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Le Case di Comunità ed i Medici di Medicina Generale: un rischio per la salute?


Le Case di Comunità (CdC), stando al PNRR che prevede circa 23 miliardi per interventi nel settore della Salute in Italia, dovrebbero essere uno snodo organizzativo importante per migliorare il servizio sanitario nazionale. Sono il terminale organizzato dei Servizi Sanitari Regionali (al plurale perchè ogni regione ha il suo) che formano il Servizio Sanitario Nazionale. Se non […]

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La forza della realtà


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ChatGPT al servizio del Pentagono? La provocazione dell’Air Force


La tecnologia di intelligenza artificiale alla base del sistema ChatGPT potrebbe facilitare la gestione della burocrazia al Pentagono, permettendo di aggregare le informazioni più rapidamente ed efficacemente. Questo è il messaggio lanciato dal più alto d

La tecnologia di intelligenza artificiale alla base del sistema ChatGPT potrebbe facilitare la gestione della burocrazia al Pentagono, permettendo di aggregare le informazioni più rapidamente ed efficacemente. Questo è il messaggio lanciato dal più alto dirigente tecnologico dell’Us Air force, Lauren Barrett Knausenberger, deputy chief information officer dell’aeronautica a stelle e strisce, intervenuta sul tema durante un evento di Billington Cybersecurity, come registrato da Defense One.

ChatGPT facilita la burocrazia

A detta di Knausenberger, la tecnologia IA può essere di grande aiuto nel semplificare la burocrazia della Difesa americana, agevolando l’identificazione dei responsabili oppure automatizzando la raccolta delle informazioni. In altre parole, l’intelligenza artificiale permetterebbe di intervenire sui compiti attualmente effettuati dagli impiegati, facilitando loro il lavoro attualmente complicato da macchinose operazioni che potrebbero venire automatizzate. I loro incarichi, infatti, potrebbero essere semplificati dall’intermediazione di ChatGPT, che si occuperebbe dell’annosa ricerca delle informazioni necessarie, fornendole poi direttamente ai dipendenti.

Cos’è ChatGPT?

ChatGpt è una delle ultime novità nell’implementazione dell’intelligenza artificiale in rete, introdotta su diversi browser (finora era riservata a Microsoft Edge). ChatGpt è alimentato da un modello linguistico chiamato Gpt-3, programmato per comprendere il linguaggio umano e generare risposte basate su enormi quantità di dati. È stato sviluppato dalla startup americana Open AI. Il programma ha ricevuto sia lodi che critiche, tra cui il caso del fondatore di Tesla e SpaceX, Elon Musk, che lo ha definito “uno dei maggiori rischi per il futuro della civiltà è l’intelligenza artificiale. È sia positivo che negativo e ha grandi, grandi promesse, grandi capacità”.

Innovazione e semplificazione

Al di là della provocazione lanciata da Knausenberger, che presto lascerà il proprio incarico all’Aeronautica statunitense, di utilizzare il controverso sistema di conversazione automatica, la deputy Cio ha comunicato di voler portare a termine entro il suo mandato un processo di semplificazione e di automazione del modo in cui l’Air force gestisce le proprie informazioni e la sicurezza delle loro trasmissioni. Tra gli obiettivi, per esempio, c’è aumentare la protezione dei dispositivi in dotazione ai membri della Forza armata come telefoni, computer e tablet. Importante per Knausenberger sarà anche semplificare la gestione delle identità degli impiegati, come credenziali e dati di accesso, entro il 2025. Nel dettaglio, l’obiettivo perseguito sarebbe quello di riunire i vari servizi di identità in un unico strumento in grado di far funzionare tutte le applicazioni necessarie.


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La roadmap della Difesa tra innovazione e procurement. L’audizione di Portolano


Preservare l’autonomia strategica tecnologica, attuare processi di procurement efficaci e flessibili per adattarsi al mutevole scenario contemporaneo e assicurarsi una base industriale competitiva a livello internazionale. Sono stati i principali obiettiv

Preservare l’autonomia strategica tecnologica, attuare processi di procurement efficaci e flessibili per adattarsi al mutevole scenario contemporaneo e assicurarsi una base industriale competitiva a livello internazionale. Sono stati i principali obiettivi illustrati dal Segretario generale della Difesa (Sgd) e Direttore nazionale degli armamenti (Dna), generale Luciano Portolano, alle commissioni di Affari esteri e Difesa responsabili di Camera e Senato, nel corso delle sue audizioni sulle linee programmatiche del mandato. “La mia visione è improntata alla ricerca della massima sinergia con l’area tecnico-operativa, per comprenderne le esigenze capacitive in tutti i settori, e con il comparto industriale della Difesa, il mondo accademico e i centri di ricerca, per identificare soluzioni efficaci e innovative”, ha spiegato il generale.

Tecnologia, chiave della competizione

Nel suo discorso il generale ha evidenziato in particolare anche la necessità e la volontà di implementare la cooperazione con il settore della ricerca per lo sviluppo di tecnologie militari innovative, considerata la chiave per “rimanere competitivi nei confronti di potenziali avversari”. Dipendere da tecnologie altrui, infatti, significherebbe “subordinare la capacità di difesa nazionale alla volontà di coloro che detengono il know-how tecnologico”. Questo si traduce anche nella ricerca di equipaggiamenti militari all’avanguardia, in grado di operare efficacemente negli attuali contesti operativi.

Preservare l’autonomia strategica

In questo contesto, Portolano ha parlato della necessità di “preservare l’autonomia strategica nella ricerca scientifica, e tecnologica” e concentrare gli sforzi della Difesa nel rafforzamento della “sinergia con il mondo accademico, i centri di ricerca e con il comparto industriale”. Le Pmi e le startup vanno infatti valorizzate e coinvolte nel Piano nazionale di ricerca militare, così come nei progetti della cornice Nato e Ue, dal momento che secondo il generale il settore tecnologico militare ha il ruolo di amplificatore di influenza sulla scena internazionale. Perciò sarà funzionale far convergere i progetti di ricerca con le dinamiche proprie dello sviluppo dello strumento militare, concentrando le risorse nei settori-chiave, quali il cyber, il dominio spaziale e l’Intelligenza artificiale. In questo quadro è bene però fare anche una disamina dei gap capacitivi, grazie allo studio delle tecnologie emergenti e disruptive, e sarà “indispensabile far convergere, in modo più deciso, i progetti di ricerca con le dinamiche di sviluppo capacitivo dello strumento militare e con quelle di politica industriale della difesa”, ha spiegato Portolano.

Le nuove sfide poste dalla guerra in Ucraina

Sul piano internazionale, a detta del Dna, “per definire, in modo compiuto, le azioni e le priorità su cui indirizzare il nostro operato, è necessario comprendere gli effetti strategico-operativi che le dinamiche internazionali determinano sul sistema Difesa”. In questo senso l’invasione russa dell’Ucraina ha mostrato con chiarezza sia la difficoltà di schierare contingenti e forze in aree di crisi sia la scarsità degli armamenti a disposizione. Carenze collegate a problemi di investimenti, e mitigabili secondo il Dna con il raggiungimento del 2% del Pil da destinare al budget militare, in linea con quanto prescritto dalla Nato. Per fronteggiare le nuove sfide sorte con lo scoppio della guerra russo-ucraina per Portolano è dunque importante poter contare sul “possesso del know-how tecnologico” e sulle capacità, rispondendo così alla necessità di una “catena di approvvigionamento certa ed efficace”. Gli sforzi dovranno pertanto, secondo il generale, mettere in sinergia tre orizzonti temporali: nel breve termine “ripianare i sistemi d’arma e le scorte di munizioni” cedute a Kiev, nel medio termine “colmare i gap capacitivi già esistenti prima della crisi”, mentre nel lungo termine “sviluppare capacità operative, ossia sistemi, tecnologie, infrastrutture e risorse umane all’altezza delle sfide e degli scenari futuri”.

Verso un procurement ancora più efficace

Tra gli obiettivi principali del proprio mandato, il Sgd intende “attuare “processi di procurement efficaci, aderenti alle esigenze dell’area tecnico-operativa e flessibili per adattarsi a uno scenario continuamente mutevole”. La missione (non affatto semplice) è quindi di fornire le migliori capacità nel minor tempo possibile. Per realizzare tutto ciò si rende necessario secondo Portolano sia “adottare processi agili e flessibili” sia puntare sulla “sinergia con lo Stato maggiore della Difesa e con le Forze armate, oltre che con il comparto industriale, al fine di individuare le capacità e le tecnologie più idonee a soddisfare le esigenze operative”. La strada intrapresa per realizzare tali obiettivi è quella di “implementare degli specifici integrated project team”, interdisciplinari e multistakeholder per comprendere le esigenze operative. Tale approccio è stato utilizzato ad esempio per il Global compact air programme (Gcap) e o per lo sviluppo dell’elicottero di nuova generazione. In conclusione, il Dna ha sottolineato l’importanza di “massimizzare le opportunità che emergono in ambito internazionale, con particolare riferimento ai progetti finanziati dal fondo europeo per la difesa, lo European defence fund”. Proprio per questo si è già dato il via per costituire un gruppo di lavoro specifico per coordinare le attività nazionali relative all’Epf.

La competitività industriale

Un’altra priorità riguarda il disporre di “una base industriale della difesa competitiva a livello internazionale”. Anche in questo frangente la strada scelta è quella di integrare tutti gli attori del comparto per “perseguire un’unica visione strategica”. In particolare, la prima condizione per realizzare tale obiettivo è “il superamento del binomio cliente-fornitore tra Difesa e industria”, per farlo Portolano si è detto intenzionato a “sfruttare tutti gli strumenti a disposizione, con particolare rifermento al tavolo di coordinamento della politica industriale”, un’iniziativa non circoscritta al solo ministero della Difesa ma che vede l’attivo coinvolgimento di tutto il “sistema Difesa”, dall’industria al mondo accademico. Per il successo dell’implementazione del piano, bisogna individuare le capacità operative fondamentali e l’identificazione dei volumi strumentali e finanziari necessari. Per la riuscita di tutto ciò, a detta del generale sarebbe dunque “importante definire un nuovo modello di finanziamento del settore di investimento della difesa, basato su una legge ‘triennale sull’investimento’”. Inoltre, in questo contesto, deve essere garantita la security of supply, che mira a garantire materie prime e capacità autonoma di produrre componenti essenziali. In tale quadro rientra il dialogo avviato con Agenzia industrie difesa (Aid) “per mappare le catene di approvvigionamento delle materie prime, dei semilavorati e della componentistica essenziale”, ha spiegato ancora Portolano. A tutto ciò si aggiunge una seconda linea di azione, descritta dal Dna, legata alla promozione della cooperazione industriale finalizzata alla crescita. Ricercando dunque un equilibrio tra le dinamiche di protezione con il Golden power e l’integrazione industriale per la competitività. Per promuovere le eccellenze saranno “sostenute e incrementate le opportunità di export”, dalle quali dipendono i “tre quarti del fatturato del nostro comparto industriale”. Uno degli strumenti normativi più promettenti è rappresentato dagli accordi di politica industriale Government-to-Government (G2G).

La mancanza di personale

“Assicurare risorse umane qualificate e in linea con i volumi organici”. Questa la ricetta del Snd per il personale militare. Il dicastero della Difesa sta infatti soffrendo di carenze di personale sia a causa “de blocchi delle assunzioni” sia per via del “raggiungimento dell’età pensionabile da parte di corpose aliquote di personale assunto negli anni ‘80”. Tale obiettivo richiede di mantenere aggiornato il censimento qualitativo e quantitativo delle qualità necessarie per ottimizzare le procedure concorsuali e sfruttare l’intero budget. Infine Portolano ha parlato di un piano di arruolamento dei civili e se dovesse essere seguito e sviluppato la forza organica dovrebbero arrivare a 20 mila unità entro il 2025.


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Tecnologia e deterrenza. Le priorità del budget per il Pentagono


La Casa Bianca ha chiesto 886,4 miliardi di dollari per finanziare gli investimenti del 2024 per la sicurezza nazionale, di cui 842 miliardi destinati al Dipartimento della Difesa, un aumento del 3,2% (circa 25 miliardi) rispetto agli 817 stanziati per l’

La Casa Bianca ha chiesto 886,4 miliardi di dollari per finanziare gli investimenti del 2024 per la sicurezza nazionale, di cui 842 miliardi destinati al Dipartimento della Difesa, un aumento del 3,2% (circa 25 miliardi) rispetto agli 817 stanziati per l’anno in corso. L’amministrazione di Joe Biden ha presentato la sua tabella di marcia per il bilancio federale per il Pentagono, che aumenta la spesa da destinare soprattutto ai nuovi sistemi unmanned, caccia, missili ipersonici e sottomarini. “La richiesta di bilancio del presidente – ha spiegato il segretario alla Difesa, Lloyd Austin – fornisce le risorse necessarie per affrontare la sfida della Repubblica popolare cinese, le minacce avanzate e persistenti, accelerare l’innovazione e la modernizzazione e garantire la resilienza operativa in un clima in continuo cambiamento”.

Le minacce globali

Il piano evidenzia come le priorità del Pentagono stiano cambiando a fronte degli sviluppi cinesi, e adesso i funzionari del Pentagono dovranno presentare al Congresso i programmi dettagliati di come intendono spendere i nuovi fondi. Secondo Austin, “il bilancio dà priorità alle risorse per gli investimenti critici che consentono al dipartimento della Difesa di continuare ad attuare la Strategia di Difesa nazionale, compresa la costruzione della giusta combinazione di capacità per la difesa dalle minacce attuali e future”. Nove miliardi di dollari andranno infatti a finanziare la 2024 Pacific deterrence initiative, parte dello sforzo del Pentagono per rafforzare la deterrenza nei confronti della Cina, definita dal piano una “sfida persistente”. Oltre allo scontro con Pechino, la richiesta di Biden delinea include anche più di sei miliardi di dollari indirizzati a sostenere l’Ucraina, la Nato e altri Stati partner europei, “dando priorità al miglioramento delle capacità e la prontezza delle forze Usa, alleate e partner di fronte all’aggressione russa”.

Cosa prevede il bilancio

La richiesta di bilancio è concentrata in particolare su tecnologie e sui settori-chiave della base industriale statunitense, come la microelettronica, la cantieristica sottomarina, la produzione di munizioni e la biomanifattura, affrontando anche il tema di una catena di approvvigionamento resa più fragile dalla guerra e, prima, dalla pandemia. Uno dei temi principali sarà, in particolare, la necessità di ricostituire le scorte di armi fornite all’Ucraina, con il bilancio che mira a “modernizzare ed espandere la capacità produttiva industriale per garantire la soddisfazione delle richieste strategiche di munizioni critiche”. Investimenti significativi saranno indirizzati per migliorare la capacità di combattimento della Marina, in particolare nel campo della superiorità sottomarina, e della Us Air force, con un previsto incremento della produzione di aerei e fondi per lo sviluppo di capacità ipersoniche. La richiesta include anche 37,7 miliardi di dollari per modernizzare le capacità nucleari, comprese le reti di comando, controllo e comunicazione tra tutti i settori della Triade nucleare: missili balistici intercontinentali, bombardieri e sottomarini.

La sfida al Congresso

Negli ultimi due anni sono stati aggiunti svariati miliardi di dollari alle spesa per la Difesa statunitense, fondi resi necessari dall’inflazione record negli Stati Uniti e per continuare a far fronte alla necessità di rifornire di armi l’Ucraina. Una tendenza che sta portando il bilancio militare a stelle e strisce a livelli simili a quelli impiegati durante la Seconda guerra mondiale, superando anche quelli previsti durante l’apice della Guerra fredda con le guerre in Corea e Vietnam. L’amministrazione, dunque, si prepara ad affrontare una netta resistenza da parte dei repubblicani, in particolare alla Camera, con molti esponenti del Gop che hanno criticato fortemente l’aumento record della spesa per la Difesa degli ultimi anni e, in particolare, il trasferimento all’Ucraina di miliardi di dollari in armi e aiuti americani. Non sono mancate, sempre all’interno della destra, critiche opposte, che hanno definito gli aumenti troppo esigui, definendo l’amministrazione indifferente o disinteressata ai problemi di sicurezza nazionale.


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Dall’Artico al Mediterraneo, l’Europa torni protagonista. Il punto di Manciulli


Quanto sta accadendo in Ucraina deve essere di lezione per l’Europa, che deve capire come sia ormai irrinunciabile una assunzione di maggiore responsabilità se vuole assicurare la sicurezza dei propri confini, a partire da quello orientale, ma con lo sgua

Quanto sta accadendo in Ucraina deve essere di lezione per l’Europa, che deve capire come sia ormai irrinunciabile una assunzione di maggiore responsabilità se vuole assicurare la sicurezza dei propri confini, a partire da quello orientale, ma con lo sguardo sempre attento anche al nord, nell’Artico, e al sud, nel Mediterraneo allargato e in Africa. È tempo che il Vecchio continente metta la testa fuori da sé, e l’Italia deve supportare questa rinnovata attenzione verso l’estero europeo. Airpress ne ha parlato con Andrea Manciulli, presidente di Europa Atlantica e direttore delle relazioni istituzionali della Fondazione MedOr.

Presidente, a un anno dall’invasione russa dell’Ucraina, quali sono a suo avviso le lezioni che l’Europa dovrebbe trarre?

È necessario procedere a una analisi seria di quanto sta accadendo, e cercare di guardare alla situazione con un po’ più di freddezza. Come prima cosa, sbaglieremmo di grosso se volessimo circoscrivere il problema alla sola Ucraina, perché le fragilità e le insicurezze si trovano lungo tutti i confini del Vecchio continente. Naturalmente la guerra a est è il dramma più grande. Sostenere l’Ucraina oggi significa difendere il futuro di tutta l’Europa domani. C’è poi la questione, troppo trascurata, dell’Artico, che presto diventerà teatro di uno scontro economico e di sicurezza tra potenze che riguarderà da vicino l’Europa. E poi c’è l’enorme problema del fronte Sud, del Mediterraneo allargato, che non sta venendo affrontato in maniera adeguata.

Qual è lo scenario attuale a Sud dell’Europa?

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una crescita della frattura tra sponde nord e sud del Mediterraneo. Nel 2011 l’Europa progettava di creare una enorme aerea di libero scambio nel bacino, e alla conferenza di Barcellona fu lanciata addirittura una campagna di finanziamento con i fondi Meda 1 e 2. Invece il Mediterraneo di oggi è teatro di numerosi fattori di insicurezza, tra cui spicca naturalmente lo shock migratorio, del quale constatiamo proprio in questi giorni la terribile realtà con immagini inaccettabili per qualsiasi coscienza democratica di una società civile, ma che comprende problemi come il terrorismo, la crisi economica e climatica, i problemi relativi alle risorse idriche e alimentari. Tutto questo si trasforma, per l’Europa, in un confine meridionale instabile e pieno di problematiche da affrontare. Un esempio lampante di queste fratture lo vediamo in Tunisia e in Medio Oriente.

Ci spieghi…

La Tunisia, l’unica democrazia che si era sviluppata a seguito delle primavere arabe, è adesso fragilizzata dall’attesa della decisione di sostegno da parte del fondo monetario internazionale che potrebbe impedirle di andare in default. Non possiamo, dunque, limitarci a constatare soltanto il dramma, senza assumerci l’impegno di tentare di risolvere il problema. Se cade la Tunisia il sistema economico e sociale di tutto il Maghreb peggiora in maniera esponenziale, e con esso tutta la vicenda migratoria. In Medio Oriente, invece, dobbiamo occuparci di un rinnovato attivismo dell’Iran. Teheran sta aiutando la Russia militarmente, e non solo, sta rafforzando i propri legami con Assad e sta intensificando la sua rete di proxy in tutto il Mediterraneo, dalla Palestina, a Hezbollah, ad Hamas, fino al jihad palestinese. Il tentativo è senza dubbio quello di far saltare gli accordi di Abramo e destabilizzare l’intero bacino mediterraneo. Sarebbe un dramma se accadesse. L’Europa non può restare a guardare. C’è bisogno di rinvigorire i rapporti con Israele, la Giordania, i Paesi del Golfo, affinché si lavori per prevenire la proliferazione di crisi e il moltiplicarsi dei fronti da attenzionare.

A tutto questo si aggiungono gli impatti che la guerra in Ucraina sta avendo anche sul fronte sud.

Indubbiamente, dal Sahel al Corno d’Africa abbiamo una importane presenza russa attraverso il gruppo Wagner. Abbiamo visto cosa ha rappresentato questo loro attivismo in Mali e in Centrafrica. Ricordiamo anche che l’Africa è il continente che ha visto le maggiori astensioni al voto delle Nazioni Unite di condanna dell’invasione. La Russia, insieme alla Cina, (e in qualche misura persino la Turchia) stanno attivando, in Africa, una strategia in funzione antieuropea, utilizzando i loro strumenti per destabilizzare il continente. Non possiamo non renderci conto, però, che le nostre divisioni hanno favorito l’arrivo di questi attori in Africa, che non hanno gli stessi interessi dell’Europa.

Come ha reagito l’Europa di fronte a tutto questo?

Al momento l’Europa è di fronte a un vero problema di identità, e quindi di strategia. Il fatto che il Vecchio continente sia circondato da problemi lungo tutti i suoi confini è di fatto una critica al modo in cui l’Europa si è posta in questi anni, troppo ripiegata su sé stessa. Parlando direttamente, l’Europa non potrà esistere se non sarà capace di rendere sicuri i propri confini. Si è fatto sicuramente bene a fare attenzione alla stabilità economica e del mercato interno, ma è stato un errore non guardare verso l’esterno. La storia dei confini europei, come ci ha spiegato bene Braudel, è sempre stata lo specchio delle relazioni, anche interne, del continente: quando i confini sono stati aperti, impostati su dinamiche di scambio, l’Europa ha prosperato e ha vissuto momenti di pace; quanto si è chiusa su sé stessa, invece, si sono sempre susseguite fasi negative e conflitti.

E adesso in che fase siamo?

Guardando all’oggi, ci sono state troppe incomprensioni e invidie. L’Europa, invece, deve capire che non può più rimanere divisa e chiusa in sé stessa, perché è ormai inserita in una dimensione globale nella quale le grandi dinamiche non rispettano più la dimensioni dei confini degli Stati tradizionali. Se l’Europa non fa un passo in avanti per rispondere a queste esigenze, rischia di dover affrontare il declino. Possiamo rinfacciarci le responsabilità gli uni contro gli altri quanto vogliamo, tra una Francia troppo autonomista, una Germania concentrata solo sulla dimensione economica e un’Italia che è stata troppo spesso equidistante tra alleati e avversari, ma adesso è venuto il momento di affrontare la situazione con spirito nuovo, di collaborazione, che metta in campo una vera azione politica estera comune.

Sul tema della collaborazione tra Paesi europei, la Fondazione Med-Or ha organizzato di recente un incontro per rilanciare le relazioni tra Italia e Francia nel Mediterraneo. Cosa è emerso dall’incontro?

È stato un appuntamento molto positivo, perché ci ha permesso non solo di affrontare tutte le problematiche legate al bacino mediterraneo, ma anche di sottolineare l’importanza di parlarsi con chiarezza tra Paesi europei. Litigare non è utile a nessuno, il punto è invece quello di favorire una discussione politica nei governi europei tesa a un processo di cooperazione che faccia progredire il dialogo e l’attivismo europeo sullo scenario globale. Alla fine di questa fase turbolenta avrà successo chi sarà stato capace di mettere in campo una politica più dinamica nelle relazioni con il mondo. Serve una grande azione di partnership politica che sia veramente europea, e in questo senso ritengo che sarà fondamentale anche riallacciare il dialogo con la Gran Bretagna, che dopo la Brexit si sta rendendo conto molto bene di quanto quel gesto non abbia pagato.

Cosa dovrebbe fare allora l’Europa?

L’Europa deve saper costruire delle politiche attive e partnership positive con i Paesi del suo vicinato, affinché i grandi progetti per il domani della regione, ma direi del pianeta, possano trovare attuazione, senza aspettare che la situazione degradi. È arrivato il momento per il Vecchio continente di assumersi le sue responsabilità: senza affrontare veramente i problemi profondi globali, a partire da quelli che caratterizzano il Mediterraneo allargato, ma non solo, noi non potremo che tamponare le problematiche, senza mai risolverle davvero.

Questo significa due cose. Primo, che il piano di aiuti previsto nel 2011, largamente disatteso, deve essere sostituito da un ampio progetto di investimenti tesi alla stabilizzazione dei confini a 360°. Quando si discuteranno i piani di aiuti per la ricostruzione dell’est europeo, l’Europa dovrà mettere in campo anche una parallela azione verso nord, nell’Artico, e ovviamente verso sud, in Africa e in Medio Oriente. Non possiamo aspettare che scoppino i problemi per affrontarli, e l’Ucraina dovrebbe servirci da lezione. Secondo, l’Europa deve creare una forza di impiego rapido che le permetta di intervenire nelle crisi in maniera anche autonoma, se serve, insieme agli alleati quando possibile. In breve, c’è bisogno di un’Europa che metta la testa fuori da sé stessa, e di un’Italia che aiuti il Vecchio continente a guardare al di fuori in una maniera nuova, responsabile.


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Gli appelli a fare compromessi con Putin in Ucraina ignorano le lezioni della storia


Mentre l’invasione su vasta scala dell’Ucraina è entrata nel suo secondo anno il mese scorso, i leader occidentali hanno voluto dimostrare la loro continua determinazione a impedire una vittoria russa. Allo stesso tempo, senza la fine in vista di quello che è già di gran lunga il più grande conflitto europeo dalla seconda guerra mondiale, […]

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#LaFLEalMassimo – Episodio 85 – Ucraina a un anno dall’invasione


Negli ultimi episodi ho ricordato spesso di come si avvicinasse l’anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il giorno è arrivato ed è stato celebrato da una grande quantità di manifestazioni di solidarietà in tutto il mondo. Tra ques

Negli ultimi episodi ho ricordato spesso di come si avvicinasse l’anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il giorno è arrivato ed è stato celebrato da una grande quantità di manifestazioni di solidarietà in tutto il mondo. Tra queste segnalo l’associazione liberi oltre le illusioni di cui faccio parte ha realizzato quasi 100 sit in oltre 70 città in Italia e all’estero. Nel paese invaso si continua a combattere e possiamo augurarci che la vittoria non sia lontana, considerando che l’invasore è stato in larga misura ricacciato indietro e portare avanti l’aggressione col tempo diventa sempre meno sostenibile per la Russia.

Fuori dal paese, la lotta politica, sociale e ideologica delle società aperte e dei sostenitori delle libertà individuali risulta più incerta con la propaganda a favore di Putin che troppe volte si insinua nel dibattito corrente distorcendo la verità dei fatti e talvolta addirittura nascondendosi dietro la chimera di un falso pacifismo che immagina di dialogare con chi si è macchiato di crimini contro l’umanità e continua a bombardare la popolazione inerme. Il nuovo assetto mondiale sembra più favorevole ad alimentare le tentazioni protezionistiche, in particolare sotto forma di aiuti di stato, come nel caso nell’ inflation reduction act di Biden, secondo una politica che per molti anni è stata perseguita dalla Cina e che ha contribuito non poco al successo di questo paese sul piano commerciale.

Ma ognuno è chiamato a combattere la sua guerra e solo i ciechi e i folli possono illudersi di potervisi sottrarre. Il popolo Ucraino continua a difendere con le armi e con il sangue la propria libertà e con essa presidia anche la nostra. Noi dobbiamo combattere ogni giorno contro chi distorce la realtà dei fatti e arginare le mire di controllo e ingerenza che i mestieranti della politica cercano di potare avanti nascondendo dietro la bandiera della protezione i propri meschini interessi di categoria.

Dunque anche abbiamo una guerra combattere, quella al fianco del popolo ucraino, col sostegno di fondi e armi e quella contro i nemici delle società aperte che ogni giorno cercano di sottrarci un pezzo della nostra libertà.

Slava Ukraini

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Iran: la politica di Biden non ha senso


Parlando a un evento in Israele la scorsa settimana, l’ambasciatore statunitense in Israele Tom Nides ha fatto nuovamente notizia quando sembrava escludere i negoziati con l’Iran fintanto che il suo governo continuava la sua repressione contro i manifestanti e persisteva nella fornitura di assistenza militare alla Russia. Come ha riferito Henry Rome, senior fellow del […]

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Il raduno di formazioni neo-fasciste previsto per domani 11 marzo a Milano impone una mobilitazione sempre più decisa delle forze antifasciste. Questo raduno p



Rifondazione Comunista sarà convintamente a Napoli venerdì 17 all’appuntamento nazionale promosso dai sindaci dell’Associazione Recovery Sud contro il Dis


Il Libretto Rosso di Matteo Renzi


Firenze, 10 marzo 2023.
Matteo Renzi sta passando un periodo non piacevolissimo.
Qualche giorno fa una certa Susanna Zanda gli avrebbe fatto presente che i tribunali civili non sono bancomat dai quali attingere per il proprio sostentamento. Un rimprovero piuttosto bonario che a Renzi è costato sedicimila euro. Sperava di incamerarne dieci volte tanti a spese di una importante gazzetta per cui è comprensibile che la cosa lo abbia lievemente contrariato.
Oggi invece è imputato come un brambilla qualsiasi per finanziamento illecito dei partiti.
Dicono che il boyscout di Rignano si sarebbe presentato in tribunale con una quarantina di libretti intitolati "Quaderno rosso per toga rossa".
Nel corso degli anni Renzi ha cercato di rottamare e sconfiggere i propri avversari politici.
Senza riuscirci.
Ha anche cercato di rottamare, sconfiggere e umiliare la base elettorale di un partito storico.
Riuscendoci benissimo.
Adesso ha adottato fin nei dettagli tutte le mosse propagandistiche del vecchio ricco che aspira a sostituire.
Un processo in atto da almeno dieci anni, di cui queste mosse non rappresentano altro che gli ultimi ritocchi.
Coi suoi quaderni rossi il boyscout di Rignano intende verosimilmente fare il verso alle Citazioni dalle opere del Presidente Mao Zedong, che servirono da ispirazione per la Rivoluzione Culturale.
Un periodo in cui molti ben vestiti e molti ben nutriti andarono incontro a difficoltà parecchio più serie di quelle con cui deve vedersela lui.

In tribunale con certe accuse non ci si deve finire, e basta.
Il fatto che nello stato che occupa la penisola italiana la magistratura sia incontestabile solo quando si occupa di scippatori, zingari, clandestini e piccoli spacciatori da cui si riforniscono i non ricchi è uno dei moltissimi motivi che ne rende ripugnanti gli ambienti del democratismo rappresentativo agli occhi di chiunque abbia un minimo di rispetto di sé.

Aggiornamento del 13 marzo 2023. Pare Matteo Renzi abbia ottenuto un successo importante, togliendo di tasca cinquecento euro a una pensionata che lo aveva insultato sul Libro dei Ceffi.
Proprio qualcosa di cui andare fieri.



AFRICA-SAHEL. La strage silenziosa del traffico di medicinali


Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, il mercato illecito di farmaci contraffatti o scaduti provoca almeno 430.000 morti ogni anno. Nel profondo divario tra domanda di cure e offerta sanitaria, a lucrare sono le attività criminali che distribuiscono me

di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 9 marzo 2023 -Nell’Africa sub-sahariana, ogni anno almeno 267.000 persone muoiono a causa di medicinali falsificati o scadenti. Altre 169.270 morti sarebbero evitabili ogni anno se non si facesse uso di antibiotici falsificati per trattare casi severi di polmonite nei bambini. E’ quanto emerge dal rapporto TOCTA (Transnational Organized Crime Threat Assessment) pubblicato in gennaio dall’Agenzia sui farmaci e il crimine delle Nazioni Unite (UNODC).

Tra il gennaio 2017 e il dicembre 2021, almeno 605 tonnellate di medicinali sono state sequestrate in operazioni internazionali nella regione del Sahel. Per quanto non sia possibile avere delle stime esatte sulle dimensioni del problema, una percentuale compresa tra il 19% e il 50% del mercato dei farmaci nell’Africa occidentale sarebbe costituito da medicinali trafficati illegalmente. Fino alla metà dei farmaci somministrati negli ospedali, venduti nei dispensari, assunti a domicilio dalla popolazione, proverrebbero quindi dal mercato clandestino. Ad aggravare questi dati, c’è l’evidenza, emersa dai sequestri compiuti tra il 2013 e il 2021, che almeno il 40% dei medicinali scaduti, contraffatti o di qualità scadente venga venduto all’interno dei canali legali della distribuzione farmaceutica. Una tale infiltrazione dell’illecito nelle maglie del mercato lecito della salute può avere conseguenze devastanti sulla vita delle persone.

Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad i Paesi più colpiti dal problema. I farmaci scadenti, scaduti o non approvati per l’immissione in commercio, provengono principalmente dai maggiori esportatori nella regione, in particolare Belgio e Francia, ma anche da Cina e India, e in una minore percentuale anche da Paesi limitrofi.

E’ numerosa e variegata la schiera degli attori di questo traffico fruttuoso. Si va dagli impiegati delle industrie farmaceutiche, dalle forze dell’ordine, dagli operatori nel settore sanitario fino ai più piccoli commercianti che “spacciano” i prodotti per le strade. Nonostante il potere dei gruppi terroristici nei Paesi del Sahel, il report svela uno scarso coinvolgimento di queste organizzazioni nel settore farmaceutico.

La filiera del traffico di medicinali è stratificata e complessa, spiega il report, e può interessare il farmaco in ogni fase della sua commercializzazione, dalla produzione fino alla somministrazione, dalla larga scala dell’importazione fino alla vendita al dettaglio.

C’è il traffico di farmaci legali, che vengono importati illegalmente, o una volta importati secondo rotte lecite poi deviati su canali di commercio illegale, o, ancora, medicinali rubati dalla distribuzione legale prevista nel Paese (un esempio, i medicinali destinati alle ONG ma assorbiti dal mercato clandestino). Non mancano i casi documentati di corruzione di operatori sanitari, direttamente coinvolti nella cessione di medicinali al mercato nero. Questi sarebbero i casi apparentemente meno pericolosi, in quanto inerenti medicinali in qualche modo approvati dall’agenzia del farmaco. C’è poi, invece, il traffico di medicinali scaduti, scadenti o pericolosi, come farmaci contenenti dosi di principio attivo non adeguato o troppo alto, con elevati rischi di tossicità ed eventi avversi.

Le cause di un traffico di tali proporzioni vanno ricercate nel divario abissale tra la domanda e l’offerta di medicinali in una regione poverissima. L’incidenza di malattie infettive, tra le quali la malaria, è altissima, sottolinea il report delle Nazioni Unite, a fronte di sistemi sanitari assolutamente incapaci di garantire l’accesso alle cure per la popolazione. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il rapporto di medici, infermiere e ostetriche per 1.000 abitanti nei Paesi del Sahel è ben al di sotto del minimo che dovrebbe essere garantito, di almeno 4.45 operatori sanitari. Nel 2018 ce n’erano 1.3 su 1.000 in Burkina Faso, 0.6 in Ciad, 1.4 in Mali, 2.1 in Mauritania e 0.4 in Niger. I numeri non sono più incoraggianti contando i farmacisti: se nel mondo in media ce ne sono 4 per 10.000 persone, in Burkina Faso ce n’erano 0.15, in Ciad 0.33, in Mali 0.095, in Mauritania 0.18 e in Niger 0.027. Tutti numeri sotto lo zero, che spiegano in che vuoto si vada a inserire il ricco mercato clandestino dei farmaci.

Le conseguenze sono spaventose, e non si tratta solo del rischio di assumere un farmaco contraffatto o scaduto. Le centinaia di migliaia di morti sulle quali il report dell’ONU fa luce sono provocate da un problema anche più grande, ovvero dalla sostituzione del sistema sanitario con un sistema criminale, che si fa carico di sopperire alle sue mancanze. Non è solo il medicinale assunto a renderlo, infatti, potenzialmente letale, ma anche l’indicazione per la quale viene o meno prescritto. Non si può parlare, però, di prescrizioni in un mercato nero. Accade così, denuncia il rapporto, che le medicine deviate dai canali commerciali ufficiali vengano utilizzate senza nessuna guida sul paziente.

“Se vuoi prenderti un antibiotico al mercato, puoi trovarlo. Ma è quello giusto da utilizzare o no?”, chiede François Patuel, direttore dell’unità di ricerca e sviluppo dell’UNDOC. Un tale uso spregiudicato di antibiotici, senza nessun controllo medico, non solo impedisce di trattare adeguatamente le infezioni e comporta rischi fatali per i pazienti che li assumono a domicilio, ma apre anche la strada al rischio che si sviluppino e moltiplichino antibiotico-resistenze, con conseguenze di proporzioni ancora maggiori. Vale a dire che in un’area in cui l’accesso alle cure e agli antibiotici di prima linea è già scarsissimo, a causa del traffico di medicinali si svilupperanno resistenze batteriche che renderanno le malattie infettive curabili solo con seconde, terze o quarte linee di trattamento – naturalmente non reperibili nella regione.

Stando ai dati del report, in un’area poverissima di cinque Paesi, il traffico di medicinali uccide ogni giorno almeno 1.195 persone. Per fare fronte a questa strage silenziosa, si dovrebbero rafforzare i controlli della filiera, a partire dall’esportazione dai Paesi produttori, e poi i controlli di frontiera lungo il viaggio delle merci, oltre a modificare la legislatura con pene più severe per gli attori del traffico. In questo senso, i Paesi del Sahel, tranne la Mauritania, hanno recentemente costituito l’Agenzia Africana dei Medicinali (AMA). Se non ci si concentrerà, però, soprattutto su quel divario tra l’offerta inesistente e la domanda altissima di cure, gli autori dell’inchiesta ne sono consapevoli, questo dramma resterà insanabile. Per curare un figlio, si può essere disposti a cercare un medicinale con ogni mezzo e ad acquistarlo anche da mani criminali, foraggiando un sistema che vale miliardi e migliaia di morti.

L'articolo AFRICA-SAHEL. La strage silenziosa del traffico di medicinali proviene da Pagine Esteri.

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Il segreto di un'opera d'arte non sono i materiali con cui è stata realizzata, ma la capacità tecnica e l'impeto creativo di chi l'ha creata

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Andrea Russo
@Vico ⛵️ :antifa: dal punto di vista qualitativo ti assicuro che quella della Venchi è la cosa più buona che abbia mai assaggiato, ma il fatto è che la Nutella ha una formula che le consente di stare bene su tutto, dal biscotto alla pizza bianca. Ferrero ha sempre azzeccato alla grande il GGG, il Giusto Gusto Goloso


The Queen Is Dead Volume 89 : Enbor Arnasa\Misanthropik Torment\Shores Of Null


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Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, tutti i venerdì su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni. E se volete saperne di più potete leggere qui le news quotidiane di Privacy Daily o iscrivervi alla newsletter di #cosedagarante. Grazie a StartupItalia per l’ospitalità!


In Cina e Asia – Xi rieletto presidente all’unanimità 


In Cina e Asia – Xi rieletto presidente all’unanimità xi
I titoli di oggi:

Xi rieletto presidente all'unanimità
I Paesi Bassi limitano l'export di tecnologia, la Cina protesta
Chip war, la denuncia di FT sulle scappatoie della Cina per eludere le restrizioni Usa
Gli Usa sanzionano azienda cinese di droni
Lavoro, in Cina torna l'economia delle bancarelle e diminuiscono gli operai
Hong Kong, tornano gli arresti legati alla sicurezza nazionale

L'articolo In Cina e Asia – Xi rieletto presidente all’unanimità proviene da China Files.



Mondo multipolare. Petromonarchie in soccorso di Erdogan


In soccorso di Erdogan, alle prese con il duello elettorale del 14 maggio, accorrono Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, a lungo nemici del regime turco. Una riconciliazione in nome del mondo multipolare L'articolo Mondo multipolare. Petromonarchie in

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 10 marzo 2023 – Dopo il terremoto del 6 febbraio che solo in Turchia ha provocato quasi 50 mila morti, le petromonarchie sono state in prima fila nell’invio ad Ankara di ingenti aiuti. Nei giorni scorsi, poi, i paesi capofila del Consiglio di Cooperazione del Golfo – Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – hanno compiuto dei passi molto significativi nel percorso di riavvicinamento alla Turchia iniziato nel 2021.

Storico accordo con gli Emirati
In particolare, il 3 marzo Abu Dhabi ha firmato con Ankara uno storico accordo commerciale – ribattezzato Comprehensive Economic Partnership Agreement (Cepa) – che punta a raddoppiare il volume attuale degli scambi tra i due paesi, portandolo a 40-45 milioni di dollari entro il 2028. Già ora, la Turchia è il sesto partner commerciale degli Emirati: nel 2022 gli scambi bilaterali hanno toccato quota 19 miliardi, con un aumento del 40% rispetto all’anno precedente.
L’accordo, firmato durante una visita del ministro del Commercio turco Mehmet Mus nella capitale emiratina, è incentrato su settori come l’agritech, la produzione di energia rinnovabile, la logistica e le costruzioni e include la riduzione dell’82% delle tariffe doganali tra i due paesi.
«Le barriere al commercio di beni e servizi verranno rimosse e le attività dei nostri investitori e imprenditori saranno agevolate. In questo modo costruiremo su basi solide un ponte economico che si estende dall’Europa al Nord Africa, dalla Russia al Golfo» ha commentato il presidente turco Erdogan.
«La Turchia ha un’enorme potenziale di crescita. Sarà una delle più grandi economie emergenti che domineranno i mercati globali tra 20 anni» ha invece dichiarato Thani al Zeyoudi, ministro emiratino per il Commercio Estero.
Abu Dhabi ha promesso massicci investimenti nell’economia turca attraverso entità dipendenti dal governo emiratino. La ricostruzione di un sesto del paese distrutto dal sisma di un mese fa rappresenta una vera e propria miniera d’oro per gli investitori che potranno contare su corsie preferenziali e sulle ingenti commesse delle istituzioni turche. Già nel 2022, grazie anche ai finanziamenti a pioggia varati da Erdogan in vista delle cruciali elezioni presidenziali del 14 maggio, il Pil del paese era cresciuto del 5,6%. D’altra parte gli Emirati puntano a diventare uno dei centri mondiali degli affari e della finanza, e allo scopo stanno varando accordi economici di carattere strategico con vari paesi, tra i quali Israele, l’India e l’Indonesia.

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Il presidente emiratino Mohamed bin Zayed insieme a quello turco Erdogan

Riad puntella la Lira turca
A causa del terremoto, nelle scorse settimane la Banca Centrale turca ha dovuto stanziare ingenti fondi per le operazioni di soccorso e assistenza e per i primi finanziamenti alle aree colpite. La Banca Mondiale ha calcolato che il sisma ha causato almeno 35 miliardi di dollari di danni. Inoltre il paese soffre ormai da anni di una cronica svalutazione della moneta nazionale, la Lira, che pesa sulla bilancia commerciale oltre che sul potere d’acquisto della popolazione. Solo nel 2022, la divisa turca ha perso circa il 30% del proprio valore nel cambio con il dollaro, mentre nel 2021 la diminuzione era stata addirittura del 44%. A febbraio, il tasso ufficiale annuo d’inflazione è stato in Turchia del 55%, anche se si calcola che quello reale sia assai più alto.
Lo scontento creato dall’inflazione e dalla svalutazione della Lira, alimentato dai ritardi e dalle insufficienze nell’assistenza prestata dalle istituzioni statali turche alle vittime del terremoto, potrebbero causare un crollo dei consensi nei confronti del regime del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp).

In soccorso di Erdogan, però, è intervenuta recentemente l’Arabia Saudita. Nei giorni scorsi, infatti, il ministro del Turismo di Riad, Ahmed Aqeel al Khateeb, ha firmato un accordo col governatore della Banca Centrale di Ankara, Sahap Kavcioglu, che contempla il deposito di 5 miliardi di dollari nelle casse turche da parte della potenza capofila del Consiglio di Cooperazione del Golfo. I fondi sono stati messi a disposizione dal Fondo Saudita per lo Sviluppo (Fsd) e la misura mira a ottenere una rivaluzione della Lira turca e ad aumentare le riserve di valuta estera di Ankara, ha spiegato l’agenzia di stampa saudita “Spa”.
Inoltre, la mossa di Riad tenta di rafforzare la credibilità di Erdogan a poche settimane dalle presidenziali, che vedranno il fronte governativo opposto ai diversi partiti dell’opposizione – dalla destra alla sinistra – coalizzati per tentare di disarcionare il “sultano” ormai al potere da più di 20 anni.
Da parte sua, l’agenzia di stampa ufficiale turca Anadolu ha elogiato il deposito saudita, affermando che riflette il «forte sostegno del regno al popolo turco e la sua fiducia nel futuro dell’economia turca».

Da nemici ad alleati?
Il duplice accordo con l’Arabia Saudita e con gli Emirati segna un progresso significativo delle relazioni con le petromonarchie dopo il disgelo del 2021, seguito ad un decennio circa di rapporti molto tempestosi. L’inimicizia è sfociata addirittura in uno scontro armato – per quanto indiretto – in territorio libico: mentre Ankara sostiene il governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu, gli emiratini appoggiano i ribelli della Cirenaica guidati dal generale Khalifa Haftar. I due fronti sono stati in competizione anche nel quadrante siriano, nel quale tanto la Turchia quanto le petromonarchie hanno sostenuto la ribellione armata contro il regime di Bashar Assad ma puntando su forze in concorrenza tra loro. In generale, le capofila del Consiglio di Cooperazione del Golfo hanno tentato di contrastare l’influenza turca nel mondo arabo-islamico e in particolare il sostegno di Ankara alle correnti legate alla Fratellanza Musulmana, considerata una seria minaccia da parte delle petromonarchie. Quando nel giugno del 2017 l’Arabia Saudita – insieme a Bahrein, Emirati Arabi ed Egitto – ha fatto scattare un massiccio embargo nei confronti del troppo indipendente Qatar, il regime turco ha fortemente sostenuto Doha con il quale ha stretto un accordo di cooperazione militare, impegnandosi a difendere il paese in caso di conflitto con i vicini.

L’episodio clou dell’inimicizia tra i turchi e le potenze arabe del Golfo è stato probabilmente l’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi all’interno del consolato di Riad ad Istanbul il 2 ottobre del 2018. Del feroce omicidio dello scrittore, rifugiatosi in Turchia dopo l’autoesilio dal suo paese, Erdogan ha più volte accusato il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.

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Miliziani dell’Esercito Nazionale Siriano nel Nord della Siria

Un disgelo in nome del mondo multipolare
Nel 2021 è rientrata la spaccatura con il Qatar, con le altre petromonarchie hanno deciso di rimuovere l’embargo, avviando poi lentamente un processo di normalizzazione nei confronti della Turchia, nel nuovo clima internazionale creato dall’invasione russa dell’Ucraina.
L’esplosione del conflitto su larga scala, con la conseguente polarizzazione tra Stati Uniti e potenze concorrenti, ha infatti accelerato e amplificato la tendenza delle petromonarchie a configurare uno spazio geopolitico proprio, il più possibile autonomo da quello guidato da Washington. In quest’ottica il ruolo di potenza regionale autonoma della Turchia – da tempo sganciatasi dalla tradizionale sudditanza nei confronti dell’agenda statunitense – viene considerato utile da sostenere.

Già nel 2022, gli Emirati Arabi Uniti hanno concesso ad Ankara l’investimento nel paese di 10 miliardi di dollari e uno scambio di valuta pari a 5 miliardi. Contemporaneamente, Erdogan e Mohammed bin Salman hanno aperto la via ad «una nuova era di cooperazione nelle relazioni bilaterali in campo politico, economico, militare, securitario e culturale», come recitava la nota congiunta diramata al termine di un incontro tra il “sultano” e l’erede al trono saudita nel giugno dello scorso anno.

Un riavvicinamento tra Turchia e Siria?Negli ultimi mesi, inoltre, Ankara e Riad hanno manifestato la propria volontà di riallacciare le relazioni con il governo della Siria, che pure i due fronti hanno tentato per anni di rovesciare sostenendo l’insorgenza jihadista.
Mentre i contatti tra gli emissari turchi e quelli siriani sono già iniziati, il possibile riavvicinamento tra i due vecchi alleati ha destato la preoccupazione degli Stati Uniti, del Regno Unito, di Israele e dell’Unione Europea, che starebbero esercitando forti pressioni su Erdogan affinché blocchi la normalizzazione con Damasco.

Certamente, il percorso verso la riconciliazione tra Ankara e Damasco sembra tutt’altro che semplice. La Turchia infatti occupa militarmente una vasta porzione del territorio della Siria settentrionale e sostiene (e manovra) vari gruppi dell’opposizione armata jihadista al regime di Assad, per lo più riuniti nel cosiddetto Esercito Nazionale Siriano. Inoltre la Turchia ospita più di 3 milioni di rifugiati siriani, molti dei quali sono stati colpiti dal terremoto del 6 febbraio.

Nei giorni scorsi, comunque, il ministero degli Esteri turco ha convocato l’ambasciatore di Washington Jeff Blake per chiedergli chiarimenti in merito alla visita compiuta il 4 marzo dal capo dello Stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, il generale Mark Milley, nella base militare statunitense di Al Tanf, nel nord-est della Siria vicino al confine con Giordania e Iraq. Il generale statunitense ha visitato a sorpresa l’installazione militare – occupata nel territorio siriano contro la volontà del governo del paese – dopo una missione in Israele.
In Siria operano un migliaio circa di militari statunitensi, che l’amministrazione Biden sembra intenzionata a mantenere per contrastare l’influenza nel paese delle forze fedeli all’Iran.
Secondo i media turchi, il rappresentante turco ha denunciato l’incontro tra il generale Milley e i dirigenti delle Forze Democratiche Siriane a guida curda. – Pagine Esteri

5858811* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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PAKISTAN. Attacco suicida, almeno nove soldati morti


Un attentatore lancia una motocicletta con esplosivo contro un autobus nella provincia del Balochistan, uccidendo almeno nove membri di una forza paramilitare. L'articolo PAKISTAN. Attacco suicida, almeno nove soldati morti proviene da Pagine Esteri. ht

BREAKING NEWS |

della redazione –

Pagine Esteri, 6 marzo 2023 – Almeno nove soldati della forza paramilitare del Balochistan Constabulary sono stati uccisi e diversi feriti in un attacco suicida nella provincia del Balochistan, nel sud-ovest del Pakistan.

Un attentatore suicida in sella a una motocicletta ha colpito pullman su cui viaggiavano i militari, di ritorno da una mostra locale durante la quale avevano fornito il servizio di sicurezza previsto. L’autobus è esploso, uccidendo nove militari e ferendone almeno altri 7.

I gruppi armati di etnia beluci hanno combattuto il governo per decenni, accusandolo di sfruttare le ricche risorse minerarie e di gas del Belucistan.

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Il Governo britannico presenta la sua nuova privacy: meno burocrazia e più impresa. Così, stando a quanto dichiarato nel comunicato stampa che accompagna la presentazione della nuova proposta normativa in materia di protezione dei dati personali a Westminster. L’obiettivo dichiarato dell’esecutivo guidato da Rishi Sunak è ridurre le pratiche burocratiche inutili per le aziende e...


Governo Meloni a Cutro: dopo il danno, la beffa!


Con il pesante volgare accento romanesco che le sfugge quando è eccitata o vuole fare invettive, la signora Meloni, ai giornalisti assiepati a Cutro, che non hanno potuto domandarle nulla finora, perchè sfuggente e inafferrabile, dopo vari giorni (ormai quattro, se non sbaglio) dalla morte di oltre 70 persone a pochi metri dalla riva della […]

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News da Marte #12 | Coelum Astronomia

"Dopo alcuni mesi di assenza da queste cronache è il momento di raccontare cosa sta facendo Curiosity, impegnato in nuove scoperte ed esplorazioni."

coelum.com/articoli/news-da-ma…

#12


Perché il sabotaggio prende sempre più piede nella guerra in Ucraina


L’8 febbraio, il giornalista statunitense vincitore del Premio Pulitzer Seymour Hersh ha pubblicato un articolo che descrive in dettaglio il ruolo degli Stati Uniti e della Norvegia nelle esplosioni del gasdotto Nord Stream del 26 settembre 2022. I funzionari statunitensi hanno negato i risultati , mentre la Russia, che in precedenza aveva accusato il Regno […]

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Leonardo accelera ancora sull’utile e riduce il debito


Dopo un 2021 che ha sancito il ritorno al dividendo, Leonardo chiude un altro bilancio all’insegna dell’utile. Il gruppo dell’aerospazio, guidato da Alessandro Profumo, ha infatti archiviato il 2022 con un risultato netto positivo per 932 milioni (+58,5%

Dopo un 2021 che ha sancito il ritorno al dividendo, Leonardo chiude un altro bilancio all’insegna dell’utile. Il gruppo dell’aerospazio, guidato da Alessandro Profumo, ha infatti archiviato il 2022 con un risultato netto positivo per 932 milioni (+58,5% sul 2021). Si tratta di un deciso allungo rispetto all’anno precedente, quando i profitti sfiorarono i 600 milioni, consentendo a Piazza Monte Grappa di tornare a staccare la cedola agli azionisti.

A spingere i conti di Leonardo, il buon andamento degli ordini, pari a 17,3 miliardi (+21%) e i ricavi, che in un anno non certo facile per la congiuntura internazionale, hanno accelerato a 14,7 miliardi (+4,7%). L’ebitda, ovvero il margine operativo dell’azienda, è stato pari a 1,2 miliardi (+14,9%) mentre il free cash flow è schizzato a quota 539 milioni (+186,7%). Ma le buone notizie non sono finite. Al netto delle poste in crescita, c’è infatti da registrate un contenimento del debito, sceso a 3 miliardi, in ripiegamento del 3,4% sul 2021 e in linea con il trend indicato nei piani industriali del gruppo.

In attesa di capire la reazione dei mercati (oggi il titolo a Piazza Affari è rimasto tutto sommato piatto), ora è tempo di aggiornare la guidance. In tal senso l’ex Finmeccanica stima per il 2023 ordini a 17 miliardi circa e ricavi tra 15 e 15,6 miliardi con un Ebitda compreso tra 1,2 e 1,3 miliardi e un indebitamento in ulteriore diminuzione a quota 2,6 miliardi. Piazza Monte Grappa inoltre prevede ordini cumulati 2022-2026 a circa 90 miliardi (contro gli 80 miliardi piano precedente).

Soddisfatto il ceo Profumo, che guida Leonardo dal marzo del 2017, dopo le precedenti esperienze al vertice di Unicredit e Monte dei Paschi. “La performance positiva conseguita da Leonardo nel 2022 è il frutto di una visione di lungo periodo che ha permesso all`azienda di rafforzare la propria competitività in uno scenario internazionale di grande incertezza”, ha esordito, commentando i conti del gruppo. “Evoluzione industriale, solidità finanziaria, crescita commerciale sui mercati, sostenibilità sono all’origine di questi risultati. Abbiamo raggiunto o superato ancora una volta gli obiettivi prefissati, abbiamo aumentato strutturalmente e in maniera decisa la generazione di cassa, con un free cash flow di 539 milioni di euro, più del doppio rispetto allo scorso anno”.

Non è tutto. “Grazie alla significativa generazione di cassa e alle cessioni dei business di Leonardo Drs (la vendita del business Global Enterprise Solutions a Ses per un importo pari a 450 milioni di dollari, ndr) abbiamo ridotto l’indebitamento e al tempo stesso rafforzato il core business attraverso l’acquisto del 25,1% di Hensoldt e il consolidamento di Rada in Leonardo Drs. Questi risultati ci permettono di proporre agli azionisti il pagamento di un dividendo pari a 0,14 euro per azione anche per questo esercizio (anche nel 2021 la cedola ebbe lo stesso importo, ndr)”.


formiche.net/2023/03/leonardo-…



Usa e Arabia Saudita si esercitano contro i droni (dell’Iran)


Gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita sono al lavoro per avviare la loro prima esercitazione sperimentale anti-drone congiunta, prevista per metà marzo. In un clima che vede gli Stati Uniti in crescente tensione con l’Iran, le esercitazioni mirano a dar prov

Gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita sono al lavoro per avviare la loro prima esercitazione sperimentale anti-drone congiunta, prevista per metà marzo. In un clima che vede gli Stati Uniti in crescente tensione con l’Iran, le esercitazioni mirano a dar prova dell’efficacia della tecnologia occidentale di contrasto ai droni; anche in chiave anti-cinese, vista la competizione per assicurarsi un sempre maggiore vantaggio tecnologico anche nel settore della Difesa. “Non dobbiamo sorprenderci se i partner regionali continueranno ad acquistare materiale cinese”, ha dichiarato il mese scorso a Washington il capo delle forze aeree dello United States Central Command (Centcom), Alex Grynkewich.

Le prossime esercitazioni

Stando ai funzionari americani, esercitazioni successive a Red Sands vedranno anche la partecipazione e il dispiegamento di altre forze armate mediorientali partner statunitensi. Tali simulazioni rientrano nella serie di esercitazioni difensive pensate dal Centcom dopo un parziale ritiro dei sistemi di difesa aerea del Pentagono dal Medio Oriente. L’obiettivo è adattarsi e trovare nuove soluzioni di sicurezza davanti ai rapidi progressi di Teheran registrati negli ultimi anni nella guerra con i droni.

Il ruolo dei droni iraniani

A più di tre anni da quando i missili e droni iraniani guidati hanno colpito le strutture petrolifere della Saudi Aramco ad Abqaiq e Khurays, i funzionari della Difesa statunitense hanno riconosciuto che l’affidamento a dimostrazioni di forza convenzionali non è riuscito a dissuadere gli attacchi. La scelta è ricaduta sull’Arabia Saudita anche per le sue vaste zone di deserto aperto, lontano dai centri urbani, dove si possono sperimentare armi di difesa aerea anche a energia diretta.

Il nuovo simulatore

Secondo quanto spiegato dal quotidiano americano, l’energia diretta però non entrerà in gioco già a marzo, ma soltanto a partire dalle prossime esercitazioni. Gli ufficiali dell’esercito Usa presenteranno invece alle loro controparti saudite un nuovo simulatore computerizzato sviluppato lo scorso anno. Tale simulatore, chiamato Interim platform agnostic counter-Uas training tool (Impact), è stato progettato proprio per addestrare il personale a rispondere agli attacchi di droni ostili.

Austin in Medio Oriente

Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, arriverà a fine settimana in Medio Oriente, con lo scopo di dare seguito agli sforzi dell’amministrazione Biden per convincere i militari arabi a condividere le informazioni e a cooperare per la creazione di una rete di difesa aerea a livello regionale, per proteggersi meglio da eventuali minacce iraniane. Le sanzioni da parte dell’Occidente non sono infatti ancora riuscite a ostacolare le catene di approvvigionamento dell’Iran, necessarie per continuare a espandere il suo arsenale di missili convenzionali e droni.

Foto Twitter/CentCom


formiche.net/2023/03/usa-arabi…



Quo vado per il procurement europeo della Difesa? Risponde Braghini


Un passo avanti di rilievo nella Difesa europea – l’acquisto coordinato di prodotti per la Difesa – è stato un punto all’ordine del giorno alla riunione informale dei ministri della Difesa Ue, presieduta dalla presidenza svedese di turno al Consiglio. Una

Un passo avanti di rilievo nella Difesa europea – l’acquisto coordinato di prodotti per la Difesa – è stato un punto all’ordine del giorno alla riunione informale dei ministri della Difesa Ue, presieduta dalla presidenza svedese di turno al Consiglio. Una dimostrazione della rinnovata e accelerata condivisione e prioritarizzazione della Difesa in ambito europeo spinta dal conflitto in Ucraina.

Servono meccanismi comuni

Il punto riguarda, in una più ampia prospettiva, l’emergenza recentemente espressa dal primo ministro estone Kaja Kallas e dall’Alto rappresentante Josep Borrell, e in precedenza ancora dal Commissario Thierry Breton, circa la necessità di adottare meccanismi per acquisti in comune di munizionamento a supporto dell’Ucraina, rifornire le scorte dei Paesi Ue e aumentare le capacità di produzione in Europa.

Ruolo della Commissione

In questo scenario si attende che la Commissione europea presenti una proposta che dovrebbe comportare una spesa di un miliardo di euro (rispetto a una necessità di quattro miliardi) utilizzando lo strumento dell’European peace facility (Epf), già rifinanziato ed esteso nell’area di applicazione. È bene osservare però che si tratta sempre di contributi governativi esterni al bilancio comunitario. I vincoli del Trattato al procurement per la Difesa rimangono invece in vigore.

La ricerca dello strumento adatto

Il dibattito ha fin dall’inizio sortito diverse opzioni sul meccanismo di acquisto, come l’Eu Emergency support instrument, utilizzato durante l’epidemia per prestiti e acquisti in comune, stoccaggio e distribuzione di vaccini. In merito, si ricorda anche il Joint procurement agreement di dieci anni fa, relativo all’autorizzazione per i Paesi membri a prestiti per acquisti in comune e volontari per contromisure medicali volte a fronteggiare minacce cross-border per la salute, richiamando la crisi per emergenza sanitaria prevista dai Trattati Ue.

Un dibattito di vecchia data

Il procurement in comune nella Difesa non è una novità essendo stato dibattuto tra Nazioni, Agenzia europea di Difesa (Eda), imprese e la Commissione europea con una linea guida sul common procurement della Direttiva Difesa. In sede Nato, i Paesi membri utilizzano l’agenzia Nspa per acquisti in comune, che riguardano in genere le munizioni. Mentre in sede intergovernativa Ue, i Paesi membri utilizzano l’Eda come stazione centrale appaltante secondo le regole europee, con gli Eda Joint arrangements per contratti framework multiannuali; quali varie tipologie di equipaggiamenti svedesi, e altre iniziative in aree come l’Industrial emissions directive (Ied), il training, i servizi di logistica per i Battlegroups. È evidente in tale contesto l’obiettivo di coordinare e consolidare la domanda.

Nuova lista per gli acquisti in comune

La Defence joint procurement task force ha recentemente presentato una lista di sette differenti categorie di equipaggiamenti per un possibile acquisto in comune, in un percorso di mappatura delle capacità produttive, identificazione degli squilibri tra domanda e offerta, identificazione delle aree per un ramp-up.

Con l’incentivazione della cooperazione tra i Paesi, il sentiero potrebbe forse proseguire delineando nuovi modelli o dispositivi di cooperazione flessibili in campo normativo e finanziario. La situazione odierna è fluida, dibattuta e condivisa tra le istituzioni comunitarie e intergovernative, nell’attesa delle prossime decisioni che saranno prese dai Paesi membri.

(Foto: Swedish Presidency of the Council of the EU)


formiche.net/2023/03/common-pr…



Con Speed up lab Poggipolini punta all’innovazione (anche) in Difesa


Tutto pronto per la nascita di Speed up lab nel cuore dell’Emilia. Si tratta dell’iniziativa di Poggipolini, azienda specializzata in componenti in titanio e riconosciuta per aver trasformato le viti in dispositivi intelligenti, attiva in diversi settori,

Tutto pronto per la nascita di Speed up lab nel cuore dell’Emilia. Si tratta dell’iniziativa di Poggipolini, azienda specializzata in componenti in titanio e riconosciuta per aver trasformato le viti in dispositivi intelligenti, attiva in diversi settori, dalla Difesa e dell’aerospazio. L’idea alla base del nuovo spazio, nato all’insegna dell’innovazione, è di mettere a disposizione del territorio capacità industriali e competenze. Dal know-how all’open innovation, il lab sarà aperto anche ai partner che puntano a sviluppare innovazioni disruptive. Così l’azienda emiliana vuole promuovere anche la sinergia tra Pmi nazionali, mossa dall’idea che queste realtà dovrebbero lavorare in ottica di filiera, così da non restare soli nell’affrontare mercati tanto mutevoli. Grazie al coinvolgimento di stakeholder del territorio, Poggipolini punta a sviluppare nuovi “Proof of concept” (Poc) con l’idea che diventino dei driver di sviluppo futuri.

Una casa per l’innovazione

Lo Speed up lab opererà principalmente su tre diverse direttive: il settore della Difesa e dell’aerospazio; la e-mobility che sfrutta l’elettricità come principale fonte di energia; e la cyber-security a livello trasversale, un settore ancora lontano per l’azienda ma fondamentale per la futura crescita. “Gli obiettivi che ci siamo prefissati riguardano la realizzazione di motori elettrici ad alta prestazione, l’elaborazione di supercapacitori (nuova tecnologia legata al tema delle batterie) e la produzione in additive manufactoring di componenti strutturali leggeri in applicazioni d’avanguardia per aerospazio, motorsport, guida autonoma e flying taxis”, ha spiegato il ceo di Poggipolini, Michele Poggipolini.

Le partnership

Per dar vita alle molte iniziative che verranno in futuro promosse dal nuovo lab, Poggipolini ha stretto due partnership-chiave. La prima con Roboze, società italo americana che produce stampanti 3d ad alte prestazioni, con cui lavorare in sinergia su diverse tecnologie e mercati di riferimento. Mentre la seconda, stretta con Sens-In – il progetto di Poggipolini di venture building con Gellify Group – sarà rivolta a sviluppare sensori e Intelligenza artificiale. La terza partnership, invece, verterà sull’elettrico. Non solo, accanto a questi partner se ne affiancano altri provenienti anche dal mondo accademico, come la Bologna Business School e l’Università di Bologna. In questo modo Poggipolini punta a valorizzare la Future valley emiliana, che vuole diventare un punto di riferimento tecnologico.

Speed Up lab

Il lab si trova in un’area di 20mila metri quadri nel Centre of Excellence, realtà che raccoglie le innovazioni di processo e di industrializzazione che guideranno la futura crescita dell’azienda, che si trova di fronte al nuovo impianto produttivo dell’azienda basato sulla tecnologia High speed hot forging con il marchio registrato Smart fasteners factory. Si tratta di una linea completamente automatizzata per produrre viti in titanio in alta velocità, passando così da una vite al minuto al produrne cento nello stesso lasso di tempo ampliando le possibilità commerciali.

Poggipolini tra i migliori fornitori di Leonardo

Poggipolini inoltre è stata premiata da Leonardo pochi giorni fa a Roma con il conferimento del Supplier award 2022, nella categoria Vision for growth. Il riconoscimento, riservato ai migliori fornitori dell’azienda di piazza Monte Grappa, riconosce un percorso di investimenti continui in innovazione e tecnologia, che hanno permesso di sviluppare proprio l’High speed hot forging, che sta permettendo a Poggipolini di passare dagli elicotteri al settore degli aerei commerciali.


formiche.net/2023/03/poggipoli…



Perché il sabotaggio prende piede sempre più nella guerra in Ucraina


L’8 febbraio, il giornalista statunitense vincitore del Premio Pulitzer Seymour Hersh ha pubblicato un articolo che descrive in dettaglio il ruolo degli Stati Uniti e della Norvegia nelle esplosioni del gasdotto Nord Stream del 26 settembre 2022. I funzionari statunitensi hanno negato i risultati , mentre la Russia, che in precedenza aveva accusato il Regno […]

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Il veto della Turchia: perché Erdogan sta bloccando l’adesione di Finlandia e Svezia alla NATO


La Finlandia e la Svezia si sono avvicinate alle istituzioni occidentali nell’era successiva alla Guerra Fredda e l’adesione all’UE nel 1995 ha significato che Stoccolma ed Helsinki hanno finalmente abbandonato le loro politiche di neutralità. Entrambi i paesi sono rimasti militarmente non allineati, ma la cooperazione con la NATO è aumentata attraverso il programma Partenariato […]

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Se la bandiera dell’Europa sventola a Tblisi


Ieri è girato molto il video di una donna nel fuoco delle proteste di Tblisi, Georgia, mentre sventolala bandiera d’Europa. I georgiani stanno manifestando contro una legge in discussione al Parlamento e ricalcata su quella russa che ha consentito a Vladi

Ieri è girato molto il video di una donna nel fuoco delle proteste di Tblisi, Georgia, mentre sventolala bandiera d’Europa. I georgiani stanno manifestando contro una legge in discussione al Parlamento e ricalcata su quella russa che ha consentito a Vladimir Putin di chiudere i giornali e mandare in galera giornalisti e blogger a lui ostili. Putin, nel nostro disinteresse, ha invaso la Georgia nel 2008, quattordici anni prima di invadere l’Ucraina, s’è preso l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia, ne ha riconosciuto l’indipendenza e ne ha fatto roba sua.

Da allora, l’Unione europea valuta l’ammissione della Georgia, con le sue classiche infinite cautele, e il terrore della gente in piazza è di finire nelle grinfie russe. Non voglio rifare qui la storia della Georgia, voglio soltanto ricordare rapidamente Mikheil Saakashvili, il più celebre e discusso leader europeista georgiano, uno che Putin disse di volere vedere “appeso per le palle”. Ora è in carcere, dove pochi mesi fa un avvocato lo trovò coperto di lividi e con tracce di avvelenamento nel sangue. Così va il mondo, non soltanto dove s’allunga l’ombra di Putin, ma dove s’allunga va così, sempre.

Le Georgia è ancora più lontana dell’Ucraina, è al di là del Mar Nero, sopra le estremità orientali della Turchia e sopra l’Azerbaijan. E da così lontano, abbiamo visto quella donna sventolare la bandiera d’Europa, mentre la polizia cercava di respingerla con gli idranti. Lei è riuscita a evitare il getto, e poi un gruppo di uomini l’ha accerchiata per proteggerla e permetterle di tenere alta la bandiera. E io pensavo che così, da noi, non l’ho vista sventolare mai.

La Stampa

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The Green/Digital/Society è una conferenza che riunisce attori chiave che discutono di ecologia, tecnologia, diritti umani e politica in Europa.

@Pirati Europei

La crisi climatica e l'ascesa della tecnologia dell'informazione sono profondamente intrecciate , sebbene ci siano pochissime discussioni pubbliche su questa relazione. La grande tecnologia nega, è troppo seria per i media mainstream e i governi non ne sono consapevoli o ne sono corrotti.

Sebbene la tecnologia sia spesso promossa come la soluzione ai problemi ambientali, le prove dimostrano che la sua crescita vertiginosa, la produzione di massa di dispositivi e infrastrutture, la massiccia raccolta di dati e il capitalismo della sorveglianza estraggono duramente risorse dalla Terra, creando conflitti umani su terra, acqua, energia e informazioni .

Se sei un attivista per i diritti ambientali o digitali, un ricercatore, un decisore politico, un membro della comunità o semplicemente un essere umano preoccupato della regione SEE o dell'Europa, unisciti alla discussione sulle sfide attuali e sui potenziali piani di difesa per il futuro su questioni all'intersezione della politica verde , diritti umani e tecnologia.

Qui il programma con più informazioni sull'evento

Domande: info@sharedefense.org




Tra le prime 104 adesioni personalità del mondo della cultura come Salvatore Settis, Tomaso Montanari, Citto Maselli e Gad Lerner, e dello spettacolo, come Ire