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Roma e Milano piazze inconciliabili, sulla pace il Pd tagli la sirena populista


Da una parte lo spirito adolescenziale del corteo della Capitale a cui hanno partecipato i dem, dall’altra un doloroso realismo che fa davvero i conti con il conflitto. Miope non capire le differenze La reazione civile del nostro Paese al conflitto in cor

Da una parte lo spirito adolescenziale del corteo della Capitale a cui hanno partecipato i dem, dall’altra un doloroso realismo che fa davvero i conti con il conflitto. Miope non capire le differenze


La reazione civile del nostro Paese al conflitto in corso in Ucraina, che si è manifestata nelle adunate di piazza a Roma e a Milano nei giorni scorsi, rivela plasticamente due atteggiamenti politici differenti e antitetici nei confronti del dramma della guerra. Se la ragione di fondo che ha portato migliaia di cittadini a prendere parte a queste due manifestazioni è il rifiuto della guerra e l’esigenza comune della pace, la differenza inconciliabile tra di esse è il giudizio sul valore della resistenza ucraina.

Da Roma il giudizio è che l’Italia, nel nome della pace, dovrebbe sottrarsi al compito intrapreso sino a oggi di fornire armi al popolo ucraino, perché in questo modo si sta contribuendo a fomentare una fatale escalation bellica dagli esiti incerti e potenzialmente devastanti per l’intero pianeta. Questo giudizio rende ancora una volta inevitabilmente contraddittoria la presenza del Pd in quella piazza, poiché questo partito ha sempre coerentemente perseguito una linea di solidarietà politica e militare con il popolo ucraino. Sintomo che dovrebbe fare riflettere sullo stato di disorientamento profondo nel quale esso si trova.

Il problema non sono stati gli insulti rivolti a Letta, ma la sua presenza in quella piazza accanto a quella di altri importanti dirigenti del partito. Ai miei occhi si tratta di un doppio segnale: la sua attuale classe dirigente non è all’altezza del compito di una sua rifondazione; l’oscillazione continua su grandi temi indica la presenza interna di due anime profondamente inconciliabili: una massimalista e una riformista. Fintanto che questo nodo gordiano non verrà tagliato, il Pd si troverà sempre più in affanno e privo di una identità politicamente definita.

Il pacifismo che si è manifestato a Roma esprime in sostanza la vecchia logica dell’equidistanza: né con la Nato, né con Russia. Lo stesso che accadeva a sinistra sinistra nel tempo del terrorismo: né con lo Stato né con le Br. È quella logica del né/né che continua a permeare parti significative del Pd. Se la guerra è stata generata da una ambizione neo-imperiale e neo-coloniale che sospinge il totalitarismo di Putin a rivendicare la supremazia sui territori di un altro Paese giudicato strategicamente significativo, è necessario e doveroso aiutare il popolo aggredito con tutti i mezzi a nostra disposizione. Non dunque né/né, ma solidarietà piena alla democrazia offesa, alla libertà di un popolo e di uno Stato sovrano.

Indubbiamente la piazza di Milano appare agli occhi di quella di Roma come una piazza cinica e guerrafondaia. Ma il sillogismo della piazza romana resta purtroppo un sillogismo da anima bella: la guerra è in sé un orrore e, dunque, bisogna fermarla. Bisogna uscire dalla nostra inermità, afferma intrepidamente il vero leader politico di quella piazza e cioè Giuseppe Conte. Il carattere adolescenziale del movimento che guida ha trovato effettivamente un giusto erede. Sì, perché uscire dalla nostra inermità significherebbe consegnare il popolo ucraino, privato di armi e del sostegno delle sanzioni anti-russe, al disarmo impotente di fronte ad un aggressore spietato. L’appello alla pace e alla forza dissuasiva della parola di fronte ad una volontà criminale è sempre impotente.

In realtà, tutti noi avremmo voluto essere nella piazza di Roma, come tutti noi vorremmo credere che l’essere umano sia un essere di pace, dedito all’amore per il prossimo, disposto all’altruismo e alla amicizia. Ma il sogno adolescente del “mondo buono” si dissolve sotto i colpi acidi della realtà. Quella del pacifismo populista è la posizione che Hegel attribuiva all’anima bella che pretende di giudicare la storia dall’alto della sua condizione di purezza ideale senza accorgersi che lei stessa è intaccata sin nelle sue radici dall’infezione della storia. La piazza di Milano appare pertanto, nel suo realismo ostinato e doloroso, la piazza della vita adulta, del carattere duro, spigoloso, persino antipatico della vita adulta. Significa tenere la barra dritta, non rincorrere le illusioni puberali del populismo di ogni sorta.

Avere il coraggio politico di sostenere la necessità della guerra per difendere una pace che non sia una resa all’aggressore. È lo stesso atteggiamento – fatte le dovute proporzioni – che si dovrebbe tenere nei confronti delle nuove generazioni ecologiste che imbrattano i capolavori della nostra arte e bloccano il traffico nel nome della salvezza del pianeta mostrando come la difesa di un giusto ideale che non sa trovare i mezzi politici adeguati si trasformi fatalmente in un boomerang che rende quella stessa causa invisa. L’irresponsabilità adolescenziale della piazza romana consiste nel porre Russia e Ucraina sullo stesso piano.

In questo modo il pacifismo si ribalta su se stesso e diviene uno dei maggiori alleati del progetto neo-imperiale e neo coloniale di Putin. L’appello alla parola e al dialogo, alla pace e alla fine del conflitto che non tiene conto della realtà dei fatti, appare come una consegna di un intero popolo alla violenza criminogena della Russia putiniana. La piazza di Milano si rileva perciò come una piazza austera e severa. Non c’è niente da festeggiare. Nessuna bandiera arcobaleno. Per lo più solo bandiere ucraine. La guerra deve continuare, dichiara il “mostro” Zelensky, perché un popolo ha diritto alla sua libertà.

Ma cosa ci faceva il Pd nella piazza di Roma? Ancora una volta mescolato all’equivoco populista di una pace invocata a slogan contro ogni esigenza di giustizia per il popolo ucraino? Cosa ci facevano lì i suoi dirigenti che ancora oggi rivendicano incomprensibilmente il valore politico della loro presenza? Non sarebbe l’esistenza stessa di queste due piazze a gridare la necessità di una dimissione politica di massa dell’attuale gruppo dirigente? Milano non è Roma.

Sono due piazze dell’anima che non si possono confondere. In quella piazza decide di stare il Pd nel suo prossimo futuro? È vero che molti di quelli che sono stati a Milano avrebbero voluto essere a Roma perché l’esistenza della guerra apre in ciascuno di noi un dissidio profondo. Ma la politica implica il peso delle scelte e delle decisioni.

Scegliere Milano e non Roma è tagliare con la sirena populista, è fare i conti con il carattere inemendabile della realtà. Invocare la pace quando la guerra è necessaria a salvare la libertà è una scelta politica che ha delle conseguenze profonde. Come può il Pd ignorare queste conseguenze? Come può non distinguere tra la piazza di Milano e quella di Roma?

La Stampa

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Russia – Corea del Nord: partnership per aggirare le sanzioni


La dissonanza tra le due estremità del conflitto della periferia russa continua a ridursi poiché la situazione in Ucraina esercita un’influenza crescente sulla situazione della sicurezza nella penisola coreana. Lo sviluppo delle relazioni tra Corea del Nord e Russia dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia suggerisce che il multilateralismo volto a […]

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Armenia – Azerbaigian: la guerra dimenticata dall’Europa cristiana


Nelle prime ore dello scorso 13 settembre vi è stata una nuovaescalation militare nella regione del Nagorno Karabakh, ormai da moltissimi anni terra di conflitto tra Azerbaijan e Armenia. In Italia la comunità armena è presente praticamente da sempre. Nella città di Milano avvengono le prime iniziative consociali già dal 1915. Su iniziativa di alcuni […]

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Tutto pronto per le elezioni di metà mandato. Biden e Trump entrambi in Pennsylvania per eventi elettorali e c’è chi parla di ‘prova generale’ per il 2024.


USA, Midterm: ecco i negazionisti


Mentre Trump sta rilanciando accuse di possibili brogli, chiedendo di «fare attenzione al conteggio dei voti», la sua truppa di candidati negazionisti sta provando a conquistare posizioni chiave per sovvertire il processo elettorale del 2024 e oltre. Sono 12 al ruolo di segretario di Stato, 22 per l'incarico di governatore, 19 per il seggio di senatore

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Ucraina: inverno, altre battute d’arresto per la Russia?


“Le cose non stanno andando bene per noi sul campo di battaglia”, secondo quanto riferito dal quotidiano tedesco Der Tagesspiegel, l’importante conduttore russo Vladimir Soloviev ha detto a Rossiya 1 all’inizio di ottobre. Poco prima, si verificò la sconfitta dell’esercito russo tra Kharkiv e Kupyansk e la cattura ucraina della città strategicamente importante di 20.000 anime […]

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USA, Midterm: i 6 Stati da tenere d’occhio


Cuore del Midterm: Arizona, Georgia, Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, Nevada. Ecco chi vince e chi perde secondo l'analisi di 'Inside Elections' di Nathan L. Gonzales, riportata da 'CNN'

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Einaudi l’austriaco


Mises e Hayek, liberisti incompresi. Il ritardo con cui l’Italia li recepì (e si vede), poi recuperato grazie all’economista che salì al Quirinale La prima recezione nel nostro paese delle teorie formulate dagli esponenti della Scuola austriaca di economi

Mises e Hayek, liberisti incompresi. Il ritardo con cui l’Italia li recepì (e si vede), poi recuperato grazie all’economista che salì al Quirinale


La prima recezione nel nostro paese delle teorie formulate dagli esponenti della Scuola austriaca di economia è avvenuta in ritardo e con difficoltà. Apparsi originariamente nel 1871, i “Grundsätze der Volkswirtschatslehre” di Carl Menger sono stati tradotti in italiano solamente nel 1909 e sono stati accompagnati da una prefazione in cui Maffeo Pantaleoni affermava che la prima lacuna dell’opera stesse nella mancanza della “concezione dell’equilibrio generale economico”.

Il maggior pregio delle pagine mengeriane, la spiegazione del processo economico tramite le scelte individuali, veniva in tal modo presentato come il loro maggiore limite. Per avere una più attenta valutazione del contributo teorico della Scuola austriaca di economia, occorrerà attendere Luigi Einaudi, il quale ha visto in tale Scuola una fervida fucina di strumenti concettuali e una straordinaria fonte di impegno morale. Avendo in mente soprattutto Ludwig von Mises e Friedrich A. von Hayek, Einaudi non ha esitato a scrivere: “Pretendono costoro di spiegare (…) i fatti che accadono attorno a noi.

Alcuni di essi, i più pugnaci dell’eletta schiera, i giovani viennesi eredi della gloriosa scuola dei Menger, dei Böhm-Bawerk e dei Wieser pretendono, con quelle sottigliezze, di spiegare la vera causa della distruzione, la quale va compiendosi giorno per giorno sotto i loro occhi, della economia austriaca; e poiché la vera causa non è, se non in piccolissima parte, il divieto alla piccola Austria di unirsi alla grande Germania, essi difendono, senza farlo di proposito, l’indipendenza del loro paese”. Questi giovani economisti, i cui concetti hanno una rara “potenza chiarificatrice”, “danno speranza di diventare una delle maggiori forze spirituali del mondo”.

Nel momento in cui Einaudi esprimeva tale giudizio, aveva già una conoscenza diretta di Ludwig von Mises. Quest’ultimo si trovava nel 1926 negli Stati Uniti, con una borsa Laura Spelman, offerta dalla Rockefeller Foundation. Assieme a lui c’erano Johan Huizinga, Bronislaw Malinowski e altri. Facevano tutti parte di un gruppo di studiosi, impegnati in un tour di lezioni in varie università americane.

E’ stata un’esperienza che si è protratta per alcuni mesi e che si è conclusa con la partecipazione, presso la facoltà di Economia della Harvard University, a un dibattito presieduto da Frank W. Taussig. Einaudi e Mises si sono conosciuti in quella circostanza. E il loro scambio intellettuale è continuato per il resto della loro vita. Quando in fuga dal nazismo Mises ha trovato accoglienza negli Stati Uniti, stabilendosi a New York, Mario Einaudi gli ha reso visita, recandogli messaggi del padre. I coniugi Mises sono stati ospiti nell’agosto del 1953 al Quirinale e poi nel settembre 1961 a Dogliani.

Per ovvia questione anagrafica, i rapporti fra Hayek ed Einaudi sono nati più tardi. In una lettera del 19 marzo 1932, Einaudi ringrazia Hayek per l’invio dell’edizione tedesca di “Prices and Production” e gli promette una recensione su La Riforma sociale. Tale recensione appare subito dopo a firma di Attilio Cabiati. Non solo. Hayek aveva curato nel 1931 l’edizione tedesca dell’ “Essai sur la nature du commerce en général” di Richard Cantillon.

Ed Einaudi gli chiede l’autorizzazione a ospitarne, tradotta in italiano, l’introduzione su La Riforma sociale. La risposta di Hayek non tarda (25 marzo). Lo studioso austriaco accoglie con compiacimento la proposta: “Le sono molto grato per l’interesse rivolto al mio saggio su Cantillon e mi sentirò lusingato di vederlo sulla sua rivista”. Da raffinato bibliofilo, Einaudi possedeva una copia della prima edizione dell’“Essai”, recante la firma di Antoine-Laurent de Lavoisier, il grande chimico ghigliottinato sotto il Terrore. E, quando nel 1955 ha voluto rendere disponibile in italiano una nuova traduzione dell’opera di Cantillon, ha giudicato l’introduzione hayekiana come “il migliore strumento sinora venuto alla luce per la conoscenza della vita e del pensiero” di quell’autore.

L’attenzione rivolta da Hayek e da Einaudi all’“Essai sur la nature du commerce en général” non è questione di poco conto. Hayek si è soffermato su quell’opera nello stesso periodo in cui stava lavorando alle sue lezioni su “Prices and Production” che segnano il suo ingresso alla London School of Economics. Quelle lezioni si aprono esattamente con una citazione di Cantillon, riguardante il carattere sequenziale del processo inflazionistico: il fatto cioè che i prezzi non aumentano simultaneamente e che non tutti gli attori possono adeguare nella stessa misura le proprie remunerazioni. Cambiano così i prezzi relativi e, quando ciò avviene, si realizza una redistribuzione della ricchezza. A tutto ciò è stato dato il nome di “effetto Cantillon”. Il che costituisce uno degli elementi di base della teoria austriaca del ciclo economico.

La parte più significativa delle relazioni fra Hayek ed Einaudi si è svolta nel secondo dopoguerra. Lo studioso austriaco pensava già da tempo alla costituzione di quella che sarebbe poi stata la Mont Pèlerin Society, un’associazione internazionale fra i maggiori esponenti della cultura liberale. Lo stesso Hayek ha ricordato: “Ho abbozzato per la prima volta il progetto (…) davanti a un piccolo gruppo (la Political Society) presieduto da Sir John Clapham”. Era il 28 febbraio del 1944; la relazione di Hayek era titolata “Historians and the Future of Europe”; la riunione si teneva al King’s College di Cambridge, città in cui, dopo i primi bombardamenti di Londra, la London School of Economics si era trasferita.

Non appena ripristinate le comunicazioni postali, Hayek comincia a coinvolgere nel suo piano i più accreditati studiosi di orientamento liberale. E il 28 dicembre del 1946 invia una lettera a un cospicuo numero di destinatari, specificando che l’obiettivo sarebbe stato quello di costituire “un’associazione internazionale di studiosi, una sorta di accademia internazionale di filosofia politica”. Fra i destinatari italiani, ci sono Luigi Einaudi, Carlo Antoni e Costantino Bresciani-Turroni.

La copia pervenuta a Einaudi contiene delle aggiunte fatte di pugno, in cui c’è l’insistente richiesta di “sostegno” e di “collaborazione”. La risposta di Einaudi è del 22 gennaio del 1947. Egli era in quel momento impegnato, attraverso lo svolgimento di vari incarichi pubblici, nella ricostruzione dell’economia italiana. Nella sua lettera, si legge fra l’altro: “All’inizio dello scorso dicembre, ho avuto l’opportunità di incontrare a Zurigo il professor Röpke e il Signor Hunold, i quali mi hanno informato della riunione programmata per la prossima Pasqua nelle vicinanze di Vevey. Ho già dato loro, in via di principio, il mio consenso. Dico in via di principio, perché non posso prevedere, con tanto anticipo, quali saranno gli impegni derivanti dai miei doveri di ufficio. (…) Il prof. Antoni mi ha informato che verrà con piacere”.

Qualche giorno dopo, il 4 febbraio, Einaudi si dichiara disponibile ad aprire la discussione assieme a Hans Kohn e a Bertrand de Jouvenel. Ribadisce però l’impossibilità di dare certezza alla sua presenza. In realtà, Carlo Antoni è stato l’unico italiano a partecipare alla riunione costitutiva della Mont Pèlerin Society.

Nel corso della sua relazione introduttiva, Hayek ha tuttavia letto una lunga lista di studiosi che, seppure non presenti, avevano dato la propria adesione all’iniziativa. E, soffermandosi in occasione successiva su quei nomi, ha precisato che tutti hanno poi aderito alla Mont Pèlerin Society. Nella lista di quegli studiosi, compaiono Luigi Einaudi e Bresciani-Turroni (quest’ultimo aveva da poco curato l’edizione italiana di “Collectivistic Economic Planning”, il volume in cui Hayek aveva raccolto nel 1935 le maggiori critiche che fino al momento erano state formulate nei confronti dell’economia pianificata).

Il 20 settembre dello stesso anno, Hayek si trova in vacanza a Soprabolzano. E di lì invia una lettera manoscritta a Einaudi, con la quale annuncia di essere stato invitato a tenere due lezioni a Roma da Roberto Ago e di volere approfittare della circostanza per organizzare un incontro. Hayek prega Einaudi di rendere partecipi anche gli “amici” Bresciani e Antoni. Il segretario di Einaudi, Antonio d’Aroma, comunica il 30 settembre a Hayek, già a Roma, che l’incontro avverrà il giorno dopo a cena e che Bresciani-Turroni e la moglie passeranno dall’albergo (Ludovisi) e lo accompagneranno in automobile.

L’elezione di Einaudi al Quirinale non ha interrotto i rapporti con Hayek. Il carteggio lo testimonia ampiamente. Una lettera di Einaudi del 29 settembre 1951 si conclude con la seguente affermazione: “Non dimentichi che, nel caso abbia la possibilità di visitare l’Italia, sarò ben lieto di spendere qualche ora con lei”. Hayek avrebbe voluto che Einaudi aprisse i lavori della riunione di Venezia (settembre 1954) della Mont Pèlerin Society. Ha reso pubblica questa sua idea tramite una comunicazione del 27 marzo 1954, diretta ai membri dell’associazione. Ma non dava per certa la presenza dell’allora presidente della Repubblica italiana. Metteva al riparo il suo progetto con un “probabilmente”. In una lettera a Hayek dell’11 maggio 1954, Antonio d’Aroma prende tempo. Dichiara che gli impegni istituzionali di Einaudi non permettono ancora una decisione definitiva. E tuttavia, come aveva già osservato Antoni (lettera a Hayek del 23 aprile), forse Einaudi riteneva che la sua posizione non gli consentisse di fare quanto gli veniva chiesto.

Hayek avrebbe voluto Einaudi a Venezia. Ed Einaudi avrebbe voluto accogliere l’invito. Ma il ruolo da questi svolto in quel momento ha impedito alle loro personali preferenze di realizzarsi. Un ristretto gruppo di partecipanti a quella riunione della Mont Pèlerin Society ha comunque incontrato Einaudi. Era assente Mises, trattenuto a New York da ragioni di salute. Tramite Mary Sennholz, Einaudi gli ha mandato un caloroso messaggio. C’è testimonianza di ciò in una lettera del 4 giugno 1956, in cui Mises auspica di potersi presto rivedere. Einaudi ha partecipato, nel settembre del 1961 alla riunione della Mont Pèlerin Society, organizzata a Torino da Bruno Leoni. E’ stato quello il suo ultimo intervento pubblico. C’è un momento dei rapporti fra Luigi Einaudi e Hayek che merita una particolare sottolineatura. Era il 1945. Su suggerimento di Luigi Einaudi, il figlio Giulio chiede a Hayek, tramite l’agenzia Sanford J. Greenburger, i diritti per la traduzione italiana di “The Road to Serfdom”.

Il contratto viene firmato da Mario Einaudi. Trascorrono circa undici mesi, senza alcuna “diretta informazione” da parte della casa editrice. Hayek decide allora di rivolgersi a Luigi Einaudi. E scrive: “Ho comunque saputo da più di una fonte che, in conseguenza del mutamento delle convinzioni politiche dell’editore, la traduzione non viene fatta (…). Non desidero procrastinare a tempo indeterminato la pubblicazione della traduzione italiana del mio libro e le sarei molto grato se potesse assistermi nella chiarificazione di quanto accaduto e, se possibile, nella tutela dei miei diritti. Penso che, in considerazione del suo stretto legame con l’editore, potrebbe esserle facile aiutarmi. Ma se, e può essere possibile, ciò la rende esitante a interferire, avrà ovviamente la mia comprensione e agirò tramite i canali ordinari”.

La risposta di Luigi Einaudi è dell’8 febbraio 1946. E riporta il testo di una lettera firmata da un dirigente della casa editrice di Giulio Einaudi, formalmente rassicurante: “La preghiamo di scrivere al professor Hayek che è sempre nostra intenzione pubblicare ‘The Road to Serfdom’. Come impresa, non ci proponiamo di seguire una direzione politica di parte; abbiamo pubblicato e intendiamo pubblicare lavori di diversa tendenza, da Togliatti a Lippman, da Roepke a Schumpeter. Durante gli anni del fascismo, abbiamo perseguito, non senza pericolo, la stessa linea.

Il nostro scopo è dare un contributo alla rinascita morale e civile del nostro paese, su basi democratiche. Il ritardo nella pubblicazione del libro non è imputabile a noi; ma alla molto brutta traduzione fatta da una signora presentataci dal senatore Benedetto Croce. Dopo aver cercato di convincerla a migliorare il manoscritto, siamo stati costretti a restituirlo. La Signora Elena Craveri, figlia di Croce, ha anche lei considerato la traduzione improponibile. Stiamo ora cercando di assicurarci, prima possibile, una nuova traduzione”.

Al testo di tale lettera Luigi Einaudi aggiunge di suo di essere felice di potere fornire la spiegazione richiesta. Rammenta inoltre di essere stato egli stesso a suggerire al figlio di assicurarsi i diritti per l’edizione italiana dell’opera. Sembrava che tutto dovesse andare a buon fine. Ma non è stato così: perché la risposta fatta dare da Giulio Einaudi al padre e a Hayek si è poi rivelata un inganno. E la traduzione di “The Road to Serfdom” è apparsa da Rizzoli nel 1948.

Il Foglio

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4 percorsi per lavorare nel sociale


Chi desidera lavorare nel sociale può trovare diversi percorsi utili, anche per via del fatto che per alcune professioni o figure non viene richiesta la laurea. Oggi questi lavori attirano un numero sempre maggiore di persone, e si parla soprattutto di coloro che hanno a cuore il destino e la sorte degli individui meno fortunati […]

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Cina – Arabia Saudita: Xi Jinping nel campo minato mediorientale


Il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha toccato tutte le corde giuste quando ha parlato virtualmente con il suo omologo saudita, il Principe Faisal Bin Farhan, in una riunione del Comitato misto ad alto livello Cina-Arabia Saudita il mese scorso. Wang ha detto a Bin Farhan: “La Cina attribuisce grande importanza allo sviluppo delle relazioni […]

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Cronache di Lavoro & Welfare – Smartworking: una trappola per la produttività?


Il 15 novembre, alle ore 18.30, presso l’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi, in via della Conciliazione 10, a Roma, si terrà un incontro dal titolo “Smartworking: una trappola per la produttività?”. L’evento è il primo del ciclo di incontri “Cro

Il 15 novembre, alle ore 18.30, presso l’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi, in via della Conciliazione 10, a Roma, si terrà un incontro dal titolo Smartworking: una trappola per la produttività?”.

L’evento è il primo del ciclo di incontri “Cronache di Lavoro & Welfare”, un percorso composto di cinque sessioni, durante le quali saranno affrontati i maggiori temi di attualità inerenti la cosiddetta politica sociale. A questa materia, infatti, Luigi Einaudi si dedicò nel semestre di primavera del 1944 nei due campus universitari dell’Università di Ginevra e della Scuola di ingegneria di Losanna, tenendo un corso rivolto a studenti italiani iscritti nelle facoltà di giurisprudenza.

Durante questi seminari – in modo profetico – anticipava molte, per non dire tutte, le tematiche che avrebbero occupato e ancora occupano il campo di discussione del welfare state, dal salario alla previdenza, dall’assistenza sanitaria alla previsione di una pensione generale.

Relazione introduttiva:


Riccardo Fratini, Dottore di ricerca in diritto del lavoro e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi

Intervengono:


Raffaele Bonanni, già Segretario Generale della Cisl e Presidente della Fondazione Spaventa

Cesare Damiano, Deputato della Repubblica e già Ministro del Lavoro

Roberta Toffanin, già Senatrice della Repubblica e imprenditrice

Modera:


Raffaele Marmo, giornalista

Il convegno sarà fruibile anche in diretta streaming sul canale YouTube e sulla pagina Facebook della Fondazione.

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Midterm: i repubblicani sono davvero pronti a frenare gli aiuti all’Ucraina?


Il leader della minoranza alla Camera Kevin McCarthy ha sollevato le sopracciglia in ottobre quando ha detto che non ci sarebbe stato alcun ‘assegno in bianco’ per l’Ucraina se i repubblicani avessero conquistato il controllo del Congresso. Ora sul punto di diventare presidente della Camera, solleva interrogativi sul fatto che anche una singola camera controllata […]

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EU governments open the door for biometric mass surveillance in public spaces


Today, the EU Council Presidency’s proposal for a regulation on the use of Artificial Intelligence (AI) was leaked. Patrick Breyer, German Pirate Member of the European Parliament, … https://www.patrick-breyer.de/wp-content/uploads/2022/11/LEAK_CLEAN-CZ_

Today, the EU Council Presidency’s proposal for a regulation on the use of Artificial Intelligence (AI) was leaked. Patrick Breyer, German Pirate Member of the European Parliament, warns that the proposal would open the door for biometric mass surveillance in public spaces on a broad scale:

„This proposal would justify the permanent and ubiquitious deployment of face surveillance to look for the thousands of ‚victims‘, ‚threats‘ and suspects of ‚serious crime‘ that are wanted at any time. We need to prevent a China-style dystopian future of biometric mass surveillance in Europe! This technology is being abused by authoritarian countries such as Russia or Iran, is this the direction our governments want to take us?

With error rates (false positives) of up to 99%, ineffective facial surveillance technology bares no resemblance to the targeted search that proponents are trying to present it as. There is not a single example of real-time biometric surveillance preventing a terrorist attack, finding „missing children“ or other such events.

We must stand up against biometric mass surveillance in our public spaces because these technologies wrongfully report large numbers of innocent citizens, systematically discriminate against under-represented groups and have a chilling effect on a free and diverse society. Legislation allowing for indiscriminate mass surveillance has consistently been annulled by the courts due to their incompatibility with fundamental rights. The European Parliament will need to fight to have this ban implemented in the AI Act!“

According to a representative survey conducted by YouGov in 10 EU countries, a majority of Europeans opposes biometric mass surveillance in public spaces.

The European Data Protection Board and European Data Protection Supervisor have called for a „general ban on any use of AI for an automated recognition of human features in publicly accessible spaces“ due to its „resulting in a direct negative effect on the exercise of freedom of expression, of assembly, of association as well as freedom of movement“.

More than 200 civil society organizations, activists, tech specialists, and other experts around the world are advocating a global ban on biometric recognition technologies that enable mass and discriminatory surveillance, arguing that „[t]hese tools have the capacity to identify, follow, single out, and track people everywhere they go, undermining our human rights and civil liberties“.

The UN High Commissioner for Human Rights is also speaking out against the use of remote biometric recognition technologies in public spaces, referring to a „lack of compliance with privacy and data protection standards“, „significant accuracy issues“ and „discriminatory impacts“.

The European Parliament in a resolution voted in favour of a ban last year. Tomorrow an event on „Banning Biometric Mass Surveillance“ will take place in the European Parliament, bringing together high-level Members of the European Parliament.


patrick-breyer.de/en/eu-govern…

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Oggi il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara è intervenuto a “Tutti in classe”, in onda ogni il lunedì su Rai Radio 1, per affrontare tematiche riguardanti il merito, il ruolo e la dignità del lavoro dei docenti, l’orientamento, i…


PALESTINA. VIDEO/FOTO. Le olive di Shireen a rischio aggressioni


La raccolta delle olive è una tradizione antica nella cultura sociale palestinese. Negli ultimi anni viene sempre più spesso interrotta dalle intimidazioni dei coloni israeliani insediati nella Cisgiordania occupata da Israele nel 1967. L'articolo PALEST

Dei partecipanti al viaggio di conoscenza “Tutti a raccolta 2022” organizzato da Pax Christi

Pagine Esteri, 31 ottobre 2022 – “La raccolta delle olive inizia sempre dagli alberi a ridosso dell’insediamento israeliano di Bitar Illit. È qui che siamo più esposti al rischio di attacchi da parte dei coloni, è qui che la presenza di internazionali è fondamentale”.

Shireen è al lavoro dalle 7 del mattino assieme alla sua numerosa famiglia. Mentre con un fazzoletto si asciuga ripetutamente il sudore che le scende copioso dal viso, Shireen sale e scende veloce dagli alberi per coordinare e gestire il gruppo di volontari italiani arrivati nel villaggio di Husan per la raccolta delle olive.

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Lei e il fratello si occupano della potatura degli alberi mentre la mamma e la zia setacciano le olive prima di metterle nei sacchi, circondate dai tanti nipoti di ogni età che giocano felici rincorrendosi tra i campi. Come per ogni palestinese, la raccolta delle olive è una tradizione che fa parte della propria identità nazionale e che coinvolge l’intera famiglia scandendo i ritmi della giornata nei mesi di ottobre e novembre.

“Ogni giorno siamo minacciati dalla politica coloniale. Poche settimane fa le autorità israeliane hanno iniziato a costruire una nuova strada che dall’insediamento di Bitar Illit, costruito su terra degli abitanti di Husan e di altri villaggi palestinesi, porta dritta verso Hebron. Quindici dei nostri olivi sono stati completamente ricoperti di terra e massi. Ormai sono morti, soffocati. Nessuno è venuto a rimuovere i detriti, anzi, a metà ottobre hanno tagliato i rami dei pochi alberi sopravvissuti” ci racconta Shireen dall’alto di un ulivo.

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Proprio per evitare gravi atti di violenza e di saccheggio da parte dei coloni, i palestinesi che hanno terre a ridosso delle colonie sono molto spesso accompagnati nella raccolta delle olive da volontari internazionali il cui scopo è quello di prevenire e monitorare eventuali violazioni e violenze da parte dei coloni.

“Molto spesso però anche la presenza internazionale non è sufficiente” ci racconta Badee Dwaik, direttore dell’oganizzazione Human Rights Defenders di Hebron. “Mercoledì 19 ottobre i coloni di Ma’ale Amos hanno attaccato un gruppo di persone che stava aiutando i palestinesi nella raccolta delle olive nel villaggio di Kisan, nell’area di Betlemme. Una donna di 70 anni è stata accoltellata e portata d’urgenza in ospedale con numerose ferite sul corpo e una gamba rotta”.

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Non si tratta di un episodio isolato. Come ogni anno, durante i mesi di raccolta si registra un aumento esponenziale della violenza e delle aggressioni dei coloni contro i contadini palestinesi dal nord al sud della Cisgiordania. Nello stesso villaggio di Kisan, i coloni hanno sradicato 300 olivi e spruzzato gli alberi con pesticidi chimici incendiari. A Jamaeen e a Qaffin, vicino a Nablus, i contadini palestinesi sono stati attaccati a sassate e sono stati costretti a sospendere la raccolta. Faz3a, la campagna del Coordinamento dei Comitati Popolari di Resistenza, costituita da attivisti palestinesi che lottano contro il colonialismo israeliano in diverse città e villaggi e che in questo periodo supportano le comunità locali nella raccolta delle olive, ha denunciato numerosi episodi di violenza: nel villaggio di At-tuwani, nell’area di Masafer Yatta, attivisti palestinesi e internazionali sono stati attaccati con gas lacrimogeni; a Turmosaya, nella zona di Ramallah, i coloni hanno appiccato fuoco ai campi di olivi e ad alcune auto palestinesi, mentre nel vicino villaggio di Jeibiya, un attivista palestinese è stato ricoverato in ospedale a seguito di un’aggressione e 10 auto sono state distrutte a sassate. Pagine Esteri

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LIBRI. Poesia. Mahmud Darwish, ovvero la saggezza del condannato a morte


Nel volume, edito dalla Emuse, stati inclusi testi di ogni fase del vissuto del grande poeta palestinese, da quando ha iniziato a scrivere lettere sulla libertà e sull’amore in Palestina, fino alle domande esistenziali poste dal suo dialogo con l’esilio f

della redazione

Pagine Esteri, 7 novembre 2022 – E’ in uscita nei prossimi giorni, “La saggezza del condannato a morte e altre poesie” (Edizione Emuse, 12 Euro) del grande poeta palestinese Mahmud Darwish.

Orizzonte di riferimento del libro sono stati i tre “personaggi” che emergono dalla sua produzione poetica: l’elegante erudito che esprime il suo amore virtuoso per la terra madre, la Palestina, e per l’amata immaginaria, l’io frammentato e il cantore della patria palestinese.

La miscellanea è composta da ventotto poesie, nove per ciascuno dei tre nuclei tematici: dell’amore, dell’io e della patria, precedute dal carme E noi amiamo la vita, selezionate con estrema cura all’interno dell’intera attività poetica di Darwish. Sono stati inclusi testi di ogni fase del suo vissuto poetico, da quando ha iniziato a scrivere lettere sulla libertà e sull’amore dalla sua terra in Palestina, fino alle domande esistenziali poste dal suo dialogo con l’esilio forzato dalla sua terra. La sequenza di questi temi e delle poesie al loro interno è un tentativo di ritrarre un volto italiano basato sulla musicalità lirica che ha accompagnato l’anima di Darwish investendone il linguaggio, nel tentativo di restituire un frammento della sua anima.

Il volume è stato curato e tradotto dal poeta italo-siriano Tareq Aljabr, in collaborazione con Sana Darghmouni, docente di arabo all’Università di Bologna, e Emiliano Cribari, poeta italiano, in un percorso che ci ha visti lavorare a stretto contatto con la Fondazione Mahmoud Darwish di Ramallah.

Vorremmo che questo libro potesse diffondersi, parlare, continuando a trasmettere il messaggio poetico e politico di Darwish e vi saremmo davvero grati se poteste contribuire in qualche modo alla sua diffusione attraverso la promozione sui vostri canali (materiali in allegato).

La saggezza del condannato a morte e altre poesie” dal 10 NOVEMBRE sarà disponibile in tutte le librerie e on-line: emusebooks.com/libri/mahmud-da…

Mahmud Darwish (1941-2008) è nato a al-Birwa, nell’alta Galilea. Durante la creazione dello Stato di Israele nel 1948, il suo villaggio fu distrutto dalla milizia israeliana e la sua famiglia fu costretta a scappare in Libano, rientrando segretamente in patria l’anno successivo. Da giovane, Darwish dovette affrontare gli arresti domiciliari e la reclusione da parte delle autorità israeliane per il suo attivismo politico e per aver letto pubblicamente le sue poesie. Per ventisei anni, fino al 1996, anno del suo rientro in Palestina, visse in esilio tra Mosca, il Cairo, il Libano, la Tunisia e Parigi. Considerato il poeta più eminente della Palestina, e uno dei più grandi poeti arabi contemporanei, Mahmud Darwish ha pubblicato una trentina di raccolte di poesie e prose, tradotte in oltre venti lingue. Pagine Esteri

Nota per i lettori

La prima presentazione del libro è prevista nell’ambito di Bookcity, il 20 Novembre 2022, Ore 12:00, al Teatro Franco Parenti di Milano con l’incontro “L’io, la Palestina, l’amore. Mahmud Darwish, poeta tra parole transitorie” con Tareq Aljabr, Emiliano Cribari, Sana Darghmouni e Paolo Branca. Sarà l’occasione di fare conoscere l’opera di Darwish come contributo al dialogo tra culture e come occasione di riflessione.

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Elon Musk: un genio fanfarone padrone della comunicazione mondiale


Quanto si sta parlando di Twitter in questi giorni! E come mai Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo spende una cifra pazzesca per assicurarsene il controllo? Twitter, dopo polemiche e lotte di scalate che potrebbero essere temi di serial televisivi, con Jack Dorsey Dorsey, un informatico di St. Louis nel Missouri, è stata fondata […]

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I cavalli che hanno vinto di più e segnato la storia


Nel mondo delle corse e dell’ippica ci sono stati buoni cavalli e cavalli invece che hanno fatto la storia, segnando una generazione. Alcuni di questi sono diventati addirittura delle icone, non solo dello sport, rappresentando il cambiamento e la nascita di nuove dinastie. Ribot, Grundy, Nearco, fino al leggendario Varenne, sono solo alcuni dei nomi […]

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione.

🔸 Primo incontro tra il Ministro Valditara e i sindacati della scuola

🔸 Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate: la lettera del Min…



Contare


In vista della legge di bilancio – in comprensibile ritardo a causa delle elezioni – ritoccate le previsioni di finanza. Comprensibile che serva un po’ di tempo, per impostare la legge di bilancio. Con una crescita dello 0,6% (quindi non la recessione), c

In vista della legge di bilancio – in comprensibile ritardo a causa delle elezioni – ritoccate le previsioni di finanza. Comprensibile che serva un po’ di tempo, per impostare la legge di bilancio. Con una crescita dello 0,6% (quindi non la recessione), con un deficit alto, ma non sfondando e, anzi, tagli alla spesa corrente (800 milioni nel 2023, 1,2 miliardi nel 2024 e 1,5 nel 2025, a valere sulle spese ministeriali). Continuità, quindi.

Alcune decisioni sono rivelatrici: riavviare le perforazioni e l’estrazione di gas dall’Adriatico – così come impostato dal governo precedente – dimostra un salutare pragmatismo, considerato che chi oggi governa (come tanta parte di chi oggi s’oppone) portò il proprio chiassoso e masochista (forse direbbero: antinazionale) contributo al referendum “NoTriv”. Si trivella, dunque. Fortunatamente sono stati incoerenti.

Ragionevole che i primi incontri fra il nuovo governo italiano e i vertici delle istituzioni dell’Unione europea siano serviti a presentarsi e prendere contatti. E, del resto, solo la propaganda antieuropeista poteva pensare esistesse una quale che sia preclusione verso un governo democratico: contano i fatti.

Visto che la propaganda ha portato alla vittoria, si torna alla realtà. Bene, quindi. Anche se risulta un filo retorico e azzardato sostenere che “ora” si vuole “contare di più”, perché sarà dura che l’Italia conti più di quel che le è stato possibile per un paio d’anni, a cura di un Draghi che non è stato affatto accomodante ma decisamente competente.

Ha ragione la presidente del Consiglio quando, dopo quegli incontri, ha affermato: «Ho smontato una narrativa». Vero, quella di chi descriveva le istituzioni europee come ostili ai nostri interessi nazionali. Dall’altra parte si era solo curiosi di sapere se il Paese più finanziato fosse veramente governato da chi considera i finanziatori «una banda di usurai».

Non è così e speriamo di averla chiusa lì, con quella stolta narrativa. Meloni ha anche fatto sapere di avere chiesto, per fronteggiare i guasti sul fronte dell’energia, di strutturare debito comune «sul modello Sure». Dove la notizia non è averlo chiesto (lo aveva già proposto il governo precedente, in accordo con la Francia), ma l’essersi accorti che esiste un «modello Sure» e che è già attivo del debito comune. Benvenuti nella realtà, che non coincide affatto con la precedente «narrativa».

Debito comune significa vincoli comuni. Corresponsabilità nell’onorarlo significa meno margini di autonomia nella spesa pubblica, quindi nella legge di bilancio. E qui si torna al punto di partenza, senza ancora approdo. Se si hanno debiti, vincoli e responsabilità comuni, poi non si può pensare di spendere a piacimento. I bilanci e i contribuenti di altri Paesi Ue rispondono anche delle nostre scelte, per questa ragione vincolate. Lo si tenga presente, cambiando «narrativa».

A tal proposito: ci sono crediti inesigibili, soldi che devo legittimamente avere e che so essere non incassabili, nel qual caso – sebbene con dolore – devo cancellare quel credito. Vale anche per cartelle esattoriali, tasse e imposte non pagate. Ma perché siano inesigibili occorre che si sia fatto tutto il necessario per esigerli, altrimenti la cancellazione si chiama condono.

E il condono è uno schiaffo agli onesti. Una pernacchia in faccia. Come lo è avere stabilito delle multe per chi non si vaccina e poi toglierle spiegando che ha avuto ragione a sottrarsi a un obbligo. Tale «narrativa» è l’opposto di “legge e ordine”, essendo prepotenza e disordine.

A settembre l’occupazione è cresciuta di 46mila unità, lo 0,2% in un mese e 316mila in un anno, +1,4%. La maggior parte sono contratti a tempo indeterminato. Cresce anche il numero dei giovani disoccupati (23,7% nella fascia d’età 15-24 anni), ma questo ha un suo risvolto positivo: non sono persone che hanno perso il lavoro ma che si sono decise a cercarlo, ritenendolo possibile. Dati, questi, coerenti con la crescita della ricchezza nazionale, che è stata positiva anche nel trimestre previsto in negativo. Questa è la realtà, ben diversa dalla trasversale «narrativa» elettorale.

Crescita e serietà hanno reso possibili margini significativi per finanziare aiuti per le bollette, che si aggiungo a quelli già attivi. Il realismo aiuta a contare, senza sbagliare i conti.

La Ragione

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PODCAST. Meron Rapoport: “L’uomo forte del governo israeliano sarà il suprematista Ben Gvir”


Parla l'ex caporedattore di Haaretz, Meron Rapoport, oggi analista per varie testate giornalistiche: "Il futuro premier Netanyahu è dipendente dal leader dell'estrema destra che farà il possibile per attuare la sua agenda razzista. Sarà presa di mira in p

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 7 novembre 2022 – Le ripercussioni della vittoria di Benyamin Netanyahu e dell’estrema destra alle elezioni israeliane della scorsa settimana, sono ciò su cui si interrogano commentatori e analisti politici.

Si teme il rinfocolarsi della tensione interna in Israele per l’agenda che ha in mente Itamar Ben Gvir, il leader della formazione razzista Sionismo religioso divenuta la terza forza nella Knesset. Ma è reale anche il pericolo di una escalation di violenze nella Cisgiordania occupata.

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L’analista Meron Rapaport spiega le ragioni del successo di Ben Gvir e le possibilità che avrà di attuare il suo programma il leader di estrema destra.
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Fr.#14 / Fu il welfare a uccidermi


Nel frammento di oggi: Ammazzarsi per non pesare sulle casse dello Stato. Un breve sondaggio. Meme e citazione del giorno.

La morte, il miglior servizio di welfare


Uccidere i pazienti potrebbe portare a un risparmio per il sistema sanitario nazionale fino a 136 milioni di dollari. Così si leggeva nel 2017 sul sito della CBC canadese, che riportava i dati di uno studio della Canadian Medical Association. Per arrivare a queste conclusioni pare che i ricercatori usarono i dati pervenuti dall’Olanda e dal Belgio, dove la pratica dell’eutanasia è già legale da tempo.

L’eutanasia in Canada divenne legale dopo che la Corte Suprema ribaltò una storica sentenza che vietava il “suicidio assistito”. Arrivò poi la legge, il Bill C-14 (“medical aid in dying”, o MAiD), entrato in vigore nel 2016, che per la prima volta prevedeva la possibilità di eutanasia per gli adulti con malattie terminali. Qualche tempo dopo, la legge fu emendata per estendere l’ambito legale dell’eutanasia anche ad ogni adulto vittima di “sofferenze permanenti e intollerabili (enduring and intolerable suffering”) o “ragionevoli aspettative di morte (reasonably foreseeable death”). Da marzo 2022 l’eutanasia è un’opzione anche per adulti che soffrono di malattie mentali.

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Qualcuno potrebbe dire: se le persone vogliono morire, perché non aiutarle, risparmiando anche dei soldi pubblici? Purtroppo, la realtà è molto più grottesca di così. Le storie di persone “gentilmente spinte” verso la morte dal sistema si stanno moltiplicando a vista d’occhio.

Come Denise, in sedia a rotelle, che da sette anni cerca inutilmente un alloggio economicamente accessibile a Toronto che possa essere adeguato alle sue necessità. Denise non riesce, e ha iniziato a considerare un’altra opzione: il suicidio assistito. Due medici hanno già approvato la procedura.

O come Alan, che per 20 anni ha vissuto con dei dolori cronici e per 18 ha cercato di ottenere un intervento chirurgico che gli avrebbe risolto ogni problema. Purtroppo il sistema sanitario nazionale non l’ha mai approvato, riempiendolo invece di oppioidi. Così, dato che non può essere curato, ha deciso di farsi ammazzare.

O ancora, come Sathya, una donna di 44 anni che soffriva di SLA e che decise di farsi ammazzare dai medici, non a causa della sua malattia, ma a causa dell’assenza di un sistema di supporto adeguato da parte dello stato. Nelle sue ultime parole, dedicate agli amici e alla famiglia, scriveva: “Ultimately it was not a genetic disease that took me out, it was a system.”

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Quando l’uomo diventa un ingranaggio del sistema


L’eutanasia in Canada, che incentiva le persone che sono un “peso” per la società (leggi: casse dello Stato) ad ammazzarsi, è una finestra sul futuro del (post)welfare universale.

È il risultato della vittoria dell’ideologia del sacrificio personale a favore della collettività. È ciò che abbiamo intravisto anche nel 2020 e 2021, quando le masse, i medici e i politici chiedevano alle persone di sacrificare le proprie convinzioni e la loro libertà per evitare di pesare sul sistema sanitario.

Sempre più le persone stanno perdendo la loro individualità, per trasformarsi in parte di un ingranaggio il cui fine ultimo è la realizzazione del “bene comune” (che non esiste): animali sacrificali che confondono ideologia di stato e valori morali, finendo per annientare se stessi in un circolo vizioso che non genera altro che odio, divisione sociale e morte.

Questo è il futuro del welfare universale. E come sempre, per comprendere il futuro non c’è nulla di meglio che guardare al passato. Richard Theodore Ely, intellettuale economista e principale leader del movimento Progressista, che diede vita alla nostra idea di welfare universale, era un fervido sostenitore dell’eugenetica. Cos’è questa, se non la sua degna eredità?

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Gli incentivi funzionano


Che succederà quando gli stati occidentali concluderanno infine i loro progetti di identità digitale, sistemi interconnessi e profilazione1 continuativa della popolazione?

Che succederà quando inevitabilmente la pressione sociale verso categorie di persone già estremamente suscettibili, sarà tale da incentivarle ad ammazzarsi su parere del medico, invece di pretendere le cure per cui già pagano coi soldi estorti dalle tasse?

Che succederà quando una persona invalida o depressa si vedranno notificare dalla loro app di Stato qualcosa del tipo: “sappiamo che stai soffrendo, ecco perché hai diritto al suicidio assistito gratuito - contatta il tuo medico di fiducia”.

D’altronde, lo diceva già Colao: con l’identità digitale sarà lo Stato ad anticipare i bisogni delle persone. E tu hai davvero bisogno di ammazzarti, vero?

Un sondaggio


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Meme del giorno


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Citazione del giorno

They paint the world full of shadows and then tell their children to stay close to the light. Their light. Their reasons, their judgment. Because, in the darkness...there be dragons.
But it isn't true. We can prove that it isn't true. In the dark there is discovery, there is possibility, there is...freedom. In the dark, once someone has illuminated it...

Captain Flint (Black Sails)

Frammenti è la rubrica gratuita in cui commento brevemente le notizie più interessanti della settimana. Un modo leggero e meno impegnativo di leggere Privacy Chronicles.

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Sembra fantascienza ma non lo è: lo Stato già profila finanziariamente ogni cittadino. Dal 2021 in Italia il Ministero della Salute ha anche il potere di profilare la popolazione dal punto di vista sanitario. Ne ho parlato qui a gennaio.




Il Governo Meloni preoccupa: evidente ignoranza giuridica


I primi 'segnali' che giungono da Palazzo Chigi e dal Viminale non sono rassicuranti: tentazione/involuzione autoritaria, ma soprattutto testi scombiccherati, scritti da persone di evidente ignoranza giuridica. Pasticcioni. Decreti manifesto, pasticciati e confusi

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COP27, tra coraggio e realismo


Non ha usato mezzi termini il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, in un margine con la stampa alla vigilia della COP27, la Conferenza internazionale sul clima che da oggi fino al 18 novembre si terrà a Sharm el-Sheikh in Egitto: “La COP27 deve essere il luogo in cui ricostruire la fiducia e ristabilire l’ambizione necessaria per evitare di […]

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Manifestare contro Putin per difendere noi stessi


Xi Jinping in un documento del 2012 diceva: “Ogni membro del partito ha il dovere di combattere ovunque e sempre i valori occidentali”. Valori che Vladimir Putin definisce “corrotti” e “decadenti” da almeno un quinquennio Tutto, fatalmente, ritorna. Ritor

Xi Jinping in un documento del 2012 diceva: “Ogni membro del partito ha il dovere di combattere ovunque e sempre i valori occidentali”. Valori che Vladimir Putin definisce “corrotti” e “decadenti” da almeno un quinquennio


Tutto, fatalmente, ritorna. Ritorna la Storia, ritorna la guerra e ritornano anche i valori. I valori soprattutto. È con la difesa dei valori tradizionali di Santa Madre Russia che Vladimir Putin ha giustificato la rottura con l’Occidente corrotto e corruttore. È sui valori del confucianesimo che si regge il sistema comunista della Cina imperialista di Xi Jinping.

È evocando valori sopiti nel profondo della nazione (Dio, Patria e famiglia) che Giorgia Meloni e altri come lei hanno costruito il proprio successo elettorale.

Chi pensava che decenni di consumismo e di globalizzazione avrebbero cancellato dall’animo umano il bisogno di identità e di tensione morale si sbagliava. Si sbagliava di grosso.

Del resto, è per la loro carica morale che la politica armeggia spesso e volentieri attorno ai temi etici, ai diritti, alle libertà. Una carica morale che mobilita, crea consenso, determina e radica identità e appartenenze.

È sulla “questione morale” che, da Berlinguer a Grillo passando per Di Pietro, si sono costruite carriere personali, fondati partiti, rivoluzionati assetti politici. È sulla “questione morale” che batte e ossessivamente ribatte da ormai trent’anni buona parte dell’informazione televisiva. È sul piano morale, quando non addirittura etico, che vengono poste oggi le più urgenti delle questioni: la difesa dell’ambiente, le politiche sanitarie, le scelte elettorali e persino le alleanze internazionali. Le alleanze internazionali in modo particolare.

E non per una scelta né per una particolare inclinazione nostra, ma perché così hanno voluto i nostri nemici. Xi Jimping, documento 19 presentato al congresso del Pcc del 2012: “Ogni membro del partito ha il dovere di combattere ovunque e sempre i valori occidentali”. Valori che Vladimir Putin definisce “corrotti” e “decadenti” da almeno un quinquennio.

Sotto attacco, dunque, sono i valori su cui si fonda l’Occidente; i principi cardine della nostra identità: la libertà e la democrazia. Con tutto quello che implicano. Potremo arrestare e vincere chi oggi, disprezzandoci, ci dichiara guerra solo se sapremo identificarci politicamente e appassionarci moralmente a qualcosa di più grande delle nostre piccole beghe interne: l’identità europea, la civiltà occidentale, i valori liberali. È in difesa di questi valori fondanti che oggi, a Milano, molti sono scesi in piazza. Non tanto in difesa degli ucraini, quanto di noi stessi e di ciò che ci tiene uniti.

HuffPost Italia

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Manifestazione “Slava Ukraini”


La Fondazione Luigi Einaudi ha aderito convintamente alla manifestazione “Slava Ukraini” che si è svolta sabato 5 novembre, alle ore 16.00 a Milano. In epoca di finto pacifismo, e di veri antiamericanismo e anticapitalismo, schierarsi in difesa dello Stat

La Fondazione Luigi Einaudi ha aderito convintamente alla manifestazione “Slava Ukraini” che si è svolta sabato 5 novembre, alle ore 16.00 a Milano. In epoca di finto pacifismo, e di veri antiamericanismo e anticapitalismo, schierarsi in difesa dello Stato e del popolo ucraino aggrediti dalla Russia significa schierarsi in difesa dei valori liberali e democratici su cui si fonda la cultura occidentale. Valori esplicitamente negati dall’autocrate Vladimir Putin.

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Si apre domani a Sharm El Sheikh la 27esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, comunemente denominata Cop27.




RT @AlsaceRevoltee
🔴Non à la dissolution du Bloc Lorrain ! Rendez vous demain 13h Place Maginot a Nancy.🔴

Le collectif de lutte Le Bloc Lorrain qui œuvre sur toute la région est à son tour menacé de dissolution par G. Darmanin.

Venez leur apporter votre soutien demain à Nancy !
#DirectAN





On November 8, Americans will be called to vote for a variety of federal, State, and local offices. The entire House of Representatives, one third of the Senate, and 36 gubernatorial seats will also be on the ballot.


Caspariae perpetua et firma Libertas


Cospaia, stato anarchico e libero italiano: come nacque e finì, come funzionava l’economia e la vita sociale e quali sono le lezioni che possiamo imparare dalla sua storia.

Nel confine fra l’Umbria e la provincia di Arezzo, sopra una lieve alzatura che fa da contrafforte all' Appennino, sorge il Villaggio di Cospaia, già capo-luogo della repubblica o meglio dello Stato Libero di questo nome, che dal 1440 al 1826 conservò la sua autonomia e indipendenza, quantunque si reggesse senza leggi scritte, senza capi, senza milizie, senza imposte.

La Repubblica di Cospaia fu uno stato anarchico e libero, che per più di quattro secoli, dal 1440 al 1826, venne riconosciuto e rispettato come indipendente dagli stati limitrofi (Stato Pontificio e Repubblica di Firenze).

Oggi vedremo come nacque e finì lo Stato Libero di Cospaia, come funzionava l’economia e la vita sociale e quali sono le lezioni che possiamo imparare da questa incredibile storia italiana.

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Caspariae perpetua et firma Libertas


La Repubblica di Cospaia nacque per errore il 24 febbraio del 1440. In quel giorno venne stipulato un concordato fra Papa Eugenio IV e la Repubblica di Fiorenza (Firenze) per la cessione di alcuni territori dello Stato Pontificio. Le casse erano vuote ed Eugenio IV non si faceva problemi a vendere terreno per pagarsi le numerose spese.

L’errore maldestro venne fatto dai funzionari inviati dal Papa e da Firenze a delimitare i nuovi confini tra i due Stati. Questi avevano ricevuto ordine di segnarli tra il territorio di San Sepolcro e San Giustino, lungo il torrente Rio. Un’operazione apparentemente semplice.

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Se non fosse che di torrenti Rio ce n’erano due: uno settentrionale e uno meridionale. I funzionari dello Stato Pontificio e della Repubblica di Fiorenza, che evidentemente non si parlavano tra loro, segnarono rispettivamente i confini presso il Rio meridionale e quello settentrionale.

In mezzo ai due torrenti, come a formare un triangolo con la base verso il Tevere e la punta verso le colline, rimase così una terra di circa 330 ettari (3km²) che improvvisamente non era più di nessuno. Gli abitanti, circa 350-500 persone, non ci misero molto a rendersene conto, e presto si auto-proclamarono liberi. I due Stati decisero di rispettare questa dichiarazione, non valeva la pena spendere denaro e risorse per farsi guerra su un territorio così piccolo.

Filippo Natali, nel libro “Lo Stato Libero di Cospaia” (1892), descrive così la Repubblica: Un caso pratico di anarchia in mezzo ad una società basata sul principio autoritario il più assoluto […]

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The image of Iran the US. and the Iranian hard line morons and AIPAC propagandists do not want people to see.


Iran, despite 42 years of disastrous leadership is a divided and polarized country. The regime, has a very strong and solid support among the deeply religious, poor and dependent on regime support and some religious nationalists who still see regime as the lesser than many evils.

Unfortunately, any Iranian who dares to mention this and explains it to the world that despite these massive uprisings, the chances of a revolution in Iran is pretty slim and without a middle road, )a compromise between the religious supporters
of the regime, the religious-nationalists and even some of the hard liners and the general population, the liberals, the nationalists and the (not so crazy) left) the only future for Iran is going to be far worse than Yugoslavia or Iraq, more like Libya or Sudan with unimaginable consequences for not only countries in the region, but Europe and even US.

This is a tweet by IRI official, this is what millions of people in Iran still believe in:

Many millions of anti-American protestors came to the streets in cities across Iran today. You won't see this in the western media. You will also not hear that western & Saudi backed rioters & thugs murdered a 40 year old man yesterday by cutting his throat. They're like ISIS.


And the video shared, is not a joke, it is not fake and almost all of them participated in the demonstration by their own free will.

twitter.com/s_m_marandi/status…

#Politics #Iran #IRI #News #Media #Religion




USA: elezioni Midterm 2022, Trump incombe ancora


Dopo un’estate in cui il Partito democratico statunitense è sembrato in grado di gestire il voto di midterm meglio di quanto gli osservatori prevedessero, con l’approssimarsi della scadenza elettorale le cose sembrano essere drasticamente cambiate. A partire da ottobre, la tendenza espressa dai sondaggi sembra, infatti, essersi invertita e, a una settimana dalla consultazione, le […]

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La pena delle pene


Inutile innalzare gli anni di carcere nel tentativo di limitare i reati e disincentivare i criminali. Non è una tesi nuova: la sostenne Cesare Beccaria nel diciottesimo secolo e lo dimostrò, in maniera impareggiabile, suo nipote Alessandro Manzoni… Per ce

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Inutile innalzare gli anni di carcere nel tentativo di limitare i reati e disincentivare i criminali. Non è una tesi nuova: la sostenne Cesare Beccaria nel diciottesimo secolo e lo dimostrò, in maniera impareggiabile, suo nipote Alessandro Manzoni…


Per cercare di fermare o, almeno, disincentivare il crimine, l’esistenza dei criminali e i reati non serve proprio a niente minacciare decenni di carcere. In altre parole, alzare le pene.

Non è una tesi nuova, lo sosteneva Cesare Beccaria nel XVIII secolo. Lo dimostrò spiegandolo in maniera impareggiabile suo nipote, un tale Alessandro Manzoni, nel primo capitolo dei Promessi Sposi, quando prese mirabilmente in giro le “gride”, che erano le leggi spagnole della Milano di allora: erano tante, sempre terribili, sempre tonitruanti. Però quasi nessuno le conosceva. Nessuno le osservava.

Quindi, quello che serve veramente è assicurare la certezza della pena o, comunque, la ragionevole probabilità che un criminale ha di essere condannato. Questo disincentiva il crimine. Mentre vengono promessi 50.000 anni di carcere, ma la probabilità di essere condannato è una su un milione, la cosa lascia abbondantemente il tempo che trova.

Non bisogna pensare che la giustizia penale sia la soluzione per tutto. Portare tutto sempre al penale, avere sempre la galera come minaccia è un errore. Anche questa tesi è largamente presente in scuola e, soprattutto, è il pensiero di un tal Carlo Nordio, attuale Ministro della Giustizia.

È un giurista raffinatissimo, è un cultore del diritto. Anzi specificava Carlo Nordio – grazie alla sua esperienza di Pubblico Ministero – che se si continua ad alzare la pena il risultato è che il giudice di merito, cioè quello che deve irrogare la pena, che deve condannare e stabilire a quanto ammonta la pena, finisce inevitabilmente col buttarsi sul lato basso, sul lato inferiore della pena, perché quello maggiore è irragionevole.

Tutto questo, ripeto, è pacifico in scuola e nella realtà. Ma quando parte la propaganda politica nulla è più irresistibile dal fare nuove leggi, immaginare nuovi reati e proporre l’aumento delle pene, perché è un modo per raccontare all’opinione pubblica che si tiene il pugno duro.

Poi, ripeto, la realtà va abbastanza per i fatti suoi. Guardate cosa è successo all’ormai celebre rave party nei pressi di Modena: se ne sono andati tutti con la coda fra le gambe e se ne sono andati non in ragione del pugno duro, ma di un intervento molto ragionevole, per il quale bisognerebbe solo che complimentarsi con le autorità locali, che sono intervenute dicendo: “Qui ci sono delle mura pericolanti, correte un rischio enorme. Naturalmente, se succede qualcosa, la responsabilità e di chi organizza. Che vogliamo fare?”

Se ne sono andati. ci si ricordi di questo, perché sono passaggi importanti per gli organizzatori di quella roba lì possono essere – e, secondo me, devono essere – portati in giudizio anche senza il bisogno di nuove leggi. Hanno occupato suolo di altri, pubblico o privato che sia, senza autorizzazione. Hanno occupato un immobile di altri, senza alcuna autorizzazione e, per giunta, senza rispettare le norme di sicurezza e quelle igienico-sanitarie. Lo hanno fatto a scopo di lucro, perché vendevano i biglietti per l’ingresso. Ancora, si trattava di un ambiente in cui erano liberi ed abbondanti lo spaccio, il commercio e l’uso di droga.

Voglio dire: ce n’è di che far processi. Il tema è: funziona la giustizia? Ecco quest’ultimo capitolo sembra essere la cosa più difficile da spiegare agli elettori, ai cittadini, al popolo. Nessuno si può prendere questo mestiere. Vogliono tutti prendersi il mestiere o della comprensione o del punire duramente.

Ma a che serve se la giustizia non funziona? La delinquenza organizzata è più alta, dove la giustizia funziona meno. Questo sembra essere un argomento negletto. Da questo potete capire come va a finire al prossimo giro: nuove pene, nuovi reati, nuove severità. Però lo spaccio continua in tutte le piazze d’Italia.

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USA: le priorità degli americani nelle elezioni di Midterm


Nelle decisioni di voto degli americani, per il 79% la priorità è l'economia che considerano sta andando male. Forte motivazione alla partecipazione al voto per l'80% degli intervistati. Severo il giudizio sulla campagna elettorale: i candidati non avrebbero spiegato bene cosa intendono fare se eletti

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If energy is the lifeblood of economic development, Africa does not fall short in potential. Yet, managing energy consumption is also the bone of contention in discussions on the steps to take to face the reality of climate change.


Borsa: canapa, chiusura negativa per Canada e positiva per gli Stati Uniti


Le due principali piazze borsistiche mondiali nel settore della produzione, trattamento e commercializzazione della canapa, ovvero Canada e USA, questa settimana chiudono con valori discordanti, in modo positivo per quanto riguarda la Borsa statunitense che recupera terreno in materia di quotazione dei titoli canapa e cannabis mentre -invece- la borsa canadese chiude con un vistoso […]

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