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AMBIENTE. Si apre tra le polemiche la COP27 in Egitto


La conferenza delle Nazioni Unite per il clima si apre domenica a Sharm El-Sheikh, in un Paese in cui gli attivisti per i diritti e la democrazia, primo tra tutti Alaa Abdel Fattah, in sciopero della fame, muoiono in carcere L'articolo AMBIENTE. Si apre

di Valeria Cagnazzo*

Pagine Esteri, 14 ottobre 2022 – Le temperature a Sharm El-Sheikh nel mese di novembre dovrebbero oscillare tra i 20 e 28 gradi: perfette per concedere ai partecipanti alla COP27 provenienti da tutto il mondo alcune riposanti pause dai dibattiti ecologici sulle sue spiagge bianchissime. La sede, si legge sul sito delle Nazioni Unite dedicato all’evento, non è stata scelta a caso: “circondata da due spettacolari aree protette, Sharm El-Sheikh è un posto che ispirerà i partecipanti a combattere il cambiamento climatico e a proteggere il pianeta”. Ci si augura quindi che i mari cristallini possano essere adeguatamente di “ispirazione” per ministri, ONG, imprese e rappresentanti della società civile dei Paesi membri delle Nazioni Unite che dalla prossima domenica 6 al 18 novembre si riuniranno in Egitto in occasione della ventisettesima “Conference of Parties” (COP), l’incontro annuale sul cambiamento climatico indetto dall’ONU a partire dal Summit della Terra del 1992 a Rio.

È entusiasta di poter fare gli onori di casa il ministro degli Affari Esteri della Presidenza Al Sisi, designato Presidente della COP27, H. E. Sameh Shoukry, che ha sottolineato il rischio di una “erosione della fiducia” in merito ad eventi del genere se il mondo sviluppato non sarà in grado di tenere fede ai suoi impegni. “Dobbiamo agire”, ha dichiarato, “e dobbiamo farlo subito, per salvare vite e mezzi di sussistenza”.

A favorire la mobilitazione dei Paesi del COP27 contribuirà Coca-Cola, sponsor ufficiale dell’evento. Nell’annunciare la partnership, la multinazionale ha dichiarato: “Il clima è un’area di interesse centrale dato che la Compagnia Coca-Cola lavora verso il suo obiettivo “science based” per il 2030 di una riduzione assoluta delle emissioni del 25% e verso la sua ambizione di essere a zero emissioni nette di carbonio entro il 2050”. A proposito dello sponsorship, “molte persone avranno pensato a uno scherzo, seppure di cattivo gusto”, ha commentato l’ONG Greenpeace, che ha ricordato il primato di Coca Cola nella produzione di rifiuti in plastica. “Ci auguriamo che l’accordo di sponsorizzazione siglato per la COP27 sul clima possa essere il preludio a un annuncio pubblico in cui Coca-Cola si erga al ruolo di leader globale nella lotta alla crisi climatica e all’inquinamento da plastica”, si legge sul sito dell’organizzazione ambientalista. “Qualora così non fosse, la sponsorizzazione risulterà uno dei casi più noti di inquinamento dei negoziati sul clima, nonché l’ennesimo caso – stavolta davvero eclatante – di greenwashing aziendale.”.

Non è solo aziendale, del resto, il greenwashing che l’evento più green dell’anno rischia di apportare. Con i fondi del marchio Coca-Cola si definiscono in questi giorni gli ultimi dettagli per la realizzazione dei padiglioni dell’evento, compresa la cosiddetta “Green Zone”(zona verde), un’area in cui, si legge sempre sulla pagina ufficiale della COP27, “imprese, giovani, società civili e indigene, accademici, artisti e aziende della moda da tutto il mondo potranno esprimere se stessi e far sentire le proprie voci. La Green Zone promuove il dialogo, la consapevolezza, l’educazione”.

Peccato, però, che mentre a Sharm El-Sheikh viene confezionato un piccolo atollo architettonico in cui i giovani di tutto il mondo possano “far sentire le proprie voci”, subito fuori dall’area del COP27 le carceri egiziane ospitano decine di migliaia di dissidenti politici, secondo l’organizzazione Human Rights Watch. Tra di loro giornalisti e attivisti per i diritti umani, in un Paese in cui si continua a morire in prigione e in cui gli oppositori del governo rischiano arresti arbitrari, torture, minacce e ripercussioni sui propri familiari, sempre secondo quanto riferito dall’ONG.

Nell’Egitto che ospiterà la COP27 e inviterà gli attivisti più giovani a confrontarsi liberamente nella “zona green”, dal 2019 è tra l’altro in vigore una legge che proibisce di “condurre sondaggi di opinione e pubblicare o rendere disponibili i propri risultati o condurre ricerche sul campo o divulgare i propri risultati” senza l’approvazione del governo.

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Naomi Klein

A rimarcare una contraddizione tanto stridente è stata negli ultimi mesi la giornalista e attivista Naomi Klein, autrice del best-seller No Logo, che il 7 ottobre scorso ha firmato sul The Intercept un articolo incandescente dal titolo “Da Blah blah blah a Blood blood blood – Tenere il Summit COP27 nello Stato di Polizia egiziano crea una crisi morale per il movimento per il clima”.

Già nei mesi scorsi Klein aveva denunciato l’ipocrisia internazionale di svolgere il più importante evento sul clima nel Paese guidato dal 2013 dall’autoritario governo di Al Sisi. A cento giorni dall’inaugurazione della COP27, aveva anche firmato una lettera, insieme ad altri attivisti, per esprimere tutte le perplessità sulla scelta della sede. Il suo nuovo articolo su The Intercept parte dalla storia di Alaa Abd El Fattah, uno dei più celebri prigionieri politici egiziani.

Arrestato nel 2011 per la sua partecipazione alle proteste contro Mubarak, ha trascorso gran parte degli ultimi dieci anni in prigione, con accuse di aver partecipato a manifestazioni non autorizzate o di aver diffuso notizie false. L’ultima condanna, a cinque anni, risale al 2021 proprio per quest’ultimo capo d’accusa e dal 2020 è iscritto nell’elenco nazionale dei terroristi.

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Alaa Abdel Fattah

Dal 4 aprile, Abd El Fattah, intellettuale e informatico quarantunenne, tra i volti più noti della primavera araba, è in sciopero della fame per protestare contro il suo arresto arbitrario e contro quello di migliaia di altri attivisti come lui. Nonostante diversi appelli internazionali, compresi quelli, ripetuti, di Amnesty International, resta, però, in carcere. Dalla sua cella, continua a scrivere lettere alla famiglia nelle quali affronta questioni di politica, di libertà e di clima – una parte dei suoi scritti è confluita nel libro “Non siete stati ancora sconfitti”, edito in Italia nel 2021.

E’ proprio a partire da una sua lettera scomparsa che Klein si interroga sulla sensatezza di svolgere il raduno dell’ONU sull’ambiente proprio a Sharm El-Sheikh. Una lettera che Abd El Fattah ha scritto ai suoi familiari circa un mese fa e in cui manifestava le sue preoccupazioni per le vittime e gli oltre 33 milioni di sfollati dopo le alluvioni che avevano colpito il Pakistan, tra le tante drammatiche conseguenze del surriscaldamento globale. La missiva è stata, tuttavia, confiscata dalla censura egiziana prima di essere recapitata ai suoi destinatari.

“La sua famiglia vive per queste lettere”, scrive Klein, ma non è solo questo il punto. La lettera eliminata dalle autorità egiziane perché toccava tematiche “troppo politiche” è stata, infatti, scritta da un prigioniero scheletrico, che ha rinunciato ad alimentarsi perché detenuto ingiustamente, che dalla sua cella, nonostante tutto, continua a preoccuparsi per il clima del pianeta. Fuori dalle sbarre, il mondo sta per riunirsi per discutere del clima in dibattiti pomposi, dimenticandosi, però, di lui, Abd El Fattah, e della sua fame.

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Nei video promozionali della COP27, sottolinea Klein, la beffa è che l’Egitto “si stia vendendo” mostrando giovani uomini con barbe folte e collane al collo, che assomigliano molto “ai veri attivisti che stanno soffrendo sotto tortura nel suo arcipelago di prigioni in rapida espansione”. Gli attori dei video bevono esclusivamente da borracce personali e utilizzano soltanto oggetti biodegradabili, e attraverso lo schermo l’impressione che si vuole trasmettere è che sia questa la prerogativa del governo di El Sisi: assicurarsi che tutti i suoi cittadini vivano in maniera ecologica. Lo scenario proposto sembra quello di un “reality show verde in riva al mare”, ironizza Klein. “Questo summit andrà ben oltre il greenwashing di uno Stato inquinante: sarà il greenwashing di uno stato di polizia. E con il fascismo in marcia dall’Italia al Brasile, non è una questione da poco”.

Dell’inquinamento egiziano, tra l’altro, i delegati internazionali non possono sapere troppo, dato che per la legge del 2019 nessun dato scientifico può essere pubblicato senza il consenso del governo. Il pugno di ferro di El Sisi, infatti, non è rivolto solo contro gli attivisti politici: Human Rights Watch ha riferito che diversi gruppi ambientalisti sono stati costretti a rivedere i loro progetti di ricerca e che uno di questi ha addirittura dovuto annullare la sua ricerca sull’ambiente a causa delle limitazioni del governo.

E allora perché, si domanda Klein, perseverare e svolgere il summit sul clima proprio in Egitto? Gli interessi economici messi in campo non sono da trascurare. In settembre, la Gran Bretagna ha annunciato un finanziamento di 100 milioni di dollari “per supportare le start-up locali” in Egitto. Un altro accordo per un valore di 11 miliardi di dollari è stato firmato tra il governo di El Sisi e l’azienda energetica Globeleq per finanziare la produzione di idrogeno verde nel Paese. Anche la Germania è tra i maggiori partner commerciali dell’Egitto, e in quest’occasione dovrà probabilmente tralasciare i dissidi etici e la nuova “politica estera basata sui valori” che la Ministra degli Esteri del Partito dei Verdi, Annalena Baerbock annunciava al momento della sua nomina, neanche un anno fa. Per molti Paesi come la Germania, tra l’altro, nella crisi del gas l’Egitto potrebbe essere un prezioso esportatore da tenersi stretto. Sono sufficienti questi accordi economici dichiarati e quelli sottobanco a far intuire che l’ipotesi che la COP27 venga annullata a un mese dall’inaugurazione si possa tranquillamente scartare.

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Abdel Fattah El Sisi

Farebbe sorridere, se non recasse dietro di sé le pesantissime implicazioni per i diritti umani e per le singole esistenze dei cittadini, l’idea ironica di Klein che gli egiziani siano il terreno sacrificale per il “progresso” climatico. “Magari”, scrive, inoltre, ci fosse la remota eventualità che questo summit svolto brutalmente in un regime dittatoriale possa sortire qualche conseguenza positiva per il clima. Non solo per le contraddizioni etiche già citate, ma anche per alcuni limiti oggettivi. L’Egitto, ad esempio, fa parte dei Paesi a basse emissioni ma severamente colpiti dai cambiamenti climatici, quelli per i quali la COP27 dovrebbe concordare un’adeguata politica di risarcimenti. ”Il problema è che se quei debiti climatici vengono pagati senza confrontarsi con le reti finanziarie e militari internazionali che sostengono governanti brutali come Sisi, i soldi non raggiungeranno mai la gente. Andranno, invece, ad assicurargli più armi, a fargli costruire più prigioni e finanziare più sprechi industriali che disperdono e immiserano ulteriormente gli egiziani più bisognosi”.

E’ solo il sangue, secondo Klein, a macchiare, già prima che sia iniziato, questo summit ambientale. “Se il summit dello scorso anno a Glasgow era su “blah blah blah”, il significato di questo (…) è decisamente più inquietante. Questo summit è su “Blood blood blood” (sangue sangue sangue). Il sangue dei circa 1.000 manifestanti massacrati dall’esercito egiziano per difendere il potere del suo governante in carica. Il sangue di coloro che continuano ad essere assassinato. Il sangue di coloro che vengono picchiati per le strade e torturati in prigione, spesso a morte. Il sangue di persone come Alaa”.

E di Alaa Naomi Klein ricorda una frase, che il prigioniero scrisse nel 2019: “Sono il fantasma della primavera passata”. Sottolinea quanto sia impossibile affrontare e risolvere la questione ambientale se non vengono rispettate le libertà individuali e il rispetto per la vita umana, e quanto tutto questo “dovrebbe risultare ovvio a chiunque faccia parte del movimento per il clima”. “Dovrebbe”, appunto, perché il silenzio degli ambientalisti sull’assurdità di essere ospitati in uno scenario dittatoriale denuncia un’allarmante ipocrisia di sottofondo o una debolezza dell’attivismo per l’ambiente in tema di diritti alimentari. Per questo Naomi Klein invoca il fantasma di Alaa Abd El Fattah: “Quel fantasma infesterà il summit che sta arrivando, mandando un brivido attraverso ogni sua nobile parola. La domanda silenziosa che ci pone è netta: se la solidarietà internazionale è troppo debole per Alaa – un’icona dei sogni di libertà di una generazione – che speranza abbiamo di salvare una casa che sia abitabile?”. Pagine Esteri

3404257*Valeria Cagnazzo (Galatina, 1993) è medico in formazione specialistica in Pediatria a Bologna. Come medico volontario è stata in Grecia, Libano ed Etiopia. Ha scritto di Palestina su agenzie online, tra cui Nena News Agency, anche sotto pseudonimo. Sue poesie sono comparse nella plaquette “Quando un letto si svuota in questa stanza” per il progetto “Le parole necessarie”, nella rivista “Poesia” (Crocetti editore) e su alcune riviste online. Ha collaborato con il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna. Per la sezione inediti, nel 2018 ha vinto il premio di poesia “Elena Violani Landi” dell’Università di Bologna e il premio “Le stanze del Tempo” della Fondazione Claudi, mediante il quale nel 2019 ha pubblicato la sua prima silloge poetica, “Inondazioni” (Capire Editore). Nel 2020, il libro è stato selezionato nella triade finalista del premio “Pordenone legge – I poeti di vent’anni”.

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Il Brasile vira a sinistra: Lula presidente, sconfitto Bolsonaro


E' stato testa a testa per molte ore, poi il leader del Partito dei Lavoratori ed ex presidente ha ottenuto il suo terzo mandato. Ma il Brasile si è spaccato. Lula ha vinto con un margine minino e si temono mosse antidemocratiche di Bolsonaro. L'articolo

di Glória Paiva*

Pagine Esteri, 31 ottobre 2022 – I brasiliani hanno votato ieri (30/10) al secondo turno delle elezioni presidenziali e hanno scelto Luis Inácio Lula da Silva (Partito di Lavoratori – PT) come successore di Jair Bolsonaro (Partito Liberale – PL) per assumere la presidenza dal 1° gennaio 2023. Lula ha ottenuto il 50,9%, contro il 49,1% di Bolsonaro, cioè 2,1 milioni di voti in più. Il risultato segna una nuova tappa nella politica brasiliana, dopo quattro anni di una forte divisione politica e di una gestione criticata dai settori progressisti di tutto il mondo per la sua disastrosa performance su temi come la gestione della pandemia di Covid-19, l’ambiente, i diritti umani, l’aumento della povertà, il ritorno del Brasile nella mappa della fame delle Nazioni Unite, tra gli altri. Come nel primo turno, giorno 2 ottobre, è stato nuovamente elevato l’indice di astensioni, il 20,57%, rappresentando 32 milioni di cittadini.

Lula ha vinto in più comuni e nella regione del Nord Est; mentre Bolsonaro ha vinto nelle altre quattro regioni. È la prima volta nella storia della democrazia brasiliana un presidente perde la disputa alla propria rielezione e che un terzo mandato presidenziale accadrà.

Dopo il conteggio dei voti, Lula ha festeggiato con i suoi sostenitori a São Paulo, dove ha fatto un discorso per milioni di persone. Per il presidente eletto, nelle sue parole, “non ci sono due Brasile”. “È tempo di ricostruire un paese diviso”, ha dichiarato. Il petista ha detto, inoltre, che il suo impegno più urgente sarà quello di mitigare la fame, uno dei problemi più gravi degli ultimi tre anni.

Nonostante la vittoria di Lula, specialisti sostengono che la divisione politica che si è consolidata negli ultimi quattro anni in Brasile non finirà nel 2023. La polarizzazione si fa sentire nei fatti, ormai diventati quotidiani, di violenza politica e sicuramente sarà un ostacolo alla governabilità di Lula, a causa della nuova composizione del legislativo: il Partito Liberale di Bolsonaro sarà il più rappresentato sia nel Senato che nella Camera dei Deputati.

Operazioni della polizia stradale nelle regioni pró-Lula

Durante la giornata di ieri, la Polizia Stradale Federale (PRF) non ha rispettato un ordine del Supremo Tribunale Elettorale (TSE) ed ha effettuato almeno 560 operazioni sulle strade di tutto il paese per “ispezionare” il trasporto gratuito degli elettori. La metà di queste azioni sono state realizzate nella regione del Nord Est, dove Lula ha la maggioranza degli elettori. Sui social in tanti hanno denunciato difficoltà di accedere ai luoghi di votazione e ritardi fino a tre ore. Il presidente del TSE, Alexandre de Moraes, ha affermato, tuttavia, che il fatto non ha impedito agli elettori di raggiungere i loro seggi elettorali. Moraes ha chiesto nel dettaglio le informazioni sulle operazioni della PRF per valutare la possibile apertura di procedimenti contro i responsabili.

Secondo il portale G1, lo stesso Bolsonaro avrebbe sollecitato al ministro della Giustizia, Anderson Torres, al quale è subordinata la Polizia Stradale Federale, di ordinare le operazioni nelle zone in cui Lula era il favorito. Alleato di Bolsonaro, Torres si è incontrato, la settimana scorsa, con il presidente in Brasília e con gli assessori della sua campagna. Nel sabato (29), il direttore-generale della PRF, Silvinei Vasques, aveva pubblicato sul un suo profilo in una rete sociale una foto in cui dichiarava il suo voto a Bolsonaro, ma la pubblicazione è stata cancellata ore dopo.

Nell’ultima settimana, i bolsonaristi hanno sollevato l’idea di cambiare la data del secondo turno o addirittura di realizzare un “terzo turno”, in caso di parità oppure sulla base di presunti dubbi sulla legittimità dell’elezione e sull’imparzialità del TSE, nonostante la legislazione elettorale brasiliana non preveda un terzo turno. Per di più, il sistema di voto elettronico, utilizzato in Brasile dal 1996, è considerato uno dei più sicuri al mondo ed è valutato periodicamente da test pubblici di sicurezza dal 2009.

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foto di Marcos Correa

La storia dei candidati

Lula, 77 anni, è stato il 35° presidente del Brasile dal 2003 al 2011, periodo in cui il paese ha vissuto un momento di espansione economica e sociale. Nato a Pernambuco, Lula lavorava come operatore di presse meccaniche nello stato di San Paolo quando iniziò a partecipare ai movimenti sindacali alla fine degli anni ’60, durante la dittatura militare. Ha guidato grandi scioperi dei lavoratori e ha contribuito a fondare il PT nel 1980. Nel 1989 si candidò per la prima volta alla presidenza, avendo perso contro Fernando Collor de Mello. È stato nuovamente candidato nel 1994 e nel 1998 e ha perso contro Fernando Henrique Cardoso. Soltanto nel 2002 è riuscito a sconfiggere José Serra, rompendo con 17 anni di gestione della destra o centro-destra.

Durante il governo di Lula si sono consolidati programmi sociali come Bolsa Família e Fome Zero, riconosciuti dalle Nazioni Unite come iniziative che hanno permesso al paese di uscire dalla Mappa della Fame e che hanno contribuito a ridurre la povertà in 50,6%, secondo uno studio della Fondazione Getúlio Vargas. Tra il 2003 e il 2011, il Brasile ha anche accumulato cospicue riserve internazionali e triplicato il suo PIL pro capite. Ciononostante, parallelamente il PT, insieme ad altri grandi partiti di allora, è stato anche coinvolto in alcuni casi di irregolarità, in particolare nello scandalo di corruzione denominato “Mensalão”, venuto alla luce nel 2005. Nel Mensalão, i parlamentari ricevevano tangenti per continuare ad appoggiare il governo nel Congresso. Lula è comunque riuscito ad avere come successore Dilma Rousseff, sua alleata e Ministro Capo della Casa Civile nel governo precedente, eletta nel 2010 e rieletta nel 2014.

Nel 2017, nell’ambito dell’operazione Lava Jato, Lula è stato condannato per corruzione e riciclaggio di denaro, e ciò l’ha portato al carcere nell’aprile 2018. Dopo 580 giorni, è stato rilasciato per decisione del Supremo Tribunale Federale (STF), che ha inteso che l’esecuzione delle sentenze dovesse avvenire solo dopo secondo grado. Negli anni successivi gli sono stati ristabiliti i diritti politici e Lula è stato dichiarato non colpevole. Inoltre, è venuto alla luce che indagini che hanno portato alla condanna di Lula non sono state imparziali e che il suo giudice incaricato, Sergio Moro, ha collaborato con l’accusa durante il procedimento.

Nato a Glicério, nello stato di San Paolo, Jair Bolsonaro è un ex militare ed è stato deputato federale per lo stato di Rio de Janeiro dal 1991 al 2018. Nel 1986 è diventato noto dopo aver pubblicato un articolo per la rivista Veja in cui criticava i bassi salari dei militari. Un anno dopo, la stessa rivista ha pubblicato un articolo accusando Bolsonaro di essere uno degli autori di un piano per far esplodere bombe in una caserma di Rio de Janeiro. Come deputato è stato protagonista di una serie di polemiche, come le sue dichiarazioni in cui lodava la dittatura militare, quando si diceva contro gli omosessuali oppure minacciava i suoi oppositori come la deputata Maria do Rosário e Jean Wyllys.

Nel 2018 è stato eletto 38° presidente del Brasile. La sua amministrazione è stata segnata dal negazionismo scientifico con cui ha trattato la pandemia, dai suoi frequenti attacchi alle istituzioni democratiche brasiliane, dall’incitamento all’intolleranza e alla violenza contro oppositori politici e le minoranze, dallo smantellamento di organismi e politiche di protezione dell’Amazzonia e dei popoli indigeni, portando al più alto tasso di deforestazione degli ultimi 15 anni. In più, Bolsonaro è stato responsabile della firma di una serie di decreti che hanno facilitato l’accesso e quintuplicato la presenza di armi in Brasile.

Nei suoi ministeri è stata notevole la presenza di tanti militari in incarichi civili e di figure completamente svincolate dai temi dei rispettivi uffici, come la pastora evangelica Damares Alves, Ministro delle Donne, della Famiglia e dei Diritti Umani, e i due Ministri dell’Ambiente, Ricardo Salles (2018-2021) e Joaquim Leite (2021-2022), entrambi noti difensori dei cosiddetti “ruralisti”, grandi capi dell’agrobusiness in Brasile.

Per di più, Bolsonaro e la sua famiglia sono stati accusati di numerosi scandali di corruzione, come l’acquisto di 51 proprietà in contanti, il cosiddetto schema “rachadinha” (appropriazione indebita di fondi destinati all’assunzione di dipendenti pubblici), il cosiddetto “Bolsolão do MEC” (schema di corruzione nel Ministero della Pubblica Istruzione) e le richieste di tangenti da parte del Ministero della Sanità al laboratorio produttore del vaccino Astra-Zeneca contro il COVID.

Un mese turbolento

I 30 giorni tra il primo e il secondo turno sono stati un periodo di intensa turbolenza politica in tutto il Brasile, con violenza politica, scambio di accuse da parte dei candidati e un’ondata di disinformazione sui social ancora più forte rispetto al primo turno. Uno studio dell’Università Federale di Rio de Janeiro (UFRJ) fa notare che la circolazione delle fake news è aumentata del 23% su Telegram, del 36% su WhatsApp e del 57% su Twitter nelle ultime quattro settimane. Complessivamente, secondo lo studio, la media giornaliera delle fake news in circolazione è cresciuta da 196,9 mila, prima del primo turno, a 311,5 mila dopo.

Secondo la ricerca, i principali argomenti durante la campagna (e anche il bersaglio delle fake news) sono stati il tema dell’integrità e della sicurezza del sistema elettorale, più volte messo in discussione dal presidente, il tema dei valori cristiani, la presunta non affidabilità della stampa tradizionale e le questioni socio-ambientali, di genere e della famiglia. Questi ultimi due sono spesso inseriti nell’agenda bolsonarista per sostenere la sua propaganda come candidato in difesa della tradizionale famiglia brasiliana e contro le agende progressiste, come i diritti degli LGBTQ+ e la lotta per la depenalizzazione dell’aborto.

Anche i casi di violenza politica sono aumentati di circa il 40% nell’ultimo mese rispetto al primo turno, con almeno 60 casi registrati, secondo Amnesty International. L‘ultimo episodio ha avuto come protagonista la deputata federale bolsonarista Carla Zambelli, che è stata filmata nelle strade di San Paolo con una pistola in mano mentre inseguiva un elettore di Lula disarmato. Pagine Esteri

3404180* Glória Paiva è una giornalista, scrittrice e traduttrice brasiliana

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LIBANO-ISRAELE. Firmato l’accordo sui confini marittimi. Beirut: non è «normalizzazione»


MEDITERRANEO ORIENTALE. Ieri la firma a Naqoura dell'intesa mediata dagli Usa e che segna l'inizio dello sfruttamento dei giacimenti di gas in quell'area. Hezbollah canta vittoria, Yair Lapid pure. L'articolo LIBANO-ISRAELE. Firmato l’accordo sui confini

di Michele Giorgio –

(Unità navale dell’Unifil a Naqoura, foto di Bastian Fischborn)

Pagine Esteri, 28 ottobre 2022 – Quando tutto era pronto, un incidente ha ritardato ieri pomeriggio la cerimonia della firma dell’accordo sulla delimitazione del confine marittimo tra Libano e Israele e lo sfruttamento delle riserve di gas sottomarino in quell’area. La delegazione giunta da Beirut è entrata nella base dell’Unifil (Onu) a Naqoura solo dopo l’uscita di una nave militare israeliana dalle acque territoriali libanesi. Poi tutto è proceduto come da programma. Sedute in stanze separate, le delegazioni libanese e israeliana hanno consegnato i loro documenti all’inviato dell’Amministrazione Usa, Amos Hochstein che ha mediato i negoziati. Poche ore prima il presidente libanese Michel Aoun aveva firmato il testo dell’accordo, altrettanto ha fatto il premier israeliano Yair Lapid. Delimitato il confine marittimo, i due paesi possono sfruttare nelle proprie acque i giacimenti di gas Karish, che ricade nella zona economica esclusiva di Israele, e quello di Qana che in buona parte sarà sfruttato dal Libano. Lo Stato ebraico riceverà una parte dei ricavi di Qana dalla francese Total incaricata dal governo di Beirut di avviare le esplorazioni del sito.

È stato il Libano a chiedere il complicato protocollo di ieri per evitare che la firma dell’accordo fosse visto come una «normalizzazione» delle relazioni tra i due paesi. Il paese dei cedri non dimentica di aver subito diverse offensive israeliane distruttive e l’occupazione tra il 1978 e il 2000 di una parte del suo territorio meridionale. Opposto l’atteggiamento israeliano. Il premier Lapid, anche a scopo elettorale, ha insistito sull’intesa raggiunta tra due paesi formalmente in guerra descrivendola come un riconoscimento da parte libanese dello Stato ebraico. «Questo è un risultato straordinario per Israele», ha detto. L’accordo ha aggiunto, «è una conquista diplomatica. Non capita tutti i giorni che un paese nemico riconosca lo Stato di Israele in un accordo scritto, davanti alla comunità internazionale». L’intesa ha proseguito, «rappresenta una conquista economica. Ieri è iniziata la produzione di gas dalla piattaforma Karish. Israele riceverà il 17 per cento dei profitti da Qana-Sidone, il campo libanese. Questo denaro andrà nell’economia israeliana e sarà utilizzato per la salute e il benessere, l’istruzione e la sicurezza». A suo sostegno è intervenuto qualche ora dopo Joe Biden che ha esaltato l’accordo definendolo «storico» e ha previsto che «garantirà gli interessi di entrambi i Paesi e sarà una base per la stabilità e la prosperità della regione».

A Beirut hanno suonato una musica ben diversa. Il presidente Aoun ha negato su Twitter che l’accordo possa avere «implicazioni politiche». La demarcazione del confine marittimo meridionale, ha spiegato, «è un’opera tecnica che non ha implicazioni politiche o effetti contrari alla politica estera libanese». Ancora più esplicito è stato il leader del movimento sciita libanese Hezbollah, Hassan Nasrallah, considerato dagli analisti il vero vincitore politico del negoziato indiretto con Israele. «Noi di Hezbollah consideriamo quello che è accaduto una grande vittoria per il Libano», ha detto Nasrallah durante un discorso televisivo sottolineando che l’intesa non significa «normalizzazione» dei rapporti né un «riconoscimento» implicito di Israele da parte di Beirut e che «Israele non ha ricevuto garanzie di sicurezza». Ricordando che Hezbollah aveva minacciato di attaccare Karish se Tel Aviv avesse avviato lo sfruttamento del giacimento senza un accordo con il Libano, ieri Nasrallah ha annunciato la revoca dello «stato di allerta militare» proclamato dal suo movimento.

A Beirut il governo, Hezbollah e l’oligarchia economica cantano vittoria. Restano però forti i dubbi sulla reale portata economica futura dello sfruttamento del gas e dell’accordo con Israele. Qualche giorno fa Sibylle Rizk, presidente del Consiglio dell’iniziativa libanese per il petrolio e il gas (Logi), su l’Orient Today spiegava che «Il gas non salverà il Libano» che vive una crisi finanziaria devastante. Prima di tutto, ha scritto, la linea di demarcazione stabilita dall’accordo «non è basata sul diritto internazionale che impone che il confine marittimo inizi dal confine terrestre». Contrariamente a quanto affermano le autorità, ha sottolineato Rizk, «il Libano non ha ottenuto pieni diritti sul campo di Qana…e rimangono molti passi da compiere prima che venga effettuata una scoperta di gas naturale. E, se una tale scoperta avverrà, ci vorranno diversi anni prima che il Libano riceva effettivamente la sua quota di entrate».

Gli esperti calcolano che il Libano potrà contare, non prima del 2030, su 6-8 miliardi di dollari distribuiti su un periodo di 15 anni. In confronto, le perdite nel settore finanziario ammontano a 72 miliardi di dollari. L’accordo, perciò, non apre la strada alla prosperità. Pagine Esteri

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Ben(e)detto 4 novembre 2022


«Il merito non è altro che uno strumento con cui si acuiscono le differenze di classe tra studenti» dicono gli studenti della Sapienza. Come dar loro torto? È solo la mediocrazia che ci rende tutti ugualmente scemi.

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Socialismo – Ludwig von Mises a cura di Lorenzo Infantino


Analisi economica e sociologica a cura di Lorenzo Infantino Prefazione di Friedrich A. von Hayek Socialismo è l’opera più strettamente legata al nome di Ludwig von Mises, figlio della Grande Vienna ed esponente di primo piano della Scuola austriaca di econ

Analisi economica e sociologica a cura di Lorenzo Infantino

Prefazione di Friedrich A. von Hayek

Socialismo è l’opera più strettamente legata al nome di Ludwig von Mises, figlio della Grande Vienna ed esponente di primo piano della Scuola austriaca di economia. L’originaria pubblicazione è stata accompagnata da un lungo e vasto dibattito fra gli esponenti più avvertiti della cultura liberale e di quella socialista. E il testo si è consacrato nel tempo come un classico, come un imprescindibile punto di riferimento, a cui hanno attinto generazioni di studiosi. Quella di Mises si può considerare come la più devastante critica che sia stata formulata nei confronti del collettivismo. L’analisi di Mises fornisce la rigorosa dimostrazione dell’impossibilità del calcolo economico in una società che abbia soppresso la proprietà privata e, con essa, il mercato e il sistema dei prezzi. Non è quindi senza ragione che Oskar Lange, economista di ispirazione socialista, non ha esitato ad affermare che spetta interamente al professor Mises il merito di avere costretto i sostenitori del piano unico di produzione e distribuzione a misurarsi con il problema del calcolo economico. Mises è andato tuttavia ben oltre. Studioso di estese conoscenze, ha impiegato un ricco repertorio di strumenti per evidenziare il legame esistente fra economia di mercato, libertà individuale di scelta e istituzioni democratiche. Ha mostrato così l’indissolubile rapporto che unisce il collettivismo economico a quello politico. Ha gettato luce sul fatto che la proprietà privata può essere direttamente soppressa o può essere «sterilizzata»; il che avviene mediante un sistema di interventi e di misure che ne rendano, com’è accaduto sotto il nazionalsocialismo, esclusivamente formale l’esistenza. Ha inoltre visto, anticipando una letteratura che si è sviluppata in epoca posteriore all’apparizione della sua opera, l’origine del totalitarismo nella promessa di «salvezza», con cui al collettivismo viene affidata la missione di riplasmare l’uomo e il mondo. In aggiunta a ciò, attraverso una straordinaria e sistematica gamma di riflessioni, il libro getta una potente luce sull’opera di dissipazione delle risorse, posta in essere da schiere di «redistributori». Oltre a conseguire l’esatto contrario di quel che promettono, costoro aprono la strada, con l’illusione che possa essere «mite», a un potere «immenso» e «minuzioso».

Leggi l’intervista “Ludwig von Mises e il Socialismo: il ritorno di un classico. Intervista al Prof. Lorenzo Infantino”

Video recensione a cura di Rocco Versace


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Editore: Rubbettino Editore

Collana: Biblioteca Austriaca, 2020, pp 640

ISBN: 9788849860627

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Ben(e)detto 3 novembre 2022


Se dovessi fondare un partito lo chiamerei Alitalia o Stabilimento balneare oppure RdC. Sarebbe garanzia di immortalità.

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Muleta nera


Qualche volta il toro vince e incorna il torero. Capita quando non si lascia distrarre e mette bene a fuoco l’avversario. Quasi sempre, però, perde, perché si lascia distrarre dal drappo rosso, dalla muleta. Prova ad incornare quella e viene infilzato a m

Qualche volta il toro vince e incorna il torero. Capita quando non si lascia distrarre e mette bene a fuoco l’avversario. Quasi sempre, però, perde, perché si lascia distrarre dal drappo rosso, dalla muleta. Prova ad incornare quella e viene infilzato a morte. Passi che l’opposizione ha appena finito di perdere le elezioni, passi che il governo al debutto ha sempre un fascino che trascina la comunicazione, ma non si può correre in massa appresso alla muleta nera, facendo finta di star facendo la guerra di resistenza. Ci si sta solo facendo distrarre.

Se la destra proclama l’opportunità che il merito trionfi negli studi, non è che si possa aprire un dibattito su quanto possa essere asociale il merito. Intanto perché il merito è una bellissima cosa e poi perché la sola sensata da fare è chiedere: cioè? Come pensate di farlo valere, il merito? Come lo misuriamo? Sui banchi o anche in cattedra? Mentre la reazione di un drappello di svaganti intellettuali, che quando sono in vena d’autocritica s’incensano dicendosi “elitari”, è stata quella di vestire i panni di chi difende i somari. Sia quelli in cattedra che quelli dei banchi.

Quando la Corte costituzionale comunicò che l’ergastolo ostativo era da cancellare, la destra balzò a dire: giammai. Ora lo hanno cancellato, mettendo in un decreto il testo di una proposta di legge che non avevano votato, nella scorsa legislatura. Astutamente, però, hanno manifestato festosa vittoria. Il bello è che quanti quella proposta l’avevano votata sono caduti nella trappola, hanno dato per assodato che ancora esista il vincolo della collaborazione con la giustizia e si sono intestati una bislacca battaglia per la liberazione degli ergastolani. Roba raffinata.

A Modena il rave party è stato sgomberato nel modo più sereno, senza pugni né duri né morbidi. Bravi gli operatori presenti. Dopo di che il governo ha varato un decreto che grida vendetta al cielo, scombiccherato, senza che ci fosse alcuna urgenza, scritto in stato di alterazione logica e sintattica. Ma sono stati abili con la muleta nera: linea dura contro l’illegalità.

E anziché dileggiarne gli errori, la cui consapevolezza traspare anche dalle dichiarazioni del ministro degli Interni, si sono buttati sull’accusa di volere uccidere le libertà e creare un regime autoritario, come se la libertà consistesse anche nell’occupare roba altrui, guadagnare soldi in violazione della legge, spacciare e consumare droga fino a sballarsi cervello e budella. E anche questa è fatta.

La muleta nera è così efficace, nell’intestarsi quel che ogni persona civile desidera, ovvero legge e ordine, che quando la destra al governo decide di reintegrare subito i medici non vaccinati e condonare le multe fatte con un consenso quasi unanime del Parlamento, oppositori e pensatori si rimettono a parlare dei vaccini e non s’accorgono che quel condono è l’esatto opposto di legge e ordine: fregatevene della legge e campate nel disordine.

Così i tori si perdono i rilievi di Letizia Moratti, di sicuro non schierabile a sinistra, la quale (giustamente) rileva il pericoloso cambio di rotta e il rischio di sprecare il lavoro sanitario fatto. E si perdono il Carlo Nordio libero pensatore, che andrebbe presentato al Nordio ministro, ricordandogli quel che sosteneva: è stolto portare tutto al penale ed è illusorio alzare le pene, tanto più che i giudici tenderanno a comminare le pene più lievi.

Anziché irridere la muleta nera, ricordando che la pericolosità sociale non è mai uscita dal codice penale, che quelli di Modena sono processabili per una collezione di reati esistenti da decenni, che la stragrande maggioranza degli italiani vaccinati non merita d’essere presa in giro, preferiscono provare a incornare il drappo del “regime”. Rinunciando a stare ai fatti ed avvertire che: sotto la muleta, niente.

Intanto il pil cresce e il gas cala, ma nell’arena il torero che fu all’opposizione se ne giova e il toro che tirò la carretta ora tira cornate a vanvera.

La Ragione

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L’Africa al centro dello scontro tra potenze


In Africa si combatte una nuova "guerra fredda" tra le potenze di tutto il mondo in competizione per l'accaparramento delle risorse e la conquista di nuovi spazi geopolitici. L'invasione dell'Ucraina ha accelerato la corsa al "continente nero" L'articolo

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 4 novembre 2022 – L’invasione russa dell’Ucraina ha rinfocolato il conflitto tra le diverse potenze impegnate nel continente africano. Di fatto l’Africa è diventata la principale arena della competizione tra le diverse potenze e le rispettive multinazionali alla ricerca di risorse, sbocchi economici, corridoi, alleanze politiche, militari e commerciali.

L’Africa, un’arena sempre più affollata
Negli ultimi anni il numero di paesi in gara per il controllo delle risorse e dei territori africani è costantemente cresciuto. Alle tradizionali potenze coloniali – in particolare Francia e Gran Bretagna – rimaste a spadroneggiare nonostante la conquista dell’indipendenza formale da parte dei paesi africani a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, si sono uniti ben presto gli Stati Uniti, interessati a condizionare i nuovi governi contro l’influenza dell’Unione Sovietica sulle correnti nazionaliste e progressiste e a perseguire i propri interessi economici e geopolitici.
Dopo il crollo dell’Urss, l’Africa si è gradualmente affollata di nuovi attori, protagonisti di una spoliazione del continente più o meno vorace, man mano che le potenze coloniali originarie perdevano posizioni. La Cina, la Russia e la Turchia sono entrate prepotentemente nell’agone, approfittando del rinnovato risentimento delle popolazioni africane e di alcuni governi nei confronti del dominio neocoloniale e perseguendo strategie di penetrazione di diverso tipo. Mentre Pechino consolida la sua egemonia economica, basata sulla realizzazione di grandi infrastrutture, Mosca forza le tappe offrendo assistenza militare e armi a governi e aziende alle prese con l’insorgenza islamista o semplicemente con i movimenti di opposizione. Da parte sua il sultano Erdogan si propone come partner alla pari in nome delle comune osservanza musulmana e di una presunta fratellanza terzomondista.

Ma se si guarda soprattutto il fronte degli investimenti e dei partenariati, risalta la crescente presenza nell’agone africano di molti altri paesi: dall’India al Giappone, dall’Indonesia alla Corea del Sud per quanto riguarda l’Asia, a praticamente tutti i paesi arabi – in particolare Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar – fino al Canada e all’Australia.

La Cina consolida il suo primato
Al di là dei casi specifici, in questo enorme risiko economico, geopolitico e militare, si possono individuare alcune tendenze generali.
Innanzitutto si può osservare il consolidamento dell’influenza cinese e di quella turca. Pechino continua a proporsi come partner economico a tutto campo, soffrendo l’accelerazione militare impressa alla competizione globale dal conflitto ucraino. Ma i cinesi perseguono anche la realizzazione di alcune basi militari nel continente, dopo quella già aperta a Gibuti; le indiscrezioni affermano che Pechino starebbe caldeggiando l’apertura di un proprio avamposto militare in Guinea Bissau o in Tanzania. Nel frattempo, sul fronte del commercio bilaterale con l’Africa, Pechino ha distanziato notevolmente i propri competitori, segnando nel 2021 un +35% rispetto all’anno precedente e raggiungendo i 254 miliardi di dollari di scambi. Un record che ha avvantaggiato notevolmente anche le esportazioni africane a Pechino, arrivate a 106 miliardi di dollari e cresciute in un anno addirittura del 44%. Nel frattempo, però, l’indebitamente africano nei confronti delle banche cinesi cresce a ritmo doppio rispetto a quello nei confronti di Usa, Francia, Germania e Giappone.

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Anthony Blinken in visita in Sud Africa

Europa e Stati Uniti in difficoltà. Washington rilanciaPer quanto riguarda le tendenze generali, è evidente la diminuzione netta della presenza europea nel continente, accelerata dal rapido arretramento del controllo francese sull’Africa centro-occidentale, con il sempre più consistente rischio che il tradizionale impero coloniale di Parigi – la Françafrique – si sfaldi. Anche la scelta di Londra, accentuata dopo la fuoriuscita del paese dall’Unione Europea, di investire fortemente sul Commonwealth per rinsaldare i legami con le ex colonie sparse nel mondo, non sembra stia dando particolari frutti nello scenario africano.

È altrettanto evidente anche la diminuzione della presa statunitense nell’area; basti considerare i flussi commerciali tra Washington e l’Africa che nel 2008 ammontavano a 142 miliardi di dollari e nel 2021 sono scesi a soli 64 miliardi. Dopo anni di scarso interesse e di quasi nullo attivismo, nel novembre del 2021 e poi nell’agosto scorso Joe Biden ha inviato in Africa il segretario di Stato Anthony Blinken, che ha visitato Ruanda, Repubblica Democratica del Congo e Sudafrica offrendo ai propri interlocutori “democrazia, investimenti, sicurezza ed energia pulita”.

Nel tentativo di rendere più appetibile un rinnovato ruolo di Washington nel continente, Blinken ha precisato che «l’Africa non è l’ultimo campo di gioco in una competizione tra grandi potenze. (…) Non è così che porteremo avanti il nostro impegno qui. Il nostro impegno per un partenariato più forte con l’Africa non consiste nel cercare di superare tutti gli altri. Quello che cerchiamo più di tutto è un vero partenariato tra gli Stati Uniti e l’Africa. Non vogliamo una relazione squilibrata o transazionale».
Però poi, nel tentativo di frenare il proprio declino, l’amministrazione Biden sta cercando di blindare i propri interessi nel continente attraverso una serie di provvedimenti legislativi, al vaglio del Congresso, che mirano a contratare la “maligna” influenza russa e cinese e a punire i paesi africani che si sono rifiutati di condannare l’aggressione di Mosca a Kiev per non danneggiare le crescenti relazioni militari ed economiche con il regime di Putin. Proprio ieri, la Casa Bianca ha deciso di escludere il Burkina Faso dall’accordo di cooperazione e sostegno economico denominato “African Growth and Opportunity Act” (Agoa), che facilita le esportazioni negli Stati Uniti di merci prodotte in Africa, lamentando la mancata attuazione di progressi democratici da parte delle giunte militari salite al potere dopo i due colpi di Stato verificatisi quest’anno.

La Russia allunga il passo
Non è un caso che un altro dei paesi recentemente esclusi dal programma, il Mali, sia tra quelli che più si sono avvicinati a Mosca, che da parte sua ha appena annunciato l’invio nel paese di 100 milioni di dollari in carburante, fertilizzanti e generi alimentari. Nello specifico l’accordo, annunciato ieri dal Ministro dell’Economia maliano Alousséni Sanou, prevede che la Russia fornisca a Bamako 60 mila tonnellate di idrocarburi, 25 mila tonnellate di grano e 35 mila tonnellate di fertilizzanti.
La Russia è indubbiamente la potenza che più si è avvantaggiata nello scacchiere africano, alla ricerca di nuove sponde per ovviare alle sanzioni e al tentativo di isolamento internazionale da parte del blocco che fa capo a Washington e Bruxelles.
Dopo la rottura delle relazioni tra Bamako e Parigi, che ha portato alla fine dell’operazione militare Barkhane e dello schieramento nel paese della task force Takuba – entrambe a guida francese – Mosca ha fornito equipaggiamento militare al nuovo regime e schierato nel paese i mercenari della compagnia di sicurezza privata Wagner e propri consiglieri militari per far fronte all’insorgenza jihadista.
In generale, i colpi di stato realizzati in Africa nell’ultimo anno (Burkina Faso, Ciad, Guinea, Mali e Sudan) hanno favorito soprattutto la penetrazione russa, sostenuta spesso da frazioni consistenti delle classi dirigenti locali e da parte della popolazione che la considerano una valida alternativa tanto al classico neocolonialismo statunitense ed europeo quanto alla sempre più invadente presenza economica cinese. Nelle manifestazioni antigovernative dei mesi scorsi, soprattutto in Mali e in Burkina Faso, si sono viste spesso sventolare le bandiere russe e bruciare quelle francesi. Dopo aver piantato la propria bandiera nella Repubblica Centrafricana estromettendo Parigi, Mosca ha anche segnato non pochi punti portando a casa un importante accordo militare firmato il 12 aprile con il governo del Camerun, altro paese tradizionalmente influenzato dalla Francia.

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Manifestazione filo-russa a Bamako

Uno scontro di interessi mascherato da conflitto ideologico
In generale molti governi, piuttosto che scegliere un unico sponsor, cercano di giocare di sponda tra due o più interlocutori internazionali in competizione, per ottenere qualche vantaggio economico o militare, in attesa di capire se lo scontro globale tra potenze produrrà duno o più vincitori duraturi.

Mosca continua comunque a conquistare posizioni grazie ad una certa fascinazione di molti regimi africani per il modello di potere autoritario di Mosca, per l’assistenza militare e la vendita di armi che permette loro di restare in sella o di conquistare il potere, e infine per la dipendenza della maggior parte del continente dal grano russo e ucraino.

Paradossalmente, non solo le potenze orientali che si sono affacciate più recentemente sul suolo africano, imbracciano abilmente l’argomento dell’antimperialismo e dell’anticolonialismo per perorare e legittimare i propri interessi, ma anche le tradizionali potenze coloniali occidentali hanno cominciato ad utilizzare categorie simili per denunciare i successi delle potenze concorrenti. Mentre in una recente visita in Etiopia il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha promesso al continente di aiutarlo a portare a termine il processo di decolonizzazione, gli inviati europei e statunitensi accusano Mosca e Pechino di “imperialismo”. I tempi della inconciliabile contrapposizione ideologica tra il blocco capitalista e quello sovietico sono ormai lontani, ma le potenze in competizione per l’accaparramento delle risorse africane sembrano comunque inclini ad ammantare le proprie mire di una dimensione ideale e valoriale di dubbia consistenza. – Pagine Esteri

3403497* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

LINK E APPROFONDIMENTI:

middleeastmonitor.com/20221015…

agi.it/estero/news/2022-08-08/…

agi.it/estero/news/2022-08-11/…

limesonline.com/cartaceo/la-ci…

rfi.fr/fr/afrique/20221103-les…

africanews.com/2022/04/21/came…

congress.gov/bill/117th-congre…

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Oggi si celebra il Giorno dell'Unità Nazionale e la Giornata delle Forze Armate.

Questa data fu dichiarata Festa nazionale per onorare i soldati caduti durante la Prima Guerra Mondiale.



Sviluppo App. Perché è importante affidarsi a degli esperti


Che mondo sarebbe senza le App? Il nostro smartphone è pieno di applicazioni di ogni tipo che ci consentono ogni giorno di eseguire un elevato numero di operazioni: da quelle di gestione delle proprie finanze, alla prenotazione di viaggi aerei, alla spesa, fino all’intrattenimento. L’utilizzo sempre più diffuso, talvolta quasi esclusivo, dei dispositivi mobili ha portato […]

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Meloni star dell’ideologia d’accatto


I provvedimenti di un 'governo che ha le palle', dal provvedimento sedicente sul rave party, a quello sull'ergastolo. Sono partiti proprio così come accusano di essere l’opposizione: ideologica. E per di più, ideologia di second’ordine e in totale malafede

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Liberismo e guerra: l’eterno oblio del passato


«Da tempo purtroppo mi sono accorto che è inutile informarsi: in un regime neoliberista verificare ed eventualmente contestare i “fatti” spacciati dall’apparato mediatico è vano; non perché non sia possibile dimostrarne, alla fine, l’eventuale mendacità, ma perché quando faticosamente ci si riesca, nel frattempo quei fatti già non contano più nulla per nessuno: il culto della novità e la pratica dell’innovazione continua, rapidissima e fine a sé stessa, ha come effetto l’oblio del passato, incluso quello recente, cancellato ancor prima che diventi passato da nuove pressanti novità che, sia pure per poche ore, assorbono tutta l’attenzione, peraltro scarsissima grazie a un sistematico addestramento, anche scolastico, alla superficialità.»


Liberismo e guerra: l’eterno oblio del passato


Il binomio liberismo e guerra poggia su gente che vive di breaking news a cui gli eventi di appena qualche mese prima appaiono remoti e indifferenti come le guerre puniche.

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Pensieri di notte


Forse è davvero il momento di tirare i remi in barca. Forse è giunto il momento di lasciar perdere. Odio, cattiveria e ignoranza mi stanno soffocando. O forse sto solo diventando vecchia, troppo vecchia per certe cose. O forse, ancora, è il momento di pensare ad altro, a vivere questo spazio con la leggerezza che molti riescono ad avere, ma che a me è sempre stata impossibile da raggiungere. La verità è che non mi diverto più, che le polemiche e le discussioni su temi inutile e stupidi mi hanno stancata.
E se il mondo virtuale fosse uno specchio della mia esistenza reale? Se fosse quella ad avermi stancata? Se in questo momento la bilancia tra l'odio e l'amore che da oltre quarant'anni provo contemporaneamente verso me stessa pendesse ora dalla parte del secondo?
Non ho una risposta a questa domanda, la sola cosa che so è che sono stanca, di tutto e terribilmente schifata e non vedo vie d'uscita nel breve periodo.
Per questo forse è il momento di trovare, almeno nel mondo virtuale, una nuova dimensione, più intima, più privata, lontana dalle discussioni sterili e inutilmente faziose e ideologiche.
Questo non significa smettere di pensare e osservare le cose con occhio critico, ma semplicemente non discutere di esse in un luogo e con persone che non meritano che io perda del tempo.
Chissà, magari tornerò a scrivere quello che mi passa per la mente, brandelli di sogni, pensieri, desideri, a raccontare storie o scrivere racconti.
Forse non sarebbe poi così male, come modo per affrontare questo periodo così pieno di cose brutte.

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in reply to Chiara R

@Chiara R da parte mia, ti leggo con piacere.

Personalmente, salvo rari e brevi periodi, anch'io ho perso l'abitudine e il piacere di scrivere e condividere. Forse manca il tempo, forse è per i motivi che hai descritto per te.

Rimane l'interesse di leggere chi scrive su Internet, credo sia normale per chi era qui alla fine degli anni 90

In particolare in questi spazi che hanno ancora un po' il sapore del Web di una ventina d'anni fa, di irc, usenet, delle homepage e dei primi blog.

Quando influencer non era un mestiere e il prodotto non eravamo noi.

in reply to Chiara R

@Chiara R Dopo aver sospeso qualsiasi attività sui social, ad eccezione di quella lavorativa, ho scoperto Mastodon. Lo frequento da pochissimo, ma mi pare gli si possa aprire un credito, anche se ancora non l'ho capito in tutto e per tutto. Resisti con noi!!!!


Aumentano le tensioni tra Azerbaigian e Iran


Mentre la guerra in Ucraina domina i titoli dei giornali globali, un altro conflitto si sta preparando nel Caucaso meridionale, dove Azerbaigian e Iran sono diventati sempre più ostili dalla guerra del Karabakh del 2020. Dopo la decisiva vittoria dell’Azerbaigian sull’Armenia, aiutato dal supporto militare di Israele e Turchia, l’Iran si è reso conto che […]

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Oggi si è svolto il primo incontro tra il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara e i rappresentanti dei sindacati e delle parti sociali del mondo della #scuola.

Qui tutti i dettagli ▶️ bit.ly/Incontro-sindacati



La Corea del Nord sceglie Russia e Cina, e manda al diavolo gli USA


Il significato politico dietro la sfilza di test e la vendita di armi a Mosca è la nuova linea di politica estera di Kim, che considera l'impegno con gli Stati Uniti futile e che gli interessi nazionali del Paese sono garantiti al meglio attraverso l'allineamento con Cina e Russia

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The 20th Chinese Communist Party Congress has consolidated the concentration of power in the hands of the country's top leader, Secretary General Xi Jinping. And as Xi's rule is now further unchallenged, China is turning even more autocratic.


Cessate il fuocoUn accordo di cessazione delle ostilità e una serie di passi per ristabilire la pace in Etiopia.


USA: elezioni midterm 2022, tempi bui per i Democratici


Con le elezioni di medio termine a una settimana di distanza e l’ansia degli elettori per inflazione, gas e prezzi dei generi alimentari ai massimi livelli, i sondaggi mostrano che è probabile che i Democratici perdano il controllo della Camera dei rappresentanti mentre potrebbero a malapena mantenere quello del Senato. Il cuore del problema rimane […]

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La fallita invasione dell’Ucraina da parte di Putin dimostra che la Russia non è una superpotenza


Per secoli, la Russia si è considerata una delle grandi potenze mondiali. Questo status di superpotenza è stato in qualche modo macchiato dalle umiliazioni del crollo sovietico del 1991, ma la Russia post-sovietica ha lavorato duramente sotto Vladimir Putin per rivendicare la sua posizione tra le nazioni leader sulla scena mondiale. Durante i primi due […]

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Il grande rimbalzo economico dell’ASEAN


Mentre molte parti del mondo stanno vacillando sull’orlo della recessione, la regione dell’ASEAN nella prima metà del 2022 è stata in ripresa economica. Ciò dimostra che le economie possono essere molto solide nella ripresa dopo una calamità. La domanda e gli investimenti sono di nuovo in aumento, facendo sembrare che la regione non ci sia […]

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Joe Biden invita a votare per preservare la democrazia e a pochi giorni dalle elezioni di midterm cerca di rilanciare i dem in calo nei sondaggi. La democrazia americana è a rischio. E a dirlo è il presidente degli Stati Uniti in persona.


L’Ucraina dovrebbe perseguire legami più stretti con Taiwan?


Le conseguenze non intenzionali della disastrosa guerra di Vladimir Putin in Ucraina saranno studiate per gli anni a venire, con continue ripercussioni geopolitiche già evidenti dal Nord America all’Asia orientale. La rapida invasione della Russia è servita da monito all’alleato di Putin, il leader cinese Xi Jinping, mentre riflette su un possibile tentativo di riconquistare […]

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USA: con Lula, Biden ha la strada per riparare le relazioni con il Brasile


Nel suo discorso di vittoria domenica sera, l’ex presidente – e ora presidente eletto – Luiz Inácio Lula da Silva ha affermato che il mondo ha sentito la mancanza del Brasile poiché è sprofondato in uno stato di isolamento internazionale senza precedenti negli ultimi anni. Lula, un’appassionata oratrice abituata a parlare estemporaneamente, leggeva con calma […]

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L’Occidente non deve permettere a Putin di far congelare milioni di ucraini


La campagna di attacchi aerei mirati lanciata di recente da Vladimir Putin contro le infrastrutture civili dell’Ucraina segna una grave escalation nella sua invasione genocida. I leader russi sanno bene che privare i civili del riscaldamento e dell’elettricità alla vigilia di un freddo inverno provocherà un gran numero di morti. È improbabile che le tattiche […]

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Bundestag legal experts find: EU Chat Control CSAM scanner plan would not hold up in court


The opinion of the independent legal service of the German Bundestag on the EU’s controversial proposal to scan private communications for suspected content is now available in … https://www.patrick-breyer.de/wp-content/uploads/2022/10/221007-WD-10-026-2

The opinion of the independent legal service of the German Bundestag on the EU’s controversial proposal to scan private communications for suspected content is now available in English. The parliament’s lawyers state that it is questionable whether the current draft regulation represents any added value for the fight against (physical) sexual child abuse. Against the background of the previous case law of the EU Court of Justice on data retention, they consider it “unlikely that a general monitoring of individual communications would withstand the scrutiny of (European) fundamental rights”.

In their opinion the law would negatively impact communication behaviour of minors and generally freedom of speech and expression. Furthermore, the opinion questions the practicability of scanning technology which would produce a high number of false positives even with a low error rate, due to the sheer number of messages scanned. Lastly, the analysis echos fears already expressed in civil society for the future of end-to-end encryption. The paper points out that regardless of the technical design for circumventing encryption, third parties would be able to gain access, creating an additional threat to cyber security.

EU lawmaker Patrick Breyer (Pirate Party) comments the findings:

“There is a reason why the mandatory general monitoring scheme proposed by the EU Commission doesn’t exist anywhere else in the free world: It breaches the essence of the human right to respect the secrecy of our correspondence. How is the EU Commission helping children by proposing a regulation that will invariably fail in the European Court of Justice for violating the Charter of Fundamental Rights? If this proposal is adopted and then annulled by the Court down the line, we will have wasted years that we could have worked on more effective and proportionate solutions to protect the victims of sexual violence. We should start this work now.”

Breyer’s website on the EU’s Chat Control proposal


patrick-breyer.de/en/bundestag…



Una bussola morale in tempi di disordine e illiberalità


La crisi dell’Occidente ha risvegliato antichi istinti imperialistici. L’Europa c’è, ma non suscita emozioni, non evoca appartenenze. Tutto questo incoraggia le persone, le società e gli stati a logiche e comportamenti illiberali. Mai come oggi si avverte

La crisi dell’Occidente ha risvegliato antichi istinti imperialistici. L’Europa c’è, ma non suscita emozioni, non evoca appartenenze. Tutto questo incoraggia le persone, le società e gli stati a logiche e comportamenti illiberali. Mai come oggi si avverte il bisogno di un metodo politico, di una radice culturale. Un funzione storica per istituzioni come la Fondazione Luigi Einaudi


Un mondo senza ordine, un Paese senza bussola. È questa la realtà che i tempi ci impongono. Siamo, letteralmente, all’Anno Zero. L’Italia esce a fatica da una conclamata crisi di sistema e affronta l’inizio di un ciclo politico nuovo senza che l’offerta politica e l’assetto istituzionale si siano minimamente rinnovati.

Oltre confine regna il caos. È come se i ghiacci della Guerra fredda si fossero scongelati oggi e non nel 1991. Un vecchio ordine è morto, un nuovo ordine non è ancora nato. Le liberaldemocrazie annaspano. Si pubblicano ormai da anni libri in cui autorevoli studiosi descrivono, più o meno minuziosamente, la “crisi del potere” piuttosto che la “crisi della democrazia”, per non dire della crisi “delle vocazioni”.

Di sicuro ad apparire in crisi (di identità) è l’Occidente. E la crisi dell’Occidente ha risvegliato antichi istinti imperialistici. Non oggi, ma nel 2007, Vladimir Putin ha dichiarato guerra ai valori liberaldemocratici su cui si fonda la cultura occidentale, la nostra cultura. Xi Jinping lo ha fatto poco dopo, nel 2012. Con la forza delle armi piuttosto che con la forza dell’economia, l’impero russo e l’impero cinese erodono spazi vitali all’Occidente, mentre la Turchia di Erdogan ricostruisce tassello dopo tassello il vecchio impero Ottomano sotto quelle antiche insegne islamiche che Kemal Ataturk, prudentemente, ripiegò un secolo or sono.

L’Europa c’è; era e resta l’unica possibile salvezza degli stati nazionali europei, e in modo particolare degli stati fragili come l’Italia. L’Europa c’è, ma non suscita emozioni, non evoca appartenenze e vive solo nel momento estremo in cui rischia di soccombere a crisi tanto improvvise quanto globali.

Tutto questo incoraggia le persone, le società e gli stati a logiche e comportamenti essenzialmente illiberali. Un progressivo ritorno allo stato di natura. È presente il rischio che i già colossali problemi interni e internazionali vengano aggravati, per superficialità o per demagogia, sopravvalutando il ruolo dello Stato.

Mai come oggi, dunque, si avverte il bisogno di una bussola “morale”, di un metodo politico, di una radice culturale. Mai come oggi si avverte la penuria di quei fattori che fecero di Luigi Einaudi l’indimenticato “Presidente della ricostruzione”: il realismo, la competenza, l’equilibrio, la predisposizione al confronto, il senso profondo delle Istituzioni, il metodo liberale.

C’è, però, un problema. Quei soggetti cui un tempo era demandato il ruolo di officine della cultura, del ceto e della prassi politica sono tutti, e non da oggi, in crisi. Sono in crisi i partiti politici, sono in crisi i giornali, sono in crisi (di astinenza da oppio) gli intellettuali, sono in crisi i parlamenti, esautorati dai governi e delegittimati dai media. E con il parlamenti è in crisi la Politica tutta.

Tanti vuoti, vuoti di democrazia. Vuoti da colmare.

Mai come oggi, dunque, istituzioni come la Fondazione Luigi Einaudi, di cui sono stato appena nominato Segretario Generale, sono investite di una funzione che non è esagerato definire “storica”: offrire una bussola e indicare una rotta ad una politica sempre più disorientata e ad una società sempre più confusa. Per quanto ci riguarda, lo faremo, al solito, tenendo alto il nome di Luigi Einaudi e attualizzandone gli insegnamenti attraverso studi, convegni, progetti, analisi economiche, politiche e sociali.

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Oggi alle 10.00, presso il nostro Ministero, saranno premiate le opere vincitrici della Mostra-Concorso IV Biennale Nazionale dei Licei artistici. Aprirà la Cerimonia il Ministro Giuseppe Valditara.



Ucraina: il filo del rasoio si fa sempre più sottile


La guerra è una porcata, ma anche la guerra ha delle regole. Il diritto internazionale le sintetizza in due prescrizioni: colpire la popolazione civile è vietato, così come usare armi di distruzione di massa; violare la neutralità, restando neutrali, è vietato. Russia e Ucraina le hanno violate entrambe, innescando un circolo vizioso che prolunga e drammatizza il conflitto

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Etiopia – Accordo di Pace [Testo Completo]


FRA IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA FEDERALE DI ETIOPIA E IL FRONTE DI LIBERAZIONE DEL POPOLO TIGRAY (TPLF) PREAMBOLO Accettare di risolvere pacificamente il violento…

FRA

IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA FEDERALE DI

ETIOPIA E IL FRONTE DI LIBERAZIONE DEL POPOLO TIGRAY (TPLF)

PREAMBOLO

Accettare di risolvere pacificamente il violento conflitto scoppiato il 3 novembre 2020 nella regione del Tigray in Etiopia in modo coerente con la Costituzione della Repubblica Democratica Federale d’Etiopia;

Riconoscendo la conseguenza distruttiva del conflitto tra le due Parti sulle vite umane e sui mezzi di sussistenza;

Affermando che i problemi politici possono essere risolti in modo sostenibile solo attraverso mezzi politici;

Ribadendo l’impegno delle parti nei confronti dell’agenda dell’Unione africana per mettere a tacere le armi entro il 2030, coerentemente con lo spirito delle “soluzioni africane ai problemi africani;

Determinato a trovare una soluzione duratura e completa al conflitto; compreso il ripristino dell’ordine costituzionale nella regione del Tigray;

Convinti della necessità di concordare i termini per la cessazione definitiva delle ostilità e le modalità per la composizione pacifica di tutte le divergenze e controversie politiche;

Determinato a cercare una soluzione pacifica e duratura alla crisi in un quadro di cessazione permanente delle ostilità, in cui sarà messo in atto un meccanismo di monitoraggio e verifica per monitorare il rispetto;

Riconoscendo gli sforzi per portare una soluzione pacifica alla crisi da parte dell’Unione Africana, il Gruppo di Alto Livello dell’Unione Africana guidato da Sua Eccellenza l’ex Presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo, sostenuto da Sua Eccellenza l’ex Presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, e Sua Eccellenza il Dr. Phumzile Mlambo-Ngcuka, ex vicepresidente del Sud Africa, nonché della Repubblica del Sud Africa per aver gentilmente ospitato i colloqui di pace, e gli osservatori per il loro sostegno;

Consapevole del desiderio del popolo etiope di vivere in pace e dignità in una società democratica inclusiva basata su giustizia, uguaglianza, rispetto dei diritti umani e stato di diritto;

Il governo della Repubblica Democratica Federale dell’Etiopia (il governo) e il Fronte di liberazione popolare del Tigray (TPLF) (denominati insieme le Parti) concordano i seguenti termini;

Articolo 1 – Obiettivi


Gli obiettivi del presente Accordo sono:

  • Raggiungere una cessazione immediata e permanente delle ostilità al fine di mettere a tacere le armi e creare un ambiente favorevole e gettare le basi per una pace sostenibile;
  • Ripristinare l’ordine costituzionale interrotto a causa del conflitto nella regione del Tigray;
  • Rifiutare la violenza come metodo per risolvere le divergenze politiche;
  • Garantire sicurezza per tutti;
  • Garantire una soluzione duratura del conflitto;
  • Fornire un quadro per affrontare le questioni derivanti dal conflitto;
  • Fornire un quadro per garantire la responsabilità per le questioni derivanti dal conflitto;
  • Favorire la riconciliazione e il ripristino dei legami sociali;
  • Facilitare la ripresa economica e la ricostruzione;
  • Impegnarsi ad affrontare le differenze politiche sottostanti;
  • Fornire un quadro per il monitoraggio e la verifica dell’attuazione dell’accordo.

Articolo 2 – Principi alla base della cessazione definitiva delle ostilità


Le Parti sono guidate dai seguenti principi:

  • Rispetto per la sovranità, l’integrità territoriale e l’unità della Repubblica Democratica Federale d’Etiopia (FDRE);
    • Legalità e rispetto delle norme e dei principi costituzionali sanciti dalla Costituzione FDRE;
    • Rispetto dei diritti umani fondamentali e delle norme e principi democratici;
    • Protezione dei civili;
  • Rispetto della Carta africana sulla democrazia, le elezioni e il governo;
    • Responsabilità e giustizia in conformità con la costituzione FDRE e il quadro politico di giustizia transitoria dell’UA;
    • Accesso umanitario senza ostacoli a tutti i bisognosi di assistenza;
    • L’uso degli aiuti umanitari esclusivamente a fini umanitari.
    • Riconciliazione e riabilitazione;
    • Sollievo e Ricostruzione;
    • Impegno in buona fede nell’attuazione della Cessazione delle ostilità e in tutte le fasi successive del processo di pace.

Articolo 3 – Cessazione definitiva delle ostilità

  • Le Parti si impegnano e dichiarano una cessazione immediata e permanente delle ostilità e si impegnano a disimpegnare le forze o i gruppi armati sotto il loro controllo;
  • Questa Cessazione Permanente di tutte le forme di ostilità includerà, tra l’altro; la cessazione degli atti di violenza palesi e nascosti; posa di mine; sabotaggio; attacchi aerei; atti di violenza diretti o indiretti; e sovversione o uso di proxy per destabilizzare l’altra parte o collusione con qualsiasi forza esterna ostile a una delle parti;
  • La Cessazione Permanente delle ostilità includerà la cessazione di tutte le forme di propaganda ostile, retorica e incitamento all’odio;
  • La cessazione permanente delle ostilità aprirà la strada al ripristino dell’ordine costituzionale nella regione del Tigray e al dialogo politico tra le Parti;
  • Le parti convengono di ripristinare la presenza dell’autorità federale a Mekelle al fine di creare un ambiente favorevole alla ripresa dei servizi pubblici nella regione e garantire la sicurezza degli abitanti della città. A tal fine, le Parti convengono che l’ENDF e le altre istituzioni federali pertinenti avranno un ingresso rapido, agevole, pacifico e coordinato a Mekelle, che sarà facilitato attraverso il canale di comunicazione aperto da stabilire tra gli alti comandanti delle Parti come di cui all’articolo 6, lettera c), del presente accordo.

Articolo 4 – Protezione dei Civili

  • Le Parti proteggeranno i diritti umani della popolazione civile e si impegnano a sostenere gli strumenti di diritto internazionale umanitario applicabili di cui l’Etiopia è parte;
  • Le Parti, in particolare, condannano qualsiasi atto di violenza sessuale e di genere, qualsiasi atto di violenza contro bambini, ragazze, donne e anziani, compreso il reclutamento e la coscrizione di bambini soldato, e sostengono il ricongiungimento familiare.

Articolo 5 – Accesso umanitario

  • Il governo della FDRE accelererà la fornitura di aiuti umanitari in collaborazione con le agenzie umanitarie tenendo conto delle esigenze specifiche dei gruppi vulnerabili, comprese le donne, i bambini e gli anziani; Le Parti cooperano a tal fine;
  • Le Parti si impegnano a cooperare tra loro e con le agenzie umanitarie competenti per aiutare a riunire le famiglie;
  • Il governo della FDRE si impegna a facilitare il rimpatrio e il reinserimento degli sfollati interni e dei rifugiati, ogniqualvolta la situazione di sicurezza lo consenta;
  • Le Parti garantiscono che l’aiuto umanitario sia utilizzato solo per scopi umanitari.

Articolo 6 – Disarmo, Smobilitazione e Reintegrazione (DDR)


I partiti:

  • Concordare e riconoscere che la Repubblica Federale Democratica dell’Etiopia ha una sola forza di difesa;
    • Progetta e attua un programma DDR completo per i combattenti TPLF coerente con la Costituzione della Repubblica Democratica Federale dell’Etiopia;
    • concordano sul fatto che entro 24 ore dalla firma del presente Accordo sarà istituito un canale di comunicazione aperto tra gli alti comandanti di entrambe le parti;
  • concordare di organizzare una riunione di alti comandanti entro 5 giorni dalla firma del presente Accordo per discutere ed elaborare modalità dettagliate per il disarmo dei combattenti TPLF, tenendo conto della situazione della sicurezza sul terreno;
    • Accettare di intraprendere il disarmo degli armamenti pesanti dei combattenti del TPLF in via prioritaria sulla base di un programma dettagliato da concordare tra gli alti comandanti delle Parti. Le attività di disarmo previste dal programma dovrebbero concludersi entro dieci giorni dalla conclusione della riunione degli alti comandanti. Il periodo di dieci giorni potrebbe essere prorogato sulla base della raccomandazione degli alti comandanti, da approvare dalle Parti.
    • Accettare di finalizzare il disarmo globale dei combattenti TPLF, comprese le armi leggere entro 30 giorni dalla firma del presente Accordo;
    • Concordo sul fatto che il piano di smobilitazione e reinserimento terrà conto delle esigenze di ordine pubblico della regione del Tigray.

Articolo 7 – Misure di rafforzamento della fiducia

  • Il TPLF deve:
  • Rispettare l’autorità costituzionale del governo federale, tutti gli organi costituzionali e gli organi del governo federale, inclusa ma non limitata all’autorità del governo federale di controllare tutte le strutture federali, le istituzioni e i confini internazionali del paese;
    • Astenersi dall’aiutare, favorire, sostenere o collaborare con qualsiasi gruppo armato o sovversivo in qualsiasi parte del paese;
    • Rispettare il mandato costituzionale del governo federale di schierare la Forza di difesa nazionale etiope, nonché le forze dell’ordine e di sicurezza federali per adempiere alle proprie responsabilità ai sensi della Costituzione, delle leggi e dei regolamenti pertinenti;
    • Astenersi dalla coscrizione, dall’addestramento, dal dispiegamento, dalla mobilitazione o dalla preparazione per conflitti e ostilità;
  • Fermare qualsiasi condotta che pregiudichi la sovranità e l’integrità territoriale dell’Etiopia, compresa la corrispondenza incostituzionale e le relazioni con le potenze straniere;
    • Cessate tutti i tentativi di realizzare un cambio di governo incostituzionale.
  • Il governo della FDRE:
  • Interrompere le operazioni militari contro i combattenti del TPLF;
    • Accelerare e coordinare il ripristino dei servizi essenziali nella regione del Tigray entro i tempi concordati;
    • Facilitare la revoca della designazione terroristica del TPLF da parte della Camera di

Rappresentanti dei Popoli;

  • Mobilitare e accelerare l’assistenza umanitaria per tutti i bisognosi nella regione del Tigray e in altre aree colpite e garantire un accesso umanitario senza ostacoli.

Articolo 8 – Confini internazionali e strutture federali

  • L’ENDF sarà dispiegato lungo i confini internazionali dell’Etiopia;
  • L’ENDF salvaguarderà la sovranità, l’integrità territoriale e la sicurezza del paese dalle incursioni straniere e assicurerà che non ci saranno provocazioni o incursioni da entrambi i lati del confine;
  • L’ENDF, la polizia federale e altri organi di sicurezza federali assumeranno il controllo completo ed efficace dello spazio aereo nazionale, della sicurezza e della protezione dell’aviazione e di tutte le strutture federali, le installazioni e le principali infrastrutture come aeroporti e autostrade all’interno della regione del Tigray.

Articolo 9 – Ripristino dell’Autorità federale nella regione del Tigray e rappresentanza nelle istituzioni federali

  • Le parti concordano sul ripristino dell’autorità federale nella regione del Tigray, compreso il controllo delle istituzioni e delle agenzie federali;
  • Il governo federale assicura e facilita la rappresentanza della regione del Tigray nelle istituzioni federali, compresa la Camera della Federazione e la Camera dei

Rappresentanti dei Popoli, in conformità con la Costituzione FDRE e le leggi applicabili.

Articolo 10 – Misure transitorie

  • Entro una settimana dall’attuazione dell’articolo 7 (2) (c) e fino a quando le elezioni per il Consiglio regionale e la Camera dei rappresentanti dei popoli si terranno sotto la supervisione del Consiglio elettorale nazionale etiope, l’istituzione di un’amministrazione regionale provvisoria inclusiva essere risolta attraverso il dialogo politico tra le Parti;
  • Una settimana dopo l’attuazione dell’articolo 7, paragrafo 2, lettera c), le parti avvieranno un dialogo politico per trovare soluzioni durature alle differenze politiche soggiacenti tra loro;
  • Il governo dell’Etiopia attuerà una politica nazionale di giustizia di transizione globale volta alla responsabilità, all’accertamento della verità, al risarcimento per le vittime, alla riconciliazione e alla guarigione, coerentemente con la Costituzione delle FDRE e il quadro politico di giustizia di transizione dell’Unione africana. La politica in materia di giustizia di transizione è sviluppata con i contributi di tutte le parti interessate e dei gruppi della società civile attraverso consultazioni pubbliche e processi formali di elaborazione delle politiche nazionali.
  • Le Parti si impegnano a risolvere i problemi delle aree contese in conformità con la Costituzione della Repubblica Federale Democratica dell’Etiopia

Articolo 11 – Monitoraggio, Verifica e Conformità

  • Le Parti convengono di istituire un meccanismo di monitoraggio, verifica e conformità per l’effettiva attuazione della Cessazione permanente delle ostilità. A tal fine, le parti convengono di istituire un comitato misto composto da un rappresentante di ciascuna parte, un rappresentante dell’IGAD e presieduto dall’Unione africana attraverso il gruppo di alto livello. Il comitato misto è assistito da un gruppo di esperti africani;
  • L’UA, attraverso il gruppo di alto livello, nominerà un gruppo di esperti africani per monitorare l’attuazione della cessazione permanente delle ostilità concordata ai sensi dell’articolo 3 del presente Accordo. Le parti nomineranno un esperto ciascuna per lavorare con il gruppo di esperti africani;
  • L’UA, attraverso il Panel di Alto Livello, si consulta con le Parti in merito ai termini di riferimento e al profilo degli Esperti;
  • Le funzioni specifiche degli esperti, compresi quelli con un background militare, sono concordate tra le Parti e l’UA, attraverso il Panel di alto livello;
  • Il numero degli esperti non deve superare dieci (10). Se sono necessari ulteriori esperti, ciò sarà concordato con le Parti;
  • La durata del mandato degli esperti è di sei mesi dalla data di invio degli esperti. Tale periodo potrà essere prorogato previo accordo con le Parti;
  • L’UA, attraverso il Panel di Alto Livello, può, d’intesa con le Parti, potenziare il lavoro degli esperti con immagini satellitari;
  • Qualora il gruppo di esperti riscontri casi di violazione della cessazione delle ostilità, informerà la parte interessata di adottare misure immediate per rettificare la violazione;
  • Informeranno altresì l’altra parte e il Comitato Paritetico di ogni comunicazione di cui al precedente comma. Se la violazione non viene sanata entro 24 ore, l’AU, tramite il Panel di Alto Livello, convocherà il Comitato Congiunto per risolvere il problema.

Articolo 12 – Attuazione in buona fede

  • Le Parti si impegnano ad attuare il presente Accordo in buona fede e ad astenersi da qualsiasi azione che pregiudichi e/o sia in contrasto con lo spirito e la lettera della presente Cessazione delle ostilità;
  • Le parti promuovono gli obiettivi della cessazione delle ostilità.

Articolo 13 – Dichiarazione congiunta e comunicazioni

  • Le Parti rilasceranno una dichiarazione congiunta sull’importanza del presente Accordo e sul loro impegno congiunto a lavorare per la pace e la stabilità nel paese;
  • Le Parti si impegnano a non fare alcuna dichiarazione unilaterale, in qualsiasi forma, che possa pregiudicare il presente Accordo;
  • Tutte le dichiarazioni pubbliche, in qualsiasi forma, delle parti supportano l’accordo e preparano il terreno per l’attuazione.

Articolo 14 – Data di entrata in vigore


Il presente Accordo entrerà in vigore alle 00:00 ora dell’Africa orientale (EAT) del 3 novembre 2022.

Articolo 15 – Modifiche al presente Accordo


Il presente Accordo può essere modificato di comune accordo tra le Parti, che deve essere in forma scritta e firmato dalle Parti.

Fatto a Pretoria, Repubblica del Sud Africa, il 2 novembre 2022 .

Per il governo delle FDRE Per il Fronte di liberazione popolare del Tigray

Sua Eccellenza Moussa Faki Mahamat, Presidente della Commissione dell’Unione Africana
Sua Eccellenza Olusegun Obasanjo, ex Presidente della Repubblica Federale della Nigeria e Alto Rappresentante dell’UA per il Corno d’Africa
Sua Eccellenza Uhuru Kenyatta, già Presidente della Repubblica del Kenya (Membro del Panel)

Sua Eccellenza il Dr. Phumzile Mlambo-Ngcuka, ex Vice Presidente della Repubblica del Sud Africa (Membro del Panel)


FONTE: martinplaut.com/2022/11/02/tex…


tommasin.org/blog/2022-11-03/e…



Israele nelle mani degli zeloti


Il sionismo religioso avanza, con un Netanyahu, a fine corsa, frontman di una Amministrazione che potrebbe diventare un paria tra i suoi vecchi amici americani, snobbato anche dai nuovi amici del Golfo. Gli elettori che hanno votato per la prima volta, ortodossi e non, giovani di origine russa: sono loro che hanno fortemente influenzato il voto e determinato la decisa svolta a destra

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La più alta affluenza ai seggi da decenni consegna a Netanyahu le chiavi per il ritorno al potere. Successo dell’ultradestra religiosa.Dei tanti soprannomi che gli hanno affibbiato in 20 anni di ribalta, “il Mago” è forse quello più indovinato.


Occhio per occhioVolano missili tra le due Coree. Ieri, i nordcoreani hanno lanciato in direzione sud almeno 100 colpi di artiglieria e 23 missili.


Elezioni politiche 2022: la solitudine dei numeri reali


“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) A futura memoria non è inutile ribadire numeri reali e crolli verticali di vincitori e vinti. Vincono le […]

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Guerre spaziali: come il conflitto tra Stati sta diventando extraterrestre


La guerra in Ucraina ha accelerato le prospettive di guerre spaziali in arrivo. In una dichiarazione del 26 ottobre alla discussione tematica sullo spazio esterno della 77a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il vice capo della delegazione russa Konstantin Vorontsov ha avvertito che l’uso delle infrastrutture civili dello spazio esterno e dei satelliti commerciali […]

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