ANALISI. Chi ha vinto le elezioni di Midterm negli USA? (Seconda parte)
di Antonio Perillo-
(nella foto Maxwell Frost)
Pagine Esteri, 15 novembre 2021 Chi ha vinto le elezioni di Midterm negli USA di martedì 8 novembre? Rispondere a questa domanda non è affatto semplice, anche considerando che mentre scriviamo, sei giorni dopo l’election day, in alcuni stati si stanno ancora contando i voti, la maggioranza alla Camera non è ancora stata annunciata ufficialmente, così come il risultato di due elezioni per i governatori statali.
Ha vinto la sinistra Dem?
L’ala più progressista dei Democratici ha celebrato alcuni successi. Tutti i 6 membri del “The Squad” di Alexandra Ocasio-Cortez alla Camera sono stati rieletti e altri due deputati neoeletti, Summer Lee e Greg Casar vi si uniranno.
Il senatore Bernie Sanders ha salutato l’elezione di tanti altri deputati e senatori Dem, di cui aveva sostenuto la corsa alle primarie contro esponenti dell’ala centrista del partito. Fra essi, anche Maxwell Frost, il giovanissimo (classe 1997) leader studentesco che si batteva per il controllo della diffusione delle armi nelle mobilitazioni di March for Our Lives, la cui elezione è uno dei pochissimi segnali positivi per il Dem in Florida. In generale, l’affluenza dell’elettorato giovanile ha in parte compensato l’astensione delle altre classi d’età dell’elettorato Dem ed ha premiato largamente i democratici e in particolar modo i candidati più progressisti.
Attorno a Sanders, numerose organizzazioni indipendenti, come il Working Families Party, Our Revolution, Move On ed altre, stanno dimostrando un interessante protagonismo, mobilitandosi per i diritti riproduttivi delle donne, per la crisi climatica, per il salario minimo, per l’estensione della copertura sanitaria pubblica e i diritti delle comunità Lgbt+.
Sanders ha fortemente rivendicato, nei comizi tenuti per queste Midterm, il suo sostegno a Biden che ha fruttato i più grandi pacchetti di spesa pubblica per la classe media e lavoratrice nella storia recente USA. Questo nonostante nel mondo che lo circonda sia presente molta diffidenza se non frustrazione verso il presidente e l’ala moderata del partito. Ma la perdita della maggioranza alla Camera rischia di compromettere l’intero impianto su cui Sanders e l’ala progressista hanno fondato la loro azione al Congresso, poiché d’ora in poi ogni provvedimento di peso, soprattutto se comporta obblighi di spesa, dovrà passare dalle negoziazioni coi repubblicani. Difficile che nel nuovo quadro possano intensificarsi, come chiede Sanders, le politiche in grado di ridurre le enormi disuguaglianze che caratterizzano gli USA. Lo stesso Michael Moore, regista e riferimento di tutta l’ala progressive coi suoi post e podcast quasi quotidiani, ha esultato per aver ucciso la “red wave” repubblicana. Resta difficile immaginare però la prospettiva di quest’area se i prossimi due anni saranno nuovamente bloccati fra trattative e veti reciproci. In questo senso, anche la ricandidatura di Biden, oggi 79enne, nel 2024, confermata alcune settimane fa, sembra indebolirsi progressivamente.
Alexandria Ocasio Cortez
Infine, se a parte DeSantis, di fatto, non ha vinto nessuno, qual è il quadro generale che esce dalle Midterm?I risultati hanno confermato l’estrema polarizzazione fra i due principali partiti, fotografata dall’equilibrio nei voti e da una campagna elettorale durissima. Secondo entrambi i contendenti era infatti in gioco in primo luogo la stessa democrazia nel Paese. Da una parte, i Dem hanno presentato i Repubblicani come il partito dominato da Trump, che ancora non riconosce la vittoria di Biden alle presidenziali, e che ha cercato di manipolare e limitare l’accesso al voto, nonché privare le donne del diritto all’aborto. Il “vote denying”, la negazione della sconfitta del 2020 e la “vote suppression”, cioè le difficoltà poste nel registrarsi e poter votare e la rimodulazione dei collegi (il “gerrymandering”) ad opera delle autorità statali per favorire una parte sull’altra.
Dall’altra, i Repubblicani accusano i democratici di voler limitare le libertà fondamentali degli americani ed i loro valori tradizionali, con l’intervento statale, l’aumento delle tasse, l’attacco al diritto di portare armi, la cosiddetta teoria gender. E utilizzando anche truffe elettorali (moltissimi candidati repubblicani sostenevano la teoria della “grande bugia” sulle elezioni 2020 e oggi stanno diffondendo accuse di brogli circa i ritardi nei conteggi in diversi stati).
Il sistema politico USA, pur diviso nei mille rivoli delle legislazioni dei 50 stati, è rigidamente ed istituzionalmente bipartitico, con moltissime cariche amministrative e giudiziarie decise, come per i parlamentari, da elezioni dirette in collegi uninominali, precedute da cicli di elezioni primarie gestite dagli stati. Questo dominio della logica maggioritaria impedisce di vedere rappresentata in maniera più rispondente alla realtà l’enorme complessità di una società che negli ultimi anni è in piena ebollizione. All’interno dei due partiti vivono organizzazioni e cordate, veri partiti nei partiti, capaci di raccogliere fondi e sostenere i propri candidati, ma non di scalfire il sostanziale equilibrio negli indirizzi fondamentali della politica USA. L’affluenza di queste Midterm, appena il 47%, è anche sintomo di ciò.
Quando invece gli elettori sono chiamati a decidere direttamente su temi di grande interesse con dei referendum, che accompagnano sempre, nei singoli, stati, queste grandi tornate elettorali, la situazione si mostra interessante e a tratti sorprendente, soprattutto se la paragoniamo allo scenario italiano. Decisamente più avanzata rispetto agli equilibri di Washington.
Innanzitutto, in Vermont, Michigan e California sono stati approvati testi che prevedono di istituire il diritto all’aborto. In altri stati come il Kentucky e Montana, sono stati bocciati testi che proponevano di limitarlo.
In Nebraska e Discrict Columbia, lo stato di Washington, sono stati approvati referendum per alzare significativamente il salario minimo oltre i 15$, la cifra della nota campagna che ha attraversato gli USA negli ultimi anni. In Nevada la soglia è stata alzata a 12$. Ancora, in New Jersey, Montana, Arizona è stato legalizzato tramite referendum l’uso terapeutico e anche ricreazionale della cannabis. In Oregon e Colorado sono stati legalizzati anche i cosiddetti “funghetti” allucinogeni. Pagine Esteri
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ANALISI. Chi ha vinto le elezioni di Midterm negli USA? (Prima parte)
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#uncaffèconLuigiEinaudi – Tutti, se ci riflettono, sono seguaci della idea liberale
“Tutti, se ci riflettono, sono seguaci della idea liberale; perché essi devono la loro posizione alla libertà, garantita soltanto dallo Stato moderno, di istruirsi, di elevarsi, di lavorare, di associarsi, di lottare.”
da Corriere della Sera, 8 novembre 1919
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Ucraina: i nemici della pace non sono in Russia
Fermare la guerra in Ucraina non basta. Ha fatto il suo tempo anche la tesi USA di 'contenere' la Russia; questa guerra è il frutto del contenimento
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Metascuola
Quello di lunedì è stato il primo incontro. Altri ne seguiranno. E cercheremo di capire insieme cosa cambiare, e come.
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"Il Garante della privacy italiano si è mosso per studiare a fondo una coppia di iniziative in mano a Comuni italiani che hanno forse preso un po’ troppo alla leggera le controverse tecnologie di riconoscimento biometrico. L’Autorità ha avviato dunque due separate istruttorie al fine di vigilare sulle mosse prossime future previste dai Comuni di Lecce e Arezzo."
USA: elezioni midterm 2022, la sconfitta vincente di Biden
“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) Le elezioni di medio termine americane cominciate l’8 novembre si concluderanno il 6 dicembre con il ballottaggio in […]
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Un vertice quasi monopolizzato dalla guerra e dalle sue conseguenze, in atto e potenziali, e da due opposte visioni del mondo. Sul palcoscenico dell'Asia, contesa tra Pechino e Washington, potenzialmente alfiere dell'economia verde derivante dal cambiamento climatico posta al centro degli sforzi per rinvigorire il multilateralismo
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Simbolotto, occhio ai simboli
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Intervista del nostro Segretario Generale, Andrea Cangini, ad Andrea Pancani di Coffee Break, su La7
Le elezioni di midterm americane, col mancato trionfo repubblicano, e il riavvicinamento tra Biden e Xi Jinping al G20 di Bali hanno spiazzato e ulteriormente isolato Putin. La reazione violenta della Russia non sorprende. Sorprendono, semmai, i commenti di diversi politici e molti opinionisti che trasudano insofferenza verso la bizzarra pretesa del popolo ucraino, e dei suoi rappresentanti, di vivere libero e non soccombere all’invasore. Chiamano “pace” la resa incondizionata di Kiev e nei fatti auspicano un ritorno alla legge della giungla. È una posizione che in molti nasce da un radicale antiamericanismo. Noi della Fondazione Luigi Einaudi siamo diversi. Noi sappiamo che, oltre al diritto all’autodeterminazione di un popopolo, in Ucraina si difendono i valori su cui si fondano l’Europa e l’Occidente: la libertà e la democrazia.
Di seguito il video di alcuni passaggi dell’intervista del nostro Segretario Generale, Andrea Cangini, ad Andrea Pancani di Coffee Break, su La7.
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Segnali
I nativi americani usavano l’intermittenza delle nuvole di fumo per comunicare. Segnali adatti a messaggi non complessi. Stiano attenti, i governanti, a non privilegiare i segnali rispetto alla sostanza. Votando in prevalenza (ricordiamo che si tratta, per tutta la coalizione di centro destra, pur sempre di meno della metà dei voti espressi) per Fratelli d’Italia non vi è dubbio che gli elettori abbiano scelto una politica maggiormente sensibile al mantenimento dell’ordine pubblico o al contenimento (sperabilmente il blocco) degli sbarchi d’immigrati.
È quindi naturale che il governo derivatone si attenga a quella linea. Difendere gli interessi italiani, però, non consiste nel proclamare di difendere gli interessi italiani, ma nel saperlo fare, una volta individuatili e messi in gerarchia delle priorità.
Tanto più che, se ci si concentra solo sui segnali, si finisce con il produrne di contrastanti. Difficile non leggere la distanza fra le parole del governo e quelle del Presidente della Repubblica, circa il rapporto con la Francia e l’Unione europea tutta. Un contrasto stridente.
Sul fronte dell’immigrazione, ad esempio, non subiremo conseguenze negative dall’avere coalizzato solo Cipro, Grecia e Malta. Ma quella prova di debolezza, facendo i grossi fra i piccoli, rischiamo di pagarla su altri tavoli. Scena molto diversa da quella che mise l’Italia con Francia e Germania, su un treno verso l’Ucraina. Non ci saranno conseguenze perché sull’immigrazione i fatti sono solidi, visto che non siamo affatto i soli a subire gli sbarchi e chi è secondo in graduatoria, ovvero la Spagna, non ha condiviso la nostra posizione.
Le richieste d’asilo sono rivolte prevalentemente verso la Germania (190.500 nel 2021), la Francia (120.700), la Spagna (65.300), mentre da noi vorrebbero restare solo in 53.600. Gli stranieri a vario titolo presenti nel Paesi europei sono il 17% della popolazione austriaca, il 13% degli irlandesi, il 12.7% dei tedeschi, l’11.3% degli spagnoli, mentre da noi sono l’8.7% degli italiani. Dopo la criminale aggressione russa la Polonia ha accolto 1.5 milioni di ucraini, la Germania 1 milione, la Repubblica Ceca 455mila e noi 171mila.
La nostra caratteristica è solo quella d’essere la principale meta degli sbarchi. Ragion per cui avremmo interesse non tanto alla redistribuzione, ma che della totalità (da noi come da altri) si occupi una comune giurisdizione Ue. In questi giorni ci siamo allontanati, non avvicinati a questo risultato.
Purtroppo l’approccio segnaletico è presente anche in altri campi. Abbiamo una scarsa partecipazione al lavoro e molti posti che restano vacanti per mancanza di competenza e voglia di occuparli. Anche la scorsa campagna elettorale ha visto uno scoppiettare di proposte per pensionamenti anticipati, che comportano più spesa e meno lavoratori. Per non dire della falsa flat tax, che si pensa di finanziare anche togliendo detrazioni a chi guadagna meno degli eventuali beneficiari, che se non fosse una follia sembrerebbe uno scherzo.
Mentre ciò s’esibisce sugli schermi, al ministero dell’economia studiano come varare una falsa flat che scassi poco e come incentivare la permanenza al lavoro dei pensionandi, piuttosto che l’anticipazione dell’uscita. Insomma si prova a tenere assieme i segnali di conferma con la sostanza di smentita, pensando che tutti i problemi si riducano alla necessità di trovare una formula verbale capace di tenere assieme cose opposte, senza indispettire, senza smentire e senza sfasciare.
Infine: il punto forte di Meloni è la scelta atlantica, con specifico riferimento alla guerra Ucraina. Bene. Ma se pensasse di compensare l’isolamento europeo con la sponda statunitense commetterebbe il grave errore dei brexiter e di Orban. Con l’aggravante di arrivare dopo, quindi di sapere come va a finire. L’incontro con Biden ricorda il punto forte. Sarebbe grave dimenticare che l’interesse italiano è sì atlantico, ma anche europeo. E il fumo va diradato, non utilizzato.
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Missili sulla Polonia: chi soffia sul fuoco e chi porta acqua
Sono partite le indagini, per le quali ci vorrà tempo. E il tempo aiuta anche a calmare e far ragionare chi alla notizia del bombardamento ha aperto la bottiglia di champagne. Immaginare scenari apocalittici comprensivi di guerre globali è non solo prematuro, ma stupido
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CULTURA. William Faulkner e i romanzi dello scrittore palestinese Ghassan Kanafani (1a parte)
di Patrizia Zanelli*
Pagine Esteri, 16 novembre 2022 – Alcuni testi particolarmente originali sul piano artistico non diventano veri e propri best seller internazionali, ma hanno un impatto straordinario sullo sviluppo della cultura mondiale. Un caso famoso in tal senso è The Sound and the Fury,[1] (L’urlo e il furore) pubblicato nel 1929 dallo scrittore statunitense William Faulkner (1897-1962), vincitore del Nobel per la Letteratura 1949. La celebrità di questo romanzo modernista, ambientato nei primi tre decenni del ‘900 in una cittadina del Sud degli Stati Uniti, si deve anche al successo dell’omonimo adattamento cinematografico, uscito nel 1959. Lo stesso testo di Faulkner comincerà a influenzare la produzione culturale araba negli anni ’60 grazie all’avanguardismo di due intellettuali palestinesi: il letterato e pittore Giabra Ibrahim Giabra (Betlemme, 1919-Baghdad, 1994), e lo scrittore, critico letterario, giornalista e attivista marxista Ghassan Kanafani (Acri, 1936-Beirut, 1972). Entrambi erano stati costretti a lasciare la Palestina nell’ambito della Nakba (Catastrofe), l’evento traumatico vissuto dal loro popolo per via delle operazioni militari avvenute nei mesi precedenti la fondazione d’Israele, il 14 maggio 1948, e nel corso della prima guerra arabo-israeliana.
Nel 1961, Giabra tradusse The Sound and the Fury, e la sua traduzione araba influì molto sull’arte narrativa di Kanafani che aveva iniziato nel 1957 a pubblicare racconti incentrati sul binomio esilio-morte, mentre insegnava lettere in Kuwait. Nel gennaio del 1963, lo stesso scrittore palestinese pubblicò il suo primo romanzo, “Uomini sotto il sole”,[2] proprio nella città in cui dopo nove anni avrebbe perso la vita per avere portato avanti le sue idee politiche. L’8 luglio 2022 è stato infatti commemorato il cinquantesimo anniversario della morte di Kanafani, assassinato a Beirut in un attentato di solito attribuito al Mossad israeliano; con l’esplosione della sua auto, se ne andò insieme a lui la nipote sedicenne Lamìs. Il 6 luglio di sessant’anni fa, invece, Faulkner morì per motivi di salute.
L’originalità di The Sound and the Fury sta nella molteplicità dei punti di vista abbinata alla frammentazione del racconto, un abbinamento che costituisce l’espediente tecnico fondamentale ideato dallo scrittore statunitense per creare questo romanzo. Nell’opera, l’autore presenta la situazione dei tre fratelli Compson e il modo in cui ognuno di loro considera la sorella Caddy che, per via della sua promiscuità sessuale, ha rovinato la reputazione della famiglia aristocratica ormai in decadenza a cui appartengono. Il testo è suddiviso in quattro sezioni; in ciascuna delle prime tre, uno dei protagonisti racconta la storia dal proprio angolo visuale; la narrazione è di tipo autobiografico, e il campo visivo è limitato, riflettendo la percezione soggettiva della realtà. Nella quarta sezione, invece, la linea narrativa è sviluppata da un narratore onnisciente, voce esterna che narra gli eventi, come se vedesse tutto dall’alto, conosce il passato, il presente, il futuro, la psicologia e i pensieri dei personaggi, e ogni altro elemento del racconto. Il romanzo ha una struttura temporale complessa, caratterizzata da analessi – o flashback – e da prolessi. L’autore usa inoltre la tecnica del flusso di coscienza perfino nella prima sezione del testo in cui la storia è raccontata dal fratello Compson più giovane che è affetto da una disabilità intellettiva. Non è facile la lettura di The Sound and the Fury, definito talvolta come “il romanzo dei romanzieri” in quanto inesauribile fonte d’ispirazione artistica. Inizialmente, la complessità tecnica del testo portò certi commentatori a trascurare il messaggio politico che Faulkner veicola nell’opera stessa, che di fatto è una denuncia contro la mentalità conservatrice e razzista predominante nel Sud degli Stati Uniti.
Kanafani riprese il modello faulkneriano e lo rielaborò a modo suo, ossia lo trasformò, per creare “Uomini sotto il sole”, in cui descrive le sofferenze di tre palestinesi che fuggono dai campi profughi e attraversano il deserto per emigrare in Kuwait nella speranza di costruire una vita più dignitosa per sé e le loro famiglie, ma non hanno documenti di viaggio e proprio quando stanno per giungere a destinazione, incontrano la morte. Muoiono per ipertermia e asfissia dentro la cisterna vuota in cui un camionista e passeur improvvisato, loro compatriota, li aveva convinti a nascondersi, mentre lui sbrigava le procedure per passare la frontiera irachena. Questo quarto personaggio è un palestinese che aveva perso la virilità combattendo come partigiano (fidā’ī) della resistenza nel ’48. Non potendo più costruirsi una famiglia, pensa solo a guadagnare soldi per vivere meglio dopo quella ferita a cui avrebbe preferito la morte. Sente inoltre di essersi sacrificato inutilmente, visto che con la sconfitta militare aveva perduto anche la patria. Alla fine del racconto, getta i cadaveri dei tre migranti in una discarica, e come per scaricare le proprie responsabilità su di loro, si domanda perché, mentre erano ancora vivi, non avessero bussato alle pareti della cisterna, per chiedere aiuto. Sembra che l’autore abbia scelto questo finale sconcertante per indurre il lettore a interrogarsi sul significato dell’intera opera e a cercare da sé la risposta; il narratore in effetti narra la storia, esponendo i fatti senza commentarli o esprimere giudizi.
Indubbiamente “Uomini sotto il sole” è una rappresentazione della diaspora palestinese; tuttavia sotto certi aspetti il testo è interpretabile in modi diversi, poiché è improntato al simbolismo. In questo breve romanzo, ambientato nel 1958, Kanafani descrive varie conseguenze della Nakba, il trauma post-coloniale subito dal suo popolo. Ognuno dei personaggi principali rappresenta una generazione diversa e una situazione personale particolare. L’autore denuncia sia la corruzione dei regimi arabi, simboleggiati dai funzionari degli uffici che controllano la frontiera iracheno-kuwaitiana, sia la mancanza di solidarietà tra i palestinesi stessi, che cercano di migliorare le proprie condizioni individualmente, invece di unirsi in una lotta politica comune. “Uomini sotto il sole” è un’opera intramontabile perché propone un tema di portata universale e purtroppo sempre attuale; fa riflettere sugli effetti terribili di una guerra, sulla vita difficile dei profughi, nonché sulle migrazioni in genere, sulle ragioni che inducono le persone a emigrare anche a costo di affrontare un viaggio pericoloso.
Ghassan Kanafani
Kanafani decise di frammentare il racconto, ma fece altre scelte importanti che rendono il romanzo diverso dal modello faulkneriano. Il testo è suddiviso in sette capitoli; ciascuno dei primi tre è dedicato a uno dei migranti; in quelli successivi vengono esposti i fatti che portano alla loro morte. La struttura temporale del romanzo è caratterizzata dalle analessi che ricostruiscono il passato dei quattro personaggi principali. In un segmento narrativo del quarto capitolo, è descritto il momento in cui il camionista aveva perso la possibilità di costruirsi una famiglia; la ferita personale riflette il trauma subito dal popolo palestinese con la perdita di una parte della propria patria. L’intera storia è narrata in terza persona da un narratore esterno; la voce narrante è unica, ma i punti di vista sono multipli. Questa molteplicità è realizzata tramite quella che Genette definisce come la focalizzazione interna variabile; di volta in volta uno dei quattro personaggi principali diventa focale; le immagini descritte nell’enunciato sono quelle percepite dai suoi occhi e, leggendo il segmento narrativo in questione, si ha l’impressione che sia lui a parlare. Dunque, è come se raccontasse la storia in prima persona dal proprio angolo visuale ristretto. Alla fine il racconto sembra un mosaico composto dalle diverse percezioni che i protagonisti hanno della stessa realtà. Kanafani abbina la voce esterna alla focalizzazione interna con maestria in “Uomini sotto il sole”, in cui usa di rado la tecnica del monologo interiore, talvolta il pensiero diretto legato e numerose sequenze dialogiche. Lo stile fluido e lineare della narrazione attenua la complessità di questo capolavoro il cui adattamento, “Gli ingannati”, realizzato dal regista egiziano Tewfik Saleh (Tawfīq Ṣāliḥ, 1926-2013) e uscito nel 1972, è tuttora considerato tra i 100 migliori film del cinema arabo.
Kanafani attinse maggiormente a The Sound and the Fury per creare “Tutto ciò che vi resta”[3], del 1966, ma compose questo suo secondo romanzo, rinunciando alla frammentazione del racconto. Nell’opera, l’autore descrive la situazione di una famiglia palestinese di Giaffa, i cui membri erano stati costretti a lasciare la città nel ’48, dopo che il padre era morto combattendo nella resistenza contro i miliziani sionisti poco prima della fondazione d’Israele. Nel tumulto della Nakba si erano dispersi andando a vivere in campi profughi diversi. Un figlio e una figlia vivono a Gaza; pensano che la madre sia in Giordania e forse è l’unica a sapere dove sia stato sepolto loro padre morto eroicamente. Il romanzo è incentrato sulla crisi identitaria associata alla diaspora palestinese.
I protagonisti sono il sedicenne Hamid, sua sorella Maryam rimasta incinta di Zakaria, prima che quest’uomo spregevole la sposasse; il Deserto che l’adolescente, turbato dal senso misto di odio e vergogna dovuto a questo fatto disonorevole per la famiglia, ha deciso di attraversare nella speranza di trovare la madre in Giordania; e l’Orologio il cui ticchettio risuona nella mente della giovane donna preoccupata per il fratello in viaggio, maltrattata dal marito e angosciata per essersi rovinata la reputazione per via della relazione extraconiugale che aveva avuto con lui.
William Faulkner
Cinque linee narrative si incontrano e scontrano senza un filo logico apparente nel racconto, caratterizzato dalle analessi e dalla tecnica del flusso di coscienza. Si scopre man mano che Zakaria aveva tradito sia la prima moglie – da cui aveva già avuto tre figli – sia la causa nazionale, poiché aveva rivelato al nemico il nome del capo di un gruppo di fedayin che aveva combattuto nella guerra di Suez del ’56. L’uomo era stato quindi giustiziato dalle autorità israeliane. Hamid lo conosceva, perché era un amico di famiglia, e temeva di fare la sua stessa fine. La crisi identitaria dell’adolescente non dipende soltanto dagli atti disonorevoli compiuti dalla sorella e dal cognato, ma anche dalla sua stessa incapacità di affrontare il nemico e diventare un eroe come il padre. Cerca il conforto della madre, che anche Maryam vorrebbe. Il fratello ama ancora la sorella, nonostante tutto, perché gli resta soltanto lei. Lui però si è allontanato da lei, che quindi ama il marito, benché sia spregevole, perché ormai le resta solo lui. La dispersione dei membri di una famiglia rappresenta la diaspora palestinese e una crisi identitaria collettiva dovuta allo sradicamento dalla patria, dalla comunità originaria, e da qui la paura della solitudine, di perdersi nel luogo d’esilio per l’assenza di legami affettivi stabili.
Nel romanzo è inoltre raffigurata la relazione tra Spazio e Tempo nella Storia, in senso sia narratologico che storiografico e sociologico. Grazie all’introspezione, ai ricordi di famiglia e specialmente del padre morto eroicamente per la liberazione nazionale, Hamid e Maryam trovano letteralmente la forza e il coraggio per liberarsi dei problemi del passato e pensare al futuro; la soluzione sta nel ribellarsi contro la realtà opprimente del presente. Rispetto al modello faulkneriano, “Tutto ciò che vi resta” è contraddistinto dal simbolismo e dalla confusione delle linee narrative, riconoscibili solo grazie al cambiamento del tipo di carattere usato di volta in volta da Kanafani. La lettura del testo non è facile; e una parte della critica accusò l’autore di avere privilegiato lo sperimentalismo artistico all’impegno di esprimere le rivendicazioni politiche del suo popolo in un modo accessibile al pubblico generale. D’altro canto, “Tutto ciò che vi resta” è una vera gemma letteraria, forse l’opera in cui Kanafani, che si dedicava anche alla pittura, diede maggior sfogo alla propria creatività unendo cultura scritta e visuale tramite l’adozione di tecniche simili a quelle cinematografiche. Nel testo di appena 80 pagine, l’autore veicola comunque un messaggio politico importante soprattutto per le nuove generazioni, un invito a ribellarsi per cambiare la situazione e raggiungere la libertà. Pagine Esteri
*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Ha scritto L’arabo colloquiale egiziano (Cafoscarina, 2016); ed è coautrice con Paolo Branca e Barbara De Poli di Il sorriso della mezzaluna: satira, ironia e umorismo nella cultura araba (Carocci, 2011). Ha tradotto diverse opere letterarie, tra cui il romanzo Memorie di una gallina (Istituto per l’Oriente “C.A. Nallino”, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī.
NOTE
[1] William Faulkner, L’urlo e il furore, tr. Augusto Dauphiné, Mondadori, 1947; tr. Vincenzo Mantovani, Mondadori, 1980; Einaudi, 1997.
[2] Ghassan Kanafani, Uomini sotto il sole, tr. Isabella Camera d’Afflitto, Rispostes, 1984; Edizioni Lavoro, 2016.
[3] Ghassan Kanafani, Tutto ciò che vi resta, tr. Emanuela Capobianco, Cicorivolta, 2017.
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USA/ISRAELE. L’insuccesso elettorale trumpista rovina la festa di Netanyahu
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 11 novembre 2022 – Benyamin Netanyahu potrebbe dormire tranquillo tra due guanciali. Ha vinto le elezioni e ha umiliato suoi rivali di sinistra e di destra. Ha ricevuto messaggi di congratulazioni persino dal presidente turco Erdogan, uno dei suoi avversari più agguerriti. E il suo principale partner di governo, l’estremista di destra Itamar Ben Gvir, ieri omaggiava pubblicamente il suo mentore, il rabbino Meir Kahane leader del partito razzista Kach, assassinato 32 anni fa negli Usa, senza suscitare reazioni sdegnate.
Ha davanti una strada in discesa. E invece il premier israeliano in pectore tra non pochi tormenti ha passato la notte di mercoledì a seguire gli aggiornamenti elettorali dagli Stati uniti. La netta sconfitta democratica in cui sperava non c’è stata.
Un’ampia maggioranza repubblicana alla Camera unita a un comodo margine al Senato avrebbe fatto di Joe Biden un presidente debole. E i media americani avrebbero iniziato il conto alla rovescia per il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, che resta un alleato naturale di Netanyahu nonostante le invettive lanciate dal tycoon alla fine del 2020. L’allora primo ministro israeliano scelse di congratularsi con il presidente eletto degli Stati uniti e di non credere alla tesi trumpista della vittoria rubata. Con un Biden nell’angolo, il leader della destra israeliana e i suoi alleati si sarebbero sentiti pronti a respingere qualsiasi ammonimento della Casa Bianca. Invece il presidente Usa è ancora in piedi e alcuni governatori democratici sono stati rieletti in importanti Stati. Il Partito democratico ha ottenuto risultati positivi oltre ogni aspettativa e appare in grado di contrastare le ambizioni di Trump che si accinge a candidarsi per le presidenziali del 2024. A rendere più amaro l’esito del voto americano a Netanyahu è stata la vittoria di Josh Shapiro, il prossimo governatore della Pennsylvania, sul trumpista Doug Mastriano molto gradito alle forze che comporranno il nascente governo israeliano.
I Democratici, è bene ricordarlo, non sono ostili a Israele, anche con un governo di destra. E lo hanno dimostrato in innumerevoli occasioni. Biden non ha riportato l’ambasciata Usa a Tel Aviv, ha stretto i rapporti con lo Stato ebraico e rinunciato (per ora) a rilanciare l’accordo internazionale (Jcpoa) sul programma nucleare iraniano. E starà dalla parte di Israele se Netanyahu nei prossimi due anni ordinerà alla sua aviazione di attaccare le centrali atomiche iraniane. «Siamo fratelli» e «faremo la storia insieme» avrebbe detto Biden congratulandosi con Netanyahu. Ma l’attuale Amministrazione non asseconderà, come aveva fatto Trump, tutti i piani dell’estrema destra al potere in Israele. Netanyahu dovrà tenerne conto.
L’ambasciatore statunitense in Israele Tom Nides ha avvertito in più di una intervista che la Casa Bianca respingerà qualsiasi tentativo del futuro governo israeliano di annettere la Cisgiordania palestinese come Netanyahu aveva provato a fare nel 2020 e che Itamar Ben Gvir, probabile ministro della pubblica sicurezza, intende inserire nel programma dell’esecutivo. «La nostra posizione è chiara: non sosteniamo l’annessione. Combatteremo qualsiasi tentativo in tal senso», ha detto Nides all’emittente pubblica Kan. I commenti dell’ambasciatore sono giunti dopo che Yariv Levin, figura di primo piano della destra, aveva dichiarato che l’annessione della Cisgiordania è in cima all’agenda del futuro governo. Pagine Esteri
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Luisa Morgantini: “La guerra? Fra uccidere e morire c’è una terza via: vivere”
di Frida Nacinovich – Sinistra sindacale*
Luisa Morgantini, quanto andrà ancora avanti questa follia? Quando Russia e Ucraina si decideranno finalmente a negoziare il cessate il fuoco?
Questa situazione è allucinante. Si diceva che questo mondo era razionale, invece è un mondo totalmente irrazionale. Impazzito. Costruire, continuare a fabbricare armi è irrazionale. Costruiamo cose per distruggere. La bomba nucleare è fatta per distruggere ogni cosa. Perchè siamo arrivati a questo punto è difficile dirlo, ma la risposta non possono essere altre armi. Non si può incentivare, incrementare la distruzione e la morte. Dobbiamo dire basta, come donne, come pacifiste. Mi viene a mente una frase bellissima della scrittrice tedesca Christa Wolf, messa in bocca all’amazzone: “Fra uccidere e morire c’è una terza via, vivere”. Se ci siamo spinti così avanti è perché rinunciamo a pensare. Siamo di fronte alla morte dell’umanità. Non sarà l’apocalisse, ma per noi che siamo contro le guerre, contro la violenza, si intrecciano sentimenti di grande tristezza e preoccupazione”.
Specialmente nei primi mesi del conflitto russo ucraino, l’informazione ha messo l’elmetto ed è partita verso il fronte …
“Negli ultimi trent’anni, forse ancora di più, la guerra si è affermata e riproposta in tutte le sue dimensioni. Urlavamo “fuori la guerra dalla storia”, invece la guerra è rientrata prepotentemente nella storia. È pazzesco questo mondo va a rovescia. Oggi si parla di Europa per dire che non ha una linea comune, che non ha fatto una scelta politica. Non sono d’accordo.
Purtroppo l’Europa nelle sue dimensioni istituzionali, ha fatto una scelta politica ben precisa, che è quella di essere al servizio della Nato. Sono gli Stati Uniti che decidono e comandano, nelle basi militari del nostro paese ospitiamo le loro pericolosissime armi. Per anni abbiamo detto e ripetuto “via le basi americane dall’Italia”. Invece le ritroviamo ancora tutte, sempre di più”.
Dall’Europa ci si deve aspettare molto di più?
“L’Europa non è riuscita ad avere una voce autonoma. Questa è la realtà. Le istituzioni non sono state capaci di avere una propria autonomia, lo scollamento con il popolo è evidente. Dico di più, l’Europa non ha neppure cercato di prendere una strada diversa. Al contrario, è diventata sempre più guerrafondaia nelle parole dei suoi governi, a partire da quello italiano. Guerrafondaia come la presidente della Commissione europea. Abbiamo risposto alla guerra immorale scatenata da Putin con una politica di guerra. Così facendo abbiamo incentivato le distruzioni, e le morti degli ucraini e dei soldati russi. Abbiamo distribuito armi all’Ucraina invece di tentare come Europa di avere una politica diversa da quella degli Stati Uniti. Ed è una cosa incredibile, non si capisce perché dobbiamo essere al servizio della crescita a dismisura della presenza nord americana in Europa. Ricordo l’aggressione all’Iraq da parte degli Stati Uniti, anche allora con la nostra connivenza e complicità. Saddam Hussein aveva detto nel consesso arabo che, al posto del dollaro, la moneta di scambio sarebbe stato l’euro. E questa sarebbe stata una cosa importantissima. Niente da fare, l’Europa si è sempre accodata alle scelte degli Stati Uniti. Penso che lo abbia fatto con consapevolezza. Non ha mai voluto giocare un ruolo autonomo, e se l’ha fatto per un breve periodo ha assunto una posizione in qualche modo di ‘soft power’. Ma di fatto abbiamo sempre aderito a queste scelte di guerra: l’Iraq, la Libia, la Jugoslavia. Eppure avevamo un governo con Massimo D’Alema ministro degli Esteri. Credo che, in quel preciso momento, se invece di fare una dichiarazione di alleanza occidentale, con la Nato, avessimo avuto la forza e il coraggio di dire di no, noi la guerra non la facciamo, ripudiamo la guerra come dice la nostra Costituzione, sarebbe cambiato il mondo. Non so cosa sarebbe successo, forse avrebbero fatto un colpo di Stato contro di noi. Ma sicuramente ci troveremmo in una situazione completamente diversa. Perché, a partire dalle prime guerre del Golfo, per arrivare a quella in Jugoslavia, abbiamo visto crescere sempre di più la presenza degli Stati Uniti dalla nostraparte, Kosovo, Iraq, Afghanistan, sono serviti nei fatti ad accrescere la potenza statunitense”.
Sempre in prima linea contro la guerra, la ricordiamo vestita di nero ai tempi della guerra nell’ex Jugoslavia, per denunciare anche allora la follia di ogni conflitto armato.
Le guerre si fanno perché si producono le armi. E le armi devono essere sempre usate e poi cambiate, così si fanno nuovi investimenti e ci sono nuovi profitti per le aziende che realizzano armamenti. Questa guerra non è più russo-ucraina, è una guerra geopolitica. Come dicono molti studiosi, anche non di sinistra, questa è una guerra geopolitica in cui gli Stati Uniti continuano, noi tutti continuiamo a dare armi all’Ucraina per distruggere, invece di puntare fortemente su un piano negoziale. Anche le manifestazioni chiedono questo, il cessate il fuoco fuoco e puntare sui negoziati”.
All’inizio del secolo il Partito della pace fu definito dal New York Times la seconda superpotenza mondiale, ma a mani nude non è facile contrastare il Partito della guerra.
“Nel 2003 c’è stata l’ultima grandissima manifestazione per la pace. Ma secondo me in qualche modo ha segnato anche la rottura della nostra democrazia. Perché milioni e milioni di persone sono scese in piazza, non solo in Italia ma in tutto il mondo, contro la guerra, e invece la guerra l’hanno fatta lo stesso. Non si è più tenuto conto della posizione della società civile, dell’opinione pubblica. Io vedo il 2003 come un punto di non ritorno. La mia impressione è che da allora non viviamo più in un sistema democratico, ma in un sistema in cui la democrazia e la partecipazione delle persone non sono più prese in considerazione. Non soltanto rispetto alla guerra e alle pace, anche rispetto ai problemi di carattere sociale, al lavoro, ai diritti. E allora alle elezioni vanno a votare sempre meno persone. Da questo punto di vista hanno giocato un ruolo decisivo i media. La disaffezione alla politica, dovuta a un qualunquismo per cui son tutti uguali, tutti rubano, tutti sono corrotti. C’è la casta da abbattere. Il trentennio berlusconiano ha distrutto la partecipazione, ovviamente ci abbiamo messo del nostro anche noi di sinistra. Invece di essere uniti ci dividiamo in mille rivoli, prevale ancora il settarismo”.
Come ogni pacifista, ormai per trovare sintonia politica deve leggere il quotidiano dei vescovi l’Avvenire e ascoltare il pontefice?
“Leggo l’Avvenire, il Fatto quotidiano, il manifesto. E le parole giuste le usa Papa Francesco, non soltanto sulla pace e sulla guerra, anche sul lavoro, sulla produzione di armi. E forse non è un caso che questo Papa non sia nato in Italia, Germania, Polonia. In Argentina ha vissuto la dittatura dei militari, ha conosciuto le interferenze nordamericane nei sistemi dittatoriali. Questo mondo è grandissimo, grande e terribile, diceva Gramsci. Però, nello scacchiere ci sono ormai altri interlocutori, che vengono messi da una parte, come hanno fatto con Lula. Allora vedi quanto i media stiano influenzando la cultura. Come si nascondono le verità. Come ci siano due pesi e due misure nelle diverse situazioni. Pensiamo ai curdi. E io penso soprattutto alla Palestina. Se un ragazzino palestinese tira un sasso contro un carro armato è un terrorista, mentre viene invece esaltato da parte dei media occidentali l’eroismo di un ragazzino ucraino che spara. Intanto si permette a Israele di applicare l’apartheid, ammazzare tutti i giorni, rubare terra ai palestinesi, demolire le case, uccidere ragazzini. Tutto viene denunciato, i rapporti delle Nazioni Unite espongono chiaramente i fatti. Però nessuno tocca Israele”.
Occhio per occhio e il mondo sarà cieco, lo gridavano gli studenti di Berkeley ai tempi della guerra in Vietnam…
“Spero che le piazze siano piene per dire no alle guerre. Questo popolo che si schiera per la pace chiede basta guerre, basta violenza. Negoziate, cessate il fuoco, e poi vedremo cosa succede. Siamo tutti sconfitti nella follia della guerra. Abbiamo distrutto mezzo Medio Oriente, mezza Europa. Basta. Io spero, mi auguro che la gente capisca, sappia urlare il proprio ripudio della guerra, mostri una forza che possa far cambiare le linee politiche dei nostri governi. Dobbiamo disarmare questo mondo, e forse dobbiamo impegnarci di più per farlo. Contro guerre, sfruttamento, ingiustizie, diseguaglianze. Pochi giorni fa ero a un’iniziativa politica per sostenere Mimmo Lucano, contro di lui è stato intentato un processo aberrante, lo accusano di cose gravissime, anche se fortunatamente dagli atti è venuto fuori chiaramente che lui non si è mai appropriato di nulla. Al più ha commesso reati di umanità. No, non mi stancherò mai di scendere in piazza. Credo che valga comunque la pena di tener aperta questa luce, questa speranza. “Magari fossi una candela in mezzo al buio”. Vale la pena, vale sempre la pena”.
*https://www.sinistrasindacale.it/images/numero18_2022/SinistraSindacale18_2022.pdf
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Sicurezza online a scuola, martedì 22 novembre il webinar con gli esperti di Generazioni Connesse. L’incontro offre a docenti e dirigenti scolastici un aggiornamento professionale altamente qualificato su tematiche attuali.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola Sicurezza online a scuola, martedì 22 novembre il webinar con gli esperti di Generazioni Connesse. L’incontro offre a docenti e dirigenti scolastici un aggiornamento professionale altamente qualificato su tematiche attuali.Telegram
Andrea Cangini a Radio Rai: “Con la Fondazione Luigi Einaudi inizia la mia terza vita”
Comincia, per me, una terza vita in fondo coerente con l’attività svolta come direttore di giornale e, poi, come senatore della Repubblica: mettere a nudo i problemi, indicare soluzioni realistiche, diffondere il metodo liberale einaudiano.
Intervista a Paola Severini Melograni, per Le Sfide della Solidarietà, Radio Rai
Ascolta l’intervista completa su Radio Rai, click qui.
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Polonia: chi cerca di boicottare la pacificazione ucraina?
I missili 'caduti' in Polonia sono verosimilmente causati dagli antimissili ucraini o sono un missile ucraino, quindi il vero tema è capire se c'è chi cerca di boicottare la pacificazione, e se sì chi è, mentre Biden e Xi hanno di fatto deciso di tirare il freno alla guerra
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Ucraina: i droni iraniani sono la chiave della strategia russa
Da quando la strategia militare della Russia si è spostata per attaccare le infrastrutture critiche dell’Ucraina, i veicoli aerei senza pilota (UVA) di fabbricazione iraniana sono stati fondamentali per lo sforzo bellico. Aumentando il ritmo in ottobre, i modelli Shahed-136 e Shahed-131 sono stati usati per prendere di mira edifici civili e hanno danneggiato circa […]
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Il Segretario Generale Andrea Cangini ospite a “Coffee Break” su La7 il 16 novembre 2022
Domani, 16 novembre 2022, a partire dalle ore 9:40, il nostro Segretario Generale Andrea Cangini sarà ospite a “Coffee Break” su La7.
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Il fronte occidentale, in cerca di eroi sbagliati
Se mai si arriverà a negoziati si tratterà di trovare un difficile equilibrio fra l’esigenza di garantire la pace in Europa e quella di non negare i diritti di un popolo ferocemente aggredito
Non è ancora finita, e i colpi di coda potrebbero essere terribili, ma al momento Davide, come l’abbandono russo di Kherson testimonia, sta sconfiggendo Golia. Grazie alla volontà degli ucraini di difendersi e al sostegno occidentale. Un sostegno che, dalle nostre parti, in tanti, senza riuscire, almeno fino ad ora, nel loro intento, avrebbero voluto far cessare.
Anche questa guerra, come tante altre vicende, testimonia del fatto che le società occidentali si trovano in una condizione paradossale. Da un lato, valorizzano al massimo l’importanza e la dignità delle persone garantendo loro una vasta panoplia di diritti individuali.
Dall’altro lato, sono anche società in cui vengono elaborate e ampiamente diffuse concezioni della vita associata e della storia umana che tolgono valore ai singoli, alle persone in carne ed ossa. Con la conseguenza di negare o dimenticare proprio le ragioni che rendono possibile, qui, da noi, l’esistenza di quei diritti individuali.
Nelle versioni (apparentemente) più sofisticate si tratta di concezioni per le quali contano solo le «strutture» – sociali, economiche, eccetera- che avvolgono gli individui, li plasmano e , di fatto, li svuotano di ogni volontà propria. Nelle versioni più rozze, quegli individui sono pupazzi, burattini o pulci ammaestrate, nelle mani di «poteri forti», anzi fortissimi (le grandi potenze, la Nato, le multinazionali, il mostro denominato capitale finanziario, eccetera).
Non si tratta, si badi, di concezioni che restano chiuse in circoli intellettuali ristretti. No, inondano la comunicazione pubblica, arrivano ovunque. I tanti che pensano che nella guerra in Ucraina l’unica cosa che conti davvero sia il braccio di ferro fra la Nato e Putin, lo vogliano o no, considerano irrilevanti le idee e le volontà delle persone comuni, le trattano, per l’appunto, come burattini o pulci ammaestrate. Naturalmente, l’inconsistenza di queste posizioni è dimostrata dal fatto che mai i loro sostenitori si sognerebbero di pensare a se stessi in quei termini: i burattini sono soltanto gli altri.
Queste concezioni hanno pesato sul modo in cui una parte dell’Europa, minoritaria ma tutt’altro che irrilevante, e comunque assai visibile e vociante, è stata presente nella comunicazione pubblica fin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina e conteranno, forse ancora di più, nella prossima fase del conflitto. Le armi dei Paesi occidentali non sarebbero servite a nulla se gli ucraini, le persone comuni, non avessero deciso di resistere, di difendere se stesse, i propri cari, la propria libertà, il proprio Paese.
Hanno trovato — come a volte, fortuitamente, accade nella storia — un leader (e il suo entourage) all’altezza della sfida. Ma Zelensky non avrebbe potuto fare nulla se gli ucraini non avessero scelto di seguirlo in una resistenza che all’inizio sembrava disperata, senza possibilità di vittoria. Una volontà di resistenza a cui si contrapponeva — dato che le persone, per l’appunto, non sono semplici pedine nelle mani dei potenti — l’assenza di motivazione dei soldati russi ai quali risultava incomprensibile perché fossero lì ad uccidere e a morire.
Come ai tempi dell’intervento americano in Vietnam o dell’invasione russa dell’Afghanistan, a fare la vera differenza non sono gli aiuti esterni — che ci sono sempre stati — ma la forza o la debolezza delle motivazioni e delle convinzioni dei combattenti (da una parte e dall’altra), nonché dei gruppi umani coinvolti. Ciò spiega perché, talvolta, Davide riesca a sconfiggere Golia.
Questa però non è solo una riflessione sul passato. Riguarda anche il presente e il futuro. Tra poco diventeranno sempre più insistenti in Europa le voci di coloro che accuseranno Zelensky di essere ingordo e arrogante, di volere troppo (il ritorno ai confini di prima dell’invasione della Crimea).
È evidente che la comunità internazionale deve fare tutto il possibile per evitare che dalla guerra in Ucraina si passi a una conflagrazione generale. Un rischio dovuto al fatto che gli autocrati non possono accettare facilmente le sconfitte in guerra. Perderebbero, prima o poi, il potere, il che spesso significa, in quel tipo di regimi, perdere anche la vita.
La stessa sorte toccherebbe ai fedelissimi dell’autocrate. Ma è altrettanto evidente, o dovrebbe esserlo, che Zelensky non è solo, deve rispondere a un popolo che è passato attraverso una prova terribile, i cui lutti e le cui sofferenze non possono essere cancellate con un colpo di spugna. Altro che «scurdammoce ‘o passato». L’odio per l’invasore non si placherà. Come non si placherebbe quello di chiunque altro avesse vissuto una vicenda simile. Fosse pure un certo tipo di pacifista nostrano.
Se mai si arriverà a negoziati si tratterà di trovare un difficile equilibrio fra l’esigenza di garantire la pace in Europa e quella di non negare i diritti di un popolo ferocemente aggredito. Un effetto collaterale di questa guerra — se davvero alla fine la Federazione russa risulterà sconfitta — sarà, plausibilmente, la fine delle estese simpatie di cui ha goduto in Europa Putin, «l’uomo forte», quello capace di tenere testa agli americani.
L’insuccesso distrugge la popolarità. Naturalmente, resti o meno Putin al potere, poiché è poco probabile che la Russia diventi una democrazia, la sua pericolosità per l’Occidente, e specificamente per l’Europa, non diminuirà. Ma, per lo meno, il principale «eroe» e campione dell’anti-occidentalismo agli occhi degli anti-occidentali nostrani, perderà capacità di attrazione.
Certamente, al suo posto, verranno individuati, prima o poi, nuovi eroi. I dirigenti cinesi? Dalla Cina verrà certamente una sfida assai pericolosa e insidiosa per le società occidentali. Ma non è probabile che Xi Jinping finisca per godere in Europa della stessa popolarità di cui ha goduto Putin: il salto culturale è troppo forte.
Però i nemici nostrani delle società occidentali possono tranquillizzarsi. Non resteranno a lungo a corto di eroi. Verrà certamente fuori, da qualche parte, prima o poi, un altro nuovo campione dell’anti-occidentalismo. Anche lui teso a dimostrare che siamo tutti pupazzi (tranne lui e quelli che credono nella sua causa) alla mercé di forze diaboliche.
Magari, in seguito, un imprenditore fiuterà il business e, come accadde con Che Guevara, si metterà a produrre magliette con l’effigie dell’eroe. Alcuni di coloro che le indosseranno penseranno di fare un gesto di ribellione nei confronti della società aperta occidentale. Invece, contribuiranno a rinnovarne i fasti.
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Ucraina: dopo Kherson, l’orso andrà in letargo?
Cosa succederà durante i prossimi mesi invernali sul campo di battaglia ucraino? Ecco cosa progettano, cosa sperano, cosa approntano gli eserciti russo e quello ucraino
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La guerra in Ucraina offre alla Cina un’opportunità irta di insidie
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha potenzialmente commesso un errore strategico quando ha inquadrato la lotta per l’Ucraina come una battaglia tra democrazia e autocrazia. In tal modo, ha fatto un favore involontario al principale rivale dell’America, la Cina. L’Ucraina non riguarda la democrazia contro l’autocrazia; dal punto di vista dell’America, potrebbe essere una buona […]
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VIDEO. Cisgiordania: tre coloni accoltellati a morte e una ragazza palestinese uccisa dai soldati
Pagine Esteri,15 novembre 2022 – Mohammad Souf, 18 anni, è stato colpito a morte dopo aver accoltellato e ucciso 3 coloni israeliani di Ariel, nella Cisgiordania occupata.
player.vimeo.com/video/7712089…
Fulla Musalama, una ragazza palestinese di 16 anni è stata uccisa dai soldati israeliani a Betunia, vicino Ramallah. L’auto su cui viaggiava, secondo i militari, non si è fermata all’alt ed è stata per questo crivellata di colpi.
player.vimeo.com/video/7712092…
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Ucraina: Odessa rifiuta Caterina la Grande a causa dell’invasione russa
I preparativi per smantellare il controverso monumento di Caterina la Grande di Odessa sono iniziati all’inizio di novembre, con il sito isolato e la figura dell’imperatrice russa coperta da un velo di plastica nera decisamente poco dignitoso. È caduta vittima di cambiamenti radicali nell’opinione pubblica mentre la brutale invasione di Vladimir Putin costringe gli ucraini […]
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Declino e irrilevanza dell’ASEAN e aperture future per la Cina
I recenti 40° e 41° vertici dell’ASEAN e relativi summit hanno messo a nudo la divisione e il persistente divario del raggruppamento regionale, esponendo l’incombente declino della rilevanza e del ruolo dell’organizzazione regionale di 55 anni, salvo una revisione significativa. L’ASEAN deve affrontare le questioni critiche che permangono, che continuano a plasmare la prospettiva e […]
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Antonio Vigilante
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