Il Libretto Rosso di Matteo Renzi
Firenze, 10 marzo 2023.
Matteo Renzi sta passando un periodo non piacevolissimo.
Qualche giorno fa una certa Susanna Zanda gli avrebbe fatto presente che i tribunali civili non sono bancomat dai quali attingere per il proprio sostentamento. Un rimprovero piuttosto bonario che a Renzi è costato sedicimila euro. Sperava di incamerarne dieci volte tanti a spese di una importante gazzetta per cui è comprensibile che la cosa lo abbia lievemente contrariato.
Oggi invece è imputato come un brambilla qualsiasi per finanziamento illecito dei partiti.
Dicono che il boyscout di Rignano si sarebbe presentato in tribunale con una quarantina di libretti intitolati "Quaderno rosso per toga rossa".
Nel corso degli anni Renzi ha cercato di rottamare e sconfiggere i propri avversari politici.
Senza riuscirci.
Ha anche cercato di rottamare, sconfiggere e umiliare la base elettorale di un partito storico.
Riuscendoci benissimo.
Adesso ha adottato fin nei dettagli tutte le mosse propagandistiche del vecchio ricco che aspira a sostituire.
Un processo in atto da almeno dieci anni, di cui queste mosse non rappresentano altro che gli ultimi ritocchi.
Coi suoi quaderni rossi il boyscout di Rignano intende verosimilmente fare il verso alle Citazioni dalle opere del Presidente Mao Zedong, che servirono da ispirazione per la Rivoluzione Culturale.
Un periodo in cui molti ben vestiti e molti ben nutriti andarono incontro a difficoltà parecchio più serie di quelle con cui deve vedersela lui.
In tribunale con certe accuse non ci si deve finire, e basta.
Il fatto che nello stato che occupa la penisola italiana la magistratura sia incontestabile solo quando si occupa di scippatori, zingari, clandestini e piccoli spacciatori da cui si riforniscono i non ricchi è uno dei moltissimi motivi che ne rende ripugnanti gli ambienti del democratismo rappresentativo agli occhi di chiunque abbia un minimo di rispetto di sé.
Aggiornamento del 13 marzo 2023. Pare Matteo Renzi abbia ottenuto un successo importante, togliendo di tasca cinquecento euro a una pensionata che lo aveva insultato sul Libro dei Ceffi.
Proprio qualcosa di cui andare fieri.
AFRICA-SAHEL. La strage silenziosa del traffico di medicinali
di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 9 marzo 2023 -Nell’Africa sub-sahariana, ogni anno almeno 267.000 persone muoiono a causa di medicinali falsificati o scadenti. Altre 169.270 morti sarebbero evitabili ogni anno se non si facesse uso di antibiotici falsificati per trattare casi severi di polmonite nei bambini. E’ quanto emerge dal rapporto TOCTA (Transnational Organized Crime Threat Assessment) pubblicato in gennaio dall’Agenzia sui farmaci e il crimine delle Nazioni Unite (UNODC).
Tra il gennaio 2017 e il dicembre 2021, almeno 605 tonnellate di medicinali sono state sequestrate in operazioni internazionali nella regione del Sahel. Per quanto non sia possibile avere delle stime esatte sulle dimensioni del problema, una percentuale compresa tra il 19% e il 50% del mercato dei farmaci nell’Africa occidentale sarebbe costituito da medicinali trafficati illegalmente. Fino alla metà dei farmaci somministrati negli ospedali, venduti nei dispensari, assunti a domicilio dalla popolazione, proverrebbero quindi dal mercato clandestino. Ad aggravare questi dati, c’è l’evidenza, emersa dai sequestri compiuti tra il 2013 e il 2021, che almeno il 40% dei medicinali scaduti, contraffatti o di qualità scadente venga venduto all’interno dei canali legali della distribuzione farmaceutica. Una tale infiltrazione dell’illecito nelle maglie del mercato lecito della salute può avere conseguenze devastanti sulla vita delle persone.
Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad i Paesi più colpiti dal problema. I farmaci scadenti, scaduti o non approvati per l’immissione in commercio, provengono principalmente dai maggiori esportatori nella regione, in particolare Belgio e Francia, ma anche da Cina e India, e in una minore percentuale anche da Paesi limitrofi.
E’ numerosa e variegata la schiera degli attori di questo traffico fruttuoso. Si va dagli impiegati delle industrie farmaceutiche, dalle forze dell’ordine, dagli operatori nel settore sanitario fino ai più piccoli commercianti che “spacciano” i prodotti per le strade. Nonostante il potere dei gruppi terroristici nei Paesi del Sahel, il report svela uno scarso coinvolgimento di queste organizzazioni nel settore farmaceutico.
La filiera del traffico di medicinali è stratificata e complessa, spiega il report, e può interessare il farmaco in ogni fase della sua commercializzazione, dalla produzione fino alla somministrazione, dalla larga scala dell’importazione fino alla vendita al dettaglio.
C’è il traffico di farmaci legali, che vengono importati illegalmente, o una volta importati secondo rotte lecite poi deviati su canali di commercio illegale, o, ancora, medicinali rubati dalla distribuzione legale prevista nel Paese (un esempio, i medicinali destinati alle ONG ma assorbiti dal mercato clandestino). Non mancano i casi documentati di corruzione di operatori sanitari, direttamente coinvolti nella cessione di medicinali al mercato nero. Questi sarebbero i casi apparentemente meno pericolosi, in quanto inerenti medicinali in qualche modo approvati dall’agenzia del farmaco. C’è poi, invece, il traffico di medicinali scaduti, scadenti o pericolosi, come farmaci contenenti dosi di principio attivo non adeguato o troppo alto, con elevati rischi di tossicità ed eventi avversi.
Le cause di un traffico di tali proporzioni vanno ricercate nel divario abissale tra la domanda e l’offerta di medicinali in una regione poverissima. L’incidenza di malattie infettive, tra le quali la malaria, è altissima, sottolinea il report delle Nazioni Unite, a fronte di sistemi sanitari assolutamente incapaci di garantire l’accesso alle cure per la popolazione. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il rapporto di medici, infermiere e ostetriche per 1.000 abitanti nei Paesi del Sahel è ben al di sotto del minimo che dovrebbe essere garantito, di almeno 4.45 operatori sanitari. Nel 2018 ce n’erano 1.3 su 1.000 in Burkina Faso, 0.6 in Ciad, 1.4 in Mali, 2.1 in Mauritania e 0.4 in Niger. I numeri non sono più incoraggianti contando i farmacisti: se nel mondo in media ce ne sono 4 per 10.000 persone, in Burkina Faso ce n’erano 0.15, in Ciad 0.33, in Mali 0.095, in Mauritania 0.18 e in Niger 0.027. Tutti numeri sotto lo zero, che spiegano in che vuoto si vada a inserire il ricco mercato clandestino dei farmaci.
Le conseguenze sono spaventose, e non si tratta solo del rischio di assumere un farmaco contraffatto o scaduto. Le centinaia di migliaia di morti sulle quali il report dell’ONU fa luce sono provocate da un problema anche più grande, ovvero dalla sostituzione del sistema sanitario con un sistema criminale, che si fa carico di sopperire alle sue mancanze. Non è solo il medicinale assunto a renderlo, infatti, potenzialmente letale, ma anche l’indicazione per la quale viene o meno prescritto. Non si può parlare, però, di prescrizioni in un mercato nero. Accade così, denuncia il rapporto, che le medicine deviate dai canali commerciali ufficiali vengano utilizzate senza nessuna guida sul paziente.
“Se vuoi prenderti un antibiotico al mercato, puoi trovarlo. Ma è quello giusto da utilizzare o no?”, chiede François Patuel, direttore dell’unità di ricerca e sviluppo dell’UNDOC. Un tale uso spregiudicato di antibiotici, senza nessun controllo medico, non solo impedisce di trattare adeguatamente le infezioni e comporta rischi fatali per i pazienti che li assumono a domicilio, ma apre anche la strada al rischio che si sviluppino e moltiplichino antibiotico-resistenze, con conseguenze di proporzioni ancora maggiori. Vale a dire che in un’area in cui l’accesso alle cure e agli antibiotici di prima linea è già scarsissimo, a causa del traffico di medicinali si svilupperanno resistenze batteriche che renderanno le malattie infettive curabili solo con seconde, terze o quarte linee di trattamento – naturalmente non reperibili nella regione.
Stando ai dati del report, in un’area poverissima di cinque Paesi, il traffico di medicinali uccide ogni giorno almeno 1.195 persone. Per fare fronte a questa strage silenziosa, si dovrebbero rafforzare i controlli della filiera, a partire dall’esportazione dai Paesi produttori, e poi i controlli di frontiera lungo il viaggio delle merci, oltre a modificare la legislatura con pene più severe per gli attori del traffico. In questo senso, i Paesi del Sahel, tranne la Mauritania, hanno recentemente costituito l’Agenzia Africana dei Medicinali (AMA). Se non ci si concentrerà, però, soprattutto su quel divario tra l’offerta inesistente e la domanda altissima di cure, gli autori dell’inchiesta ne sono consapevoli, questo dramma resterà insanabile. Per curare un figlio, si può essere disposti a cercare un medicinale con ogni mezzo e ad acquistarlo anche da mani criminali, foraggiando un sistema che vale miliardi e migliaia di morti.
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Il segreto di un'opera d'arte non sono i materiali con cui è stata realizzata, ma la capacità tecnica e l'impeto creativo di chi l'ha creata
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The Queen Is Dead Volume 89 : Enbor Arnasa\Misanthropik Torment\Shores Of Null
The Queen Is Dead Volume 89 : Enbor Arnasa\Misanthropik Torment\Shores Of Null
@Musica Agorà
#metal #musica
iyezine.com/enbor-arnasamisant…
The Queen Is Dead Volume 89 : Enbor ArnasaMisanthropik TormentShores Of Null
The Queen Is Dead Volume 89 : Enbor ArnasaMisanthropik TormentShores Of Null: Debutto discografico per questo progetto metal dai Paesi Baschi composto da un uomo solo ai controlli, Iñaki Espartza produttore ed ingegnere del suono ai Geure Gogoa Reco…Massimo Argo (In Your Eyes ezine)
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In Cina e Asia – Xi rieletto presidente all’unanimità
Xi rieletto presidente all'unanimità
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Mondo multipolare. Petromonarchie in soccorso di Erdogan
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 10 marzo 2023 – Dopo il terremoto del 6 febbraio che solo in Turchia ha provocato quasi 50 mila morti, le petromonarchie sono state in prima fila nell’invio ad Ankara di ingenti aiuti. Nei giorni scorsi, poi, i paesi capofila del Consiglio di Cooperazione del Golfo – Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – hanno compiuto dei passi molto significativi nel percorso di riavvicinamento alla Turchia iniziato nel 2021.
Storico accordo con gli Emirati
In particolare, il 3 marzo Abu Dhabi ha firmato con Ankara uno storico accordo commerciale – ribattezzato Comprehensive Economic Partnership Agreement (Cepa) – che punta a raddoppiare il volume attuale degli scambi tra i due paesi, portandolo a 40-45 milioni di dollari entro il 2028. Già ora, la Turchia è il sesto partner commerciale degli Emirati: nel 2022 gli scambi bilaterali hanno toccato quota 19 miliardi, con un aumento del 40% rispetto all’anno precedente.
L’accordo, firmato durante una visita del ministro del Commercio turco Mehmet Mus nella capitale emiratina, è incentrato su settori come l’agritech, la produzione di energia rinnovabile, la logistica e le costruzioni e include la riduzione dell’82% delle tariffe doganali tra i due paesi.
«Le barriere al commercio di beni e servizi verranno rimosse e le attività dei nostri investitori e imprenditori saranno agevolate. In questo modo costruiremo su basi solide un ponte economico che si estende dall’Europa al Nord Africa, dalla Russia al Golfo» ha commentato il presidente turco Erdogan.
«La Turchia ha un’enorme potenziale di crescita. Sarà una delle più grandi economie emergenti che domineranno i mercati globali tra 20 anni» ha invece dichiarato Thani al Zeyoudi, ministro emiratino per il Commercio Estero.
Abu Dhabi ha promesso massicci investimenti nell’economia turca attraverso entità dipendenti dal governo emiratino. La ricostruzione di un sesto del paese distrutto dal sisma di un mese fa rappresenta una vera e propria miniera d’oro per gli investitori che potranno contare su corsie preferenziali e sulle ingenti commesse delle istituzioni turche. Già nel 2022, grazie anche ai finanziamenti a pioggia varati da Erdogan in vista delle cruciali elezioni presidenziali del 14 maggio, il Pil del paese era cresciuto del 5,6%. D’altra parte gli Emirati puntano a diventare uno dei centri mondiali degli affari e della finanza, e allo scopo stanno varando accordi economici di carattere strategico con vari paesi, tra i quali Israele, l’India e l’Indonesia.
Il presidente emiratino Mohamed bin Zayed insieme a quello turco Erdogan
Riad puntella la Lira turca
A causa del terremoto, nelle scorse settimane la Banca Centrale turca ha dovuto stanziare ingenti fondi per le operazioni di soccorso e assistenza e per i primi finanziamenti alle aree colpite. La Banca Mondiale ha calcolato che il sisma ha causato almeno 35 miliardi di dollari di danni. Inoltre il paese soffre ormai da anni di una cronica svalutazione della moneta nazionale, la Lira, che pesa sulla bilancia commerciale oltre che sul potere d’acquisto della popolazione. Solo nel 2022, la divisa turca ha perso circa il 30% del proprio valore nel cambio con il dollaro, mentre nel 2021 la diminuzione era stata addirittura del 44%. A febbraio, il tasso ufficiale annuo d’inflazione è stato in Turchia del 55%, anche se si calcola che quello reale sia assai più alto.
Lo scontento creato dall’inflazione e dalla svalutazione della Lira, alimentato dai ritardi e dalle insufficienze nell’assistenza prestata dalle istituzioni statali turche alle vittime del terremoto, potrebbero causare un crollo dei consensi nei confronti del regime del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp).
In soccorso di Erdogan, però, è intervenuta recentemente l’Arabia Saudita. Nei giorni scorsi, infatti, il ministro del Turismo di Riad, Ahmed Aqeel al Khateeb, ha firmato un accordo col governatore della Banca Centrale di Ankara, Sahap Kavcioglu, che contempla il deposito di 5 miliardi di dollari nelle casse turche da parte della potenza capofila del Consiglio di Cooperazione del Golfo. I fondi sono stati messi a disposizione dal Fondo Saudita per lo Sviluppo (Fsd) e la misura mira a ottenere una rivaluzione della Lira turca e ad aumentare le riserve di valuta estera di Ankara, ha spiegato l’agenzia di stampa saudita “Spa”.
Inoltre, la mossa di Riad tenta di rafforzare la credibilità di Erdogan a poche settimane dalle presidenziali, che vedranno il fronte governativo opposto ai diversi partiti dell’opposizione – dalla destra alla sinistra – coalizzati per tentare di disarcionare il “sultano” ormai al potere da più di 20 anni.
Da parte sua, l’agenzia di stampa ufficiale turca Anadolu ha elogiato il deposito saudita, affermando che riflette il «forte sostegno del regno al popolo turco e la sua fiducia nel futuro dell’economia turca».
Da nemici ad alleati?
Il duplice accordo con l’Arabia Saudita e con gli Emirati segna un progresso significativo delle relazioni con le petromonarchie dopo il disgelo del 2021, seguito ad un decennio circa di rapporti molto tempestosi. L’inimicizia è sfociata addirittura in uno scontro armato – per quanto indiretto – in territorio libico: mentre Ankara sostiene il governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu, gli emiratini appoggiano i ribelli della Cirenaica guidati dal generale Khalifa Haftar. I due fronti sono stati in competizione anche nel quadrante siriano, nel quale tanto la Turchia quanto le petromonarchie hanno sostenuto la ribellione armata contro il regime di Bashar Assad ma puntando su forze in concorrenza tra loro. In generale, le capofila del Consiglio di Cooperazione del Golfo hanno tentato di contrastare l’influenza turca nel mondo arabo-islamico e in particolare il sostegno di Ankara alle correnti legate alla Fratellanza Musulmana, considerata una seria minaccia da parte delle petromonarchie. Quando nel giugno del 2017 l’Arabia Saudita – insieme a Bahrein, Emirati Arabi ed Egitto – ha fatto scattare un massiccio embargo nei confronti del troppo indipendente Qatar, il regime turco ha fortemente sostenuto Doha con il quale ha stretto un accordo di cooperazione militare, impegnandosi a difendere il paese in caso di conflitto con i vicini.
L’episodio clou dell’inimicizia tra i turchi e le potenze arabe del Golfo è stato probabilmente l’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi all’interno del consolato di Riad ad Istanbul il 2 ottobre del 2018. Del feroce omicidio dello scrittore, rifugiatosi in Turchia dopo l’autoesilio dal suo paese, Erdogan ha più volte accusato il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.
Miliziani dell’Esercito Nazionale Siriano nel Nord della Siria
Un disgelo in nome del mondo multipolare
Nel 2021 è rientrata la spaccatura con il Qatar, con le altre petromonarchie hanno deciso di rimuovere l’embargo, avviando poi lentamente un processo di normalizzazione nei confronti della Turchia, nel nuovo clima internazionale creato dall’invasione russa dell’Ucraina.
L’esplosione del conflitto su larga scala, con la conseguente polarizzazione tra Stati Uniti e potenze concorrenti, ha infatti accelerato e amplificato la tendenza delle petromonarchie a configurare uno spazio geopolitico proprio, il più possibile autonomo da quello guidato da Washington. In quest’ottica il ruolo di potenza regionale autonoma della Turchia – da tempo sganciatasi dalla tradizionale sudditanza nei confronti dell’agenda statunitense – viene considerato utile da sostenere.
Già nel 2022, gli Emirati Arabi Uniti hanno concesso ad Ankara l’investimento nel paese di 10 miliardi di dollari e uno scambio di valuta pari a 5 miliardi. Contemporaneamente, Erdogan e Mohammed bin Salman hanno aperto la via ad «una nuova era di cooperazione nelle relazioni bilaterali in campo politico, economico, militare, securitario e culturale», come recitava la nota congiunta diramata al termine di un incontro tra il “sultano” e l’erede al trono saudita nel giugno dello scorso anno.
Un riavvicinamento tra Turchia e Siria?Negli ultimi mesi, inoltre, Ankara e Riad hanno manifestato la propria volontà di riallacciare le relazioni con il governo della Siria, che pure i due fronti hanno tentato per anni di rovesciare sostenendo l’insorgenza jihadista.
Mentre i contatti tra gli emissari turchi e quelli siriani sono già iniziati, il possibile riavvicinamento tra i due vecchi alleati ha destato la preoccupazione degli Stati Uniti, del Regno Unito, di Israele e dell’Unione Europea, che starebbero esercitando forti pressioni su Erdogan affinché blocchi la normalizzazione con Damasco.
Certamente, il percorso verso la riconciliazione tra Ankara e Damasco sembra tutt’altro che semplice. La Turchia infatti occupa militarmente una vasta porzione del territorio della Siria settentrionale e sostiene (e manovra) vari gruppi dell’opposizione armata jihadista al regime di Assad, per lo più riuniti nel cosiddetto Esercito Nazionale Siriano. Inoltre la Turchia ospita più di 3 milioni di rifugiati siriani, molti dei quali sono stati colpiti dal terremoto del 6 febbraio.
Nei giorni scorsi, comunque, il ministero degli Esteri turco ha convocato l’ambasciatore di Washington Jeff Blake per chiedergli chiarimenti in merito alla visita compiuta il 4 marzo dal capo dello Stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, il generale Mark Milley, nella base militare statunitense di Al Tanf, nel nord-est della Siria vicino al confine con Giordania e Iraq. Il generale statunitense ha visitato a sorpresa l’installazione militare – occupata nel territorio siriano contro la volontà del governo del paese – dopo una missione in Israele.
In Siria operano un migliaio circa di militari statunitensi, che l’amministrazione Biden sembra intenzionata a mantenere per contrastare l’influenza nel paese delle forze fedeli all’Iran.
Secondo i media turchi, il rappresentante turco ha denunciato l’incontro tra il generale Milley e i dirigenti delle Forze Democratiche Siriane a guida curda. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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PAKISTAN. Attacco suicida, almeno nove soldati morti
BREAKING NEWS |
della redazione –
Pagine Esteri, 6 marzo 2023 – Almeno nove soldati della forza paramilitare del Balochistan Constabulary sono stati uccisi e diversi feriti in un attacco suicida nella provincia del Balochistan, nel sud-ovest del Pakistan.
Un attentatore suicida in sella a una motocicletta ha colpito pullman su cui viaggiavano i militari, di ritorno da una mostra locale durante la quale avevano fornito il servizio di sicurezza previsto. L’autobus è esploso, uccidendo nove militari e ferendone almeno altri 7.
I gruppi armati di etnia beluci hanno combattuto il governo per decenni, accusandolo di sfruttare le ricche risorse minerarie e di gas del Belucistan.
L'articolo PAKISTAN. Attacco suicida, almeno nove soldati morti proviene da Pagine Esteri.
Governo Meloni a Cutro: dopo il danno, la beffa!
Con il pesante volgare accento romanesco che le sfugge quando è eccitata o vuole fare invettive, la signora Meloni, ai giornalisti assiepati a Cutro, che non hanno potuto domandarle nulla finora, perchè sfuggente e inafferrabile, dopo vari giorni (ormai quattro, se non sbaglio) dalla morte di oltre 70 persone a pochi metri dalla riva della […]
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News da Marte #12 | Coelum Astronomia
"Dopo alcuni mesi di assenza da queste cronache è il momento di raccontare cosa sta facendo Curiosity, impegnato in nuove scoperte ed esplorazioni."
Perché il sabotaggio prende sempre più piede nella guerra in Ucraina
L’8 febbraio, il giornalista statunitense vincitore del Premio Pulitzer Seymour Hersh ha pubblicato un articolo che descrive in dettaglio il ruolo degli Stati Uniti e della Norvegia nelle esplosioni del gasdotto Nord Stream del 26 settembre 2022. I funzionari statunitensi hanno negato i risultati , mentre la Russia, che in precedenza aveva accusato il Regno […]
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Leonardo accelera ancora sull’utile e riduce il debito
Dopo un 2021 che ha sancito il ritorno al dividendo, Leonardo chiude un altro bilancio all’insegna dell’utile. Il gruppo dell’aerospazio, guidato da Alessandro Profumo, ha infatti archiviato il 2022 con un risultato netto positivo per 932 milioni (+58,5% sul 2021). Si tratta di un deciso allungo rispetto all’anno precedente, quando i profitti sfiorarono i 600 milioni, consentendo a Piazza Monte Grappa di tornare a staccare la cedola agli azionisti.
A spingere i conti di Leonardo, il buon andamento degli ordini, pari a 17,3 miliardi (+21%) e i ricavi, che in un anno non certo facile per la congiuntura internazionale, hanno accelerato a 14,7 miliardi (+4,7%). L’ebitda, ovvero il margine operativo dell’azienda, è stato pari a 1,2 miliardi (+14,9%) mentre il free cash flow è schizzato a quota 539 milioni (+186,7%). Ma le buone notizie non sono finite. Al netto delle poste in crescita, c’è infatti da registrate un contenimento del debito, sceso a 3 miliardi, in ripiegamento del 3,4% sul 2021 e in linea con il trend indicato nei piani industriali del gruppo.
In attesa di capire la reazione dei mercati (oggi il titolo a Piazza Affari è rimasto tutto sommato piatto), ora è tempo di aggiornare la guidance. In tal senso l’ex Finmeccanica stima per il 2023 ordini a 17 miliardi circa e ricavi tra 15 e 15,6 miliardi con un Ebitda compreso tra 1,2 e 1,3 miliardi e un indebitamento in ulteriore diminuzione a quota 2,6 miliardi. Piazza Monte Grappa inoltre prevede ordini cumulati 2022-2026 a circa 90 miliardi (contro gli 80 miliardi piano precedente).
Soddisfatto il ceo Profumo, che guida Leonardo dal marzo del 2017, dopo le precedenti esperienze al vertice di Unicredit e Monte dei Paschi. “La performance positiva conseguita da Leonardo nel 2022 è il frutto di una visione di lungo periodo che ha permesso all`azienda di rafforzare la propria competitività in uno scenario internazionale di grande incertezza”, ha esordito, commentando i conti del gruppo. “Evoluzione industriale, solidità finanziaria, crescita commerciale sui mercati, sostenibilità sono all’origine di questi risultati. Abbiamo raggiunto o superato ancora una volta gli obiettivi prefissati, abbiamo aumentato strutturalmente e in maniera decisa la generazione di cassa, con un free cash flow di 539 milioni di euro, più del doppio rispetto allo scorso anno”.
Non è tutto. “Grazie alla significativa generazione di cassa e alle cessioni dei business di Leonardo Drs (la vendita del business Global Enterprise Solutions a Ses per un importo pari a 450 milioni di dollari, ndr) abbiamo ridotto l’indebitamento e al tempo stesso rafforzato il core business attraverso l’acquisto del 25,1% di Hensoldt e il consolidamento di Rada in Leonardo Drs. Questi risultati ci permettono di proporre agli azionisti il pagamento di un dividendo pari a 0,14 euro per azione anche per questo esercizio (anche nel 2021 la cedola ebbe lo stesso importo, ndr)”.
Usa e Arabia Saudita si esercitano contro i droni (dell’Iran)
Gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita sono al lavoro per avviare la loro prima esercitazione sperimentale anti-drone congiunta, prevista per metà marzo. In un clima che vede gli Stati Uniti in crescente tensione con l’Iran, le esercitazioni mirano a dar prova dell’efficacia della tecnologia occidentale di contrasto ai droni; anche in chiave anti-cinese, vista la competizione per assicurarsi un sempre maggiore vantaggio tecnologico anche nel settore della Difesa. “Non dobbiamo sorprenderci se i partner regionali continueranno ad acquistare materiale cinese”, ha dichiarato il mese scorso a Washington il capo delle forze aeree dello United States Central Command (Centcom), Alex Grynkewich.
Le prossime esercitazioni
Stando ai funzionari americani, esercitazioni successive a Red Sands vedranno anche la partecipazione e il dispiegamento di altre forze armate mediorientali partner statunitensi. Tali simulazioni rientrano nella serie di esercitazioni difensive pensate dal Centcom dopo un parziale ritiro dei sistemi di difesa aerea del Pentagono dal Medio Oriente. L’obiettivo è adattarsi e trovare nuove soluzioni di sicurezza davanti ai rapidi progressi di Teheran registrati negli ultimi anni nella guerra con i droni.
Il ruolo dei droni iraniani
A più di tre anni da quando i missili e droni iraniani guidati hanno colpito le strutture petrolifere della Saudi Aramco ad Abqaiq e Khurays, i funzionari della Difesa statunitense hanno riconosciuto che l’affidamento a dimostrazioni di forza convenzionali non è riuscito a dissuadere gli attacchi. La scelta è ricaduta sull’Arabia Saudita anche per le sue vaste zone di deserto aperto, lontano dai centri urbani, dove si possono sperimentare armi di difesa aerea anche a energia diretta.
Il nuovo simulatore
Secondo quanto spiegato dal quotidiano americano, l’energia diretta però non entrerà in gioco già a marzo, ma soltanto a partire dalle prossime esercitazioni. Gli ufficiali dell’esercito Usa presenteranno invece alle loro controparti saudite un nuovo simulatore computerizzato sviluppato lo scorso anno. Tale simulatore, chiamato Interim platform agnostic counter-Uas training tool (Impact), è stato progettato proprio per addestrare il personale a rispondere agli attacchi di droni ostili.
Austin in Medio Oriente
Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, arriverà a fine settimana in Medio Oriente, con lo scopo di dare seguito agli sforzi dell’amministrazione Biden per convincere i militari arabi a condividere le informazioni e a cooperare per la creazione di una rete di difesa aerea a livello regionale, per proteggersi meglio da eventuali minacce iraniane. Le sanzioni da parte dell’Occidente non sono infatti ancora riuscite a ostacolare le catene di approvvigionamento dell’Iran, necessarie per continuare a espandere il suo arsenale di missili convenzionali e droni.
Foto Twitter/CentCom
Quo vado per il procurement europeo della Difesa? Risponde Braghini
Un passo avanti di rilievo nella Difesa europea – l’acquisto coordinato di prodotti per la Difesa – è stato un punto all’ordine del giorno alla riunione informale dei ministri della Difesa Ue, presieduta dalla presidenza svedese di turno al Consiglio. Una dimostrazione della rinnovata e accelerata condivisione e prioritarizzazione della Difesa in ambito europeo spinta dal conflitto in Ucraina.
Servono meccanismi comuni
Il punto riguarda, in una più ampia prospettiva, l’emergenza recentemente espressa dal primo ministro estone Kaja Kallas e dall’Alto rappresentante Josep Borrell, e in precedenza ancora dal Commissario Thierry Breton, circa la necessità di adottare meccanismi per acquisti in comune di munizionamento a supporto dell’Ucraina, rifornire le scorte dei Paesi Ue e aumentare le capacità di produzione in Europa.
Ruolo della Commissione
In questo scenario si attende che la Commissione europea presenti una proposta che dovrebbe comportare una spesa di un miliardo di euro (rispetto a una necessità di quattro miliardi) utilizzando lo strumento dell’European peace facility (Epf), già rifinanziato ed esteso nell’area di applicazione. È bene osservare però che si tratta sempre di contributi governativi esterni al bilancio comunitario. I vincoli del Trattato al procurement per la Difesa rimangono invece in vigore.
La ricerca dello strumento adatto
Il dibattito ha fin dall’inizio sortito diverse opzioni sul meccanismo di acquisto, come l’Eu Emergency support instrument, utilizzato durante l’epidemia per prestiti e acquisti in comune, stoccaggio e distribuzione di vaccini. In merito, si ricorda anche il Joint procurement agreement di dieci anni fa, relativo all’autorizzazione per i Paesi membri a prestiti per acquisti in comune e volontari per contromisure medicali volte a fronteggiare minacce cross-border per la salute, richiamando la crisi per emergenza sanitaria prevista dai Trattati Ue.
Un dibattito di vecchia data
Il procurement in comune nella Difesa non è una novità essendo stato dibattuto tra Nazioni, Agenzia europea di Difesa (Eda), imprese e la Commissione europea con una linea guida sul common procurement della Direttiva Difesa. In sede Nato, i Paesi membri utilizzano l’agenzia Nspa per acquisti in comune, che riguardano in genere le munizioni. Mentre in sede intergovernativa Ue, i Paesi membri utilizzano l’Eda come stazione centrale appaltante secondo le regole europee, con gli Eda Joint arrangements per contratti framework multiannuali; quali varie tipologie di equipaggiamenti svedesi, e altre iniziative in aree come l’Industrial emissions directive (Ied), il training, i servizi di logistica per i Battlegroups. È evidente in tale contesto l’obiettivo di coordinare e consolidare la domanda.
Nuova lista per gli acquisti in comune
La Defence joint procurement task force ha recentemente presentato una lista di sette differenti categorie di equipaggiamenti per un possibile acquisto in comune, in un percorso di mappatura delle capacità produttive, identificazione degli squilibri tra domanda e offerta, identificazione delle aree per un ramp-up.
Con l’incentivazione della cooperazione tra i Paesi, il sentiero potrebbe forse proseguire delineando nuovi modelli o dispositivi di cooperazione flessibili in campo normativo e finanziario. La situazione odierna è fluida, dibattuta e condivisa tra le istituzioni comunitarie e intergovernative, nell’attesa delle prossime decisioni che saranno prese dai Paesi membri.
(Foto: Swedish Presidency of the Council of the EU)
Con Speed up lab Poggipolini punta all’innovazione (anche) in Difesa
Tutto pronto per la nascita di Speed up lab nel cuore dell’Emilia. Si tratta dell’iniziativa di Poggipolini, azienda specializzata in componenti in titanio e riconosciuta per aver trasformato le viti in dispositivi intelligenti, attiva in diversi settori, dalla Difesa e dell’aerospazio. L’idea alla base del nuovo spazio, nato all’insegna dell’innovazione, è di mettere a disposizione del territorio capacità industriali e competenze. Dal know-how all’open innovation, il lab sarà aperto anche ai partner che puntano a sviluppare innovazioni disruptive. Così l’azienda emiliana vuole promuovere anche la sinergia tra Pmi nazionali, mossa dall’idea che queste realtà dovrebbero lavorare in ottica di filiera, così da non restare soli nell’affrontare mercati tanto mutevoli. Grazie al coinvolgimento di stakeholder del territorio, Poggipolini punta a sviluppare nuovi “Proof of concept” (Poc) con l’idea che diventino dei driver di sviluppo futuri.
Una casa per l’innovazione
Lo Speed up lab opererà principalmente su tre diverse direttive: il settore della Difesa e dell’aerospazio; la e-mobility che sfrutta l’elettricità come principale fonte di energia; e la cyber-security a livello trasversale, un settore ancora lontano per l’azienda ma fondamentale per la futura crescita. “Gli obiettivi che ci siamo prefissati riguardano la realizzazione di motori elettrici ad alta prestazione, l’elaborazione di supercapacitori (nuova tecnologia legata al tema delle batterie) e la produzione in additive manufactoring di componenti strutturali leggeri in applicazioni d’avanguardia per aerospazio, motorsport, guida autonoma e flying taxis”, ha spiegato il ceo di Poggipolini, Michele Poggipolini.
Le partnership
Per dar vita alle molte iniziative che verranno in futuro promosse dal nuovo lab, Poggipolini ha stretto due partnership-chiave. La prima con Roboze, società italo americana che produce stampanti 3d ad alte prestazioni, con cui lavorare in sinergia su diverse tecnologie e mercati di riferimento. Mentre la seconda, stretta con Sens-In – il progetto di Poggipolini di venture building con Gellify Group – sarà rivolta a sviluppare sensori e Intelligenza artificiale. La terza partnership, invece, verterà sull’elettrico. Non solo, accanto a questi partner se ne affiancano altri provenienti anche dal mondo accademico, come la Bologna Business School e l’Università di Bologna. In questo modo Poggipolini punta a valorizzare la Future valley emiliana, che vuole diventare un punto di riferimento tecnologico.
Speed Up lab
Il lab si trova in un’area di 20mila metri quadri nel Centre of Excellence, realtà che raccoglie le innovazioni di processo e di industrializzazione che guideranno la futura crescita dell’azienda, che si trova di fronte al nuovo impianto produttivo dell’azienda basato sulla tecnologia High speed hot forging con il marchio registrato Smart fasteners factory. Si tratta di una linea completamente automatizzata per produrre viti in titanio in alta velocità, passando così da una vite al minuto al produrne cento nello stesso lasso di tempo ampliando le possibilità commerciali.
Poggipolini tra i migliori fornitori di Leonardo
Poggipolini inoltre è stata premiata da Leonardo pochi giorni fa a Roma con il conferimento del Supplier award 2022, nella categoria Vision for growth. Il riconoscimento, riservato ai migliori fornitori dell’azienda di piazza Monte Grappa, riconosce un percorso di investimenti continui in innovazione e tecnologia, che hanno permesso di sviluppare proprio l’High speed hot forging, che sta permettendo a Poggipolini di passare dagli elicotteri al settore degli aerei commerciali.
Perché il sabotaggio prende piede sempre più nella guerra in Ucraina
L’8 febbraio, il giornalista statunitense vincitore del Premio Pulitzer Seymour Hersh ha pubblicato un articolo che descrive in dettaglio il ruolo degli Stati Uniti e della Norvegia nelle esplosioni del gasdotto Nord Stream del 26 settembre 2022. I funzionari statunitensi hanno negato i risultati , mentre la Russia, che in precedenza aveva accusato il Regno […]
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Il veto della Turchia: perché Erdogan sta bloccando l’adesione di Finlandia e Svezia alla NATO
La Finlandia e la Svezia si sono avvicinate alle istituzioni occidentali nell’era successiva alla Guerra Fredda e l’adesione all’UE nel 1995 ha significato che Stoccolma ed Helsinki hanno finalmente abbandonato le loro politiche di neutralità. Entrambi i paesi sono rimasti militarmente non allineati, ma la cooperazione con la NATO è aumentata attraverso il programma Partenariato […]
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Se la bandiera dell’Europa sventola a Tblisi
Ieri è girato molto il video di una donna nel fuoco delle proteste di Tblisi, Georgia, mentre sventolala bandiera d’Europa. I georgiani stanno manifestando contro una legge in discussione al Parlamento e ricalcata su quella russa che ha consentito a Vladimir Putin di chiudere i giornali e mandare in galera giornalisti e blogger a lui ostili. Putin, nel nostro disinteresse, ha invaso la Georgia nel 2008, quattordici anni prima di invadere l’Ucraina, s’è preso l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia, ne ha riconosciuto l’indipendenza e ne ha fatto roba sua.
Da allora, l’Unione europea valuta l’ammissione della Georgia, con le sue classiche infinite cautele, e il terrore della gente in piazza è di finire nelle grinfie russe. Non voglio rifare qui la storia della Georgia, voglio soltanto ricordare rapidamente Mikheil Saakashvili, il più celebre e discusso leader europeista georgiano, uno che Putin disse di volere vedere “appeso per le palle”. Ora è in carcere, dove pochi mesi fa un avvocato lo trovò coperto di lividi e con tracce di avvelenamento nel sangue. Così va il mondo, non soltanto dove s’allunga l’ombra di Putin, ma dove s’allunga va così, sempre.
Le Georgia è ancora più lontana dell’Ucraina, è al di là del Mar Nero, sopra le estremità orientali della Turchia e sopra l’Azerbaijan. E da così lontano, abbiamo visto quella donna sventolare la bandiera d’Europa, mentre la polizia cercava di respingerla con gli idranti. Lei è riuscita a evitare il getto, e poi un gruppo di uomini l’ha accerchiata per proteggerla e permetterle di tenere alta la bandiera. E io pensavo che così, da noi, non l’ho vista sventolare mai.
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The Green/Digital/Society è una conferenza che riunisce attori chiave che discutono di ecologia, tecnologia, diritti umani e politica in Europa.
Sebbene la tecnologia sia spesso promossa come la soluzione ai problemi ambientali, le prove dimostrano che la sua crescita vertiginosa, la produzione di massa di dispositivi e infrastrutture, la massiccia raccolta di dati e il capitalismo della sorveglianza estraggono duramente risorse dalla Terra, creando conflitti umani su terra, acqua, energia e informazioni .
Se sei un attivista per i diritti ambientali o digitali, un ricercatore, un decisore politico, un membro della comunità o semplicemente un essere umano preoccupato della regione SEE o dell'Europa, unisciti alla discussione sulle sfide attuali e sui potenziali piani di difesa per il futuro su questioni all'intersezione della politica verde , diritti umani e tecnologia.
Qui il programma con più informazioni sull'evento
Domande: info@sharedefense.org
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Presentazione del libro “L’inganno” di Alessandro Barbano
Mercoledì 14 marzo, alle ore 18.00, presso l’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi, in via della Conciliazione 10, si terrà la presentazione del libro “L’inganno – Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene” di Alessandro Barbano.
Intervengono
Alessandro Barbano
Giovanni Pellegrino
Modera
Andrea Cangini
L’ingresso all’evento sarà libero
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Crisi del Maggio Musicale verso una soluzione
La crisi ai vertici del Maggio Musicale fiorentino è in via di la soluzione: il Consiglio d’indirizzo della Fondazione Teatro del Maggio, presieduto dal Come si di Firenze Dario Nardella, ha indicato all’unanimità il nome del candidato alla carica di Sovrintendente nella persona del dott. Angelo Cutaia, attuale dirigente presso, il Ministero della Cultura. Tale […]
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Gli ucraini non si arrenderanno mai. Per quanto tempo potranno ancora contare sull’Occidente?
Nessun ucraino dimenticherà mai la mattina del 24 febbraio 2022, quando la vita come la conoscevamo fu sconvolta dall’enormità dell’invasione su vasta scala della Russia. Quella mattina a Lviv sono stato svegliato da un flusso costante di telefonate di persone che chiedevano aiuto. Non era una novità, poiché avevo sostenuto l’esercito ucraino sin dall’inizio dell’attacco […]
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A joint Statmement in support and extension of ICHEE’s mandate and its continued investigations on Human rights violations.
It’s to be recalled that massive human rights and humanitarian law violations that may amount to major international crimes happened in Tigray in connection with the armed conflict occurred for the last two or more years. These violations are still continuing in some parts of Tigray. In response, many international human rights organizations, among others, Amnesty International, HCR – Humani Rights Watch, the UN International Commission of Human Rights Experts on Ethiopia and many international media have investigated and reported that there are reasonable grounds to believe that at least war crimes and crime against humanity are committed in the two years’ war on Tigray.
Against the backdrop of these, many national and international human rights groups and other international organizations have expressed their concerns on the Pretoria agreement signed between the Federal government of Ethiopia and the Tigray People’s Liberation Front (TPLF) on November 2022 for it marginalization of the issues of accountability and justice. Like these, Tigray-based Civil Society Organizations including Alliance of Civil Society Organizations of Tigray Advocacy Network (THRAN)- a network of rights based civil society organizations based in Tigray – and Tigray Universities Association (TUSA) are disappointed by the agreement’s downgrading of the issue of justice and accountability as it failed to include robust transitional justice infrastructures that meet international standards
We, the above mentioned Tigray-based CSO networks and our members also believe that the post-Pretoria agreement political developments in Ethiopia and Tigray tend to sideline the issue of ensuring justice and accountability for the gross human rights violations committed in Tigray over the past two or more years.
The international community (most importantly, the United Nations Humans Rights Council, the Office of the High Commissioner for the Human Rights and the negotiators and observers of Pretoria agreement) has been negligently watching while this was happening. We the abovementioned petitioners and our members, have also been following such dynamics with great concern and disappointment.
And, most alarmingly, ACSOT, THRAN, and TUSA have recently learned that the Ethiopian government is currently actively engaged in smear campaign to terminate the mandate of ICHEE and its continued investigations on human rights violations in Tigray and other parts of Ethiopia.
The government is engaged in an open international diplomatic and political struggle for this purpose. In response to this, significant number of human rights group and organizations and civil society organizations have badly opposed the move and are appealing for the United Nations Human Rights Council to defend and support the extension of the mandate of ICHEE and its continued investigations. The 63 organizations who recently released a joint statement in this regard are very good example. ACSOT, THRAN and their members and TUSA share the concerns and raccomendations of these organizations and commends their efforts.
ACSOT, THRAN and TUSA strongly believe that there can be no sustainable peace without ensuring accountability and justice for the human rights and humanitarian law violations and this can be realized if the international community raises collective voice against governments (be them perpetrators or otherwise) who attempt to escape from independent investigations and accountability and effectively stops they efforts. In this sprit, ACSOT, THRAN and TUSA, thus call:
- The members states in the United Nations Human Rights Council to block/stop the Ethiopian government’s ongoing efforts to terminate the mandate of ICHREE and its continued investigations in Tigray and other parts of Ethiopia and also to support the commission through mobilizing adequate budget and other necessary resources and creating access for investigations;
- The Office of the High Commissioner for Human Rights, the African Commission on Human and People’s Rights, EU Human Rights commission, international human rights groups and organizations, civil society organizations and international media to defend the mandate of the ICHREE and its continued investigations by influencing and pressurizing the UN and other relevant actors to continue mandating and financing the commission. This is necessary because national and regional institutions lack impartiality, commitment and capacity to ensure accountability and justice;
- The international negotiators and observers of the Pretoria agreement and the international community at large to demand and pressurize the Ethiopian government, the Tigray government, the African Union and its bodies and other stakeholders to give primary to ensuring accountability and justice both as an end in itself and as a means for lasting peace and stability in Ethiopia.
By doing all these the organizations mentioned here and other stakeholders should demonstrate their real commitment to save the human rights and humanitarian world order from the degenerating path it currently finds itself.
ACSOT, THRAN, their members and USA reiterate their unwavering support for the extension of the mandate of ICHEE and its continued investigations on Human rights violations in Tigray and other parts of Ethiopia.
Alliance of Civili Society Organizations of Tigray (ACSOT)
Tigray Human Rights Advocacy Network (THRAN)
& Tigray Universities Scholars Association (TUSA)
March 6, 2023,
Mekelle, Tigray, Ethiopia
PDF Ver : 1678307983568_Advocacy Note on UN ICHREE_230309_112649
La guerra in Ucraina spacca la Georgia
Con le proteste che si sono diffuse a Tbilisi e in altre città georgiane in reazione a una legge sugli agenti stranieri modellata sull’equivalente russo del 2012 (un disegno di legge che è stato ritirato all’inizio di giovedì), il crescente divario tra una società che favorisce l’integrazione europea e un governo apparentemente ostile a tale […]
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Scuola e opportunità europee, parte la formazione Erasmus+ ed eTwinning rivolta a docenti e dirigenti scolastici.
Info ▶️ erasmusplus.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola Scuola e opportunità europee, parte la formazione Erasmus+ ed eTwinning rivolta a docenti e dirigenti scolastici. Info ▶️ https://www.erasmusplus.Telegram
Anticipare l’ambiente operativo di domani. La missione della Nato secondo Zuliani
Più di un anno fa, la Russia ha realizzato il suo piano per invadere l’Ucraina, mentre la comunità internazionale guardava incredula. Questa brutale aggressione di una nazione sovrana ha segnato il ritorno della guerra sul suolo europeo e la fine di un’era. Ora, si sta affrontando una nuova realtà per la nostra sicurezza.
L’Europa e il Nord America continuano a essere forti insieme nella Nato per difendere i nostri valori e scoraggiare ulteriori aggressioni. In tale ambito vi è la necessità per l’Alleanza Atlantica di proporre l’adattamento, l’evoluzione e la trasformazione dello strumento militare, al fine di adempiere alle missioni e all’ambizione della Nato. Per fare questo è necessario anticipare l’ambiente operativo futuro. Quindi, come potrebbe essere la guerra di domani?
In estrema sintesi: di più, e più veloce! Di più, di tutto: più missili; più sciami vaganti di droni; più concorrenza nella sfera dell’informazione; più minacce alle nostre economie, sovranità e così via. Più Veloce. Pensiamo all’ipersonico, all’Intelligenza artificiale e al calcolo quantistico.
Queste nuove minacce assumeranno molteplici forme, attraverso diversi strumenti di potere e scale temporali, e su uno spazio di battaglia notevolmente ampliato. Nuove minacce, sì, ma anche nuove opportunità. La missione della Nato è identificare queste opportunità e fare tutto il possibile per garantire che sia in grado di coglierle e sfruttarle. A tal fine, si sta sviluppando una visione per il futuro dello strumento militare dell’Alleanza.
Una visione basata su operazioni multi-dominio, che permetterà di pensare, pianificare e agire più velocemente dei nostri avversari, in tutti i domini. Le operazioni multi-dominio si baseranno sulla trasformazione digitale, che il nuovo concetto strategico spinge ad accelerare. Dobbiamo sapere più precisamente, non solo dove stiamo andando, ma anche quando e come. Sono stati individuati quattro argomenti che sono fondamentali per questa trasformazione.
Il primo deriva direttamente dall’aggressione russa contro l’Ucraina. Le prime osservazioni sottolineano la necessità per l’Alleanza di anticipare meglio l’ambiente operativo in rapida evoluzione. Per fare questo, non è più solo una questione dello strumento militare, ma di poter pensare agli altri strumenti di potere. Oggi possiamo vedere tale bisogno attraverso le interdipendenze – pensiamo alla sicurezza energetica. Ad esempio, dobbiamo guardare alla nostra capacità industriale di produrre a lungo termine, in caso di guerra. Così come dell’importanza della resilienza nella postura di deterrenza.
Il secondo argomento riguarda l’innovazione. L’innovazione è un modo diverso di affrontare lo sviluppo delle capacità: risolutamente incentrato sui dati, modulare e agile. Ma, allo stesso tempo, offre soluzioni pratiche ai problemi del mondo reale che le Forze armate potrebbero affrontare oggi o domani. È pertanto necessario continuare a sviluppare la comunità e rete aperta di innovazione, attraverso le nazioni e con il mondo accademico e l’industria. Si deve sperimentare di più, con test di prova realistici e con input e requisiti reali, che aiutino a migliorare i prodotti per una risposta immediata ai nostri soldati, gli utenti finali.
Il terzo argomento riguarda l’interoperabilità, che è in qualche modo la parte più militare della trasformazione digitale della Nato. L’interoperabilità è il valore aggiunto dell’Alleanza Atlantica alle capacità delle nazioni. Questa è una sfida duratura, e si deve fare attenzione che nei prossimi anni non diventi sempre più difficile da raggiungere. Non si deve perdere mai di vista il fatto che il futuro riguardi i dati, gli standard civili, l’architettura aperta e lo sviluppo agile. Gli Stati devono recuperare la proprietà della propria trasformazione.
L’ultimo argomento riguarda la “Cognitive warfare”. La guerra della Russia contro l’Ucraina dimostra infatti anche l’importanza della dimensione psicologica. Mentre l’uso delle operazioni di propaganda e influenza è sempre esistito, ciò che è nuovo con la Cognitive warfare è il suo uso strategico e la sua portata senza precedenti. Nella guerra cognitiva, la mente umana diventa il campo di battaglia; e un evento locale può avere ripercussioni globali, quasi istantaneamente. Quindi, questa è una necessità urgente. Alcuni degli avversari della Nato vogliono realizzare l’antico sogno di Sun Tzu “vincere senza combattere”. L’Alleanza deve prendere l’iniziativa nella dimensione psicologica, riconoscendo la minaccia di attacchi cognitivi persistenti e il conseguente rischio per lo strumento militare. Adottando così misure proattive per comprendere ed educare, e dunque modellare l’ambiente e contrastare la minaccia della guerra cognitiva.
Controllo dei cieli e più personale. La ricetta di Goretti per l’Aeronautica
Dal ruolo strategico della tecnologia e dei dati per la difesa aerea, all’importanza dell’accordo sul Global combat air programme (Gcap), fino alla carenza di personale come personale criticità e la relativa necessità di investimenti in formazione e addestramento. Questi i temi al centro dell’audizione del capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare (AM), Luca Goretti, di fronte alla commissione Difesa della Camera. Tra i punti affrontati vi sono state anche la dislocazione delle basi operative dell’AM e la revisione dei programmi di munizionamento della Forza armata, il che, come precisa il generale Goretti, “non significa andare verso una escalation del riarmo ma significa dotarsi di capacità di Difesa adeguate alle esigenze di oggi, ma ancora di più a quelle di domani”. Un particolare riferimento ha riguardato nel dettaglio l’importanza di assicurare adeguate dotazioni di scorta del munizionamento di precisione, senza il quale l’intervento militare rischia di essere inefficace. Argomenti condiviso anche dal presidente della commissione Difesa della Camera, Nino Minardo: “Le richieste provenienti dalle Forze armate non possono essere considerate o peggio liquidate come banali richieste di riarmo ma riguardano il mantenimento di capacità di difesa del Paese che deve essere adeguato agli scenari presenti e a quelli futuri”. L’Aeronautica militare, inoltre, è nel pieno dei preparativi e dei molti eventi organizzati in occasione del centenario dell’Arma.
I velivoli
Secondo Goretti è fondamentale definire la sostituzione del velivolo Eurofighter, e in questo contesto si inserisce l’accordo siglato con Regno Unito e Giappone sul Gcap. Una necessità di rinnovamento che non riguarda però solo i caccia di sesta generazione, ma anche i velivoli ad ala rotante, come ribadito dal generale nel corso dell’audizione. I velivoli, però, non potrebbero essere efficaci senza i loro piloti. Ed è a questo scopo che la Scuola di Volo internazionali in Sardegna mira ad aprire un nuovo hub, così da affiancare alle capacità di volo anche quelle ingegneristiche. Qui si inserisce la collaborazione tra lo Stato e il comparto industriale per la creazione del velivolo T-346 di ultima generazione. Mentre, guardando al panorama internazionale, il generale Goretti ha voluto sottolineare l’importanza della partecipazione italiana al programma Joint strike fighter: l’F-35 è infatti considerato il sistema più avanzato disponibile e di grande importanza strategica. I velivoli dell’Arma azzurra non sono però impiegati soltanto per operazioni militari, ma anche in ambito civile e umanitario, come dimostrano in ultimo i velivoli C-130 messi a disposizione per il trasporto di aiuti o il ponte aereo che nel 2021 permise l’evacuazione umanitaria dall’Afghanistan di oltre 5000 afghani.
Il cruciale controllo dei cieli
Senza un controllo dei cieli, “anche le forze di terra e di mare diventano vulnerabili. È impensabile operare senza un adeguato ‘ombrello’ protettivo”, ha osservato il capo di Stato maggiore. Secondo lui, anche questo è mancato nel conflitto russo-ucraino, dal momento che lo stallo delle forze terrestri russe in Ucraina “è attribuibile alla mancata conquista del controllo dei cieli. La componente aerea di combattimento è importante”. Il conflitto russo-ucraino ha infatti confermato la necessità di poter schierare in tempi rapidi le forze di terra verso ogni area di intervento; per questo è essenziale dotarsi di una capacità di trasporto adeguato, anche tenendo in considerazione il fatto che il continente africano e indopacifico potrebbero diventare aree di intervento del prossimo futuro. Per tali ragioni, secondo il generale, sarà fondamentale ricercare soluzioni tecniche innovative così da mettere in difficoltà gli schemi degli avversari. Di fronte all’impossibilità di sottrarsi alla guerra moderna, per via di sistemi d’arma in grado di superare ogni limite geografico, è infatti fondamentale dotarsi di un’adeguata forza aerea – che spesso è la prima a intervenire in caso di conflitto o calamità –, così come di sistemi di difesa aerea e antimissile, ripensando al concetto di dispersione sul territorio. L’Aeronautica mira dunque a ripensare alla distribuzione dei depositi di stoccaggio del materiale e del carburante, dei nodi di comando e controllo e della distribuzione delle basi aeree.
Serve più personale
Grazie al volume operativo accresciutosi negli ultimi anni e al crescente affollamento dei cieli, è il momento per l’Aeronautica di ripensare il modello organizzativo del passato. La tecnologia, anche se all’avanguardia come quella dell’AM, non può nulla senza un adeguato numero di personale addestrato. Per questo, a detta di Goretti, si rende sempre più necessario puntare sul consolidamento delle competenze del personale e sull’aumento del numero a disposizione che ad oggi risulta insufficiente per la gestione dei programmi e dello scenario internazionale. È infatti fondamentale “possedere una forza aerea capace, ben addestrata e opportunamente dimensionata” ed è in corso un un’attività per ridisegnare le professionalità del personale militare e i relativi percorsi di formazione, indagando più a fondo anche le collaborazioni con l’industria e il mondo accademico.
Cyber e Spazio
Secondo Goretti serve un’unica cabina di regia per dotare l’Italia di un ‘ombrello’ protettivo nel cyber, e questa deve essere dello Stato maggiore della Difesa, per evitare duplicazioni inutili e ottimizzare le competenze “non bisogna procedere a compartimenti stagni”. Le innovazioni normative, introdotte a partire dall’Agenzia per cybersicurezza nazionale (Acn), hanno infatti determinato un punto di svolta sul piano cibernetico, a cui però l’Arma azzurra deve uniformarsi. Tra le nuove sfide, accanto a quelle dettate dal cyber, vi sono anche quelle riguardanti lo spazio che “è il nuovo dominio di confronto”. L’AM, a detta del generale, “è pronta a valorizzare il proprio personale in questo nuovo scenario”, e in questo senso “si impone di intraprendere un nuovo processo produttivo”, affiancando adeguati livelli di difesa e deterrenza anche nei confronti dello Spazio sempre più conteso.
Le lentezze della burocrazia
Afferente al dominio cibernetico è il predominio sui dati. Spesso la burocrazia secondo Goretti “porta via tempo”, mentre invece è fondamentale disporre rapidamente dei dati di Intelligence che sono strettamente collegati all’operatività dell’Aeronautica. “Spesso e volentieri chiediamo dei dati e perdiamo tempo, peccato che questi dati servono ora, la dinamicità delle operazioni aeree richiede anche un cambiamento degli ordini di operazioni e il dato conta moltissimo”, ha spiegato il capo di Stato maggiore. Oggi infatti “vince chi è il detentore dei dati, chi è in grado di possedere informazioni, e vince chi è in grado di impedire che altri abbiano i dati”.
Il minuto di silenzio per l’incidente di Guidonia
Lo scontro di Guidonia, che ha coinvolto due aerei dell’Aeronautica e visto la tragica scomparsa dei loro piloti, è stato ricordato con un minuto di silenzio presso la Commissione Difesa della Camera. Per Goretti si è trattato di “un evento terribile che ci ha scosso profondamente e le cui cause, ancora da verificare, saranno accertate dalle autorità competenti”. Al momento, come spiega ancora il generale, “ci sono due commissioni al lavoro, magistratura e Aeronautica. Noi ci stringiamo alle famiglie che arrivano da Potenza e Verona; questo pomeriggio le incontrerò. Non posso non ricordare quanto questo mestiere sia difficile e rischioso. I due piloti sono un esempio di coraggio e passione e io li ringrazio per quanto hanno fatto per la nostra Forza armata”.
Il 27 febbraio vi ho raccontato dei clandestini italiani che pur sapendo di rischiare la vita cercavano di attraversare il confine francese alla ricerca di una vita migliore. Le guide li chiamavano “fenicotteri” perché sapevano che prima o poi avrebb
Il 27 febbraio vi ho raccontato dei clandestini italiani che pur sapendo di rischiare la vita cercavano di attraversare il confine francese alla ricerca di una vita migliore.
Le guide li chiamavano “fenicotteri” perché sapevano che prima o poi avrebbero spiccato il volo.
Sapevano che “sperdutosi il tratturo dei Sette Cammini tra le erbe e la pietraia li aspettava il volo verso la morte".
Questa sera vi parlerò dei viaggi della speranza di milioni di italiani verso le Americhe.
Spesso su navi carretta di terza classe
Non erano certo barchini o carrette del mare, ma quei viaggi della speranza erano veramente sicuri?
E allora una domanda sorge spontanea.
Perché avevano tutti una paura folle di salire su quelle navi e fare quel viaggio?
Giudicate voi.
Furono milioni gli emigranti italiani che si imbarcarono su navi e piroscafi obsoleti e fatiscenti in rotta verso le Americhe.
Erano chiamati “vascelli della morte” perché avevano molti anni di navigazione.
Partivano, stipati, senza nessuna certezza di arrivare a destinazione.
Molti emigranti non avevano mai visto una nave. Paura, ansia, angoscia, batticuore, seguiti da tanta malinconia, erano i sentimenti che provavano mentre salivano su quelle navi.
Seppur a conoscenza del rischio altissimo di non arrivare vivi, niente li avrebbe potuti fermare.
Anno 1884 - Sul "Matteo Brazzo" c’erano 1.333 passeggeri in condizioni igieniche precarie.
Ci fu un’epidemia di colera con venti morti e centinaia di ammalati.
La nave fu respinta prima dal Brasile e poi respinta a cannonate a Montevideo per il timore di contagio.
Argentina e Uruguay vietarono per un certo periodo l’approdo a navi italiane.
Anno 1888 - Sul "Carlo Raggio", una nave da carico trasformata in trasportare emigranti, ci furono 18 morti per fame nel suo primo viaggio.
E nel 1894, sempre sulla stessa nave che aveva imbarcato 1.400 emigranti a Napoli, scoppiò un’altra epidemia di colera.
Il contagio si estese rapidamente obbligando il comandante a dare l’ordine di gettare i morti in mare. I morti furono 206.
La nave fu rispedita in Italia.
Nel 1888 sul "Cachar" morirono 34 italiani per fame e asfissia
Nel 1889 - Sul "Frisia 27 i morti italiani per asfissia.
Sul "Parà" 34 italiani morti di morbillo.
Nel 1893 - Sul "Remo" 96 morti italiani per colera e difterite
Nel 1894 - Sul "Vincenzo Florio" 20 morti italiani
Utopia era un piroscafo inglese.
Era partito da Trieste e aveva fatto scalo a Napoli. Aveva a bordo 3 passeggeri di prima classe, 3 clandestini, 60 membri dell’equipaggio e 813 emigranti.
Era il 17 marzo 1891 quando davanti al porto di Gibilterra, con tempo pessimo e visibilità ridotta, sbagliò manovra e andò a sbattere contro una corazzata alla fonda e colò a picco in pochi minuti.
I morti, quasi tutti italiani, furono 576.
“Le grida si udivano da lontano. I poveri emigranti, pazzi dal terrore, facevano ressa dalla parte dove il bastimento era ancora fuori d’acqua […] Repente, un terribile colpo di mare mandò in pezzi tutta questa parte del piroscafo”.
Il 4 luglio 1898 furono 549 i morti (moltissimi dei quali italiani) nella tragedia della "Bourgogne" al largo della Nuova Scozia in seguito a una collisione.
Il comandante finì sotto inchiesta.
Quasi tutti i superstiti erano membri dell’equipaggio.
Nel 1905 sul piroscafo "Città di Torino" morirono 45 italiani sui 600 imbarcati.
Il 4 agosto 1906 centinaia (nessuno conosce la cifra esatta perché a bordo c’erano molti clandestini) furono gli emigrati italiani vittime del naufragio del "Sirio" in Spagna.
25/10/1927 - 314 morti (secondo la conta ufficiale, ma le vittime furono almeno il doppio) nel naufragio al largo del Brasile del piroscafo "Principessa Mafalda".
Ricordato come il "Titanic italiano".
Era il suo ultimo viaggio.
Aveva alle spalle 20 anni di mancata manutenzione.
“Il panico si manifestò particolarmente fra le donne e i bambini. Le donne con i bambini aggrappati alle gonne squarciavano l’aria con i loro urli. I passeggeri di terza classe invasero il ponte di seconda. Subito dopo avvennero due nuove esplosioni e la nave affondò”
Milioni di emigranti italiani cercarono lontano un futuro migliore.
Molti ce la fecero, molti annegarono, molti morirono di malattie.
Per molti di loro un futuro migliore rimase solo un sogno.
Per non dimenticare.
Link al thread originale
La sua Mia
Non è facile smontare una misura assistenzialista, quale è il Reddito di cittadinanza. Il suo scopo dichiarato era quello di favorire il reinserimento nel mercato del lavoro, cosa che è avvenuta per una percentuale minima, un percorso intrapreso da appena il 12.7% dei beneficiari. I Navigator non pervennero. I Centri per l’impiego latitarono. Un fallimento. Ugualmente non è facile smontarlo, perché quando si distribuiscono quattrini senza produrre ricchezza, aumentando la povertà anziché ridurla, poi ogni stretta retromarcia sarà attaccata quale schiaffo alla miseria. Come non ne avesse ricevuti abbastanza.
Premesso che stiamo parlando di anticipazioni, mentre ancora il governo meritoriamente studia il modo per uscire da quel dispendioso fallimento, alcune delle idee che girano meritano una critica specifica, sperando sia utile ad evitare possibili e ulteriori errori.
Quotare a 500 euro il contributo a chi è povero e non può lavorare, non sembra risolvere il suo problema. La prima cosa da farsi, se si vuole aiutare chi è povero e non può lavorare, è istituire una banca dati unica dell’assistenza, perché scoprendo le sovvenzioni sovrapposte si individuerà chi fa il povero di mestiere e si libereranno risorse da destinare ai servizi di cui ha bisogno chi versa in condizioni d’indigenza. Quotare a 375 euro il contributo a chi è povero, può lavorare, ma non lavora, riduce, come l’altro livello citato, la spesa, ma si tratta dello stesso schema che ha fallito, solo dotato di meno quattrini. Posto che dei circa 400mila percettori di sovvenzioni abili al lavoro la gran parte non sa fare niente, il problema è insegnare loro qualche cosa e restituirgli la dignità del guadagno, non solo la sovvenzione della spesa.
C’è un altro aspetto, che mi pare preoccupante: si ipotizza uno sgravio fiscale, pari al 100% dei contributi previdenziali, per la durata di 24 o 12 mesi (a seconda che il contratto sia a tempo pieno o parziale), a favore del datore di lavoro che assumerà un percettore di quella che si chiamerà Mia (Misura inclusione attiva), ovvero la rimodulazione del precedente sistema. Ora, a parte il fatto che i contributori previdenziali, in Italia, sono troppo pochi e non troppi, e a parte che il contributo della fiscalità generale (le tasse che non pagano proprio tutti, ma che chi le paga ne paga troppe) alla spesa previdenziale è già molto alto, a parte questi dettagli, in quel modo chi ha avuto soldi dallo Stato, quindi è stato favorito, avrà un favore in ragione del favore, ovvero una dote fiscale che gli altri in cerca di lavoro non avranno. Avendo la “colpa” di non avere preso quei soldi.
Il che comporta alcune pericolose distorsioni. 1. Ci sarà la ragionevole corsa a rientrare nei parametri per prendere Mia, altrimenti sarà poi ben più difficile trovare lavoro. 2. Una simile misura, non rispondendo ad alcun criterio, asseconda solo la voglia statale di liberarsi di un sovvenzionato, accettando di sovvenzionare chi se lo accolla. 3. Le imprese saranno spinte a privilegiare l’assunzione dei Mia-tenenti, visto il loro ridotto costo totale, magari a discapito di un altro lavoratore già più esperto e formato, il che non giova di sicuro alla produttività. 4. Senza contare che chi si vedrà posposto perché non ha la sua Mia, magari dopo avere frequentato, lui sì, un corso di aggiornamento o formazione, maturerà una delusione che sarà già molto se non si trasformerà in rabbia.
Il tutto in un Paese in cui l’economia cresce, l’occupazione anche e non mancano i posti di lavoro, ma i lavoratori che sappiano fare quel che serve e siano nelle condizioni economiche e di servizi per trovarsi dove è necessario.
Il male italiano della produttività (media, perché dove andiamo forte battiamo gli altri europei) è curabile, con formazione ed elasticità contrattuale. Non è una buona idea trattarlo con la sedazione e terapie di mantenimento, altrimenti si riproporrà in continuazione, come la roba indigeribile.
L'articolo La sua Mia proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
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Unknown parent • • •@admin siccome che er cucchiaio è na cosa da fanciulle, io che so' 'n omo de cortello, di solito infilo la lama nella Nutella, faccio un mezzo giro dentro al barattolo, sollevo lo strumento e, ruotando abilmente, lo infilo in bocca, suggendolo e disegnando misteriosi geroglifici sulla lama con la punta della lingua...
@russandro
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Paoletta1908🖤💙
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Andrea Russo
in reply to Paoletta1908🖤💙 • •@Paoletta1908🖤💙 mi state facendo emozionare... 😁
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Eleonora
in reply to informapirata ⁂ • • •@informapirata qui ci stava il content warning
@admin @russandro
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Paoletta1908🖤💙
in reply to Andrea Russo • • •Abtheart
in reply to Eleonora • • •🤭 @informapirata @admin @russandro
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Unknown parent • • •@admin perché è come Dorian Gray: rimane giovane mentre invecchiano i protocolli su cui si basava 🤭
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Andrea Russo
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