Stain -Kindergarten Part II- ADA Music/Warner Music
🎧 #RECENSIONE:
👉 Stain -Kindergarten Part II- ADA Music/Warner Music iyezine.com/stain-kindergarten…
Le sei canzoni presenti hanno quel senso di nouvelle vague tipico dell’indie americano più di avanguardia degli anni duemila, quell’inadeguatezza tra l’essere giovani o più maturi, quel gioco continuo di rimandi fra memoria e vita presente. iyezine.com/stain-kindergarten…
Stain - Kindergarten Part II - 2023
Le sei canzoni presenti hanno quel senso di nouvelle vague tipico dell’indie americano più di avanguardia degli anni duemila, quell’inadeguatezza tra l’essere giovani o più maturi, quel gioco continuo di rimandi fra memoria e vita presente.Massimo Argo (In Your Eyes ezine)
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Confronto sulla Separazione delle Carriere con Matteo Salvini
Nel quadro del confronto con tutte le forze politiche interessate e prendendo spunto dal libro del nostro Presidente “Non diamoci del tu”, il giorno 1 marzo 2023 alle ore 17:30 presso la nostra sede, in via della Conciliazione 10, Matteo Salvini si confronterà con il Presidente Giuseppe Benedetto sul tema della Separazione delle Carriere.
Sarà presente il Sottosegretario di Stato alla Giustizia Andrea Ostellari.
L'articolo Confronto sulla Separazione delle Carriere con Matteo Salvini proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
In Cina e Asia – Ucraina: incontro tra rappresentanti di Cina e Nato
I titoli di oggi:
Ucraina: incontro tra rappresentanti di Cina e Nato a Bruxelles
G20, la Cina sostiene la Russia nel bloccare il comunicato congiunto
Chip war, i "fab 4" al lavoro per una supply chain resiliente
Satelliti, il piano di Pechino contro Starlink
La Cina espande i test per la coltivazione di mais e soia OGM
India e Germania, Scholz promette un accordo di libero scambio
Corea del Nord, Kim apre un incontro sulla situazione agricola
L'articolo In Cina e Asia – Ucraina: incontro tra rappresentanti di Cina e Nato proviene da China Files.
#uncaffèconLuigiEinaudi ☕ – In regime di concorrenza…
In regime di concorrenza, il prezzo tende al costo, a rimunerare il merito, ad essere uguale alla produttività marginale dei singoli partecipanti alla produzione. Il monopolista non si occupa dii vendere molto poco, ma di guadagnare un massimo di profitto netto.
da Di alcuni problemi di politica sociale, Lezioni di politica sociale, Torino, 1949
L'articolo #uncaffèconLuigiEinaudi ☕ – In regime di concorrenza… proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
La posizione cinese sull’Ucraina e la Global Security Initiative
Il punto sulla postura di Pechino dopo la pubblicazione del position paper sulla guerra e il documento sulla Global Security Initiative
L'articolo La posizione cinese sull’Ucraina e la Global Security Initiative proviene da China Files.
Elly Schlein all’opposizione, Giorgia Meloni al governo: due donne a confronto
Che grande pasticcio! Elly Schlein vince con nettezza le primarie del Partito Democratico. Stefano Bonaccini le perde, riconosce la sconfitta, assicura, dopo gli auguri di prammatica, che sarà leale e non farà mancare il suo sostegno. Fin qui, nulla di male e anzi, tutto di bene. Poi però le cose si complicano. Le primarie, il […]
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PD: che segreteria Schlein sia!
«Con Schlein tutti quelli che non hanno mai vinto»: firmato Stefano Bonaccini. Affermazione resa ad altissima voce come ‘viatico’ per le votazioni per il Segretario del PD. Vi ricordate quando, nell’unico vero dibattito tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi, in TV, fatto con regole ferree per impedire colpi di mano e colpi bassi, approfittando di […]
L'articolo PD: che segreteria Schlein sia! proviene da L'Indro.
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MEDITERRANEO. Ancora una strage di migranti ma il governo Meloni non cambia politica
di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 26 febbraio 2021 – Una nuova strage nel Mediterraneo si è verificata oggi poco prima dell’alba al largo della costa calabrese. Sul fare del giorno, i primi cadaveri sono stati rinvenuti sulla spiaggia turistica di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone. Tra questi, anche un lattante di sei mesi. Nelle ore successive, altri cadaveri sono stati restituiti dalle onde di un mare in tempesta, alcuni ritrovati persino sulle rive del catanzarese. Per il momento, il bilancio è di 45 morti e circa 80 sopravvissuti, subito soccorsi e ricoverati in ospedale o portati nei centri di raccolta per migranti.
Sono almeno un centinaio i dispersi che i soccorritori della guardia costiera, dei vigili del fuoco, della polizia e della Croce Rossa Italiana stanno cercando in queste ore.
Secondo le prime ricostruzioni, una piccola imbarcazione, partita dalla Turchia carica di circa 250 migranti provenienti da Afghanistan, Iran e Pakistan, si sarebbe incagliata contro gli scogli della costa di Cutro e ribaltata, probabilmente a causa del mare molto mosso. “E’ qualcosa che nessuno vorrebbe mai vedere”, ha dichiarato il sindaco di Cutro, “Il mare continua a restituire corpi, tra le vittime ci sono donne e bambini”.
Immediate le reazioni da parte del governo, a partire dalla premier Giorgia Meloni che, tuttavia, ha soltanto saputo attaccare i trafficanti, definendo “criminale mettere in mare una imbarcazione lunga appena 20 metri con ben 200 persone a bordo e con previsioni meteo avverse”, senza mettere in discussione le politiche ostruzionistiche che il suo esecutivo attua verso le navi delle Ong impegnate nei salvataggi.
Le Organizzazioni Non Governative impegnate nel soccorso dei migranti nel Mediterraneo hanno, però, reagito all’ennesima strage di migranti in mare attaccando proprio il governo meloniano. Solo pochi giorni fa, infatti, Il decreto sui flussi migratori, il cosiddetto decreto ONG, era diventato legge, dopo l’approvazione definitiva del Senato con 84 voti favorevoli e 61 contrari. Una legge che limita i soccorsi in mare, secondo le ONG, provocando potenzialmente centinaia e migliaia di vittime delle migrazioni nel Mediterraneo.
Secondo la legge, infatti, le navi impegnate nelle operazioni di soccorso in mare non possono effettuare più di un salvataggio alla volta. Dopo aver soccorso i migranti, sono obbligate a richiedere immediatamente l’assegnazione di un porto di sbarco e a raggiungerlo nel più breve tempo possibile. Secondo le ONG, impedire di effettuare più salvataggi sulla stessa rotta riduce in maniera criminale la possibilità di salvare vite umane pur avendone la possibilità. I porti assegnati, inoltre, come dimostrato negli ultimi mesi con l’applicazione del decreto, si trovano spesso nel Centro e nel Nord Italia: ciò determina un inutile dispendio di tempo (oltre che di carburante) prezioso alle navi per tornare in mare e soccorrere altre persone.
In caso di violazione della legge, è prevista una sanzione amministrativa per il comandante della nave che va dai 10.000 ai 50.000 euro e il fermo amministrativo del mezzo per due mesi. In caso di reiterazione della violazione, si applica la confisca della nave. Previste sanzioni che vanno dai 2000 ai 10mila euro al comandante e all’armatore della nave anche se “non forniscono le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare o non si uniformano alle indicazioni della medesima autorità”.
La legge per questo, secondo le opposizioni e i soccorritori, attacca direttamente le ONG e la possibilità di svolgere salvataggi nel Mediterraneo. Nel 2022, oltre 100.000 rifugiati sono arrivati in Italia via mare, un numero in aumento negli ultimi anni. La strage del 26 febbraio infiamma di nuovo lo scontro con il governo, che, con le parole di Meloni, non sembra indietreggiare sul fronte migratorio.
“Il Governo è impegnato a impedire le partenze, e con esse il consumarsi di queste tragedie, e continuerà a farlo, anzitutto esigendo il massimo della collaborazione dagli Stati di partenza e di provenienza. Si commenta da sé l’azione di chi oggi specula su questi morti, dopo aver esaltato l’illusione di una immigrazione senza regole”, ha aggiunto, infatti, la Premier sui social. Difficile immaginare come potrà garantire il rispetto dei diritti umani mediando con il governo iraniano o con quello dei talebani affinché i migranti non decidano più di lasciare quei Paesi. Intanto vengono vantati nuovi accordi con Tunisia e Libia, che probabilmente foraggeranno ulteriormente i crimini nei centri di detenzione per i migranti o quelli compiuti dalla guardia costiera nazionale.
Ferma la condanna di Mediterranea Saving Humans:
⚫️ Cresce di ora in ora il numero delle vittime e dei dispersi del naufragio al largo di #Crotone.Chi, al governo, chiude le frontiere e non apre canali legali e sicuri d'ingresso in #Europa, dovrebbe solo tacere.
Per rispetto. pic.twitter.com/P363tkhpYR
— Mediterranea Saving Humans (@RescueMed) February 26, 2023
E di Medici Senza Frontiere (MSF):
⚫️ While we are stuck in port, avoidable tragedies continue to unfold before our eyes. How many people will have to be sacrificed until #Italy and the #EU guarantee search and rescue operations and support the life-saving work of #NGOs?#TheyWillPay t.co/WVSPC5PHXp— MSF Sea (@MSF_Sea) February 26, 2023
Il primo fermo amministrativo della legge sui flussi migratori con multa ai danni di una ONG era stato notificato il 23 febbraio scorso proprio ai danni di Medici Senza Frontiere, ONG francese premio Nobel per la Pace. «La Capitaneria di Porto di Ancona ci contesta, alla luce del nuovo decreto, di non aver fornito tutte le informazioni richieste durante l’ultima rotazione che si è conclusa con lo sbarco ad Ancona di 48 naufraghi», aveva comunicato l’ONG. Per questo motivo, la Geo Barents, la nave di soccorso in mare di MSF, “è stata raggiunta da un fermo amministrativo di 20 giorni e una multa da 10 mila euro”. L’ONG aveva prontamente dichiarato che i suoi legali stavano valutando le azioni per contestare la sanzione.
Proseguono, intanto, le ricerche dei dispersi. Secondo il progetto Missing Migrants dell’International Organization of Migrants, dal 2014 a oggi, sono oltre 50.000 i migranti dispersi nel mondo. Di questi, almeno il 60% resta non identificato: di oltre 30.000 persone, cioè, non si riesce a risalire né all’identità né almeno alla nazionalità d’origine.
Tra le rotte delle migrazioni, sempre secondo Missing Migrants, quella che conduce verso l’Europa è la più “mortale”, con più di 29.000 dei 50.000 morti dal 2014 registrati lungo rotte all’interno o verso i confini europei. Le rotte europee sono anche quelle dove si registra il maggior numero di migranti non recuperati, con almeno 16.032 persone disperse o di cui si suppone il decesso in mare. Ciò significa che un migrante su due disperso lungo il viaggio verso l’Europa non viene ritrovato né identificato.
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Restringere le protezioni 230 porterà incertezza giuridica nel lavoro di sviluppatori software, startup e piattaforme che forniscono loro gli strumenti per realizzare la loro visione e repository software
Gli sviluppatori si affidano a 230 per collaborare su piattaforme come GitHub e per costruire e gestire nuove piattaforme che ripensano i social media. Restringere le protezioni 230 potrebbe avere implicazioni di vasta portata, introducendo incertezza giuridica nell'importante lavoro di sviluppatori di software, startup e piattaforme che forniscono loro gli strumenti per realizzare la loro visione. Mentre i responsabili politici valutano come affrontare le nuove frontiere della responsabilità degli intermediari, è essenziale centrare gli sviluppatori nelle decisioni che daranno forma al futuro di Internet.
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Come la guerra potrebbe (non) finire. Gli scenari del prof. Bozzo
Dopo il primo mese di guerra era evidente che l’offensiva russa non avesse raggiunto i suoi obiettivi, nonostante le molte di perdite umane e materiali. Fallito il tentativo di regime change a Kiev – con le conseguenze politiche e militari attese dal Cremlino – la mancata acquiescenza delle popolazioni russofone e, anzi, l’efficacia della resistenza ucraina, avevano vanificato l’Anschluss immaginato da Putin. Iniziò così la seconda fase del conflitto, il “back to the future” della strategia russa: l’attacco a rullo compressore grazie alla potenza di fuoco e all’impiego senza risparmio di uomini e mezzi.
Fu un autentico ritorno alla tradizione militare sovietica, se non zarista, che consentì le costose, lente ma progressive conquiste in primavera-estate. Tra fine agosto e inizio settembre, esauritasi l’offensiva senza provocare il crollo ucraino, iniziò la controffensiva e la riconquista di parte dei territori perduti. Tale alternarsi di offensive e controffensive è tipico di ogni guerra che si prolunghi senza esito decisivo. Se l’uno o l’altro dei contendenti non riesce a conseguire i propri obiettivi prima di giungere al punto di massimo esercizio dello sforzo, allora, una volta superato quel punto, l’azione si esaurisce e l’iniziativa passa all’avversario. Spentasi con l’arrivo dell’inverno la controffensiva ucraina, è infatti iniziata la nuova offensiva russa, ancora in atto, quarta e per adesso ultima fase del conflitto.
Stavolta, più che nei mesi passati, con le feroci battaglie urbane a Mariupol o Kherson, l’offensiva centrata su Bakhmut rivela che, da entrambe le parti, si combatte a costi spropositati per obiettivi dal valore simbolico più che strategico. La caduta o la tenuta di una o l’altra città ucraina non determinerebbe una svolta decisiva per la prosecuzione della guerra. Bakhmut è più Verdun che Stalingrado: per Mosca, come per Kiev, ha valore a fini politici interni e d’immagine più che operativi. In Ucraina è in atto una guerra d’attrito e, come insegna la Prima guerra mondiale, questo tipo di guerre terminano per esaurimento delle risorse umane e materiali o per collasso interno di una delle parti. Se ciò è vero, possiamo trarne delle conclusioni, ragionando nei termini propri del triangolo strategico: mezzi, fini, modi. Stando a tutti gli indici più attendibili, il tasso delle perdite umane e materiali sui due lati del fronte è estremamente elevato. Kiev resiste in virtù delle forniture militari dei Paesi, innanzitutto della Nato, che la sostengono; la Russia conta sulla superiorità demografica, l’arsenale e il suo complesso militare-industriale.
Nonostante l’effetto delle sanzioni su quest’ultimo, il conflitto vede da un lato la difficoltà dei Paesi alleati nel mantenere la quantità di forniture militari necessarie a Kiev e dall’altro, la possibilità che Mosca ottenga sostegno esterno, come avvenuto con Iran e Corea del Nord, e potrebbe avvenire su più ampia scala. D’altro canto, la solidità politica della leadership russa non appare in discussione. Gli oppositori interni sono stati eliminati, tacitati o hanno lasciato il Paese già dopo lo scorso autunno, mentre l’opinione pubblica russa si è compattata, sensibile al richiamo nazionalista. Il collasso politico di Mosca era poco probabile già nella prima fase della guerra e lo è altrettanto oggi. Più delicata la situazione in occidente, dove al passare dei mesi la “war fatigue” minaccia di provocare tensioni e fratture nella coalizione pro-Kiev.
L’escalation, che ha avuto luogo nel confronto armato in ragione del suo prolungarsi senza esito decisivo, ha aumentato il valore della posta in gioco, il fine politico della guerra, per ognuno degli attori coinvolti. Né Putin né Zelensky possono accettare un esito del conflitto che non giustifichi gli enormi costi sopportati. La Nato, dal canto suo, non può accettare il crollo dell’Ucraina, per le ripercussioni che avrebbe sull’Alleanza. L’analisi dell’evoluzione della guerra convenzionale in corso non deve far dimenticare, infine, il coté nucleare del confronto. Le operazioni sul campo sono state infatti precedute e accompagnate dalla continua evocazione della minaccia nucleare, nel quadro di una strategia russa di “manipolazione del rischio estremo” a fini dissuasivi e coercitivi. Mosca ha costantemente messo in atto una simile strategia: dal riconoscimento all’antivigilia dell’aggressione dell’indipendenza degli oblast del Donbass, alla messa in stato di prima allerta delle forze di deterrenza nucleare poco dopo l’attacco, fino all’annessione delle quattro regioni ucraine almeno in parte occupate; oltre ai riferimenti ai casi in cui la dottrina russa prevede l’impiego del nucleare. La minaccia nucleare, peraltro, ha sin qui determinato una limitazione del confronto, impedendo a Kiev di colpire in profondità il territorio nemico, come a Mosca di tagliare fonti e linee di alimentazione dello sforzo avversario.
Quali scenari possono seguirne? La guerra continuerà. La disponibilità delle parti a un cessate il fuoco è infatti legata alla situazione sul campo, in sostanza statica, e gli avversari possono ancora disporre del sostegno politico interno e delle risorse sufficienti per proseguire nello sforzo. Ciò implica anche che non si esaurirà la naturale tendenza all’escalation propria delle lunghe guerre di attrito, che può tradursi in senso “verticale”, con l’impiego di armi a più alto potenziale distruttivo fino a quelle di distruzione di massa, o “orizzontale”, con il coinvolgimento diretto nel confronto bellico di attori esterni.
Articolo apparso sul numero 141 della rivista Airpress
Addio a Maurizio Costanzo, una vita tra giornalismo e ‘show’
L’addio a solenni onoranze per Maurizio Costanzo, prima in Campidoglio per l’omaggio della sua città, poi i funerali nella Chiesa Dall’incidfente Artisti in piazza del Popolo a Roma, per l’ultimo saluto. Il celebre giornalista, conduttore televisivo, sceneggiatore, autore di testi se n’era andato all’età di 84 anni, la mattina del 25 febbraio scorso, suscitando un cordoglio […]
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Storia del pacifismo italiano
Storia del pacifismo italiano
Com’è cambiato il movimento pacifista in questi ultimi decenni, dalla marcia Perugia-Assisi del 1961 alle manifestazioni contro la guerra in Ucraina. LeggiGiuliano Battiston (Internazionale)
Si prepara l’offensiva di primavera. Le previsioni di Camporini
Una domanda ricorrente in merito al conflitto scatenato dall’aggressione russa all’Ucraina riguarda che cosa sta accadendo nel teatro operativo e che cosa ci si può aspettare per la primavera e l’estate. Nel passato, di fronte a quesiti del genere, ci si poteva affidare solo alla fantasia e a ipotesi più o meno fondate. Oggi la disponibilità di mezzi informativi tecnologicamente avanzati mette a disposizione dati molto più attendibili sulla situazione del momento, in tempo quasi reale, il che rende più facile formulare scenari verosimili. Si trovano in rete mappe molto interessanti con le traiettorie giornaliere di satelliti da osservazione che operano in tutto lo spettro elettromagnetico, e i cui risultati sono indipendenti dalla luce diurna e dalle condizioni meteorologiche. Altre mappe riportano invece le tracce di tutti i velivoli da ricognizione dei Paesi che sostengono Kiev, che raccolgono le informazioni sulle comunicazioni, sui movimenti e sulle attività in corso, stando bene al di fuori dello spazio aereo ucraino: ben poco può sfuggire e quel poco è scarsamente determinante.
Si osserva oggi qualcosa che fa riflettere: lungo tutta la linea di contatto che dalla Crimea arriva a Logachevka, ai confini con l’oblast’ russo di Belgorod, da molte settimane le forze di Mosca stanno costruendo imponenti linee difensive, come se si attendessero di dover respingere pericolose puntate offensive ucraine, come cioè se l’esercito russo avesse accantonato l’ipotesi di riprendere l’iniziativa dopo essere stato costretto ad abbandonare Charkiv e Kherson.
D’altra parte sono di pubblico dominio le direttive di Putin che avrebbe ordinato alle sue truppe di avanzare fino a occupare tutto il Donbass entro il mese di marzo, il che appare scarsamente fattibile, almeno in questi termini temporali, stante la situazione climatica e meteorologica, con la pratica impossibilità per le forze blindate e corazzate di muoversi al di fuori dei tracciati stradali. Si susseguono in ogni caso le informazioni circa la possibilità per Mosca di lanciare in battaglia altri trecentomila militari, peraltro costituiti in gran parte da riservisti e da giovani reclute, cui bisogna garantire non solo i necessari equipaggiamenti e armamenti, ma anche, se non soprattutto, un adeguato addestramento. Si prospettano dunque almeno due scenari. Il primo vede il consolidamento degli attuali schieramenti, con l’esercito ucraino che non riesce a superare le rinforzate linee difensive russe, mentre queste a loro volta, utilizzando le forze fresche, potranno premere su particolari settori come stanno da tempo facendo nel Donetsk a Bachmut e Soledar; in questo senso i progressi sono stati finora minimi e si misurano in pochi chilometri, ma potrebbero migliorare con un’ulteriore spinta nella buona stagione.
Il secondo scenario vede un radicale cambiamento nella gravitazione delle forze e ipotizza che le nuove unità, alcune delle quali già presenti in Bielorussa nel quadro delle esercitazioni in atto da qualche settimana, vengano utilizzate per aprire un nuovo fronte da nord, che costringerebbe Kiev a dirottare le proprie unità migliori, oggi impegnate a sud, per fare fronte alla nuova minaccia. Un’offensiva del genere da parte russa potrebbe anche essere supportata da unità bielorusse, anche se un’ipotesi simile appare assai improbabile, stante la non solidissima posizione di Lukashenko e le note tiepide simpatie della popolazione verso la Russia di Putin. L’inverno non ha certo favorito lo sviluppo di operazioni particolarmente ficcanti, al contrario sta permettendo a entrambi gli eserciti di riorganizzarsi: Mosca ne ha approfittato per riempire i vuoti generati dalle gravi perdite umane subite, mentre l’Ucraina sta cercando di ottenere dai Paesi occidentali i moderni sistemi d’arma che le possono consentire di compensare l’inferiorità numerica.
Si tratta di una corsa contro il tempo, perché nuovi mezzi comportano maggiori esigenze addestrative e maggior complessità delle catene logistiche. Finora la palese superiorità dei sistemi occidentali ha consentito a Kiev di resistere e poi contrattaccare con successo: potrà continuare a farlo solo se i flussi di rifornimenti non subiranno cali o rallentamenti. In tal caso potrebbe verificarsi un terzo scenario, quello di una nuova rottura delle linee difensive russe, il che oltre a non impossibili conseguenze politiche, metterebbe a rischio il controllo russo della fascia costiera del mar d’Azov che oggi rimane l’unica vera conquista fin qui ottenuta dall’esercito di Mosca.
Molto, se non tutto, dipenderà quindi dalla capacità e dalla volontà dei Paesi occidentali di continuare a supportare Kiev in quantità e qualità dei mezzi, riavviando anche i processi industriali per far fronte ai consumi che solo un anno fa nessuno si sarebbe immaginato così ingenti. Continuerà altresì lo sforzo della propaganda di Mosca per erodere l’altro elemento, quello della volontà, che nei Paesi democratici non può essere imposta dall’alto. Tutto ciò sul terreno. Su un altro piano, invece, da un lato saranno possibili evoluzioni anche radicali degli assetti politici interni, dall’altro ci si può attendere che vengano stabiliti, in modo assolutamente riservato, contatti per trovare un compromesso che possa essere alla base di un serio negoziato.
Articolo apparso sul numero 141 della rivista Airpress
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È tornato lo scontro di civiltà. Come si muoverà l’Italia secondo Craxi
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Dalle lezioni apprese dall’Europa, alla postura italiana in questi ultimi 12 mesi di conflitto, fino al nuovo dibattito riacceso intorno alla necessità nazionale di raggiungere il 2% del Pil da destinare alla Difesa. Questi i temi al centro della conversazione con la presidente della commissione Esteri e Difesa del Senato, Stefania Craxi, e il direttore di Formiche e Airpress, Flavia Giacobbe.
Presidente Craxi, dopo un anno di guerra, quale scenario geopolitico ci attende?
Innanzitutto, sgombriamo il campo da ogni equivoco, e le risponderò con le parole del Segretario generale della Nato: “la guerra è una guerra illegale, che ha provocato distruzione, morte, dolore per il popolo ucraino, ha distrutto la pace in Europa, ha provocato danni alle popolazioni con le sue conseguenze sul piano energetico e alimentare”. In questo contesto, il governo italiano è rimasto coeso e continuerà a difendere e a sostenere la resistenza del popolo ucraino. Dopotutto, noi abbiamo il dovere di mantenere la pace, ma abbiamo anche il diritto di difendere i popoli, le nazioni e la loro libertà.
Non c’è dubbio che questo conflitto sia un game changer. Non ci troveremo più a vivere in un sistema geopolitico come quello che ha caratterizzato il nostro mondo fino ad adesso. La storia non è finita, anzi ha continuato a correre; presto in Europa ci troveremo in una situazione in cui non si potrà più pensare di approvvigionarsi di energia russa, di commerciare con la Cina e di farci difendere dagli Stati Uniti. Ci troveremo di fronte a un grande conflitto globale, un grande scontro tra superpotenze: da una parte l’Occidente composto da Europa e Stati Uniti d’America – le due gambe del mondo libero, per quanto imperfetto – e dall’altra le grandi autocrazie, tra cui la Cina, che si stanno alleando tra di loro. Dunque, sì, ci troviamo di fronte a uno scontro di civiltà.
Quali sono le consapevolezze e lezioni che l’Europa ha appreso?
Non c’è dubbio che l’Europa si è trovata di fronte a questo conflitto totalmente impreparata dal punto di vista psicologico, prima ancora che militare ed economico. Io mi auguro che l’Europa riesca a trarre delle lezioni perché si tratta di capire quale ruolo deve svolgere sullo scenario internazionale. Certamente, ci riuscirà solo se parlerà con una sua voce in ambito di politica estera.
Abbiamo visto nei giorni scorsi le immagini del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in visita a Kiev. Che giudizio complessivo dà alla postura italiana dall’inizio del conflitto? Come si è comportato il nostro Paese?
L’Italia si è comportata come un Paese serio e affidabile. È stata in grado di calibrare le sue azioni con i suoi alleati storici, ovvero sia gli alleati europei sia l’alleato transatlantico. La visita del presidente Meloni ha messo in rilievo il fatto che, contrariamente a quanto si ritiene a volte, il nostro non è un Paese irrilevante o bistrattato. Invece, ha mostrato la postura di un alleato affidabile, senza tentennamenti e senza subalternità.
Con il sopraggiungere del conflitto abbiamo sicuramente assistito a una rinnovata centralità della Nato, irrobustita nell’ultimo anno. Allo stesso tempo, si sono rafforzate le difese nazionali di molti Paesi europei, come la Germania. L’elemento debole è rimasto la Difesa comune. Se il Vecchio continente perdesse questa occasione, ridimensionerebbe le ambizioni del suo progetto?
Questo era il sogno di uno dei padri della nostra patria, Alcide De Gasperi, che morì con il rammarico che non si fosse realizzata una Difesa comune. Forse adesso è arrivato il momento. Naturalmente, parlare di difesa comune europea significa innanzitutto parlare di politica estera comune europea, perché se non formiamo un interesse europeo è difficile capire anche cosa una Difesa comune dovrebbe difendere. Segue poi il grande tema dell’Alleanza Atlantica e qui è necessario, secondo me, pronunciare parole di chiarezza. Non si può pensare a una difesa comune europea in contrapposizione o in separazione dall’alleanza Nato. Credo invece che una Difesa comune debba essere complementare alla Nato e dovremmo, dunque, alla luce di quanto è accaduto, ragionare su come coordinare gli interventi delle nostre industrie e su come mettere a fattor comune i processi di innovazione. Sicuramente, questo è un primo passo da fare per costituire una difesa comune, anche se si tratta senz’ombra di dubbio di un processo alquanto complicato – ad esempio, prevede di affrontare il tema dei brevetti, una questione tanto interessante tanto complicata.
Le difficoltà che potrà incontrare la Difesa comune saranno anche conseguenza della volontà degli Stati nazione europei di continuare a custodire il controllo sulla propria Difesa. Tuttavia, il sostegno militare a Kiev sta mostrando un’insufficienza nelle dotazioni di difesa dei Paesi europei. Il Parlamento, secondo lei, è consapevole di questa vulnerabilità? Avete in cantiere degli interventi in questo senso?
La Difesa italiana ha sempre operato in campi e in contesti alquanto difficili, con operazioni di peacekeeping con cui si è confermata più volte adeguata e sempre all’altezza delle sfide di pace e di sicurezza che si è trovata davanti. Certo, oggi il contesto è cambiato e l’Occidente si è fatto cogliere militarmente impreparato. Nessuno si aspettava una guerra ai confini dell’Europa nel nostro secolo. E certamente, di fronte all’accelerazione tecnologica di questo settore, si presenta anche la questione della ricostruzione dei nostri arsenali e di come essere all’altezza delle sfide epocali che ci aspettano. Questa cosa è ben chiara a me, alla Commissione e anche all’esecutivo.
Tra l’altro noi stiamo per dover affrontare un problema importante, dal momento che nessuno tra gli alleati ha una reale contezza della consistenza degli arsenali russi, e la potenza di fuoco esprimibile da Mosca è stimata essere venti volte superiore a quella di Kyiv. Questo comporta anche che i nostri arsenali si stanno rapidamente svuotando, ed è il motivo per cui in molti Paesi, compresi gli Stati Uniti, si sta iniziando a sostenere l’impossibilità di intraprendere un estenuante e lunghissimo conflitto senza sbocchi. Si sta dunque cominciando ad affermare in alcuni ambienti, compreso il Congresso statunitense, che il sostegno economico e militare all’Ucraina non può essere infinito.
È stato riportato al centro del dibattito nazionale anche la necessità del nostro Paese di raggiungere l’obiettivo del 2% del Pil da destinare alla Difesa stabilito in Galles nel 2014. L’Italia è ancora lontana dal traguardo, mentre diversi Paesi europei stanno facendo passi avanti. Di recente il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha proposto di escludere le spese per la Difesa dal Patto di stabilità. È una soluzione praticabile?
Il Ministro Crosetto è stato ricevuto di recente in commissione, dove ha illustrato le linee programmatiche del suo dicastero e non ha usato giri di parole per segnalare i forti ritardi dell’Italia su questo tema. Il ministro ha infatti lanciato l’allarme spiegando che alla prossima riunione dell’Alleanza Atlantica rischiamo di essere i “Pierini” della Nato. Il Paese spende attualmente solo 1,38% del Pil in Difesa. Questa cifra deve gradualmente aumentare fino ad arrivare al fatidico 2%. Parlamento e governo ne sono consapevoli, e quella del ministro Crosetto è una proposta interessante. In questo modo, infatti, aumentare le spese della Difesa non vorrebbe dire necessariamente detrarre spese dal bilancio nazionale per il welfare o la sanità. È una buona proposta, che noi appoggeremo. Anche perché, è bene ricordarlo, le Forze armate svolgono un ruolo centrale anche in aree diverse, come abbiamo visto nella battaglia contro la pandemia di Covid-19. Quando parliamo della Difesa, parliamo in realtà di un mondo molto complesso. La Difesa vuol dire genio civile, interventi umanitari, investimenti sulla ricerca tecnologica. Parliamo di tante cose, non solo di armi. Bisogna, però, avere anche la consapevolezza che oggi ci troviamo di fronte a un mondo molto meno sicuro.
La reazione dei Paesi alleati al conflitto in Ucraina è stata quella di irrobustire la sicurezza del fianco est dell’Alleanza. Però il sud rimane un quadrante da presidiare e per l’Italia il Mediterraneo è lo scenario strategico principale. Che tipo di pressioni potrebbe esercitare Roma per sensibilizzare maggiormente l’Alleanza sul fronte meridionale?
Noi siamo tornati, dopo la Guerra fredda, a essere Paese di confine, però adesso il confine è con il sud. Con l’Alleanza Atlantica impegnata est e con gli Stati Uniti concentrati su quello che percepiscono come il loro fronte caldo dell’Indo-Pacifico, noi non possiamo permetterci di distogliere lo sguardo dal Mediterraneo. Non solo per le instabilità, le insicurezze e le grandi sfide che il Mediterraneo ci porrà davanti, dall’immigrazione al terrorismo (che non è concluso), ma anche in termini di opportunità. Quello di Mediterraneo è un concetto larghissimo che va dai Balcani all’Africa. Il Mediterraneo è il bacino dello sviluppo europeo e aver fallito negli anni le politiche euro-mediterranee è stato gravissimo. I nostri sforzi, ora, devono raddoppiare.
Ci deve essere un nuovo e maggiore impegno sul Mediterraneo, e ovviamente in questo contesto l’Italia non può che giocare un ruolo cruciale. Personalmente vorrei rendere stabili i rapporti con le commissioni esteri dei Paesi europei del Mediterraneo, proprio per avere un impatto forte nell’agenda europea, all’interno della quale il Mediterraneo deve essere uno dei punti cardine. È indispensabile per oggi, ma anche per il domani. Su questo tema, tra l’altro, mi associo alla richiesta da fare in Europa espressa dal ministro Crosetto: anche il budget della cooperazione internazionale deve essere scomputato dalle regole di bilancio, dal rapporto deficit/Pil. Perché se non riusciremo a ridurre l’enorme divario che ancora separa il nord dal sud del mondo, per noi saranno drammi.
A livello globale, la sfida di Vladimir Putin alle regole internazionali potrebbe costituire un precedente pericoloso anche per molti altri scenari, come per esempio l’assertività cinese su Taiwan. Abbiamo visto i vantaggi di un Occidente unito. Pensa che questa unità possa essere replicata anche nell’Indo-Pacifico?
È stato importantissimo che l’Occidente abbia reagito, e continui a reagire, coeso di fronte a questo attacco. Se noi avessimo consentito, senza fiatare, l’invasione dell’Ucraina, avremmo fatto passare il principio che il sistema internazionale può perfettamente essere regolato dalle leggi della prepotenza e non da quelle del diritto. Questo è un principio non negoziabile, che l’Occidente ha fatto bene a difendere, e deve continuare a difendere fino alla fine. Ma serve, come in tutto, una visione politica. Senza una visione politica, non solo non siamo stati in grado di disegnare allora il mondo di domani, ma non siamo stati neanche capaci di affrontare le criticità dell’oggi. È tornata ad affacciarsi ai nostri confini una guerra che mai ci saremmo aspettati che tornasse. Probabilmente abbiamo sottovalutato tante faglie di crisi che siano già presentate negli anni. Bisogna che la prossima sfida epocale non ci trovi impreparato.
Taiwan Files – Si rafforzano i legami militari tra Taipei e Usa
La possibile estensione del programma di addestramento Usa a Taiwan, l'aumento degli scambi a livello militare e diplomatico, gli effetti della guerra in Ucraina, delegazione di Shanghai e politica interna, economia e semiconduttori. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
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Per Salvini la parità di genere è questione di “burocrazia”. Di @vitalbaa su @DomaniGiornale (attenzione: paywall)
editorialedomani.it/idee/comme…
- Il nuovo codice dei contratti pubblici segna un passo indietro per il riconoscimento del ruolo delle donne nel mondo del lavoro.
- Le stazioni appaltanti avranno la mera facoltà, e non l’obbligo, di prevedere «meccanismi e strumenti idonei a realizzare pari opportunità», anche di genere. Inoltre, scompare il riferimento alla certificazione della parità di genere introdotta nel 2021, attestata secondo i criteri di cui all’UNI/PdR 125.
- Salvini ha definito tale certificazione come «burocrazia». Questa è la considerazione che il ministro ha per uno strumento di promozione del lavoro femminile. Se il governo reputa di avere una considerazione diversa, intervenga sul nuovo codice degli appalti.
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La Cina ha rilasciato un nuovo documento che delinea la sua posizione sul conflitto ucraino, in occasione del primo anniversario dell'invasione della Russia: ecco il documento del Ministero degli Esteri cinese
Ecco i dodici punti con "la posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina"
@Notizie dall'Italia e dal mondo
Il documento in 12 punti ribadisce per lo più l'attuale punto di vista di Pechino sul conflitto, saltando gli sforzi di Pechino per presentarsi come mediatore di pace neutrale, mentre lotta per bilanciare il suo rapporto con Mosca e il logoramento dei legami con "l'Occidente" mentre la guerra si trascina ancora senza che all'orizzonte si intraveda una vera soluzione.Naturalmente la pretesa di neutralità di Pechino è stata messa in dubbio dagli Stati Uniti e da altri alleati ucraini, con Russia e Cina che hanno descritto le loro relazioni bilaterali come "senza limiti" poche settimane prima dell'invasione.
Le recenti accuse dei paesi occidentali secondo cui la Cina sta considerando di armare la Russia sono state liquidate come "false informazioni" da Pechino.
La pretesa di neutralità di Pechino è stata infatti messa in discussione dal suo rifiuto di riconoscere la natura del conflitto – finora ha evitato di definirlo “invasione” – e dal suo sostegno diplomatico ed economico a Mosca.
Ecco di seguito i dodici punti indicati nel documento ufficiale del ministero degli esteri cinese:
1. Rispettare la sovranità di tutti i paesi. Il diritto internazionale universalmente riconosciuto, compresi gli scopi ei principi della Carta delle Nazioni Unite, deve essere rigorosamente osservato. La sovranità, l'indipendenza e l'integrità territoriale di tutti i paesi devono essere efficacemente sostenute. Tutti i paesi, grandi o piccoli, forti o deboli, ricchi o poveri, sono membri uguali della comunità internazionale. Tutte le parti dovrebbero sostenere congiuntamente le norme fondamentali che regolano le relazioni internazionali e difendere l'equità e la giustizia internazionali. Dovrebbe essere promossa un'applicazione paritaria e uniforme del diritto internazionale, mentre i doppi standard devono essere respinti.
2. Abbandonare la mentalità della guerra fredda. La sicurezza di un paese non dovrebbe essere perseguita a spese di altri. La sicurezza di una regione non dovrebbe essere raggiunta rafforzando o espandendo i blocchi militari. I legittimi interessi e preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi devono essere presi sul serio e affrontati adeguatamente. Non esiste una soluzione semplice a un problema complesso. Tutte le parti dovrebbero, seguendo la visione di una sicurezza comune, globale, cooperativa e sostenibile e tenendo presente la pace e la stabilità a lungo termine del mondo, contribuire a creare un'architettura di sicurezza europea equilibrata, efficace e sostenibile. Tutte le parti dovrebbero opporsi al perseguimento della propria sicurezza a scapito della sicurezza altrui, prevenire il confronto tra blocchi e lavorare insieme per la pace e la stabilità nel continente eurasiatico.
3. Cessare le ostilità. Il conflitto e la guerra non giovano a nessuno. Tutte le parti devono rimanere razionali ed esercitare moderazione, evitare di alimentare il fuoco e aggravare le tensioni e impedire che la crisi si deteriori ulteriormente o addirittura sfugga al controllo. Tutte le parti dovrebbero sostenere la Russia e l'Ucraina nel lavorare nella stessa direzione e riprendere il dialogo diretto il più rapidamente possibile, in modo da ridurre gradualmente la situazione e raggiungere infine un cessate il fuoco globale.
4. Riprendere i colloqui di pace. Dialogo e negoziazione sono l'unica soluzione praticabile alla crisi ucraina. Tutti gli sforzi volti a una soluzione pacifica della crisi devono essere incoraggiati e sostenuti. La comunità internazionale dovrebbe rimanere impegnata nel giusto approccio per promuovere i colloqui per la pace, aiutare le parti in conflitto ad aprire la porta a una soluzione politica il prima possibile e creare le condizioni e le piattaforme per la ripresa dei negoziati. La Cina continuerà a svolgere un ruolo costruttivo in questo senso.
5. Risolvere la crisi umanitaria. Tutte le misure atte ad alleviare la crisi umanitaria devono essere incoraggiate e sostenute. Le operazioni umanitarie dovrebbero seguire i principi di neutralità e imparzialità e le questioni umanitarie non dovrebbero essere politicizzate. La sicurezza dei civili deve essere efficacemente tutelata e devono essere istituiti corridoi umanitari per l'evacuazione dei civili dalle zone di conflitto. Sono necessari sforzi per aumentare l'assistenza umanitaria nelle aree interessate, migliorare le condizioni umanitarie e fornire un accesso umanitario rapido, sicuro e senza ostacoli, al fine di prevenire una crisi umanitaria su scala più ampia. Le Nazioni Unite dovrebbero essere sostenute nel svolgere un ruolo di coordinamento nell'incanalare gli aiuti umanitari nelle zone di conflitto.
6. Protezione dei civili e dei prigionieri di guerra (POW). Le parti in conflitto dovrebbero rispettare rigorosamente il diritto internazionale umanitario, evitare di attaccare civili o strutture civili, proteggere donne, bambini e altre vittime del conflitto e rispettare i diritti fondamentali dei prigionieri di guerra. La Cina sostiene lo scambio di prigionieri di guerra tra Russia e Ucraina e invita tutte le parti a creare condizioni più favorevoli a tale scopo.
7. Mantenere sicure le centrali nucleari. La Cina si oppone agli attacchi armati contro le centrali nucleari o altri impianti nucleari pacifici e invita tutte le parti a rispettare il diritto internazionale, inclusa la Convenzione sulla sicurezza nucleare (CNS), ed evitare risolutamente incidenti nucleari provocati dall'uomo. La Cina sostiene l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) nel svolgere un ruolo costruttivo nella promozione della sicurezza e della protezione degli impianti nucleari pacifici.
8. Riduzione dei rischi strategici. Le armi nucleari non devono essere utilizzate e le guerre nucleari non devono essere combattute. La minaccia o l'uso di armi nucleari dovrebbe essere contrastata. La proliferazione nucleare deve essere prevenuta e la crisi nucleare evitata. La Cina si oppone alla ricerca, allo sviluppo e all'uso di armi chimiche e biologiche da parte di qualsiasi paese e in qualsiasi circostanza.
9. Facilitare le esportazioni di grano. Tutte le parti devono attuare pienamente ed efficacemente, in modo equilibrato, l'iniziativa per i cereali del Mar Nero firmata da Russia, Turchia, Ucraina e Nazioni Unite e sostenere le Nazioni Unite affinché svolgano un ruolo importante in tal senso. L'iniziativa di cooperazione sulla sicurezza alimentare globale proposta dalla Cina fornisce una soluzione fattibile alla crisi alimentare globale.
10. Stop alle sanzioni unilaterali. Sanzioni unilaterali e massima pressione non possono risolvere la questione; creano solo nuovi problemi. La Cina si oppone alle sanzioni unilaterali non autorizzate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. I paesi interessati dovrebbero smettere di abusare delle sanzioni unilaterali e della "giurisdizione a braccio lungo" contro altri paesi, in modo da fare la loro parte per ridurre la crisi ucraina e creare le condizioni affinché i paesi in via di sviluppo possano far crescere le loro economie e migliorare la vita della loro gente.
11. Mantenere stabili le catene industriali e di approvvigionamento. Tutte le parti dovrebbero mantenere seriamente l'attuale sistema economico mondiale e opporsi all'uso dell'economia mondiale come strumento o arma per scopi politici. Sono necessari sforzi congiunti per mitigare le ricadute della crisi e impedire che interrompa la cooperazione internazionale nei settori dell'energia, della finanza, del commercio alimentare e dei trasporti e comprometta la ripresa economica globale.
12. Promuovere la ricostruzione postbellica. La comunità internazionale deve adottare misure per sostenere la ricostruzione postbellica nelle zone di conflitto. La Cina è pronta a fornire assistenza e svolgere un ruolo costruttivo in questo sforzo.
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Siamo troppi; sei di troppo
Buongiorno caro lettore e benvenuto a un nuovo episodio di Cronache del Complotto! Oggi ti parlerò di una bislacca teoria cospirazionista non particolarmente famosa. Non è tra la lista delle più note conspiracy theories su Wikipedia, e quasi certamente frutto della mia immaginazione.
I veri complottisti sono iscritti a Privacy Chronicles. Anche quelli di troppo.
Ecco, allora… la teoria del complotto è che… tu — sì, proprio tu — sei di troppo. Dici che non va bene come teoria del complotto? Va bene…vediamo di approfondire: la teoria allora è che dal dopo guerra in poi una piccola ma poderosa elite di persone ha cercato in tutti i modi di influenzare la politica occidentale (soprattutto europea) per creare un governo globalista che possa porre rimedio al fatto che al mondo ci sono decisamente troppe persone.
Secondo questa bislacca teoria del complotto, uno degli stratagemmi trovati da queste persone per popolarizzare le loro idee e renderle più accettabili (e richieste!) fu il World Economic Forum, fondato nel 1971 da Klaus Schwab grazie al supporto di personaggi poco raccomandabili.
Scansiona il QR Code con il tuo wallet LN oppure clicca qui!
Prima però facciamo un passo indietro: da dove arriva questa strana idea che al mondo ci siano troppe persone? Da un signore chiamato Thomas Malthus.
Il pensiero di Thomas Malthus
Thomas Malthus (1766-1834) fu un economista inglese oggi conosciuto per le sue teorie sulla crescita demografica.
Nel suo trattato "An Essay on the Principle of Population" (1798) Malthus afferma che, poiché la crescita demografica è esponenziale, mentre la capacità di produrre cibo è invece lineare, è anche inevitabile che il genere umano prima o poi si trovi di fronte a un qualche tipo di catastrofe inevitabile, per ribilanciare i numeri: guerre, carestie, pandemie, e così via.
"The power of population is so superior to the power of the earth to produce subsistence for man, that premature death must in some shape or other visit the human race."
Il viaggio senza ritorno della giovane Masha
La rivoluzione in Iran mostra caratteristiche inimmaginabili e senza precedenti nei quarantaquattro anni di regime teocratico.
In una prima fase vi è stata una rivolta in alcune piccole città delle province curde del paese, insorta dopo l’uccisione della giovane ventiduenne Mahsa Amini, curda di Saqqez, massacrata di botte il 16 settembre in un furgone della cosiddetta “polizia morale” che l’aveva arrestata perché non indossava correttamente il velo come prescrive la legge islamica.
L’uccisione di Amini ha sconvolto tutto l’Iran e subito la protesta è divampata in più di cento città e ha visto al centro le donne. Nella capitale Tehran si è avviato un processo rivoluzionario spontaneo che è dilagato e ha coinvolto larghi strati della popolazione.
Mahsa Amini era nata da un impiegato della pubblica amministrazione locale e da una casalinga. La sua famiglia la descrive come una ragazza molto timida. Si era diplomata nel 2018 al liceo femminile Taleghani, nella sua città natale. I genitori raccontano che dopo aver completato il suo percorso liceale, la sua vita ha continuato a concentrarsi nello studio e che dopo molto impegno era riuscita a superare il test d’ingresso alla facoltà di Giurisprudenza.
Il 13 settembre 2022, Mahsa decise di fare un viaggio a Tehran con alcuni suoi cugini e raggiungere lì suo fratello Kiaresh. Quel giorno venne fermata da un’agente della polizia morale mentre usciva da una stazione della metropolitana della capitale.
«Lasciateci andare! Noi non siamo di Tehran, veniamo da fuori!», aveva esclamato Kiaresh supplicando i poliziotti di non portare via sua sorella.
Gli agenti si liberarono di lui spruzzandogli in faccia lo spray al peperoncino e costrinsero Masha a salire su un furgone bianco per condurla al commissariato di zona.
Poco dopo, la stessa pattuglia comunicò alla famiglia che la ragazza sarebbe stata condotta al centro di detenzione di Vozara dove avrebbe ricevuto un “corso di rieducazione morale” della durata di un’ora, come da procedura di legge. Ma Kiaresh, recatosi in questura per riprendere sua sorella al termine dell’ora di “rieducazione”, si sentì dire dalla polizia che Mahsa aveva avuto un infarto e un attacco cerebrale ed era stata trasportata in ospedale.
È stato un ragazzo, anche lui in stato di fermo, a raccontare alla famiglia cosa era successo in quel drammatico giorno: «Durante il tragitto verso il commissariato Mahsa era stata insultata e torturata nel furgone. La polizia morale l’aveva colpita alla testa più volte», ha raccontato il giovane testimone. Quando poi è giunta al commissariato, mentre era in attesa dell’identificazione e del colloquio, si è sentita male, le si è oscurata la vista ed è svenuta.
Dopo tre giorni di coma, nell’unità di terapia intensiva dell’ospedale Kasra di Tehran, Mahsa è deceduta in seguito al gravissimo trauma cranico subito.
Il giorno del decesso, i sanitari diffusero un post sulla loro pagina Instagram in cui si affermava che la giovane donna era entrata in clinica già cerebralmente morta. In seguito però il loro post fu cancellato. Un gruppo di medici dell’ospedale Kasra, parlando alla stampa in anonimato, ha sostenuto che Mahsa aveva un edema cerebrale reso evidente da un sanguinamento delle orecchie, un ematoma periorbitale e diffuse fratture ossee.
Non sappiamo cosa sia accaduto negli oltre novanta minuti trascorsi dall’ora della richiesta dell’ambulanza fino all’arrivo nel vicino ospedale di Kasra; una tempistica, questa, inspiegabilmente lunga.
La famiglia ha potuto visitare Mahsa il 16 settembre, solo dopo tre giorni dal suo ricovero e subito dopo l’ora della sua morte. Tali dettagli sono stati raccontati dalla giornalista d’inchiesta Niloofar Hamedi, su Shargh, uno dei giornali riformisti più popolari in Iran. Hamedi è stata la prima ad aver documentato l’uccisione di Mahsa. È stata anche la prima giornalista ad essere stata arrestata appena dopo lo scoppio delle proteste in tutto l’Iran. Grazie a lei, ora sappiamo cosa è accaduto alla povera ragazza curda subito dopo il suo arresto e prima della sua morte.
L’uccisione della giovane Mahsa fu la scintilla che fece divampare il fuoco della protesta delle donne in tutto il paese.
La sua morte aveva scatenato la rabbia nella sua città natale e in tutto il Kurdistan iraniano e subito, ovunque in Iran, era divampata la rivolta delle donne secondo pratiche rigorosamente nonviolente e caratterizzata da gesti altamente simbolici per veicolare il messaggio dirompente del rifiuto di ogni sottomissione, dei codici di abbigliamento vigenti e di ogni autoritarismo anche religioso.
In tutte le piazze e in ogni angolo delle strade le donne hanno iniziato a gridare Jîn, Jîyan, Azadî” (Donna, Vita, Libertà) e slogan contro il regime islamico togliendosi dal capo l’hijab (velo islamico) per sventolarlo come una bandiera e ad esso davano fuoco, lo hanno fatto mostrando determinazione ed estremo coraggio.
La rivoluzione è subito entrata in una seconda fase in cui donne e uomini, giovani e anziani, sono scesi per le strade, dai quartieri ricchi di Tehran a quelli poveri delle più remote province e campagne, del sud, dell’est e dell’ovest. Un evento, questo, decisamente unico nella storia iraniana, diverso dalle due rivoluzioni precedenti. A quella costituzionale del 1905 prese parte solo un’élite, prevalentemente di due grandi città: Teheran e Tabriz. Quella del ’79 invece fu una rivoluzione sostenuta da potenze occidentali ed è stata molto rapida nel suo processo e comunque non ha interessato tutti gli strati sociali.
È la prima volta che tutto il paese partecipa a una rivolta con uno slogan molto preciso non legato ad alcuna richiesta economica o generica riforma, come spesso era accaduto come spesso è accaduto in passato, col “Movimento Verde” del 2009-10, sull’esito delle elezioni contestato e nel 2019, per l’aumento del prezzo della benzina, alle quali il regime riuscì a fare fronte disinnescando subito le proteste.
Ora gli slogan che rimbalzano in ogni angolo dell’Iran sottendono un obiettivo ben preciso: il crollo della Repubblica islamica con l’abbattimento del “regime di apartheid di genere”.
L'articolo Il viaggio senza ritorno della giovane Masha proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Tutto il possibile per la vittoria ucraina. La lezione dei comandanti supremi alleati
“In qualità di ex Comandanti supremi alleati della Nato, sappiamo quanto sia stato essenziale il sostegno degli Stati Uniti e degli alleati per i successi sul campo di battaglia dell’Ucraina”. Con queste parole sette generali e un ammiraglio americani, che hanno ricoperto il ruolo di Comandante supremo alleato della Nato in Europa (Saceur), hanno deciso di sottolineare l’importanza del sostegno a Kiev per la sicurezza globale, in una lettera congiunta pubblicata su Defense One. “Il mondo sarebbe un posto molto più pericoloso se Putin fosse riuscito a rovesciare il governo ucraino”, scrivono i generali, che sottolineano come “i nostri alleati della Nato sarebbero minacciati e più vulnerabili alla coercizione russa”, soprattutto se gli Usa non avessero deciso di intervenire con gli aiuti per le Forze armate ucraine.
Lezioni dal passato
“La storia insegna all’America che i conflitti lontani all’estero possono minacciare direttamente il nostro Paese quando non ci impegniamo”, spiegano ancora gli ufficiali, ricordando come per due volte, nel corso del Novecento, gli Usa abbiano dovuto inviare milioni di uomini in tutto il mondo per combattere guerre che gli americani “avevano inizialmente ignorato” contro aggressori che erano rimasti incontrollati. “Non dobbiamo ripetere l’errore”. Anche perché le conseguenze di questi eventi hanno una portata globale, che non può essere ignorata. “Un’invasione russa di successo avrebbe incoraggiato la Cina ad agire contro Taiwan” spiega ancora l’appello, registrando come invece “i fallimenti militari del Cremlino stanno facendo riflettere Pechino”. Anche perché, dopo dodici mesi, “la guerra è a un punto critico”, con Mosca che si sta preparando a nuove offensive “ricorrendo a tattiche sempre più barbare per imporre la sua volontà sull’Ucraina”.
Ora è il momento di dare tutto
“L’esercito ucraino si sta preparando per le proprie controffensive con il beneficio di nuovi sistemi d’arma e di addestramento occidentali” spiegano i comandanti, registrando come, però, “se questo sostegno venisse meno” la reazione di Kiev potrebbe fallire “con conseguenze disastrose per l’Ucraina, gli Stati Uniti e i nostri alleati e partner in tutto il mondo”. Di conseguenza, per gli ex-Saceur “ora è il momento di scavare più a fondo per dare all’Ucraina ciò di cui ha bisogno per vincere”, non solo da parte degli Usa, ma anche dai suoi alleati. Per i generali, dunque, non c’è dubbio: “Abbiamo la responsabilità, radicata nei nostri valori e interessi, di garantire che la Russia non possa operare con tale impunità”.
Gli autori
I sette alti ufficiali che hanno deciso di scrivere questo appello sono il Wesley K. Clark, dello US Army, in carica come Saceur dal 1997 al 2000; Joseph Ralston, dell’Usaf, dal 2000 al 2003, James L. Jones, dei Marines, dal 2003 al 2006, l’ammiraglio della US Navy, James Stavridis, dal 2009 al 2013, Phil Breedlove dell’Air Force, dal 2103 al 2016, Curtis M. Scaparrotti, dell’Esercito, dal 2016 al 2019, e Tod Wolters, ancora dell’aeronautica, che ha guidato il comando supremo Nato dal 2019 fino al 2022, sostituito dall’attuale Saceur. Una carrellata di esperienze quasi ininterrotta degli ultimi 26 anni dell’Alleanza Atlantica. Anni durante i quali la Nato ha visto il mondo cambiare, dal periodo successivo alla fine della Guerra fredda, fino ai conflitti nei Balcani, la lotta contro il terrorismo internazionale, e il ritorno della competizione globale con Russia e Cina.
LordMax
in reply to Informa Pirata • • •Non sono del tutto d'accordo.
La 230 non è stata pensata per la situazione attuale, è decisamente inadeguata per moltissime situazioni e aumentare le responsabilità delle piattaforme, si spera possa ridurre la loro visione degli utenti come gregge di mucche da mungere.
Un po' di responsabilità in più aiuta a crescere non il contrario.
E, come dice il sempre immenso @dataKnightmare, nessuna legge dice che devono per forza arricchirsi sulle spalle degli altri.
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