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Cina: il sistema di credito sociale come metodo


Il sistema di credito sociale cinese è ampiamente visto in Occidente come un sistema di sorveglianza digitale per classificare e guidare le persone attraverso premi e punizioni. Questa percezione continua nonostante gli sforzi degli studiosi per costruire un quadro moralmente normalizzato, piuttosto che ideologicamente carico, per comprendere il sistema. Il sistema di credito sociale dovrebbe […]

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Il parere della Procura Generale è del tutto immotivato. Perché Cospito deve restare al 41bis? È evidente, ormai, anche in base a pronunciamenti istituzional


L’infinita multiguerra siriana: tra Usa e Iran lo scontro si fa diretto


Almeno 11 morti negli attacchi aerei americani su gruppi legati a Teheran. Prima un drone iraniano avrebbe ucciso un contractor. Missili sul giacimento Al Omar L'articolo L’infinita multiguerra siriana: tra Usa e Iran lo scontro si fa diretto proviene da

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 25 marzo 2023 – È di almeno 11 morti il bilancio degli attacchi aerei Usa contro postazioni di milizie fedeli all’Iran nell’area di Deir ez-Zor, nella Siria orientale. Per alcuni si tratta dell’antipasto di uno scontro militare ampio che potrebbe avvenire in futuro tra Washington e Teheran. Autorizzati dal segretario della Difesa, Lloyd Austin, i bombardamenti aerei hanno ucciso sei persone in un deposito di armi, secondo la versione data dagli americani, nel quartiere di Harabish di Deir ez-Zor. Altri tre nell’area desertica di Al Bukamal e altri due nella periferia meridionale di Al Mayadeen. Anche due siriani sono stati uccisi dalle bombe. Gruppi filoiraniani hanno risposto lanciando razzi contro il giacimento petrolifero di Al Omar, situato nei pressi di una base della Coalizione a guida statunitense, senza causare vittime. Intanto non è chiaro se sia effettivamente morto un contractor Usa in un precedente attacco con un drone contro una base militare americana nella zona di Khrab al Jeer. Alcune fonti lo danno per certo, altre sono state più vaghe.

Il rischio è di una escalation militare tra Iran e Usa in Siria, proprio nel momento in cui il paese arabo, colpito dal recente terremoto, ha spezzato l’isolamento internazionale in cui è stato tenuto dopo il 2011 e sta riallacciando i rapporti con il mondo arabo (presto l’Arabia saudita riaprirà la sua ambasciata a Damasco) contro la linea degli Usa e di diversi paesi europei. La Coalizione a guida Usa che negli anni passati ha combattuto le forze dell’Isis in Siria potrebbe ora trasformarsi in una sorta di fronte anti-Iran. Elicotteri della Coalizione ieri hanno sorvolato per ore il deserto all’incrocio dei confini tra Siria, Giordania e Iraq e il campo di Al-Rukban, allo scopo di monitorare i movimenti delle forze filoiraniane.

La ripresa delle relazioni diplomatiche tra Teheran e Arabia saudita annunciata a metà mese, che per gli analisti allenterà le tensioni nella regione mediorientale, è stata accolta con disappunto dalla Casa Bianca (e Israele) e sembra aver spinto l’Amministrazione Biden ad adottare una linea ancora più dura nei confronti dell’Iran. Washington peraltro accusa la Repubblica islamica di aiutare militarmente la Russia nella guerra contro l’Ucraina. Da giorni le forze filoiraniane, presenti da anni in Siria a sostegno dell’esercito regolare siriano, sono in stato di allerta. E si sono ritirate da alcune postazioni per dirigersi verso siti fortificati in vista di nuovi raid aerei Usa.

In Siria ci sono anche 900 militari statunitensi, schierati per la prima volta nel territorio del paese arabo durante la campagna dell’Amministrazione Obama contro lo Stato islamico. Addestrano e collaborano con le Forze democratiche siriane (Sdf) a maggioranza curda. Due settimane fa la Camera dei Rappresentanti Usa ha bocciato una risoluzione bipartisan che avrebbe richiesto al presidente Biden di ritirare tutte le truppe americane dalla Siria entro 180 giorni. Il Congresso comunque non ha mai autorizzato le forze armate statunitensi a combattere le formazioni sostenute dall’Iran in Siria. I soldati Usa per la maggior parte sono dispiegati in basi nelle aree della Autonomia curda dove sono situati la maggior parte dei giacimenti petroliferi siriani. Damasco accusa gli Usa (e i curdi) di «rubare» alla Siria il suo petrolio e di inviarlo nel Kurdistan iracheno, dove sarebbe poi venduto sul mercato internazionale. In questo modo, spiega, vengono sottratte risorse energetiche e valuta pregiata alle casse dello Stato siriano.

La tensione è molto alta nel nord e nell’est della Siria dove peraltro continuano a colpire e ad uccidere cellule dello Stato islamico. I jihadisti nelle ultime ore hanno compiuto un’altra strage. Almeno 15 persone, che cercavano tartufi nella zona di Hama, state uccise a coltellate: sette erano civili, otto facevano parte di una milizia filogovernativa. Altre 40 persone risultano disperse. Alcune settimane fa altri civili erano stati massacrati dall’Isis che, attraverso queste stragi, cerca di creare delle «aree proibite» alla popolazione locale da tenere sotto il suo controllo esclusivo. Sempre ieri soldati di Damasco si sono scontrati con miliziani di Hayat Tahrir al-Sham, l’ex fonte al Nusra (l’ala siriana di Al Qaeda) nella provincia di Aleppo. Almeno dieci i morti. Pagine Esteri

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di Alessandro Portelli, 25.03.2023 - Fosse Ardeatine - Giorgio Leone Blumstein era nato nel 1895 a Leopoli, città dell’Ucraina. È morto il 24 marzo 19


PRIVACY DAILY 77/2023


Trump e Putin arrestati? Una serie di immagini generate da un’AI si è presa gioco di questi potenti personaggi. Le immagini altamente dettagliate e sensazionali hanno inondato Twitter e altre piattaforme negli ultimi giorni, accompagnando la notizia che Trump deve affrontare possibili accuse penali e che la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di... Continue reading →


Oggi è il Dantedì, la Giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri!

Un’occasione per ricordare in tutta Italia e nel mondo il genio di Dante, con tante iniziative organizzate dalle scuole, dagli studenti e dalle istituzioni culturali.

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Così Nave Bergamini si esercita con gli Usa nell’Indo Pacifico


Unita navali dell’Unione europea e degli Stati Uniti hanno condotto un’esercitazione congiunta nell’Indo Pacifico occidentale il 23 e il 24 marzo. Alle manovre ha partecipato anche Nave Bergamini, fregata lanciamissili della Marina Militare, in un esempio

Unita navali dell’Unione europea e degli Stati Uniti hanno condotto un’esercitazione congiunta nell’Indo Pacifico occidentale il 23 e il 24 marzo. Alle manovre ha partecipato anche Nave Bergamini, fregata lanciamissili della Marina Militare, in un esempio di come Roma abbia interesse a essere presente in quel quadrante, sia commercialmente quanto militarmente e politicamente. L’Italia sta già prendendo parte a certe attività, pianificandone altre come l’invio della fregata Morosini o della portaerei Cavour per missioni nell’Indo Pacifico in coordinamento con Washington e Bruxelles e con gli alleati regionali.

Usa e Ue nell’Indo Pacifico

Le recenti esercitazioni si sono svolte seguendo le decisioni prese nell’ultimo ciclo di consultazioni ad alto livello Ue-Usa sull’Indo-Pacifico che si sono svolte il 2 dicembre 2022 a Washington. Il dialogo tra i due alleati è una delle forme di coordinamento per l’impegno in quella regione cruciale. L’incontro di dicembre era stato condotto dalla vicesegretaria di Stato statunitense Wendy Sherman e dal segretario generale dell’European External Action Service, il diplomatico italiano Stefano Sannino.

In quell’occasione, Sherman e Sannino avevano coordinato i lavori del quarto incontro ad alto livello del EU-US Dialogue sulla Cina – uno degli elementi cardine per costruire certe visioni comuni, emerse anche durante il Consiglio Europeo dei giorni scorsi – e del terzo incontro delle U.S.-EU High-Level Consultations sull’Indo-Pacifico. I due alti funzionari avevano sottolineato in una dichiarazione congiunta che “gli Stati Uniti e l’Unione Europea non sono mai stati così allineati sulle nostre prospettive strategiche”, sottolineando “la forte determinazione transatlantica comune nel difendere la libertà, la democrazia e i diritti umani in tutto il mondo” e rilanciando “il costante impegno a intraprendere ulteriori azioni coordinate per affrontare le attuali sfide globali”.

Le manovre congiunte

L’esercitazione euro-americana si è svolta “nel quadro del pattugliamento e dell’esercizio della libertà di navigazione in alto mare”, spiega un comunicato. Le manovre hanno coinvolto il cacciatorpediniere lanciamissili USS Paul Hamilton della US Navy, la fregata spagnola Reina Sofia e l’italiana Bergamini. Nave Bergamini è una Fremm, acronimo del programma italo-francese con cui sono state costruite queste unità “multi-missione”. Insieme alla Reina Sofia fa parte della Forza navale dell’Ue impegnata nella “Operazione Atalanta”.

Istituita nel 2008, Atalanta è stata la prima operazione militare a carattere marittimo a guida europea. È stata pensata per il monitoraggio della sicurezza marittima in una zona compresa tra il Mar Rosso, il Golfo di Aden e parte dell’Oceano Indiano, Isole Seychelles incluse. Un’area che, spiega la Marina, ha dimensioni simili a quelle del bacino del Mediterraneo, sottolineando che l’obiettivo è “scoraggiare, prevenire e reprimere la pirateria e gli atti di depredazione armata in mare”.

La maritime security è una delle attività considerate cruciali da Usa e Ue – con impegni operativi anche delle unità Nato sono il Maritime Command dell’alleanza. L’area dell’Indo Pacifico occidentale è determinante perché rappresenta il punto di interconnessione tra quella regione e il Mediterraneo allargato (l’ambito di proiezione geopolitica primaria dell’Italia). Le manovre dei giorni scorsi hanno previsto “scambi professionali sulle procedure di imbarco, sulla navigazione e sull’addestramento volto a migliorare l’interoperabilità e l’integrazione”.

L’impegno comune, militare e politico

L’esercitazione rientra nell’impegno comune dell’Ue e degli Stati Uniti a lavorare per una cooperazione marittima concreta e a sostenere un Indo-Pacifico libero e aperto, in linea con documenti quali la Strategic Compass dell’UE, la Strategia dell’UE per la cooperazione nell’Indo-Pacifico e la Indo Pacific Strategy degli Stati Uniti. Nel comunicato condiviso con i media per raccontare le manovre, l’Ue e gli Stati Uniti ribadiscono anche il loro “impegno a perseguire ulteriormente il coordinamento e il lavoro complementare per la sicurezza marittima regionale per sostenere la libertà di navigazione e altri usi legittimi del mare a livello internazionale nell’Indo-Pacifico”.

Insieme agli alleati transatlantici si stanno coordinando anche altri Paesi cosiddetti “like-minded”, come per esempio il Giappone – che già due anni fa ha preso parte a esercitazioni anti-pirateria sul Golfo di Aden insieme al Regno Unito. L’Africa orientale, area perimetrale dell’Indo Pacifico, è diventata oggetto dell’interesse anche della Corea del Sud e in un futuro prossimo potrebbe coinvolgere anche Taiwan (e Singapore, altro Paese impegnato nella sicurezza marittima) nelle varie operazioni, mentre l’India è già presente per evidenti ragioni di carattere geografico e geostrategico.

È proprio in queste operazioni che l’Italia trova spazio, inserendosi come operatore (militare e politico) nell’asse indo-abramatico creato dall’intesa I2U2 tra Israele, India, Emirati Arabi Uniti e Usa. Da sottolineare che la sensibilità e l’importanza della regione è percepita anche da attori rivali, come per esempio Russia, Cina e Iran. I tre Paesi si sono anche recentemente esercitati in quella fascia marittima, creando una contro-narrazione politico-militare attorno alle loro attività e a questo raggruppamento – che sta crescendo per intensità del coordinamento, anche con l’obiettivo di creare un modello di governance (anche del quadro securitario) alternativo a quello attuale, a guida occidentale.


formiche.net/2023/03/esercitaz…



Consigli per l'anti-sorveglianza fisica


Droni e telecamere. Come in cielo, così in terra: siamo sempre più circondati di telecamere. Qualche consiglio di anti-sorveglianza per diminuire il livello di esposizione.

Le nostre città sono sempre più popolate di telecamere, termoscanner, scanner Wi-Fi e Bluetooth e molto altro. E se guardiamo più in alto, anche i droni iniziano a sorvolare i nostri cieli.

Uno scenario non proprio idilliaco per chi soffre di quel disturbo della personalità chiamato voglia di privacy. Non è facile difendersi dall’occhio di Sauron, però può esserci qualche rimedio utile per difendersi dalla sorveglianza fisica, sia per chi soffre di questo disturbo della personalità che per chi invece volesse tutelarsi in situazioni delicate, come manifestazioni politiche.

Dicono che iscriversi a Privacy Chronicles crei disturbi della personalità. Ma non iscriversi è peggio.

I rapaci della sorveglianza


Iniziamo parlando proprio di droni. Non tutti i droni sono uguali. Esistono droni militari con incredibile autonomia e capacità offensive e droni “urbani” che invece oltre ad essere molto più piccoli hanno anche meno autonomia e non hanno (per ora) capacità offensive.

6148800Droni militari. Lo Sharp Sword (cinese) può caricare fino a 2.000kg di payload e bombe.

In diverse parti del mondo saper riconoscere un drone e riuscire a nascondersi può fare la differenza tra la vita e la morte. Neppure i droni militari di sorveglianza non devono essere sottovalutati, dato che questa è spesso la fase che precede un attacco.

Anche i nostri cieli si stanno velocemente riempiendo di droni.

Non è un segreto ad esempio che siano stati usati durante i lockdown per scandagliare parcheggi, strade e piazze e scovare i pochi temerari che osavano sfidare il temibile virus in barba a decreti legge e DPCM. Certo, sono diversi da quelli militari, ma con capacità di sorveglianza da non sottovalutare.

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Un decreto del 13 giugno 2022 ha anche recentemente abrogato la normativa precedente sui droni e agevolato di molto il loro uso per le forze dell’ordine come Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza. Oltre alle solite finalità “ombrello” di sicurezza pubblica, contrasto del terrorismo e prevenzione dei reati di criminalita' organizzata e ambientale, i droni possono ora essere usati per un sacco di cose, come previsto dall’articolo 3:

a) la Polizia di Stato per la:  
      1) sicurezza stradale; 
      2) sicurezza ferroviaria; 
      3) sicurezza delle frontiere; 
      4) sicurezza postale e delle comunicazioni;

b) l'Arma dei carabinieri per la: 
      1) sicurezza in materia di  sanita' e  igiene
      2) sicurezza in materia forestale, ambientale e agroalimentare; 
      3) sicurezza in materia di lavoro e legislazione sociale; 
      4) sicurezza del patrimonio archeologico, storico, artistico  e
culturale nazionale; 

c) il Corpo della guardia di finanza per: 
      1) la sicurezza del mare
      2) la sicurezza in materia di circolazione  dell'euro  e  degli
altri mezzi di pagamento; 
      3)  l'assolvimento  delle  funzioni  di  polizia  economica   e
finanziaria di cui all'art. 2 del decreto legislativo 19 marzo  2001,
n. 68. 

I droni più evoluti possono montare un payload di sorveglianza da brivido: scanner termico, telemetro laser, camere grandangolari ad altissima risoluzione e con zoom, visione notturna e tracking intelligente degli obiettivi.

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I muri hanno gli occhi


Tornando al livello del suolo, non devo certo dirvelo io: la situazione peggiora a vista d’occhio.

In quanto a numeri, la Cina è sempre leader globale, con circa 380 telecamere ogni 1000 persone. In Europa la situazione è migliore; siamo molto lontani da quei numeri. Londra, che è la città più videosorvegliata in Europa, conta circa 13.35 telecamere ogni 1000 abitanti. Alcune statistiche riportano un numero di molto superiore, ma dalle mie ricerche sembra che i numeri più alti tengano conto anche delle videocamere private. La città più sorvegliata d’Italia è invece Roma, che conta circa 1.71 telecamere per 1000 persone.

Insomma, una volta tanto non siamo messi male. Il numero però è destinato a salire vertiginosamente nei prossimi anni, dato che dal 2018 il governo italiano continua a mettere a disposizione fondi milionari per il finanziamento dei sistemi di videosorveglianza nei nostri comuni.

Il potenziamento dell’apparato di videosorveglianza non è solo quantitativo, ma anche qualitativo. Se oggi avere sistemi di riconoscimento facciale sembra fantascienza, lo stesso non potrà dirsi fra qualche anno. Difendersi da questa roba non è facile, e la risposta migliore dovrebbe essere quella del netto e forte rigetto politico.

Purtroppo, la maggior parte delle persone semplicemente ignorano il problema. Non tanto per negligenza o indifferenza, quanto per l’opacità by design che circonda queste decisioni della pubblica amministrazione.

Quanti di voi conoscevano il decreto sui droni che ho citato prima? Quanti sono consapevoli delle delibere comunali che prevedono l’installazione o il potenziamento dei sistemi di sorveglianza? Quante volte invece la popolazione viene semplicemente messa di fronte ai fatti compiuti, con nuove e scintillanti telecamere sopra le loro teste?

D’altronde, come affermava Machiavelli1 in tempi meno sospetti, non c'è nulla di strano. La cospirazione è il miglior metodo di governo: “all’inizio il male è difficile da conoscere, ma facile da curare, ma col passare del tempo diventa facile da conoscere e difficile da curare; fin quando non vi è più rimedio". Oggi c’è una cospirazione per riempire il più possibile le nostre città e cieli di telecamere.

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Qualche consiglio di anti-sorveglianza fisica


Difendersi dall’ espropriazione violenta della nostra privacy non è mica facile, però ci sono degli accorgimenti utili da ricordare per diminuire l’esposizione quando siamo in pubblico.

Contro le telecamere volanti, l’ambiente e il meteo sono nostri amici: pioggia e nebbia mettono in difficoltà i droni, così come alberi, portici o altre strutture che possono nascondere una persona dall’alto. Anche nascondersi in una grande folla può essere utile, seppur molti droni oggi possono montare telecamere con tracking intelligente per identificare e seguire specifiche persone con segni distintivi.

Se invece splende il sole, usare materiale riflettente può aiutare a contrastare le telecamere dei droni e confondere i sistemi di sorveglianza. Anche cappelli, cappucci, sciarpe e ombrelli possono essere semplici ma funzionali strumenti per evitare lo sguardo dei rapaci della sorveglianza. Attenzione però, che essere gli unici icon un ombrello in testa in una giornata di sole potrebbe invece semplificare l’identificazione.

Contro i termoscanner, che potrebbero essere installati sui droni, è utile indossare materiale che abbia proprietà di isolamento termico, come la lana o alcune fibre sintetiche come il neoprene.

Le capacità di sorveglianza dei droni possono essere combinate con altre tipologie di monitoraggio a terra, come la localizzazione della persona tramite il monitoraggio bluetooth / wi-fi o tramite celle telefoniche. In questo caso si possono adottare diverse precauzioni:

  • Spegnere le funzioni wi-fi e bluetooth dei dispositivi in pubblico e disattivare il wi-fi scanning e il bluetooth scanning, che potrebbero rivelare lo smartphone anche con le funzioni wi-fi e bluetooth disattivate
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  • Usare una VPN per nascondere il proprio indirizzo IP, traffico e attività online (comprese, in caso, quelle via wi-fi)
  • Usare una sacca schermata (gabbia di Faraday) in cui tenere i dispositivi non in uso. Il miglior modo di bloccare un segnale è di farlo fisicamente!

Per quanto riguarda invece le telecamere a terra, è utile saper riconoscere le diverse tipologie.

Quelle CCTV di solito hanno una forma a cupola o a proiettile. Le più Quelle a cupola possono avere una rotazione di 360° e la forma rende difficile capire esattamente in che direzione stanno guardando. Di solito però non hanno un raggio d’azione molto lungo e sono situate in zone protette, al riparo dagli agenti climatici.

Le CCTV a proiettile (rettangolari e allungate) sono invece tipicamente installate all’esterno e hanno un raggio meno ampio di quelle a cupola, ma più lungo. Entrambe le tipologie possono essere dotate di visione notturna a infrarossi (IR). Alcuni modelli sono facili da riconoscere, perché hanno una serie di piccoli led intorno alla fotocamera principale. In altri casi potrebbero invece essere nascosti.

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Per quanto riguarda le telecamere con riconoscimento facciale, il discorso è più complesso. I modelli infatti sono uguali alle normali telecamere a proiettile, ma queste sono solitamente poste ad altezza inferiore, così da poter più facilmente osservare il viso delle persone. Ad esempio, potrebbero essere installate nei pressi di scalinate o passaggi obbligati.

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Non tutte le telecamere però sono fatte per riprendere le persone. Quelle LPR (License Plate Recognition) sono studiate appositamente per identificare targhe delle automobili. In alcuni casi sono dotate di algoritmi OCR (Optical Character Recognition) che trasformano l’immagine in dati alfanumerici che possono essere confrontati con database precostituiti. Come se fosse il riconoscimento facciale delle auto. Queste telecamere di solito hanno una forma più snella e allungata delle altre, e una seconda lente per le riprese ravvicinate. Come per quelle di riconoscimento facciale, spesso sono posizionate in modo tale da agevolare la lettura delle targhe.

Per le telecamere a terra valgono i consigli già detti per i droni, salvo che per le zone affollate: meglio evitarle. La pubblica amministrazione ha risorse limitate e le telecamere sono spesso installate nelle zone più frequentate delle città o più strategiche, come le stazioni.

Un ultimo consiglio, non tecnico ma legale, è di informarsi su ciò che ha fatto o vuole fare il vostro Comune. Sarà sufficiente fare una richiesta FOIA2 (accesso civico generalizzato) via posta elettronica (di solito all’URP) e chiedere tutta la documentazione relativa alla videosorveglianza. Il Comune avrà tempo 30 giorni per rispondervi e darvi copia di tutto ciò che hanno.

Nei documenti di solito sono indicate le finalità della sorveglianza, le zone, i sistemi usati e molte altre informazioni. In alcuni casi queste informazioni potrebbero essere usate anche per costringere i Comuni a rimuovere le telecamere per violazione della normativa privacy europea. Ad esempio, per mancanza di informativa, cartellonistica, o valutazione d’impatto — un processo documentato per la valutazione dei rischi obbligatorio per legge.

La moda dell’anti-sorveglianza


Se i metodi tradizionali non dovessero bastare, sappiate che negli ultimi anni alcune azienda hanno iniziato a produrre abiti e accessori progettati appositamente per contrastare videocamere di sorveglianza e sistemi di riconoscimento facciale.

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Ho avuto modo di conoscere personalmente una di queste aziende, Cap_able, durante la Privacy Week 2022 (clicca qui per riguardare l'incontro). I loro capi di abbigliamento presentano dei pattern studiati appositamente per confondere gli algoritmi di riconoscimento facciale e rendere difficile l'identificazione della persona.

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Un’altra realtà, scoperta in questi giorni, è quella di Project Kovr. I capi non sono pensati per contrastare il riconoscimento facciale ma la sorveglianza tradizionale, anche ambientale (wi-fi / bluetooth).

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Le loro giacche sono infatti prodotte con materiale metallico, che oltre ad essere riflettente funziona anche come una gabbia di Faraday, bloccando quindi i segnali dai dispositivi riposti nelle tasche. Non ho capito se i capi di Project Kovr sono in vendita, ma sono certamente molto interessanti.

E se l’anti-sorveglianza oggi è anche una moda, non dobbiamo però dimenticare che la privacy è prima di tutto una questione filosofica e politica.

Usare soluzioni attive per difendersi dal Panopticon è molto bello e utile, ma non possiamo neanche nasconderci per sempre come topi. Il miglior modo per non essere sorvegliati, è pretendere di non essere sorvegliati.

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"Et interviene di questa come dicono e’ fisici dello etico, che nel principio del suo male è facile a curare e difficile a conoscere, ma, nel progresso del tempo, non l’avendo in principio conosciuta né medicata, diventa facile a conoscere e difficile a curare. Cosí interviene nelle cose di stato; perché, conoscendo discosto, il che non è dato se non a uno prudente, e’ mali che nascono in quello, si guariscono presto; ma quando, per non li avere conosciuti si lasciono crescere in modo che ognuno li conosce, non vi è più remedio."

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“Ho urlato, ma non ho pianto”, le ultime parole di Yalda


Le amiche di Yalda cantavano: “Questo fiore è un dono per la nazione”. Dopo la cerimonia di fine lutto celebrata nella moschea di Sa’adatabad, nell’estrema periferia nord di Tehran, nel 40° giorno dalla sua morte, parenti e amici della diciannovenne Yalda

Le amiche di Yalda cantavano: “Questo fiore è un dono per la nazione”.

Dopo la cerimonia di fine lutto celebrata nella moschea di Sa’adatabad, nell’estrema periferia nord di Tehran, nel 40° giorno dalla sua morte, parenti e amici della diciannovenne Yalda Aghafazli, si sono riuniti all’aperto e hanno scandito slogan anti-regime. Le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni al peperoncino, bombe stordenti e proiettili di gomma per disperdere la folta folla che vi si era radunata.

Yalda era una giovanissima ed energica artista arrestata il 26 ottobre 2022 durante le proteste che erano divampate a Tehran.

Alcune organizzazioni umanitarie come Hengaw, avevano riferito che Yalda aveva trascorso quattro giorni nel famigerato carcere di Evin e che poi era stata successivamente trasferita nella prigione di Qarchak, dove è stata ristretta per altri 11 giorni.

In un messaggio audio inviato alla sua amica del cuore subito dopo essere uscita dalla prigione di Qarchak, Yalda aveva confidato che non era nemmeno lontanamente possibile immaginare quanto fossero orribili le torture che venivano inflitte alle giovani detenute. Lei ha rivelato che è stata picchiata duramente in prigione per estorcerle la confessione di reati mai commessi.

“Sono stata picchiata per 12-13 giorni consecutivi. Come vedi, la mia voce è diventata rauca perché ho urlato dal dolore per tutto il tempo delle torture subite”, aveva riferito Yalda con la voce rotta dal pianto e singhiozzando alla sua amica.

“Hanno scritto nella mia cartella, ‘il condannato non ha espresso rimorso’, e io ho confermato: ho detto di sì, è così. Non esprimerò mai alcun rimorso”, ha riferito Yalda.

“Ho solo urlato, ma non ho pianto, ecco perché la mia voce è così rauca. Non posso dirti altro da qui, ma cerca di capirmi. ‘Ahi, la mia schiena, Ahi, che dolore!’. Te lo dirò quando ci vedremo faccia a faccia cosa mi hanno fatto. Ti dirò tutto”, ha concluso così Yalda il drammatico messaggio per la sua cara amica.

Yalda era stata rapita mentre tornava nella sua casa di Tehran dopo aver scritto slogan contro Khamenei su un muro della città.

Il 6 novembre, dopo 12 giorni di pene di inferno è stata rilasciata e due giorni dopo, l’8 novembre è stata trovata morta nel suo letto.

La povera Yalda era distrutta dal dolore e dalle umiliazioni per le orribili violenze carnali subite.

La magistratura sostiene che Yalda è morta per una overdose di droga. Ma una fonte vicina alla sua famiglia ha contestato tale affermazione.

I test tossicologici non stati resi pubblici e forse non sarebbero stati nemmeno effettuati.

Gli agenti di polizia che avevano perquisito la sua abitazione non hanno trovato alcun indizio a conferma della tesi della magistratura iraniana e nemmeno il rapporto dell’autopsia aveva accertato che la causa della sua morte fosse dovuta a overdose.

La povera Yalda non è stata l’unica ragazza a morire dopo essere stata liberata dalle famigerate prigioni iraniane. Anche Arshia Emamgholizadeh, un ragazzo di 16 anni, poco dopo la sua liberazione è stato trovato morto. La sua famiglia sostiene che gli sarebbero state “somministrate pillole psicoalteranti in prigione dopo essere stato ripetutamente violentato”.

La mamma piangeva sulla sua tomba dicendo: “Non avevi tendenze suicide, cosa ti hanno fatto in prigione?”

Yalda era combattiva, era una delle tantissime adolescenti che sognava di vivere e divertirsi come le sue coetanee di New York, di Los Angeles e di Parigi. Non era disposta a compromessi: “La vita è tale, è bella e degna di essere vissuta se c’è la libertà di scegliere e di decidere come viverla” Hanno spazzato via la vita di Yalda e con essa il suo sogno di libertà e di felicità.

Giovani uomini, donne e studenti universitari, in particolare, sono stati in prima linea nelle proteste innescata dalla morte di Mahsa Amini, ventiduenne curda di Saqqez, massacrata di botte fino alla morte nel furgone della “polizia morale” dopo essere stata arrestata per non aver indossato correttamente l’hijab.

Il movimento si è trasformato nella più grande sfida per la Repubblica islamica dalla rivoluzione del 1979.

Le forze di sicurezza della Repubblica islamica hanno ucciso almeno 800 manifestanti nel corso dei 200 giorni di rivolte, tra questi circa 100 minori, secondo organizzazioni non governative per i diritti umani, come Hengaw che monitora la repressione del dissenso in Iran. Le stesse autorità iraniane hanno ammesso di aver arrestato oltre 22 mila persone durante la repressione.

Anche in questi primi giorni del nuovo anno iraniano il prezzo più pesante in termini di vite umane e di violenze subite lo stanno pagando le popolazioni del Kurdistan iraniano e del Sistan-Belucistan, cioè le minoranze etniche e religiose, le popolazioni della periferia del paese, vero motore di questa ribellione per la liberazione dell’Iran dal regime teocratico. Nelle aree popolate dai curdi la tensione è salita notevolmente di grado quando nei giorni del Nowruz i manifestanti si sono riuniti nei cimiteri per commemorare le vittime della repressione dopo i quaranta giorni di lutto.

Torture, stupri, rapimenti, avvelenamenti, detenzione in isolamento, sono le orrende pratiche messe in atto dalle autorità iraniane nel tentativo di soffocare le rivolte.

Il 21 marzo lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite, Javaid Rehman, ha dichiarato al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra che la feroce repressione delle autorità iraniane contro giovani cittadini, anche minori, sottoposti a torture, stupri e ad avvelenamenti potrebbe equivalere al compimento di “crimini contro l’umanità”.

“Invece di chiamarci ‘contestatrici’ ci chiamano ‘provocatrici’ o ‘terroriste’ che muovono guerra contro Dio”, dicono le adolescenti che lottano per la libertà dell’Iran.

“Ci prendono di mira, anche se siamo a mani nude. Ci feriscono, torturano, ci stuprano, ci accecano, ci avvelenano o ci ammazzano. Ci hanno stuprate nelle prigioni e torturate mentalmente per spingerci al suicidio una volta uscite dal carcere. Minacciano le nostre famiglie perché dicano che ci siamo drogate, che ci siamo suicidate o che ci siamo buttate nel vuoto”.

Le proteste nascono da una lunga storia di movimenti per i diritti delle donne e di attivismo in Iran. Le cittadine iraniane da anni elaborano strategie per sfidare la discriminazione di genere, sia in politica che nella società.

Nata e guidata da donne, la rivolta attraversa le divisioni di genere, quelle di classe e di etnia e rappresenta la più seria sfida popolare ai leader teocratici e a qualsiasi tipo di autocrazia, sia laica che religiosa.

A scendere nelle piazze sono i giovani del movimento, le minoranze etniche e religiose e la cosiddetta “Generazione Z”, quella dei ventenni, quella che non ha nulla da perdere; una generazione che rifiuta l’ipocrisia di vivere la libertà solo nello spazio privato e la rivendica ovunque, a cominciare dallo spazio pubblico.

L'articolo “Ho urlato, ma non ho pianto”, le ultime parole di Yalda proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Marinella


Ve ne siete dimenticati, si è già passati oltre? A me, invece, m’è rimasto in testa. La ragione si nutre di memoria. Quel che interessa, nella cantata a ridosso di Cutro, non è l’indignazione oppositoria, che sa tanto di partito preso. No, mi restano in m

Ve ne siete dimenticati, si è già passati oltre? A me, invece, m’è rimasto in testa. La ragione si nutre di memoria. Quel che interessa, nella cantata a ridosso di Cutro, non è l’indignazione oppositoria, che sa tanto di partito preso. No, mi restano in mente le riprese e il perduto senso delle parole.

Capita di partecipare a funerali, di essere veramente commossi e sentirsi vicini ai familiari. Poi, due metri e due minuti più in la, ci si rivede dopo molto tempo, ci si scambia una battuta ed un sorriso. Non c’è falsità. Solo che non lo si fa in faccia a chi piange ed esiste pur sempre una differenza fra un privato a lutto e chi incarna un lutto collettivo.

Difatti, si osserverà, la cantata avvenne ben lontano dal luogo di quel lutto feroce. Vero. Ma è incredibile che in una stessa stanza si trovino la presidente del Consiglio e il suo vice, circondati da amici, e che con incoscienza totale si possa tirare fuori il telefono e riprendere. Quando, oramai, pure i sassi hanno imparato che quelle immagini potranno essere utilizzate solo contro di te. Nessuno che dica: amici, compagni, camerati, mettete in tasca quella roba. E nessuno che senta il pudore d’essere l’ospitato che mollerà la fregatura agli ospitanti.

E vabbè, la debolezza egolatrica di riprendersi e la cattiveria di riprendere sono considerate ineliminabili. Quando non ammirevoli. E così, pur non essendo né invitati né interessati abbiamo finito con il partecipare da guardoni. Anche questo è costume collettivo. Ma la cantata usava le note e il testo di un tal Fabrizio De Andrè. Ed è qui che ci si chiede se le parole hanno ancora un senso.

Che lo si definisca poeta o cantautore, non cambia che fu il cantore degli ultimi, dei reietti: puttane, travestiti, zingari, drogati. Non cambia che trovava immorale la morale comune. Non cambia che dedicò un’intera raccolta di composizioni, un “album” come si dicava ai tempi del vinile, a Gesù. Lo intitolò: “La buona novella”. Tutto il suo ragionare è basato sui vangeli apocrifi e con un “Testamento di Tito” non proprio destinato a glorificare i comandamenti. Che ci fa questa roba nell’ugula di chi i campi nomadi non li canta, non racconta il “caritare”, ma più volte si propose di spianarli con le ruspe? di chi porta i rosari ai comizi?

Nessuno risponderà, perché c’è la cultura imbastardita di intere generazioni che ha tolto senso alle parole, che si celebra nell’essere “contro” e si esercita nell’essere contro altri che sono contro, finendo con il cantare le stesse cose, riproponendole solo perché parte della loro vita adolescenziale e mai di una storia adulta. Cantano, da destra a sinistra, le stesse cose perché sono figli dello stesso mondo, avverso il quale protestano. Quel furto d’immagine dice molto, ma solo a chi pensa che le parole abbiano ancora un senso.

La Ragione

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USA: Trump e quell’irresistibile voglia di ‘manette’


Da vari giorni, la possibilità che sia emesso un mandato di arresto a carico di Donald Trump catalizza l’attenzione dell’opinione pubblica statunitense. La notizia – annunciata dallo stesso ex Presidente alla fine della scorsa settimana – ha sollevato reazioni prevedibili nell’establishment repubblicano. Lo speaker della Camera dei rappresentanti, Kevin McCarthy, e l’ex vicepresidente, Mike Pence, […]

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“Privacy e Sanità”: il ciclo di seminari a Padova


Presso i Musei Civici agli Eremitiani di Padova sono intervenuto al ciclo seminariale “Privacy e sanità” – “Sicurezza dei dati e gestione del rischio in ambito sanitario“, realizzato dall’Accademia Italiana del Codice di Internet (IAIC) e dall’Azienda ULSS6 Euganea in collaborazione con l’Università Europea di Roma Giurisprudenza (UER) InnoLawLab – Laboratorio di Diritto dell’Innovazione e il... Continue reading →


Telemedicina ed anziani: se non si accompagnano, è un flop


La maggior parte degli anziani vive solo o in coppia senza figli (71,5% degli uomini e 72,5% delle donne). La popolazione matura ed anziana conta circa 14 milioni di persone OVER 65 (23% della popolazione italiana); circa 3 milioni riferiscono di avere gravi limitazioni di salute ed hanno plurimorbilità con anche difficoltà di mobilità. Per ovviare […]

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SABATO 25 MARZO DALLE ORE 15:30 - PIAZZA MAZZINI ALBANO- PIAZZA DI CORTE ARICCIA - CORTEO CONTRO L’INCENERITORE DI GUALTIERI - Il mega inceneritore che G


Russia: il putinismo lascia carta bianca al razzismo


Subito dopo l’inizio del nuovo anno, la pagina VKontakte ha condiviso la seguente notizia: “Il primo bambino del 2023 è nato esattamente un minuto dopo la mezzanotte, [il 1 gennaio] alle 00.01, a San Pietroburgo. Per sua madre, 25enne originaria di Tuva, Venera, questo era già il secondo parto: il figlio di sei anni la […]

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Posponendo e rimandando


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#LaFLEalMassimo- Episodio 86- Vigilanza Bancaria libertà vs Responsabilità


Questa rubrica continua a ribadire in apertura il proprio sostegno al popolo ucraino e la condanna dell’inaccettabile aggressione perpetrata dalla Russia – la vittoria non è lontana e speriamo di poter chiudere presto questa triste pagina della storia con

Questa rubrica continua a ribadire in apertura il proprio sostegno al popolo ucraino e la condanna dell’inaccettabile aggressione perpetrata dalla Russia – la vittoria non è lontana e speriamo di poter chiudere presto questa triste pagina della storia contemporanea.

Le vicende dei fallimenti recenti di Silicon Valley Bank e Credit Suisse ci offrono l’occasione per una riflessione sui profili di libertà e di responsabilità connessi con la regolamentazione bancaria.

Nel caso degli stati uniti l’interesse delle singole banche di medie dimensioni è stato anteposto a quello della collettività e questo ha reso necessario un intervento straordinario del regolatore per evitare l’effetto contagio.

Nel caso della Svizzera, l’autorità di vigilanza ha di fatto sovvertito la gerarchia dei rimborsi in caso di default tra azionisti ordinari e obbligazionisti Additional Tier 1 e questo avrà delle conseguenze per il futuro al punto che la Banca Centrale Europea ha ritenuto opportuno chiarire la propria volontà di prendere le distanze da questo approccio

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Disprezzare la folla


In Francia la parola d’ordine, mot d’ordre, del momento è mépris, disprezzo. Il sentimento in tutta la sua portata di arroganza e superiorità sociale è attribuito al presidente, ribattezzato le Mépresident, non più presidente dei ricchi. La usa Marine Le

In Francia la parola d’ordine, mot d’ordre, del momento è mépris, disprezzo. Il sentimento in tutta la sua portata di arroganza e superiorità sociale è attribuito al presidente, ribattezzato le Mépresident, non più presidente dei ricchi. La usa Marine Le Pen, questa formula che la distacca dal suo stesso tentativo di condurre un’opposizione istituzionale alla riforma delle pensioni, scuola Meloni. La usa Philippe Martinez, capo uscente della Cgt vecchia scuola massimalista la cui delfina è insidiata da Olivier Mateu, un formidabile e sprezzante supercafone che fa la voce grossissima in una sua lingua corrotta e speciale, calvinianamente il Cafone rampante. La usa Jean-Luc Mélenchon, capoccia tribunizio della sinistra massimalista, già notorio per aver detto a un agente di polizia “la démocratie c’est moi”, “c’est moi la République”. La usano le facce invero paciose, graziose studentesse e arcigni lavoratori del braccio come ferrovieri portuali operatori ecologici, che si scatenano nelle strade e nelle piazze a nome del paese da basso e dei ceti medi spossessati da due anni di lavoro legale in più, con le dovute eccezioni per lavori usuranti e lunghe carriere, stabiliti da una legge approvata con il marchingegno annulla-Parlamento della Costituzione della V Repubblica (una clava brandita già cento volte).

Vero che Macron in televisione ha esibito un bel paio di gemelli, due fedi due, una per ciascuna delle sue mani affusolate, un completo bleu cobalto impeccabile, e il solito bel riportino, vero che l’ambiente dell’intervista era elegante e asettico, come la coppia di giornalisti che gli faceva domandine au nom du peuple, ma fino a un certo punto, vero che il presidente parla il francese di Racine e assomiglia a una metà appena della nazione e ha preso i voti veri, i suoi voti, da un quarto della medesima (il resto fu il rigetto di Mme Le Pen). Ma la cosa più vera ancora è che, dopo aver comprensibilmente detto che non scioglie l’Assemblea nazionale, che non fa un referendum, che non cambia per ora il primo ministro, Élisabeth Borne, ha aggiunto che assume senza patemi d’animo su di sé, tutta intera, l’impopolarità di una riforma necessaria. Il che sarebbe solo prova di coraggio e di responsabilità. Ma ha concluso affermando che non è il sistema pensionistico insostenibile la vera questione, la vera questione è che con il welfare generoso che si sa, ingentilito da una quantità di sussidi dovuti alla pandemia da Covid (e prima dalle concessioni ai gilet gialli, ndr), gli equilibri sono saltati e il rapporto con il lavoro e il reddito non è più così centrale per, e anche questo lo aggiungiamo noi, un popolo combattivo ma assai bene assistito.

Disprezzo, disprezzo, disprezzo. La collera sale. Non ascolta la piazza, la chiama folla, se ne impipa dei sondaggi che danno i francesi all’opposizione per l’83 per cento, ohibò, sottolinea la presenza di fazioni e faziosi, annuncia precettazioni a raffica. E’ chiaro il peso della storia e più ancora della retorica storica su cui si fonda la République della eguaglianza, della libertà e della fraternità, nata per opposizione giacobina all’Antico Regime aristocratico in nome dei valori popolari e borghesi d’antan. La ghigliottina dell’accusa di disprezzare il popolo in un certo senso non ha mai smesso di funzionare. E ci si mette anche un Carlo III d’Inghilterra, atteso per una visita di stato, la prima all’estero, e per un gala nella reggia di Versailles contestato a pieni polmoni dalla deputata Rousseau, Sandrine Rousseau, nomen omen, per conto della volontà generale.

Chi ama i francesi, quorum ego, ha il dovere di ricordare loro che Macron è un riformista liberale, di una specie unica o quasi in quel paese, che è riuscito a prendere il potere mediante fantasia e fortuna e cerca di esercitarlo nelle condizioni date, non un conservatore alla Boris Johnson. Il formidabile ex premier britannico potrebbe scrivere un manuale sul disprezzo, lui sì che sta chiudendo la sua carriera dopo aver recitato a memoria l’Iliade in tv, naturalmente nel greco antico imparato nel collegio di Eton, e dopo aver preso per il culo l’opinione puritaneggiante con i suoi party a Downing Street, fiumi di alcol e promiscuità durante il lockdown con le sue regole che prevedevano eccezioni per chi se le poteva permettere trattandosi di riunioni di lavoro. Chiamasi contempt, questo disprezzo intriso di senso della tradizione e dell’arcaico potere dei nobili e dei dotti, e si usa molto per il disprezzo della corte, quando si è in stato di accusa e si fa finta di niente, magari mentendo. Chirac ritirò la riforma per le proteste di piazza nonostante il parere contrario del suo primo ministro, e finì nell’immobilismo più totale. Per un gollista era una strana forma di adulazione della nazione, il più straordinario dei metodi dissimulativi del disprezzo. Macron è un fighetta, forse, ma di tutt’altra pasta.

Il Foglio

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Autonomia, investimenti e cultura. La ricetta di Latorre (Aid) per la Difesa


La guerra in Ucraina ha riportato al centro del dibattito in tutti gli Stati europei le necessità della Difesa e, di conseguenza, dell’industria della Difesa. Anche in Italia ci si è resi conto dell’urgenza di incrementare gli investimenti nel settore, pe

La guerra in Ucraina ha riportato al centro del dibattito in tutti gli Stati europei le necessità della Difesa e, di conseguenza, dell’industria della Difesa. Anche in Italia ci si è resi conto dell’urgenza di incrementare gli investimenti nel settore, per rendere l’architettura di sicurezza nazionale in grado di affrontare le minacce del prossimo futuro. Airpress ne ha parlato con il direttore generale dell’Agenzia industrie Difesa (Aid), Nicola Latorre.

Direttore, qual è, a suo avviso, lo stato del comparto industriale italiano al momento?

La guerra ha senza dubbio confermato la necessità di aggiornare le strategie di sicurezza del Paese, considerato che accanto alle nuove minacce alla sicurezza, prima fra tutte quella cibernetica, si ripropongono dopo questa guerra nel cuore dell’Europa anche quelle di tipo convenzionale. Ne deriva la necessità di adeguare gli assetti di difesa ed emergono due elementi fondamentali per le strategie industriali: il primo, che non si deve abbassare la guardia sulla frontiera dell’innovazione e della ricerca adeguando gli investimenti alla necessità di fronteggiare le minacce. Il secondo, che le politiche industriali devono garantire il massimo di autonomia al sistema di Difesa del nostro Paese, soprattutto in settori strategici fondamentali come il munizionamento, la manutenzione dei mezzi e la produzione di dispositivi di protezione individuale sempre più indispensabili.

Questo coinvolge da vicino gli stabilimenti dell’Agenzia industrie Difesa…

Non solo, l’Italia possiede una serie di assetti industriali che dipendono direttamente dal ministero della Difesa, oltre i nostri nove stabilimenti dell’Aid ci sono i poli di mantenimento mezzi di Piacenza e Nola, il polo tecnologico di Roma, la fabbrica nazionale d’armi di Terni, tutti assetti produttivi il cui valore va sempre più massimizzato in un comune orizzonte strategico e gestionale. Per parte nostra è la rotta che segue l’Agenzia, a supporto delle nostre Forze armate così da essere su alcune produzioni uno degli asset di riferimento del sistema. Penso alla sicurezza sanitaria, attraverso l’unica officina farmaceutica di Stato, a Firenze, che abbiamo l’onore di avere nell’Aid. Penso alle frontiere innovative come quelle della dematerializzazione, digitalizzazione e archiviazione del materiale cartaceo attività sulla quale, con uno dei nostri stabilimenti, ci stiamo qualificando come unico asset direttamente statale. Così come nel campo del munizionamento, con l’attività di due dei nostri stabilimenti e l’avvio, dopo anni di fermo, dell’attività produttiva del sito di Fontana Liri, che avrà il compito di produrre le polveri necessarie a supportare l’attività di produzione munizioni, di cui proprio negli ultimi tempi è emersa l’esigenza imprescindibile.

L’invasione russa ha fatto emergere la necessità di costruire una Difesa europea, cercando di tenere insieme l’autonomia dei Paesi e la condivisione di capacità. Come fare, soprattutto dal punto di vista industriale?

La costruzione di un sistema europeo di Difesa deve continuare a essere un obiettivo strategico fondamentale dell’Italia. Il problema è come arrivarci. Oggi sono stati fatti importanti passi avanti, ma siamo ancora lontani dal raggiungere l’obiettivo. Anche perché precondizione necessaria è la condivisione di una comune politica estera, dal momento che esteri e difesa sono due facce della stessa medaglia. E anche dal punto di vista industriale si renderà necessario superare le attuali, tradizionali resistenze del settore per costruire delle vere sinergie a livello europeo. Va detto che, finora, queste resistenze sono venute più da altri Paesi rispetto all’Italia, che anzi si è proposta, anche con l’attuale gestione del dicastero, come attore proattivo di questa maggiore integrazione. Tutto questo, poi, dovrà naturalmente conciliarsi con la Nato. Primo perché al momento è l’unica entità sovranazionale in grado di garantire concretamente la sicurezza europea. E poi, perché se la costruzione di una Difesa europea è un progetto verso il quale tendere, la Nato è una realtà.

La guerra ha fatto emergere la necessità di aumentare il budget da destinare alla Difesa, raggiungendo l’obiettivo del 2% del Pil. Il ministro Crosetto ha proposto di scorporare le spese per la Difesa dai vincoli del patto di Stabilità. Cosa ne pensa?

In generale, ritengo che sia necessaria una ridiscussione seria in sede europea dei termini del Patto di stabilità, soprattutto dopo la pandemia e, adesso, la guerra. D’altro canto, il tema della spesa militare si è recentemente riproposto con maggiore enfasi alla luce di questa guerra, ma è un impegno che è all’ordine del giorno ormai da tempo, e personalmente, ritengo interessante l’iniziativa adottata dal ministro. Come quella di un parallelo investimento teso a diffondere una seria cultura della Difesa, che dobbiamo cercare di promuovere a tutti i livelli nel Paese. Perché non si sta parlando di spese per la guerra, come stupidamente certa propaganda spinge a pensare. Il tema vero è che noi per tutto il periodo della Guerra fredda siamo stati consumatori, come Paese, di sicurezza. Oggi siamo chiamati a essere produttori di sicurezza, proprio per garantire la pace. Diffondere la cultura della Difesa significa evitare che si possa demagogicamente dire che un euro speso in Difesa è sottratto alle politiche sociali o di lotta alle diseguaglianze. Non è così. Si tratta di due aspetti diversi in una strategia che un Paese deve essere in grado di portare avanti parallelamente. C’è poi da aggiungere che tutti gli investimenti per la Difesa, oltre a garantire la sicurezza delle nostre società, spesso hanno ricadute dirette anche in altri settori, dalla sanità al supporto per le politiche ambientali. Certo contestualmente occorre perseguire una riqualificazione della spesa militare, perché c’è sempre spazio per la razionalizzazione, ma gli obiettivi del Paese devono essere chiari.

Cultura e razionalizzazione sono due obiettivi principali che hanno portato alla creazione dell’Agenzia industrie Difesa, realizzata per portare cambio culturale all’interno del mondo della Difesa…

Noi siamo un ente di diritto pubblico con alcune peculiarità, la prima delle quali è che noi abbiamo il vincolo di Economica Gestione. Questo impone un’organizzazione delle attività, anche produttiva, che tenga insieme l’essere una pubblica amministrazione con la necessità di avere una strategia industriale in grado di misurarsi con il mercato richiedendo una gestione sempre più manageriale. Noi possiamo sviluppare partnership importanti con i vari attori industriali nazionali, dai grandi come Leonardo e Fincantieri, al panorama di Pmi di straordinaria qualità e capacità nazionale. Questo, tuttavia, significa anche gestire tutta una serie di criticità. Per fortuna i fatti confermano che siamo sulla buona strada. Naturalmente siamo soggetti a un’attività rigorosa di controllo da parte degli organi preposti. Contrariamente a come è stato a volte rappresentato, queste attività sono utili e hanno tutto il nostro supporto, evitando che esse rappresentino un impedimento allo sviluppo dell’attività dell’Agenzia. Fino a oggi abbiamo risposto a tutte le domande di chiarimento avanzate dagli enti di controllo con riscontri che sono stati giudicati ampiamente soddisfacenti.

Nel 2021 lei ha guidato il rinnovamento dell’AID con l’obiettivo di valorizzare gli stabilimenti gestiti dall’Agenzia. Un progetto veicolato anche attraverso il nuovo logo scelto allora per rappresentare l’AID. a quasi due anni, qual è il bilancio dell’iniziativa?

Cambiare immagine e rinnovare la strategia di comunicazione ha voluto contribuire ad alimentare un discorso sui temi della Difesa e della cultura della Difesa che potesse essere veicolato e recepito anche all’esterno del mondo tradizionalmente coinvolto. Riqualificare e aggiornare l’immagine dell’Aid è una scelta rivolta in particolare ai giovani. Non a caso sono stati loro i protagonisti di questa trasformazione. Gli studenti universitari che sono venuti a fare presso l’Agenzia i propri stage curriculari, attività che continuiamo a valorizzare, e che hanno potuto così avvicinarsi ai temi della Difesa nella maniera giusta. Accanto a questa attività di diffusione culturale, ci sono state una serie di attività più tradizionali che hanno raggiunto ottimi risultati. Ne è un esempio la gestione e valorizzazione dei mezzi dismessi e demilitarizzati delle nostre Forze armate, che ha visto numeri di vendita importanti. Dal punto di vista dell’immagine, inoltre, abbiamo coltivato con attenzione una serie di eventi legati alle storie dei nostri stabilimenti. Noi ci stiamo preparando a celebrare il 170esimo anniversario dello Stabilimento chimico farmaceutico con una serie di manifestazioni culturali tese a valorizzarne la storia e l’importanza delle attività svolte a Firenze. L’obiettivo che mi auguro è far capire quanto queste realtà dell’Agenzia siano uno degli asset strategici del sistema difesa italiano e possano attivamente esserlo anche per l’intero sistema-Paese.


formiche.net/2023/03/cultura-d…



Borsa: canapa, debacle in rosso per Canada e USA


Sulla scia della crisi borsistica mondiale sospinta dalle flessioni bancarie e dal permanere della volatilità dettata dalla stagnante crisi della guerra in Ucraina, anche le due principali piazze borsistiche mondiali nel settore Canapa registrano perdite sanguinose. Per avere dei raffronti nel settore parallelo della cannabis, si constata che l’indice generale Global Cannabis Stock Index chiude […]

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Arabia Saudita – Iran: perché muta la politica mediorientale della Cina


Il Presidente cinese Xi Jinping questa settimana si è recato a Mosca per incontrare il suo amico e alleato, Vladimir Putin. È stata la 40esima volta che i due si sono incontrati da quando Xi è entrato in carica più di un decennio fa. La visita non solo ha consolidato il partenariato strategico della Cina […]

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Summit Ue, più sostegno alle imprese sulla digitalizzazioneConclusioni, liberare potenziale dati garantendo privacy


guidoscorza.it/summit-ue-piu-s…



Perché spingere per la disgregazione della Russia è una follia assoluta


C’è una piccola ma crescente lobby in Europa e negli Stati Uniti che sostiene la disgregazione della Federazione Russa. La loro argomentazione principale è che la negazione da parte di Putin del diritto all’esistenza dell’Ucraina dimostra che lo Stato russo è irrimediabilmente imperialista e che nessuno dei suoi vicini può sentirsi al sicuro a vivere […]

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L’Agenzia Spaziale Europea cambierà la storia dell’Europa


Se dovessimo parlare di rivoluzioni a Parigi, è sicuro che non saremmo originali. Ma quanto stiamo per raccontare non ha niente a vedere con i tentativi di Emmanuel Macron di aggredire le regole per l’età pensionistica in Francia, ora che sta per terminare il suo ultimo mandato all’Eliseo. Questa volta si tratta di un tema […]

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Anche oggi Giorgia Meloni non è riuscita a condannare il nazifascismo. Non le riesce proprio. Nel 79° anniversario dell'eccidio delle Fosse Ardeatine facci


Africa: sempre più grande successo per la coltivazione della canapa in Zimbabwe


All’inizio di quest’anno, lo Zimbabwe ha modificato la legislazione rimuovendo la canapa industriale dall’elenco delle droghe pericolose del Paese e fissando la linea di demarcazione tra marijuana e canapa all’1,0%. Questo limite di THC pone lo Zimbabwe all’avanguardia tra le nazioni del mondo che hanno rotto la convenzione di lunga data osservata dalla maggior parte […]

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La Fondazione Luigi Einaudi presenta “Non diamoci del tu” alla Cassa Forense. Il viceministro Sisto: “È il momento giusto per realizzare la separazione delle carriere”


“È il momento giusto per provare a realizzare la riforma della separazione delle carriere dei magistrati”, è un’apertura importante quella che il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto ha fatto ieri alla battaglia che da tempo la Fondazione Lui

“È il momento giusto per provare a realizzare la riforma della separazione delle carriere dei magistrati”, è un’apertura importante quella che il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto ha fatto ieri alla battaglia che da tempo la Fondazione Luigi Einaudi porta avanti sulla separazione delle carriere. Il tema è stato affrontato alla Cassa Forense in occasione della presentazione del libro “non diamoci del tu” del Presidente della FLE Giuseppe Benedetto.

“Ci sono numerose proposte depositate – ha detto Sisto – e credo che presto qualcuna di queste sarà calendarizzata. Sarà un percorso non breve, ma c’è compattezza di spirito. Questo è il momento giusto per provare a realizzare la riforma”.

Con il giornalista del Corriere della Sera Goffredo Buccini in veste di moderatore, hanno partecipato al dibattito Giorgio Spangher, Professore Emerito di Procedura Penale all’Università La Sapienza di Roma, Valer Militi, Presidente della Cassa Forense, Paolo Nesta, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma, Andrea Borgheresi, Direttore della Fondazione Ordine degli avvocati di Roma e Gaetano Scalise, Presidente della Camera Penale di Roma.

“È evidente che il tema della separazione della carriere ha un nemico, che è la resistenza della magistratura”, ha sottolineato il viceministro. “Non darei tanto la responsabilità alla politica tutta, ma a quella politica che in questi anni ha fatto della magistratura un’arma”. E poi ha concluso: “La separazione delle carriere significa chiarezza, e significa togliere quella compattezza che troppo spesso ha costituito il motivo per creare antagonismo tra chi difende e non chi accusa, ma tra chi difende e la magistratura”.

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Expect biometric mass surveillance in Paris in 2024: French Parliament approves automated monitoring of public spaces for „suspicious behaviour“


Yesterday, the French Parliament (‘Assemblée Nationale’) adopted Article 7 of the Olympic Games law, with 59 votes in favour and 14 against. Article 7 of the … https://www.politico.eu/article/jo-2024-la-surveillance-algorithmique-votee-malgre-la-controv

Yesterday, the French Parliament (‘Assemblée Nationale’) adopted Article 7 of the Olympic Games law, with 59 votes in favour and 14 against.

Article 7 of the legislation authorises police authorities during sporting, recreational or cultural events to use surveillance cameras and error-prone artificial intelligence to automatically look for and report supposedly “abnormal” or “suspicious” behaviour. Video feeds from drones and from the thousands of CCTV cameras will be examined in real time, supposedly merely to find abandoned bags and monitor crowd movements – but the text leaves the definition of such ‚abnormalities‘ to be defined later-on by governmental decree, and the government itself tip-toed around giving other examples when requested to do so by MPs. The Parliament was abnormally-empty at the time of the vote, with 73 MPs out of 577 present, due to nation-wide protests being acted in response to the pension reform.

Last week, 41 MEPs from different political groups had sent an open letter to the French Parliament, calling to stop the unprecedented plans to automate the mass surveillance of citizens’ behaviour in public using artificial intelligence. MEPs warned against the crippling effect of such mass surveillance of public spaces, which had never been conducted before in Europe, and which is setting a precedent. The signatories to the open letter include several negotiators of the proposed EU Artificial Intelligence Act which committed to ban biometric mass surveillance, including co-rapporteur Brando Benifei (Socialist Group).

Pirate Party Member of the European Parliament Patrick Breyer, initiator of the letter, comments:

“The French Parliament‘s decision to authorize automated behavioral surveillance in public spaces to look for ‚abnormal behavior‘ creates a new reality of mass surveillance that is unprecedented in Europe. I expect the court to annul this indiscriminate surveillance legislation for violating our fundamental rights.

Such suspicion machines will report countless citizens wrongly, are discriminatory, educate to conformist behaviour and are absolutely useless in catching criminals, as studies and experiences have proven. Step by step, like in China, social diversity is threatened and our open society replaced by a conformist consumer society.

While MEPs in Brussels are currently fighting hard for a ban on biometric mass surveillance of public spaces, the French parliament introduces it in Europe for the first time. At a unifying event like the Olympic Games, discriminatory and error-prone technology will now be used to constantly monitor people from all over the world and to blacklist them if they are noticed. This sets a dangerous precedent and deeply intrudes into the highly personal lives of every human being. The French Parliament was called upon to defend our values of freedom and diversity and to protect our open society, but it failed us. Dystopia, here we come! AI-powered surveillance has come for the first time in France and the EU, and we can expect authoritarian states to point to this precedent.

It is a classic strategy with major sporting events, analyses by Jules Boykoff in Power Games: A Political History of the Olympics (2016). “Since 2001, all the Olympic Games have served as a pretext for the deployment of new security technologies”, the academic says. In 2012, for example, the London Games led to the generalization of video surveillance in the streets of the UK capital. Also deployed on an experimental basis during the 2018 Football World Cup in Russia, facial recognition is still used today to monitor the entire Moscow population.


patrick-breyer.de/en/expect-bi…



A distanza di quasi 2 anni dai licenziamenti via mail, sconfitti con la lotta, i lavoratori della Gkn continuano ad essere un esempio straordinario per la loro


Il 25 marzo è il #Dantedì, la Giornata dedicata Dante Alighieri, istituita per ricordare in tutta Italia e nel mondo la storia e le opere del Sommo Poeta.


El Salvador. La lotta contro le bande criminali funziona ma i diritti umani sono negati


El Salvador è uno degli ultimi paesi al mondo a vietare completamente l'aborto. Le donne sono condannate fino a 40 anni di carcere per l'interruzione di gravidanza. L'articolo El Salvador. La lotta contro le bande criminali funziona ma i diritti umani so

di Mishell Mantuano – giornalista free lance ecuadoriana –

Pagine Esteri, 24 marzo 2023. Nayib Bukele è alla presidenza di El Salvador da tre anni e nove mesi ed ha il sostegno dell’80% della sua popolazione, risultando il presidente più popolare del continente (secondo gli ultimi sondaggi di Gallup). Durante questo periodo, ha controllato le bande del Paese e costruito il Terrorism Confinement Center, la più grande prigione delle Americhe, secondo lo stesso presidente. La sua strategia offensiva contro i clan ha portato alla cattura di migliaia di persone e allo stesso tempo alla denuncia per violazione dei diritti umani.

Nayib Bukele, figlio dell’imprenditore Armando Bukele, è stato sindaco di Nuevo Cuscatlán dal 2012 al 2015 e, successivamente, sindaco di San Salvador dal 2015 al 2018, del partito di sinistra Fronte Nazionale di Liberazione Farabundo Martí (FMLN), dal quale è stato espulso per “violare i principi del partito”. Dopo l’espulsione, nel 2019, è diventato presidente di El Salvador con il partito di destra Gran Alianza por la Unidad Nacional (GANA).

Tra i suoi punti pogrammatici del piano di governo, Bukele ha implementato il Sistema di controllo territoriale e un regime di eccezione per demolire le bande in El Salvador, con l’obiettivo di ridurre gli omicidi e le estorsioni.

Byron Banguera, consulente di mobilità umana e questioni geopolitiche contattato per Pagine Esteri, ricorda che il piano del presidente è incentrato sulla neutralizzazione dei clan di Las Maras, “bande criminali che controllavano grandi estensioni territoriali e che hanno sottoposto la popolazione alla loro politica basata sulla violenza, l’intimidazione, l’estorsione e la morte”. Una sorta di clan mafiosi in salsa salvadoregna che con la violenza hanno incrementato una mentalità omertosa.

In un articolo per il Washington Post, Juan Martínez d’Aubuisson, giornalista salvadoregno, antropologo socioculturale e studioso del fenomeno delle bande dal 2008, ha annunciato che nel 2022 i Maras sarebbero giunti al termine. Dopo 20 anni di costituzione di un anti-stato attraverso un sistema di regole e punizioni per la popolazione salvadoregna, questa forma criminale è stata superata e “alla fine rimpiazzata da una forma criminale molto più efficiente, più organizzata e con una potenza bellica superiore: la mafia di stato al comando del presidente Nayib Bukele”.

Secondo il giornalista, il presidente di El Salvador ha imprigionato decine di migliaia di delinquenti e questo ha permesso ai salvadoregni un cambiamento importante come: poter aprire attività commerciali senza subire estorsioni e passeggiare per le strade del Paese senza temere atti criminali. Tuttavia, nel gruppo dei detenuti ci sono anche persone innocenti. Infatti, nel marzo 2023, un’organizzazione di difesa dei diritti umani afferma di aver denunciato lo Stato salvadoregno davanti alla Commissione interamericana per i diritti umani, IACHR, per la sistematica violazione dei diritti umani di 66 persone detenute durante la sua strategia offensiva contro le bande.

Da parte sua, Byron Banguera spiega che la politica di Bukele comprende quattro fasi: le prime due corrispondono al recupero del monopolio e all’uso della violenza, basata sul controllo e la purificazione delle forze di sicurezza. Mentre il terzo e il quarto corrispondono all’investimento sociale. Dato che Bukele ha la maggioranza dell’Assemblea Legislativa, nel 2022, secondo il consulente geopolitico, sono stati approvati più di 6 miliardi di dollari per dare priorità all’istruzione e alla salute “due questioni che sono state abbandonate nel passato”.

Inoltre lo stesso Bukele, ha scommesso sull’arte e sulla cultura affinché i giovani avessero un’alternativa rispetto alle pratiche violente. In questo senso si sono recuperati gli spazi pubblici che prima erano occupati dalle bande di Las Maras attraverso l’intervento forte dello stato con l’applicazione di politiche sociali e pubbliche. “El Salvador era uno stato fallito e Bukele è spesso collocato in una destra fascista, cosa che non è. Tutti i cambiamenti che si stanno facendo sono protetti dalla costituzione e legittimati nella democrazia”, dice Banguera.

Come leggere Bukele ideologicamente nella dicotomia destra / sinistra?

Byron Banguera spiega che Nayib Bukele è nato politicamente nella sinistra tradizionale nonostante fosse figlio di uno degli uomini più ricchi di El Salvador, Armando Bukele. Segue il modello di Singapore e della Cina, quest’ultima essendo il maggior collaboratore. In relazione alla gestione tecnologica e all’uso di queste, Bukele prende come esempio l’Estonia e la Finlandia.

È un politico abbastanza progressista su alcune questioni e piuttosto reazionario su altre; ad esempio, a livello americano, El Salvador è uno dei paesi più conservatori. “Il potere che hanno le chiese evangeliche è troppo forte e questo modella il canale socio-culturale del Paese”.

El Salvador è uno degli ultimi paesi al mondo a vietare completamente l’aborto. Nel 2014, la campagna “Una Flor por las 17” ha chiesto di concedere la grazia a 17 donne condannate fino a 40 anni di carcere tra il 1999 e il 2011, dopo aver subito un’emergenza ostetrica. A due di loro è stata concessa la grazia e tre sono state rilasciate per revisione della pena. Quelle 17 donne sono una piccola parte delle oltre 181 donne detenute in El Salvador, secondo i dati raccolti dalla rivista Volcánicas.

In questo paese l’aborto è un crimine e lo è sempre stato; tuttavia, non era assolutamente vietato. Dal 1973 al 1997, le donne potevano interrompere la gravidanza per tre motivi: problemi di salute, non vitalità del feto al di fuori dell’utero e stupro. Ma queste cause sono state eliminate dopo una richiesta del ministro della salute e la costituzione è cambiata riconoscendo la vita dal momento del concepimento.

Nonostante ci siano casi che abbiano raggiunto la Commissione Internazionale dei Diritti Umani (CIDH), le politiche di criminalizzazione delle donne per il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza non sono cambiate.

Intanto in America Latina il successo politico di Bukele, che si presenterà nuovamente alle elezioni presidenziali del 2024, ha generato un forte dibattito nei paesi latinoamericani storicamente violenti come Messico e Colombia e in quelli dove cresce la delinquenza e la criminalità organizzata come nel caso dell’Ecuador che ha chiuso l’anno 2022 con quasi 1400 omicidi con un incremento di quasi 200 omicidi rispetto al 2021. Una cosa sembra abbastanza chiara: Bukele ha risposto al problema della violenza nel suo paese dando risposte e soluzioni concrete e i numeri gli danno ragione, tuttavia, come afferma Banguera: ”il modello Bukele non si esporta totalmente da una parte all’altra, le esperienze non possono essere estrapolate ma è importante analizzare il contesto di ogni paese nazionale”.

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L’addio al “papà” della data protection, TikTok al Congresso, Biden Jr ha problemi di privacy e il maglione stealth


Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, tutti i venerdì su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni. E se volete saperne di più potete leggere qui le news quotidiane di Privacy Daily o iscrivervi alla newsletter di #cosedagarante. Grazie a StartupItalia per l’ospitalità!


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In Cina e Asia – Tik Tok al Congresso Usa


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I titoli di oggi:

Tik Tok al Congresso Usa

I rapporti Cina-Russia al Consiglio UE

Dopo 29 anni di detenzione ingiusta, riaperto vecchio caso di omicidio

La figlia di Kim sfoggia piumino di Dior

Rahul Gandhi condannato a 2 anni per diffamazione

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DigComp 2.2 competenze e curricoli digitali: oggi dalle 9.30 si svolge a Firenze il convegno in occasione della pubblicazione ufficiale in lingua italiana del Digital Competence Framework for Citizens 2.2.


BRASILE. Lula dichiara guerra alle mafie minerarie e al genocidio degli Yanomami


Lula dichiara guerra ai garimpeiros che devastano l'Amazzonia e massacrano le popolazioni Yanomami e accusa l'ex presidente Bolsonaro di genocidio. Inizia l'espulsione dei cercatori d'oro illegali L'articolo BRASILE. Lula dichiara guerra alle mafie miner

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 24 marzo 2023 – Subito dopo la vittoria elettorale contro l’ex leader dell’ultradestra Jair Bolsonaro, nel corso del suo primo intervento da capo dello stato, il 30 ottobre Lula aveva promesso: «Il Brasile è pronto a riprendere la sua leadership nella lotta alla crisi climatica, proteggendo tutti i nostri biomi, in particolare la foresta pluviale amazzonica. […] Lotteremo per raggiungere la deforestazione zero in Amazzonia. […] Un albero in piedi vale più di tonnellate di legname estratto illegalmente da chi pensa solo al facile guadagno. Un fiume con acque limpide vale molto di più di tutto l’oro estratto con il mercurio che uccide la fauna selvatica e mette a rischio la vita umana».

Le responsabilità di Bolsonaro
Nello stesso intervento di insediamento, l’ex operaio metalmeccanico e leader del Partito dei Lavoratori (PT) aveva annunciato una svolta anche nel contrasto al genocidio dei popoli indigeni del paese: «Quando un bambino indigeno viene ucciso dall’avidità di predatori ambientali, una parte dell’umanità muore con lui. Ecco perché riprenderemo il monitoraggio e la sorveglianza dell’Amazzonia e combatteremo qualsiasi attività illegale, che si tratti di estrazione illegale di oro o di altri metalli, disboscamento o occupazione agricola».

Le parole di Lula hanno suscitato forti aspettative nelle popolazioni indigene, soprattutto nelle comunità Yanomami – ridotte ormai a 30 mila membri – che vivono nella foresta pluviale, in particolare negli stati di Roraima e Amazonas.
Negli ultimi anni, soprattutto grazie al via libera concesso da Bolsonaro allo sfruttamento indiscriminato del territorio amazzonico, ma anche a causa dell’eccessiva tolleranza dimostrata precedentemente dai governi a guida PT nei confronti delle attività estrattive illegali, gli Yanomami hanno visto ridursi rapidamente il proprio habitat e le risorse a disposizione.

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Bolsonaro visita una garimpa (miniera illegale)

Gli Yanomami decimati da fame e malattie
Gli indigeni sono stati decimati dagli omicidi, dalle malattie (in particolare la malaria, la polmonite e il Covid) e dalla denutrizione. Secondo il neonato Ministero dei Popoli Indigeni, istituito da Lula a dicembre e presieduto dalla leader indigena Sonia Guajajara, negli ultimi quattro anni sono morti almeno 570 bambini yanomami, soprattutto a causa della fame, di malattie curabili e della contaminazione.

I garimpeiros, i minatori illegali, inquinano i fiumi con il mercurio che utilizzano per separare l’oro dai sedimenti. A causa delle politiche di Bolsonaro, l’area disboscata dai garimpeiros è passata dai 1234 ettari dell’ottobre 2018 ai 5053 del dicembre 2022. Negli ultimi 35 anni, secondo uno studio dell’Istituto Nazionale per le Ricerche Spaziali (INPE) pubblicato a febbraio, le attività minerarie illegali condotte in Amazzonia sono aumentate di ben 12 volte.

D’altronde nel 2019, subito dopo aver assunto la presidenza, Bolsonaro aveva affermato che «le riserve ostacolano lo sviluppo del Paese», per poi smantellare gli enti pubblici deputati a difendere e garantire i diritti delle comunità indigene. Nel febbraio del 2020, poi, Bolsonaro ha approvato una norma che consente l’estrazione mineraria e la produzione di elettricità all’interno delle riserve indigene, suscitando le proteste delle ong e delle organizzazioni dei nativi.

Genocidio
Le responsabilità di Bolsonaro e del suo governo sono tali che il giudice Luis Roberto Barroso, della Corte Suprema Federale, ha ordinato di includerli in un’inchiesta per genocidio. Inoltre, anche la Corte Penale Internazionale dell’Aia sta esaminando due denunce contro Bolsonaro presentate dalla Confederazione dei Popoli Indigeni del Brasile e dalla Commissione Arns per crimini contro l’umanità e genocidio in merito alla gestione negazionista della pandemia di Covid.

I cercatori d’oro illegali hanno iniziato ad invadere i territori indigeni negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso. La dittatura militare che ha governato il paese dal 1964 al 1985 esortò i poveri brasiliani a cercare fortuna in Amazzonia. Poi, durante gli anni ’90 decine di migliaia di minatori sono stati cacciati dalla foresta, mentre il presidente Collor de Mello istituiva le riserve Yanomami su quasi 10 milioni di ettari di territorio teoricamente protetto. Negli anni successivi, molto gradualmente, l’invasione delle riserve è di nuovo ripresa, fino al boom determinato dall’era Bolsonaro.

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Marcia di protesta degli Yanomami contro l’omicidio di due indigeni

«Più che una crisi umanitaria, ciò che ho visto a Roraima è stato un genocidio. Un crimine premeditato contro gli Yanomami» ha denunciato Lula dopo aver visitato, a fine gennaio, lo stato del nord al confine con Guyana e Venezuela. Poco prima, il presidente ha dichiarato lo “stato di emergenza sanitaria” nei territori indigeni.
A febbraio il governo brasiliano ha varato un piano per fornire agli indigeni cibo e assistenza sanitaria d’emergenza, e poi ha finalmente ordinato l’espulsione delle mafie minerarie illegali dalle riserve Yanomami, dove sono presenti tra i 20 e i 25 mila garimpeiros.
In particolare, la polizia federale è stata incaricata di “strangolare strategicamente” i minatori illegali, sequestrando le imbarcazioni che servono a risalire i fiumi fino alle aree protette o gli elicotteri utilizzati per raggiungere i territori più isolati. Gli agenti hanno sequestrato o reso inutilizzabili un centinaio tra barche e gommoni, e hanno requisito quasi 200 generatori di elettricità, 12 mila litri di carburante, macchinari per l’estrazione, motoseghe, scorte di mercurio. In totale, finora, sarebbero stati smantellati almeno 200 accampamenti illegali.
L’esecutivo ha firmato inoltre un decreto che vieta il sorvolo delle aree protette e che autorizza in alcuni casi l’abbattimento dei velivoli.
Le agenzie di sicurezza brasiliane hanno mappato almeno 75 piste di atterraggio clandestine solo nel territorio yanomami e ben 800 nell’insieme dei territori indigeni del paese.

Lula dichiara guerra ai garimpeiros
Da parte sua, il ministro della Giustizia Flavio Dino ha affermato che non è possibile arrestare migliaia di garimpeiros, e che occorrerà perseguire chi finanzia le miniere illegali e ricicla i profitti, riferendosi a centinaia di imprese legali che operano in tutto lo stato nella lavorazione e nella commercializzazione dell’oro e degli altri minerali estratti illegalmente.
Intanto però, da febbrario le forze speciali per la protezione dell’ambiente hanno distrutto aerei e sequestrato armi e macchinari utilizzati per aprire delle strade clandestine nella foresta amazzonica. Lo scorso dicembre il quotidiano britannico The Guardian aveva documentato l’esistenza di quella che è stata ribattezzata “strada del caos”, un percorso illegale di ben 120 km all’interno dei territori yanomami.

Come se non bastasse, per coordinare la logistica delle loro operazioni, i cercatori d’oro hanno cominciato ad usare anche la rete Starlink, costituita da circa 4000 satelliti posizionati a bassa quota che consentono di connettersi ad internet dagli angoli più remoti del globo. Grazie alla rete messa a disposizione dall’impresa SpaceX di proprietà di Elon Musk, i garimpeiros riescono a intercettare in anticipo i blitz delle forze dell’ordine e a fuggire. Nelle ultime settimane, all’interno dei territori yanomami, l’ente governativo ha sequestrato sette terminali di Starlink.
Teoricamente, l’accordo stipulato tra Bolsonaro ed Elon Musk il 20 maggio dell’anno scorso prevedeva la collocazione dei terminali in 19 mila scuole rurali per collegarle ad internet. Ma alla fine solo tre scuole hanno ottenuto l’allaccio a Starlink che nel frattempo ha invece fornito ai garimpeiros uno strumento in più per agire indisturbati.

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Un elicottero dei garimpeiros incendiato dagli agenti dell’Ibama

Stupri, sfruttamento sessuale, schiavitù
I cercatori d’oro illegali e le bande criminali che li proteggono e sfruttano (spesso i garimpeiros sono dei disperati alla ricerca di sostentamento) non solo distruggono le foreste, contaminano i fiumi e uccidono centinaia di indigeni ogni anno, sopprimendo chi si oppone alle loro attività o semplicemente propagando malattie nei confronti delle quali gli indigeni sono vulnerabili.
Nelle scorse settimane il ministro brasiliano dei Diritti Umani, Silvio Almeida, ha denunciato il rapimento, da parte dei garimpeiros, di donne e anche di bambine yanomami che poi vengono stuprate, costrette a prostituirsi o a lavorare per i loro aguzzini.
In alcuni casi, per distruggere le comunità Yanomami, i garimpeiros hanno rubato cibo e medicine e distribuito alcool e cocaina agli indigeni.
Alcuni giorni fa, poi, l’Istituto Brasiliano dell’Ambiente (IBAMA) ha denunciato che alcuni garimpeiros hanno esploso dei colpi di arma da fuoco contro alcuni dei propri agenti lungo il fiume Uraricoera.

Diminuiscono gli incendi
In attesa di capire se le misure intraprese dal governo federale brasiliano andranno fino in fondo, la repressione delle mafie minerarie sembra dare i primi frutti.

Secondo l’IPAM (Istituto per le Ricerche Ambientali sull’Amazzonia) nei mesi di gennaio e febbraio gli incendi registrati nelle aree abitate dagli Yanomami sono diminuiti del 62% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, proprio grazie alla repressione delle attività dei garimpeiros. Nell’insieme dello stato del Roraima, però, la diminuzione del numero di incendi è stata solo del 44%; in soli due mesi il fuoco ha distrutto ben 260 mila ettari di foresta, il 48% del territorio incendiato in tutto il paese. – Pagine Esteri

6130163* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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PRIVACY DAILY 76/2023


L’amministratore delegato di TikTok, Shou Chew, ha fatto la sua prima apparizione davanti al Congresso ed è stato immediatamente colpito da critiche feroci da parte dei legislatori. La presidente del Comitato per l’energia e il commercio della Camera, ha aperto l’audizione attaccando TikTok e dicendo: “La vostra piattaforma dovrebbe essere vietata”. “Mi aspetto che oggi... Continue reading →