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Sotto zeroAnche nel terzo trimestre, il Pil russo si è contratto del 4%. È il secondo consecutivo in rosso, e così l’economia russa entra ufficialmente in recessione.


Gruppo Wagner: il caso di una designazione terroristica


Il gruppo Wagner è stato oggetto di polemiche sin dal giorno della sua fondazione. Un’organizzazione paramilitare russa, il gruppo mercenario ha condotto operazioni che il Ministero della Difesa russo ha silenziosamente approvato pur mantenendo una plausibile negabilità. Dopo anni di smentite e silenzi, il Cremlino ha ora ammesso formalmente l’esistenza dell’organizzazione, nonostante i mercenari siano […]

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in reply to Andrea Russo

Gruppo Wagner: il caso di una designazione terroristica
@Andrea Russo Il punto è che c'è perfetta affinità ideologica tra Putin e la Wagner. Non è che Putin debba smarcarsi dalla Wagner perché è fascista e terrorista. Putin è fascista e terrorista.


Petrolio e gas: le carte in mano agli Stati Uniti


Gli Stati Uniti hanno le risorse grezze di petrolio e gas per essere un produttore ponte per far fronte a gran parte dell'attuale carenza, in Europa in particolare

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G20: l’incontro Xi-Biden mitiga l’inevitabile scontro USA-Cina?


Il recente tanto atteso incontro tra il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il cinese Xi Jinping non ha previsto alcun nuovo intento concreto da entrambe le parti di scendere a compromessi sui propri principi e interessi fondamentali. Tuttavia, ha proiettato due fattori fondamentali che guideranno l’immediato termine di una concorrenza agguerrita, andando avanti. […]

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Come la rivoluzione iraniana rispecchia quelle del passato


Dalla creazione, ogni singolo individuo su questa terra ha il diritto di nascita di essere libero. Questo è ciò che i padri fondatori dell’America hanno messo in parole quando hanno redatto la Dichiarazione di Indipendenza nel 1776, che ci sono verità evidenti, con un essere che ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e […]

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La vittoria ucraina potrebbe infliggere un colpo decisivo all’imperialismo russo


A quasi nove mesi da quando i suoi carri armati hanno attraversato il confine per la prima volta, è ormai chiaro che l’invasione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin è una guerra coloniale vecchio stile, completa di annessioni illegali e negazione del diritto all’esistenza dell’Ucraina. Questo selvaggio atto di aggressione riflette il rifiuto della Russia […]

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Etiopia: Tigray preso per fame dal premio Nobel per la pace Abiy Ahmed


Difronte alla carestia, il Tigray cede al governo etiope e ad Abiy. Sono stati firmati due accordi che hanno posto fine ai combattimenti, ma permangono incertezze, comprese le consegne di aiuti e le intenzioni dell'Eritrea

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A giorni si decideranno le sorti dello spazio. Ma non solo di Francia e Germania


Domani la delegazione italiana indicata di finanziare la politica spaziale per i prossimi tre anni si incontrerà in una riunione ristretta con gli omologhi delegati di Francia e Germania –la triade dei maggiori contributori dell’ESA- per impostare gli orientamenti della Ministeriale che si svolgerà il 22 e 23 prossimi a Parigi. A quanto si sa, […]

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Russia’s attack on Ukraine has sent shockwaves across Europe and the world. While the current war is a geopolitical turning point, it remains unclear whether it will trigger a quantum leap forward for European defence policies and for the role of the…


Giorgia Meloni a Bali: “Il covid è in calo grazie al lavoro dei sanitari e alla responsabilità dei cittadini”


Il covid “è in calo (…). Grazie al lavoro straordinario del personale sanitario, ai vaccini, alla prevenzione, alla responsabilità dei cittadini, la vita è tornata progressivamente alla normalità”. Lo ha detto Giorgia Meloni, a Bali. Il sottosegretario al

Il covid “è in calo (…). Grazie al lavoro straordinario del personale sanitario, ai vaccini, alla prevenzione, alla responsabilità dei cittadini, la vita è tornata progressivamente alla normalità”. Lo ha detto Giorgia Meloni, a Bali. Il sottosegretario alla salute, esponente del suo stesso partito, sostiene l’opposto. Amen. Meloni ha anche detto che “la pandemia ha mostrato la grande fragilità delle nostre società” e che non si deve “cedere alla facile tentazione di sacrificare la libertà in nome della salute”.

Per la verità le democrazie hanno avuto i risultati migliori in termini di vaccinazioni (piuttosto, siamo indietro con la quarta dose) e hanno i migliori sistemi sanitari. Si sono dimostrate resistenti. In quanto alla libertà, seppellito chi la negava, consiste pure nei suoi limiti.

Una teoria della libertà è una teoria dei suoi limiti. Affidati anche, ma non solo, alla responsabilità. L’equilibrio è sempre precario e fallace, ma taluni divieti (ad esempio proibire le droghe) servono a salvarla, la libertà.

La Ragione

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Qatar, i Mondiali della vergogna


Migliaia di morti sul lavoro, centinaia di migliaia di lavoratori stranieri tenuti in condizioni di semi schiavitù, violazione sistematica dei diritti umani, civili e politici. Eppure in Qatar andranno in scena i prossimi mondiali di calcio, un grande bus

i Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 17 novembre 2022 – «Gli alimenti non sono freschi. Puzzano già quando arrivano, ma bisogna mangiarli (…) L’acqua da bere era molto sporca, per bere quella di qualità bisogna avere i soldi. Noi bevevamo acqua sporca… e ti vengono malattie ai reni, calcoli. Il denaro che ho guadagnato l’ho speso all’ospedale» racconta un lavoratore nepalese, reduce da un lungo periodo in Qatar, intervistato nel suo paese da “La Media Inglesa” nel documentario “Qatar: el mundial a sus pies”. «Trasportavo, da solo, 300 o 400 sacchi ogni giorno. Non potevamo mai riposare, le guardie non ce lo permettevano» racconta un altro manovale. Questo anche per 12 ore al giorno, esposti a temperature che arrivano sovente a 50°.

Sportwashing
Lavoro forzato, caldo, morti sul lavoro, maltrattamenti: i racconti dei lavoratori e delle lavoratrici straniere sono spesso una fotocopia l’uno dell’altro. E i rapporti delle organizzazioni internazionali per i diritti umani riportano in maniera unanime una situazione caratterizzata da una violazione sistematica.

Eppure, il 20 novembre nel piccolo emirato si aprirà la ventiduesima edizione della Coppa del Mondo di calcio maschile. Per quanto, dopo anni di parziali silenzi, i media di tutto il mondo stiano finalmente rivelando il contesto in cui 32 squadre si sfideranno per la conquista del più ambito dei trofei, i timidi tentativi di boicottaggiodella competizione non hanno sortito gli effetti sperati e la kermesse andrà in onda per un mese, catalizzando l’attenzione di miliardi di persone.

Un’enorme vetrina internazionale per la petromonarchia qatariota, che sull’evento ha investito – non sempre in maniera limpida e legale – miliardi di euro al fine di rendere possibile una formidabile occasione di sportwashing che accrediti Doha come potenza mondiale dello sport e non solo.

Da quando nel 2010 riuscì ad aggiudicarsi il ballottaggio contro gli Stati Uniti – 16 dei 22 grandi elettori della Fifa, nel frattempo, hanno o hanno avuto a che fare con la giustizia per vicende di corruzione – ottenendo la possibilità di ospitare la prestigiosissima competizione, il piccolo ma incredibilmente ricco Qatar ha fatto molta strada.
Con soli 3 milioni di abitanti, Doha occupa il 55esimo posto nella classifica del FMI con un Pil di 221 miliardi di dollari. Sempre secondo il Fondo Monetario, i cittadini possono contare su un reddito pro capite di quasi 83 mila dollari, il decimo più alto al mondo (in classifica è tra le Isole Caiman e Singapore). Questa grande ricchezza è in gran parte dovuta al fatto che il paese detiene il 15% delle riserve mondiali di gas naturale, terzo al mondo alle spalle di Russia e Iran.

Dal 2017 l’emirato ha dovuto subire un certo isolamento da parte dei suoi soci del Consiglio di Cooperazione del Golfo che, guidati dall’Arabia Saudita, lo hanno sottoposto ad un duro embargo commerciale, accusando la tv satellitare Al Jazeera di fomentare il terrorismo e spingere i popoli del Medio Oriente alla rivolta contro i propri regimi. Dopo che Doha si è legata a doppio filo ad Ankara in nome della comune adesione alla Fratellanza Musulmana – un contingente militare turco è incaricato della sicurezza del piccolo petrostato – Riad e soci hanno deciso di concludere l’assedio e il Qatar arriva all’appuntamento dei mondiali al massimo della sua influenza.
Per dotarsi delle infrastrutture necessarie ad ospitare i Mondiali di Calcio il Qatar ha speso l’esorbitante cifra di 229 miliardi di dollari, un valore equivalente al proprio Pil annuale.

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Un sistema basato sull’apartheid
Il sistema sociale e politico della petromonarchia, governata col pugno di ferro dall’emiro Cheikh Tamim bin Hamad Al Thani (la cui dinastia regna ininterrottamente dalla metà del XIX secolo) si fonda su una netta separazione tra i cittadini autoctoni e gli immigrati, che costituiscono il 95% circa della forza lavoro complessiva, e sulla discriminazione totale di questi ultimi.
Il 79,6% della popolazione attuale del paese (alcune fonti parlano addirittura dell’85%) è costituita da immigrati provenienti dall’India (la comunità più grande con 700 mila membri), dal Bangladesh, dall’Indonesia, dal Nepal, dal Pakistan, dalle Filippine, dallo Sri Lanka e da alcuni paesi africani come il Kenya.

Ovviamente sono stati centinaia di migliaia di migranti a costruire le mirabolanti infrastrutture di cui il Qatar si è dotato negli ultimi 12 anni: 7 stadi (climatizzati!), un nuovo aeroporto, una rete ferroviaria ad hoc, grattacieli, strade, autostrade, hotel e Lusail, una città costruita dal nulla nel deserto sulla costa orientale.
Prima dell’assegnazione dei Mondiali, il Qatar contava meno di un milione di abitanti. Dal 2010, attratti dal miraggio di uno stipendio – 7-800 euro – in grado di consentirgli di sfamare le proprie famiglie, milioni di lavoratori sono arrivati in Qatar da vari paesi per scoprire che le condizioni di lavoro e le retribuzioni non erano affatto quelle promesse.

La kafala
Centinaia di migliaia di immigrati – manovali, operai, vigilantes, inservienti, domestici – sono caduti nella rete della kafala, un sistema di “patrocinio” – vigente in molti paesi della Penisola Arabica e del Medio Oriente – da parte delle imprese che permette ai lavoratori stranieri di accedere al paese, ottenere il permesso di residenza temporanea e quello di lavoro. Il sistema della kafala, affermatosi negli ultimi 50 anni, assogetta i lavoratori stranieri ad una condizione semi-schiavile, privandoli dei più elementari diritti: al loro arrivo gli viene confiscato il passaporto in modo che non possano cambiare lavoro né tantomeno allontanarsi dal paese, se non dopo aver ottenuto l’approvazione del padrone. In questa condizione le aziende impongono condizioni di lavoro disumane, contando anche sul fatto che i cittadini stranieri in Qatar non possono affiliarsi ai sindacati. I reportage di numerosi media e i rapporti delle organizzazioni umanitarie internazionali hanno documentato orari di lavoro anche di 14-16 ore al giorno per retribuzioni medie di 200 euro – che spesso non vengono corrisposte affatto o lo sono con mesi di ritardo; turni di lavoro di sette giorni a settimana senza giorno di riposo; lavoratori alloggiati in tuguri sporchi e striminziti; maltrattamenti; licenziamenti e rimpatri arbitrari; aggressioni; violenze sessuali.

Nel 2020, dopo anni di pressioni e denunce e quando comunque la maggior parte delle infrastrutture per il mondiale erano state realizzate, il Qatar ha finalmente approvato due leggi che mirano a “umanizzare” questa moderna forma di schiavitù, permettendo in alcune condizioni ai lavoratori migranti di cambiare lavoro o di abbandonare il paese senza il consenso dei padroni, fissando un salario minimo (intorno ai 250 euro) e regolamentando in maniera più precisa gli orari di lavoro. La legislazione ha anche inasprito le regole per evitare l’esposizione dei lavoratori a temperature troppo elevate e teoricamente dal primo giugno al 15 settembre è vietato lavorare all’aperto.
Se applicate capillarmente, le nuove leggi potrebbero contrastare efficacamente il sistema della kafala, ma nonostante le rassicurazioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (un’agenzia dell’Onu basata proprio a Doha) organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch continuano a documentare gli abusi sistematici contro i lavoratori stranieri.

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I cantieri, un bagno di sangue
La realizzazione delle strabilianti infrastrutture del Mondiale è costata un vero e proprio bagno di sangue. Le autorità qatariote forniscono un bilancio di pochi morti sul lavoro certificati, ma la realtà è ben diversa. Nel febbraio del 2021 un reportage del Guardian parlò di 6500 morti considerando solo alcune delle comunità immigrate nella petromonarchia. Altre fonti azzardano addirittura cifre ancora più spaventose, come Amnesty che dal 2010 al 2019 documenta 15 mila decessi. Si tratta ovviamente di stime, non suffragate da documenti ufficiali che Doha si guarda bene dal fornire. E a chi tenta di indagare le autorità del petrostato non rendono le cose facili: nel novembre del 2021 due giornalisti norvegesi che realizzavano un’inchiesta sulle condizioni di lavoro nei cantieri dei mondiali sono stati arrestati per 30 ore e tutto il girato è stato cancellato prima della loro espulsione.

Secondo il Guardian, «un documento proveniente dal servizio legale del governo qatariota raccomandava di commissionare uno studio sulle numerose morti per arresto cardiaco dei lavoratori migranti, e di varare una legge che permettesse di fare autopsie in tutti i casi di morti improvvise o inaspettate sul lavoro, ma nessuno di questi provvedimenti è stato adottato».

A queste già drammatiche cifre vanno aggiunte quelle riguardanti gli infortuni, i suicidi e le migliaia di lavoratori stranieri tornati a casa con gravi patologie sviluppate a causa delle condizioni di lavoro alle quali sono stati sottoposti.

Una monarchia assoluta fondata sulla discriminazione
Non sono solo i lavoratori stranieri a subire la violenza del sistema. La monarchia assoluta, che non ammette l’esistenza di partiti politici ed esercita una ferrea censura sulla stampa, secondo un rapporto di Human Rights Watch «applica un sistema discriminatorio di tutela maschile che nega alle donne il diritto a prendere decisioni fondamentali sulle proprie vite».
Tempo fa Nasser Al-Khater, l’amministratore delegato del Mondiale, ha minacciato nel corso di una conferenza stampa: «chiunque sventoli una bandiera del movimento LGBTIQ+ potrà essere condannato a pena tra i 7 e gli 11 anni di carcere» salvo poi affermare che in Qatar «tutti sono ben accolti, ma devono rispettare la cultura e le tradizioni del paese». Ma poi l’ambasciatore dell’evento, Khalid Salman, nel corso di un’intervista alla tv tedesca Zdf ha definito l’omosessualità «un danno psichico».

Anche tralasciando le preoccupazioni sull’impatto ambientale della kermesse calcistica qatariota (ben documentate ad esempio in questo articolo), la definizione di “mondiali della vergogna” è più che giustificata. Vergogna per le autorità del Qatar, che respingono le accuse e le denunce parlando di una campagna di calunnie contro il Qatar. Ma vergogna anche per un sistema sportivo, mediatico ed economico internazionale che nasconde la polvere sotto il tappeto in nome dell’enorme occasione di business e di legittimazione politica che il Mondiale di Calcio rappresenta. – Pagine Esteri

3682329* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

LINK E APPROFONDIMENTI:

amnesty.it/qatar-lavoratori-mi…

hrw.org/es/news/2021/03/29/qat…

indianexpress.com/article/expr…

theguardian.com/global-develop…

apnews.com/article/world-cup-s…

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ANALISI. Chi ha vinto le elezioni di Midterm negli USA? (Seconda parte)


Tutti i 6 membri del “The Squad” di Alexandra Ocasio-Cortez alla Camera sono stati rieletti. Di rilievo il successo di Maxwell Frost, il giovanissimo leader studentesco contro la diffusione delle armi nelle mobilitazioni di March for Our Lives. L'articol

di Antonio Perillo-

(nella foto Maxwell Frost)

Pagine Esteri, 15 novembre 2021 Chi ha vinto le elezioni di Midterm negli USA di martedì 8 novembre? Rispondere a questa domanda non è affatto semplice, anche considerando che mentre scriviamo, sei giorni dopo l’election day, in alcuni stati si stanno ancora contando i voti, la maggioranza alla Camera non è ancora stata annunciata ufficialmente, così come il risultato di due elezioni per i governatori statali.

Ha vinto la sinistra Dem?

L’ala più progressista dei Democratici ha celebrato alcuni successi. Tutti i 6 membri del “The Squad” di Alexandra Ocasio-Cortez alla Camera sono stati rieletti e altri due deputati neoeletti, Summer Lee e Greg Casar vi si uniranno.
Il senatore Bernie Sanders ha salutato l’elezione di tanti altri deputati e senatori Dem, di cui aveva sostenuto la corsa alle primarie contro esponenti dell’ala centrista del partito. Fra essi, anche Maxwell Frost, il giovanissimo (classe 1997) leader studentesco che si batteva per il controllo della diffusione delle armi nelle mobilitazioni di March for Our Lives, la cui elezione è uno dei pochissimi segnali positivi per il Dem in Florida. In generale, l’affluenza dell’elettorato giovanile ha in parte compensato l’astensione delle altre classi d’età dell’elettorato Dem ed ha premiato largamente i democratici e in particolar modo i candidati più progressisti.

Attorno a Sanders, numerose organizzazioni indipendenti, come il Working Families Party, Our Revolution, Move On ed altre, stanno dimostrando un interessante protagonismo, mobilitandosi per i diritti riproduttivi delle donne, per la crisi climatica, per il salario minimo, per l’estensione della copertura sanitaria pubblica e i diritti delle comunità Lgbt+.

Sanders ha fortemente rivendicato, nei comizi tenuti per queste Midterm, il suo sostegno a Biden che ha fruttato i più grandi pacchetti di spesa pubblica per la classe media e lavoratrice nella storia recente USA. Questo nonostante nel mondo che lo circonda sia presente molta diffidenza se non frustrazione verso il presidente e l’ala moderata del partito. Ma la perdita della maggioranza alla Camera rischia di compromettere l’intero impianto su cui Sanders e l’ala progressista hanno fondato la loro azione al Congresso, poiché d’ora in poi ogni provvedimento di peso, soprattutto se comporta obblighi di spesa, dovrà passare dalle negoziazioni coi repubblicani. Difficile che nel nuovo quadro possano intensificarsi, come chiede Sanders, le politiche in grado di ridurre le enormi disuguaglianze che caratterizzano gli USA. Lo stesso Michael Moore, regista e riferimento di tutta l’ala progressive coi suoi post e podcast quasi quotidiani, ha esultato per aver ucciso la “red wave” repubblicana. Resta difficile immaginare però la prospettiva di quest’area se i prossimi due anni saranno nuovamente bloccati fra trattative e veti reciproci. In questo senso, anche la ricandidatura di Biden, oggi 79enne, nel 2024, confermata alcune settimane fa, sembra indebolirsi progressivamente.

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Alexandria Ocasio Cortez

Infine, se a parte DeSantis, di fatto, non ha vinto nessuno, qual è il quadro generale che esce dalle Midterm?I risultati hanno confermato l’estrema polarizzazione fra i due principali partiti, fotografata dall’equilibrio nei voti e da una campagna elettorale durissima. Secondo entrambi i contendenti era infatti in gioco in primo luogo la stessa democrazia nel Paese. Da una parte, i Dem hanno presentato i Repubblicani come il partito dominato da Trump, che ancora non riconosce la vittoria di Biden alle presidenziali, e che ha cercato di manipolare e limitare l’accesso al voto, nonché privare le donne del diritto all’aborto. Il “vote denying”, la negazione della sconfitta del 2020 e la “vote suppression”, cioè le difficoltà poste nel registrarsi e poter votare e la rimodulazione dei collegi (il “gerrymandering”) ad opera delle autorità statali per favorire una parte sull’altra.

Dall’altra, i Repubblicani accusano i democratici di voler limitare le libertà fondamentali degli americani ed i loro valori tradizionali, con l’intervento statale, l’aumento delle tasse, l’attacco al diritto di portare armi, la cosiddetta teoria gender. E utilizzando anche truffe elettorali (moltissimi candidati repubblicani sostenevano la teoria della “grande bugia” sulle elezioni 2020 e oggi stanno diffondendo accuse di brogli circa i ritardi nei conteggi in diversi stati).

Il sistema politico USA, pur diviso nei mille rivoli delle legislazioni dei 50 stati, è rigidamente ed istituzionalmente bipartitico, con moltissime cariche amministrative e giudiziarie decise, come per i parlamentari, da elezioni dirette in collegi uninominali, precedute da cicli di elezioni primarie gestite dagli stati. Questo dominio della logica maggioritaria impedisce di vedere rappresentata in maniera più rispondente alla realtà l’enorme complessità di una società che negli ultimi anni è in piena ebollizione. All’interno dei due partiti vivono organizzazioni e cordate, veri partiti nei partiti, capaci di raccogliere fondi e sostenere i propri candidati, ma non di scalfire il sostanziale equilibrio negli indirizzi fondamentali della politica USA. L’affluenza di queste Midterm, appena il 47%, è anche sintomo di ciò.

Quando invece gli elettori sono chiamati a decidere direttamente su temi di grande interesse con dei referendum, che accompagnano sempre, nei singoli, stati, queste grandi tornate elettorali, la situazione si mostra interessante e a tratti sorprendente, soprattutto se la paragoniamo allo scenario italiano. Decisamente più avanzata rispetto agli equilibri di Washington.

Innanzitutto, in Vermont, Michigan e California sono stati approvati testi che prevedono di istituire il diritto all’aborto. In altri stati come il Kentucky e Montana, sono stati bocciati testi che proponevano di limitarlo.
In Nebraska e Discrict Columbia, lo stato di Washington, sono stati approvati referendum per alzare significativamente il salario minimo oltre i 15$, la cifra della nota campagna che ha attraversato gli USA negli ultimi anni. In Nevada la soglia è stata alzata a 12$. Ancora, in New Jersey, Montana, Arizona è stato legalizzato tramite referendum l’uso terapeutico e anche ricreazionale della cannabis. In Oregon e Colorado sono stati legalizzati anche i cosiddetti “funghetti” allucinogeni. Pagine Esteri

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ANALISI. Chi ha vinto le elezioni di Midterm negli USA? (Prima parte)


pagineesteri.it/2022/11/14/in-…

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#uncaffèconLuigiEinaudi – Tutti, se ci riflettono, sono seguaci della idea liberale


“Tutti, se ci riflettono, sono seguaci della idea liberale; perché essi devono la loro posizione alla libertà, garantita soltanto dallo Stato moderno, di istruirsi, di elevarsi, di lavorare, di associarsi, di lottare.” da Corriere della Sera, 8 novembre
“Tutti, se ci riflettono, sono seguaci della idea liberale; perché essi devono la loro posizione alla libertà, garantita soltanto dallo Stato moderno, di istruirsi, di elevarsi, di lavorare, di associarsi, di lottare.”

da Corriere della Sera, 8 novembre 1919

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Ucraina: i nemici della pace non sono in Russia


Fermare la guerra in Ucraina non basta. Ha fatto il suo tempo anche la tesi USA di 'contenere' la Russia; questa guerra è il frutto del contenimento

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Metascuola


Lunedì scorso abbiamo fatto a scuola una cosa semplice, eppure a quanto pare difficile. Ci siamo messi in cerchio, in aula magna. Studenti, docenti e dirigente. E abbiamo parlato di noi. Della nostra scuola. Della scuola in generale. Di quello che va, di quello che non va. Abbiamo parlato e ascoltato. Altrove si chiama Student Voice, io la chiamo Metascuola. Sospendere per qualche ora la condizione scolastica ordinaria con i suoi ruoli e le sue gerarchie e interrogarsi sul senso di quello che si fa giorno dopo giorno.
Quello di lunedì è stato il primo incontro. Altri ne seguiranno. E cercheremo di capire insieme cosa cambiare, e come.

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in reply to Antonio Vigilante

per curiosità, ci sono stati poi altri incontri oppure è stato solo il primo sampietrino posato dalla dirigente sulla strada delle buone intenzioni?


Per colpa di chi?S-300. Questo il tipo di missile, di fabbricazione russa, che è caduto ieri in un villaggio polacco al confine con l’Ucraina, causando la morte di due persone.


"Il Garante della privacy italiano si è mosso per studiare a fondo una coppia di iniziative in mano a Comuni italiani che hanno forse preso un po’ troppo alla leggera le controverse tecnologie di riconoscimento biometrico. L’Autorità ha avviato dunque due separate istruttorie al fine di vigilare sulle mosse prossime future previste dai Comuni di Lecce e Arezzo."

lindipendente.online/2022/11/1…



"Sulla qualità del nostro cervello siamo tutti molto permalosi. Accusare il prossimo di essere debole di reni, o di polmoni, o di cuore, non è un reato; definirlo debole di cervello invece sì."

Primo Levi



USA: elezioni midterm 2022, la sconfitta vincente di Biden


“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) Le elezioni di medio termine americane cominciate l’8 novembre si concluderanno il 6 dicembre con il ballottaggio in […]

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Donald Trump annuncia la sua ricandidatura alla Casa Bianca per il 2024. Ma tra i Repubblicani si levano distinguo e appelli a “guardare avanti”. Donald Trump si ricandida per la presidenza degli Stati Uniti.


G20: visioni di guerra (Cina, USA) e clima (Asia)


Un vertice quasi monopolizzato dalla guerra e dalle sue conseguenze, in atto e potenziali, e da due opposte visioni del mondo. Sul palcoscenico dell'Asia, contesa tra Pechino e Washington, potenzialmente alfiere dell'economia verde derivante dal cambiamento climatico posta al centro degli sforzi per rinvigorire il multilateralismo

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Lo scorso 2 ottobre, il colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba, capo di stato ad interim del Burkina Faso, ha rassegnato le dimissioni dalla presidenza del Mouvement patriotique pour la sauvegarde et la restauration (MPSR).


La sfida dell’influenza dei media della Cina


Quando nel 2018 è trapelato il famigerato elenco di 14 reclami della Cina con l’Australia, i commentatori hanno notato che alcuni reclami – inclusa la copertura mediatica “ostile” della Cina in Australia – erano questioni considerate nelle democrazie liberali come giustamente al di fuori del controllo del governo del giorno . Anche se forse è […]

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Biden convintamente verso la diplomazia con la Russia


I rapporti hanno rivelato che l'Amministrazione Biden ha avuto discussioni con l'Ucraina per spingerla verso i negoziati e si è impegnata in colloqui diretti segreti con la Russia per prevenire l'escalation nucleare

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Il ‘male oscuro’ che corrode le carceri italiane


Ogni giorno…Non s’era mai visto un conflitto così aperto tra le due più alte cariche dello Stato. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella cerca di mettere una pezza all’incidente che il governo di Giorgia Meloni ha provocato con la Francia di Emmanuel Macron. Il presidente del Senato Ignazio LaRussa sente l’esigenza di intervenire e dire […]

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Quanta Italia a bordo dello Space Launch System


È in volo verso la Luna, Space Launch System (SLS) il razzo più potente mai costruito. A bordo del viaggio inaugurale, la navicella spaziale Orion della Nasa e l’ESM (European Service Module) dell’Esa che, una volta operativo, provvederà a tutti i bisogni primari degli astronauti, come acqua, ossigeno, azoto, controllo della temperatura, potenza e propulsione. […]

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Simbolotto, occhio ai simboli


Cosa hanno in comune un caffè, un baule, un disco, una rondine, un ombrello? Nulla, giusto? No, sbagliato. Sono 5 dei 45 simboli che sono alla base del gioco abbinato al Lotto. Stiamo parlando di Simbolotto. Il gioco ha un che di affascinante: a guardare questi simboli, vengono in mente i vecchi libri della scuola […]

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Intervista del nostro Segretario Generale, Andrea Cangini, ad Andrea Pancani di Coffee Break, su La7


Le elezioni di midterm americane, col mancato trionfo repubblicano, e il riavvicinamento tra Biden e Xi Jinping al G20 di Bali hanno spiazzato e ulteriormente isolato Putin. La reazione violenta della Russia non sorprende. Sorprendono, semmai, i commenti

Le elezioni di midterm americane, col mancato trionfo repubblicano, e il riavvicinamento tra Biden e Xi Jinping al G20 di Bali hanno spiazzato e ulteriormente isolato Putin. La reazione violenta della Russia non sorprende. Sorprendono, semmai, i commenti di diversi politici e molti opinionisti che trasudano insofferenza verso la bizzarra pretesa del popolo ucraino, e dei suoi rappresentanti, di vivere libero e non soccombere all’invasore. Chiamano “pace” la resa incondizionata di Kiev e nei fatti auspicano un ritorno alla legge della giungla. È una posizione che in molti nasce da un radicale antiamericanismo. Noi della Fondazione Luigi Einaudi siamo diversi. Noi sappiamo che, oltre al diritto all’autodeterminazione di un popopolo, in Ucraina si difendono i valori su cui si fondano l’Europa e l’Occidente: la libertà e la democrazia.

Di seguito il video di alcuni passaggi dell’intervista del nostro Segretario Generale, Andrea Cangini, ad Andrea Pancani di Coffee Break, su La7.

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Segnali


I nativi americani usavano l’intermittenza delle nuvole di fumo per comunicare. Segnali adatti a messaggi non complessi. Stiano attenti, i governanti, a non privilegiare i segnali rispetto alla sostanza. Votando in prevalenza (ricordiamo che si tratta, pe

I nativi americani usavano l’intermittenza delle nuvole di fumo per comunicare. Segnali adatti a messaggi non complessi. Stiano attenti, i governanti, a non privilegiare i segnali rispetto alla sostanza. Votando in prevalenza (ricordiamo che si tratta, per tutta la coalizione di centro destra, pur sempre di meno della metà dei voti espressi) per Fratelli d’Italia non vi è dubbio che gli elettori abbiano scelto una politica maggiormente sensibile al mantenimento dell’ordine pubblico o al contenimento (sperabilmente il blocco) degli sbarchi d’immigrati.

È quindi naturale che il governo derivatone si attenga a quella linea. Difendere gli interessi italiani, però, non consiste nel proclamare di difendere gli interessi italiani, ma nel saperlo fare, una volta individuatili e messi in gerarchia delle priorità.

Tanto più che, se ci si concentra solo sui segnali, si finisce con il produrne di contrastanti. Difficile non leggere la distanza fra le parole del governo e quelle del Presidente della Repubblica, circa il rapporto con la Francia e l’Unione europea tutta. Un contrasto stridente.

Sul fronte dell’immigrazione, ad esempio, non subiremo conseguenze negative dall’avere coalizzato solo Cipro, Grecia e Malta. Ma quella prova di debolezza, facendo i grossi fra i piccoli, rischiamo di pagarla su altri tavoli. Scena molto diversa da quella che mise l’Italia con Francia e Germania, su un treno verso l’Ucraina. Non ci saranno conseguenze perché sull’immigrazione i fatti sono solidi, visto che non siamo affatto i soli a subire gli sbarchi e chi è secondo in graduatoria, ovvero la Spagna, non ha condiviso la nostra posizione.

Le richieste d’asilo sono rivolte prevalentemente verso la Germania (190.500 nel 2021), la Francia (120.700), la Spagna (65.300), mentre da noi vorrebbero restare solo in 53.600. Gli stranieri a vario titolo presenti nel Paesi europei sono il 17% della popolazione austriaca, il 13% degli irlandesi, il 12.7% dei tedeschi, l’11.3% degli spagnoli, mentre da noi sono l’8.7% degli italiani. Dopo la criminale aggressione russa la Polonia ha accolto 1.5 milioni di ucraini, la Germania 1 milione, la Repubblica Ceca 455mila e noi 171mila.

La nostra caratteristica è solo quella d’essere la principale meta degli sbarchi. Ragion per cui avremmo interesse non tanto alla redistribuzione, ma che della totalità (da noi come da altri) si occupi una comune giurisdizione Ue. In questi giorni ci siamo allontanati, non avvicinati a questo risultato.

Purtroppo l’approccio segnaletico è presente anche in altri campi. Abbiamo una scarsa partecipazione al lavoro e molti posti che restano vacanti per mancanza di competenza e voglia di occuparli. Anche la scorsa campagna elettorale ha visto uno scoppiettare di proposte per pensionamenti anticipati, che comportano più spesa e meno lavoratori. Per non dire della falsa flat tax, che si pensa di finanziare anche togliendo detrazioni a chi guadagna meno degli eventuali beneficiari, che se non fosse una follia sembrerebbe uno scherzo.

Mentre ciò s’esibisce sugli schermi, al ministero dell’economia studiano come varare una falsa flat che scassi poco e come incentivare la permanenza al lavoro dei pensionandi, piuttosto che l’anticipazione dell’uscita. Insomma si prova a tenere assieme i segnali di conferma con la sostanza di smentita, pensando che tutti i problemi si riducano alla necessità di trovare una formula verbale capace di tenere assieme cose opposte, senza indispettire, senza smentire e senza sfasciare.

Infine: il punto forte di Meloni è la scelta atlantica, con specifico riferimento alla guerra Ucraina. Bene. Ma se pensasse di compensare l’isolamento europeo con la sponda statunitense commetterebbe il grave errore dei brexiter e di Orban. Con l’aggravante di arrivare dopo, quindi di sapere come va a finire. L’incontro con Biden ricorda il punto forte. Sarebbe grave dimenticare che l’interesse italiano è sì atlantico, ma anche europeo. E il fumo va diradato, non utilizzato.

La Ragione

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Missili sulla Polonia: chi soffia sul fuoco e chi porta acqua


Sono partite le indagini, per le quali ci vorrà tempo. E il tempo aiuta anche a calmare e far ragionare chi alla notizia del bombardamento ha aperto la bottiglia di champagne. Immaginare scenari apocalittici comprensivi di guerre globali è non solo prematuro, ma stupido

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"La crisi dei missili sulla Polonia sembra sia rientrata, con il presidente Usa che ha dichiarato l’improbabilità dell’attacco russo. Ma quando ancora non si era capito cosa fosse accaduto, Letta e Calenda avevano già messo l’elmetto."


CULTURA. William Faulkner e i romanzi dello scrittore palestinese Ghassan Kanafani (1a parte)


Kanafani riprese il modello faulkneriano e lo rielaborò per creare “Uomini sotto il sole”, in cui descrive le sofferenze di tre palestinesi che fuggono dai campi profughi e attraversano il deserto per emigrare in Kuwait nella speranza di costruire una vit

di Patrizia Zanelli*

Pagine Esteri, 16 novembre 2022 – Alcuni testi particolarmente originali sul piano artistico non diventano veri e propri best seller internazionali, ma hanno un impatto straordinario sullo sviluppo della cultura mondiale. Un caso famoso in tal senso è The Sound and the Fury,[1] (L’urlo e il furore) pubblicato nel 1929 dallo scrittore statunitense William Faulkner (1897-1962), vincitore del Nobel per la Letteratura 1949. La celebrità di questo romanzo modernista, ambientato nei primi tre decenni del ‘900 in una cittadina del Sud degli Stati Uniti, si deve anche al successo dell’omonimo adattamento cinematografico, uscito nel 1959. Lo stesso testo di Faulkner comincerà a influenzare la produzione culturale araba negli anni ’60 grazie all’avanguardismo di due intellettuali palestinesi: il letterato e pittore Giabra Ibrahim Giabra (Betlemme, 1919-Baghdad, 1994), e lo scrittore, critico letterario, giornalista e attivista marxista Ghassan Kanafani (Acri, 1936-Beirut, 1972). Entrambi erano stati costretti a lasciare la Palestina nell’ambito della Nakba (Catastrofe), l’evento traumatico vissuto dal loro popolo per via delle operazioni militari avvenute nei mesi precedenti la fondazione d’Israele, il 14 maggio 1948, e nel corso della prima guerra arabo-israeliana.

3664138Nel 1961, Giabra tradusse The Sound and the Fury, e la sua traduzione araba influì molto sull’arte narrativa di Kanafani che aveva iniziato nel 1957 a pubblicare racconti incentrati sul binomio esilio-morte, mentre insegnava lettere in Kuwait. Nel gennaio del 1963, lo stesso scrittore palestinese pubblicò il suo primo romanzo, “Uomini sotto il sole”,[2] proprio nella città in cui dopo nove anni avrebbe perso la vita per avere portato avanti le sue idee politiche. L’8 luglio 2022 è stato infatti commemorato il cinquantesimo anniversario della morte di Kanafani, assassinato a Beirut in un attentato di solito attribuito al Mossad israeliano; con l’esplosione della sua auto, se ne andò insieme a lui la nipote sedicenne Lamìs. Il 6 luglio di sessant’anni fa, invece, Faulkner morì per motivi di salute.

L’originalità di The Sound and the Fury sta nella molteplicità dei punti di vista abbinata alla frammentazione del racconto, un abbinamento che costituisce l’espediente tecnico fondamentale ideato dallo scrittore statunitense per creare questo romanzo. Nell’opera, l’autore presenta la situazione dei tre fratelli Compson e il modo in cui ognuno di loro considera la sorella Caddy che, per via della sua promiscuità sessuale, ha rovinato la reputazione della famiglia aristocratica ormai in decadenza a cui appartengono. Il testo è suddiviso in quattro sezioni; in ciascuna delle prime tre, uno dei protagonisti racconta la storia dal proprio angolo visuale; la narrazione è di tipo autobiografico, e il campo visivo è limitato, riflettendo la percezione soggettiva della realtà. Nella quarta sezione, invece, la linea narrativa è sviluppata da un narratore onnisciente, voce esterna che narra gli eventi, come se vedesse tutto dall’alto, conosce il passato, il presente, il futuro, la psicologia e i pensieri dei personaggi, e ogni altro elemento del racconto. Il romanzo ha una struttura temporale complessa, caratterizzata da analessi – o flashback – e da prolessi. L’autore usa inoltre la tecnica del flusso di coscienza perfino nella prima sezione del testo in cui la storia è raccontata dal fratello Compson più giovane che è affetto da una disabilità intellettiva. Non è facile la lettura di The Sound and the Fury, definito talvolta come “il romanzo dei romanzieri” in quanto inesauribile fonte d’ispirazione artistica. Inizialmente, la complessità tecnica del testo portò certi commentatori a trascurare il messaggio politico che Faulkner veicola nell’opera stessa, che di fatto è una denuncia contro la mentalità conservatrice e razzista predominante nel Sud degli Stati Uniti.

Kanafani riprese il modello faulkneriano e lo rielaborò a modo suo, ossia lo trasformò, per creare “Uomini sotto3664140 il sole”, in cui descrive le sofferenze di tre palestinesi che fuggono dai campi profughi e attraversano il deserto per emigrare in Kuwait nella speranza di costruire una vita più dignitosa per sé e le loro famiglie, ma non hanno documenti di viaggio e proprio quando stanno per giungere a destinazione, incontrano la morte. Muoiono per ipertermia e asfissia dentro la cisterna vuota in cui un camionista e passeur improvvisato, loro compatriota, li aveva convinti a nascondersi, mentre lui sbrigava le procedure per passare la frontiera irachena. Questo quarto personaggio è un palestinese che aveva perso la virilità combattendo come partigiano (fidā’ī) della resistenza nel ’48. Non potendo più costruirsi una famiglia, pensa solo a guadagnare soldi per vivere meglio dopo quella ferita a cui avrebbe preferito la morte. Sente inoltre di essersi sacrificato inutilmente, visto che con la sconfitta militare aveva perduto anche la patria. Alla fine del racconto, getta i cadaveri dei tre migranti in una discarica, e come per scaricare le proprie responsabilità su di loro, si domanda perché, mentre erano ancora vivi, non avessero bussato alle pareti della cisterna, per chiedere aiuto. Sembra che l’autore abbia scelto questo finale sconcertante per indurre il lettore a interrogarsi sul significato dell’intera opera e a cercare da sé la risposta; il narratore in effetti narra la storia, esponendo i fatti senza commentarli o esprimere giudizi.

Indubbiamente “Uomini sotto il sole” è una rappresentazione della diaspora palestinese; tuttavia sotto certi aspetti il testo è interpretabile in modi diversi, poiché è improntato al simbolismo. In questo breve romanzo, ambientato nel 1958, Kanafani descrive varie conseguenze della Nakba, il trauma post-coloniale subito dal suo popolo. Ognuno dei personaggi principali rappresenta una generazione diversa e una situazione personale particolare. L’autore denuncia sia la corruzione dei regimi arabi, simboleggiati dai funzionari degli uffici che controllano la frontiera iracheno-kuwaitiana, sia la mancanza di solidarietà tra i palestinesi stessi, che cercano di migliorare le proprie condizioni individualmente, invece di unirsi in una lotta politica comune. “Uomini sotto il sole” è un’opera intramontabile perché propone un tema di portata universale e purtroppo sempre attuale; fa riflettere sugli effetti terribili di una guerra, sulla vita difficile dei profughi, nonché sulle migrazioni in genere, sulle ragioni che inducono le persone a emigrare anche a costo di affrontare un viaggio pericoloso.

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Ghassan Kanafani

Kanafani decise di frammentare il racconto, ma fece altre scelte importanti che rendono il romanzo diverso dal modello faulkneriano. Il testo è suddiviso in sette capitoli; ciascuno dei primi tre è dedicato a uno dei migranti; in quelli successivi vengono esposti i fatti che portano alla loro morte. La struttura temporale del romanzo è caratterizzata dalle analessi che ricostruiscono il passato dei quattro personaggi principali. In un segmento narrativo del quarto capitolo, è descritto il momento in cui il camionista aveva perso la possibilità di costruirsi una famiglia; la ferita personale riflette il trauma subito dal popolo palestinese con la perdita di una parte della propria patria. L’intera storia è narrata in terza persona da un narratore esterno; la voce narrante è unica, ma i punti di vista sono multipli. Questa molteplicità è realizzata tramite quella che Genette definisce come la focalizzazione interna variabile; di volta in volta uno dei quattro personaggi principali diventa focale; le immagini descritte nell’enunciato sono quelle percepite dai suoi occhi e, leggendo il segmento narrativo in questione, si ha l’impressione che sia lui a parlare. Dunque, è come se raccontasse la storia in prima persona dal proprio angolo visuale ristretto. Alla fine il racconto sembra un mosaico composto dalle diverse percezioni che i protagonisti hanno della stessa realtà. Kanafani abbina la voce esterna alla focalizzazione interna con maestria in “Uomini sotto il sole”, in cui usa di rado la tecnica del monologo interiore, talvolta il pensiero diretto legato e numerose sequenze dialogiche. Lo stile fluido e lineare della narrazione attenua la complessità di questo capolavoro il cui adattamento, “Gli ingannati”, realizzato dal regista egiziano Tewfik Saleh (Tawfīq Ṣāliḥ, 1926-2013) e uscito nel 1972, è tuttora considerato tra i 100 migliori film del cinema arabo.

Kanafani attinse maggiormente a The Sound and the Fury per creare “Tutto ciò che vi resta”[3], del 1966, ma compose questo suo secondo romanzo, rinunciando alla frammentazione del racconto. Nell’opera, l’autore descrive la situazione di una famiglia palestinese di Giaffa, i cui membri erano stati costretti a lasciare la città nel ’48, dopo che il padre era morto combattendo nella resistenza contro i miliziani sionisti poco prima della fondazione d’Israele. Nel tumulto della Nakba si erano dispersi andando a vivere in campi profughi diversi. Un figlio e una figlia vivono a Gaza; pensano che la madre sia in Giordania e forse è l’unica a sapere dove sia stato sepolto loro padre morto eroicamente. Il romanzo è incentrato sulla crisi identitaria associata alla diaspora palestinese.

I protagonisti sono il sedicenne Hamid, sua sorella Maryam rimasta incinta di Zakaria, prima che quest’uomo spregevole la sposasse; il Deserto che l’adolescente, turbato dal senso misto di odio e vergogna dovuto a questo fatto disonorevole per la famiglia, ha deciso di attraversare nella speranza di trovare la madre in Giordania; e l’Orologio il cui ticchettio risuona nella mente della giovane donna preoccupata per il fratello in viaggio, maltrattata dal marito e angosciata per essersi rovinata la reputazione per via della relazione extraconiugale che aveva avuto con lui.

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William Faulkner

Cinque linee narrative si incontrano e scontrano senza un filo logico apparente nel racconto, caratterizzato dalle analessi e dalla tecnica del flusso di coscienza. Si scopre man mano che Zakaria aveva tradito sia la prima moglie – da cui aveva già avuto tre figli – sia la causa nazionale, poiché aveva rivelato al nemico il nome del capo di un gruppo di fedayin che aveva combattuto nella guerra di Suez del ’56. L’uomo era stato quindi giustiziato dalle autorità israeliane. Hamid lo conosceva, perché era un amico di famiglia, e temeva di fare la sua stessa fine. La crisi identitaria dell’adolescente non dipende soltanto dagli atti disonorevoli compiuti dalla sorella e dal cognato, ma anche dalla sua stessa incapacità di affrontare il nemico e diventare un eroe come il padre. Cerca il conforto della madre, che anche Maryam vorrebbe. Il fratello ama ancora la sorella, nonostante tutto, perché gli resta soltanto lei. Lui però si è allontanato da lei, che quindi ama il marito, benché sia spregevole, perché ormai le resta solo lui. La dispersione dei membri di una famiglia rappresenta la diaspora palestinese e una crisi identitaria collettiva dovuta allo sradicamento dalla patria, dalla comunità originaria, e da qui la paura della solitudine, di perdersi nel luogo d’esilio per l’assenza di legami affettivi stabili.

Nel romanzo è inoltre raffigurata la relazione tra Spazio e Tempo nella Storia, in senso sia narratologico che storiografico e sociologico. Grazie all’introspezione, ai ricordi di famiglia e specialmente del padre morto eroicamente per la liberazione nazionale, Hamid e Maryam trovano letteralmente la forza e il coraggio per liberarsi dei problemi del passato e pensare al futuro; la soluzione sta nel ribellarsi contro la realtà opprimente del presente. Rispetto al modello faulkneriano, “Tutto ciò che vi resta” è contraddistinto dal simbolismo e dalla confusione delle linee narrative, riconoscibili solo grazie al cambiamento del tipo di carattere usato di volta in volta da Kanafani. La lettura del testo non è facile; e una parte della critica accusò l’autore di avere privilegiato lo sperimentalismo artistico all’impegno di esprimere le rivendicazioni politiche del suo popolo in un modo accessibile al pubblico generale. D’altro canto, “Tutto ciò che vi resta” è una vera gemma letteraria, forse l’opera in cui Kanafani, che si dedicava anche alla pittura, diede maggior sfogo alla propria creatività unendo cultura scritta e visuale tramite l’adozione di tecniche simili a quelle cinematografiche. Nel testo di appena 80 pagine, l’autore veicola comunque un messaggio politico importante soprattutto per le nuove generazioni, un invito a ribellarsi per cambiare la situazione e raggiungere la libertà. Pagine Esteri

*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Ha scritto L’arabo colloquiale egiziano (Cafoscarina, 2016); ed è coautrice con Paolo Branca e Barbara De Poli di Il sorriso della mezzaluna: satira, ironia e umorismo nella cultura araba (Carocci, 2011). Ha tradotto diverse opere letterarie, tra cui il romanzo Memorie di una gallina (Istituto per l’Oriente “C.A. Nallino”, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī.

NOTE

[1] William Faulkner, L’urlo e il furore, tr. Augusto Dauphiné, Mondadori, 1947; tr. Vincenzo Mantovani, Mondadori, 1980; Einaudi, 1997.

[2] Ghassan Kanafani, Uomini sotto il sole, tr. Isabella Camera d’Afflitto, Rispostes, 1984; Edizioni Lavoro, 2016.

[3] Ghassan Kanafani, Tutto ciò che vi resta, tr. Emanuela Capobianco, Cicorivolta, 2017.

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USA/ISRAELE. L’insuccesso elettorale trumpista rovina la festa di Netanyahu


Il futuro premier israeliano sperava in una sconfitta sonora dei Democratici e, più di tutto, in un indebolimento di Joe Biden che avrebbe lasciato mano libera al suo governo di estrema destra L'articolo USA/ISRAELE. L’insuccesso elettorale trumpista rov

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 11 novembre 2022 – Benyamin Netanyahu potrebbe dormire tranquillo tra due guanciali. Ha vinto le elezioni e ha umiliato suoi rivali di sinistra e di destra. Ha ricevuto messaggi di congratulazioni persino dal presidente turco Erdogan, uno dei suoi avversari più agguerriti. E il suo principale partner di governo, l’estremista di destra Itamar Ben Gvir, ieri omaggiava pubblicamente il suo mentore, il rabbino Meir Kahane leader del partito razzista Kach, assassinato 32 anni fa negli Usa, senza suscitare reazioni sdegnate.

Ha davanti una strada in discesa. E invece il premier israeliano in pectore tra non pochi tormenti ha passato la notte di mercoledì a seguire gli aggiornamenti elettorali dagli Stati uniti. La netta sconfitta democratica in cui sperava non c’è stata.

Un’ampia maggioranza repubblicana alla Camera unita a un comodo margine al Senato avrebbe fatto di Joe Biden un presidente debole. E i media americani avrebbero iniziato il conto alla rovescia per il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, che resta un alleato naturale di Netanyahu nonostante le invettive lanciate dal tycoon alla fine del 2020. L’allora primo ministro israeliano scelse di congratularsi con il presidente eletto degli Stati uniti e di non credere alla tesi trumpista della vittoria rubata. Con un Biden nell’angolo, il leader della destra israeliana e i suoi alleati si sarebbero sentiti pronti a respingere qualsiasi ammonimento della Casa Bianca. Invece il presidente Usa è ancora in piedi e alcuni governatori democratici sono stati rieletti in importanti Stati. Il Partito democratico ha ottenuto risultati positivi oltre ogni aspettativa e appare in grado di contrastare le ambizioni di Trump che si accinge a candidarsi per le presidenziali del 2024. A rendere più amaro l’esito del voto americano a Netanyahu è stata la vittoria di Josh Shapiro, il prossimo governatore della Pennsylvania, sul trumpista Doug Mastriano molto gradito alle forze che comporranno il nascente governo israeliano.

I Democratici, è bene ricordarlo, non sono ostili a Israele, anche con un governo di destra. E lo hanno dimostrato in innumerevoli occasioni. Biden non ha riportato l’ambasciata Usa a Tel Aviv, ha stretto i rapporti con lo Stato ebraico e rinunciato (per ora) a rilanciare l’accordo internazionale (Jcpoa) sul programma nucleare iraniano. E starà dalla parte di Israele se Netanyahu nei prossimi due anni ordinerà alla sua aviazione di attaccare le centrali atomiche iraniane. «Siamo fratelli» e «faremo la storia insieme» avrebbe detto Biden congratulandosi con Netanyahu. Ma l’attuale Amministrazione non asseconderà, come aveva fatto Trump, tutti i piani dell’estrema destra al potere in Israele. Netanyahu dovrà tenerne conto.

L’ambasciatore statunitense in Israele Tom Nides ha avvertito in più di una intervista che la Casa Bianca respingerà qualsiasi tentativo del futuro governo israeliano di annettere la Cisgiordania palestinese come Netanyahu aveva provato a fare nel 2020 e che Itamar Ben Gvir, probabile ministro della pubblica sicurezza, intende inserire nel programma dell’esecutivo. «La nostra posizione è chiara: non sosteniamo l’annessione. Combatteremo qualsiasi tentativo in tal senso», ha detto Nides all’emittente pubblica Kan. I commenti dell’ambasciatore sono giunti ​​dopo che Yariv Levin, figura di primo piano della destra, aveva dichiarato che l’annessione della Cisgiordania è in cima all’agenda del futuro governo. Pagine Esteri

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Luisa Morgantini: “La guerra? Fra uccidere e morire c’è una terza via: vivere”


Luisa Morgantini, già vicepresidente del Parlamento europeo, è stata tra le fondatrici delle Donne in Nero italiane, dell’Associazione per la pace in Palestina di cui è presidente e della rete internazionale delle Donne contro la guerra. L'articolo Luisa

di Frida Nacinovich – Sinistra sindacale*

Luisa Morgantini, quanto andrà ancora avanti questa follia? Quando Russia e Ucraina si decideranno finalmente a negoziare il cessate il fuoco?

Questa situazione è allucinante. Si diceva che questo mondo era razionale, invece è un mondo totalmente irrazionale. Impazzito. Costruire, continuare a fabbricare armi è irrazionale. Costruiamo cose per distruggere. La bomba nucleare è fatta per distruggere ogni cosa. Perchè siamo arrivati a questo punto è difficile dirlo, ma la risposta non possono essere altre armi. Non si può incentivare, incrementare la distruzione e la morte. Dobbiamo dire basta, come donne, come pacifiste. Mi viene a mente una frase bellissima della scrittrice tedesca Christa Wolf, messa in bocca all’amazzone: “Fra uccidere e morire c’è una terza via, vivere”. Se ci siamo spinti così avanti è perché rinunciamo a pensare. Siamo di fronte alla morte dell’umanità. Non sarà l’apocalisse, ma per noi che siamo contro le guerre, contro la violenza, si intrecciano sentimenti di grande tristezza e preoccupazione”.

Specialmente nei primi mesi del conflitto russo ucraino, l’informazione ha messo l’elmetto ed è partita verso il fronte …

“Negli ultimi trent’anni, forse ancora di più, la guerra si è affermata e riproposta in tutte le sue dimensioni. Urlavamo “fuori la guerra dalla storia”, invece la guerra è rientrata prepotentemente nella storia. È pazzesco questo mondo va a rovescia. Oggi si parla di Europa per dire che non ha una linea comune, che non ha fatto una scelta politica. Non sono d’accordo.

Purtroppo l’Europa nelle sue dimensioni istituzionali, ha fatto una scelta politica ben precisa, che è quella di essere al servizio della Nato. Sono gli Stati Uniti che decidono e comandano, nelle basi militari del nostro paese ospitiamo le loro pericolosissime armi. Per anni abbiamo detto e ripetuto “via le basi americane dall’Italia”. Invece le ritroviamo ancora tutte, sempre di più”.

Dall’Europa ci si deve aspettare molto di più?

“L’Europa non è riuscita ad avere una voce autonoma. Questa è la realtà. Le istituzioni non sono state capaci di avere una propria autonomia, lo scollamento con il popolo è evidente. Dico di più, l’Europa non ha neppure cercato di prendere una strada diversa. Al contrario, è diventata sempre più guerrafondaia nelle parole dei suoi governi, a partire da quello italiano. Guerrafondaia come la presidente della Commissione europea. Abbiamo risposto alla guerra immorale scatenata da Putin con una politica di guerra. Così facendo abbiamo incentivato le distruzioni, e le morti degli ucraini e dei soldati russi. Abbiamo distribuito armi all’Ucraina invece di tentare come Europa di avere una politica diversa da quella degli Stati Uniti. Ed è una cosa incredibile, non si capisce perché dobbiamo essere al servizio della crescita a dismisura della presenza nord americana in Europa. Ricordo l’aggressione all’Iraq da parte degli Stati Uniti, anche allora con la nostra connivenza e complicità. Saddam Hussein aveva detto nel consesso arabo che, al posto del dollaro, la moneta di scambio sarebbe stato l’euro. E questa sarebbe stata una cosa importantissima. Niente da fare, l’Europa si è sempre accodata alle scelte degli Stati Uniti. Penso che lo abbia fatto con consapevolezza. Non ha mai voluto giocare un ruolo autonomo, e se l’ha fatto per un breve periodo ha assunto una posizione in qualche modo di ‘soft power’. Ma di fatto abbiamo sempre aderito a queste scelte di guerra: l’Iraq, la Libia, la Jugoslavia. Eppure avevamo un governo con Massimo D’Alema ministro degli Esteri. Credo che, in quel preciso momento, se invece di fare una dichiarazione di alleanza occidentale, con la Nato, avessimo avuto la forza e il coraggio di dire di no, noi la guerra non la facciamo, ripudiamo la guerra come dice la nostra Costituzione, sarebbe cambiato il mondo. Non so cosa sarebbe successo, forse avrebbero fatto un colpo di Stato contro di noi. Ma sicuramente ci troveremmo in una situazione completamente diversa. Perché, a partire dalle prime guerre del Golfo, per arrivare a quella in Jugoslavia, abbiamo visto crescere sempre di più la presenza degli Stati Uniti dalla nostraparte, Kosovo, Iraq, Afghanistan, sono serviti nei fatti ad accrescere la potenza statunitense”.

Sempre in prima linea contro la guerra, la ricordiamo vestita di nero ai tempi della guerra nell’ex Jugoslavia, per denunciare anche allora la follia di ogni conflitto armato.

Le guerre si fanno perché si producono le armi. E le armi devono essere sempre usate e poi cambiate, così si fanno nuovi investimenti e ci sono nuovi profitti per le aziende che realizzano armamenti. Questa guerra non è più russo-ucraina, è una guerra geopolitica. Come dicono molti studiosi, anche non di sinistra, questa è una guerra geopolitica in cui gli Stati Uniti continuano, noi tutti continuiamo a dare armi all’Ucraina per distruggere, invece di puntare fortemente su un piano negoziale. Anche le manifestazioni chiedono questo, il cessate il fuoco fuoco e puntare sui negoziati”.

All’inizio del secolo il Partito della pace fu definito dal New York Times la seconda superpotenza mondiale, ma a mani nude non è facile contrastare il Partito della guerra.

“Nel 2003 c’è stata l’ultima grandissima manifestazione per la pace. Ma secondo me in qualche modo ha segnato anche la rottura della nostra democrazia. Perché milioni e milioni di persone sono scese in piazza, non solo in Italia ma in tutto il mondo, contro la guerra, e invece la guerra l’hanno fatta lo stesso. Non si è più tenuto conto della posizione della società civile, dell’opinione pubblica. Io vedo il 2003 come un punto di non ritorno. La mia impressione è che da allora non viviamo più in un sistema democratico, ma in un sistema in cui la democrazia e la partecipazione delle persone non sono più prese in considerazione. Non soltanto rispetto alla guerra e alle pace, anche rispetto ai problemi di carattere sociale, al lavoro, ai diritti. E allora alle elezioni vanno a votare sempre meno persone. Da questo punto di vista hanno giocato un ruolo decisivo i media. La disaffezione alla politica, dovuta a un qualunquismo per cui son tutti uguali, tutti rubano, tutti sono corrotti. C’è la casta da abbattere. Il trentennio berlusconiano ha distrutto la partecipazione, ovviamente ci abbiamo messo del nostro anche noi di sinistra. Invece di essere uniti ci dividiamo in mille rivoli, prevale ancora il settarismo”.

Come ogni pacifista, ormai per trovare sintonia politica deve leggere il quotidiano dei vescovi l’Avvenire e ascoltare il pontefice?

“Leggo l’Avvenire, il Fatto quotidiano, il manifesto. E le parole giuste le usa Papa Francesco, non soltanto sulla pace e sulla guerra, anche sul lavoro, sulla produzione di armi. E forse non è un caso che questo Papa non sia nato in Italia, Germania, Polonia. In Argentina ha vissuto la dittatura dei militari, ha conosciuto le interferenze nordamericane nei sistemi dittatoriali. Questo mondo è grandissimo, grande e terribile, diceva Gramsci. Però, nello scacchiere ci sono ormai altri interlocutori, che vengono messi da una parte, come hanno fatto con Lula. Allora vedi quanto i media stiano influenzando la cultura. Come si nascondono le verità. Come ci siano due pesi e due misure nelle diverse situazioni. Pensiamo ai curdi. E io penso soprattutto alla Palestina. Se un ragazzino palestinese tira un sasso contro un carro armato è un terrorista, mentre viene invece esaltato da parte dei media occidentali l’eroismo di un ragazzino ucraino che spara. Intanto si permette a Israele di applicare l’apartheid, ammazzare tutti i giorni, rubare terra ai palestinesi, demolire le case, uccidere ragazzini. Tutto viene denunciato, i rapporti delle Nazioni Unite espongono chiaramente i fatti. Però nessuno tocca Israele”.

Occhio per occhio e il mondo sarà cieco, lo gridavano gli studenti di Berkeley ai tempi della guerra in Vietnam…

“Spero che le piazze siano piene per dire no alle guerre. Questo popolo che si schiera per la pace chiede basta guerre, basta violenza. Negoziate, cessate il fuoco, e poi vedremo cosa succede. Siamo tutti sconfitti nella follia della guerra. Abbiamo distrutto mezzo Medio Oriente, mezza Europa. Basta. Io spero, mi auguro che la gente capisca, sappia urlare il proprio ripudio della guerra, mostri una forza che possa far cambiare le linee politiche dei nostri governi. Dobbiamo disarmare questo mondo, e forse dobbiamo impegnarci di più per farlo. Contro guerre, sfruttamento, ingiustizie, diseguaglianze. Pochi giorni fa ero a un’iniziativa politica per sostenere Mimmo Lucano, contro di lui è stato intentato un processo aberrante, lo accusano di cose gravissime, anche se fortunatamente dagli atti è venuto fuori chiaramente che lui non si è mai appropriato di nulla. Al più ha commesso reati di umanità. No, non mi stancherò mai di scendere in piazza. Credo che valga comunque la pena di tener aperta questa luce, questa speranza. “Magari fossi una candela in mezzo al buio”. Vale la pena, vale sempre la pena”.

*https://www.sinistrasindacale.it/images/numero18_2022/SinistraSindacale18_2022.pdf

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#NotiziePerLaScuola

Sicurezza online a scuola, martedì 22 novembre il webinar con gli esperti di Generazioni Connesse. L’incontro offre a docenti e dirigenti scolastici un aggiornamento professionale altamente qualificato su tematiche attuali.



Andrea Cangini a Radio Rai: “Con la Fondazione Luigi Einaudi inizia la mia terza vita”


Comincia, per me, una terza vita in fondo coerente con l’attività svolta come direttore di giornale e, poi, come senatore della Repubblica: mettere a nudo i problemi, indicare soluzioni realistiche, diffondere il metodo liberale einaudiano. Intervista a P

Comincia, per me, una terza vita in fondo coerente con l’attività svolta come direttore di giornale e, poi, come senatore della Repubblica: mettere a nudo i problemi, indicare soluzioni realistiche, diffondere il metodo liberale einaudiano.

Intervista a Paola Severini Melograni, per Le Sfide della Solidarietà, Radio Rai

Ascolta l’intervista completa su Radio Rai, click qui.

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Polonia: chi cerca di boicottare la pacificazione ucraina?


I missili 'caduti' in Polonia sono verosimilmente causati dagli antimissili ucraini o sono un missile ucraino, quindi il vero tema è capire se c'è chi cerca di boicottare la pacificazione, e se sì chi è, mentre Biden e Xi hanno di fatto deciso di tirare il freno alla guerra

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