Russia: tra mobilitazione parziale e rischio atomico
“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) La guerra d’invasione del 24 febbraio del 2022 da parte della Russia in Ucraina doveva essere una guerra […]
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Se tutto è sociale, niente è sociale: falso, se valutiamo l’impatto!
Ci sono delle parole che si ripetono come se fossero un mantra: una di queste è ‘sociale’. Infatti, l’aggettivo o il concetto di ‘sociale’ non si nega a nessuno. Però per non banalizzare bisogna valutare e misurare, altrimenti si rischia il ‘bla, bla’ narrativo e non si verifica la ricaduta reale. I tecnici potrebbero dire: […]
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Masochismo
Si stia attenti a non danneggiarci da soli. Il masochismo può essere affascinante se un soggetto singolo gode con il dolore e la sottomissione. È escluso che sia una vocazione collettiva. I fatti prevalgano sulle chiacchiere, che cercando scuse sembrano scontare fallimenti: non ci sono ritardi italiani negli adempimenti previsti dal Pnrr. Non è un’opinione, ma un fatto, visto che già due controlli sono stati superati e i relativi soldi incassati.
Il governo in carica sostiene che non ci siano ritardi neanche per il prossimo controllo, che è stato fatto quanto dovuto e quel che resta da fare è programmato per le prossime settimane. Su questo si possono avere opinioni diverse, ma i denunciatori di inadempimenti sarebbero fessi più che masochisti.
Primo, perché la gran parte delle forze politiche presenti in Parlamento sono non solo parte della vecchia maggioranza, ma hanno ministri all’interno del governo, sicché sostenerne l’incapacità e la scorrettezza è come denunciarsi corresponsabili. Secondo, perché il partito che guiderà il prossimo governo è stato all’opposizione e non può essere chiamato alla corresponsabilità, ma ove sostenesse che l’Italia sta mancando ai propri doveri non farebbe che affondare sé stesso e il governo che deve ancora nascere. Più che masochismo sarebbe autodistruzione.
Non prendiamoci in giro e veniamo al dunque: i vincitori delle elezioni hanno sostenuto che il Pnrr dovesse essere rivisto e si sono opposti ad alcune delle riforme in quello previste; nel corso della campagna elettorale e nei giorni successivi al voto gli oppositori di ieri hanno adottato un encomiabile approccio in continuità; la sfida, per loro, consiste nel tradurre in realismo di governo quel che dissero per raccogliere consensi. Partire affermando che la colpa è degli altri è come ammettere di avere raccontato balle.
L’agenzia Fitch ha corretto e peggiorato il suo giudizio sul debito del Regno Unito, portando a negativa la previsione. Sono bastati gli svarioni governativi, ideologizzati e privi di senso della realtà, per metterli nei guai. Il giudizio di Moody’s, altra agenzia, sul debito italiano era già negativo, perché ci troviamo a un gradino dalla spazzatura.
Lo è rimasto anche durante il governo Draghi (perché riguarda il debito, non la simpatia). Ora fa sapere che l’eventuale abbandono delle riforme (le riforme, mica solo le spese, come qui avvertimmo) previste dal Pnrr porterebbe a un declassamento. Vale a dire nel bidone della spazzatura. Questa è la posta in gioco. Per noi altissima.
I governi si giudicano dai fatti e quello Meloni non è ancora nato, sicché bocciarlo o promuoverlo oggi sarebbe non un giudizio, ma un pregiudizio. Ma tocca a chi governerà spiegare se intenderà, sul terreno delle riforme come ha già positivamente fatto su quello della politica estera e dello scostamento di bilancio, agire in continuità con il governo esistente o con i propri slogan d’opposizione. In ogni caso avrà agito legittimamente, ma altrettanto legittimamente gli operatori di mercato trarranno le loro conclusioni.
Per l’Italia sono preziosi non solo i soldi, ma anche i cambiamenti che il Pnrr prevede. Perderne anche una sola parte significa affossare un’occasione storica. Continuare quel lavoro significa rendere un servizio al Paese, ma anche allontanarsi da diverse delle cose che si dissero, compresa la necessaria ratifica del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Tanto più quando si lambisce la spazzatura.
Il pericolo non è che si torni a distribuire olio di ricino, ma che se ne ottengano gli effetti senza sorbirlo. L’interesse dell’Italia è che il governo Meloni riesca ad essere governo e non riscatto identitario di una fu minoranza. Taluni camerati di ieri grideranno al tradimento, noi considereremmo appropriato il richiamato patriottismo. Il masochismo no, può piacere a uno, auguri, ma non all’Italia intera.
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Fallimento M5s, il Reddito di cittadinanza ha distrutto il valore del lavoro
Il fallimento dell’impostazione del Reddito di Cittadinanza è nei numeri
Meno del 2% dei beneficiari, infatti, ha avuto un primo contratto di lavoro. Un’inezia se paragonata agli alti costi sostenuti ogni anno per finanziare la misura, 6 miliardi di euro, la cui ideazione è stata concepita intorno a due capisaldi del pensiero politico del Movimento Cinque Stelle: le politiche distributive a sostegno dei bonus (tema sul quale hanno trovato anche la convergenza del Pd durante la fase di governo giallo-rossa) e la demonizzazione del privato, incarnata in questo caso dalla scelta sbagliata di escludere dall’intermediazione le Agenzie per il Lavoro.
Che questa impostazione del Reddito avrebbe ottenuto risultati fallimentari, per usare un eufemismo, era fin troppo chiaro dalla sua impostazione generale, che affidava un ruolo significativo a strutture burocratiche come i Centri per l’Impiego, il cui contributo per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in Italia raggiunge un modesto 4%.
Anche i navigator, il cui compito era quello di aiutare i beneficiari del Reddito a trovare un’occupazione, hanno fallito nel loro obiettivo perché spesso si è trattato di figure professionali orientate alla conoscenza della psicologia del lavoro, ma con scarsa attitudine e frequentazione del mercato, delle imprese e del sistema industriale. Il fallimento della misura, inoltre, è nell’evidente cambiamento di prospettiva e di percezione che lo stesso Conte ha provato a dare del Reddito durante la campagna elettorale. Il Reddito è servito per sostenere gli indigenti, si è detto, ed ha svolto un ruolo significativo come strumento di calmieratore sociale.
Il Reddito, insomma, per stessa ammissione di chi l’ha immaginato, non ha creato occupazione, ma ha svolto un diverso ruolo sociale, che oggi però il Paese non può più sostenere. Almeno con queste dimensioni perché, se da una parte il sostegno agli indigenti deve continuare a essere una priorità sociale del nuovo Governo, non si possono però più depauperare risorse dello Stato che non qualificano il capitale umano.
Non solo sotto il profilo delle competenze, ma anche da un punto di vista culturale, perché il danno maggiore, più profondo e subdolo che ha prodotto l’impostazione del Reddito di Cittadinanza voluta dal Movimento Cinque Stelle, è la distruzione del valore del lavoro come strumento e mezzo di riscatto e di emancipazione sociale, regalando ai nostri figli l’ennesimo alibi del lavoro che non si trova.
In Italia 2 milioni di ragazzi dai 15 ai 24 anni hanno scelto di non studiare e neppure provano a cercare un lavoro. L’emigrazione dei cervelli, la crisi economica e oggi il Reddito di Cittadinanza, sono diventati un ulteriore alibi per continuare a proteggere i nostri figli, destinandoli così alla paralisi e all’emarginazione.
Stefano Cianciotta su Il Tempo
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Nell’appuntamento di oggi conosceremo insieme un’altra linea di investimento del #PNRR.
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New US Executive Order unlikely to satisfy EU law
È improbabile che il nuovo ordine esecutivo degli Stati Uniti soddisfi il diritto dell'UE Oggi il governo degli Stati Uniti ha pubblicato un ordine esecutivo che limiterebbe la sorveglianza degli Stati Uniti. Questa è una prima dichiarazione di noyb.
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Letta che insegue Veltroni: la funzione turistica del PD.
"Il PD si interessa alle classi popolari e alle realtà impoverite con lo stesso atteggiamento sussiegoso dei turisti agiati, provenienti da qualche ricca città europea o americana, che si recano in un paese del terzo mondo e guardano con compassione la condizione dei suoi abitanti che, poveri loro!, non godono delle libertà e del benessere occidentale.
Veltroni e Letta esprimono del resto la visione del mondo di gente che vive nei centri storici e che finge di non sapere che spesso la povertà, l’ingiustizia e il degrado sono presenti nelle periferie delle loro stesse città. In qualità di dirigenti politici non possono guardare a queste condizioni di disagio perché la loro fortuna si fonda esattamente su questa ipocrisia.
Letta, Veltroni, Renzi e tanti altri che hanno fatto la storia del PD non avrebbero avuto alcun successo politico se non avessero promosso quelle politiche che hanno generato la questione sociale oggi presente in Italia.
La loro salita al potere è dipesa dal sostegno di forze economiche e finanziarie che hanno chiesto in cambio leggi in favore della precarietà nel lavoro, privatizzazione dei servizi, disfacimento della scuola pubblica, sostegno all’impresa e tanti altri provvedimenti che hanno prodotto le attuali ingiustizie."
kulturjam.it/politica-e-attual…
Letta che insegue Veltroni: la funzione turistica del PD - Kulturjam
Con le ultime parole di Letta e di Veltroni si scorge come il PD si interessi alle classi popolari e alle realtà impoverite con lo stesso atteggiamento sussiegoso dei turisti agiati in vacanza in qualche località del terzo mondo.Paolo Desogus (Kulturjam)
Verso carestia energetica e fame ma la chiameremo "Frugalità responsabile".
Verso carestia energetica e fame ma la chiameranno "Frugalità responsabile" - Kulturjam
Con la logica della guerra e delle sanzioni la strada tracciata porterà inevitabilmente alla carestia energetica e alla fame, che non verrà chiamata cosi ma "frugalità responsabile", per un mondo green e sostenibile.Redazione (Kulturjam)
Inflazione e resistenza. La questione degli alloggi a New York.
Inflazione e resistenza. La questione degli alloggi a New York - Contropiano
L'economia statunitense è entrata in recessione. Questo era il titolo generale all'inizio dell'estate, quando il PIL statunitense è sceso di nuovo nella La proprietà privata, in particolare di beni immobili, è un principio fondamentale del "sogno ame…Redazione Roma (Contropiano)
Dimenticati
C’è del vero e dell’ingannevole, nella retorica dei “dimenticati”. Chi si oppone al governo spiega agli insoddisfatti che sono stati “dimenticati”. Accade in diverse lingue. Quando poi si trova al governo fatica a ricordarsene. Nel travaglio post elettorale la sinistra rimprovera a sé stessa di avere dimenticato questa o quella categoria, gli svantaggiati, i poveri, i marginalizzati. La cosa è talmente generica che avrebbe fatto la stessa cosa la destra, in caso di analoga sconfitta. Solitamente le parole di contorno sono: s’è perso il contatto con la realtà, non siamo stati capaci di rappresentare i bisogni, dobbiamo recuperare il contatto con i “territori” (linguaggio bucolico di dubbio significato). Chi sono, i “dimenticati”?
Dopo anni di bonus, ristori e assistenzialismo le forze politiche s’acconciano a dispensatrici di protezioni e spartizioni, sicché quasi tutti possono considerarsi “dimenticati”, reclamare di non avere avuto abbastanza. Non è sbagliata la deduzione, ma il suo presupposto. Lo Stato non è la badante del cittadino, dovrebbe semmai garantire che ciascuno possa badare a sé stesso senza inutili intralci o subendo crimini.
Certo che esistono poveri e svantaggiati, ma per ricordarsi di loro e avvantaggiarli si deve non passargli un lenitivo, bensì rimetterli in condizione di crescere. Se c’è un’area o un ceto che soffre per essere rimasto indietro la prima cosa da farsi è garantire ai più giovani di quell’ambiente un’istruzione che consenta loro di farsi avanti. Un genitore è pronto a far sacrifici per i figli, ma è anche pronto a ribellarsi se li vede perpetuamente e volutamente emarginati. Osservando le parole della politica sulla scuola ci si accorge che, trasversalmente, sono rivolte a chi ci lavora e oggi vota, non a chi ci studia e voterà domani. Ci si è dimenticati del futuro. Assieme al futuro, però, si cancella la politica, restando solo un assistenzialismo a lungo insostenibile e da subito frustrante. Così cresce il numero di quelli che si dimenticano di andare a votare.
Raccontando gli anni ’70, nel suo ultimo libro (ne parliamo nelle pagine interne), Miguel Gotor riporta un dato: dal 1980 al 1984, a seguito di un uso massiccio della cassa integrazione, aumentarono enormemente i casi di disagio psichico e si verificarono 149 suicidi. Non avevano perso il reddito, avevano perso il lavoro e, con quello, la loro identità sociale. A forza di insistere con l’uso di quegli strumenti (sbagliati in sé) è cambiato il costume sociale e anche il mercato: si reclama il reddito senza lavoro come fosse un diritto e si cerca di arrotondare in nero ed evasione fiscale. Ci si è dimenticati della dignità del lavoro e si è gonfiato il reclamare assistenza.
Una forza politica (ma anche culturale) che voglia dedicarsi ai “dimenticati” proverebbe a parlare loro del futuro, che può avere diverse colorazioni e versioni, mentre resta monocromo e scuro se viene barattato con un presente di mantenimento. Per sua natura sempre insufficiente.
Quando la sinistra va in campagna elettorale proponendo una tassa per finanziare la “dote” ai diciottenni i conservatori si ribellano per la tassa, ma i progressisti dovrebbero prendersela con la dote: mi devi dare la scuola formativa e la società meritocratica, devo potere battere e superare chi è privilegiato e meno capace, non prendere la mancia per tacere e perdere.
In una società che invecchia si parla sempre di pensioni. Nel 2025 la spesa previdenziale arriverà a 350 miliardi, crescendo del 17.6% rispetto a oggi e del 40.2% in dieci anni. Si parla del diritto ad avere e non di quello a fare, del passato che vota e non del futuro che pagherà troppo. Di questo ci si è dimenticati, di pensare a come cambiare. Concentrandosi sul come galleggiare e, se possibile, profittarne. Così i “dimenticati” saranno ingannati e dannati, dalla destra con l’indicazione di falsi colpevoli e dalla sinistra con quella di speranze sbagliate. Importa solo il loro prezzolato consenso elettorale.
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Progetto nazionale "Scuola Attiva Kids" per la scuola primaria: gli Istituti scolastici possono inviare la richiesta di partecipazione fino al 24 ottobre 2022.
Info ▶️ miur.gov.
LibSpace con Giulia Pastorella
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La grandezza del bastardo
Svante Pääbo
Ci sono premi Nobel che lasciano indifferenti, talora dominati da una sorta di accademizzazione del politicamente corretto. Roba che si dimentica in fretta. Ce ne sono anche che portano sfortuna, specie se assegnati in un campo etereo come la “pace”, magari finendo a chi si rivelerà guerrafondaio o a chi si scoprirà pedofilo. Ce ne sono di importanti e meritati. E ce ne sono di affascianti. Come quello assegnato a Svante Pääbo.
La sua prima qualità non ha limiti anagrafici, ma è preziosa per i più giovani: la curiosità e lo spirito d’avventura negli studi. Si era appassionato all’egittologia, affascinato da un viaggio in Egitto, fatto da tredicenne. L’aveva scelta, all’università, per esplorare lo sconosciuto mondo dei faraoni.
Ma si era presto accorto che gli mancava l’avventura, che molte cose erano sconosciute solo a chi non le conosceva, mentre altre non sarebbe stato possibile conoscerle. Così si iscrisse a medicina. Completati gli studi, tornò dal suo vecchio professore di cose egizie: non è che si può avere un pezzettino di mummia? Ne estrasse il codice genetico e aprì una frontiera all’archeologia. Grazie a lui molte delle cose che non era possibile sapere, ora si sanno.
Ma anche gli egizi divennero un po’ troppo contemporanei. Perché non andare più indietro? Sapevamo d’essere discendenti degli ominidi e di avere convissuto, da Sapiens, per un certo tempo con i Neanderthal. Poi loro si sono estinti. Hanno perso. Noi ci siamo evoluti meglio. Sapevamo.
Ma usando il suo metodo di ricerca, indagando il dna, s’è scoperto che i Neanderthal non sono spariti, ma vivono dentro di noi. Perché c’è qualche fenomenale figlio di puttana che ha approfittato della crapula fra Sapiens e Neanderthal e ha trascinato in noi una parte di loro. Intanto l’uomo di Denisova, ulteriore filone da lui individuato, s’incrociava con altri Sapiens e li usava per sopravvivere alla propria estinzione. E noi siamo i vincenti perché siamo straordinari bastardi.
Altro che minchionerie da “razza superiore perché pura”, giacché, semmai, superiore, in salute e intelligenza, è il figlio di puttana. E la buona notizia è che lo siamo tutti. Anche se qualcuno esagera nell’approfittarne.
Davanti a tanta splendente meraviglia, qualcuno ha voluto farci sapere che Pääbo sarebbe o è “fluido”. Come se la postura e le compagnie nel talamo abbiano una qualche rilevanza sul pensiero e la capacità di pensare. Come se contassero i festini e non la “Teoria generale”, parlando di economia e Keynes.
E vabbè, tanto noi bastardi l’abbiamo capito: l’evoluzione non va per linea retta e sicura, curva e incespica, trascina con sé intelligenza e deficienza. E, nonostante talora si sia presi dallo sconforto, sono sicuro che questa roba del politicamente corretto e sessualmente monomaniacale è da considerarsi superabile. Ragionando e copulando, ciascuno come gli pare.
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"Come la Terra, Urano e Nettuno sono mondi blu. Nettuno, sul cui globo color del mare corrono nubi bianche, a un occhio distratto sembrerebbe perfino uno specchio del nostro pianeta. L’azzurro di questi pianeti però non è quello di un oceano, ma è la tinta delle tracce di metano all’interno di un’atmosfera gelida di idrogeno ed elio. A quasi 3 e 4,5 miliardi di km dal Sole, rispettivamente, le atmosfere di Urano e Nettuno oscillano tra i 220 e 230 gradi sotto zero: i pianeti più freddi del Sistema Solare."
Ritorno ai giganti azzurri
Un racconto dei misteri che ancora custodiscono Urano e Nettuno, due pianeti del nostro Sistema Solare che meriterebbero nuove missioni spaziali.Il Tascabile
Fr.#10 / k e y w o r d s
Parole chiave
La scorsa settimana, durante una causa relativa a un’indagine su un caso di violenza sessuale, sono stati diffusi in udienza alcuni documenti che accidentalmente hanno mostrato un nuovo tipo di mandato delle forze dell’ordine: il “keywords warrant”, o “reverse search warrant”.
Il keyword warrant consiste in questo: nell’ambito di un’indagine le forze dell’ordine possono chiedere a Google (o altri motori di ricerca) di fornire dati identificativi di tutti gli utenti che nei giorni precedenti al reato hanno cercato sul motore di ricerca parole chiave come il nome della vittima, il suo indirizzo, il nome dei familiari, e altre parole che possano indicare un qualche tipo di connessione.
Insieme ai dati relativi alle query il motore di ricerca può fornire anche ulteriori informazioni, come gli indirizzi IP delle persone, i loro account Google e perfino i CookieID - quel codice univoco che identifica un utente nel network di advertising di Google.
Ad oggi risultano pubblici solo altri due casi di utilizzo di questo tipo di mandato, uno nel 2020 e un altro nel 2017, rispettivamente per indagini su un incendio doloso e una truffa.
La particolarità del keyword warrant è che ribalta i normali principi di funzionamento della giustizia. Se le forze dell’ordine volessero ottenere dati relativi a una specifica persona sospettata di aver commesso un reato, dovrebbero prima ottenere l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Viceversa, con questo tipo di mandato possono ottenere i dati di chiunque abbia fatto un certo tipo di ricerca in un determinato momento - aggirando così le tutele giuridiche delle persone coinvolte.
Oltretutto, il keyword warrant si presta bene per diventare uno strumento di sorveglianza e censura politica di massa, che sotto il cappello della lotta al terrorismo (ampissimo, specie negli Stati Uniti) e agli “estremismi” può trovare terreno molto fertile in questo periodo.
Ricorda: tutto ciò che scrivi sarà usato contro di te.
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Un’attività simile al keyword warrant è il geofence warrant. Il geofence warrant segue la stessa logica del keywords warrant, ma ha a che fare con i dati di localizzazione invece che con le parole chiave ricercate. Le autorità possono chiedere a Google di consegnare dati identificativi e di localizzazione di chiunque abbia transitato in una specifica zona in un determinato periodo di tempo, attraverso i dati raccolti con Google Maps.
Al contrario del keyword warrant questa è un’attività molto usata dalle autorità statunitensi. Secondo un recente rapporto di Google il geofence warrant rappresenta circa 1/4 di tutte le richieste ricevute ogni anno dal gigante della Big tech.
I risultati in entrambi i casi sono gli stessi: una grande operazione di pesca a strascico che rischia di intrappolare nella rete delle indagini persone innocenti che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato; o che hanno cercato la parola sbagliata la momento sbagliato.
Censura delle ricerche e scienza…
Sempre sulla falsa riga del tema delle ricerche sui motori di ricerca, ieri il noto sito ZeroHedge ha pubblicato una notizia in cui si riportano alcune dichiarazioni di Melissa Fleming, UN’s Under-Secretary-General for Global Communications fatte durante un’intervista, proprio sul tema delle ricerche sui motori come Google.
Trascrivo qui l’intervista:
“We partnered with Google […] for example if you Google “climate change”, at the top fo your search you’ll get all kinds of UN resources. When we started this partnership we were shocked to see that we were getting incredibly distorted information right at the top…so we’re becoming much more proactive…We own the science, and we think that the world should know it, and the platforms themselves also do.”
Le piattaforme sono da tempo chiamate a confermare la narrativa prevalente in materia di tanti temi scientifici (e non), censurando i risultati che in qualche modo deviano dall’opinione prevalente. Il nostro mondo e la nostra percezione non si fonda più su ciò che è oggettivo, ma su ciò che è politicamente conveniente. Abbiamo sostituito la realtà con l’opinione, in balia di un pugno di persone che possono modificare la nostra percezione del mondo in tempo reale.
Un breve recap della Privacy Week 2022
La Privacy Week è giunta alla conclusione, dopo cinque giorni intensi, con centinaia di speaker e dozzine di interventi fantastici e occasioni di networking.
Molti di voi hanno scoperto la Privacy Week quest’anno, grazie al salto di qualità comunicativa e organizzativa che siamo riusciti a fare dopo il primo esperimento dello scorso anno. Spero che il prossimo anno si riesca a migliorare ancora questo evento che vorrebbe davvero diventare il punto di riferimento per parlare di privacy, cybersecurity e nuove tecnologie.
Chi non ha potuto partecipare a Milano o seguire lo streaming in diretta non deve preoccuparsi! Tutti gli eventi sono disponibili on-demand sul sito.
Visto però che sono così tanti, ho pensato di fare una selezione di quelli che mi sono piaciuti di più (ma sono davvero tutti interessanti, sfogliate il catalogo):
- Diritti digitali, self-regulation e moderazione di contenuti online: Q&A con l’Oversight Board di Facebook e Instagram / per capire meglio come funziona l’organo indipendente per la moderazione di Facebook e Instagram
- Julian Assange: la storia del cypherpunk che ha sfidato gli USA / un panel su Julian Assange, insieme a Stefania Maurizi, la giornalista italiana che da anni segue le sue vicende in prima persona
- Privacy e Bitcoin / Giacomo Zucco spiega la relazione tra Bitcoin, Lightning Network e privacy
- Gli attivisti italiani: chi difende i nostri diritti / una panoramica su alcune organizzazioni noprofit italiane attive nel campo della tutela dei diritti
- Viaggio nei ruoli della cybersecurity con due professioniste / quali sono le opportunità di carriera nel mondo della cybersecurity e come entrarci?
- Come il monopolista della pornografia ti profila: problemi, considerazioni, contromisure / l’enorme macchina di profilazione del porno, il vero core business
- Privacy Night - Scammer, hacker e cyberbulli: difendersi da quelli che colpiscono dove fa più male / una serata insieme a Diego Passoni per parlare di un tema che colpisce molte persone, soprattutto le più giovani
- Orizzonte 2030: cittadini o codici a barre? / questo è il mio intervento, di cui vi ho anche già parlato la scorsa settimana, con una sintesi scritta del discorso
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Meme del giorno
Citazione del giorno
The right to agree with others is not a problem in any society; it is the right to disagree that is crucial- Ayn Rand
Durante #eprivacy, l'avvocato @marcociurcina spiega perché #MonitoraPA... è MonitoraPA
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Solidarietà alle Donne del popolo Iraniano - Dedicato a Mahsa Amini
Condizione delle donne e femminismo borghese
Condizione delle donne e femminismo borghese - Contropiano
Bastano pochi secondi, un confronto di piazza nato per caso, e la fragilità mostruosa degli argomenti usati dal Palazzo esce fuori in modo clamoroso.Redazione Contropiano (Contropiano)
Orizzonte 2030: cittadini o codici a barre?
Lunedì 26 settembre 2022 ho fatto un intervento durante l’apertura della Privacy Week, dal titolo “Orizzonte 2030: cittadini o codici a barre”.
Lo speech, di circa 20 minuti, è già disponibile on-demand sul sito della Privacy Week, per chi volesse riguardare il video. Vorrei però riportare qui ciò di cui ho parlato, anche per estendere alcuni concetti.
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Perché cittadini codici a barre? Il codice a barre è un elemento grafico costruito per essere scansionato da un sensore, che poi restituisce una serie di informazioni. Con i codici a barre possiamo conoscere in tempo reale cosa sono i prodotti che troviamo nei negozi e nei magazzini, da dove vengono, chi li produce, quanto costano e tanto altro. Da qualche anno abbiamo anche imparato a usare codici a barre per identificare e ottenere informazioni non solo sulla merce, ma anche sulle persone. Ad esempio col green pass, che è stato usato per capire chi aveva diritto di lavorare, viaggiare, visitare i parenti in ospedale, o anche partecipare a eventi come questo.
Quindi, il codice a barre per me è un simbolo che racchiude l’ideologia di chi vorrebbe trasformare lo stato in un sensore capace di scansionare in tempo reale i cittadini, attraverso la diffusione sempre più capillare di pratiche di sorveglianza e di controllo di massa.
La sorveglianza fisica
La sorveglianza fisica è la più facile ed evidente, ormai siamo tutti abituati. Le nostre strade sono piene di telecamere, in una quantità che aumenta esponenzialmente ogni anno che passa.
Alcune città ora si stanno riempiendo anche di sensori e vere e proprie stanze di controllo, come la Smart Control Room di Venezia, per monitorare in tempo reale le persone presenti sul territorio, i loro spostamenti e - se serve - anche identificarle in tempi brevissimi.
Alcuni comuni italiani, come Como, hanno anche già sperimentato con la videosorveglianza biometrica (riconoscimento facciale). La particolarità di questi sistemi è che possono “riconoscere” il nostro viso e identificare le persone in tempo reale confrontando le immagini acquisite con dati presenti in database a disposizione dei comuni e delle forze dell’ordine. I sistemi di riconoscimento facciale sono naturalmente soggetti a errori, anche dovuti a variabili ambientali. Ad esempio, una delibera del comune di Udine (altra città che vorrebbe installare riconoscimento facciale) afferma chiaramente che i cittadini dovrebbero essere collaborativi e non nascondere il loro viso con cappelli, occhiali da sole o sciarpe.
Ma la sorveglianza fisica è quella delle stazioni, degli aeroporti e delle frontiere, che ormai si sono trasformati in hub per la raccolta di dati e sorveglianza di massa di qualsiasi passeggero e immigrato. Basta pensare che attraverso il codice PNR le autorità aeroportuali conoscono in tempo reale chi siamo, dove andiamo e - con algoritmi creati appositamente - quale possa essere il nostro rischio terrorismo.
La sorveglianza digitale
La sorveglianza digitale è quella cosa che ci ha fatto scoprire Edward Snowden nel 2013. Grazie alla divulgazione di migliaia di documenti top secret della NSA abbiamo conosciuto i programmi PRISM e TEMPORA, con i quali l’alleanza di intelligence 5 Eyes fu in grado di spiare a livello globale centinaia di milioni di persone, compresi cittadini europei (con l’aiuto del GCHQ, agenzia di intelligence inglese).
Dal 2013 a oggi le cose non sono migliorate, anzi! È notizia di questi giorni che una piattaforma chiamata Augury sia stata acquistata dall’apparato militare statunitense. Secondo alcuni articoli, la piattaforma sarebbe in grado di monitorare fino al 93% di tutti i dati e metadati che transitano su internet a livello globale, anche dietro protocollo https. Un esperto di cybersecurity ha commentato la notizia così: «è tutto, non c’è altro da catturare se non l’odore dell’elettricità».
Ma la sorveglianza digitale non è solo cosa di militari e intelligence. Come sapete bene, voi che mi leggete da quasi due anni ormai, Da tempo i nostri governi cercano di promuovere strumenti legali per la sorveglianza di massa delle comunicazioni.
Uno di questi è il regolamento Chatcontrol in UE, che con la scusa della lotta alla pedofilia promette di instaurare un regime di sorveglianza capillare e sistematica di ogni comunicazione, chat, email e social. Nessuno sarà escluso e tutti i contenuti delle nostre comunicazioni (testo e immagini) saranno monitorati e valutati dai fornitori di servizi. In pratica, l’UE ha deciso che siamo 450 milioni di potenziali pedofili. Bambini compresi, ovviamente - mica sono esclusi da questa sorveglianza.
Oggi dobbiamo partire dal presupposto che ogni cosa che diciamo e facciamo online viene monitorata e valutata da migliaia di persone e algoritmi di vario tipo e potrebbe essere usata contro di noi.
Sorveglianza finanziaria
La sorveglianza finanziaria è un tipo particolare di sorveglianza digitale. Esistono diversi tipi di sorveglianza: antiriciclaggio, antiterrorismo, contro l’evasione fiscale. Cambia la forma, ma non la sostenza.
Dietro lo schermo della criminalità e del terrorismo gli stati possono giustificare qualsiasi tipo di ingerenza nei nostri comportamenti economici. Non c’è alcun limite. Ogni volta che paghiamo qualcosa con carta o bonifico le nostre transazioni sono esaminate e valutate da migliaia di algoritmi e persone che hanno un unico scopo: decidere in modo più o meno automatizzato se siamo potenziali criminali oppure no.
La questione è particolarmente preoccupante se pensiamo che alcune nuove normative antiriciclaggio per il settore “crypto” prevedono espressamente di valutare come fattori di rischio le transazioni che arrivano da strumenti per la protezione della privacy, come sistemi di coinjoin o wallet privati (e quindi non-KYC).
Sia nella sorveglianza fisica che quella digitale e finanziaria, la privacy viene sempre più vista come un elemento di fastidio e un fattore di rischio, a vario titolo.
La sorveglianza finanziaria però è particolarmente insidiosa perché ha una stretta correlazione con la censura politica. Pensate che proprio lunedì, dopo il mio intervento, una ragazza mi ha fermato per parlarmi della sua organizzazione noprofit, a cui Stripe ha bloccato i conti per motivi ignoti (probabilmente perché per motivi umanitari hanno a che fare con la Siria). Migliaia di associazioni e persone ogni anno vengono censurate senza alcuna motivazione esplicita. Bloccare un conto corrente significa mettere a rischio la loro sopravvivenza.
Le cose si fanno ancora più cupe se guardiamo al futuro della moneta, cioè alle CBDC. Ne ho parlato molto qui su Privacy Chronicles1, quindi mi limiterò a dire che con l’euro digitale non solo ogni transazione sarà monitorata e analizzata più di adesso, ma sarà anche possibile programmare il modo in cui possiamo usare e spendere i nostri soldi.
La censura non sarà quindi un elemento esterno, un’ingerenza politica come ora, ma una vera e propria funzionalità della nuova moneta digitale di stato.
Sorveglianza ambientale
La sorveglianza ambientale è l’ultima frontiera della sorveglianza e dell’ideologia del sacrificio per il bene comune. Ci sono diversi spazi di sorveglianza, da quella sugli spostamenti (come proposto da Fridays for Future e comune di Milano) fino alla sorveglianza pervasiva sulle nostre azioni e transazioni per valutare il nostro impatto ambientale, come se fossimo merce.
Ne ho parlato recentemente, quindi vi rimando all’ultimo articolo sul tema per saperne di più:
Cittadini codici a barre
Il paradigma che caratterizza il rapporto tra stato e cittadini si è completamente ribaltato.
Una democrazia in salute dovrebbe prevedere la totale trasparenza dello stato e dei suoi processi interni, così da essere controllabile dai cittadini. Invece, oggi si chiede trasparenza ai cittadini come condizione di cittadinanza: siamo chiamati a trasformarci in codici a barre con le gambe; essere immediatamente e sistematicamente scansionabili e controllabili da uno stato sempre più lontano e sempre più zeppo di processi decisionali automatizzati oscuri (anche attraverso i suoi organi esterni, come il sistema bancario).
Ayn Rand diceva che ci sono due idee alla base di ogni totalitarismo: la rinnegazione della ragione a favore della fede e la rinnegazione dell’interesse personale a favore del sacrificio personale.
Lo statalismo e la sorveglianza di massa per me sono una forma di fede verso uno stato tecnocratico e totalitario, che con sorveglianza, identità digitale e social scoring è pronto a rivendicare i nostri dati e le nostre esperienze, per controllare e manipolare i nostri comportamenti.
Questo Dio-stato tecnocratico ci chiede, con ogni pretesto possibile, di sacrificare volontariamente i nostri valori più importanti, vita, proprietà, libertà, privacy… per ottenere in cambio una parvenza di sicurezza e una catena al collo sempre più stretta e corta.
I pochi, fuori da questo perverso sistema sacrificale, che pretendono il rispetto della loro libertà e privacy sono mal visti dai concittadini virtuosi senza nulla da nascondere - pronti a condannarli ed escluderli dalla società a fronte del peccato più grande di tutti: rifiutarsi di sacrificare la propria vita per servire la “collettività”.
Ecco, io credo che sia arrivato il momento di valutare una nuova visione di esistenza umana, fondata su una moralità individualista che abbia al centro libertà e ricerca della felicità, al riparo da ingerenze arbitrarie.
Una moralità fondata sull’interesse personale e sulla ragione, non sul sacrificio personale. Dobbiamo riconoscere e affermare che nulla giustifica il sacrificio di privacy e libertà; neanche il terrorismo, la guerra o i crimini più efferati. Dobbiamo contestare l’idea della sorveglianza di massa come strumento per ottenere sicurezza. La sorveglianza indiscriminata non risolve alcun problema e non è uno strumento di prevenzione del crimine. E anche se lo fosse, non sarebbe comunque giustificabile.
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La Privacy Week è un evento ambizioso che ho voluto anche per portare questi temi al grande pubblico. Siamo solo alla seconda edizione ma anche grazie a tutti voi posso dire che è la strada giusta.
La settimana continua fino a venerdì sera, da Milano per chi vorrà passare a seguire gli eventi dal vivo e fare due chiacchiere; altrimenti in streaming su www.privacyweek.it.
Grazie Panetta, non compro niente, CBDC, Bitcoin, privacy e libertà (intervista con Gianluca Grossi), Moneta digitale di Stato, poteri illimitati e sorveglianza finanziaria
Hello @Philipp Holzer , I am administrator of this instance and I am also moderator of an Italian mastodon instance.
I need to contact you urgently to report a user who is using your platform to scam other people!
Thank you and good day
6 Months of "agreement in principle", EU-US agreement in fact still missing
6 mesi di "accordo di principio", l'accordo UE-USA di fatto ancora non c'è 6 mesi fa, la Presidente della Commissione europea von der Leyen e il Presidente degli Stati Uniti Biden hanno annunciato un accordo "di principio" sui trasferimenti di dati tra l'UE e gli Stati Uniti. Ad oggi, non c'è ancora un accordo.
L’obsolescenza degli smartphone e la raccolta massiccia di dati mettono in pericolo il futuro del digitale
Vorrei segnalare un altro articolo molto interessante pubblicato da Basta!, media francese indipendente e autofinanziato (se potete, sostenetelo da qui: basta.media/don):
“L’obsolescenza degli smartphone e la raccolta massiccia di dati mettono in pericolo il futuro del digitale” di Emma Bougerol:
basta.media/l-obsolescence-des…
Questo è il sommario che apre l’articolo:
“Dai minerali indispensabili per gli smartphone all'energia consumata dai data center, la tecnologia digitale ha un pesante impatto ecologico. Anche in questo caso la sobrietà è essenziale, ma non passa necessariamente dalla riduzione dell'uso di Internet”.
Qui sotto trovate una sintesi dei temi trattati, l’articolo è distribuito con una licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 che non ne permette la traduzione.
L’articolo mette in evidenza alcuni dati dell’impatto della tecnologia digitale sull’ambiente: questa rappresenta in Francia il 10% del consumo di elettricità e il 2,5% dell'impronta di carbonio che sintetizzata in un’immagine piuttosto efficace è l’equivalente delle emissioni di CO2 di 12 milioni di automobili, che percorrano ciascuna 12.000 km all'anno.
L’articolo sottolinea poi come la valutazione dell’impatto ambientale debba tener conto di molteplici fattori: il consumo di tutti i dispositivi usati dagli utenti, ma anche i consumi della rete che trasporta questa enorme quantità di dati e interazioni e quello dei data center che li archiviano.
Il testo prosegue ricordando come la produzione dei terminali degli utenti, televisori, computer, smartphone costituisca la parte maggiore e più dannosa dell’impatto ambientale del digitale (esaurimento delle risorse, emissioni, consumo di energia, produzione di rifiuti).
Buona parte di questi danni ambientali colpiscono soprattutto i paesi in via di sviluppo in cui si estraggono i metalli preziosi e quelli in cui vengono scaricati i nostri rifiuti elettronici.
A questo aspetto si aggiunge l’esaurimento di alcuni minerali necessari per la costruzione dei dispositivi, ad esempio litio e cobalto per le batterie o il tantalio per i circuiti degli smartphone.
Anche in questo caso non è possibile pensare che la quantità di dispositivi prodotti possa essere infinita.
Un altro grave problema affrontato è quello dell’obsolescenza dei dispositivi: in Francia la vita media di uno smartphone è stimata tra i due e i tre anni, è chiaro che per ridurre l’impatto ambientale sarebbe necessario aumentare e non di poco la durata dell’utilizzo dei dispositivi, secondo un esperto dell’associazione GreenIT.fr si dovrebbe arrivare ad 8 anni per gli smartphone, 10-15 anni per i computer e 20 per i televisori.
La conclusione dell’articolo si apre con un titolo un po’ forte, "Eliminiamo il digitale ogni volta che è possibile” che però viene meglio articolato nelle righe successive: non si tratta di fermare del tutto lo sviluppo della tecnologia digitale, ma si tratta di optare per scelte “low tech” che pratichino anche alternative analogiche là dove disponibili. Questo processo non può essere un percorso individuale è fondamentale un intervento politico dello stato che deve regolamentare in qualche modo la vendita e la distribuzione dei prodotti digitali.
L’obsolescence des smartphones et la collecte massive de données mettent en péril l’avenir du numérique
Le numérique représente 10% de la consommation d'électricité en France, et 2,5% de ses émissions de CO2.Basta!
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Fonte notizia: Palermotoday
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𝗟𝗮 𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲𝗻𝗱𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘀𝘂𝗼𝗿𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗧𝗲𝗮𝘁𝗿𝗼 𝗠𝗮𝘀𝘀𝗶𝗺𝗼 𝗱𝗶 𝗣𝗮𝗹𝗲𝗿𝗺𝗼
i Palermo. Pima della costruzione del Teatro furono demolite alcune strutture preesistenti tra cui la Chiesa di San Francesco delle Stimate, compreso il monastero ed il cimitero annessi, consistenti nella Chiesa di San Giuliano e la Chiesa di Sant’A…panormus
Philipp Holzer
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