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Defence for Children: i minori non accompagnati devono essere prima minori e poi migranti


Esiste una discriminazione strutturale a cui vengono sottoposti i minori stranieri. Sono infantilizzati o adultizzati ma mai ascoltati. Il nuovo Rapporto di Defence for Children Italia rappresenta una guida pratica per le istituzioni L'articolo Defence f

di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 12 ottobre 2022 – “I minorenni stranieri non accompagnati ci portano a sfidare un’idea di infanzia, ci pongono un problema di identità politica, sociale e culturale che non abbiamo ancora affrontato”. Defence for Children Italia, sezione italiana di un movimento mondiale che difende e promuove i diritti delle persone minorenni, ha presentato questa estate il Rapporto sul grado di applicazione della Legge 47/2017. La ricognizione effettuata insieme a CESPI per l’Osservatorio Nazionale Minori non accompagnati ha raccolto dati ed esperienze sullo stato dell’arte del sistema di accoglienza e di protezione dei minori non accompagnati.

Focalizzandosi sul sistema delle regioni Sicilia, Puglia, Marche e Liguria, il Rapporto raccoglie criticità e storture di una errata o assente applicazione della legge, suggerendo metodologie alternative e modalità di superamento degli ostacoli che impediscono una gestione opportuna.

Defence for Children non è un’organizzazione a carattere filantropico – ci spiega Pippo Costella, direttore della sezione italiana – ma riconosce, in un mondo adulto, la titolarità dei diritti dei minorenni. I nostri ambiti prioritari sono quelli che riguardano i minorenni nei fenomeni migratori, nella sfera della giustizia ma anche le questioni di genere e la loro partecipazione attiva alla vita della comunità“. Il Rapporto si costituisce sulla base dell’esperienza di Defence for Children con i ragazzi migranti e analizza nello specifico le differenze tra l’applicazione della legge e quello che la legge stessa prevederebbe. “La legge sui minori non accompagnati è una buona legge, crediamo possa rappresentare un riferimento primario o almeno dovrebbe essere così ma così non è. La legge si connette ai principi internazionali di protezione dei minore, come La Convenzione ONU sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e li declina in termini di azioni. Se fosse applicata potrebbe determinare politiche virtuose. Ma al momento viene applicata in maniera frammentaria e non è messa a sistema”.

Il Rapporto rileva infatti che i minorenni stranieri, che raggiungono da soli l’Italia spinti a lasciare il proprio paese e la propria casa da situazioni di conflitto, povertà e necessità, nonostante l’obbligo di pari trattamento indicato dal primo articolo della Legge, continuino a subire una situazione sistematica di discriminazione e penalizzazione nel percorso di accoglienza.

“Il fatto di essere un migrante – continua Costella – non dovrebbe prendere il sopravvento sull’essere un minore non accompagnato. Anzi, la legge difende le concezione del superiore interesse del minorenne. Ma oggi avviene esattamente il contrario: si è prima un migrante e poi un minore. La legge mette al centro non solo i diritti ma anche i bisogni dei minori, proponendo una versione olistica che integra la sua storia, il presente e le possibili prospettive. Mette in relazione i diversi ambiti, li mette a sistema. Se fosse applicata sarebbe possibile prendere in carico il minore contestualizzando i suoi bisogni reali“.

“L’accoglienza deve innalzare il livello di protezione e ridurre la vulnerabilità. Molti non si sentono tutelati dal sistema e quindi scappano. Possiamo raccontarci che quelli che scappano hanno semplicemente deciso di andare da un’altra parte ma la verità è che il sistema non è riuscito a tutelarli. La legge permette il ricongiungimento familiare ma ci impiega almeno un anno e per un ragazzo o una ragazza un anno è tantissimo. Un minore che fugge si mette in una condizione di vulnerabilità, di quasi clandestinità, è facile che diventi vittima di violenza“.

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Alla base della mancata o errata applicazione della legge da parte delle istituzioni c’è sicuramente anche un problema di conoscenza del fenomeno, che viene trattato da anni e anni in termini di emergenza. “E questo in tutte le fasi di gestione – continua Pippo Costella -, da quella dell’operatore a quella del politico di turno. Tra le istituzioni non esiste neanche un linguaggio condiviso che possa aiutare a stabilire una strategia. Con la modalità di gestione dell’emergenza vanno in deroga una serie di questioni e non si riesce a sviluppare un’intelligenza. I minorenni poi, in generale, non hanno voce nel nostro sistema. Se sono stranieri e non parlano la nostra lingua, ancora meno. Esiste una discriminazione strutturale a cui vengono sottoposti i minori stranieri. Sono infantilizzati o adultizzati ma mai ascoltati. Nel rapporto la voce dei ragazzi e delle ragazze è presente, è quella dei minori con cui quotidianamente lavoriamo. Se vogliamo capire chi sono e non solo cosa sono, dobbiamo ascoltarli”. E il Rapporto contiene anche pratiche di ascolto e un glossario proposto come punto di partenza per la gestione condivisa tra le istituzioni. Perché spesso anche la mediazione culturale è assente, i mediatori delle comunità sono precari e costretti a passare tantissimo tempo impegnati nella compilazione di lunghe e macchinose pratiche burocratiche. Spesso non denunciano le violazioni del diritto perché sarebbero licenziati. Defence for Children lavora tanto con i tutor volontari, un ruolo importante che permette al cittadino di entrare nel sistema con lo scopo preciso di tutelare. Ma è un ruolo in crisi. Non perché manchino i volontari ma perché se il sistema è inefficiente per il cittadino diventa una missione impossibile: il tutor si trova a lavorare non per il sistema ma contro di esso. “Spesso a venir prima degli interessi del minorenne sono gli interessi istituzionali, le strumentalizzazioni politiche, gli appalti con la formula del capitolato. Dobbiamo garantire una terzietà e questo può essere fatto solo con un sistema legislativo. In alcune Regioni presentiamo il Rapporto insieme al Garante per l’infanzia, perché potrebbe rappresentare un ausilio importante per le istituzioni che possono trovare al suo interno una lettura del fenomeno che cerca di articolare ciò che prevede la legge”. Il fatto che si tratti di adolescenti, spesso maschi, allontana l’immagine del minore non accompagnato da quella un po’ romantica del bambino o della bambina. E questo crea anche specifiche difficoltà politiche. Il rapporto declina in termini pratici ed intriganti un testo formale e noioso quale è quello di una legge. “È realizzabile e a basso costo. Utile soprattutto in un momento in cui molta propaganda politica si basa sull’incitamento alla violazione della legge internazionale“.

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PayPal, alfiere della censura e del World Economic Forum


Una nuova policy PayPal prevede una sanzione di $2.500 sul conto di chi pubblica contenuti di "disinformazione". Dicono che sia stato un errore, ma le evidenze suggeriscono il contrario.

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Il 7 ottobre 2022 il DailyWire riportava una notizia inquietante: “New PayPal Policy Lets Company Pull $2,500 From Users’ Accounts If They Promote ‘Misinformation” (Una nuova policy aziendale permetterà a PayPal di prelevare $2.500 dagli account delle persone che promuovono disinformazione).

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L’articolo spiega che, in base a un aggiornamento pubblicato sul loro sito, PayPal aveva in programma di aggiornare la sua Acceptable Use Policy, estendendo la lista delle attività vietate anche a “l’invio o la pubblicazione di ogni messaggio, contenuto o materiale che promuova disinformazione o che presenti un rischio per la sicurezza o benessere delle persone.

Grazie alla Wayback Machine di web.archive.org possiamo verificare che in effetti la scorsa settimana è stato pubblicato sul sito di PayPal una Acceptable Use Policy che riportava la data del 3 novembre 2022, contenente questo nuovo paragrafo:

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Più o meno è ciò che riporta l’articolo: a discrezione di PayPal verrà sanzionata la pubblicazione di ogni tipo di messaggio, contenuto o materiale che possa essere dannoso, osceno, violento oppure sgradevole - oltre a numerose altre ipotesi, come messaggi e contenuti che in qualche modo possano discriminare individui o gruppi, o che possano presentare un rischio per la sicurezza e il benessere delle persone.

Qualche giorno dopo PayPal ha “smentito” la notizia, affermando che si trattasse di un errore, e che non era previsto in realtà alcun aggiornamento della loro Acceptable Use Policy.

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La questione è preoccupante e vale la pena commentarla, andando oltre i semplici fatti di cronaca. Sappiamo che PayPal è strettamente connesso col World Economic Forum e questa vicenda non è semplicemente frutto di un errore casuale.

Ma prima di entrare nel vivo, vediamo cosa prevede oggi la loro Acceptable Use Policy.

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L’ultimo aggiornamento dell’Acceptable Use Policy di PayPal risale al 20 settembre 2021. La policy oggi riporta le seguenti attività vietate:

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Meloni è più oscura di una camera oscura


Meloni sta in Parlamento e riceve gente. Si sta trattando, si dice. Sì, ma su cosa? Cosa sta promettendo o cosa le stanno promettendo tutte queste persone, spesso ignote, che vanno e vengono? E poi i 'patrioti'. Che diamine significa una Europa dei patrioti, e che sono i patrioti? Patriota di che? dell’Italia e della Spagna o dell’Europa? E' ben legittimo domandarsi a cosa ci vuole portare la signora Meloni

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Estrattivismo dei dati: Davide Lamanna intervista Giacomo Tesio su Monitora PA


ondarossa.info/newstrasmission…

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Il nuovo orientamento di Taiwan nel confronto con la Cina


La festa nazionale di Taiwan il 10 ottobre segna un’opportuna inversione di tendenza del respingimento strategico contro il continuo accerchiamento da parte della Cina con pressioni sia soft che hard power sia su Taipei che sugli attori regionali nella sua spinta a consolidare il suo obiettivo di riunificazione. Mentre Pechino cerca di sostenere il principio “una […]

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Oggi, al Ministero dell’Istruzione, si è svolta la prima riunione del Comitato tecnico scientifico del Piano nazionale per la scuola digitale (PNSD).

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I campi minati geopolitici di un mondo turco


L’invasione russa dell’Ucraina ha dato nuova vita alla visione della Turchia di un mondo turco che si estende dall’Anatolia allo Xinjiang, nella Cina nord-occidentale. “L’Asia centrale ora assomiglia agli anni ’90, quando c’era un’enorme competizione tra le potenze globali e regionali per l’influenza sulla regione ricca di risorse. L’ombra della Russia sulla regione, unita al […]

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La Cina ha un problema: il suo soft power sta precipitando


Al 20° Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese la crisi del soft power, un pilastro della politica estera cinese, fino ad ora obiettivo dichiarato dell'orientamento politico a lungo termine della Cina. Diverse ricerche globali mettono in evidenza come mentre l'influenza di Pechino tiene, l'immagine no, le opinioni sfavorevoli sulla Cina hanno raggiunto un massimo storico dell'80%

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Il giorno dopo i bombardamenti russi, numerosi blackout in tutta l’Ucraina. Kiev incassa il sostegno del G7, mentre Mosca apre all’ipotesi di un colloquio Putin-Biden.


Tutti sulla stessa barca“Acque agitate”. Così il Fondo Monetario Internazionale (FMI) riassume lo stato dell’economia mondiale nel suo outlook semestrale. Per il 93% dei Paesi del mondo, le previsioni di crescita sono state riviste al ribasso.


Taiwan suscita la paura degli alleati USA di venire intrappolati in Asia


Il rischio che le azioni degli Stati Uniti possano aumentare le tensioni, o addirittura avviare un conflitto a Taiwan preoccupa Australia e Giappone e Washington stenta a capire che i suoi alleati non vogliono dimostrazioni di forza americana nell'area

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In un mese il governo britannico è già pericolante. Mai l’avvio di un nuovo esecutivo aveva causato un tale terremoto, politico e finanziario.


Il mito di una nascente ‘NATO mediorientale’


Israele vuole stringere un'alleanza militare con gli Stati del Golfo per controllare l'Iran. Ma le ambizioni israeliane rischiano troppo e offrono troppo poco. Gli Stati del Golfo respingono il progetto di Israele e dialogano con l'Iran

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Cina: quanto durerà il terzo mandato di Xi Jinping?


La difficoltà di prevedere quanto durerà il terzo mandato (più che probabile) di XI e di quanto supporto avrà bisogno dalle fazioni rivali nel partito. Nel partito si sono formate diverse fazioni, bisognerà vedere quanto è forte XI rispetto a queste opposizioni interne. Si parla di blindare i suoi sostenitori con un terzo mandato a vita. E' stato difficile per i leader cinesi rimanere rilevanti per sempre

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🔍 #PNRRIstruzione, quanto ne sai?

Nella rubrica di oggi approfondiremo insieme un’altra linea di investimento del #PNRR, quella dedicata all’educazione motoria e allo sport a scuola.



Nobel per l’economia 2022: una stridente contraddizione


Anche quest’anno puntualmente il premio Nobel viene assegnato a tre studiosi degli Stati Uniti (Ben Bernanke, Douglas Diamond e Philip Dybvig) come ormai da sempre ed incuranti del fatto che quel modello socioculturale rappresentato da un pensiero unico ha portato al caos il Paese che l’ha cavalcato. I premiati di quest’anno in scienze economiche, si legge nelle […]

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Ucraina e Moldova si mobilitano per disarmare l’arma energetica di Vladimir Putin


La Russia potrebbe aver sperato che la stagione di riscaldamento iniziata il 1 ottobre sarebbe iniziata con il botto per infliggere più dolore ai mercati energetici nervosi d’Europa. Tuttavia, finora il Cremlino ha avuto poco da esultare. La notizia degli ultimi giorni di settembre che i gasdotti russi del Nord Stream erano stati sabotati ha […]

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Dal Pianeta Terra allarme per l’Amazzonia futura savana


“Ambiente e sviluppo sostenibile sono due parole che col tempo stanno perdendo di significato, se ne fa uso in maniera vaga: la questione fondamentale è l’alfabetizzazione, cioè rendere evidente a tutti il problema che stiamo vivendo, fornendo le chiavi e gli strumenti per comprendere beneche si tratta del più grave problema che l’umanità abbia avuto […]

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Il Presidente Giuseppe Benedetto ospite a “Start” su Sky TG 24 l’11 ottobre 2022


L’11 ottobre 2022, a partire dalle ore 10.30, il nostro Presidente Giuseppe Benedetto è stato ospite di Roberto Inciocchi a “Start” su Sky TG 24. L'articolo Il Presidente Giuseppe Benedetto ospite a “Start” su Sky TG 24 l’11 ottobre 2022 proviene da Fond

L’11 ottobre 2022, a partire dalle ore 10.30, il nostro Presidente Giuseppe Benedetto è stato ospite di Roberto Inciocchi a “Start” su Sky TG 24.

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REPORTAGE. Tra uliveti e “terra di nessuno”: i lavoratori migranti nella Sicilia occidentale


Come i media stranieri riferiscono la condizione disumana in cui in molti casi sono tenuti i migranti africani in Sicilia. Il racconto illuminante di Emma Wallis in questo reportage pubblicato da Infomigrants. L'articolo REPORTAGE. Tra uliveti e “terra d

di Emma Wallis, articolo pubblicato il 7 ottobre 2022 da Infomigrants* (infomigrants.net/en/)

(foto screenshot da TG RAI regionale)

(traduzione dall’inglese a cura di Pagine Esteri)

Pagine Esteri, 11 ottobre 2022 – Negli ultimi dieci anni il campo migranti di Campobello di Mazara, nella Sicilia occidentale, è diventato una “terra di nessuno insalubre”. Le autorità regionali dicono che è così pericoloso che anche la polizia non va lì. InfoMigrants ha dato un’occhiata all’interno.

Per arrivarci è necessario guidare ad ovest dal capoluogo Palermo, verso le città di Trapani e Mazara del Vallo. Fuori dalle strade principali, lungo viuzze ventose e piene di buche, attraverso città povere, dall’aspetto quasi abbandonato, costituite da tetti piatti, abitazioni a un piano, tende sbrindellate che soffiano nella brezza serale, ci sono i resti di un cementificio abbandonato.

Da un lato della strada ci sono uliveti e dall’altro cumuli di rifiuti, accatastati più in alto di un’auto. Bottiglie di plastica per lo più, pacchetti vuoti, barattoli di latta arrugginiti e mosche. Mentre ci avviciniamo all’ingresso di questo insediamento, alcuni giovani dell’Africa subsahariana osservano la strada. La loro pelle sembra gessosa e callosa, le spalle accasciate, i vestiti impolverati ea volte strappati.

È qui nella Sicilia occidentale che un campo informale si riempie ogni anno di centinaia, a volte più di 1.000 lavoratori migranti, per lo più dall’Africa subsahariana, che vengono a raccogliere. Per molti in Sicilia, questo luogo è diventato una “terra di nessuno”.

“Anche la polizia non ci va”

Il capo dell’Ufficio regionale siciliano per l’immigrazione, Michela Bongiorno e la sua squadra, affermano che può essere pericoloso entrarvi. “Non si entra da soli”, avvertono, “anche la polizia non entra”. Fanno in modo da farci incontrare i mediatori culturali e traduttori locali Jonny Affun, Albert Kalenda Kabongo e Simona Scovazzo vicino al campo per aiutarci ad accedere. Bongiorno descrive le condizioni lì come “disumane” e riferisce che all’interno si svolgono spaccio di droga e attività mafiose.

“Non c’è luce né acqua. Immagina le grandi difficoltà che stanno affrontando [i migranti]. È molto difficile, è un’area abbandonata dove nessuno ha il controllo”, spiega Jonny, un traduttore nigeriano, arrivato lui stesso come migrante dal Mediterraneo circa 16 anni fa.

E’ fine settembre, la raccolta delle olive si avvia ai primi di ottobre. I residenti del campo hanno iniziato ad arrivare. In fondo a un vicolo, dietro i mucchi di spazzatura sul davanti, si apre una specie di viottolo, fiancheggiato da poltrone abbandonate e vecchi sedili per auto. Alcuni uomini siedono tra loro mentre i cani randagi vagano intorno. Un uomo sta cucinando su un fuoco aperto, una grande pentola di metallo in equilibrio sopra le fiamme. La cenere vola nella brezza e il fumo oscura le dimore sbrindellate fatte di pezzi di legno abbandonati, lamiera ondulata e vecchi muri fatiscenti.

Leader autoproclamati

Al comando sembrano essere due senegalesi in piedi vicino al fuoco. Non vogliono essere registrati o filmati e non ci lasciano parlare con nessun altro prima che abbiano deciso se possiamo restare. L’ostilità è palpabile. L’anno scorso, alla fine di settembre, un incendio ha squarciato una parte del campo, provocando la morte di un giovane lavoratore migrante di nome Omar Baldeh. Il suo corpo è stato trovato bruciato dove aveva dormito.

L’emittente statale italiana Rai è entrata nel campo quasi un anno dopo e ha chiesto a uno dei due sedicenti leader del campo cosa fosse cambiato da allora. “Niente. Semmai è peggiorato”, fu la sua risposta. “Siamo ancora noi qui, gente del Gambia, del Mali, del Senegal e dei tunisini. Vedi degli italiani che raccolgono le olive da queste parti?”

Olive raccolte a mano

Ogni anno circa 1.000-1.300 persone vengono nella regione per lavorare tra settembre e dicembre, raccogliendo le olive a mano per la raccolta. La maggior parte di loro proviene dal Mali, dal Senegal, dal Gambia, dal Burkina Faso, dalla Tunisia, dal Marocco, dal Pakistan e alcuni ora dal Bangladesh, spiega Simona Scovazzo, mediatrice culturale che sembra conoscere molti nel campo.

“Questa è una zona compresa tra due comuni, Castelveltrano e Campobello di Mazara, dove c’è una concentrazione di olivicoltura. Qui produciamo un’oliva speciale che può essere usata per l’olio extravergine di oliva e anche da mangiare come spuntino”. Ma Scovazzo, che da una decina di anni opera sul territorio, ammette dopo la giornata di lavoro gli uomini sono costretti a vivere in condizioni che sono un mondo a parte da questa industria gastronomica.

“All’interno del campo non ci sono servizi. Non c’è acqua corrente, elettricità, servizi igienici, quindi i ragazzi qui fanno del loro meglio”, dice. “Ad esempio, faranno bollire l’acqua e poi la distribuiranno attraverso il campo. Hanno costruito piccoli spazi doccia per questo e ci sono aree “toilette”. Di notte, accendono fuochi in modo che si possa vedere, poiché non ci sono luci all’interno il campo.”

Funzionano anche i generatori a benzina, che forniscono l’elettricità a un televisore per l’intrattenimento, dice uno dei capi del campo a InfoMigrants. Ma è stato un generatore a causare l’incendio anche nel 2021, spiega Jonny.

Nessun posto dove andare

Non tutti coloro che vivono nelle cementerie abbandonate hanno contratti di lavoro. Simona Scovazzo spiega che le persone finiscono qui per motivi diversi. “Alcuni di loro semplicemente non riescono a trovare un posto in affitto, quindi vengono qui. E non vengono forniti abbastanza posti ufficiali. Altri forse hanno avuto un permesso di soggiorno ma potrebbe essere scaduto e ora, senza un indirizzo, non sono in grado di rinnovarlo”.

Altri, aggiunge, si accampano per tutta la durata del raccolto in piccole tende vicino ai campi, ricoperte di plastica per proteggersi dalle frequenti piogge durante questa stagione. Anche se alcuni affermano di essere in possesso di documenti, dice Jonny Affun, la maggior parte degli uomini del campo sono costretti a rimanere lì perché non hanno uno status legale. “Cercano di sopravvivere lì (dentro la fabbrica di cemento abbandonata) perché la maggior parte di loro sopravvive senza documenti”, aggiunge. “Alcuni anni fa lì vivevano meno migranti, ma dopo le leggi Salvini (leggi sulla migrazione e sulla sicurezza approvate nel 2018 che hanno revocato alcune protezioni e reso più difficile in alcuni casi l’ottenimento dei permessi di soggiorno e di lavoro) molti di loro hanno perso i documenti e quindi non hanno altro posto dove andare”.

Nel frattempo, la situazione all’interno del campo peggiora di giorno in giorno, spiega Affun. “Si vede la quantità di rifiuti all’ingresso. Questo perché negli ultimi due anni non è passato nessuno a sgomberare. Quei ragazzi sono sempre arrabbiati, non vogliono parlare, sono stanchi, non hanno documenti, nessun posto dove andare, nessun posto dove lavorare. Anche alcuni di loro con i documenti lì dentro, non riescono a trovare un posto da affittare. Quando chiamano e chiedono se possono affittare una casa, i cittadini chiedono: “di dove sei?”. Quando rispondono “dall’Africa”, gli viene detto “non c’è una casa da affittare”. Quindi sono costretti a vivere in quello spazio”.

Affun pensa che le autorità debbano parlare di più con i lavoratori migranti per vedere cosa vogliono. “Molte di quelle persone che lavorano, non conoscono i loro diritti e un contratto di lavoro. È davvero importante dare informazioni e insegnare a queste persone i loro diritti fondamentali”.

Nuovi progetti

La regione siciliana sta cercando di fare qualcosa. La responsabile dell’ufficio per la migrazione, Michela Bongiorno, è stata impegnata con i comuni della Sicilia occidentale per prendere possesso dei terreni confiscati alla mafia e rilanciare i borghi marinari abbandonati dai residenti andati in città in cerca di lavoro.

Alcuni lavoratori migranti sono già ospitati in un centro di accoglienza SPRAR pulito a cinque minuti di auto da Campobello, e accanto ad esso sono state costruite anche 300 nuove cabine in collaborazione con l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati UNHCR per ospitarne altri.

«Il problema dell’alloggio è davvero serio», dice Bongiorno. “I lavoratori stagionali che vengono per alcuni mesi dovrebbero poter vivere in condizioni igieniche, ma io sono contraria all’idea che questi campi esistano tutto l’anno. Se le persone vivono nella nostra regione per tutto l’anno, dovrebbero essere adeguatamente integrate. Ecco perché stiamo avviando nuovi progetti per farlo”.

Diritti per i lavoratori

Una nuova campagna, “Diritti negli Occhi”, mira a fornire un sistema di alloggi, trasporti e infrastrutture sponsorizzato dallo Stato affinché i lavoratori stagionali possano arrivare nei campi, vivere in luoghi igienici ed evitare lo sfruttamento. In precedenza, questi progetti erano offerti solo a chi aveva un permesso di soggiorno, ma si spera di offrire alloggi sanitari sicuri a tutti coloro che lavorano nella zona, al fine di spezzare la morsa dei contratti di lavoro abusivi e dello sfruttamento che alcuni agricoltori richiedono ai loro lavoratori e che alimenta questo ciclo di povertà e abusi.

Secondo TP24, un giornale online per la provincia di Trapani e la Sicilia occidentale, due progetti finiranno per migliorare la situazione, con un costo stimato di quasi 2,6 milioni di euro. Mirerebbero a costruire ostelli per i lavoratori stagionali e ad assicurare che tutti abbiano contratti di lavoro adeguati, anche se il tempo necessario per installarli “potrebbe essere lungo”.

Nel frattempo, dice Jonny Affun, la situazione per i lavoratori è desolante. “Alcune di queste persone lavorano dieci ore al giorno e percepiscono a malapena 30 euro di compenso. Quando finiscono la giornata sono davvero stanche, è quello che è successo al fratello guineano morto nell’incendio l’anno scorso. Era così stanco, si è addormentato e nel frattempo l’intero campo è andato a fuoco. Un altro incendio è accaduto anche quest’anno. Il governo è arrivato, parlano, parlano, ma non è stato fatto nulla. Finora non c’è una soluzione. È molto deprimente. Gli stessi incidenti accaduti allora potrebbero ripetersi di nuovo”. Pagine Esteri

Link dell’articolo in lingua inglese

*http://www.infomigrants.net/en/post/43809/between-olive-groves-and-no-mans-land-migrant-workers-in-western-sicily

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pagineesteri.it/2022/10/11/med…



PETROLIO. Biden “deluso” dagli alleati sauditi, Riyadh resta amica di Putin


Negli Usa si sono convinti che l’Opec+, che ha tagliato la produzione di petrolio di due milioni di barili, e l'Arabia saudita si stiano progressivamente allineando alla Russia. Riyadh nega ma ripete che guarderà prima di tutto ai suoi interessi. L'artic

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 11 ottobre 2022 – «Il petrolio non è un’arma e l’Arabia saudita non intende politicizzare questa risorsa». Prova ad allentare la tensione con Washington il ministro di Stato saudita per gli affari esteri, Adel al Jubeir, dopo il taglio annunciato dall’Opec+ della produzione globale di petrolio di due milioni di barili al giorno. Intervistato dalla Fox news, Al Jubeir ha fatto il possibile per smentire che il taglio sia avvenuto di concerto con la Russia, uno dei paesi associati all’Opec+. «Il petrolio, ai nostri occhi, è un bene importante per l’economia globale, in cui abbiamo un grande interesse», ha affermato il ministro saudita prima di ricordare i legami storici tra Washington e Riyadh. Ma le sue parole non bastano a stemperare la «delusione» profonda espressa qualche ora prima da Joe Biden che si sente tradito dal principale partner arabo. Il presidente americano ha reagito ordinando al Dipartimento dell’Energia di mettere sul mercato a novembre 10 milioni di barili dalla Strategic Petroleum Reserve (SPR), la più grande riserva mondiale di greggio, istituita nel 1975. Un passo che preoccupa alcuni esperti. La riserva di emergenza è già ai livelli più bassi dal 1984. Politico la scorsa settimana scriveva che Repubblicani e Democratici valutano diverse azioni, anche punitive, contro l’Opec+ ma appaiono tutte poco credibili.

Dopo il viaggio a Gedda di tre mesi fa che, tra le altre cose, aveva sancito la riconciliazione con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman – accusato di aver ordinato l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi-, Biden si attendeva da Riyadh una collaborazione più stretta, a cominciare dall’isolamento della Russia. E subito dopo il mantenimento di livelli elevati di produzione del greggio per contenere il costo del barile e dare una mano alle economie occidentali minacciate da un quadro energetico sempre più preoccupante per le conseguenze delle sanzioni contro il Cremlino. E invece i sauditi, di concerto proprio con la «nemica» Mosca, mentre gli Usa fanno di tutto per colpire Vladimir Putin, sono stati decisivi per il taglio della produzione. «Stiamo valutando una serie di alternative, ma non è ancora stata presa una decisione finale», ha affermato Biden, aggiungendo di non rimpiangere il suo viaggio in Arabia Saudita. «La mia visita non ha riguardato solo il petrolio, anzi era incentrata sulla stabilizzazione del Medio Oriente e di Israele», ha precisato per sottrarsi alle critiche che lo sommergono in queste ore.

Funzionari dell’Amministrazione Usa confermano che la Casa Bianca aveva fatto il possibile per impedire il taglio della produzione dell’Opec ed evitare che il prezzo della benzina negli Usa aumenti mentre si avvicinano le elezioni di medio termine e il Partito Democratico lotta per mantenere il controllo del Congresso. Biden il mese scorso aveva spedito in Arabia saudita Amos Hochstein, l’inviato speciale per l’energia, e il funzionario della sicurezza nazionale Brett McGurk per discutere di questioni energetiche e della decisione dell’Opec+. Non è servito ad impedire il taglio alla produzione del greggio. Stando alle indiscrezioni gli inviati statunitensi avrebbero cercato di mettere i sauditi di fronte a un aut aut: «noi o la Russia». La risposta del ministro dell’energia di Riyadh, il principe Abdulaziz bin Salman, è stata eloquente. «Ci preoccupiamo prima di tutto degli interessi del regno dell’Arabia saudita, quindi degli interessi dei paesi membri dell’Opec e dell’alleanza OPEC +». In poche parole: noi con Putin non rompiamo, continuiamo a collaborare e pensiamo solo a come evitare che l’economia saudita vada in recessione.

Intervistato dalla Reuters Ben Cahill, ricercatore presso il Center for Strategic and International Studies, ha affermato che i sauditi sperano che i tagli alla produzione garantiscano entrate sufficienti. «Il rischio macroeconomico sta peggiorando. I sauditi sapevano che il taglio avrebbe irritato Washington ma stanno gestendo il mercato», ha spiegato. A Riyadh puntano l’indice contro l’insufficiente capacità di raffinazione negli Usa e non condividono l’iniziativa americana per un tetto massimo del prezzo del petrolio russo che ritengono un meccanismo di controllo non di mercato che potrebbe essere utilizzato da un cartello di consumatori contro i produttori.

Negli Usa si sono convinti che l’Opec+ si stia progressivamente allineando con la Russia e al Congresso i Democratici hanno chiesto il ritiro delle truppe statunitensi dall’Arabia saudita. «Pensavo che lo scopo principale della vendita di armi agli Stati del Golfo, nonostante le loro violazioni dei diritti umani, l’assurda guerra nello Yemen, il lavoro contro gli interessi degli Stati uniti in Libia, Sudan, fosse che il Golfo avrebbe scelto l’America e non la Russia/Cina durante una crisi internazionale» ha scritto su Twitter il senatore Chris Murphy, un Democratico. Parole che rappresentano un attacco frontale alla decisione presa da Biden nei mesi scorsi di rilanciare le relazioni con Riyadh. Pagine Esteri

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BEN(E)DETTO 11 ottobre 2022


Coloro che, legittimamente, in Italia vogliono chiamarsi conservatori, ci spieghino se intendono ispirarsi alla Le Pen o alla Thatcher. Cambia tutto. Ma proprio tutto. La Ragione L'articolo BEN(E)DETTO 11 ottobre 2022 proviene da Fondazione Luigi Einaudi

Coloro che, legittimamente, in Italia vogliono chiamarsi conservatori, ci spieghino se intendono ispirarsi alla Le Pen o alla Thatcher. Cambia tutto. Ma proprio tutto.

La Ragione

L'articolo BEN(E)DETTO 11 ottobre 2022 proviene da Fondazione Luigi Einaudi.

in reply to informapirata ⁂

il primo motivo è valido, il secondo no, perché sul piano economico fu una carnefice dei lavoratori e dei cittadini a basso reddito
in reply to Sentenza

ma su questo sono d'accordo: l'antinomia tra Thatcher e Le Pen è sbagliata, perché sono due visioni diversissime ovviamente ma contigue

@petrstolypin




PETROLIO. Biden “deluso” dagli alleati sauditi, Riyadh resta amica di Putin


Negli Usa si sono convinti che l’Opec+, che ha tagliato la produzione di petrolio di due milioni di barili, e l'Arabia saudita si stiano progressivamente allineando alla Russia. Riyadh nega ma ripete che guarderà prima di tutto ai suoi interessi. L'artic

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 11 ottobre 2022 – «Il petrolio non è un’arma e l’Arabia saudita non intende politicizzare questa risorsa». Prova ad allentare la tensione con Washington il ministro di Stato saudita per gli affari esteri, Adel al Jubeir, dopo il taglio annunciato dall’Opec+ della produzione globale di petrolio di due milioni di barili al giorno. Intervistato dalla Fox news, Al Jubeir ha fatto il possibile per smentire che il taglio sia avvenuto di concerto con la Russia, uno dei paesi associati all’Opec+. «Il petrolio, ai nostri occhi, è un bene importante per l’economia globale, in cui abbiamo un grande interesse», ha affermato il ministro saudita prima di ricordare i legami storici tra Washington e Riyadh. Ma le sue parole non bastano a stemperare la «delusione» profonda espressa qualche ora prima da Joe Biden che si sente tradito dal principale partner arabo. Il presidente americano ha reagito ordinando al Dipartimento dell’Energia di mettere sul mercato a novembre 10 milioni di barili dalla Strategic Petroleum Reserve (SPR), la più grande riserva mondiale di greggio, istituita nel 1975. Un passo che preoccupa alcuni esperti. La riserva di emergenza è già ai livelli più bassi dal 1984. Politico la scorsa settimana scriveva che Repubblicani e Democratici valutano diverse azioni, anche punitive, contro l’Opec+ ma appaiono tutte poco credibili.

Dopo il viaggio a Gedda di tre mesi fa che, tra le altre cose, aveva sancito la riconciliazione con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman – accusato di aver ordinato l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi-, Biden si attendeva da Riyadh una collaborazione più stretta, a cominciare dall’isolamento della Russia. E subito dopo il mantenimento di livelli elevati di produzione del greggio per contenere il costo del barile e dare una mano alle economie occidentali minacciate da un quadro energetico sempre più preoccupante per le conseguenze delle sanzioni contro il Cremlino. E invece i sauditi, di concerto proprio con la «nemica» Mosca, mentre gli Usa fanno di tutto per colpire Vladimir Putin, sono stati decisivi per il taglio della produzione. «Stiamo valutando una serie di alternative, ma non è ancora stata presa una decisione finale», ha affermato Biden, aggiungendo di non rimpiangere il suo viaggio in Arabia Saudita. «La mia visita non ha riguardato solo il petrolio, anzi era incentrata sulla stabilizzazione del Medio Oriente e di Israele», ha precisato per sottrarsi alle critiche che lo sommergono in queste ore.

Funzionari dell’Amministrazione Usa confermano che la Casa Bianca aveva fatto il possibile per impedire il taglio della produzione dell’Opec ed evitare che il prezzo della benzina negli Usa aumenti mentre si avvicinano le elezioni di medio termine e il Partito Democratico lotta per mantenere il controllo del Congresso. Biden il mese scorso aveva spedito in Arabia saudita Amos Hochstein, l’inviato speciale per l’energia, e il funzionario della sicurezza nazionale Brett McGurk per discutere di questioni energetiche e della decisione dell’Opec+. Non è servito ad impedire il taglio alla produzione del greggio. Stando alle indiscrezioni gli inviati statunitensi avrebbero cercato di mettere i sauditi di fronte a un aut aut: «noi o la Russia». La risposta del ministro dell’energia di Riyadh, il principe Abdulaziz bin Salman, è stata eloquente. «Ci preoccupiamo prima di tutto degli interessi del regno dell’Arabia saudita, quindi degli interessi dei paesi membri dell’Opec e dell’alleanza OPEC +». In poche parole: noi con Putin non rompiamo, continuiamo a collaborare e pensiamo solo a come evitare che l’economia saudita vada in recessione.

Intervistato dalla Reuters Ben Cahill, ricercatore presso il Center for Strategic and International Studies, ha affermato che i sauditi sperano che i tagli alla produzione garantiscano entrate sufficienti. «Il rischio macroeconomico sta peggiorando. I sauditi sapevano che il taglio avrebbe irritato Washington ma stanno gestendo il mercato», ha spiegato. A Riyadh puntano l’indice contro l’insufficiente capacità di raffinazione negli Usa e non condividono l’iniziativa americana per un tetto massimo del prezzo del petrolio russo che ritengono un meccanismo di controllo non di mercato che potrebbe essere utilizzato da un cartello di consumatori contro i produttori.

Negli Usa si sono convinti che l’Opec+ si stia progressivamente allineando con la Russia e al Congresso i Democratici hanno chiesto il ritiro delle truppe statunitensi dall’Arabia saudita. «Pensavo che lo scopo principale della vendita di armi agli Stati del Golfo, nonostante le loro violazioni dei diritti umani, l’assurda guerra nello Yemen, il lavoro contro gli interessi degli Stati uniti in Libia, Sudan, fosse che il Golfo avrebbe scelto l’America e non la Russia/Cina durante una crisi internazionale» ha scritto su Twitter il senatore Chris Murphy, un Democratico. Parole che rappresentano un attacco frontale alla decisione presa da Biden nei mesi scorsi di rilanciare le relazioni con Riyadh. Pagine Esteri

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USA. Milioni di americani rischiano la fame. I buoni pasto di Biden non bastano


L'aumento dei prezzi dei generi alimentari sta erodendo la portata dei buoni pasto che quest’anno hanno un valore medio di 231 dollari a persona al mese. Più americani sono stati costretti a ricorrere alle dispense alimentari che a loro volta hanno ricevu

della redazione con dati e notizie diffusi in rete dalla Reuters

Pagine Esteri, 6 ottobre 2022Grace Melt ha fatto la sua prima visita alla dispensa alimentare di Nourishing Hope di Chicago ad agosto. Durante la pandemia di COVID-19 aveva utilizzato buoni pasto emessi dal governo federale per acquistare generi alimentari mentre era disoccupata per un infortunio al ginocchio. Ma quest’estate, i buoni pasto non sono riusciti a tenere il passo dell’aumento dei prezzi del negozio di alimentari e per la prima volta è dovuta andare alla ricerca di una fornitura gratuita di cibo. “Non è sicuramente abbastanza. Non bastano mai fino alla fine del mese”, ha detto Melt a proposito dei buoni pasto. “E ora che sono aumentati i prezzi non puoi far altro che venire qui, in un centro dove donano cibo”.

L’aumento della fame (negli Usa) è un problema serio per l’immagine e le ambizioni del presidente degli Stati Uniti Joe Biden che si prepara a ospitare la prima conferenza della Casa Bianca su fame, nutrizione e salute in oltre 50 anni e si dice impegnato a eliminare la fame negli Stati Uniti entro il 2030. A causa dell’inflazione (alta) gli elettori potrebbero punire il Partito Democratico nelle elezioni di medio termine. L’andamento dell’economia infatti è la priorità per gli elettori Usa, secondo un sondaggio Reuters/Ipsos. L’amministrazione Biden ha aumentato i finanziamenti per i buoni pasto quasi un anno fa ma allo stesso tempo ha acquistato la metà del cibo rispetto all’amministrazione Trump nel 2020 per banche alimentari, scuole e riserve indigene, secondo i dati ottenuti dall’agenzia statunitense USDA.

L’aumento dei prezzi dei generi alimentari sta erodendo il valore reale dei buoni pasto su cui sembra puntare l’attuale amministrazione per combattere la fame tra gli statunitensi. Quest’anno i buoni hanno un valore medio di 231 dollari a persona al mese. Troppo poco di fronte all’inflazione galoppante. Ciò ha costretto più americani a rivolgersi alle banche alimentari che a loro volta hanno ricevuto meno cibo dal governo.

L’indice dei prezzi al consumo per il cibo è salito al 13,5% ad agosto, l’aumento più sostenuto in 12 mesi dal 1979, secondo il Bureau of Labor Statistics. I prezzi dei generi alimentari sono cresciuti a livelli record dall’invasione russa del principale produttore di cereali, l’Ucraina. E co0sì anche i livelli di fame quest’estate sono saliti a punti mai raggiunti, neppure durante la pandemia nel 2020 quando i lockdown hanno gettato nel caos le catene di approvvigionamento.

“Questo problema era migliorato nel 2021, poi è nuovamente e rapidamente peggiorato” spiega Vince Hall, Chief Government Relations Officer di Feeding America, la più grande rete di banche alimentari della nazione. “La maggior parte delle nostre banche del cibo vede allungarsi le file di persone ogni settimana che passa”. Per alcuni occorre spendere di più in buoni pasto o distribuire contanti perché offrono alle persone più scelta rispetto alle dispense alimentari e vanno anche a vantaggio delle imprese locali.

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L’insufficienza alimentare per le famiglie con bambini è salita al 16,21% lo scorso luglio quando quasi 1 famiglia su 6 ha dichiarato di non avere, talvolta o molto spesso, da mangiare a sufficienza, secondo i dati della Household Pulse Survey dell’US Census Bureau. Si tratta della percentuale più alta da dicembre 2020. La fame tra i bambini era scesa al 9,49% nell’agosto 2021 in parte a causa dei pagamenti del credito d’imposta per i bambini, secondo l’US Census Bureau.

La fame si era attenuata nel 2021 dopo che le amministrazioni Trump e Biden hanno distribuito sussidi per la pandemia alle famiglie per l’acquisto di generi alimentari, consegnato miliardi di scatole di cibo di emergenza e inviato pagamenti mensili del credito d’imposta per i bambini. Nell’anno 2020, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha speso 8,38 miliardi di dollari per 4,29 miliardi di libbre di cibo destinato a dispense alimentari, scuole e riserve indigene. Ma la spesa alimentare è diminuita costantemente, di quasi il 42% dal 2020 al 2022, fino ai 3,49 miliardi di dollari, il livello più basso dal 2018. L’agenzia ha acquistato solo 2,43 miliardi di libbre di cibo nell’ultimo anno, secondo i dati acquisiti da Reuters.

L’USDA ha cercato di compensare il calo degli acquisti di cibo con ulteriori sussidi per l’assistenza nutrizionale supplementare. Ma l’aiuto aggiuntivo è stato limitato dai costi più elevati…L’USDA ha recentemente annunciato che acquisterà altri 943 milioni di dollari in generi alimentari entro il 2024, utilizzando i fondi della Commodity Credit Corporation, normalmente stanziati per prestiti e pagamenti agli agricoltori statunitensi colpiti da disastri o dai bassi prezzi delle materie prime. Il dipartimento dell’agricoltura da parte sua ha riferito di un taglio drastico ai finanziamenti per la pandemia autorizzato dal Congresso che ha limitato il potere di spesa dell’agenzia per gli alimenti e le scuole.

Feeding America lamenta il taglio di 430 miliardi di dollari per alcune misure aggiuntive di assistenza alimentare dalla legge sulla riduzione dell’inflazione firmata ad agosto, inclusi gli investimenti nell’alimentazione infantile e un programma EBT da impiegare quando i pasti scolastici non sono disponibili. “Nelle versioni precedenti di questo disegno di legge c’erano priorità straordinariamente importanti per combattere la fame, che però non ci sono nell’ultima versione”, ha protestato.

RACCOLTI INSUFFICIENTI

Quest’anno, l’USDA acquisterà poco più della metà del cibo comprato al culmine della pandemia, mentre le donazioni dei negozi di alimentari e dei distributori sono diminuite e le aziende fermano le catene di approvvigionamento e riducono al minimo gli sprechi. Il Greater Chicago Food Depository, uno dei maggiori distributori di cibo alle dispense alimentari locali, prevede di ottenere quest’anno poco più di un terzo del cibo ricevuto dall’USDA durante l’anno fiscale 2021 (da luglio 2020 a giugno 2021).

E mentre le scorte di cibo si riducono, l’inflazione sta spingendo per la prima volta più americani verso le banche alimentari. Nell’area di Chicago hanno visto un aumento del 18% dei visitatori a luglio, rispetto a un anno prima. Eppure i buoni pasto costituivano meno del 2% della spesa del governo degli Stati Uniti nel 2022, secondo i dati del Tesoro. Nell’agosto 2022, l’agenzia ha annunciato un adeguamento del costo della vita a partire dal 1 ottobre, aumentando le assegnazioni mensili massime per una famiglia di quattro persone da 835 a 939 dollari al mese.

Ma molti di coloro che visitano le dispense alimentari lavorano ancora o beneficiano della previdenza sociale, cosa che li squalifica dai buoni pasto, come Michael Sukowski, un impiegato dell’amministrazione universitaria in pensione a cui stati tagliati i sussidi a causa di una pensione mensile che riceve dallo stato. “Con la previdenza sociale e una piccola pensione di 153 dollari al mese non vado lontano”, ha spiegato “la metà va per l’affitto. Poi ci sono le utenze.”

La dispensa alimentare di Nourishing Hope, che quest’anno ha visto un aumento del 40% dei visitatori, e altre banche alimentari ora acquistano più cibo a costi più elevati. Ciò ha portato a forniture modeste di alimenti di base come pane, carne e formaggio. “Il raccolto è stato esiguo, per così dire. Ma sono grata di aver avuto della roba”, ha detto Grace Melt mentre metteva i suoi prodotti alimentari in un carretto, preparandosi per un viaggio in autobus verso casa. “Talvolta devi venire in un posto come questo. A volte non ottieni niente”, ha spiegato. Pagine Esteri

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PD: idee, prima che azioni; sezioni, non circoli


Non si tratta di nomi, e non si tratta di cercare problemi da risolvere. Si tratta di filosofia, di idee politiche, di prospettive. Insomma: di avere un metodo per risolvere i problemi, non di avere tutte le soluzioni in tasca. Sezioni, cioè parti di un tutto, non circoli per giocare a bocce … o a tennis

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Decoupling tecnologicoChiusura in rosso oggi sulle borse cinesi, dove le azioni dei principali produttori di chip hanno iniziato la settimana con un crollo da 9 miliardi di dollari.


Taiwan: in scena (nei giochi di guerra) la guerra diversa


Tra i temi al centro del 20° Congresso del Partito Comunista Cinese, c'è Taiwan. In attesa di sapere da Xi Jinping quali sono le intenzioni di Pechino, ecco come la Cina potrebbe costringere Taiwan a capitolare nel corso dei prossimi 10 anni escludendo una guerra tradizionale

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Il senso della bomba atomica per gli esseri umani


“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) La specie umana sarebbe presente sulla terza pietra dal Sole da almeno 250 mila anni ma altre teorie […]

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Il giornalismo e la minaccia del neo-populismo


Il primo dibattito dal vivo prima delle elezioni presidenziali in Brasile ha visto i candidati indulgere in un’oratoria estremamente accesa e offensiva, ma a un certo punto il Presidente populista Jair Bolsonaro ha superato tutti i limiti possibili rispondendo a una domanda di un giornalista. “Penso che tu ti addormenti pensando a me. Hai una […]

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Gli americani devono dire fino a che punto gli USA sono pronti a sostenere l’Ucraina


Il presidente russo Vladimir Putin sta giocando un gioco pericoloso minacciando di usare “piccole” cosiddette armi nucleari da teatro con potenza esplosiva, questa frazione della potenza delle bombe anti-città usate dagli Stati Uniti sul Giappone nell’agosto 1945. Ma anche la Casa Bianca e il Pentagono stanno giocando un gioco pericoloso quando “funzionari di Washington” non […]

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Dire #MIStaiACuore significa anche imparare come agire nei momenti di necessità.

Flavia Civitelli, studentessa del Liceo artistico “E.



La trappola della politica estera della Malesia e la paura della Cina


La Malesia ha recentemente annunciato il piano per reclutare addetti linguistici e culturali per le missioni malesi nel mondo, in un’apparente priorità e urgenza non corrispondenti per il suo orientamento di politica estera. Difesa come la ricerca della promozione della sua lingua nazionale e del suo potere di persuasione culturale sulla scena mondiale, questa mossa […]

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Pirates are against the new rules on crypto assets which will ban anonymous payments


Tonight, the ECON and LIBE committees of the European Parliament will vote on a complete ban on anonymous crypto payments. The latest agreement between the European Parliament and the European Council …

Tonight, the ECON and LIBE committees of the European Parliament will vote on a complete ban on anonymous crypto payments. The latest agreement between the European Parliament and the European Council goes even further than the original European Commission’s proposal which was setting the limit at the equivalent of €1000. The new rules will impose an identification requirement for crypto-asset transactions in all amounts. Moreover, all users of hosted wallets will now have to identify themselves, as well as all users who send non-hosted funds to hosted crypto wallets.

Patrick Breyer, MEP for the Pirate Party Germany and member of the LIBE committee, comments:

„These rules will deprive law-abiding citizens of their financial freedom. For example, opposition leaders like Alexei Navalny are increasingly reliant on anonymous donations in virtual currencies. Banks have also blocked donations to Wikileaks in the past. The creeping abolition of real and virtual cash threatens negative interest rates and a shutdown of the money supply at any time. We should have a right to be able to pay and donate online without having our financial transactions recorded in a personalised way.

There is no justification for this de facto abolition of anonymous virtual payments: Where virtual assets have previously been used for criminal activity, prosecution has been possible based on current applicable regulations. A complete ban on anonymous crypto payments will not have a significant impact on crime. The stated goal of combating money laundering and terrorism is just a pretext to gain more and more control over our private transactions.”

Mikuláš Peksa, MEP, Chairperson of the European Pirate Party, comments:

“In these times of war, it is absolutely crucial to still be able to make anonymous payments to support those that are the most at risk of being persecuted. Today’s decision by some Members in this house is one based on fear and misunderstanding of what cryptocurrencies really are and the ground breaking innovations they can bring to society. We should be allowed to do online what we are allowed to do offline. These double standards are outdated. I believe that a ban on anonymous payments in cryptocurrencies simply violates our core privacy rights and, therefore, this type of regulation has no place in our democratic European Union.”

patrick-breyer.de/en/pirates-a…



Bombe su Kiev, Leopoli e altre città dell’Ucraina in ritorsione all’esplosione sul ponte di Kerch. Bielorussia al fianco di Putin, ma Cina e India chiedono una de-escalation.


Iran: la battaglia esistenziale degli Ayatollah


Il clero sciita iraniano difronte alle manifestazioni che da un mese proseguono nel Paese, non ha scelta: deve impedire qualsiasi tipo di riapertura dell'arena politica che possa incoraggiare più proteste o che permetta ai riformisti di sostenere il dialogo politico. Per il clero e per le Guardie Rivoluzionarie e i loro alleati, questa è una battaglia esistenziale che non possono permettersi di perdere

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Il 13 e 14 ottobre, a Lipari, 300 studentesse e studenti parteciperanno agli “Incontri del Mare”: due giornate di attività e di approfondimento dedicate alle scuole e allo studio del mare, nell’ambito del Piano ministeriale RiGenerazione Scuola.


Venerdì 30 settembre, nella sala di San Giorgio al Cremlino, Vladimir Putin ha firmato il protocollo di annessione dei territori ucraini di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson, in larga parte occupati dalla Russia.


Il Giappone e la relazione con gli USA dopo l’Ucraina


La politica di sicurezza nazionale del Giappone sta subendo un cambiamento storico a un ritmo senza precedenti, e gli Stati Uniti apprezzano. E tutto nel ricordo di Abe. Ora tenere d'occhio le prestazioni di Fumio Kishida

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