, a seconda delle oscillazioni) entro il 2028. Così il governo italiano

L’Italia sembra essere pronta ad aumentare il proprio bilancio della Difesa, con l’obiettivo ambizioso di raggiungere quota 35,7 miliardi di euro (pari a circa 38,5 miliardi di dollari, a seconda delle oscillazioni) entro il 2028. Così il governo italiano si vorrebbe impegnare per rimodulare il budget da destinare al comparto. Ad affermarlo è Global Data, società leader nel settore dell’Intelligence, che prevede appunto una nuova crescita nel bilancio del settore grazie a un aumento di spesa significativo, soprattutto se guardiamo al passato, e se consideriamo il fatto che il budget per la Difesa nel 2024 si attesterà circa sui 29,3 miliardi di euro.

Mancanza di continuità per la strategia di Difesa

Una storia politica nazionale non lineare, caratterizzata da continui cambi al vertice di governo, ha spesso ostacolato una crescita concertata del settore, in termini di investimenti e fondi messi a disposizione del comparto. Nonostante ciò, il bilancio del nostro Paese da destinare alla Difesa ha registrato una crescita modesta nel periodo tra il 2019 e il 2021, con un aumento di budget di 5,3 miliardi di euro, mentre ha subito un’inflessione nel 2022 a causa degli effetti della pandemia da Covid-19 e dell’incertezza economica. Il presidente del Consiglio in carica, Giorgia Meloni, ha inserito nel suo programma il superamento della tradizionale riluttanza italiana alla pianificazione della difesa a lungo termine, prevedendo un aumento di circa 7,6 miliardi di dollari tra il 2023 e il 2028.

Diversi incentivi

Nonostante infatti in Italia non sia ancora diffusa una solida cultura della Difesa, le contingenze dell’attuale scenario geopolitico stanno portando grande attenzione sui temi e le questioni legate alla Difesa, in primis per il perdurare da oltre un anno della guerra russo-ucraina nel cuore dell’Europa. È infatti proprio l’invasione russa di Putin a risultare il principale incentivo all’aumento delle spese militari, dal momento che ha messo in luce non soltanto l’importanza della deterrenza ma anche le debolezze della capacità industriale dell’Occidente. Ad essere fortemente stressate sono infatti soprattutto le capacità di fornire aiuti militari a Kiev, con scorte di armi e munizioni che risultano sempre più prosciugate. Un dato, su tutti, mette ben evidenzia il grande sforzo a cui il Vecchio continente si sta adattando: secondo le stime del governo estone oggi in un mese in Ucraina si consumano più colpi di quelli prodotti in un intero anno in Europa. Sarà proprio tutto questo a spingere le scelte di approvvigionamento in tutta Europa.

Un budget in crescita?

Per il 2023 le spese finali del ministero della Difesa autorizzate dalla legge di bilancio sono pari a circa 27,7 miliardi di euro e rappresentano circa il 3% delle spese finali del bilancio dello Stato – ciò non significa che il nostro Paese abbia raggiunto il 2% del Pil per le spese militari auspicato dalla Nato, dal momento che le due percentuali non sono comparabili perché il volume finanziario complessivo è calcolata dall’Alleanza Atlantica sulla base di criteri e parametri diversi. Alcuni degli stanziamenti, tuttavia, sono presenti negli stati di previsione di altri ministeri, sopra tutti il ministero dell’Economia e delle finanze e il ministero delle Imprese e del made in Italy. Le spese autorizzate dalle varie leggi di bilancio dal 2016 in poi registrano un trend in crescita in termini assoluti, con un picco nel 2023, e il trend, secondo Global Data è destinato solo a crescere.


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Così Fincantieri spinge negli Usa. Siglato accordo per la quarta fregata Constellation


È arrivata l’ufficialità sulla costruzione della quarta fregata della classe Constellation per la US Navy, da parte del gigante nazionale di cantieristica navale Fincantieri, attraverso la sua controllata americana Marinette marine (Fmm). Il contratto, as

È arrivata l’ufficialità sulla costruzione della quarta fregata della classe Constellation per la US Navy, da parte del gigante nazionale di cantieristica navale Fincantieri, attraverso la sua controllata americana Marinette marine (Fmm). Il contratto, assegnato dal Dipartimento della Difesa statunitense, ha un valore di circa 526 milioni di dollari per la costruzione della fregata e rientra nel grande accordo, siglato nel 2020, del valore complessivo di circa 5,5 miliardi di dollari. La realizzazione della prima fregata è iniziata infatti alla fine dello scorso agosto a Marinette, in Wisconsin, e Fmm prevede di consegnare la nave, appunto la futura Uss Constellation, nel 2026.

Puntare all’innovazione

“Il nostro impegno è di supportare la più grande Marina al mondo con una nave che rappresenti il massimo grado possibile di innovazione”. Così, parlando dell’importanza dell’innovazione e delle nuove tecnologie al servizio della Difesa e del suo comparto industriale, ha commentato la firma del nuovo accordo l’amministratore delegato di Fincantieri, Pierroberto Folgiero. La fregata, infatti, sarà pronta anche a operare in un battlefield sempre più digitalizzato. “Guardiamo in particolar modo al profilo digitale delle unità, in termini di cyber-security e data analytics, due fronti fondamentali per la competizione industriale del futuro”, ha poi concluso Folgiero.

La controllata americana

Fmm, che si occuperà di portare avanti l’intesa, rappresenta un po’ la punta di diamante di Fincantieri marine group, responsabile di controllare anche altri due siti sempre nella regione dei Grandi Laghi del Wisconsin: Fincantieri bay shipbuilding e Fincantieri ace marine. Annoverando tra le sue file sia clienti governativi, come la Marina americana, sia commerciali. Fmm è inoltre impegnata nei programmi Littoral combat ships, sempre destinato alla Us Navy, e nei Multi-mission surface combatants (Mmsc), per il regno dell’Arabia Saudita nell’ambito del piano Foreign military sales degli Stati Uniti.

Fregate Constellation

Il programma Constellation è particolarmente significativo per la Marina Usa, come testimonia anche la denominazione scelta per le unità della classe, che ricalca i nomi delle “sei fregate originali” del 1794, le primissime della allora neonata US Navy. Il programma punta a formare la prossima generazione di fregate missilistiche multiruolo, con una richiesta iniziale di dieci unità, aumentabile fino a venti, per affrontare gli scenari del futuro. Fincantieri è stata selezionata nel 2020 per progettare e costruire l’unità capoclasse, con l’ulteriore opzione per altre nove navi, esercitata già per tre unità; oltre a provvedere anche al supporto successivo alla costruzione e all’addestramento degli equipaggi, per un valore complessivo di circa cinque miliardi e mezzo di dollari per Fincantieri. La scelta di Fincantieri per la realizzazione del programma Constellation si è basata sul progetto presentato dalla società, giudicato il più avanzato e innovativo, e strutturato sulla piattaforma delle fregate Fremm, ritenute le migliori al mondo sotto il profilo tecnologico, già nella flotta sotto le insegne italiane.


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Il Piemonte (non) gioca in Difesa. Intervista al governatore Cirio


A fine novembre, in occasione della nona edizione degli Aerospace and Defence Meetings all’Oval Lingotto, inizieranno i lavori per la Città dell’Aerospazio che la Regione sostiene con un investimento di 15 milioni di euro. Lo ha annunciato un mese fa il g

A fine novembre, in occasione della nona edizione degli Aerospace and Defence Meetings all’Oval Lingotto, inizieranno i lavori per la Città dell’Aerospazio che la Regione sostiene con un investimento di 15 milioni di euro. Lo ha annunciato un mese fa il governatore Alberto Cirio, partecipando, assieme all’assessore alle attività produttive Andrea Tronzano, all’incontro organizzato dall’Unione Industriale su “La filiera dell’aerospazio: Difesa e sicurezza in Piemonte – scenari prospettive e opportunità per la valorizzazione delle eccellenze industriali del territorio”, in collaborazione con Leonardo.

Governatore, il tessuto imprenditoriale piemontese è pronto?

Il tessuto imprenditoriale piemontese è senz’altro pronto, come dimostrano i progetti di ricerca industriale per i quali sia i grandi player, sia le Pmi, sia le startup sono state in grado di intercettare importanti finanziamenti sui bandi regionali, nazionali e comunitari. In Piemonte quello dell’aerospazio è un settore che qui poggia su pilastri solidi: oltre 300 aziende, 20.000 addetti, 7 miliardi di giro d’affari di cui circa il 70 per cento destinato ai mercati esteri, Stati Uniti, Francia e Germania in testa. Ci sono grandi realtà internazionali come Leonardo, Avio Aero, Thales Alenia Space, Collins Aerospace, oltre a decine di aziende che compongono la filiera dell’aerospazio e che fanno parte del Distretto aerospaziale.

La Città dell’Aerospazio potrà rafforzare la filiera, affiancando piccole e medie imprese ai grandi nomi?

Proprio nell’ambito del Distretto sono già stati avviati progetti e sperimentate collaborazioni efficaci tra grandi imprese e Pmi, anche nell’ottica della creazione e del rafforzamento di nuove filiere. Tale virtuoso percorso troverà ulteriore slancio con la realizzazione del progetto Città dell’Aerospazio, vista anche la compresenza fisica di laboratori e spazi per didattica.

Che ricadute può avere la Città dell’Aerospazio per il settore manifatturiero?

Le ricadute riguarderanno non solo il rafforzamento del settore aerospaziale in senso stretto, ma anche di tutta quella parte del comparto manifatturiero composto da imprese (diverse e molto innovative) con produzioni e servizi caratterizzati da forte contaminazione tecnologica tra il settore aerospaziale ed altri più o meno contigui. Pensiamo per esempio all’impulso che già oggi dall’aerospazio arriva, e al potenziale che può avere in futuro, alle imprese operanti per l’automotive. Questo tipo di aziende, che in Piemonte sono tante e con consolidate vocazioni produttive, possono convertire una parte della propria produzione verso il settore aerospaziale, con evidenti benefici in termini di capacità del sistema produttivo di affrontare le sfide poste dalla transizione in atto nella mobilità. Sabelt, che è una importante realtà del nostro territorio, già oggi ha diversificato la produzione aggiungendo la componentistica legata all’aerospazio a quella tradizionale dell’automotive.

In autunno dovrebbero partire i primi programmi di Diana, l’acceleratore di startup della Nato, in tandem con alcuni acceleratori. Tra questi ci sono le Officine grandi riparazioni di Torino, per l’aerospazio. Che occasione è per il ruolo internazionale di Torino e del Piemonte?

Sicuramente l’iniziativa potrà valorizzare i soggetti che sul territorio si occupano di favorire l’accelerazione delle iniziative imprenditoriali, come appunto Ogr, nei confronti dei quali la Regione si pone come soggetto di raccordo per facilitare la sinergia e la complementarietà delle varie iniziative e attività. La vivacità del nostro tessuto imprenditoriale ci rende confidenti sul fatto che sarà in grado di sfruttare le occasioni che arriveranno da questi programmi per incrementare ulteriormente la propria valenza internazionale.


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#LaFLEalMassimo – Episodio 93 – Welfare, sanità e conti da quadrare


Apriamo come di consueto con la condanna dell’infame aggressione operata dalla Russia ai danni del popolo ucraino e con l’auspicio che quest’ultimo possa in tempi brevi recuperare l’integrità del proprio territorio e che i suoi cittadini possano tornare a

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Apriamo come di consueto con la condanna dell’infame aggressione operata dalla Russia ai danni del popolo ucraino e con l’auspicio che quest’ultimo possa in tempi brevi recuperare l’integrità del proprio territorio e che i suoi cittadini possano tornare ad una vita normale.

DI recente la scrittrice Murgia ha iniziato a pubblicare sui social il costo dei farmaci che assume per una grave patologia da cui è affetta e che viene in larga misura coperto dal servizio sanitario nazionale.

Si tratta di un’azione meritoria e anche a titolo personale devo dire di aver potuto beneficiare per alcuni familiari di cure dal costo elevato che probabilmente non mi sarei potuto permettere.

Mentre celebriamo questo fondamentale istituto di civiltà è importante anche ricordare la matrice culturale che lo rende possibile e sostenibile nel tempo: sono le società aperte, i regimi democratici e le economie di mercato che possono permettersi di offrire trattamenti sanitari e cure di elevata qualità ai propri cittadini a prescindere dalla capacità del singolo di sostenerne il costo.

È sempre bene ricordare che lo stato sociale che contribuisce a innalzare il nostro tenore di vita non è la gentile concessione di qualche politico populista, che talvolta vorrebbe attribuirsene il merito, ma il risultato finale di un processo distruzione creativa che consentito alla società di innovare ricercando il miglioramento continuo della propria condizione. Così come va ricordato che il finanziamento di questo welfare si regge sulla tassazione che grava su chi è capace di creare valore.

Per concludere è positivo compiacersi perché viviamo in una società dove chi è ammalato o si trova in difficoltà non viene lasciato indietro, ma ricordiamoci che questa costruzione meravigliosa si regge sulla libertà degli individui di fare impresa e lavorare per pagare il conto dello stato sociale di cui tutti beneficiamo.

L'articolo #LaFLEalMassimo – Episodio 93 – Welfare, sanità e conti da quadrare proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Venezia - Il 30 maggio 2023 alle ore 18:30 presso l’associazione About ci sarà la prima presentazione pubblica dell’esercizio dei diritti per impedire alla Smart Control Room di Venezia e agli operatori telefonici di tutta Italia di elaborare dati sulla vostra posizione.

@Etica Digitale (Feddit)

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IRAN. Giustiziati tre uomini arrestati durante le proteste antigovernative


L'Iran ha giustiziato un totale di sette persone in relazione alle proteste. I gruppi per i diritti affermano che sono stati condannati a morte da tribunali speciali e non hanno avuto modo di difendersi adeguatamente L'articolo IRAN. Giustiziati tre uomi

della redazione

Pagine Esteri, 19 maggio 2023 – L’Iran ha giustiziato tre uomini accusati di violenza durante le proteste antigovernative di massa dello scorso anno Mizan, il sito della magistratura, ha annunciato le esecuzioni di Majid Kazemi, Saleh Mirhashemi e Saeed Yaghoubi, accusati dell’uccisione di un agente di polizia e di due membri del gruppo paramilitare Basij a Isfahan a novembre. I gruppi per i diritti affermano che i tre sono stati sottoposti a torture, costretti a confessioni televisive e non hanno avuto un giusto processo.

Le proteste in Iran sono scoppiate lo scorso settembre dopo la morte in detenzione di una donna di 22 anni, Mahsa Amini, che era stata arrestata dalla polizia morale per presunta violazione del codice di abbigliamento islamico. Le manifestazioni si sono poi rapidamente trasformate in una rivolta contro le autorità che hanno governato l’Iran dalla Rivoluzione del 1979. Le proteste si sono in gran parte placate ma ancora oggi tante donne si rifiutano di indossare il velo islamico obbligatorio.

L’Iran ha giustiziato un totale di sette persone in relazione alle proteste. I gruppi per i diritti affermano che sono state condannate a morte da tribunali speciali e non hanno avuto modo di difendersi adeguatamente. Pagine Esteri

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Enigmistica regionale


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