ANALISI. Iran. In strada contro morali anacronistiche
di Assopace
Pagine Esteri, 10 ottobre 2022 – La sensibilità della vivace società iraniana è avvezza alla protesta di piazza senza paura della feroce repressione del sistema ispirato da una dottrina morale ormai scollata dal comune sentire. Abbiamo dato conto in altre occasioni al malcontento sfociato in rivolta: individualmente, quando donne ai semafori platealmente liberavano le chiome, sfidando le basi del paternalismo; oppure nei momenti in cui la siccità minava i precari equilibri della sopravvivenza nelle aree rurali; oppure quando l’autarchia imposta dalle sanzioni erodeva l’economia popolare. Questa volta però in piazza, in occasione della morte di Mahsa Amini, scendono uomini e donne per un’enormità intollerabile, che però mina le fondamenta del sistema… e questo sentire comune si va espandendo incontenibile in tutto il paese a difesa dei diritti delle donne. Dopo il rientro di Raisi dall’intervento all’Onu la repressione si è moltiplicata con il conteggio dei morti, ma sembra non riuscire ancora a soffocare le proteste che in una settimana sempre più hanno posto nel mirino i vertici di un sistema che si sta esprimendo con esagerati giri di vite conservatori che hanno esacerbato il rapporto con la società civile. E stavolta la rivolta è fuori controllo. Ne abbiamo parlato con Marina Forti* per collocare nella storia dell’Iran e nella comunità che attualmente abita il paese questa incontenibile indignazione che può fare paura al sistema che da 43 anni governa e impone la morale con una polizia anacronistica.
La spontanea protesta contro morali anacronistiche
Una folla di giovani circonda un falò, in una piazza: gridano “azadi”, libertà. Una ragazza si avvicina volteggiando, si toglie dalla testa il foulard e lo agita prima di gettarlo tra le fiamme, poi si si riunisce alla folla danzando. Altre la seguono, altre sciarpe finiscono bruciate tra gli applausi. È una delle numerose scene di protesta venute dall’Iran negli ultimi giorni, catturate da miriadi di telefonini e circolate sui social media in tutto il mondo. Sono proteste spontanee, proseguono da una settimana nonostante la repressione. E se è già avvenuto in anni recenti che proteste spontanee infiammino il paese, è la prima volta che questo avviene in nome della libertà delle donne.
Ad accendere le proteste infatti è la morte di una giovane donna, Mahsa Amini, 22 anni. Era stata fermata il 13 settembre a Tehran dalla “polizia morale”, quella incaricata di far rispettare le norme di abbigliamento islamico: a quanto pare portava pantaloni attillati e il foulard lasciava scoperti i capelli. Qualche ora dopo il fermo Mahsa era in coma; trasferita all’ospedale Kasra di Tehran, è morta il 16 settembre.
La sorte di questa giovane donna di Saqqez, nella provincia del Kurdistan iraniano, in visita a Tehran insieme al fratello, ha suscitato grande emozione: fin da quando è circolata la foto di lei incosciente sul lettino, con flebo e respiratore e segni di ematomi sul volto. Davanti all’ospedale si sono riunite molte persone in attesa di notizie, e l’annuncio della morte ha suscitato profonda indignazione. Al funerale, avvenuto il giorno dopo nella cittadina del Kurdistan dove vive la famiglia Amini, la tensione era palpabile; le foto circolate mostrano una famiglia distrutta dal dolore.
Le proteste sono cominciate all’indomani: le prime e più intense proprio in Kurdistan, poi a Tehran e altrove. Al 23 settembre c’era notizia di dimostrazioni in almeno 18 città, da Rasht sul mar Caspio a Isfahan e Shiraz; da Kermanshah a ovest a Mashhad a est, fino a Kerman nel sud.
Le sfide
Migliaia di brevi video caricati sui social media mostrano folle di donne e uomini, per lo più giovani ma non solo, che esprimono grande rabbia. Molti video mostrano ragazze che bruciano il foulard; una si taglia pubblicamente i capelli in segno di lutto e protesta (a Kerman, 20 settembre). A Mashhad, sede di un famoso mausoleo shiita e luogo di pellegrinaggio, una ragazza senza foulard arringa la folla dal tetto di un’automobile: le nipoti della rivoluzione si rivoltano contro i nonni, commenta chi ha messo in rete il video.
A morte il dittatore
Le forze di sicurezza reagiscono. Altre immagini mostrano agenti in motocicletta che salgono sul marciapiede per intimidire i cittadini mentre un agente in borghese manganella alcune donne. La polizia che spara lacrimogeni contro i manifestanti in una nota piazza di Tehran. Agenti con manganelli che inseguono dimostranti; un agente circondato da giovani infuriati che lo gettano a terra e prendono a calci (a Rasht, 20 settembre). Si sentono ragazze urlare “vergogna, vergogna” agli agenti dei Basij (la milizia civile inquadrata nelle Guardie della Rivoluzione spesso usata per reprimere le proteste).
Manifestazioni particolarmente numerose sono avvenute nelle università di Tehran, sia nel campus centrale che al Politecnico. All’Università Azad è stato udito lo slogan “Uccideremo chi ha ucciso nostra sorella”. Anche negli atenei di altre città si segnalano proteste. Ovunque si sente gridare “la nostra pazienza è finita”, “libertà”, e spesso anche “a morte il dittatore”: lo slogan urlato a suo tempo contro lo shah Reza Pahlavi. A Tehran si sentiva “giustizia, libertà, hejjab facoltativo”, e “Mahsa è il nostro simbolo”.
La vicenda di Mahsa Amini: riformare la polizia morale?
La sorte di Mahsa Amini ha suscitato reazioni anche oltre le proteste di piazza. Il giorno del suo funerale, la foto della giovane sorridente e gli interrogativi sulla sua morte erano sulle prime pagine di numerosi quotidiani in Iran, di ispirazione riformista e non solo. Dure critiche alla “polizia morale” sono venute da esponenti riformisti e perfino vicine alla maggioranza conservatrice al governo. La morte di una donna in custodia di polizia non è giustificabile con nessun codice, e ha messo in imbarazzo il governo, a pochi giorni dall’intervento del presidente Ebrahim Raisì all’Assemblea generale dell’Onu.
Così il presidente Raisi in persona ha telefonato al signor Amini, per esprimere il suo cordoglio: «Come fosse mia figlia», gli ha detto, promettendo una indagine per chiarire fatti e responsabilità.
In effetti il ministero dell’interno ha ordinato un’inchiesta; così la magistratura e pure il Majles (il parlamento). Il capo della polizia morale, colonnello Mirzai, è stato sospeso in attesa di accertare i fatti, si leggeva il 19 settembre sul quotidiano “Hamshari” (“Il cittadino”, di proprietà della municipalità di Tehran e considerato vicino a correnti riformiste). Perfino l’ayatollah Ali Khamenei, Leader supremo della Repubblica islamica, ha mandato un suo stretto collaboratore dalla famiglia Amini per esprimere “il suo grande dolore”: secondo l’agenzia stampa Tasnim (affiliata alle Guardie della Rivoluzione), l’inviato del leader ha detto che «tutte le istituzioni prenderanno misure per difendere i diritti che sono stati violati». Per il momento però la polizia si attiene alla sua prima versione: Mahsa Amini avrebbe avuto un infarto mentre si trovava nella sala del commissariato, una morte dovuta a condizioni pregresse. Ha anche distribuito un video in cui si vede la ragazza che discute con una poliziotta, nella sala del commissariato, poi si accascia su sé stessa. Ma il video è chiaramente manipolato.
Sentito al telefono giovedì 22 settembre dalla Bbc, il signor Amini ha smentito che sua figlia avesse problemi di cuore. «Sono tutte bugie», ha detto, i referti medici sono pieni di menzogne, non ha potuto vedere il corpo della figlia né i filmati integrali di quelle ore; si è sentito rispondere che le body-cam degli agenti erano fuori uso perché scariche.
Le giovani donne fermate con Mahsa Amini – o Jina, il nome curdo noto agli amici – hanno raccontato invece che la giovane è stata colpita da violente manganellate nel cellulare che le trasferiva nello speciale commissariato dove alle donne fermate per “abbigliamento improprio” viene di solito impartita una lezione sulla moralità dei costumi islamici. Chi è passato attraverso quell’esperienza parla di umiliazioni verbali e spesso fisiche. Questa volta è andata molto peggio.
Prima di ripartire da New York, a margine del suo intervento ufficiale (in cui non ha fatto parola delle proteste in corso), il presidente iraniano Raisì ha tenuto una conferenza stampa per esprimere cordoglio e confermare di aver ordinato una indagine sulla morte della giovane Mahsa Amini.
Le promesse di indagini, le telefonate e le visite altolocate alla famiglia Amini non hanno certo calmato le proteste. Né hanno impedito che fossero represse con violenza.
Mahsa Amini
Il bilancio è pesante. In diverse occasioni la polizia ha usato proiettili di metallo ad altezza d’uomo, secondo notizie raccolte da Amnesty International. Al 24 settembre la polizia ammette 35 morti ma circolano stime molto più alte, forse più di cinquanta, tra cui alcuni poliziotti. Dirigenti di polizia e magistrati ora parlano di “provocatori esterni”, nemici infiltrati. Martedì il capo della polizia del Kurdistan, brigadiere-generale Ali Azadi, ha attribuito la morte di tre dimostranti a imprecisati “gruppi ostili” perché, ha detto all’agenzia di stampa Tasnim, le armi usate non sono quelle di ordinanza delle forze di sicurezza. A Kermanshah, il procuratore capo ha dichiarato che due manifestanti morti il 21 settembre sono stati uccisi da “controrivoluzionari”.
Il governatore della provincia di Tehran, Mohsen Mansouri, ha detto che secondo notizie di intelligence, circa 1800 tra i dimostranti visti nella capitale «hanno preso parte a disordini in passato» e molti hanno «pesanti precedenti giudiziari». In un post su Twitter se la prende con l’attivo intervento di «servizi di intelligence e ambasciate stranieri».
Elementi ostili, infiltrati, facinorosi: ogni volta che l’Iran ha visto proteste di massa, la narrativa ufficiale ha additato “nemici esterni”. Al sesto giorno di proteste, i media ufficiali hanno cominciato a usare il termine “disordini”. Da mercoledì 21 settembre il servizio internet è soggetto a interruzioni; i social media sono stati bloccati “per motivi di sicurezza”. Da giovedì 22 è bloccato Instagram, ultimo social media ancora disponibile, e così anche WhatsApp. Nelle strade ormai si respira tensione: provocazioni da un lato, rabbia dall’altro.
Tutto questo sembra preludere a un intervento d’ordine più violento per mettere fine davvero alla protesta, ora che il presidente Raisi non è più sotto i riflettori a New York. Restano però i veli bruciati nelle strade: come un gesto di insofferenza collettiva verso una delle prescrizioni simboliche fondamentali della Repubblica Islamica.
L’insofferenza in effetti è profonda. Nei cortei si vedevano giovani donne in chador e altre con i semplici soprabiti e foulard ormai più comuni, accomunate dalla protesta. Molti ormai in Iran considerano assurde e datate le prescrizioni sull’abbigliamento femminile, e ancor di più la “polizia morale”. Assurde le proibizioni sulla musica, sui colori, sui comportamenti personali. Solo pochi oltranzisti considerano normale che lo stato si permetta di dire alle famiglie come devono coprire le proprie figlie. Alcuni autorevoli ayatollah ripetono da tempo che l’obbligo del velo è insostenibile e datato.
Hassan Rohani, pragmatico e fautore di aperture politiche ma pur sempre un clerico ed esponente della nomenklatura rivoluzionaria, quando era presidente ironizzava sulla polizia morale che «vuole mandare tutti per forza in paradiso».
Il fatto è che l’abbigliamento femminile, come del resto ogni ambito della vita pubblica e della cultura, sono un terreno di battaglia politica in Iran. E l’avvento dell’ultraconservatore Raisi ha segnato un giro di vite. È stato il suo governo a proclamare il 12 luglio “giorno del hejjab e della castità”. Il presidente si è detto addolorato dalla morte di Mahsa Amini: ma è stato proprio lui a firmare, il 15 agosto, un decreto per ripristinare le corrette norme di abbigliamento islamico e prescrivere punizioni severe per chi viola il codice, sia in pubblico che online (è diventato comune mettere sui social media proprie foto a testa scoperta, video di persone che ballano, in aperta sfida alle prescrizioni ufficiali).
Sarà costretto a fare qualche marcia indietro? Ora diverse voci tornano a chiedere di abolire la cosiddetta “polizia morale”, che dipende dal ministero della “cultura e della guida islamica”, noto come Ershad.
Tanto che il ministro della cultura Mohammad Mehdi Esmaili, sulla difensiva, ha dichiarato che stava considerando di riformare la polizia morale già prima della morte di Amini: «Siamo consapevoli di molte critiche e problemi», ha detto.
Il vertice della repubblica islamica però dovrebbe ormai sapere che nella società iraniana la rabbia e la frustrazione sono profonde. Ed è già successo che proteste nate da un preciso episodio poi si allargano. L’Iran sta attraversando una crisi economica che ha impoverito anche le classi medie. Ogni rincaro dei generi alimentari o della benzina colpisce gli strati più modesti della società, e quindi il sistema di consenso che regge da quattro decenni le basi della Repubblica islamica. Soprattutto, i giovani iraniani non vedono un futuro. Si sentono soffocare. La rabbia è pronta a esplodere a ogni occasione. Non che sia una minaccia immediata, per il vertice politico: sono proteste spontanee, non ci sono forze organizzate che possano abbattere il sistema. Ma lo scollamento sociale cresce. Un sistema che tiene alla sua sopravvivenza dovrà tenerne conto. Pagine Esteri
*Giornalista, esperta di Iran
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Inflazione in Italia: dal taglio dei consumi allo shopping per difendersi dai rincari
La situazione attuale, dovuta alla crisi energetica e ai rincari sta portando gli italiani a modificare le proprie abitudini d’acquisto e in generale il proprio stile di vita. Ciò ha un impatto molto forte su sette italiani su dieci e in certi casi comporta una maggiore attenzione ai consumi. Infatti, come sottolinea il Sole24ore, i […]
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La “Nato araba” vuole essere protagonista del mondo multipolare
Dopo anni di rivalità e ritardi, il Consiglio di Cooperazione del Golfo accelera l’integrazione. Le petromonarchie si allontanano dagli Usa e si avvicinano a Russia e Cina. Il blocco sunnita vuole essere tra i protagonisti del mondo multipolare
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La Russa: e questa sarebbe politica?
Lui, Ignazio Benito Maria La Russa, nel discorso di investitura si propone di cambiare la Costituzione. Gli altri, ovvero il duo Meloni-Salvini, lo avevano appena fatto eleggere con un accordo politico per far fuori Berlusconi, mostrare che esiste un’altra maggioranza, e facilitare (o peggio) l’operazione di modifica della Costituzione, e all'occorrenza altro
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HAITI tra il sollievo e il timore di un intervento internazionale
di Eliana Riva –
Pagine Esteri 14 ottobre 2022 – Dal terminal di Port-au-prince alle strade ci è voluto poco. Le manifestazioni contro l’aumento del carburante, la crisi ormai endemica e l’irresolutezza politica si sono trasformate in una babele. Le richieste dei manifestanti sono diventate le pretese delle bande armate che con la forza delle armi si prendono ciò che vogliono e distribuiscono il resto a proprio piacimento. Molte delle persone che presidiano le strade, sequestrano i camion che trasportano carburante e saccheggiano i convogli di aiuti umanitari, fino a qualche settimana fa erano semplici haitiani poveri e affamati che hanno visto nella violenza la più probabile possibilità di sopravvivenza. Ma le azioni violente hanno causato il caos. L’occupazione del porto ha impedito l’arrivo di carburante, il cibo non può raggiungere molte zone del paese che rimangono senza alimenti e senza acqua sicura.
Le scuole sono chiuse e anche gli ospedali stanno chiudendo poco a poco. Non è sicuro camminare per strada, i rapimenti sono all’ordine del giorno, le condizioni igieniche peggiorano diventando terreno sempre più fertile per il diffondersi del colera. Ma non è più possibile tracciare i contagi, curare i malati e contare i morti.
La politica, totalmente impotente, non è riuscita a partorire altro che un appello di aiuto, all’ONU, agli altri Stati, a chiunque possa. D’altro canto, il presidente e primo ministro ad interim Ariel Henry, neanche due settimane prima che la situazione esplodesse, aveva dichiarato all’ONU che era tutto sotto controllo. Doveva essere lui il primo ministro per nomina del presidente haitiano Jovenel Moïse prima che quest’ultimo venisse ucciso, il 7 luglio 2021. Da allora (ma lo era anche prima) la situazione politica è rimasta instabile e disgregata.
Manifestazioni più o meno pacifiche si sono tenute, nonostante le condizioni, per chiedere la fine della violenza delle bande e della speculazione politica ed economica sul prezzo di vendita dei carburanti. Ma le forze di sicurezza hanno spesso risposto con violenza ai presidi. Non riuscendo (non potendo o non avendone la forza) a contrastare le bande armate, fenomeno certo non nuovo ad Haiti, il governo ha scelto spesso la linea morbida, l’assecondamento, la trattativa. Ed oggi chiama l’aiuto militare internazionale, richiesta sottoscritta e rilanciata dal segretario generale dell’ONU, António Guterres.
L’intervento straniero è visto da molti come un possibile sollievo ma dai cittadini, passando per i gruppi politici locali fino ai rappresentanti della chiesa cattolica, in molti mostrano di temere in parte o del tutto le conseguenze di un intervento straniero. Anche chi, dall’interno, lo invoca, chiede delle garanzie e pone delle condizioni. Che sia solo per stabilire l’ordine e per lasciare il popolo haitiano libero di decidere, che sia per consentire agli aiuti umanitari di giungere a destinazione, che non rappresenti una nuova, pesante e strascicata ingerenza straniera. C’è chi si chiede “intervento umanitario o intervento militare?”
Gli Stati Uniti il 12 ottobre hanno minacciato una stretta sul rilascio dei visti per coloro che, funzionari governativi, militari, amministrativi o semplici cittadini, hanno appoggiato le bande armate e facilitato il dilagare della violenza. Gli USA promettono anche aiuti umanitari, una presenza militare per formare la polizia haitiana sulle azioni di repressione dei violenti armati. Missione impossibile dati i fatti, a meno che tra le fila delle forze di sicurezza haitiane non vengano introdotti, in maniera informale, centinaia di militari statunitensi.
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Estremismo mainstream: l’eredità della violenza di estrema destra dal passato al presente
Uno degli spettacoli più sorprendenti del 6 gennaio 2021 è stato quello di un estremista di estrema destra che portava una grande bandiera confederata attraverso le sale del Congresso. La guerra civile americana era finita oltre 150 anni prima, ma la più breve illuminazione di una causa persa da tempo morta era profondamente inquietante. Per […]
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Usare il FOIA per la trasparenza del trattamento dei dati in ambito pubblico
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La proposta di legge NOPEC non ridurrà i prezzi del petrolio
“Nessuno fotte con un Biden”, ha detto il presidente degli Stati Uniti, e i ministri del petrolio dei paesi membri dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC+) hanno risposto: “Tieni la mia birra”. L’OPEC+ ha quindi proceduto ad approvare tagli alla produzione di 2 milioni di barili al giorno, nonostante una causa in tribunale da […]
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Cina: il ‘Congresso dei semiconduttori’
Il 20° Congresso del Partito Comunista Cinese, che si aprirà il 16 ottobre a Pechino, potrebbe anche definirsi il 'Congresso dei semiconduttori'. C'è «una crescente urgenza geostrategica per Pechino di far avanzare le sue capacità locali di semiconduttori. Il provvedimento di Biden del 7 ottobre punta al quasi-contenimento. Situazione rischiosa anche per gli USA. E' la guerra tecnologica
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La crisi di Cuba e l’empatia strategica
La capacità di Kennedy e Krusciov di capirsi, nell'ottobre 1962, ha consentito a entrambi i Paesi e al mondo di resistere alla tempesta. E una lezione per gli Stati Uniti e la Russia nel 2022. Resta la domanda se l'attuale leadership americana e russa sia incline a imparare da loro
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Come prendere di mira la cleptocrazia in Iran
Il regime teocratico iraniano è anche una cleptocrazia tentacolare e profondamente radicata. La struttura organizzativa della cleptocrazia iraniana è la vasta rete di organizzazioni parastatali collegate e in ultima analisi controllate dal potente Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC)
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Al-Shabaab in Somalia: dopo 15 anni, uno Stato de facto
Cosa anima Al-Shabaab in Somalia? liberare il Paese dalle truppe straniere; attuazione della Sharia; sconfiggere il governo federale somalo
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Ucraina, nel buio si intravede la luce?
I due leader sembrano come imprigionati l’uno dal non poter perdere e l’altro dal non poter rinunciare a vincere. Tenere a mente due fattori: impossibile per i russi uscire da una guerra in una posizione di debolezza; mai un nuovo inquilino del Cremlino vorrà iniziare il suo regno gestendo una sconfitta. La soluzione va quindi cercata con Putin, e avrà un prezzo salato, per gli ucraini e per noi europei
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Pacipopulisti
Marce sinistre
Siamo sempre lì: quando si concepisce la politica estera a partire dalla politica interna ci s’infila in un vicolo cieco dal quale diventa impossibile uscire senza la critica di sé stessi.
L’atlantismo dovrebbe essere una salda bussola politica e morale per tutti i partiti italiani e, invece, con la fine del governo Draghi e l’interregno che stiamo vivendo prima della nascita del nuovo esecutivo – dovrebbe essere presieduto da Giorgia Meloni, che dai banchi dell’opposizione si è ritrovata sulla fede atlantica del presidente del Consiglio – stiamo assistendo nello schieramento di sinistra alla riemersione di posizioni filo-russe sotto l’eterna maschera del pacifismo d’antan.
Enrico Letta, da segretario dimissionario del Pd, si ritrova oggi quasi in splendida solitudine – e gli fa onore – a manifestare per la pace nel posto giusto: a Roma davanti all’ambasciata russa.
Purtroppo, parti sempre più consistenti del suo partito – pur con lodevoli eccezioni, come quella del ministro della Difesa Guerini –subiscono il richiamo della foresta che ha le sembianze della concorrenza di un ex Presidente del Consiglio come il Professor Conte, che con la guida del M5S ha scoperto la sua triste vocazione di agitatore di folle.
In Italia si combatte sulla guerra una guerra interna di parole e slogan in cui è in gioco la subalternità del Pd e della sinistra in generale al movimento grillino. Le manifestazioni pacifiste, che si annunciano e si moltiplicano in una gara a chi arriva prima a fare il demagogo, hanno un unico scopo: l’egemonia culturale a sinistra con idee illiberali che – è la desolante conseguenza – fanno strame dell’atlantismo e della stessa Europa sulla quale il Presidente Mattarella ha giustamente richiamato l’attenzione quale vero bersaglio della guerra di Putin.
È una storia antica, che scorre come un vecchio film davanti ai nostri occhi e che ha la sua origine nella mancata affermazione di un riformismo che appena mette la testa fuori dal sacco se la vede ghigliottinata dall’eterno estremismo di turno. Tutti vogliamo la pace. Tuttavia, tra una pace che rispetta la sovrana indipendenza dell’Ucraina e una pace che accetta la guerra di conquista neo-imperiale della Russia c’è una gran bella differenza.
Nel primo caso si rimane in un mondo euro-atlantico in cui i valori delle democrazie liberali continuano a essere l’orizzonte civile delle nostre vite. Nel secondo casosi riporta indietro la storia e si precipita in una situazione precedente alla Seconda guerra mondiale in cui dittature, fascismi e regimi totalitari non solo esistevano ma rivendicavano, nei confronti del mondo della libertà, un primato morale.
È questa la dimensione della posta in gioco che c’è nella guerra che si svolge sulla porta orientale del “vecchio continente”. Ecco perché nelle manifestazioni pacifiste dei prossimi giorni – da quella organizzata dal presidente della Campania, Vincenzo De Luca, all’altra annunciata dal Professor Conte – che si contraddistinguono per la neutralità tra Ucraina e Russia e che di fatto concepiscono la pace come la resa della fiera resistenza degli ucraini, il pacifismo non è volontà di pace ma una lotta interna per la leadership del populismo all’indomani delle elezioni del 25 settembre.
Ma come Putin ha sbagliato i suoi conti con l’Ucraina, così i pacifisti populisti sbagliano i loro con il valore dell’atlantismo. Infatti, al di là della propaganda organizzata, agli italiani è chiara l’idea che l’Italia come Paese libero, sicuro e bene-stante esiste solo nell’ambito del libero mondo d’Occidente.
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Confessioni di una maschera “Rock the vote”
✅ Abbiamo finalmente archiviato il passaggio elettorale. In maniera del tutto indolore per quello che ci riguarda. Non avevamo aspettative. Non le abbiamo forse mai avute. Meno che mai ultimamente. La politica italiana, quella fatta del circo mediatico parlamentare che le televisioni e le radio ci infilano in casa ad ogni ora del giorno, fa parte di un crogiolo di squallore cui non apparteniamo. Ce ne siamo chiamati fuori definitivamente, in nome di quel poco di amor proprio che ci resta.
iyezine.com/confessioni-di-una…
Confessioni di una maschera “Rock the vote”
Come ci accade costantemente negli ultimi trent’anni, da quando cioè la politica è diventata una dicotomica scelta, quasi plebiscitaria, tra chi stava con il magnate brianzolo, e chi stava contro, tagliando sistematicamente fuori ogni altra visione s…Marco Valenti (In Your Eyes ezine)
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La “Nato araba” vuole essere protagonista del mondo multipolare
Dopo anni di rivalità e ritardi, il Consiglio di Cooperazione del Golfo accelera l’integrazione. Le petromonarchie si allontanano dagli Usa e si avvicinano a Russia e Cina. Il blocco sunnita vuole essere tra i protagonisti del mondo multipolare
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CUBA. Vince il referendum sul codice delle famiglie: riforme avanzate per adozione e maternità surrogata
di Davide Matrone –
Pagine Esteri, 13 ottobre 2022 – Il 25 settembre si è svolto a Cuba il Referendum per consentire alla popolazione di votare per il Nuovo Codice della Famiglia che proponeva, tra l’altro, le seguenti riforme: il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’adozione per persone dello stesso sesso e la gestione della maternità surrogata non commerciale. Alla chiusura della votazione, il Consiglio Nazionale Elettorale Cubano ha emanato i seguenti dati ufficiali: affluenza alle urne 74,22%, voti per il SI 66,85% e voti per il NO 33,15%. Pertanto, il nuovo Código de las Familias è stato approvato.
La consulta popolare del 25 settembre è il frutto di un lavoro che viene da lontano e che vede il coinvolgimento di varie istituzioni cubane che negli ultimi anni hanno generato una serie di dibattiti all’interno della società per rivoluzionare la Rivoluzione. Senza dubbio, le riforme introdotte con questo Referendum sono avanzate nel contesto caraibico e latinoamericano. Una volta ancora Cuba, nonostante le sue contraddizioni interne e l’embargo, si riforma per continuare a costruire un altro mondo possibile. Tra i principali paesi dei Caraibi, dal 25 settembre del 2022, solo Cuba riconosce questi avanzamenti legali-giuridici per la famiglia. Mentre nel continente latinoamericano Cuba si trova in compagnia di altri 7 paesi (Ecuador, Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica ed Uruguay). Nel caso dell’adozione tra persone dello stesso sesso Cuba è in compagnia di Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Porto Rico ed Uruguay. Mentre nessun altro paese dei Caraibi lo riconosce. Infine, rispetto alla gestione della maternità surrogata non commerciale, Cuba ha adottato una misura con una pratica di gestazione solidale senza uso di denaro. Questa misura non mercantilista viene adottata a livello mondiale nei seguenti paesi: Canada, Australia, alcuni stati degli USA, Portogallo e Gran Bretagna, tra gli altri.
L’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba ha tradotto il Codice della Famiglia in lingua italiana.
Per saperne di più ho intervistato la Dott.ssa Yamila González Ferrer, Vice Presidente dell’Unione Nazionale dei Giuristi di Cuba, professoressa presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università dell’Avana e membro della Commissione di Redazione del Codice della Famiglia. La Dott.sa Ferrer presto sarà in Italia, invitata dalla Associazione Italia-Cuba, per parlarne in incontri pubblici.
Dra. Yamila González Ferrer.
Qual è la vittoria principale del Referendum del 25 settembre?
Si adatta alla realtà della famiglia cubana odierna. Risponde ai bisogni, alle richieste e alle urgenze delle nostre famiglie attraverso il rispetto e l’accettazione della diversità familiare. Ha una visione ancora più inclusiva con il proposito di non lasciare nessuna persona e nessuna famiglia senza protezione. Questo ha un grande valore perché ora tutti noi possiamo esercitare tali diritti all’interno dell’ambiente familiare. Inoltre, non stiamo parlando di un singolo problema, né di due, piuttosto di un insieme di problemi, di un insieme di istituzioni e figure che risponderanno e offriranno opportunità e alternative a tutte le persone e a tutte le famiglie allo stesso modo.
È un Codice avanzato e integrale, direi.
Sì! È molto significativo il modo in cui il principio di Uguaglianza e Non Discriminazione sia sviluppato nel Codice. Il riconoscimento della diversità, inoltre, risponde ai bisogni dei ragazzi e delle ragazze adolescenti già visti come soggetti di diritti, rispettando la loro autonomia e puntando sui loro interessi. Lo stesso approccio viene indirizzato anche alla popolazione anziana e alle persone con handicap. Si riconosce la cura della famiglia che, nel nostro Paese, ha un significato del tutto speciale per le condizioni concrete in cui viviamo. A Cuba la cura della famiglia è svolta principalmente dalle donne e con questo Codice si elogia questo sforzo espandendo e rafforzando i diritti delle donne e delle bambine nell’ambito familiare. Questo aspetto è molto importante e si esprime in ciascuna delle istituzioni legali-familiari che interviene per prevenire e proteggere le donne in caso di violenza, siano esse di genere o di altra specie. Ma le stesse Istituzioni intervengono anche nei casi di violenza contro le ragazze e i ragazzi adolescenti, contro gli anziani e le persone con handicap. È un Codice con un approccio ampio e globale
Con la vittoria del Sì, ora, quali sono le sfide?
Dopo il Sì, abbiamo un lavoro immenso su cui dobbiamo concentrarci a fondo come per esempio la formazione tecnica dei nostri professionisti che dovranno interpretare e applicare il nuovo Codice. Inoltre, questo risultato ci spinge verso un cambiamento culturale ulteriore, necessario, profondo e forte.
Come si è giunti alla convocazione del Referendum del 25 settembre 2022?
Abbiamo davvero un percorso lungo e non partiamo da zero. Collaboriamo da anni con l’Unione Nazionale dei Giuristi di Cuba, sempre con l’accompagnamento della Federazione delle Donne Cubane e delle Facoltà Universitarie. Da anni trattiamo e analizziamo problematiche relative al genere, alla prevenzione della violenza e abbiamo recentemente pubblicato una guida guiridica con l’incorporazione di una prospettiva di genere nell’attività legale per la prevenzione della violenza. Credo che tutto questo sarà un contribuito molto importante per i nostri professionisti dell’ambito legale e giuridico affinché possano studiare questi problemi più a fondo, prenderne coscienza, incorporarli e guardarli con un obiettivo di genere per le loro decisioni. Ma non c’è dubbio che dobbiamo lavorare ogni giorno con più intenzione e volontà eliminando gli stereotipi, i pregiudizi e tutto ciò che ci ferisce profondamente il trattamento legale dei casi di violenza.
Prima di arrivare alla convocazione del Referendum c’è stata una precedente Consultazione Popolare, giusto?
Il processo di preparazione e approvazione del Codice è stata una straordinaria opportunità di apprendimento, approfondimento e scambio di idee. Ognuno di noi ha studiato, ci siamo specializzati in argomenti specifici e queste diverse prospettive sono state molto importanti per la costruzione collettiva di questo nuovo marco legale. Dico sempre che il Codice racchiude questa competenza della tecnica giuridica più avanzata al mondo all’interno delle figure degli Istituti Giuridici-Familiari, anche sulla base di studi nazionali di ciò che è accaduto con la pratica legale. Si tratta inoltre di un Codice che racchiude, fin dall’inizio, una prospettiva multidisciplinare e che ha avuto una fortissima espressione con la Consulta Specializzata che tanto ha contribuito all’elaborazione dei contenuti del Codice che, nella versione 22, fu modificata di un 60% rispetto alle prime proposte. E dopo, viene ciò che è stato recepito dalla saggezza popolare con la Consulta che si è svolta con il nostro popolo tra febbraio e aprile del 2022. Il nuovo Codice delle Famiglie è il risultato di un processo di grande partecipazione popolare che ha avuto anche un’intenzione educativa e pedagogica proprio perché conosciamo la sensibilità con cui vengono affrontati questi temi. Abbiamo, inoltre, riscontrato l’esistenza ancora di una cultura maschilista, omofoba, patriarcale nella nostra società. Per questa situazione questa Consultazione popolare ha svolto anche un ruolo importante nel sensibilizzare la popolazione su questi processi e trasformarli in contenuti reali per il Codice.
Un processo di elaborazione che s’inquadra nella Riforma Costituzionale Cubana del 2019, quindi. Non è cosi?
Sì! Il nuovo Codice della Famiglia è stato generato insieme alla riforma della nuova Costituzione cubana del 2019.
Anche questo processo, culminato in questa prima tappa con la vittoria del Referendum Popolare, ha avuto il suo antecedente o il suo principale impulso determinante nei dibattiti costituzionali dell’anno 2018 dove il tema delle Famiglie ha avuto un grande impatto. Ricordiamo che il 25% di coloro che si sono espressi alla Consultazione Popolare del Testo Costituzionale, hanno centrato le loro preoccupazioni sulle questioni familiari e principalmente legate al matrimonio di persone dello stesso sesso. Questo ha permesso che la Costituzione approvata nel 2019 perfezionasse e approfondisse i contenuti in materia familiare. Oggi con l’approvazione del Referendum abbiamo sancito la volontà popolare di avere una società centrata ancora di più nell’Inclusione, nella Diversità, nell’Uguaglianza, e nella Dignità umana.
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(S)Garante
All’Economia
Il “totoministri” è esercizio ozioso. Appassiona pochi. I racconti che se ne fanno non è detto abbiano fondamento, in ogni caso sono irrilevanti e danno l’impressione che il governo tardi a causa del lavorio nella composizione del mosaico.
Invece si sta solo attendendo l’espletamento dei necessari e non eludibili passaggi costituzionali. C’è una casella, però, che al di là dei nomi, reali o di fantasia, sembra essere impostata male. Da chi ne parla, perché il presidente incaricato in pectore (l’onorevole Meloni) non ne parla. È la casella dell’Economia.
Ovviamente decisiva, perché l’Italia è molto indebitata, perché ancora furoreggia l’epidemia dei più disparati bonus, perché dai conti dipende molta della nostra credibilità e coerenza europea. I conti pubblici sono parte stessa dell’affidabilità internazionale, visto che l’argine che ci difende dalle speculazioni non è (né potrebbe essere) nazionale. Una casella talmente decisiva da non potere dipendere solo da un nome.
È sbagliato credere che all’Economia debba trovarcisi un “garante” del governo. Qualcuno che, per competenza, conoscenze e relazioni, sia garanzia verso terzi che non solo non si faranno follie, ma ci si atterrà alla ragionevolezza e alla prudenza. Non funziona affatto così e così non potrà mai funzionare. Il ministro dell’Economia non appone una specie di firma fideiussoria sui conti del governo.
Perché quella funzione sia rassicurante è necessario che la competenza specifica si sposi o con la piena condivisione della politica scelta dal governo, e per esso dal presidente del Consiglio, o che sia il governo, e quindi il citato presidente, a riconoscersi per intero nelle scelte del ministro che ha scelto. Altrimenti l’esito, in breve tempo, saranno le dimissioni o la dismissione dell’uno o dell’altro.
La prima cosa è complicata, perché quale sia la politica economica che il governo intenderà seguire non è chiaro. Sappiamo che Meloni e il suo partito s’opposero al reclamare lo “scostamento di bilancio”, ovvero maggiore deficit e più debito. Bravi.
Sappiamo che intendono radicalmente rivedere roba come il reddito di cittadinanza. Bene. Ma per il resto sappiamo poco e anche per queste due cose non sappiamo come intendono agire. Quindi un ministro che condivida quel che non è noto dovrebbe condividere quel che gli viene privatamente rivelato. Il che ne fa calare il peso.
La seconda cosa, che sia quindi il governo ad allinearsi al ministro, è rischiosa, perché se una volta scelto il nome s’intende uniformarsi al suo indirizzo, è come dire che la guida del Paese si troverà non a Palazzo Chigi, ma a via XX Settembre.
L’equilibrio può essere cercato evitando di suonare un solo tasto, usando una più articolata tastiera. Taluni fatti lo suggeriscono e facilitano. La partita economica più rilevante sarà quella relativa alla realizzazione di quanto già previsto e approvato nel Pnrr. Che non è un piano del governo Draghi, ma dell’Italia.
Questo significa che il grosso degli investimenti e delle riforme, per due o tre anni, andrà in continuità. Vero è che i vincitori delle elezioni hanno annunciato e promesso modifiche, ma si sono guardati bene dall’indicare quali e hanno ripetutamente fatto riferimento ai mutati costi. Roba rilevante, ma secondaria.
Ininfluente rispetto al disegno. Se quella sarà la continuità, allora l’influenza e la dimostrata affidabilità di Draghi avranno ancora un peso e, per il governo, saranno spendibili. Se il fulcro della continuità sarà a Palazzo Chigi, come dovrebbe, allora al ministero dell’Economia è bastevole ci sia coerenza e capacità. Se il fulcro fosse in quel ministero allora si metta in conto, più presto che tardi, una crisi. Se la continuità non ci fosse si metterebbero a rischio l’Italia e i suoi conti.
Non si tratta di “totoministri”, ma del governo nel suo insieme. Meloni ne sembra consapevole e mal sopporta le pressioni dei presunti alleati. Nella Costituzione troverà quel che serve a ricordare, ad amici e candidabili, che a lei spetta l’indicazione, mentre la nomina è in altre mani.
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Alarming: Court of Justice may severely limit enforcement of European’s privacy rights
Allarmante: La Corte di Giustizia potrebbe limitare fortemente l'applicazione dei diritti alla privacy degli europei L'Avvocato generale della CGUE ha emesso un parere non vincolante che mira a limitare una delle ultime possibilità per gli utenti di far valere i propri diritti alla privacy ai sensi del GDPR.
Legal Analysis: No non-material damages for GDPR violations?
Analisi legale: Nessun danno morale per le violazioni del GDPR? L'Avvocato generale Sánchez-Bordona ha presentato le sue conclusioni sulla causa C-300/21 della CGUE (UI contro Österreichische Post AG), la prima di numerose richieste di pronuncia pregiudiziale sul tema del risarcimento dei danni per violazione del GDPR
Meloni, attenta, non è così certo che comandi tu
Giorgia Meloni continua nelle sue improprie 'consultazioni', attribuendo ministeri a questo o a quello e negandoli a quello o a questo. Si, ma … come nei film western con indiani: alla prima 'chiamata' ad Arcore, lei era lì. È stata una prova di forza: il vecchio capo conta ancora! E quindi il nuovo, il capo giovane, deve stare attenta. E la Lega la sfotte
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Cina: Xi d’Arabia
In crisi con gli Stati Uniti, l'Arabia Saudita è sempre più vicina alla Cina, sfruttando le ambizioni di Xi Jinping in Medio Oriente. Se Washington e Riyad decidessero una 'pausa di riflessione' nel loro lungo matrimonio d'interesse, Pechino sarebbe pronto se non a sostituire lo zio Sam, almeno provare a farlo costruendo una relazione di sicurezza per la quale ci vorranno anni
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Le vittorie dell’Ucraina scatenano le lotte interne al Cremlino
Una serie di vittorie nell’oblast di Kharkiv ha improvvisamente trasformato la guerra in Ucraina a favore di Kiev, mandando nel panico il Cremlino. La risposta è stata rapida. Sapendo che la Russia non ha la forza lavoro e il coordinamento per invertire rapidamente le sorti dell’invasione, il Presidente Putin ha deciso di ‘annettere’ le quattro […]
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Il sostegno di Biden alle proteste in Iran si ritorcerà contro gli USA?
Condurre un'operazione non così segreta per fornire ai manifestanti ricevitori Internet satellitari per contrastare i tentativi del governo iraniano di chiuderlo, sarebbe interferire negli affari interni di un Paese, una politica che è una seconda natura per il governo degli Stati Uniti, che ha tentato di intromettersi negli affari di altre Nazioni come poliziotto globale per più di tre quarti di secolo, ma che l'Iran potrebbe far pagare caro a Biden
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Gli Stati del Golfo diventano digitali con la Cina
Gli Stati Uniti, allarmati dal peso che la Cina sta acquisendo nell'area, fa pressioni sugli Stati del Golfo affinché si schierino; la Cina potrebbe fare lo stesso; così questi Stati rischiano di trovarsi a dover fare una difficile scelta, e a dover rinunciare alle due partnership parallele che permetterebbero loro di non essere totalmente dipendenti né da Pechino, né da Washington
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Un caffè con i giovani musulmani di Milano
Quando si parla d’Islam ormai siamo abituati alla dicotomia con il disagio giovanile soprattutto quello delle nostre periferie, o ancora peggio ad attentati e fatti di guerra. Ma è proprio così? Oggi vi voglio raccontare una storia un po’ diversa. Ho voluto trascorrere qualche ora sorseggiando un caffè con dei giovani musulmani milanesi, per capire […]
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Putin se ne sta andando?
Il Presidente russo è vulnerabile, ma le circostanze favoriscono un intransigente ancora più bellicoso come suo più probabile successore. Gli spazi d'azione per evitarlo sono molto ridotti
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Johnny Mojo
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Personalmente sto usando Fedilab senza problemi, sia per pixelfed che per mastodon. Non vorrei avere un app per ogni cosa...
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