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Costi ambientali dei dispositivi di IA


Cosa rende possibile l'esistenza dell'IA e quali sono le conseguenze della sua costruzione? Dall’estrazione mineraria per la costruzione dei dispositivi all’installazione di cavi sottomarini per Internet, l’articolo propone alcuni esempi di sfruttamento a

L’immagine di Internet come cloud lo rende un ambiente apparentemente intangibile, quasi post-fisico. Tale percezione contribuisce a creare un’ingenua fiducia nel suo scarso impatto ecologico. A ciò si aggiungono le dichiarazioni del settore tecnologico, apparentemente a favore della sostenibilità ambientale, che fanno in realtà parte della creazione di un’immagine pubblica opaca e non veritiera.

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Digital Service Package: come regolare le piattaforme digitali?


L'UE approva il Digital Service Package, cosa significa che ciò che è illegale offline deve essere illegale anche online? Una breve analisi di Privacy Network.

Il 5 luglio 2022, al termine della sessione plenaria del Parlamento Europeo, è stato approvato il Digital Services Package, il primo set normativo composto dal Digital Service Act (DSA) e dal Digital Markets Act (DMA), volto a regolare rispettivamente i servizi e il mercato digitali al fine di creare uno spazio online più sicuro e aperto, fondato sul rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini.

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Diritti Digitali per la Comunità Queer


Attraverso l’analisi di tre tipologie di piattaforme differenti - app di ride sharing, social network e app di dating - cerchiamo di mostrare come la condizione di possibilità per l’implementazione di un design inclusivo sia lo scardinamento del binarismo

L’intelligenza artificiale (IA) pervade le nostre vite tramite app di varia tipologia, assistenti digitali, sistemi di rating, dispositivi smart. Diversamente dalla prospettiva che la presenta come strategia oggettiva ed equa per la gestione di determinati compiti, l’IA è intrinsecamente priva di neutralità, in quanto potenzialmente soggetta ad un uso duale. Infatti certi algoritmi...

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Safe Cities e Colonialismo Digitale in Sudafrica


In risposta ai problemi di governance dei governi africani, la Cina esporta in Sudafrica i suoi dispositivi di controllo, determinando una vera e propria invasione digitale del Paese. Dipinta come soluzione smart a problemi sociali, la sorveglianza tramit

La sorveglianza biometrica costituisce un framework di tecnologie invasive che ricercano negli individui specifiche caratteristiche identitarie, al fine non dichiarato di attuare una profilazione di massa. Nel caso specifico del Sudafrica questo si inserisce in un ecosistema più ampio creatosi attorno al progetto Safe Cities del gigante cinese Huawei. Guidato dall’idea che la tecnologia sia la...

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Il tracciamento dei contatti nei luoghi di lavoro in Italia


Collana di articoli per esaminare vantaggi e svantaggi del contact-tracing, a cura del Dipartimento Ricerca. “Il tracciamento dei contatti nei luoghi di lavoro in Italia” è la sesta parte della collana.

Parte 1: Tracciamento dei contatti, le origini Parte 2: Il contact-tracing nel XXI secolo: dalla MERS al COVID-19 Parte 3: L’approccio europeo e italiano al tracciamento dei contatti Parte 4: Il tracciamento dei contatti fuori dall’Italia Parte 5: Il tracciamento dei contatti: questioni etiche Se l’osservazione delle iniziative sviluppate dai vari Paesi europei aiuta a chiarire il quadro delle...

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Il tracciamento dei contatti: questioni etiche (collana di ricerca)


Collana di articoli per esaminare vantaggi e svantaggi del contact-tracing, a cura del Dipartimento Ricerca. “Il tracciamento dei contatti: questioni etiche” è la quinta parte della collana.

Parte 1: Tracciamento dei contatti, le origini Parte 2: Il contact-tracing nel XXI secolo: dalla MERS al COVID-19 Parte 3: L’approccio europeo e italiano al tracciamento dei contatti Parte 4: Il tracciamento dei contatti fuori dall’Italia Le misure non farmaceutiche come il contact-tracing, la sorveglianza e il social distancing sono solo alcuni dei pochi strumenti efficaci per arginare i virus...

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Il contact-tracing fuori dall’Italia (collana di ricerca)


Collana di articoli per esaminare vantaggi e svantaggi del contact-tracing, a cura del Dipartimento Ricerca. “Il tracciamento dei contatti fuori dall'Italia” è la quarta parte della collana.

Parte 1: Tracciamento dei contatti, le origini Parte 2: Il contact-tracing nel XXI secolo: dalla MERS al COVID-19 Parte 3: L’approccio europeo e italiano al tracciamento dei contatti Sebbene nel complesso le app di contact-tracing europee – e non solo – siano state criticate e non abbiano riscosso il successo e l’efficacia prospettata, è tuttavia opportuno analizzare quella che è stata...

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PRUM II: assenza di proporzionalità e rischio sorveglianza


Il Regolamento Prum II - attualmente in consultazione al Consiglio dell'Unione europea – intende rafforzare lo scambio di dati tra forze di polizia all’interno dell’UE. Allo stato attuale la proposta comporta seri rischi per i diritti e le libertà dei cit

Il Regolamento Prum II – attualmente in consultazione al Consiglio dell’Unione europea – intende rafforzare lo scambio di dati tra forze di polizia all’interno dell’UE. Allo stato attuale la proposta comporta seri rischi per i diritti e le libertà dei cittadini. Prum II ha lo scopo di aggiornare l’attuale framework per lo scambio di informazioni tra le autorità di polizia dell’Unione (Prum I) che...

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L’approccio europeo e italiano al tracciamento dei contatti (collana di ricerca)


Collana di articoli per esaminare vantaggi e svantaggi del contact-tracing, a cura del Dipartimento Ricerca. “L’approccio europeo e italiano al tracciamento dei contatti” è la terza parte della collana.

Parte 1: Tracciamento dei contatti, le origini Parte 2: Il contact-tracing nel XXI secolo: dalla MERS al COVID-19 La gestione della pandemia di COVID-19 in Europa ha fatto largamente affidamento su una serie di applicazioni per smartphone, destinate a ricostruire la catena di possibili contagi provocati da un individuo in caso di positività al virus SARS-CoV-2. L’approccio europeo ha rappresentato...

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Il contact-tracing nel XXI secolo: dalla MERS al Covid-19 (collana di ricerca)


Collana di articoli per esaminare vantaggi e svantaggi del contact-tracing, a cura del Dipartimento Ricerca. "Il contact-tracing nel XXI secolo: dalla Mers al Covid-19" è la seconda parte della collana.

Parte 1: Tracciamento dei contatti, le origini Tra gli ultimi casi epidemici di una certa rilevanza avvenuti prima del COVID-19 vi è stata l’epidemia di MERS (Middle Eastern Respiratory Syndrome, o sindrome respiratoria medio-orientale) che colpì la Corea del Sud nel 2015, facendo registrare il più alto numero di casi nel mondo al di fuori del Medio Oriente, area di origine della malattia.

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Oggi, #22novembre, è la Giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole, istituita dal Parlamento italiano il 13 luglio 2015.

Qui la lettera alle scuole del Ministro Giuseppe Valditara ▶️ miur.gov.



Le stringhe terminate con valore nullo sono il più grande errore della storia dell'informatica


My password is just every Unicode codepoint concatenated into a single UTF-8 string.
xkcd.com/2700/




#uncaffèconLuigiEinaudi – È necessario che ci siano anche alcuni spiriti liberi


“È necessario che ci siano anche alcuni spiriti liberi che tengano viva, nei modi che oggi sono possibili, la fiamma della libera critica, della libertà di parola e di opinione” da Lettera di Einaudi ad A. Albertini, 31 ottobre 1923 L'articolo #uncaffèco
“È necessario che ci siano anche alcuni spiriti liberi che tengano viva, nei modi che oggi sono possibili, la fiamma della libera critica, della libertà di parola e di opinione”


da Lettera di Einaudi ad A. Albertini, 31 ottobre 1923

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Turchia (in Kurdistan) Russia (in Ucraina): aggressori pari sono


L’orrenda invasione russa in Ucraina è esattamente la stessa invasione in atto in Siria per mano della Turchia, con la differenza che dell'aggressione turca ai danni dei curdi nessuno ne parla

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Corruzione, violazioni dei diritti umani e insostenibilità ambientale: cresce l’imbarazzo intorno ai mondiali del Qatar, ma è troppo tardi. Si è aperta ieri a Doha, in Qatar, la 22esima edizione della Coppa del mondo di calcio.


E la chiamano distensioneIl ministro degli esteri tedesco Annalena Baerbock è oggi a Parigi e venerdì il primo ministro francese Elisabeth Borne incontrerà Olaf Scholz a Berlino.


Sabino Cassese: “L’autonomia voluta dalla Lega ferisce l’unità del Paese”


Il costituzionalista: «Dubbi sui trasferimenti di competenze come istruzione e ambiente» Prima sono sorti dubbi di incostituzionalità sul decreto anti-rave, ora piovono sulla bozza del ministro Calderoli per le autonomie regionali. Così, ad ogni acceleraz

Il costituzionalista: «Dubbi sui trasferimenti di competenze come istruzione e ambiente»


Prima sono sorti dubbi di incostituzionalità sul decreto anti-rave, ora piovono sulla bozza del ministro Calderoli per le autonomie regionali. Così, ad ogni accelerazione, segue una frenata. Per il professor Sabino Cassese, tra i più autorevoli costituzionalisti del secondo dopoguerra, questo accade perché nella coalizione di centrodestra «c’è il desiderio di dare il segnale che il governo provvede a tutte le urgenze, sa guidare la macchina dello Stato e assicura la cura degli interessi che la coalizione si è intestata, quali difesa delle frontiere e ordine pubblico». Ma la legge attuativa delle autonomie regionali è materia delicata e se non trattata con la giusta accortezza – avverte Cassese – rischia di acuire le disuguaglianze e rendere più profonda la spaccatura tra Nord e Sud.

Giorgia Meloni ha chiesto al ministro Calderoli di garantire innanzitutto l’unità del Paese.


«Un’esigenza giusta, quella di assicurare il rispetto delle autonomie, nell’ambito di un ordinamento unitario: così prescrive la Costituzione. L’esigenza di unità è innanzitutto assicurata dall’eguale rispetto dei diritti sul territorio e dall’unica voce data allo Stato fuori, nei rapporti internazionali. Questo spiega perché siano particolarmente dubbi i trasferimenti dei poteri legislativi in materia di norme generali sull’istruzione, ambiente, tutela e sicurezza del lavoro, tutela della salute, rapporti internazionali e con l’Unione Europea, commercio estero, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione e ordinamento delle comunicazioni. Tanto più se si considera che nel programma esposto dal governo al Parlamento si parla della proprietà pubblica delle reti di comunicazione».

La Lega sostiene sia fallito il modello di stato centralista, nel momento in cui non è riuscito a compensare gli storici divari tra Nord e Sud.


«Occorre, innanzitutto, essere certi che interventi diretti ad assicurare l’eguaglianza, come quelli riguardanti la sanità, l’istruzione, la tutela del lavoro, non producano il risultato di aumentare le diseguaglianze. Poi, tener conto che il divario tra Nord e Sud è aumentato. Essenziale la questione delle risorse. La Costituzione parla di maggiori compiti, non di maggiori risorse da trasferire».

E se al Nord andranno più risorse, il Sud ne otterrà meno.


«Certo. La torta non si allarga se alcune Regioni ne prendono una fetta più grossa, perché qualcun’altra ne avrà una più piccola. Nel 2017 – 2018 era stato valutato che le tre regioni del Nord che richiedevano l’autonomia differenziata avrebbero goduto di 21 miliardi in più di risorse per anno, ciò che avrebbe comportato per la Lombardia un aumento delle risorse disponibili in bilancio di più di un quarto. Da ultimo, non va dimenticato che alcune Regioni vogliono colmare il cosiddetto residuo fiscale positivo, lamentando che lo Stato raccoglie imposte sul loro territorio più di quanto conferisce loro in termini di servizi. Tutto questo riapre la ferita del divario».

I presidenti di Regione del Sud chiedono che si approvino i Lep e i costi standard, poi le autonomie. Hanno ragione?


«La bozza di lavoro dell’8 novembre 2022, presentata dal ministro Calderoli, prevede che i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) precedano i trasferimenti e solo se dopo un anno non siano stabiliti i Lep, si passi ai trasferimenti. Non vedo perché in un anno non si possano stabilire i Lep, anche perché costituiscono un patto con i cittadini, trasferendo, quindi, in parallelo compiti e risorse necessarie, senza prevedere eccezioni».

Si potranno trasferire alle Regioni fino a 23 funzioni attualmente in capo allo Stato. Alcune regioni, come il Veneto, le chiederanno tutte, altre meno. Qualcuna, nessuna. Si possono creare squilibri?


«Conferire autonomia vuol dire accettare la differenziazione tra le Regioni. Ma bisogna mettere insieme determinazione dei Lep, trasferimenti di compiti, personale e risorse».

Il ministro replica alle critiche sottolineando che anche il ritardo nell’attuazione delle autonomie va contro i dettami costituzionali.


«La Costituzione ha subito più volte ritardi nell’attuazione: Corte costituzionale 1956 e regioni 1970, 22 anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione. Non si tratta di una illegittimità costituzionale (la norma costituzionale dispone che ulteriori forme di autonomia “possono” essere attribuite a singole Regioni), ma una inerzia da evitare».

Le opposizioni chiedono che il Parlamento possa intervenire sugli accordi tra governo e Regioni.


«L’ulteriore trasferimento alle Regioni è un problema nazionale. Fa parte di un pacchetto unitario, con il quale bisogna ridurre la asimmetria tra governo centrale e Regioni, dando al primo quella stabilità che alle Regioni è stata data circa trent’anni fa. Poi, non basta risolverlo con intese con ciascuna Regione. Occorre valutarlo complessivamente, come d’altra parte ha riconosciuto il ministro Calderoli portando la bozza di lavoro del disegno di legge alla Conferenza Stato Regioni»

La Stampa

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Iran: Teheran – Kobane, la linea del fronte


Le manifestazioni contro il governo di Teheran sono entrate nel terzo mese, crescono e diventano sempre più violente. Nelle scorse ore, un ulteriore innalzamento di standing: il territorio del Kurdistan in Iraq potrebbe essere invaso da Iran e Turchia. L'azione potrebbe destabilizzare ulteriormente l'intera area, con conseguenze geopolitiche che si estenderebbero in tutto lo scenario europeo e euroasiatico, ma le conseguenze potrebbero esserci anche per la rivoluzione che a Teheran sta maturando

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Diritti umani ed ipocrisie nel pallone di Qatar 2022


Non crediamo mai abbastanza a ciò in cui non crediamo (M. Conte S. 2004) Quando mi accingo a scrivere qualcosa attorno all’ormai abusato e quasi inservibile tema dei diritti umani provo un denso senso di disagio ed inutilità. Scrivo parole, mi indigno, manifesto fastidio su cui ipocritamente si spande il tema per opportunismo. Perché parlarne […]

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Is international trade in good or bad shape? At the recent G20 Summit in Bali, leaders agreed on rekindling multilateral trade negotiations; however, the economic shocks triggered by the pandemic and the war in Ukraine, in parallel with geopolitical …


L’invasione di Putin ha rafforzato l’idea dell’adesione ucraina alla NATO


L’invasione russa dell’Ucraina ha sottolineato la minaccia alla sicurezza rappresentata dalla continua esistenza di una zona grigia geopolitica sul fianco orientale dell’Europa. Per decenni Paesi come Ucraina, Georgia e Moldavia hanno cercato di prendere le distanze dalla Russia post-sovietica, ma non sono riusciti a raggiungere la piena integrazione nel mondo occidentale attraverso l’adesione alla NATO […]

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Italia, non è più tempo per Arlecchino e Pulcinella!


Se un alieno planasse oggi in Italia, leggendo i giornali e sentendo i politici, avrebbe la certezza che i nostri mali dipendono dalle regole dell’Unione Europea, dalla durezza teutonica, dalla ‘tecnocrazia’ delle regole anche se noi siamo imbattibili in un ipotetico campionato mondiale della tecnocrazia burocratica, ma l’alieno non lo sa. Le cose non stanno […]

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Conoscere per crescere. Credi nel tuo sogno! di Maria Letizia Sebastiani e Federica Ciampa


#orientare #connessoalletuepassioni #regionelazio #FSE+ Non arrendersi alle prime difficoltà. Non lasciarsi sfuggire l’opportunità di approfondire le inclinazioni personali, gli interessi e le skills nella scelta del proprio futuro formativo, professional

#orientare #connessoalletuepassioni #regionelazio #FSE+

Non arrendersi alle prime difficoltà. Non lasciarsi sfuggire l’opportunità di approfondire le inclinazioni personali, gli interessi e le skills nella scelta del proprio futuro formativo, professionale e lavorativo, è fondamentale per i giovani. “Conoscere per crescere” è il progetto ideato dalla Fondazione Luigi Einaudi di Roma per orientare gli studenti degli Istituti d’Istruzione Superiore Marconi di Civitavecchia e Dante Alighieri di Anagni nell’ambito dell’avviso pubblico della Regione Lazio “ORIENTARE” finanziato con il Programma Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+) 2021- 2027.

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Approfondisci il progetto “Conoscere per crescere”

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Dagli USA, al Regno Unito, al Brasile: ‘Vietato votare‘


Soppressione degli elettori: come le democrazie di tutto il mondo stanno usando nuove regole per rendere più difficile votare

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Delle tante pronunciate al G20, c'è una frase che più delle altre illustra la fase geopolitica nella quale stiamo entrando: “Non dobbiamo dividere di nuovo il mondo”. Lo ha detto Joko Widondo, il presidente indonesiano.


Omicidio di Khashoggi: Biden benedice l’immunità di MBS


Se queste sono le 'conseguenze', è difficile immaginare quale possa essere una vera punizione. L'annuncio è deludente in quanto riflette un modello del governo degli Stati Uniti che non riesce a ritenere MBS responsabile in alcun modo

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Musk, Trump e il pericoloso intreccio di affari e politica negli Stati Uniti


L’ha rilanciato l’Ansa. Elon Musk, dopo un democratico (ma la parola non dovrebbe essergli gradita!) referendum on line, ha deciso di riammettere Donald Trump su Twitter. Perché, con oltre 15 milioni di voti, di cui il 52% a favore e il 48% contro, si ritiene giusto così. Nelle vecchia Europa, ammantata dei suoi difetti arcaici […]

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Infrastrutture e trasporti: parlando di sicurezza


L’Istituto Affari Internazionali, il più prestigioso think tank nazionale di geopolitica, ha dedicato spazio a un seminario sull’impegno nei progetti internazionali di ricerca e sviluppo del cluster CBRN-P3, che è il network costituito nel 2017 con attori del mondo scientifico, industriale e istituzionale attivi nel campo della preparazione, prevenzione e protezione dai rischi nucleari, biologici, […]

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Presentazione della Scuola di Liberalismo 2022 di Messina – unime.it


Si è svolta presso la Sala Senato dell’Ateneo la conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2022 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina

Si è svolta presso la Sala Senato dell’Ateneo la conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2022 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo.

Alla presenza del Prorettore Vicario, prof. Giovanni Moschella, il Direttore Generale della Scuola, prof. Pippo Rao, e il Direttore Scientifico, prof. Giuseppe Gembillo, hanno presentato la dodicesima edizione messinese del corso dedicato agli autori più rappresentativi del pensiero liberale ed alle loro opere.

Hanno preso parte all’incontro, anche, Enzo Palumbo (Membro della Commissione Giustizia della Fondazione Luigi Einaudi), Edoardo Milio (Responsabile Relazioni istituzionali), Gabriella Sorti (Responsabile del Comitato di Segreteria) ed i membri del Comitato organizzatore.

La “Scuola di Liberalismo di Messina”, le cui iscrizioni sono gratuite, verrà inaugurata il 28 novembre, si articolerà in 14 lezioni che si concluderanno il 18 febbraio presso l’Auditorium della Gazzetta del Sud. Ai frequentanti di almeno i 2/3 delle lezioni sarà rilasciato un attestato di partecipazione.

Agli studenti universitari verranno riconosciuti crediti formativi.

Verranno, inoltre, assegnate 3 borse di studio da 500 euro ai corsisti, con età inferiore a 32 anni, che avranno svolto delle tesine sulle tracce che saranno comunicate e che verteranno sui temi oggetto del Corso. Le tre borse, intitolate alla memoria di Gaetano Martino, sono finanziate dalla Fondazione Luigi Einaudi, dal Coordinamento messinese della Fondazione Luigi Einaudi e dalla Fondazione Bonino Pulejo.

unime.it

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Fr.#16 / Un chip per pagare il caffè


Nel frammento di oggi: Un chip sottocutaneo per pagare, la nuova moda / Meme e citazione del giorno.

Altro che contanti


Qualche giorno fa alcune testate giornalistiche hanno riportato la notizia di un chirurgo plastico che insieme a un’azienda di Zugo ha iniziato a impiantare chip sottocutanei per transazioni contactless col palmo della mano. In realtà non mi stupisce più di tanto — già ad aprile uscì la notizia di un uomo nei Paesi Bassi che aveva scelto di impiantarsi un chip di questo tipo.

Cercando un po’ online si possono trovare facilmente aziende che offrono questo tipo di servizio, che pare sia sempre più di moda. La procedura è semplice: acquista il chip, scarica l’app e collega il tuo chip, trova un chirurgo che possa impiantarlo.

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3767831Dal sito di un’azienda specializzata chiamata Walletmor

Dal sito di un’azienda scopro che l’app è essenziale al funzionamento del chip. Oltre ad essere necessaria all’attivazione del chip, lo è anche per l’identificazione della persona e per l’acquisizione e trasmissione di tutti i dati relativi alle transazioni.

Il motivo è chiaro: il chip non è connesso con i network di pagamento, né con la banca —per processare la transazione serve un intermediario che possa trasmettere i dati ai vari soggetti della filiera.

Il funzionamento è quindi simile ai vari intermediari di pagamento tipo

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PayPal o Stripe, dove l’utente può salvare le sue carte di pagamento. Anche i problemi sono simili: aumentano gli intermediari, aumenta la diffusione di dati personali, diminuisce la privacy e la sicurezza dei dati. L’azienda che ho preso come esempio ci tiene a sottolineare che utilizzano i più elevati standard di sicurezza di settore, ma come al solito è una questione di fiducia e di superficie di rischio: più aumentano gli intermediari, più aumenta il rischio.

C’è poi un altro problema: il chip funziona sono con l’app del produttore. Se l’azienda fallisce, che si fa? Temo che l’unica soluzione sarebbe un altro intervento chirurgico e la sostituzione fisica del chip.

Insomma non mi sembra una grandissima idea quella di vincolarsi fisicamente a un’azienda del genere. Il chip fa molto cyberpunk ma non credo sia questa la strada giusta. Piuttosto, mi sembra una trovata per spillare soldi a persone che non hanno cognizione del mondo che li circonda. A Milano farebbe successo.

E tu, lo faresti?

Fatemi sapere nei commenti cosa ne pensate sul tema, sono curioso! Sarebbe possibile uno strumento del genere, ma con collegamento a wallet Bitcoin?

Meme del giorno


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Citazione del giorno

“When plunder becomes a way of life for a group of men in a society, over the course of time they create for themselves a legal system that authorizes it and a moral code that glorifies it.”

Frédéric Bastiat

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G20, Great Reset e tecno-socialismo

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione.

🔸 MIM-Regioni, sbloccati 500 milioni per il potenziamento dei laboratori degli ITS

🔸 Accordo con le Province su #PNRR e scuole superiori

🔸 …



Libertà svelata


Non si fanno ammazzare per potere scoprire una ciocca di capelli. Accettano di mettere in gioco la propria vita pur di non rinunciare a quel che dalla vita non è separabile: la libertà. Compresa quella, per noi banale e per loro epocale, di scoprire una c

Non si fanno ammazzare per potere scoprire una ciocca di capelli. Accettano di mettere in gioco la propria vita pur di non rinunciare a quel che dalla vita non è separabile: la libertà. Compresa quella, per noi banale e per loro epocale, di scoprire una ciocca di capelli. Aggredendo l’Ucraina il criminale Putin ha aggredito il mondo libero, le democrazie, l’ordine mondiale. Non abbiamo altra scelta che essere dalla parte degli ucraini, perché loro sono parte stessa di noi. Arrestando, torturando, aprendo il fuoco contro chi non rinuncia alla libertà la teocrazia iraniana aggredisce l’umanità stessa.

Se scegliessimo di guardare altrove, di solidarizzare in modo distratto, se fossimo incapaci di cogliere il valore ideale di quello scontro, dimostreremmo di non capire che si sta reprimendo non la libertà di alcuni, ma quella di tutti. Perché la libertà è universale. Può essere conculcata con la violenza, ma è peggio se viene abbandonata. Se abbandonassimo gli iraniani in rivolta abbandoneremmo noi stessi.

Poi, certo, c’è da usare il realismo, da considerare gli equilibri dell’area e non ultimi quelli interni al mondo islamico. Considerate anche queste cose si aggiunge che la dittatura teocratica non si limita ad affliggere il proprio popolo, ma si propone di cancellare Israele dalla carta geografica, insegue l’arma atomica e fornisce droni assassini all’armata russa. Peggio, quindi.

Un buon numero di persone, fra noi occidentali, fra noi che viviamo nella parte più ricca e libera del mondo, ha preso gusto nel considerarci colpevoli di tutto. Siamo colpevoli per il passato, come se avessimo inventato il colonialismo e lo schiavismo (semmai abbiamo creato le istituzioni che li combattono). Siamo colpevoli se portiamo le nostre armi a presidio della convivenza, ma siamo colpevoli anche se le ritiriamo. Siamo colpevoli se in Afghanistan imponiamo il rispetto delle donne e siamo colpevoli se smettiamo di farlo. Siamo colpevoli per come parliamo, per il vocabolario che usiamo, per le continue offese che arrechiamo a tante sensibilità che abbiamo anche la colpa di non sapere o anche solo immaginare che potessero esistere.

E mentre questo circo della colpa manda in pista i numeri più avvincenti e divertenti, finiamo con il macchiarci della colpa più seria: non accorgersi che tutti gli uomini liberi vorrebbero vivere come da noi. Perché nella nostra fortunata e preziosa imperfezione, nel nostro non cedere all’incubo dei sistemi perfetti, sta il nostro essere migliori.

Fra noi ci sono quelli che pur di non fare i conti con il padre che hanno sono pronti a innamorarsi e difendere lo zio pazzo e assassino, che ci descrive come tutti in preda alla lussuria omosessuale. Che se fosse vero sarebbe anche sollazzevole, non fosse che l’accusa stessa, nella sua strampalata minchioneria, è segno di un onanismo dittatoriale incapace di giungere ad altro compimento che non sia la distruzione di quelli che si invidiano.

Fra noi ci sono quelli che al sorgere di qualsiasi integralismo sono già pronti a descriversi come soccombenti, sopraffatti, perdenti. Ma guardate in giro per il mondo, osservate le brache dei giovani, orecchiate quel che hanno in cuffia, osservate quel che guardano negli smartphone (e lo smartphone): è il nostro modello ad attrarre. A qualcuno ricorderà l’“omologazione” di pasoliniana memoria, a me ricorda che il costume della libertà globale è migliore della miseria autarchica.

Non possiamo dichiarare guerra alle ingiustizie del mondo. Sarebbe già apprezzabile cancellassimo le nostre. Non siamo colpevoli per ogni libertà negata, da altri. Lo saremmo se ne ce dimenticassimo, se considerassimo un “popolo” inadatto alla libertà o meno afflitto dal dispotismo. Anche perché useremmo “popolo” per imbrogliarci, visto che si tratta di “individui” e nessuno, di qualsiasi fede, può mai rinunciare alla libertà.

In Ucraina ci stanno sparando. Ci stanno sparando anche in Iran. Non c’è nulla da rispettare in chi spara contro la libertà. Ma è deprecabile anche chi non lo condanna.

La Ragione

L'articolo Libertà svelata proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



SIRIA. Il narcos napoletano Bruno Carbone e la normalizzazione di Al Qaeda


I media arabi avvalorano la versione fornita da Ha'yat Tahrir Al Sham della cattura del narcotrafficante che contrasta con quella ufficiale italiana secondo la quale sarebbe avvenuta a Dubai L'articolo SIRIA. Il narcos napoletano Bruno Carbone e la norma

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 21 novembre – Intriga i media arabi la vicenda di Bruno Carbone, narcotrafficante originario di Giugliano, in Campania. Camorrista, latitante da quasi venti anni, a capo di una rete internazionale di spaccio di stupefacenti, Carbone sarebbe stato catturato nell’aeroporto di Dubai, negli Emirati, e subito estradato in Italia. Questa almeno è la versione delle autorità di Roma. Il ministro della giustizia Carlo Nordio ha anche ringraziato gli Emirati: «Questo ennesimo arresto testimonia un consolidamento dei rapporti di cooperazione giudiziaria tra Italia ed Emirati arabi uniti. Negli ultimi tempi questi rapporti – anche grazie agli accordi bilaterali in vigore – si sono notevolmente intensificati. Per questo nuovo slancio, vorrei ringraziare il mio omologo emiratino Abdallah al Nouaimi». Carbone, che manteneva rapporti diretti con i narcos colombiani, avrebbe trascorso gran parte della latitanza a Dubai dove peraltro è stato arrestato nel 2021 il suo socio e boss Raffaele Imperiale.

L’accaduto non sembra così chiaro come vorrebbero farlo apparire le autorità italiane. Sui media arabi continuano a riferire, con nuovi particolari, un’altra versione dei fatti, quella di Ha’ayat Tahrir al Sham (Hts), ossia l’ex Fronte al Nusra, il bracco siriano di Al Qaeda negli elenchi internazionali delle organizzazioni terroristiche, responsabile negli anni della guerra in Siria di atrocità a danno di civili, soldati dell’esercito regolare di Damasco e anche di militanti di organizzazioni politiche e militari legate alle varie espressioni dell’opposizione siriana. Nei mesi scorsi Hts ha tentato di fare piazza pulita del cosiddetto Esercito siriano libero, la milizia finanziata dalla Turchia, nella provincia siriana di Idlib, la porzione di territorio siriano che, nel silenzio di Usa ed Europa, il gruppo legato ad Al Qaeda, tiene in gran parte sotto il suo controllo «amministrativo». Se la versione non ufficiale della cattura di Carbone fosse confermata si tratterebbe della prima estradizione nota avvenuta tra un gruppo terroristico e uno Stato occidentale.

Alcuni giornali arabi riferiscono maggiori particolari rispetto a quanto apparso sui media italiani. Poco dopo l’annuncio delle autorità italiane di qualche giorno fa, sul suo account Telegram la sicurezza di Hts ha comunicato di aver arrestato «uno dei più grandi narcotrafficanti del mondo». Ha spiegato che Carbone avrebbe lasciato l’Europa per la Turchia fingendosi cittadino russo, quindi è entrato nella Siria nordoccidentale dove sarebbe stato arrestato lo scorso marzo a Kaftin. Il narcotrafficante sarebbe stato «interrogato per mesi» dagli uomini del «ministero dell’interno» del «governo di salvezza» messo in piedi da Hts a Idlib, prima di essere «consegnato alle autorità del suo paese, con la mediazione turca». Carbone, scrive il libaneseL’Orient Le Joursi sarebbe presentato ai miliziani siriani come un messicano in fuga dal suo paese per aver gestito un traffico di orologi di lusso. A sostegno della sua versione, Hts ha diffuso una foto del ministro dell’interno del governo di salvezza, Mohammad Abdel Rahman, mentre legge il comunicato stampa con accanto la foto di Carbone che indossa la maglia da galeotto a righe.

Il resoconto di Hts non è così inverosimile. Tenendo conto degli accordi tra Roma e Dubai, Carbone potrebbe aver pensato di trasferirsi temporaneamente in territorio siriano, luogo giusto dove far perdere le sue tracce per un po’ ed evitare l’arresto. Poco credibile è invece la spiegazione data da una parte dei media arabi sull’interesse di Carbone per il Tramadol e Captagon, i farmaci antidolorifici largamente usati come stupefacenti in diversi paesi del Medio oriente. Un narcotrafficante di alto livello come il camorrista di Giugliano difficilmente può provare interesse per traffici poco redditizi rispetto a quello della cocaina. Quello che è certo è che il leader di Hts, Abu Mohammad al Jolani, sta provando in tutti i modi ad avviare rapporti amichevoli con l’Occidente. L’anno scorso è apparso più volte accanto al giornalista americano Martin Smith. E se fosse vera la sua versione dell’estradizione di Carbone, vorrebbe dire che al Qaeda comincia ad essere normalizzata, almeno il suo ramo siriano.

L'articolo SIRIA. Il narcos napoletano Bruno Carbone e la normalizzazione di Al Qaeda proviene da Pagine Esteri.



Non esiste democrazia senza lavoro

"In definitiva, oggi, mentre leggete queste parole, in Italia è tollerato il furto di lavoro, il furto di ciò che serve ovviamente per guadagnarsi da vivere, ma non solo: serve per guadagnarsi la propria stessa libertà e la propria dignità (l’art. 36 della Costituzione infatti recita: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa»). Un contesto di questo tipo, assai intuibilmente, rende praticamente impossibile la partecipazione democratica delle persone con gravi ricadute in termini di democrazia costituzionale. Non solo, per inciso è bene precisare che questo contesto rende praticamente inattuabili molte altre regole in materia di lavoro, prime fra tutte quelle relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro."

lindipendente.online/2022/11/2…



Il paese delle armi. Falsi miti, zone grigie e lobby nell’Italia armata

Questo libro affronta il tema della produzione, del commercio e dell’uso delle armi “comuni” nel nostro Paese: demolisce falsi miti, fa luce su zone

magozine.it/il-paese-delle-arm…

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Mondiali in Qatar, Hrw chiede un risarcimento per i lavoratori


L'organizzazione per i diritti umani chiede che anche la FIFA, non solo il Qatar, istituisca un fondo per risarcire i lavoratori stranieri abusati durante la costruzione degli stadi e le famiglie di quelli morti nei cantieri. L'articolo Mondiali in Qatar

di Michele Giorgio* –

Pagine Esteri, 18 novembre 2022 – Non solo proteste e articoli di stampa. Chiedono un risarcimento alla FIFA e al Qatar i lavoratori migranti, in gran parte asiatici, che con litri di sudore e la forza delle braccia hanno costruito gli stadi e le infrastrutture che ospiteranno da domenica i Mondiali. Altrettando reclamano le famiglie delle migliaia di manovali morti sul lavoro. A farsi carico di questa richiesta è Human rights watch (Hrw) che ieri ha presentato un video in cui parlano soprattutto lavoratori e tifosi del Nepal, paese dal quale sono partiti migliaia di uomini attirati in Qatar dalla possibilità di percepire un salario e mantenere le loro famiglie in patria. Ottenere quel risarcimento sarà faticoso, come il lavoro di 12 anni che è stato necessario per dotare il piccolo ma ricco regno del Qatar degli impianti sportivi che ospitano il Mondiale.

Hrw spiega che se i regnanti di Doha, dopo proteste e denunce, hanno istituito un fondo per risarcire, anche se solo una parte, delle famiglie dei morti sul lavoro e gli operai che non sono stati retribuiti dalle imprese di costruzioni, al contrario la FIFA ha ignorato i problemi legati all’organizzazione del Mondiale in un paese che pure è noto per le violazioni dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori stranieri. Eppure, sottolinea il centro per i diritti umani, la Federazione mondiale del gioco del calcio si prepara ad incassare miliardi dal torneo che prende il via il 20 novembre. «La strategia della FIFA di seppellire la testa sotto la sabbia e di guadagnare tempo, sperando che l’entusiasmo per il gioco offuschi le violazioni dei diritti umani, è destinata a fallire», prevede Rothna Begum, ricercatrice di Human Rights Watch.

Il costo in vite umane e lo sfruttamento dei lavoratori rendono unica la Coppa del Mondo 2022 in Qatar. Sarebbero almeno 6500 i morti secondo una inchiesta pubblicata all’inizio dello scorso anno dal quotidiano britannico The Guardian. Amnesty International parla addirittura di 15mila decessi tra il 2010 e il 2019. Senza dimenticare gli infortuni, gli infarti, i suicidi e le malattie sviluppate dai lavoratori una volta tornati a casa. Le autorità qatariote ne sono consapevoli e con ogni probabilità hanno raccolto molti dati in questi anni. Ma preferiscono, per motivi di immagine, parlare di poche decine di vittime. Sono convinte che lo sportwashing – di cui fanno uso un po’ tutte le petromonarchie del Golfo – e i gol che segneranno le stelle vecchie e nuove del calcio mondiale faranno dimenticare presto le polemiche che circondano da anni questa edizione della Coppa del Mondo.

Non tutti dimenticheranno. Per gli appassionati di calcio nepalesi le emozioni andranno ben oltre la gioia di guardare le partite. La realtà sportiva si intreccia con i sacrifici che hanno fatto tanti nepalesi partiti per il Qatar per guadagnare poche centinaia di dollari al mese lavorando per gran parte dell’anno in condizioni estreme. Manovali che non hanno goduto dell’aria condizionata, di cui si parla tanto, che hanno installato negli stadi di ultima generazione sorti dove prima non c’era nulla. Nel video diffuso da Hrw parla Hari, un operaio che per 14 anni ha lavorato in diversi cantieri, tra cui lo stadio Al Janoub. Hari ricorda che l’area di Lusail a Doha era vuota quando è arrivato in Qatar: ora è piena di torri. «Abbiamo costruito noi quelle torri», dice perentorio. Ricorda di aver lasciato il Nepal quando suo figlio aveva solo 6 mesi e di averlo visto solo cinque volte in 14 anni. «Mio figlio non mi ha riconosciuto quando sono tornato in Nepal la prima volta». In quei 14 anni di distanza dalla famiglia Hari invece ha visto e contribuito alla trasformazione del Qatar. Ram Pukar Sahani, un altro nepalese, dice di aver saputo non dalle autorità di Doha ma da un amico della morte di suo padre operaio in un cantiere qatariota. Non ha mai ricevuto un risarcimento perché secondo i medici è stata una «morte naturale» dovuta a una insufficienza cardiaca. La diagnosi della morte naturale è il pretesto che più di frequente il Qatar ha usato per negare il risarcimento alle famiglie dei lavoratori stranieri deceduti. Le temperature vicine ai 50 gradi in cui i manovali erano costretti a lavorare non sono state considerate valide dalle autorità per spiegare quelle «morti naturali».

Le proteste internazionali hanno spinto Doha ad avviare alcune riforme del lavoro e della kafala, il sistema di reclutamento in uso in molti paesi del Medio oriente che permette ai datori di lavoro di tenere i manovali stranieri in uno stato di semi schiavitù. Tanti però non ne hanno beneficiato. Quei lavoratori sfruttati, abusati e spesso non retribuiti, insiste Hrw, hanno diritto almeno a un risarcimento finanziario dal Qatar e dalla FIFA. Pagine Esteri

*Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto

ilmanifesto.it/mondiali-in-qat…

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Alaa sospende lo sciopero della sete ma continua la lotta contro il regime di El Sisi


Il più noto dei prigionieri politici egiziani, protagonista della rivolta contro Hosni Mubarak del 2011, è tornato a bere l'acqua ma continua lo sciopero della fame. Il regime di El Sisi gli nega contatti regolari con la sua famiglia e l'avvocato. L'arti

di Valeria Cagnazzo –

Pagine Esteri, 15 novembre 2022 – Ha interrotto lo sciopero della sete il prigioniero egiziano Alaa Abd El-Fattah, che aveva smesso di bere il 6 novembre scorso, data dell’inaugurazione della COP27 nel suo Paese, dove il potere a dir poco autoritario del presidente Abdel Fattah El Sisi ha portato in carcere migliaia di prigionieri politici e dissidenti. Lo hanno reso noto sui loro account social le sue sorelle, Mona e Sanaa Seif. “Sono così sollevata”, ha scritto Mona, “Abbiamo appena ricevuto una lettera dalla prigione indirizzata a mia madre, Alaa è vivo, dice che sta bevendo di nuovo acqua dal 12 novembre scorso. E’ assolutamente la sua calligrafia. Una prova di vita, quantomeno. Perché ce l’hanno tenuta nascosta per 2 giorni?”.

I’m so relieved. We just got a note from prison to my mother, Alaa is alive, he says he’s drinking water again as of November 12th. He says he’ll say more as soon as he can. It’s definitely his handwriting. Proof of life, at last.
Why did they hold this back from us for 2 days?!

— Sanaa (@sana2) November 14, 2022

La sorella fa riferimento alla lettera del fratello, pubblicata poco dopo online, nella quale Alaa Abd El-Fattah, che nei giorni scorsi era stato condotto in ospedale per un peggioramento delle condizioni cliniche, scrive alla madre: “Da oggi ritorno a bere, così puoi smettere di preoccuparti per me finché non mi vedrai con i tuoi occhi. I parametri vitali sono nella norma. Li sto misurando regolarmente e sto ricevendo cure mediche”.

This is the letter Alaa’s mother received at the prison gates today. It’s dated two days ago. This is all we have. #FreeAlaa #COP27 pic.twitter.com/UXxwoV9gpf

— Free Alaa (@FreedomForAlaa) November 14, 2022

Nonostante gli sia stato permesso di inoltrare questa lettera “breve” – promette che ne arriverà una più lunga – né ai familiari né al suo avvocato è stato concesso di fargli visita. “Semplicemente non permetteranno a nessuno di vederlo e appurare il chiaro impatto di un lungo sciopero della fame sul corpo di Alaa”, ha denunciato sua sorella Mona, “(Le autorità egiziane, ndr) vogliono che resti in piedi la loro narrativa: che Alaa non è in sciopero della fame e che la sua famiglia sta mentendo”.

SUL CASO DI ALAA ABD EL FATTAH E LA COP27 VI INVITIAMO A LEGGERE L’ARTICOLO PUBBLICATO L’8 NOVEMBRE

di Valeria Cagnazzo –

Pagine Esteri, 8 novembre 2022È iniziata il 6 novembre a Sharm el-Sheikh, in Egitto, la ventisettesima COP, la Conferenza delle parti dell’United Nations climate change conference (COP27), che dovrebbe portare all’attuazione dell’Accordo di Parigi per l’emergenza ambientale. Una COP basata sui fatti e sulla pianificazione di strategie energetiche e ambientali da realizzare subito nei Paesi aderenti, questa la speranza del direttore esecutivo, Simon Stiell, che ha dichiarato: “Con il regolamento di Parigi sostanzialmente concluso grazie alla COP26 di Glasgow dello scorso anno, la cartina di tornasole di questa e di ogni futura COP è quanto le deliberazioni siano accompagnate dall’azione. Tutti, ogni singolo giorno, ovunque nel mondo, tutti devono fare tutto il possibile per evitare la crisi climatica”. Gli ha fatto eco il presidente della COP27, il ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry: “La COP27 deve essere ricordata come la “COP dell’attuazione”, quella in cui ripristiniamo il grande consenso che è al centro dell’accordo di Parigi”. Ha, inoltre, sottolineato le catastrofiche conseguenze di un’”inazione miope” di fronte agli effetti del cambiamento climatico ed esortato ad agire immediatamente, nonostante le sfide geopolitiche e le difficoltà economiche dell’attuale periodo storico. Le sfide ambientali non sono senza dubbio meno importanti di altre, per quanto si sia arrivati alla ventisettesima assemblea delle Nazioni Unite per ribadirsi ancora una volta, sempre a parole, l’importanza di inserire la questione climatica nelle rispettive agende di governo.

La catastrofe ambientale nel frattempo ha raggiunto proporzioni spaventose e le sue conseguenze stanno “finalmente” – in francese “finelment” significa alla fine, ma si può leggere anche nell’accezione italiana, perché forse è vero che era necessario toccarle con mano – letteralmente bussando alle nostre porte. Se non si era mai avuto un ottobre così caldo, infatti, è perché il livello dei gas serra nell’atmosfera continua ogni anno a superare i record precedenti. La temperatura media del 2022, rivela il rapporto “Stato del clima globale nel 2022” dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) diffuso in apertura della COP27, è di 1,15 gradi sopra ai livelli pre-industriali.

Gli effetti sono la desertificazione, lo scioglimento dei ghiacciai, inondazioni e alluvioni distruttive per gli insediamenti umani in tutto il mondo. A causa della siccità, milioni di persone nel 2022 sono state condannate alla malnutrizione, milioni sono state costrette a emigrare da aree desertificate o inondate, decine di migliaia sono state uccise da catastrofi climatiche. Il caldo, inoltre, favorisce la diffusione delle malattie e la proliferazione degli agenti patogeni. Secondo l’OMS, ogni anno, tra il 2030 e il 2050, ci saranno circa 250.000 morti in più per malnutrizione, diarrea, malaria e stress da caldo. A registrare le conseguenze più drammatiche per la vita umana sono i Paesi in via di sviluppo. Per questo motivo, tra i temi in cima all’ordine del giorno della COP27, che si concluderà il 18 novembre, dovrebbero esserci dei progetti di finanziamento e risarcimento per i Paesi più poveri, i meno inquinanti ma i più colpiti dall’inquinamento prodotto dai Paesi più industrializzati. Secondo molti attivisti, tuttavia, si tratterebbe di uno dei punti che incontrerà più ostilità alla sua effettiva attuazione nella “COP dei fatti”. A questo proposito, il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, nel suo discorso di apertura, ha chiesto ai governi di tassare i profitti delle compagnie di combustibili fossili e di reindirizzare quel denaro ai Paesi in via di sviluppo, dove la popolazione piange le sue perdite a causa del cambiamento climatico. Il progetto dell’ONU si chiama “Primo allarme per tutti”, e dovrebbe raccogliere almeno 3,1 miliardi di dollari dai Paesi aderenti, al momento 50, tra il 2023 e il 2027. Da Sharm el-Sheikh, inoltre, il premier spagnolo Pedro Sánchez ha annunciato che la Spagna metterà a disposizione “un capitale iniziale di 5 milioni di euro” per il clima e la cooperazione multilaterale. Ursula von der Leyen ha promesso che la Commissione europea stanzierà un miliardo di euro per salvare le foreste. L’ex vice-presidente americano Al Gore ha ventilato il rischio di un miliardo di migranti economici in Occidente e delle conseguenze sociali, in termini di xenofobia e tensione, che questi potrebbero provocare. Grandi assenti, Cina e Russia. Tra i partecipanti all’assemblea dedicata a un impegno contro il clima che mette in prima linea le donne e le giovani generazioni, anche rappresentanti di regimi autoritari e restrittivi sui diritti umani. Tra i volti approdati a Sharm el Sheikh, anche il principe saudita Mohammed Bin Salman.

Anche Giorgia Meloni, in rappresentanza dell’Italia nel suo primo viaggio come primo ministro, accompagnata da Pichetto Fratin, ministro dell’ambiente, ha raggiunto la destinazione esotica della COP. Il primo incontro ufficiale quello con il Presidente Al Sisi, durante il quale, oltre ai temi di materia ecologica, i due leader sembrano aver definitivamente disteso le relazioni tra i rispettivi Paesi, incrinatesi dopo il rapimento e l’omicidio brutale compiuto dai servizi di sicurezza egiziani di Giulio Regeni, per discutere di forniture di gas, cooperazione industriale e collaborazione nel respingimento dei migranti nel Mediterraneo.

Sempre il 6 novembre scorso, mentre veniva inaugurata la COP27, non troppo lontano dalle sontuose sale della conferenza adibite per ospitare i leader mondiali, in un carcere egiziano succedeva qualcos’altro. Alaa Abd El Fattah iniziava lo sciopero della sete. L’informatico e attivista in carcere per la sua partecipazione alle manifestazioni della primavera araba, dopo 218 giorni di sciopero della fame il 6 novembre ha annunciato che avrebbe rinunciato anche all’acqua. Una decisione durissima in segno di protesta contro il suo arresto illegale e contro quello di migliaia di detenuti delle prigioni egiziane per reati di opinione (ne avevamo parlato qui), proprio in occasione del più importante evento sul clima che riunisce i rappresentanti di quasi tutto il mondo nel Paese che li detiene ingiustamente.

Dell’incompatibilità di un evento internazionale sull’ambiente con un sistema dittatoriale, che reprime con torture e arresti qualsiasi forma di dissenso, si erano accorti in molti, nei mesi scorsi, e non solo attivisti come Naomi Klein. In una lettera pubblicata mercoledì scorso, quindici premi Nobel hanno chiesto che in occasione della COP27 gli Stati chiedano libertà per Alaa Abd El Fattah e gli altri prigionieri politici egiziani. A firmare la lettera, indirizzata a diversi capi di Stato, Svetlana Alexievich, J. M. Coetzee, Annie Ernaux, Louise Gluck, Abdulrazak Gurnah, Kazuo Ishiguro, Elfriede Jelinek, Mario Vargas Llosa, Patrick Modiano, Herta Muller, Orhan Pamuk, Roger Penrose, George Smith, Wole Soyinka, and Olga Tokarczuk. Nel loro appello si legge “La voce potente di Alaa Abd El Fattah per la democrazia è vicina ad essere estinta, vi chiediamo di rifarle fiato leggendo le sue parole”. Ai premi Nobel, si sono uniti in questi giorni intellettuali e scrittori da tutto il mondo.

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Nel video, la scrittrice Arundhati Roy che aderisce all’appello #FreeAlaa Da Amnesty International, Greenpeace a diversi attivisti contro il cambiamento climatico hanno denunciato l’ipocrisia epocale di questo evento. Prima tra tutti Greta Thumberg, che non ha accettato che la conferenza climatica venga ospitata in un Paese dittatoriale che uccide gli attivisti per i diritti umani. Non parteciperà, quindi, alla COP27, neanche per gridare in faccia ai potenti che lì fanno solo “blah blah blah”, come aveva fatto un anno fa. Quest’anno, con la COP27 faranno qualcosa di peggiore: Thumberg parla di “greenwashing”. Sui suoi account social, ha denunciato le violazioni dei diritti umani nel Paese e l’ingiusta detenzione di Abd El Fattah. Il 30 ottobre, poi, si è unita al sit-in di fronte all’ufficio del Commonwealth e dello Sviluppo Estero a Londra organizzato dalle sorelle di Abd El Fattah per chiedere al governo inglese di intervenire per la sua scarcerazione.

Abd El Fattah sarebbe, infatti, cittadino egiziano e inglese, e secondo le sorelle Sanaa e Mona Seif Londra dovrebbe intervenire per liberarlo e riportarlo in Gran Bretagna. Secondo quanto dichiarato in questi giorni dal governo di Al Sisi, invece, Abd El Fattah non avrebbe mai completato le pratiche per ottenere la cittadinanza britannica e sarebbe “solo” un cittadino egiziano. E come tale verrà trattato. “Non è affatto una rassicurazione”, hanno risposto le sorelle. Quando le porte della COP27 si sono aperte, è proprio sugli account twitter di Sanaa Seif che si è letto che il fratello avrebbe bevuto il suo ultimo bicchiere d’acqua. Ore di tensione, durante le quali la stessa Sanaa si è recata direttamente a Sharm El Sheikh, per portare fisicamente la sua protesta nella sede della COP27. Per suo fratello, se nessuno tra i leader impegnati a promettersi svolte ecologiche e rivoluzioni verdi tra poltroncine e coffee break interverrà, la sopravvivenza potrebbe essere una questione di ore o di una manciata di giorni.

Il 7 novembre, con una climax di tweet pubblicati da Mona Seif, la famiglia ha fatto, inoltre, presente che dopo ore di attesa in carcere, la lettera settimanale di Alaa, l’unico strumento per il detenuto per comunicare con i familiari e con il mondo, non le è stata consegnata. Le guardie carcerarie avrebbero affermato che il prigioniero non aveva voglia di scrivere. Poco credibile, secondo i Seif, che iniziano a domandarsi se l’uomo sia ancora in vita.

Mother Courage. Inspiring. Moving. Human Rights Activist. Laila Souief. Her son is jailed activist #Alaa Abdelfatah. He stopped drinking water today after 219 days on hunger strike. @Alsisiofficial has a few days to save a man’s life. #FreeAlaa Now pic.twitter.com/4dzI0Q7Ssf

— Agnes Callamard (@AgnesCallamard) November 6, 2022

Mentre Alaa Abd El Fattah smetteva di bere e Al Sisi stringeva la mano ai leader mondiali, per le strade egiziane almeno un centinaio di altri attivisti erano già stati arrestati, secondo l’Egyptian Commission for Rights and Freedoms, sempre per reati di opinione sui social. Sono vietate le manifestazioni nel Paese – mentre nei padiglioni della COP27 c’è un’intera area “Verde” apparentemente dedicata agli scambi di opinione liberi e democratici tra i giovani di tutto il pianeta. “Sulla strada verso la COP27, ricordate che molti Egiziani stanno pagando un prezzo pesante per la vostra presenza. Stanno avvenendo arresti per onorare la vostra presenza. Il minimo che possiate fare sarebbe mostrare un po’ di rispetto alle decine di migliaia nelle prigioni di Al Sisi”, ha scritto Sanna Seif. Sharm El Sheikh è militarizzata e costellata di posti di blocco, dove un controllo sul cellulare e un tweet di troppo potrebbe costare la prigione. Molte serrande sono chiuse. Il Paese tace imbavagliato. Il messaggio è chiaro: nessuno in Egitto deve parlare e raccontare, mentre i grandi del pianeta passeggiano a Sharm El Sheikh. Pagine Esteri

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