In Cina e Asia – Xi a Mosca: La Cina è dalla parte della pace”
Xi a Mosca: La Cina è dalla parte della pace"
La Russia risponde alla visita di Kishida in Ucraina
Gli Usa hanno condiviso intelligence con l'India durante gli scontri con la Cina
Hong Kong tra censura e arresti
Esercitazioni militari tra Cina e Cambogiano
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PRIVACY DAILY 74/2023
COLOMBIA. Progressi e difficoltà della “Pace totale” del presidente Petro con le formazioni armate
dell’Agenzia DIRE
(Membri del Clan del Golfo colombiano in una foto dal sito infobae.com)
Pagine Esteri, 22 marzo 2023– Il Clan del Golfo, “l’organizzazione erede del paramilitarismo”, si sta dimostrando come previsto l’ostacolo più duro da affrontare per il governo del presidente Gustavo Petro nell’ambito della sua politica di ‘Pace totale’. Questo processo però “rappresenta una sfida enorme e necessaria e deve andare avanti”. L’analisi e l’auspicio sono del giornalista colombiano Eduardo Celis Mendez, ascoltato dall’Agenzia Dire dopo che il capo dello Stato ha reso nota la sospensione del cessate il fuoco bilaterale con il Clan del Golfo, uno dei tre gruppi militari con cui il governo aveva raggiunto una tregua a partire dallo scorso dicembre.
Petro ha comunicato la decisione al termine di un consiglio di sicurezza che si è svolto nel Bajo Cauca, sottoregione del dipartimento settentrionale di Antioquia, epicentro da oltre due settimane di una mobilitazione dei minatori denominata “Paro minero” che secondo il governo sarebbe finanziata e fomentata dal Clan. A determinare la rottura della tregua, primo passo della “Paz total” (la pace totale) al centro delle politiche del governo, un attacco “contro le forze di polizia” denunciato da Petro su Twitter. Stando a quanto riferito da media locali tra cui il quotidiano El colombiano, un attentato contro la forza pubblica si è verificato nel fine settimana lungo la strada che unisce Tarazà a Valdivia, località situate più di 100 chilometri a nord di Medellin, capoluogo di Antioquia e seconda città della Colombia. “Il Clan del Golfo è accusato dal governo di aver dirottato la mobilitazione dei minatori, che è reale”, spiega Mendez, consulente del think tank colombiano Fundacion Paz y Reconciliación, residente nella capitale Bogotà.
La milizia al centro dello scontro con il governo di Bogotà è stata fondata intorno al 2005 da ex dirigenti paramilitari e soprattutto dell’organizzazione armata nota come Autodefensas Unidas de Colombia (Auc), fra le protagoniste della fase più recente del conflitto che affligge la Colombia almeno dagli anni ’60. In una nota, il Clan ha respinto le accuse del governo, affermando di operare “con umilità, ma con dignità, in difesa degli interessi del popolo che ci ha appoggiato durante tutta la nostra esistenza”. L’organizzazione ha chiarito però di “continuare a essere interessata al processo di pace che porta avanti il governo, come dimostrato dalla recente nomina di una squadra di avvocati” per poter partecipare al processo che rientra nella definizione di Paz total.
“La mediazione con questo gruppo è molto complessa – premette però il giornalista interpellato dalla Dire – perché si tratta di una rete di organizzazioni criminali il cui obiettivo centrale è trovare risorse tramite il traffico di stupefacenti, le attività minerarie illegali e l’estorsione ai danni delle attività commerciali”. Esiste quindi “un interesse affinché anche il Clan del Golfo entri nel solco della giustizia e si è disposti a facilitarlo con alcune concessioni sul piano finanziario e penale”. Ma la situazione, ribadisce il consulente, “non è semplice”.
Diverso il discorso relativo agli altri due gruppi con cui si stanno portando avanti i negoziati della Paz Total, nella visione di Celis Mendez. “Con l’Ejército de Liberación Nacional (Eln) il processo è più strutturato. A questa organizzazione poi si riconoscono delle istanze di ribellione politica, è aperto un tavolo negoziale, e un calendario di incontri è stato già concordato”, riferisce il cronista.
Meno agevole, ma comunque in uno stato più avanzato di quello embrionale, il processo di avvicinamento con “quei gruppi delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc) che non hanno firmato gli accordi di pace del 2016 o che poi ne sono usciti, come l’Estado mayor central nel primo caso e la cosiddetta Segunda Marquetalia nel secondo”, prosegue il giornalista. “Ci sono una serie di problemi giuridico-legali ma soprattutto per quanto riguarda l’Estado Mayor central già sono state individuate delle figure che possano negoziare con il governo. Al momento queste persone sono in carcere ma una roadmap non è lontana dall’essere definita”. Pagine Esteri
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Fr. #23 / Di feticci e simulacri
Frammenti è la rubrica che riassume e commenta le notizie più interessanti della settimana e propone citazioni di autori famosi e meme. Un modo per restare informati con Privacy Chronicles, ma in modo leggero.
L’angelo della sorveglianza
Pare che a Napoli sia stato avviato un progetto per aiutare le vittime di minacce e stalking che prende il nome di “Mobile Angel”. È uno smartwatch con integrato un sistema di SOS e geolocalizzazione collegato alla centrale operativa del comando provinciale dei carabinieri di Napoli.
Una donna, che pare abbia ricevuto ripetute minacce di morte da parte dell’ex-marito, è la prima a possedere lo smartwatch: «Ora posso uscire più serena e tranquilla dopo mesi e mesi trascorsi rintanata in casa. Grazie a questo orologio mi sento protetta. Vero, devo rinunciare alla mia privacy, ma è un prezzo che sono disposta a pagare1»
Purtroppo la sua serenità è malriposta. Se togliamo il potere rasserenante del feticcio tecnologico, non resta molto altro. In che modo uno smartwatch con geolocalizzazione e pulsante SOS potrebbe mai aiutare la povera donna in caso di aggressione da parte dell’ex-marito?
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Il feticcio ha la stessa utilità di un santino di Padre Pio nella tasca dei pantaloni. Anzi, peggio: almeno il santino di Padre Pio non è uno strumento di sorveglianza e monitoraggio governativo.
Ma ancor più grave dell’irrazionalità, comprensibile, della povera donna, è la diffusione da parte delle istituzioni e dei mass media di un messaggio completamente fuorviante: “lo smartwatch contro i femminicidi”? Non scherziamo.
Perché convincere le persone a rinunciare alla loro privacy in cambio di un aberrante e infondato senso di sicurezza? Forse perché è molto più comodo avere una popolazione psicologicamente fragile, impaurita e sorvegliata che una popolazione di persone che rifiutano la sorveglianza e sanno difendere se stessi e il prossimo dalle aggressioni (di chiunque).
Volete fare il bene di queste donne? Insegnategli a sparare e date loro una licenza per portare armi da fuoco nella borsa.
Murabba, il nuovo ghetto hi-tech da 15 minuti
Pare che l’idea delle città da 15 minuti sia arrivata anche in Arabia Saudita. Da qualche tempo infatti gira voce che nelle capitale, Riyadh, vogliano costruire un nuovo e scintillante centro città che offra tutto ciò di cui hanno bisogno le persone a una comoda distanza di 15 minuti a piedi o in bici. Il tutto corredato da modernissimi e fichissimi mezzi pubblici.
Al centro del nuovo quartiere, che sarà di circa 19 km quadrati, un inquietante cubo 400x400 metri chiamato Mukaab. Un simulacro dell’ingegneria sociale che dovrebbe essere completato entro il 2030. Al suo interno centri commerciali, musei, e tante altre splendide distrazioni di massa.
Sarò sincero: sembra una trovata di marketing da parte di qualche fondo d’investimento con troppi soldi da riciclare. Non dubito però che una proposta del genere possa avere un certo appeal al giorno d’oggi. Chi non vorrebbe vivere in un quartiere iper tecnologico, super sorvegliato e pieno di sbrilluccicanti distrazioni utili a non pensare e spendere il più possibile?
Sempre sulle città da 15 minuti
Sempre sulle città da 15 minuti ho recentemente fatto un’intervista andata in onda la scorsa settimana su Lombardia TV. Per chi volesse vederla in differita è disponibile adesso anche online, basta cliccare qui.
Abbiamo parlato di diverse cose attinenti allo stato della sorveglianza di massa nel mondo e delle implicazioni per la nostra libertà. È un’oretta di discussione piacevole con Luigi Degan.
Meme del giorno
Citazione del giorno
“A man that flies from his fear may find that he has only taken a short cut to meet it.”
― J.R.R. Tolkien
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Articolo consigliato
Effetto Panopticon e autosorveglianza
In un mondo in cui la sorveglianza di massa è sempre più pervasiva, sistematica e normale spesso dimentichiamo l’impatto psicologico che questo monitoraggio costante, sia online che offline, ha su tutti noi. Ancor più spesso, sottovalutiamo le conseguenze che questa ha nella…
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4 days ago · 7 likes · Matte Galt
Virgolettato preso da questo articolo di Open. Onestamente mi sembra una citazione inventata di sana pianta per far passare un certo messaggio, ma sicuramente mi sbaglio.
Ucraina: Xi Jinping va da Putin, ma Biden vieta la pace
Leggevo della notizia, semplicemente orrenda, di quel giovane napoletano che ha ucciso un suo coetaneo l’altro giorno perché quest’ultimo gli aveva sporcato una scarpa pulitissima bianca, forse comprata con i soldi di mammà! Un orrore insormontabile, specie se è visto in contemporanea alla volgarità, alla rozzezza, all’oscurantismo, alla cultura da postribolo, alla disgustosa espressione sempre […]
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Ucraina vs Russia: guerra e pace secondo ChatGPT
Qualche giorno fa, mi è venuta l’idea di verificare cosa aveva da dire il ChatGPT basato sull’intelligenza artificiale sulle questioni relative alla guerra in Ucraina. Devo dire che le sue risposte sono state una piacevole sorpresa dal punto di vista che mi sta a cuore: la pace. Ecco cosa ho chiesto e cosa mi ha risposto in un […]
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Holodomor: come la politica di collettivizzazione di Stalin ha ucciso milioni di ucraini
L’anno 1933 è passato alla storia come l’anno della scarsità in tutto il mondo e l’anno di Adolf Hitler. Per le strade delle città americane ed europee, molte persone hanno perso il lavoro a causa della Grande Depressione del 1929-1933. I cittadini attendevano in fila per ore per i beni di prima necessità: pane, farina, […]
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Calenda in Fondazione per parlare di separazione delle carriere: “Sono favorevole, è un principio di civiltà giuridica”
“La separazione delle carriere e ovviamente la separazione dei CSM rappresentano un principio di civiltà giuridica: chi indaga non può essere collega di chi ti giudica. È fondamentale per passare in questo paese da una cultura della magistratura contro l’imputato a un confronto per verificare la verità processuale e arrivare a una decisione giusta”, è quanto ha affermato Carlo Calenda nel corso del dibattito sostenuto nel pomeriggio con il presidente della Fondazione Luigi Einaudi Giuseppe Benedetto, che si è svolto a Roma presso la sede della Fondazione.
Un incontro che si inserisce nell’ambito di una serie di confronti che la Fondazione Luigi Einaudi ha avviato con tutti i leader delle forze politiche per affrontare il tema cruciale, relativo alla riforma della Giustizia, della separazione delle carriere dei magistrati.
Incalzato dal Segretario Generale Andrea Cangini, in merito alla proposta della FLE di eleggere una Assemblea di cento competenti, indicati dai partiti, per riformare la seconda parte della Costituzione, Calenda si è detto favorevole pur riscontrando però “un clima politico di conflitto permanente” che non agevola una soluzione. Il leader di Azione si è comunque detto disponibile ad aprire un dialogo, e a cercare punti di raccordo, con la maggioranza. Come, ad esempio, in merito al fisco, “è ragionevole – ha detto Calenda – che il Terzo Polo trovi una convergenza con la maggioranza sulla riforma fiscale in generale, e in particolare sullo Statuto contribuente, perché è praticamente la stessa riforma fatta da Draghi. L’unico problema è che c’è la flat tax, e se diventa la battaglia della flat tax, allora no. Ma credo che sulla riforma fiscale ci sia margine di lavoro”, ha concluso.
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Il mandato d’arresto per Putin segna una pietra miliare
Il mandato d’arresto del presidente russo Vladimir Putin per crimini di guerra segna una pietra miliare nella storia del diritto internazionale umanitario e una svolta nel conflitto in Ucraina. Qualunque disinformazione la Russia ei suoi alleati possano voler diffondere, qualunque confusione e dubbio gli oppositori politici della solidarietà con l’Ucraina possano tentare di schierare, le […]
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Due nuove monete targate Aeronautica. Tutto pronto per il centenario
L’Aeronautica Militare compirà i suoi primi cent’anni il 28 marzo 2023 e, per celebrare l’occasione, l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha coniato due monete celebrative appositamente dedicate alla Forza armata. Le due monete, da due e da cinque euro, entrano così a far parte della Collezione Numismatica 2023, identificabili sotto la denominazione “Cento anni dell’Aeronautica militare” e, a partire da oggi, verranno emesse ufficialmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Le monete celebrative
La prima moneta commemorativa coniata in occasione del centenario ha valore di due euro, a corso legale in tutti gli Stati membri dell’Unione e a circolazione ordinaria. Sono stati realizzati in totale tre milioni di esemplari, per un valore nominale di sei milioni di euro. La moneta si presenta anche nella sua versione da collezione, ha valore nominale di due euro ed è disponibile sia in versione Proof sia in Fior di Conio, con una tiratura rispettivamente di 13mila e 15mila pezzi, a cui si aggiunge il rotolino da 25 pezzi Fior di Conio in 10mila pezzi. La seconda moneta ha valore nominale pari a cinque euro ed è anch’essa disponibile in versione Proof con una tiratura di 5mila pezzi in totale.
La fase di realizzazione
L’autore, in entrambi i casi, è stato l’artista incisore della Zecca dello Stato, Valerio De Seta, che ha realizzato le facce nazionali delle due monete. Per quanto concerne il processo di coniatura vero e proprio, alcune monete sono state simbolicamente coniate dagli stessi vertici dell’Aeronautica militare, che si trovavano in visita all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato nei giorni scorsi con l’obiettivo di assistere in prima persona al processo di realizzazione delle monete celebrative. A capo della delegazione di ufficiali che ha partecipato alla visita si trovavano il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, Luca Goretti, e il sottocapo di Stato maggiore, Aurelio Colagrande. Insieme a loro, erano anche presenti il capo del quinto reparto Comunicazione della Forza armata, generale Giovanni Francesco Adamo e il generale ispettore capo nonché presidente del “Comitato centenario dell’Aeronautica militare”, Basilio Di Martino.
Il Centenario dell’Aeronautica militare
La data del prossimo 28 marzo segnerà infatti l’importante anniversario dalla costituzione dell’Aeronautica militare. Quel giorno di cent’anni fa, infatti, i servizi aeronautici precedentemente inquadrati nelle altre Forze armate ottennero la loro autonomia, con la denominazione di Regia aeronautica. Da allora, le forze aeree del nostro Paese sono state protagoniste di tutti i principali eventi per l’Italia, dalla terribile prova della Seconda guerra mondiale, fino alle operazioni di Air policing dei cieli della Nato.
I numeri del rapporto Nato 2022 tra Ucraina, opinione pubblica e spese per la difesa
Martedì il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha pubblicato il rapporto annuale per il 2022. “Siamo entrati in un’epoca di competizione strategica”, si legge nel documento. “Le potenze autoritarie stanno sfidando il sistema internazionale basato sulle regole”, con gli esempi dell’aggressione russa all’Ucraina e la crescente assertività cinese, mentre permangono minacce come il terrorismo, gli attacchi informatici e le ricadute sulla sicurezza del cambiamento climatico.
Di fronte a queste sfide, l’Europa e il Nord America sono uniti nella Nato. “Continuiamo ad adattarci a questa nuova realtà con una deterrenza e una difesa più forti e relazioni più profonde con i nostri partner in tutto il mondo. Abbiamo sostenuto l’Ucraina con circa 150 miliardi di euro di assistenza militare, umanitaria e finanziaria”, prosegue il dossier.
Tema centrale del rapporto è quello della spesa per la difesa, di cui si illustra la composizione. Il 2022 ha visto l’ottavo anno consecutivo di aumento della spesa degli alleati europei e del Canada. Dal 2021 al 2022, la spesa in difesa è aumentata del 2,2% in termini reali e, in totale, negli ultimi otto anni questo aumento ha aggiunto 350 miliardi di dollari al settore.
Nel 2022, sette alleati su trenta hanno rispettato la linea guida del 2% del Pil, un netto aumento rispetto al 2014, quando solo tre membri superavano la soglia. Un dato interessante è che gli Stati Uniti rappresentino il 54% del Pil aggregato dell’Alleanza, ma provvedano al 70% della spesa combinata. La spesa totale dell’Alleanza nel 2022 è stata stimata superiore a 1.000 miliardi di dollari.
Gli alleati hanno inoltre compiuto progressi nell’impegno a investire in nuove capacità. Queste consistono nel migliorare la prontezza, il dispiegamento, la sostenibilità e l’interoperabilità delle loro forze in linea con gli obiettivi.
Ulteriore tema analizzato dal rapporto è quello della percezione dell’Alleanza da parte dell’opinione pubblica. La Nato ha commissionato una serie di sondaggi in tutti i trenta Paesi membri tra il 7 e il 29 novembre 2022. Il principale dato che emerge è l’aumento del supporto popolare: il 70% degli intervistati voterebbe per rimanere nell’alleanza se questo fosse oggetto di referendum, otto punti in più del 2021. I risultati variano sensibilmente a seconda della geografia, con Polonia e Lituania tra i supporter più entusiasti e Slovacchia e Montenegro all’estremo opposto (pur con risultati intorno al 50%).
Collegata alla questione del supporto è la percezione di sicurezza dei cittadini. La maggioranza continua a ritenersi al sicuro nei propri confini nazionali, ma è in aumento la fetta di chi sostiene il contrario. Oltre all’aumento significativo del rischio percepito di una guerra che coinvolga la Nato, dal 15% del 2021 al 21% di oggi. Ultimo dato di grande rilevanza è la decisa scelta di proseguire il sostegno all’Ucraina, con quasi il 70% dei rispondenti favorevole o molto favorevole.
Davide Giacalone – Bambinate
Il dilemma è serio e complicato, privo di soluzioni ideali. Di certo non serve a nulla questa specie di corrida che è stata allestita, dimentica del fatto che prima dei desideri e dei capricci degli adulti vengono gli interessi dei bambini. Ci si deve occupare dei bambini, non prodursi in bambinate.
1. Senza un’apposita legge i sindaci possono incaponirsi quanto vogliono a registrare genitorialità dello stesso sesso, ma perderanno. Perché i genitori non è detto siano quelli dell’atto di registrazione (specie il padre, ma nel caso di falso e parto fuori dagli ospedali anche la madre), ma è certo che si tratta di una donna e un uomo.
2. La trascrizione è una cosa diversa, perché si tratta di recepire un atto già registrato altrove. Quindi quel bambino ha già due genitori e non trascrivendo l’atto gliene si toglie uno e forse anche due. Assurdo. Saggiamente il regolamento europeo stabilisce che un atto dell’anagrafe o di un tribunale di quale che sia Paese dell’Unione europea valga in tutti gli altri. Molto poco saggiamente, pensando agli adulti e non ai bambini, la maggioranza di destra ha voluto bocciarlo. Il che comporta una sfiducia anche nei tribunali italiani, dove numerose sono le sentenze di adozione speciale, basate sul sano principio che il bambino ha già in casa quei due “genitori” e se quello naturale finisse sotto a un treno rimarrebbe orfano totale.
Nel codice civile del 1942 (benché a governare fosse uno con figli fuori dal matrimonio) i figli “illegittimi” erano una classe inferiore, anche dal punto di vista ereditario. La cosa cadde a seguito della legge sul divorzio, del 1970. Ma si dovette attendere la riforma del 2012 perché sparisse ogni distinzione. A opporsi a tali legislazioni furono quelli che sostennero avrebbero annichilito la “famiglia tradizionale”. È una conquista della civiltà che oggi i loro eredi politici possano abbondantemente approfittare delle leggi che i loro predecessori avversarono. Magari cambino linguaggio.
3. Il difficile: se trascrivo in automatico genitorialità iscritte altrove legittimo la maternità surrogata, l’utero in affitto o, come si vuole che si dica in politicamente corretto: la gestazione per altri. a. Ritengo quella pratica inaccettabile, senza avere bisogno di chiamare in causa alcuna ragione religiosa. b. Non è accettata in gran parte dell’Ue e, semmai, anziché rigettare i regolamenti si dovrebbe provare a normare assieme. c. Ma esecrare non risolve la faccenda, perché quando si tratta di registrare o trascrivere il bambino è già nato, è già depositario di diritti (per lui no, non ci sono doveri) ed è meritevole di tutela.
Posto che non c’entra nulla questa fissazione collettiva dell’omosessualità, perché a quella pratica orrida ricorrono anche coppie etero, è qui che il dilemma diventa molto complicato. Perché se rifiuto di riconoscere quella nascita il bambino avrà comunque un genitore naturale, visto che il maschio o uno dei maschi dirà d’essere l’inseminatore e la donna o una delle donne d’essere l’inseminata, quindi,
ipocritamente, giro la pratica ai tribunali, che procederanno con l’adozione speciale in capo all’altro “genitore”. Se, all’opposto, registro in automatico introietto il risultato di un mercato sviluppatosi altrove. E non finisce, talché dovrebbero almeno provare a pensarci i commissionatori di gravidanze: nelle banche dei gameti vige l’anonimato, ma i tribunali del mondo civile vedono crescere le cause di maggiorenni che chiedono di conoscere l’identità dei genitori naturali. Che siano stati adottati o concepiti per conto terzi. E mi pare un’umana esigenza con valenza più forte di quella di chi vuole per forza un bambino. Ciò a tacere dell’epigenetica.
Muovendosi su questo terreno sconosciuto (prima non esisteva neanche la tecnica per arrivarci), sarà bene tenere a mente un principio: avere dei genitori è un diritto (talora menomato dalla cattiva sorte), avere dei figli è una possibilità, non un diritto. Serve procedere con delicatezza, non con la roncola.
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Arabia Saudita – Iran: la mediazione della Cina mette in luce politiche di sicurezza regionali imperfette
Una riconciliazione saudita-iraniana mediata dalla Cina getta potenzialmente i riflettori sulle politiche di sicurezza fondamentalmente imperfette delle potenze regionali, inclusi non solo il regno saudita e l’Iran, ma anche gli Emirati Arabi Uniti. Mentre gran parte della discussione negli ultimi anni si è concentrata sulla strategia dell’Iran di creare una linea di difesa ben oltre […]
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Russia – Cina: quattro complicazioni per il precipitoso vertice Putin-Xi Jinping
La visita di stato del Presidente cinese Xi Jinping a Mosca, iniziata lunedì e prevista per tre giorni, sarà sicuramente ricca di fasti e cerimonie. Tuttavia, il suo contenuto rimane piuttosto incerto. Il Presidente russo Vladimir Putin, in termini molto cordiali, ha invitato la sua controparte cinese durante la loro videoconversazione il 30 dicembre. Ma […]
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Mandato di arresto della CPI per Putin: fine dell’impunità russa
La decisione della Corte Penale Internazionale (CPI) di emettere un mandato di arresto nei confronti di Vladimir Putin per il suo presunto ruolo nella deportazione di bambini ucraini ha acceso un vivace dibattito. La mossa è veramente storica o meramente simbolica? Puntando il dito direttamente contro Putin, la Corte penale internazionale ha creato un’opportunità straordinaria […]
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Stato della risposta alla carestia nel Tigray
Di Duke Burbridge su TGHAT
L’ ultima settimana della distribuzione di cibo registrata nel Tigray conferma che la regione ha finalmente sperimentato il tipo di aumento della distribuzione di cibo che avrebbe dovuto verificarsi nelle settimane successive alla firma dell’accordo di Pretoria. A differenza dei picchi minori che si sono verificati da novembre, le razioni sono state distribuite ai tigrini che avevano urgente bisogno di assistenza dalla zona nord-occidentale, attraverso la zona centrale, alla zona orientale e giù attraverso la zona sud-orientale e meridionale. L’intera regione sarebbe sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo di distribuzione di sei settimane, se non fosse per il fatto che diverse aree del Tigray rimangono sotto assedio da parte dell’esercito eritreo, delle forze regionali di Amhara e della milizia di Fano. Tuttavia, a causa del continuo uso della guerra d’assedio nel Tigray e di altri fattori, circa 1,6 milioni di persone non hanno ancora accesso all’assistenza alimentare di base.
Il grafico sottostante mostra lo stato attuale della risposta alla carestia nel Tigray. Il rosso rappresenta il numero di persone nel Tigray che hanno urgente bisogno di assistenza alimentare esterna. Questo è fissato a 5,3 milioni. Qualsiasi rosso visibile nel grafico riflette il numero di tigrini che muoiono di fame senza accesso ad aiuti alimentari esterni.
Il giallo rappresenta il numero di persone che hanno ricevuto una razione di cibo nelle ultime sei settimane. Questo è il periodo di tempo in cui una razione alimentare standard è progettata per fornire al beneficiario il 63% del suo fabbisogno calorico 1 Spesso viene fornita una razione inferiore, ma il cluster alimentare si impegna a ripulire i dati del conteggio. . All’8 marzo, poco più di 4 milioni di persone nel Tigray avevano ricevuto una razione di cibo nelle ultime sei settimane. Questo è il secondo più alto totale di sei settimane negli ultimi due anni e mezzo. Il livello più alto si è registrato in ottobre, appena prima della riconquista dei principali centri abitati nelle zone nord-occidentali e centrali del Tigray da parte dell’alleanza militare eritreo-etiope.
Il blu rappresenta le razioni distribuite nell’ultima settimana. L’ultima settimana registrata ha riportato che nel Tigray erano state distribuite 1,3 milioni di razioni, che è il livello più alto nei sei mesi coperti dal grafico e il secondo più alto dal 2020 2 La distribuzione totale per la settimana terminata il 7 settembre 2022 è stata leggermente superiore a 1.5 milioni.
Ripartizione della zona
Sulla base degli ultimi tre rapporti sulla distribuzione alimentare, la maggior parte delle zone del Tigray dovrebbe essere sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi di sei settimane. Sfortunatamente, molti di coloro che nel Tigray hanno bisogno di assistenza alimentare e non l’hanno ricevuta nell’attuale round di distribuzione sono dietro un deliberato assedio da parte delle forze militari o paramilitari dell’Eritrea e dell’Amhara.
Nella zona sud orientale , nelle ultime tre settimane sono state distribuite 328.545 razioni, pari al 72% dell’obiettivo di sei settimane di 454.895. Senza gravi ostacoli segnalati in questa zona, dovrebbe essere possibile ripristinare la regolare assistenza alimentare all’intera popolazione target entro la fine di questo mese.
La zona centrale ha ricevuto il maggior numero di aiuti nel Tigray nelle ultime tre settimane registrate, con 1,2 milioni di razioni distribuite. Tuttavia, due woreda (Egela e Rama) lungo il confine con l’Eritrea rimangono sotto assedio da parte delle forze eritree. Secondo Goyteom Gebreegziabher (Goyteom tedesco), esperto senior presso il Bureau of Agriculture and Rural Development nel Tigray, nessun cibo è stato distribuito alla comunità ospitante ad Aksum (~12.500 abitanti) o agli 82.497 nuovi sfollati arrivati in quella città.
L’accesso agli aiuti è aumentato anche nella zona orientale con quasi 714.000 razioni distribuite nelle ultime tre settimane. Tuttavia, come la zona meridionale, anche la zona orientale ha tre woreda sotto assedio da parte delle forze eritree a Zalambessa Town, Gulomekeda e Irob. Dopo le ultime tre settimane, ci sono ancora più di 125.000 persone bisognose di aiuti alimentari nella zona orientale che non hanno ancora ricevuto una razione nell’attuale round di distribuzione. Secondo i dati forniti da Goyteom, coloro che non ricevono aiuti sembrano essere concentrati a Ganta Afeshum (~44.000), Bizet (~31.000), Gulomekeda (~27.000) e Irob (~16.600).
Nella zona meridionale, quasi 216.000 persone hanno ricevuto una razione di cibo nella prima settimana di marzo, che è stata la più grande distribuzione totale di una sola settimana nel 2023 finora. Nelle ultime tre settimane, circa il 70% della popolazione totale bisognosa di assistenza alimentare nella zona meridionale ha ricevuto una razione alimentare. Tuttavia, tre woreda della zona meridionale (Ofla, Zata e Chercher) rimangono sotto assedio e l’intera metà inferiore della zona è stata quasi completamente tagliata fuori dall’assistenza umanitaria almeno da gennaio.
Circa 400.000 persone nella zona nord-occidentale hanno ricevuto razioni di cibo nelle ultime tre settimane registrate, il che è dovuto principalmente a un forte aumento nella settimana terminata l’8 marzo. Questo è solo il 37% dell’obiettivo di distribuzione alimentare di sei settimane. La zona nord-occidentale si è rivelata particolarmente difficile da servire per il WFP, con blocchi durante tutto il giro di distribuzione sia nella parte settentrionale che in quella meridionale della zona.
Secondo i dati forniti da un operatore sanitario di Shire, c’è stata una certa distribuzione di cibo nella zona nordoccidentale alle popolazioni sfollate. I campi profughi di Shire hanno ricevuto aiuti alimentari tre volte da dicembre, mentre i campi di Hitsats e Selekleka hanno ricevuto aiuti due volte e Sheraro solo una volta. Secondo la fonte, attualmente ci sono ~205.000 sfollati interni a Shire, ~140.000 a Sheraro e ~13.000 a Hitsats. Questo non ha raggiunto abbastanza persone con cibo a sufficienza. Nel campo di Hitsats, la fonte conferma che ci sono stati 17 morti per fame a dicembre/gennaio.
La distribuzione di cibo alle comunità ospitanti (ovvero residenti non sfollati) nella zona nord-occidentale è aumentata significativamente nelle ultime due settimane, secondo la mia fonte in Shire e la corrispondenza con un rappresentante del WFP. A seconda della quantità di cibo distribuito, ciò potrebbe colmare il divario più significativo rimasto nella risposta alla carestia. Fino a poco tempo fa la presenza di soldati eritrei e della milizia fanese di Amhara ne bloccava l’accesso.
Nonostante il recente aumento della distribuzione di cibo, 1,6 milioni di persone nel Tigray, identificate come bisognose urgenti di assistenza alimentare, non hanno ricevuto una razione nelle ultime sei settimane. Di questo totale, circa 530.000 vivono a Mekelle e hanno ricevuto cibo otto settimane fa, che è ancora in un intervallo che fornisce un numero sufficiente di calorie per fermare un deterioramento della sicurezza alimentare. È anche possibile che abbiano ricevuto una razione durante il prossimo giro di distribuzione di cibo e non verrà segnalato fino a quando più zone non saranno pronte per iniziare il ciclo successivo. Altri 50.000 si trovano nella zona sud-est, che ha anche un accesso relativamente stabile al momento 3. Nonostante il più recente miglioramento delle condizioni nella zona sud-est, anche quest’area è stata duramente colpita dall’occupazione militare e dall’assedio. Vedi: Jan Nyssen et al, 2023. In che modo la comunità che circondava il monastero più antico del Corno sopravvisse alla guerra del Tigray? – Dabba Selama rivisitato. World Peace Foundation (Tufts University, Somerville, MA, USA) – Reinventare la pace. sites.tufts.edu/reinventingpea…
Ciò lascia più di un milione di persone nel Tigray, in condizioni di carestia, tagliate fuori dall’assistenza alimentare. Molti sono sfollati senza accesso ai loro campi, bestiame o beni. Altri hanno perso tutto a causa di saccheggi e saccheggi commessi dalle forze filogovernative. Tutti sono sopravvissuti a due anni e mezzo di guerra d’assedio e a due occupazioni militari di terra bruciata. Più di 600.000 zone nord-occidentali, epicentro della carestia del Tigray e profondamente colpite dalle tattiche di assedio utilizzate dal governo etiope. Altri ancora sono stati completamente tagliati fuori dagli aiuti negli ultimi due anni e mezzo, compresi il Tigray occidentale e i distretti lungo il confine eritreo nel Tigray centrale e orientale.
In attesa
L’aumento da settembre a ottobre 2022 è stato limitato e insostenibile perché il governo etiope stava usando la fame come arma di guerra contro il popolo del Tigray. Le cattive ragioni offerte per affamare i civili tigrini nel 2022 non esistono più. È logisticamente possibile consegnare cibo in ogni area del Tigray dove le persone muoiono di fame, ma alcune aree rimangono intenzionalmente bloccate in flagrante violazione del diritto internazionale umanitario. Allo stato attuale delle cose, l’assedio del Tigray rimane una minaccia esistenziale per i gruppi etnici Kunama e Irob, nonché per centinaia di migliaia di civili del Tigray che non hanno fatto nulla per meritare una punizione così brutale.
La sicurezza alimentare è esistenziale, ma anche solo uno dei numerosi e urgenti bisogni di sopravvivenza umana nel Tigray di oggi. La quantità di ordigni inesplosi (UXO) in tutta la regione presenta un rischio per la salute pubblica sia immediato che a lungo termine. Un rapporto nell’ultimo aggiornamento del Centro di coordinamento delle emergenze del Tigray (17 marzo) ha documentato quasi 500 morti e feriti correlati a UXO diffusi dalla zona nord-occidentale fino alla zona orientale. I bambini rappresentano il 64% delle vittime e più della metà degli incidenti si sono verificati in aree destinate all’agricoltura o al pascolo. A parte l’ovvio trauma immediato inflitto da UXO alle vittime e alle famiglie, ogni incidente ha anche un impatto agghiacciante sulla produzione agricola se gli agricoltori hanno paura di arare i loro campi. Ulteriori rapporti dell’UNHCR nella zona orientale e da fonti personali nelle zone centrali e nordoccidentali indicano che sono necessarie risorse ora per affrontare i crescenti e legittimi timori di contaminazione da UXO dei terreni agricoli, in particolare negli agricoltori sfollati che sono recentemente tornati nei loro campi.
La distribuzione del cibo nel Tigray deve essere semplificata e stabilizzata affinché la popolazione possa concentrarsi sul compito di ricostruire la propria regione e la propria società dopo più di due anni di genocidio. I tigrini devono essere in grado di accedere ai beni di base per la sopravvivenza, ai servizi di base e ai loro beni. Hanno bisogno che le forze di occupazione vengano rimosse dal Tigray (con la loro ordinanza) in modo che le famiglie sfollate possano tornare alle loro case, i contadini possano tornare ai loro campi, i bambini possano andare a scuola e le comunità possano ricostruirsi e guarire. Questo deve avvenire presto in modo che il prossimo raccolto nel Tigray possa far uscire la regione dall’insicurezza alimentare a novembre.
Il numero di vite perse tra oggi e il prossimo raccolto di successo nel Tigray potrebbe essere determinato dal coraggio dei leader politici al di fuori dell’Etiopia per garantire che l’accesso agli aiuti continui ad espandersi e stabilizzarsi. Affinché il cibo arrivi alle famiglie affamate nel Tigray, deve superare una varietà di entità che hanno dimostrato la volontà e, a volte, l’ intenzione di far morire di fame la gente del Tigray. Ciò include diversi funzionari e interi ministeri del governo federale etiope , l’ esercito eritreo , il governo regionale di Amhara e il governo regionale di Afar. Ciascuno di questi gruppi sta attualmente assediando aree del Tigray o ha passato la maggior parte degli ultimi due anni a ostacolare l’assistenza alimentare mentre i tigrini muoiono di fame. Sarà necessaria la vigilanza da parte degli Stati Uniti per porre fine al clima di impunità che ha protetto il genocidio del Tigray.
Tutti i grafici e i dati di distribuzione in questo articolo sono tratti dagli aggiornamenti settimanali “Tigray Response Weekly Dashboard – Food Assistance” dall’Etiopia Food Cluster, che possono essere trovati su fscluster.org/ethiopia/documen…
FONTE: tghat.com/2023/03/20/state-of-…
Israele seguirà l’Arabia Saudita e farà un accordo con l’Iran?
Tra la raffica di commenti sull’accordo di normalizzazione facilitato dalla Cina tra l’Arabia Saudita e l’Iran, uno si è distinto come particolarmente intrigante: l’ex capo dell’agenzia di intelligence israeliana Mossad Efraim Halevy ha cautamente suggerito che potrebbe essere giunto il momento per Israele di dirigere le antenne verso Teheran. L’obiettivo sarebbe quello di esplorare se […]
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Appello delle donne arabe a conquistare i diritti negati
“Saluto tutte le delegate e i delegati che sono qua per dare una prospettiva alle donne non solo tunisine o arabe, ma a tutte coloro che lottano ogni giorno nel mondo per i loro diritti da conquistare o negati. Qualsiasi vittoria nel campo dei diritti è necessaria per creare una società internazionale più equa, sostenibile […]
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Oggi si celebra la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.
Il Ministero dell’Istruzione e del Merito, in collaborazione con l’Associazione “Libera.
Gli Accordi di Abramo e la dimensione europea: quali possibilità di cooperazione?
Lunedì 3 aprile 2023 alle 17.00, presso la sede della Fondazione Luigi Einaudi, in Via della Conciliazione 10, si terrà il convegno dal titolo “Gli Accordi di Abramo e la dimensione europea: quali possibilità di cooperazione?”
Speakers
Giulio Terzi di Sant’AgataPresidente IV Commissione Politiche UE – Senato
Alon BarAmbasciatore d’Israele in Italia
Naser M.Y. Al Balooshi
Ambasciatore del Regno del Bahrain in Italia
Youssef Balla
Ambasciatore del Marocco in Italia
Nicola Monti
AD Edison
Fiamma Nirenstein
Senior Member Jerusalem Center for Public Affairs
Gabriele Carrer
Giornalista presso Formiche.net e HuffPost
Moderatrice
Simona BenedettiniComitato Scientifico FLE
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EISI Empathy Index del Sistema Italia – Verso un indice nazionale di empatia nei processi decisionali e di informazione
Mercoledì 5 aprile 2023 alle ore 18:00, presso la Sala Capitolare del Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva si terrà il convegno “EISI Empathy Index del Sistema Italia – Verso un indice nazionale di empatia nei processi decisionali e di informazione”
Presenta l’indagine:
Francesco Schlitzer
Ne discutono:
Laura Boella
Andrea Cangini
Paolo Cirino Pomicino
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Massimo Nicolazzi – Elogio del petrolio
24 marzo, seminario “SICUREZZA DEI DATI E GESTIONE DEL RISCHIO IN AMBITO SANITARIO”
Venerdì 24 marzo sarò a Padova al Ciclo seminariale “Privacy e sanità” – “Sicurezza dei dati e gestione del rischio in ambito sanitario“, realizzato dall’Azienda ULSS6 Euganea con l’Accademia Italiana del Codice di Internet – IAIC.
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IRAQ. Le prime impressioni all’arrivo a Baghdad dopo l’occupazione Usa
di Michele Giorgio*
Pagine Esteri, 21 marzo 2021 – Gli iracheni, o la maggior parte di essi, non amavano gli Usa e neppure ascoltavano le dichiarazioni da bravi padri della famiglia democratica globale che dispensavano in quei giorni George W. Bush e il suo segretario di stato Colin Powell. La guerra anglo-americana giunta dopo 12 anni di sanzioni economiche durissime li aveva sfiniti oltre ad aver reso più bambini orfani, più donne vedove, più giovani disabili.
Però erano felici che non ci fosse più Saddam Hussein al potere. Era odiato e temuto da milioni di iracheni, non solo dagli sciiti. Il suo potere immenso, la sua brutale determinazione a spegnere nel sangue ogni accenno di ribellione, apparivano a molti in quei giorni di venti anni fa come una storia passata per sempre.
Anche gli iracheni cristiani, ritenuti protetti dal regime, non amavano Saddam ma sapevano, come gli anni successivi avrebbero dimostrato, che il crollo del suo potere li avrebbe esposti a un magma incontenibile di fanatismo religioso. Furono queste le prime impressioni che ricavammo dopo l’arrivo a Baghdad, al termine di un viaggio di mille chilometri da Amman nel deserto a bordo di un furgone.
Pregavano ovunque gli sciiti, in quei giorni successivi alla caduta del regime. Le loro preghiere erano raduni immensi, i riti si trasformavano in comizi. I partiti, vecchi e nuovi, i comunisti come gli islamisti aprivano nuove sedi. Rinascevano le associazioni, si riunivano artisti e intellettuali, non poche volte si vedevano insieme chi era stato dalla parte del regime e chi lo aveva criticato.
Il Baath di Saddam Hussein invece si disintegrava sotto i colpi degli occupanti anglo-americani. Sarebbe rimasto in vita in clandestinità, assieme a formazioni jihadiste e ai resti delle forze armate sciolte dai nuovi padroni dell’Iraq. Gli effetti di quelle decisioni Usa si sarebbero rivelati devastanti qualche mese dopo per gli occupanti stranieri come per i civili iracheni costretti a fare i conti con attentati a raffica e all’inizio della lotta armata contro l’occupazione.
Moriva di fame l’Iraq. Tranne Baghdad e qualche città, il paese era in uno stato di immenso degrado e povertà, soprattutto il sud. Gli iracheni camminavano su enormi riserve di petrolio ma dovevano lottare ogni giorno per mangiare. La popolazione dipendeva dalle distribuzioni di beni di prima necessità. E il dinaro, la valuta nazionale, non valeva niente dopo l’invasione. Pochi dollari corrispondevano a una busta di plastica colma di centinaia di banconote da 500 dinari su cui era stampato il volto di Saddam. Ci volevano un bel po’ di quei pezzi di carta per comprare una birra tenuta sotto ghiaccio da ragazzini piazzati strategicamente all’ingresso del Palestine e degli altri malandati hotel di Baghdad pieni di giornalisti, operatori umanitari, politici, pacifisti e altri ancora.
I funzionari Usa già si sistemavano in quella che sarebbe presto diventata la Zona verde. Da quelle parti la notte si rischiava di fare brutti incontri ai checkpoint degli occupanti. I soldati americani, con i nervi a fior di pelle, ti puntavano subito i mitra contro, poi faccia al muro, mani sopra la testa, perquisizione e controllo documenti. Inutile invocare rispetto per la stampa. Un drammatico esempio delle loro «speciali» regole d’ingaggio – «prima sparo poi parlo» – si sarebbe reso evidente il 4 marzo di due anni dopo quando un militare americano aprì il fuoco contro l’auto che portava in salvo la nostra Giuliana Sgrena, sottratta appena qualche ora prima ai suoi sequestratori. I colpi uccisero Nicola Calipari.
Ahmad si offrì di farci da guida e fixer in quelle prime settimane dopo l’invasione dell’Iraq. Era stato un pilota di Mig e Sukhoi dell’aviazione militare. E aveva fatto parte degli equipaggi che all’inizio della prima guerra del Golfo nel 1991, su ordine di Saddam, a sorpresa portarono oltre 100 cacciabombardieri in tre basi iraniane. «Eravamo pronti a combattere gli americani e invece Saddam ci spedì in Iran. Non ho mai capito quella decisione. Nel 1992 fui congedato e per 11 anni ho ricevuto 50 dollari di pensione al mese, roba da morire di fame. Ho fatto molti lavori per tirare avanti», ci raccontò. Girando in auto quei giorni, ci passarono davanti agli occhi l’Iraq di quei giorni. E di quelli a venire.
La povertà estrema, le distruzioni e i lutti della guerra voluta dall’Occidente democratico, i palestinesi cacciati dalle loro case perché considerati amici di Saddam, l’astio tra sunniti e sciiti, il fiorire di una religiosità estrema che da decenni covava sotto la cenere. A Tikrit, la città di Saddam, la nostra auto fu circondata da una folla ostile che ci urlava «Vai via, qui non è casa tua». Accadde, scoprimmo, a tanti altri stranieri. Se solo gli occupanti avessero ascoltato e accolto subito quella minacciosa esortazione, l’Iraq e molte famiglie nel mondo avrebbe pianto meno morti. Difficile dare un bilancio certo: tra cause dirette e indirette si arrivano a stimare fino a un milione di morti. Pagine Esteri
*parte di un articolo pubblicato nell’inserto “Hanno fatto il deserto” del quotidiano Il Manifesto
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In Cina e Asia – Putin promette di "studiare con attenzione” la posizione cinese sull’Ucraina
I titoli di oggi:
Cina-Russia, al primo giorno di colloqui Putin promette di "studiare con attenzione" la posizione cinese sull'Ucraina
Cina, la campagna anticorruzione arriva nel mondo dei chip
Cina, il Consiglio di stato è sempre più legato al Pcc
India, la visita premier giapponese Kishida
Thailandia: il primo ministro Prayut scioglie il parlamento, elezioni entro maggio
Sri Lanka, il Fmi approva un salvataggio da 3 miliardi di dollari
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PRIVACY DAILY 73/2023
"Trattare con Putin”. La via cinese alla "sicurezza globale”
Xi Jinping arriva a Mosca e manda subito un messaggio all'esterno. Come si inserisce la visita nelle relazioni con la Russia e nella postura in politica estera della Cina, ma anche nella sua visione di sicurezza che ha in testa il Sud globale. Intanto Fumio Kishida va a Nuova Delhi da Modi: Giappone e India più vicine. E l'escalation sulla penisola coreana si inserisce nella contesa tra Washington e Pechino
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Political microtargeting on Facebook: an election promise just for you!
Microtargeting politico su Facebook: una promessa elettorale solo per voi! noyb ha presentato una serie di reclami contro diversi partiti politici tedeschi. I partiti avevano utilizzato il microtargeting su Facebook durante le elezioni federali del 2021 e avevano preso di mi
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Da Golda Meir a Bezalel Smotrich: «I palestinesi non esistono»
di Michele Giorgio
(nella foto il ministro israeliano delle finanze Bezalel Smotrich)
Pagine Esteri, 21 marzo 2023 – Settantacinque anni dopo la fondazione dello Stato di Israele e ben oltre cento dall’inizio dell’impresa sionista in Palestina, riemerge l’antico quanto ridicolo mito della «non esistenza del popolo palestinese». A rispolverarlo è stato, durante una cerimonia in Francia, il ministro israeliano delle finanze Bezalel Smotrich, leader del partito ultranazionalista Sionismo religioso, che, appena qualche settimana fa aveva esortato a «spazzare via» il villaggio palestinese di Huwara, teatro lo scorso 26 febbraio di una spedizione punitiva di coloni israeliani (decine auto e di edifici dati alle fiamme). Con il suo negazionismo antipalestinese, Smotrich è riuscito anche ad aprire una mezza crisi diplomatica con la Giordania. Il ministro ha pronunciato la sua «lezione di storia» avendo alle spalle una mappa della Grande Israele con la Giordania parte del territorio dello Stato ebraico, proprio come appariva sulla bandiera dell’Irgun, l’organizzazione clandestina ebraica fondata nel 1931 responsabile di attacchi e attentati contro palestinesi e britannici.
«Non si può parlare di ‘palestinesi’ perché non esiste un ‘popolo palestinese’», ha detto Smotrich e stretto alleato del premier Netanyahu, intervenendo a Parigi a una cerimonia commemorativa per Jacques Kupfer, un esponente della destra israeliana. Il popolo palestinese, ha spiegato, «è una finzione» elaborata un secolo fa per lottare contro il movimento sionista. «Sapete chi è palestinese? Io sono palestinese», ha esclamato rivolgendosi all’uditorio «Mia nonna, nata a Metulla oltre 100 anni fa in una famiglia di pionieri che ha creato insediamenti in Galilea, lei era palestinese. Mio nonno, la tredicesima generazione della sua famiglia a Gerusalemme, era un vero palestinese». Qualcuno ieri ha sorriso di fronte a queste dichiarazioni propagandistiche. Non i palestinesi però. «Le parole di Smotrich sono prove inconfutabili dell’ideologia estremista, razzista, sionista che governa l’attuale governo israeliano», ha protestato il primo ministro dell’Autorità Nazionale, Muhammad Shtayyeh. «Siamo noi – ha aggiunto – che abbiamo dato alla Palestina il suo nome e la terra, il suo valore e il suo status. Questa terra è nostra e Israele è uno Stato coloniale fondato dai colonialisti e dai coloni e si è espanso come qualsiasi colonialismo nel corso della storia».
Sarebbe ingiusto puntare il dito solo contro il ministro ultranazionalista Smotrich. La nozione della «non esistenza» dei Palestinesi e del popolo palestinese è stata inventata dai sionisti «progressisti» giunti dall’Europa. E il Sionismo, specie nei primi decenni, ha fatto della negazione del popolo indigeno palestinese l’arma principale della sua legittimazione: gli ebrei, grazie ai sionisti, «tornavano dopo duemila anni di esilio nella loro terra» mentre i palestinesi erano stati creati a tavolino. Teoria che spesso ancora si accompagna, soprattutto a destra, alla deumanizzazione dei palestinesi e alla loro descrizione come tutti dei terroristi veri o potenziali. Golda Meir, celebrata premier donna e icona dell’Israele laburista, nel 1969 dichiarò in una intervista al The Sunday Times che «Non esiste qualcosa come un popolo palestinese. Non è che siamo venuti, li abbiamo buttati fuori e abbiamo preso il loro paese. Essi non esistevano». Un punto che avrebbe ribadito l’anno successivo a Thames TV e nel 1972 al New York Times. E nel 2023, a decenni di distanza da quell’intervista, una bella fetta di israeliani ebrei crede sempre che i palestinesi – tra cui un milione e mezzo con passaporto israeliano – non abbiano alcun diritto perché «inventati». Pagine Esteri
Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto
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Andrea Russo
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