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Sud America, Operazione Condor: la lotta continua


Tra il 1976 e il 1978, una campagna extragiudiziale di repressione violenta è stata condotta dalle dittature sudamericane contro dissidenti politici ed esiliati che si sono espressi contro la repressione interna e il governo militare. Operazione Condor, come era nota questa campagna, da allora ha ispirato numerosi romanzi, opere teatrali e mostre, per non parlare [...]

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Ucraina: la guerra russa sta costringendo l’opposizione bielorussa a ripensare la strategia


Più di quattrocento rappresentanti dell’opposizione bielorussa si sono riuniti a Vilnius l’8 e il 9 agosto per un evento che ha evidenziato uno stato d’animo di crescente militanza mentre il movimento risponde alle nuove realtà create dall’invasione russa in corso nella vicina Ucraina. La conferenza nella capitale lituana è stata programmata per celebrare il secondo [...]

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Sogni e morte sul “fiume d’oro” che scorre nelle viscere dell’Africa


La febbre dell'oro coinvolge un milione di minatori in Burkina Faso, 700mila in Mali, 300mila in Niger. I crolli nelle miniere si moltiplicano. Lo scorso novembre 18 lavoratori morti in Niger. L'articolo Sogni e morte sul “fiume d’oro” che scorre nelle v

Di Valeria Cagnazzo*

Pagine Esteri, 19 agosto 2022 – Sono state 18 le vittime del crollo di una miniera d’oro in Niger a inizio novembre, nella regione di Maradi, a sud del Paese e a pochi km dal confine con la Nigeria. E’ solo uno degli incidenti gravi che da alcuni anni, sempre con maggiore frequenza, stanno costando la vita a decine di minatori nel territorio saheliano. Tragedie abituali, secondo le autorità locali, a causa dell’instabilità del terreno e dei “metodi obsoleti” utilizzati per estrarre l’oro in questi territori. Le miniere di Maradi, che attirano migliaia di minatori da quando sono state scoperte a inizio 2021, rappresentano del resto solo uno dei tanti giacimenti che punteggiano una vastissima linea di ricchezza sotterranea nota come “il fiume d’oro”. Dal Sudan, come un nervo il percorso delle riserve di questo minerale si spinge nel terreno arido verso est e percorre il Ciad, il Niger, il Burkina Faso, fino al Mali e alla Mauritania: la nuova corsa all’oro che è iniziata da meno di un decennio lungo quest’insperato fiume ha aperto la strada a tecniche di estrazione “artigianali”, che causano costanti rischi per la manodopera impiegata negli scavi ma anche nuove forme di instabilità politica per gli Stati coinvolti.

Il primo giacimento del “fiume d’oro” fu scoperto nel 2012 in Sudan nella zona di Jabel Amir. Seguì il rinvenimento di risorse in Ciad, nel Tibesti, un anno dopo, e nel 2014 in Niger, non lontano da Agadez, e ancora nel nord del Mali e della Mauritania nel 2016. In poco tempo, le economie dei territori sahara-saheliani, che già nei secoli scorsi avevano attirato i colonizzatori per le ricchezze del loro sottosuolo, hanno ricominciato a ruotare intorno a questo minerale: Sudan, Mali e Burkina Faso rientrano oggi tra i primi cinque produttori d’oro nel continente africano. Le tonnellate di minerale estratte nei Paesi lungo questo fiume hanno rimpiazzato in questi anni il cotone nel mercato delle esportazioni.

2216996Il boom dell’oro, tuttavia, ha attirato soprattutto le mire di gruppi parastatali. Almeno un terzo dell’oro della zona saheliana, infatti, è estratto in maniera “artigianale” e “informale”, ovvero da gruppi non statali, rappresentati da privati o da organizzazioni illegali, spesso armate, che controllano le miniere, i lavoratori che scavano nelle viscere del terreno e spesso anche le intere aree abitate intorno alle riserve. Secondo un rapporto dell’International Crisis Group (ICG) del novembre 2019, l’oro ricavato in maniera “artigianale” oscillerebbe tra le 20 e le 50 tonnellate ogni anno in Mali, tra le 10 e le 30 tonnellate in Burkina Faso e intorno alle 15 tonnellate in Niger: un mercato del valore compreso tra 1,9 e 4,5 miliardi di dollari annui.

Una risorsa così ricca rappresenta nei Paesi del Sahel una fonte di impiego di importanza vitale. Dopo la crisi economica mondiale del 2008, per una popolazione quasi interamente dedita all’agricoltura e all’allevamento e pesantemente minacciata dall’avanzata del deserto e dalle drastiche conseguenze del cambiamento climatico, la scoperta del “fiume d’oro” è stato qualcosa di miracoloso. I numeri dei lavoratori impiegati nell’estrazione “artigianale” stilati dall’ICG parlano chiaro: si stimano un milione di minatori in Burkina Faso, 700.000 in Mali, 300.000 in Niger, ma vista l’assenza di un censimento della manodopera, prevalentemente impiegata “in nero”, i numeri potrebbero essere fino a tre volte più alti. Una risorsa di reddito che le famiglie residenti lungo questo nervo minerario difendono a costo di scontrarsi anche con le autorità statali. Ma a che prezzo?

La cronaca rivela, innanzitutto, il rischio che scavare in queste miniere rappresenta per i lavoratori. Gli aggettivi “artigianale” e “informale” non devono necessariamente far pensare a qualcosa di “primitivo”, come spiega in una chiara analisi sul tema Luca Raineri, ricercatore presso la Scuola Sant’Anna di Pisa ed esperto in materia di sicurezza in Africa. Nonostante la gestione spesso illegale e la corsa all’oro di gruppi parastatali che spesso si impossessano dei pozzi secondo la legge del “Chi prima arriva, meglio alloggia”, nelle miniere saheliane non si scava certo a mani nude, o almeno non sempre. Grazie alla loro crescente ricchezza, i proprietari delle miniere hanno potuto in molti casi perfezionare le estrazioni con tecniche sempre più moderne. Resta, però, il fatto che ai minatori impiegati in queste imprese artigianali e ufficiose non siano garantite le minime tutele sul lavoro, né i più elementari diritti umani. I crolli delle miniere nelle quali i lavoratori si ritrovano intrappolati e in cui spesso vengono seppelliti vivi sono all’ordine del giorno: l’incidente del 7 novembre in Niger ricorda quello di inizio settembre in Burkina Faso, in cui i corpi di almeno sei “cercatori d’oro illegali”, così li definì la polizia locale, furono trovati sottoterra, deceduti probabilmente per asfissia.

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La gestione delle miniere d’oro da parte di attori non statali, inoltre, può avere un potere distruttivo sui governi dei Paesi coinvolti o, in altri casi, rafforzarne i regimi. In pieno stile neoliberista, infatti, in molte zone del Sahel le estrazioni sono affidate a imprese private legate al governo: in cambio di una completa autonomia, i proprietari dei giacimenti garantiscono un prezioso supporto all’élite della capitale e la sicurezza della regione mediante un proprio corpo armato. In altre aree, al contrario, in cui delle riserve d’oro si sono appropriati gruppi di opposizione, l’estrazione “artigianale” assume un potenziale deflagrante nei confronti dei fragili equilibri politici regionali. La completa deregolamentazione della corsa all’oro, soprattutto laddove lo Stato è assente, comporta la crescita del banditismo. I gruppi terroristici si moltiplicano anche grazie a questa risorsa e il fiume dell’oro diventa lo scenario di scontri armati per il controllo del sottosuolo. Emblematico è il caso del Burkina Faso, dove, dopo la caduta di Compaoré (Presidente del Burkina Faso fino al 2014), i minatori hanno identificato sempre più spesso nei gruppi jihadisti i garanti dei loro posti di lavoro e della loro sicurezza.

Il crollo di una miniera aurifera è solo la punta dell’iceberg del terremoto politico che il fiume d’oro del deserto, scorrendo nei suoi tunnel sotterranei, sta provocando nel Sahel. Ancora una volta, nella Storia, i Paesi africani in gioco si ritrovano a fare i conti con la pericolosa ricchezza del loro sottosuolo. Ancora una volta, mentre i regimi e i gruppi terroristici allungano le mani, a pagare sono sempre i fili d’erba. Pagine Estere

FONTI

mining-technology.com/news/gol…

reuters.com/world/africa/least…

africanews.com/2021/09/03/burk…

iai.it/sites/default/files/rai…

crisisgroup.org/fr/africa/sahe…

2217000*Valeria Cagnazzo (Galatina, 1993) è medico in formazione specialistica in Pediatria a Bologna. Sue poesie sono comparse nella plaquette “Quando un letto si svuota in questa stanza” per il progetto “Le parole necessarie”, nella rivista “Poesia” (Crocetti editore) e su alcune riviste online. Ha collaborato con il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna. Per la sezione inediti, nel 2018 ha vinto il premio di poesia “Elena Violani Landi” dell’Università di Bologna e il premio “Le stanze del Tempo” della Fondazione Claudi, mediante il quale nel 2019 ha pubblicato la sua prima silloge poetica, “Inondazioni” (Capire Editore). Nel 2020, il libro è stato selezionato nella triade finalista del premio “Pordenone legge – I poeti di vent’anni”.

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Giovedì il Segretario generale delle Nazioni Unite e il presidente turco hanno incontrato il presidente ucraino nella città di Leopoli per promuovere una espansione delle spedizioni di grano e trovare una soluzione alla crisi della centrale nucleare …


La guerra in Ucraina spinge gli Stati baltici a rimuovere i memoriali sovietici


L’Estonia rimuoverà tutti i suoi monumenti di guerra dell’era sovietica, l’ultimo di una serie di Paesi dell’Europa orientale a percorrere questa strada. Secondo quanto riferito, ci sono da 200 a 400 memoriali o monumenti di epoca sovietica ancora in piedi in tutta l’Estonia. Il primo ministro, Kaja Kallas, ha affermato che ora questi saranno trasferiti [...]

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Sud Caucaso: cosa fa l’Unione Europea?


L’Unione Europea è apparsa sulla scena del Caucaso meridionale all’inizio degli anni ’90. L’UE lanciò il programma TACIS (Technical Assistance to the Commonwealth of Independent States (CIS)) nel 1991 per sostenere il processo di riforma economica e sviluppo nei Paesi della CSI e per sostenere la loro integrazione nell’economia mondiale. In questo contesto, nell’ambito del [...]

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📝 Il 18 agosto 1912, 110 anni fa, nasceva Elsa Morante, una delle più grandi scrittrici italiane, fra le più importanti narratrici del secondo dopoguerra.

📖 Tra le sue opere più famose, "L’Isola di Arturo", con cui vinse il Premio Strega nel 1957.



Presidenzialismo a destra e sinistra


Il presidenzialismo fu di sinistra. All’Assemblea costituente lo chiedeva il Partito d’Azione, con Piero Calamandrei. Fra gli argomenti che usarono c’era la necessità di rendere forte e stabile il governo. Lo chiesero da antifascisti, ricordando che ad ap

Il presidenzialismo fu di sinistra. All’Assemblea costituente lo chiedeva il Partito d’Azione, con Piero Calamandrei. Fra gli argomenti che usarono c’era la necessità di rendere forte e stabile il governo. Lo chiesero da antifascisti, ricordando che ad aprire la strada alla dittatura aveva concorso la debolezza del governo Facta. Fu poi un antifascista e capo partigiano, Randolfo Pacciardi, a sostenere la necessità di riformare la Costituzione, introducendo il presidenzialismo. Gli diedero del fascista. Nel frattempo era successo che al semipresidenzialismo era approdata la Francia, sotto la guida di Charles De Gaulle, avversato dalla sinistra. Sicché il presidenzialismo era vissuto come di destra. Dovettero passare degli anni perché François Mitterrand incarnasse il presidenzialismo in salsa socialista.

La grande differenza, fra i presidenzialisti di allora e quelli di oggi, è che allora sapevano di cosa parlavano. Oggi si brancola nel buio, prendendo cantonate. Nel programma del centro destra la faccenda è liquidata al primo punto del capitolo istituzionale: «Elezione diretta del Presidente della Repubblica». Fine. Che non significa nulla. (Fra parentesi: al secondo punto si reclama l’applicazione degli articoli 116 e 119 della Costituzione, sul regionalismo, così come, pessimamente, modificati dalla sinistra, nel 2001, e senza il loro consenso).

Non c’è nulla di autoritario in sé, nella Repubblica presidenziale. I sistemi democratici si basano su pesi e contrappesi e sulla condotta di chi li abita, talché in Nord e Sud America hanno effetti opposti. È falso dire che con l’elezione diretta i governi restano in carica per la legislatura e che in quel lasso di tempo le maggioranze non cambiano. Chi vuole averne conferma può studiare un po’ di storia e cronaca francesi o indagare le elezioni di medio termine negli Usa. Il guaio del presidenzialismo populista è che suppone “governare” e “comandare” siano sinonimi, così dimostrando non solo pochezza istituzionale, ma culturale in senso vasto.

Suppongo nessuno di loro voglia un sistema austriaco (che è Stato federale), con elezione diretta di un presidente che ha quasi meno prerogative di quello italiano. Chi lo volesse all’americana, quindi eletto e governante, sarà bene approfondisca la natura degli Stati federali. Potrebbe essere una buona idea per l’Unione europea, di sicuro non per l’Italia. In Francia non solo il presidente non è il capo del governo, ma i governi possono cambiare e il presidente stesso perdere la maggioranza. Quando ci avranno fatto sapere, assieme, di che diamine stanno parlando sarà facile dimostrare la frana della baracca retorica con cui accompagnano la non proposta. Del resto, come Silvio Berlusconi ha ricordato: ne parlano dal 1995, hanno vinto le elezioni e non l’hanno fatto, né hanno messo a fuoco l’idea.

Meloni e Salvini, dopo la pubblicazione del programma, hanno manifestato la preferenza per il sistema francese.Quello in cui le estreme non vincono, il che è singolare. Meloni, per prendere in castagna il Pd, ha ricordato che quello era lo schema della commissione bicamerale D’Alema. Ha ragione, magari farebbe bene a ricordare anche che furono loro, il centro destra, a fare saltare tutto.

Una riforma seria richiederebbe una riscrittura costituzionale profonda. Per funzionare e non inquietare richiederebbe un coinvolgimento di altre componenti parlamentari, in una sede sostanzialmente costituente. Pare la destra sia favorevole, ma devono proporla ora (c’era un disegno di legge predisposto dalla Fondazione Luigi Einaudi), non supporla.

Dall’altra parte, finché la sinistra continuerà a usare le proposte della destra, pur generiche e nebbiose, per dire che sono pericolose e che si opporranno, otterrà il risultato di andare in minoranza per potere fare opposizione, consegnando la gramsciana egemonia alla destra. Non un gran risultato. Fuori le idee, se ci sono. Sia sul metodo che sul merito. Qui le abbiamo più volte indicate e il tempo di convergere è ora.

La Ragione

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All’ombra di Taiwan, le Filippine affrontano scelte esistenziali


Il governo Marcos non deve scegliere tra Usa o Cina, nelle tensioni su Taiwan. Si trova di fronte a una scelta tra potenziamento militare o sviluppo economico, in mezzo a prospettive economiche globali in calo. Durante il suo recente incontro con il Presidente Marcos Jr., il segretario di Stato Antony Blinken ha affermato che l'”alleanza” [...]

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Guadagnare soldi dalla guerra… basta!


Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), nel 2021 il mondo ha speso 2.113 trilioni di dollari in armamenti. Di questa somma di denaro quasi incomprensibile, gli Stati Uniti hanno speso quasi la metà del totale, 801 miliardi di dollari. Forse una delle ragioni della spesa sproporzionatamente elevata per le armi degli Stati Uniti [...]

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Siria: la nuova offensiva di Erdogan


Il Presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che sta pianificando una nuova offensiva militare nel nord della Siria diretta contro i curdi. Se un leader autoritario può sfidare l’opinione mondiale, invadere il territorio di uno Stato sovrano e incorrere solo in piccole conseguenze, perché non un altro? Questo potrebbe essere stato il ragionamento [...]

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L’assassinio di Al-Zawahiri potrebbe non essere stata una buona idea


È probabile che il recente assassinio di Ayman Al-Zawahiri di Al-Qaeda crei una serie di effetti ramificati. Al-Zawahiri è stato assassinato da due missili Hellfire R9-X di un drone MQ9 Reaper, che aveva sorvolato o era originario di un Paese terzo, nel cuore di Kabul, da cui gli Stati Uniti hanno evacuato nell’agosto dello scorso [...]

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Esercito israeliano fa irruzione e chiude le 6 ong palestinesi che accusa di “terrorismo”


Qualche giorno fa il ministro della difesa israeliano Gantz aveva ratificato in via definitiva il suo provvedimento sulle ong, che accusa di "legami con il terrorismo " nonostante le critiche registrate a livello internazionale. L'articolo Esercito israe

AGGIORNAMENTO 18 AGOSTO 2022

L’esercito israeliano ha fatto irruzione negli uffici delle 6 ong palestinesi per i diritti umani – tra cui Al Haq, Addameer e Bisan – che aveva dichiarato illegali ad ottobre per presunti “legami con il terrorismo”. I soldati hanno lasciato un ordine militare che dichiara le ong illegali e chiuse, sigillando le porte dei loro uffici in Cisgiordania. Qualche giorno fa il ministro della difesa israeliano Gantz aveva ratificato in via definitiva il suo provvedimento sulle ong nonostante le critiche registrate a livello internazionale.

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PER APPROFONDIRE IL TEMA VI INVITIAMO A LEGGERE L’ARTICOLO CHE PAGINE ESTERI PUBBLICO’ LO SCORSO OTTOBRE DOPO LA DECISIONE PRESA DAL MINISTRO DELLA DIFESA ISRAELIANO.

della redazione

Pagine Esteri, 23 ottobre 2021Attacco frontale alle ong palestinesi per la tutela dei diritti umani, alcune delle quali operano da decenni e godono di ampio riconoscimento internazionale. Ieri il ministro della difesa israeliano, Benny Gantz, ha proclamato ufficialmente sei di queste ong “organizzazioni terroristiche” poiché, a suo dire, sono espressione del Fronte popolare per la liberazione della Palestina – un partito di sinistra, di orientamento marxista, presente con tre deputati nel Consiglio legislativo palestinese – che Israele considera un gruppo terroristico.

Spiccano i nomi di Addameer, che assiste i prigionieri politici palestinesi, e di Al-Haq, un’organizzazione che lavora da decenni con le Nazioni Unite. Nell’elenco sono incluse anche Defense for Children International-Palestine, Union of Agricultural Workers, Bisan Center for Research and Development, Union of Palestinian Women Committees. Nei mesi scorsi con la stessa motivazione era stata ugualmente descritta come una “organizzazione terroristica” anche l’associazione Samidoun che diffonde informazioni sui detenuti politici.

La dichiarazione di Gantz è volta a mettere al bando queste ong palestinesi e autorizza l’esercito a chiudere i loro uffici, a sequestrare i loro beni e ad arrestare e incarcerare il loro personale. Infine, vieta il finanziamento alle loro attività. Quest’ultimo aspetto ha una particolare importanza per i rapporti internazionali di queste ong palestinesi. Con ogni probabilità il passo del ministro israeliano spingerà varie istituzioni e ong internazionali, in particolare quelle occidentali, a cessare qualsiasi sostegno ad Addameer, al Haq e alle altre ong colpite dal provvedimento. “È un attacco sfacciato, una pericolosa escalation che minaccia di paralizzare completamente il lavoro della società civile palestinese nell’opporsi all’abuso dei diritti umani”, ha commentato Omar Shakir, responsabile di Israele e Palestina per Human Rights Watch. Anche Amnesty International ha protestato con forza e condannato la decisione di Gantz.

Addameer fornisce assistenza gratuita e consulenza legale ai prigionieri palestinesi, centinaia dei quali sono detenuti nelle carceri israeliane senza processo e senza accuse formali. Documenta anche altre violazioni e mette in evidenza i maltrattamenti dei minori palestinesi. Al-Haq, ong storica della società civile palestinese, ricerca e documenta violazioni del diritto internazionale umanitario nella Cisgiordania occupata, a Gerusalemme Est e nella Striscia di Gaza. Il gruppo afferma di documentare le violazioni “indipendentemente dall’identità dell’autore”.

La dichiarazione di Gantz è stata denunciata anche dal gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem. “E’ una mossa che caratterizza i regimi totalitari” – ha scritto B’Tselem in un comunicato – “Ma la guerra non è pace, l’ignoranza non è potere e l’attuale governo (israeliano) non è un governo di cambiamento bensì un governo di continuazione del violento regime di apartheid che è in vigore da molti anni tra il mare e il fiume Giordano. B’Tselem è solidale con i nostri colleghi palestinesi, orgoglioso del nostro lavoro congiunto con loro nel corso degli anni e continuerà a farlo”.

Una reazione è giunta anche Dipartimento di Stato degli Stati Uniti che, ha dichiarato, richiederà maggiori informazioni sulla designazione di “organizzazione terroristica” per le ong palestinesi decise dal ministro Gantz. “Il governo israeliano non ci ha avvertito in anticipo”, ha precisato il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price. “Crediamo che il rispetto dei diritti umani, le libertà fondamentali e una società civile forte siano di fondamentale importanza per una governance responsabile e reattiva”, ha aggiunto. Parole che possono essere interpretate come un raro rimprovero statunitense al governo israeliano. Pagine Esteri

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Pugno di ferro di Israele e crollo dell’Anp di Abu Mazen. La Cisgiordania in fiamme


Non si arrestano i raid dell'esercito israeliano a Jenin e Nablus. E un numero crescente di palestinesi, soprattutto giovani, vuole prendere le armi L'articolo Pugno di ferro di Israele e crollo dell’Anp di Abu Mazen. La Cisgiordania in fiamme proviene d

di Michele Giorgio –

(nella foto da twitter Ibrahim Nabulsi)

Pagine Esteri, 12 agosto 2022 – Martedì, mentre nella notte una calma carica di tensione regnava lungo le linee tra Israele e Gaza, l’esercito israeliano di fatto trasformava Ibrahim Nabulsi, 26 anni, in un eroe nazionale palestinese. Quando le unità scelte dell’esercito hanno circondato il suo rifugio nella casbah di Nablus, in Cisgiordania, il giovane palestinese, ricercato da Israele, ha scelto di non arrendersi. Ha resistito, risposto al fuoco, poi ha compreso che per lui era finita. Prima di essere ucciso, è riuscito a registrare un messaggio vocale su WhatsApp e l’ha inviato alla madre, per salutarla e per spiegare la sua decisione di morire da martire e di non arrendersi. L’audio ha girato girava su tutta la rete. Quindi ha esortato i suoi compagni di lotta a resistere all’occupazione. Pochi secondi dopo i militari israeliani hanno lanciato un razzo contro l’edificio in cui si era barricato. L’esplosione ha ucciso tutti quelli che erano all’interno. Oltre a Nabulsi, sono morti altri due palestinesi, Islam Sabbouh, e un adolescente di 17 anni. Intanto sale il bilancio dei palestinesi uccisi nei giorni scorsi dai bombardamenti a Gaza è salito a 49.

Nabulsi, considerato dagli israeliani un «pericoloso terrorista», in poche ore è diventato una figura leggendaria. Sui social e i giornali palestinesi hanno ricordato le tante volte in cui era sfuggito alla cattura da parte dell’intelligence israeliana – l’ultima due settimane fa – usando rifugi diversi e gallerie sotterranee. Proprio come fece il leader palestinese Yasser Arafat nel 1967 nelle settimane successive all’occupazione israeliana della Cisgiordania prima di rifugiarsi in Giordania. E quasi trent’anni dopo un’altra primula rossa, Ahmad Tabouk, noto come il «Robin Hood» della casbah di Nablus, ricercato dagli israeliani e anche dai servizi palestinesi. Tabouk da un lato combatteva l’occupazione e dall’altro estorceva denaro alla borghesia ricca della città per distribuirlo alle famiglie povere di Nablus. Arrestato dall’Anp e riabilitato come agente di polizia, fu ucciso dall’esercito israeliano durante la seconda Intifada.

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Nabulsi non è un simbolo unificante per i palestinesi come la giornalista Shireen Abu Akleh, uccisa a Jenin lo scorso maggio – ora una strada di Ramallah porta il suo nome -, ma la sua figura mette d’accordo un po tutti. Non era del movimento islamico Hamas, non faceva parte di Fatah anche se per qualche tempo aveva militato nelle Brigate di Al Aqsa, l’ala armata del partito del presidente Abu Mazen. Di fatto collaborava con tutti e anche ciò ne aveva fatto un punto di riferimento per tanti giovani a Nablus e Jenin. «In Israele cambiano i governi ma non le politiche nei confronti dei palestinesi – commenta Nasser Abul Hadi, un giornalista cisgiordano – (Israele) usa solo la forza, non analizza i cambiamenti che avvengono nella società palestinese, sul terreno, e non bada alle conseguenze dell’occupazione militare che dura da 55 anni». I proiettili che sparano i soldati, aggiunge, «stanno creando nuovi eroi per milioni di persone stanche dell’occupazione. I giovani palestinesi non accettano di vivere in queste condizioni e non pochi fra loro si uniscono alle organizzazioni armate, specie nei campi profughi di Jenin e Nablus». Quest’anno non meno di 1.720 persone sono state arrestate, sia palestinesi che cittadini arabi di Israele. Sessantasei palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania da gennaio a giugno, rispetto agli 81 dell’intero 2021. La scorsa primavera, in attacchi armati palestinesi, 19 persone a Tel Aviv e altre città.

Sulla stampa in lingua ebraica, o parte di essa, non manca chi sottolinea che qualcosa di rilevante sta avvenendo in Cisgiordania. E non dipende solo dalla crescente influenza di Hamas in quel territorio. La leadership dell’Anp di Abu Mazen sta progressivamente perdendo il controllo. A dimostrarlo sono proprio i continui raid israeliani anche nelle aree A (il 14% della Cisgiordania) che ufficialmente ricadono sotto la piena autorità del governo palestinese. Il quotidiano Haaretz in un articolo di qualche giorno fa lasciava intendere che Tel Aviv non crede più alle possibilità dell’Anp di svolgere azioni di «antiterrorismo». Perciò preferisce lanciare raid in Cisgiordania, scontrandosi spesso con i combattenti palestinesi ed effettuando decine di arresti ogni settimana. Secondo Haaretz, le previsioni fatte dal governo israeliano su cosa accadrà il giorno dopo la morte di Abu Mazen sono già superate: il cambiamento in Cisgiordania è già avvenuto mentre l’anziano rais è ancora al potere. Pagine Esteri

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Il genocidio di Putin in Ucraina è radicato nell’impunità russa per i crimini sovietici


Nell’estate del 1941, quando il mondo esterno iniziò a venire a conoscenza degli omicidi di massa che accompagnarono l’invasione nazista dell’Unione Sovietica, il Primo Ministro britannico Winston Churchill dichiarò in modo memorabile: “Siamo alla presenza di un crimine senza nome”. Questo non è più il caso. Nel 1948, le Nazioni Unite adottarono la Convenzione sul [...]

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AUDIO. La Tunisia tra la nuova costituzione e i giovani che scappano dal paese


Il presidente Kais Saied ha ottenuto la costituzione che voleva e impone con più forza il suo potere sul paese sempre di più lontano dalle conquiste della rivolta del 2011. Ai margini ci sono i giovani che sognano di partire ed emigrare. Ne abbiamo parlat

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 18 agosto 2022 – I giovani tunisini guardano alla Germania come la nazione dove vorrebbero vivere e lavorare per costruirsi, lontano dal loro paese, un’esistenza migliore.

Pesano la crisi economica che attanaglia la Tunisia e l’autoritarismo del presidente Kais Saied che non lasciano intravedere un futuro positivo per il paese protagonista del 2011 della primavera araba.

Abbiamo intervistato Carla Pagano, esperta di cooperazione internazionale che vive e lavora a Tunisi.

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Il genocidio di Putin in Ucraina è radicato nell’impunità russa per i crimini sovietici


Nell’estate del 1941, quando il mondo esterno iniziò a venire a conoscenza degli omicidi di massa che accompagnarono l’invasione nazista dell’Unione Sovietica, il Primo Ministro britannico Winston Churchill dichiarò in modo memorabile: “Siamo alla presenza di un crimine senza nome”. Questo non è più il caso. Nel 1948, le Nazioni Unite adottarono la Convenzione sul [...]

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Martedì il presidente USA ha firmato l’Inflation reduction act, ovvero un pacchetto di norme cardine del suo programma politico che porterà 300 miliardi di investimenti per il clima.


In un'altra America già da presidente Donald Trump avrebbe dovuto essere posto sotto impeachment. Oppure l'ex presidente Trump ora dovrebbe essere davanti a un giudice in un'aula di tribunale.


La gestione delle crypto ti sembra complicata? Prova questo


Quando si sente parlare di investimenti in criptovalute il sentimento è spesso contrastante: da una parte c’è un deciso interesse e curiosità verso quello che probabilmente sarà il futuro della finanza. Dall’altra c’è apprensione e dubbio, non solo sulle valute stesse, ma soprattutto sul modo in cui si possono gestire e ‘tradare’. Detto che come [...]

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Cina – Canada: una ‘nuova normalità’


Dopo un periodo tumultuoso, le relazioni sino-canadesi si sono stabilizzate in una ‘nuova normalità’. Nel settembre 2021, Washington ha ritirato la richiesta di estradizione per Meng Wanzhou, Chief Financial Officer di Huawei, detenuta in Canada, con conseguente rilascio. Questo è stato immediatamente seguito dal rilascio dei ‘due Michael’ canadesi detenuti con false accuse di sicurezza [...]

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Ucraina: Lend-Lease, la risposta UE al lungo inverno in vista?


La guerra commerciale tra Russia e NATO parallela alla guerra in Ucraina ha già suscitato serie preoccupazioni per una possibile carenza di energia per il prossimo inverno nell’Europa orientale e in Germania, poiché queste regioni ottengono gran parte, se non la maggior parte dell’energia necessaria non solo per il loro settore industriale ma anche per [...]

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Gli Stati Uniti designeranno la Russia ‘Stato sponsor del terrorismo’?


Mentre l’invasione russa dell’Ucraina si avvicina al traguardo dei sei mesi, cresce la pressione sull’amministrazione Biden per designare la Russia uno stato sponsor del terrorismo. La mossa gode del sostegno bipartisan al Congresso ed è vista dai sostenitori come una risposta proporzionata alle crescenti prove dei crimini di guerra russi in Ucraina. Tuttavia, il Segretario [...]

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Cosa significherebbe la presidenza di William Ruto per l’economia del Kenya?


William Ruto è stato dichiarato vincitore delle elezioni presidenziali del Kenya del 2022. I risultati ravvicinati sono stati messi in discussione, aumentando il rischio di una transizione politica prolungata. Ma, se autorizzato, Ruto erediterà un’economia che non è in gran forma. Ad esempio, la disoccupazione è alle stelle, un fatto che ha alimentato il risentimento [...]

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Sono state pubblicate le graduatorie degli avvisi pubblici relativi ad asili nido e scuole dell’infanzia con i progetti di investimento che verranno finanziati con le risorse europee Next Generation EU, stanziate nell’ambito delle azioni per il poten…


William Ruto, attuale vicepresidente del Kenya, è stato dichiarato presidente dopo giorni di incertezza a causa del lento conteggio dei voti. Ma il suo rivale Odinga e alcuni commissari elettorali hanno già contestato il risultato finale.


Chi vuol esser Biliardario


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India, strategica per tenere sotto controllo il potere della Cina


Il 75esimo anniversario dell’indipendenza dell’India dà nuovo peso alla sua pretesa di leadership regionale e globale. L’ascesa dell’India, a differenza della Cina, è stata prevalentemente ben accolta sia dall’Occidente che dall’Oriente, con il preponderante obiettivo di diventare la potenza capace di frenare le crescenti intenzioni di Pechino. La Cina si è trovata di fronte al [...]

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Metaverso e criptovalute: il mondo del futuro


Fino a poco tempo fa ‘abitare’ in un mondo virtuale sembrava impossibile, al limite della fantascienza. Eppure, il Metaverso, lanciato da Mark Zuckerberg, funziona proprio così. Cosa vuol dire ‘Metaverso’ ‘Metaverso’ è una parola composta da ‘meta’, che in greco significa ‘oltre’, e ‘universo’. Questo neologismo è apparso per la prima volta nel 1992 nel [...]

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Il Vietnam osserva l’espansione della Cina in Cambogia


Nel giugno 2022, diversi resoconti dei media hanno annunciato che la Cina stava aprendo una base militare presso la base navale cambogiana di Ream, situata all’estremità meridionale della Cambogia, vicino alle acque contese del Mar Cinese Meridionale. La Cambogia ha già utilizzato i finanziamenti cinesi per modernizzare ed espandere la base navale di Ream. I [...]

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Il progetto di monitoraggio di InformaPirata sulla presenza dei temi digitali nei programmi dei partiti per le elezioni politiche 2022


Si apre oggi un progetto di monitoraggio sulla presenza del tema dei diritti digitali nei programmi elettorali per le #elezioni2022. E, sia chiaro, abbiamo bisogno del vostro aiuto!

Tutti parlano di digitalizzazione, ma cosa c’è all’interno dei programmi delle forze politiche? Ora che sono stati depositati i simboli delle liste che verranno presentate alle elezioni, avvieremo un monitoraggio sui programmi politici. Lo faremo aprendo un post su feddit.it, per fare in modo che tutti possano partecipare con il proprio contributo e attraverso il proprio punto di vista politico.

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in reply to Informa Pirata

ciao, sono nuovo del fediverso ed alcune interazioni tra piattaforme diverse ancora non mi sono chiare. Se ho capito bene posso partecipare da Mastodon al progetto, ma non ho capito come.
Se provo ad interagire da Feddit mi dice che devo fare il login.
in reply to dicaeffe

@dicaeffe puoi copiare questo link < poliverso.org/objects/0477a01e… >nella casella di ricerca di mastodon e "vedere" il post originario.
Da lì puoi commentare

PS: stiamo aggiungendo già i primi i link ai programmi elettorali

in reply to dicaeffe

@dicaeffe e comunque puoi sempre iscriverti a feddit.it anche senza indicare l'email

in reply to Informa Pirata

Il programma sintetico di "Italia Sovrana e Popolare" si trova su questa pagina.

Il relativo pdf si può scaricare da qui.



L’UE e lo scontro con Polonia per lo stato di diritto


Dopo una breve tregua tra la crisi dei rifugiati e gli effetti del conflitto nella vicina Ucraina, Bruxelles e Varsavia sono tornate sulla loro rotta di collisione sull’adesione agli standard della Polonia allo stato di diritto. Il leader del Partito Diritto e Giustizia Jaroslaw Kaczynski ha promesso che il suo partito non intraprenderà ulteriori azioni [...]

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L’invasione russa ha messo in luce i progressi dell’Ucraina nella costruzione della nazione


L’Ucraina ha compiuto enormi progressi durante i suoi tre decenni di stato indipendente. Negli ultimi mesi, la risposta straordinariamente resiliente del Paese all’invasione della Russia è servita a evidenziare quanto lontano sia arrivata l’Ucraina dai caotici primi anni dell’era post-sovietica. Questo progresso sarà sotto i riflettori il 24 agosto, quando gli ucraini celebreranno i trentun [...]

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È ora di preparare gli USA alla guerra con la Cina?


Una politica che metta gli USAe la Cina sulla strada di crescenti tensioni e conflitti diretti, rischia di intraprendere una marcia verso la follia che sarebbe ancora più distruttiva di quella che distrusse l'Europa più di un secolo fa

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Se si vuole governare, si governa dal centro


Se si vuole governare, si governa dal centro. Non dalle posizioni della Squad di Ocasio-Cortez. Il che significa che con i “mostri” - come Manchin, come Sinema, come Renzi, come Calenda - bisogna fare i conti. Perché senza i mostri non c’è nessuna big ten

Prima di lasciarvi all’inedito inizio del campionato, alle gite, alle grigliate e ai pranzi in compagnia di questo strano Ferragosto elettorale, vi dico la mia sulla rottura di Calenda con il Pd e sull’intesa Calenda-Renzi.

Per noi che avevamo promosso l’appello per una nuova alleanza riformista e liberal democratica (ed avevamo organizzato addirittura una “maratona riformista” per spiegarne le ragioni: https://www.linkiesta.it/…/la-maratona-riformista-per…/) la nascita di un Terzo polo con queste caratteristiche è una buona notizia.

In Parlamento sarà rappresentata “una componente liberal riformista ed europeista capace, si vedrà in che misura, di condizionare scelte e inclinazioni politiche in un paese – il nostro – che ha sempre fatto scarso uso di idee liberali e nel quale nuove forme di corporativismo autarchico e di massimalismo socialisteggiante attraversano sia il centrodestra sia il centrosinistra” (https://www.ilfoglio.it/…/nasce-il-terzo-polo-ed-e-una…/). Il che di questi tempi non è poco.

Naturalmente, c’è da augurarsi che non si tratti soltanto di un’alleanza elettorale o di una tregua temporanea tra Matteo Renzi e Carlo Calenda in mancanza di alternative, ma che al contrario sia “il primo passo verso la costruzione di un partito liberlademocratico europeo e atlantico in grado di offrire un’alternativa di governo alla confusione programmatica del Pd e al neo, ex, post fascismo di Fratelli d’Italia e Lega” (https://www.linkiesta.it/…/draghi-elezioni-bipopulismo…/). E ora tocca proprio a Renzi e Calenda dimostrare di saper costruire, a partire da questa alleanza, “qualcosa di nuovo, non solo tattico”.

A ben guardare, quello che è stato subito bollato come il “tradimento di Calenda” era nelle cose. Lo dico terra-terra: il Partito democratico non può diventare una sinistra moderna perché la sua gestione non è davvero contendibile, la minoranza liberal-democratica può avere solo un ruolo ancillare, di condizionamento, ma non può guidarlo. Questo è il problema. E prima o poi bisognerà farsene una ragione.

Lo ha spiegato meglio di me Michele Salvati sul Corriere della Sera (https://www.corriere.it/…/qual-vera-anima-pdil-caso). Secondo Salvati quel che è avvenuto è appunto “un altro segnale di un antico difetto di costruzione del Pd”, che “non è riuscito a creare un senso di comunità, di appartenenza e di identità forte quanto è necessario a consentire la convivenza di inevitabili differenza di opinione. Non è riuscito a creare una identità nuova, di sinistra liberale, e dunque diversa da quella delle forze politiche che confluirono nella formazione del partito: questo era l’auspicio con quale in tanti accompagnammo l’iniziativa di Veltroni” (c’ero e posso confermarlo).

E non c’è riuscito perché le forze contrarie ad un indirizzo di sinistra liberale “sono così ingranate negli equilibri interni del Pd” che prendere quella strada, procedere cioè in direzione di una sinistra liberale, non è possibile. Calenda, sottolinea Salvati, chiedeva infatti molto di più di “un accordo tecnico”: aveva in mente una “alleanza politica” e dunque “scelte che non smentissero in maniera plateale la credibilità di una coalizione politica”. Ma, come il coraggio, una identità di sinistra liberale, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare.

Messe così le cose, Calenda non poteva che imitare Guido Cavalcanti e, con un salto, andarsene. Mi è tornato infatti in mente il salto del poeta Cavalcanti, protagonista di un episodio del Decameron di Boccaccio. Per Italo Calvino, che sceglie l’agile salto improvviso del poeta-filosofo come “un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio”, nulla illustra meglio la sua idea che una necessaria leggerezza deve sapersi iscrivere nella vita e nella letteratura: “Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: – Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace – ;e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fussi gittato dall’altra parte, e sviluppatosi da loro se n’andò”.

Ma vengo ad un esempio dei nostri giorni. Per l’ala più radicale dei democratici americani, il senatore Joe Manchin del West Virginia è un rinnegato, la quinta colonna dei repubblicani, un mostro anti-ambiente al soldo delle compagnie di carbone, petrolio e gas. Insomma, peggio di Calenda e di Renzi messi insieme.

Si sa che al Senato i democratici e i repubblicani controllano 50 seggi a testa. Certo, la maggioranza ce l’hanno i democratici perché in caso di pareggio può votare anche la vicepresidente Kamala Harris. Ma serve il voto di tutti i senatori del partito, compreso Manchin.

Joe Manchin ha 74 anni, è in carica dal 2010 ed è considerato il più conservatore fra i senatori democratici. Da anni insiste sul fatto che le principali riforme devono essere concordate fra i membri di entrambi i partiti. Ma non è così facile. Gli analisti sottolineano da tempo la “polarizzazione” della politica americana e i due partiti incarnano ormai uno scontro aspro e inconciliabile fra due visioni del mondo incompatibili, che mette in discussione le normali regole democratiche. Lo stesso Trump è solo il sintomo più evidente della frattura profonda che attraversa il paese, che si è ampliata fino a diventare una minaccia per la stabilità democratica che generazioni di americani avevano dato per scontata.

Eppure, come ha sottolineato nei giorni scorsi Fareed Zakaria (https://edition.cnn.com/…/exp-gps-0731-fareeds-take), sembra proprio che, in barba ai media e sfidando l’incredulità degli esperti, Joe Biden stia riuscendo nell’impresa di “governare dal centro”, come aveva promesso in campagna elettorale (e a dire il vero fin dalla competizione tra l’ala “moderata” e quella di “sinistra”, che ha caratterizzato le primarie democratiche e ha segnato la fine, in questa stagione, del tentativo del leader radicale Bernie Sanders di spostare l’asse del partito a sinistra, su posizioni che anche in passato non hanno mai portato alla Casa bianca il partito dell’asinello).

Le prove si stanno accumulando. Il compromesso raggiunto al Senato tra il leader della maggioranza Charles E. Schumer e Joe Manchin è passato (con il sostegno dell’altra pecora nera della famiglia, la senatrice Kyrsten Sinema, fermamente posizionata nell’ala più a destra del partito) ed ora attende il via libera della Camera controllata dai democratici. Si tratta del più grande investimento federale in energia pulita mai realizzato negli Stati Uniti e, allo stesso tempo, del più grande pacchetto di riduzione del disavanzo in un decennio (secondo il Congressional Budget Office ridurrà di deficit di oltre 300 miliardi di dollari in una decina d’anni).

L’accordo si aggiunge al Chips and Science Act, che prevede enormi investimenti nella ricerca di base e nelle tecnologie essenziali (e un investimento senza precedenti per aumentare la produzione di semiconduttori e affrontare le vulnerabilità della catena di approvvigionamento); al primo intervento legislativo bipartisan sul controllo delle armi e al progetto di legge sulle infrastrutture da trilioni di dollari: una delle (mancate) promesse elettorali di Donald Trump.

Non per caso, J. Bradford DeLong, su Project Syndicate, ha parlato di una “estate dell’amore”, sul piano legislativo, per Biden: “Presi insieme questi provvedimenti sono più che sufficienti per capovolgere la narrazione relativa ai primi due anni in carica di Biden. Improvvisamente, i risultati legislativi dell’amministrazione sono passati da ‘deludenti’ a ‘oltre ogni aspettativa’”.

Insomma, Biden sta dimostrando che si può “governare dal centro”. Non come prima, ovviamente. Zakaria ricorda che quando, negli anni ’80 e ’90, il Congresso discuteva grandi progetti di legge bipartisan sulla Social Security, per riformare le tasse, aiutare gli americani con disabilità o ridurre l’inquinamento atmosferico, gli autori dei progetti di legge venivano acclamati dai media e all’interno dei loro stessi partiti. Oggi invece non si fa che ripetere che non bisogna scendere a compromessi; e resistere al “nemico” permette di raccogliere più fondi e guadagnare il sostengo degli elementi più radicali del proprio schieramento.

Infatti, nei primi anni del 2000 un grande sforzo bipartisan per affrontare la riforma dell’immigrazione si è arenato sotto i colpi degli estremisti di entrambe le parti. Il Dream Act, racconta il giornalista americano, era sostenuto da due senatori lontani ideologicamente, che tuttavia erano anche buoni amici: il democratico Edward Kennedy e il repubblicano Orrin G. Hatch. Erano tra i membri più anziani del Senato e incarnavano un vecchio modo di fare politica non più in sintonia con i tempi. La rivoluzione di Gingrich degli anni ’90 ha infatti cambiato il Partito repubblicano e la stessa Washington. E da allora il compromesso è considerato un tradimento.

Cercando di far rivivere quel vecchio modo di far politica e di governare, Biden sta andando controcorrente. Ma sorprendentemente, a piccoli (significativi) passi, sembra riuscirci. Il che rappresenterebbe davvero una rivoluzione in grado di cambiare la struttura degli incentivi e ridurre la tossicità a Washington.

Per i democratici americani c’è, inoltre, un reale spazio di crescita. Perché sono in una posizione migliore dei repubblicani per diventare un grande tent party. Come ha dimostrato uno studio di Brookings, nel 2020 “la vittoria di Biden è arrivata dai sobborghi” e quegli elettori sono verosimilmente più moderati e centristi rispetto alla base democratica. Gli elettori suburbani sembrano essere sempre più distanti dalle posizioni repubblicane su questioni come l’aborto e le armi. E sull’onda del ribaltamento della storica sentenza Roe v. Wade da parte della Corte Suprema, i sondaggi in vista delle elezioni di medio termine che prima favorivano i repubblicani sembrano ora indicare un pareggio.

Ma (e veniamo al punto che riguarda anche noi) essere un grande tent party, un partito pigliatutto, è difficile. Significa avere a che fare anche con persone con cui sei profondamente in disaccordo. Ma, spiega Zakaria, in un paese grande e diversificato con oltre 330 milioni di persone, è l’unico modo per governare. Alcuni dei più grandi successi dei democratici si sono concretizzati con quello spirito. Franklin D. Roosevelt ha rinviato l’intervento sui diritti civili per poter approvare il New Deal. Lyndon B. Johnson ha arruolato il sud segregazionista per sostenere gran parte della sua legislazione sulla Great Society. Bill Clinton dovette governare principalmente con un Congresso controllato dai repubblicani. E anche quando Barack Obama aveva la maggioranza al Congresso, ha scelto di dare la priorità all’assistenza sanitaria universale rispetto a molte altre importanti questioni sociali, incluso il matrimonio tra persone dello stesso sesso. A volte, inoltre, il compromesso può portare a risultati migliori. Ad esempio, spiega il columnist, il disegno di legge sull’immigrazione era un progetto migliore di quello che entrambe le parti avrebbero approvato in modo autonomo perché teneva conto delle preoccupazioni legittime e delle argomentazioni valide di entrambe le parti.

Senza contare che alcuni degli argomenti di Manchin erano fondati: “Sul clima, il suo punto di vista secondo cui non dovremmo porre fine definitivamente all’uso dei combustibili fossili prima di avere abbastanza tecnologie verdi su larga scala per sostituirli può darsi sia un atteggiamento interessato del senatore del West Virginia, ma è anche una lettura accurata di dove ci troviamo oggi”.

Oltretutto, è la sua risolutezza che dovrebbe sorprendere. Non sarebbe male tenere a mente infatti che Manchin rappresenta uno Stato che Trump, nel 2020, ha vinto con circa 40 punti di distacco. Bisogna pensare a Manchin come a una cartina di tornasole, dice Zakaria. Se i democratici sono in grado di tenere Manchin con loro, per definizione stanno costruendo un grande tent party, che potrebbe comprendere la maggioranza degli americani.

Del resto, anche il Pd di casa nostra nasce (ricordate?) sul presupposto che il centrosinistra, anziché limitarsi unicamente ad allargare l’alleanza mettendo insieme sigle e partiti, doveva puntare a conquistare nuovi elettori ed ampliare l’area del radicamento, scommettendo sul fatto che le propensioni degli elettori potevano mutare. Ma siamo sempre lì: per conquistare nuovi elettori bisogna cambiare. E oggi quel che occorre non è il ritorno alle antiche certezze, ma il dichiarato superamento di vecchi atteggiamenti e vecchie posizioni.

Se i democratici di casa nostra non sono in grado di tenere con loro neppure Calenda e Renzi, come possono costruire una big tent aperta alla maggioranza degli italiani? Se si vuole governare, si governa dal centro. Non dalle posizioni della Squad di Ocasio-Cortez. Il che significa che con i “mostri” – come Manchin, come Sinema, come Renzi, come Calenda – bisogna fare i conti. Perché senza i mostri non c’è nessuna big tent, c’è la vecchia sinistra di sempre. E che ciascuno vada per la propria strada è inevitabile.
Buon Ferragosto!

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