Russia: la nuova politica estera secondo il Ministro degli Esteri Lavrov
Ripubblichiamo l’articolo scritto dal Ministro degli Esteri Sergey Lavrov per la rivista di notizie Razvedchik *** Viviamo in un momento di storici cambiamenti geopolitici. “Il cambio di epoche è un processo doloroso ma naturale e inevitabile. Un futuro accordo mondiale sta prendendo forma davanti ai nostri occhi”, ha detto il Presidente Vladimir Putin. Oggi il multipolarismo […]
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L’Ucraina e le lezioni della guerra in Iraq
Lasciando da parte le giustificazioni fabbricate, gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq nel 2003 per riaffermare il potere statunitense in Medio Oriente e ridurre l’influenza dell’Iran. Non è stato il terrorismo o la torta gialla e nemmeno le spaventose violazioni dei diritti umani da parte di Saddam Hussein a motivare uno dei più tragici errori […]
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Qual è la migliore via d’uscita dalla guerra in Ucraina?
Alla luce dei recenti sconvolgimenti geopolitici, e in particolare della guerra in Ucraina, non ha senso (e non promette molto successo) costruire una nuova architettura di sicurezza globale basata sulla logica del confronto bipolare per diversi motivi… In primo luogo, un prerequisito principale per il successo di una ‘strategia del conflitto’ conflittuale – un’identità di […]
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Appaltare
Oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe licenziare il testo del nuovo codice appalti. Un adempimento previsto dal Pnrr. Una riforma necessaria. Ci sono indicazioni positive e buone intenzioni, ma farle funzionare è cosa diversa. Se è lecito un consiglio non richiesto, nell’illustrare il nuovo codice sarebbe meglio non utilizzare concetti come: semplificazione, sveltimento e sblocco. Portano sfortuna, sono stati già ripetutamente spesi in passato, salvo complicare, rallentare e bloccare. Veniamo alla sostanza.
Il 9 marzo scorso, riunendosi a Cutro, il governo varò un decreto legge per la costruzione di nuovi centri dove ospitare gli sbarcati. Più che giusto. Per riuscire a realizzarli, però, il decreto prevede che siano derogate le norme del codice appalti, considerate ostative. Si riferisce alle norme in vigore, non alla riforma, ma siccome si tratta del medesimo governo e dato che da quel 9 marzo a oggi non s’è certo costruito alcun centro, c’è da chiedersi se avevano consapevolezza di sospendere quel che si apprestavano a cambiare o se sapevano che il cambiamento non avrebbe dato effetti immediati, quindi compatibili con l’emergenza.
Molte delle norme che saranno introdotte sono di buon senso, ma ce ne sono anche che fanno alzare il sopracciglio. Perché qualsiasi norma non vive di vita propria, ma dentro un sistema di diritto e se quello si storce anche il buon senso devia. Non è un caso che la Corte dei conti, già con riferimento alle altre “semplificazioni” (vedete che porta male?) ha avuto modo di osservare che si deve stare attenti a non favorire la mafia. Ma come è possibile che, ogni volta che si parla di investimenti e appalti, immediatamente dopo arrivino gli allarmi per il crimine? La spiegazione non sta negli appalti e la soluzione del problema, quindi, sta solo marginalmente nelle regole del gioco – codice degli appalti compreso – ma soprattutto nel modo in cui (non) funziona il nostro sistema di diritto. Qualsiasi testo resterà lettera morta, producendo morte degli investimenti, se non si guarda a quel sistema.
Le regole possono essere più o meno appropriate e ragionevoli. Corruzione e malaffare, del resto, non possono essere cancellati dalla storia, non c’è alcun modo di debellarli del tutto e infatti esistono ovunque (con i dispotismi imparagonabilmente più corrotti delle democrazie, con la differenza che nelle seconde se ne parla e nei primi è vietato). Il congegno funziona se comunque delle regole sono fissate, possibilmente chiare e rispettabili, talché ove taluno sia sospettato di averle infrante sia condotto davanti a un giudice, il quale assolverà se l’accusa è infondata e condannerà a giusta pena ove sia dimostrata. Concettualmente è un meccanismo facile. Il difficile, da noi, è trovare il giudice. Il giudizio arriva a babbo morto e opera mai realizzata, lungamente bloccata e spesa lievitata. Nel frattempo è andato in scena il solito e incivile spettacolo dell’accusa, i sospettati sono stati indicati al pubblico disprezzo, sicché i soli determinati a concludere comunque l’affare sono i male intenzionati, che del pubblico disprezzo se ne fregano, mentre i bene intenzionati si chiedono per quale ragione debbano giocarsi la reputazione. In questa palude chiunque abbia perso una gara farà ricorso, chiunque debba esprimere un parere lo renderà sgusciante, chiunque debba mettere una firma sarà preso dai crampi. Per rimediare, allora, s’inventano controlli preventivi e autorità etiche che peggiorano la situazione, moltiplicano i ritardi e non prevengono un bel niente.
Se il governo, come ha fatto a Cutro, deroga e sospende, ammette che con le regole esistenti non si può fare nulla. Se inventa scudi per i sindaci che firmano va a finire che favorisce anche i lestofanti, se per loro li esclude allora non si fideranno gli altri. E nessuna regola potrà mai funzionare se mentre la partita è in corso l’arbitro è in bagno. Un Paese senza giustizia non riesce a far le cose giuste. Il nuovo codice, naturalmente, non cambia il sistema e mantiene in vita la pretesa preventiva. La prima cosa non è di sua competenza, la seconda può indurlo a precoce senescenza.
L'articolo Appaltare proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
In volo verso il futuro. Così l’Aeronautica festeggia i suoi cento anni
L’Aeronautica militare ha compiuto i suoi primi cento anni. “Il 28 marzo del 1923 nasceva la Regia aeronautica indipendente, con una propria uniforme e propri distintivi di grado e specialità” ha raccontato il capo di Stato maggiore dell’Arma azzurra, generale Luca Goretti, in occasione delle celebrazioni per il Centenario nella cornice della terrazza del Pincio, a Roma. Un evento che ha permesso di festeggiare lo storico traguardo, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, del ministro della Difesa, Guido Crosetto, del capo di Stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, e degli altri comandanti di Forza armata e autorità civili, militari e religiose. Presenti le bandiere di guerra e d’istituto di tutti i reparti della forza armata e la bandiera di guerra dell’Aeronautica, a cui il Capo dello Stato ha consegnato l’onorificenza di cavaliere dell’Ordine militare d’Italia proprio per il suo impegno secolare sui “cieli d’Italia e del mondo”.
L’impegno quotidiano dell’Arma azzurra
Una Forza armata centenaria ma che “forte del sui patrimonio, e del supporto delle istituzioni, è sempre riuscita ad anticipare il progresso, oggi anche nei nuovi domini dello spazio e del cyber” ha raccontato ancora Goretti, “sfide del futuro che siamo pronti ad affrontare”. La bandiera, allora, diventa “il simbolo di una storia fatta di valori, passione, attaccamento alle istituzioni e custode del ricordo e della memoria di chi ci ha preceduto e fatto grande l’Aeronautica” ha detto Goretti, che ha voluto ricordare anche coloro che hanno compiuto l’estremo sacrificio tra le fila dell’Aeronautica, fino al recente incidente di Guidoni in cui hanno perso la vita il colonnello Giuseppe Cipriano e il maggiore Marco Menghello. Dal passato arriva la storia di chi ha costruito l’arma aerea, fino a farla diventare oggi “consapevole del suo ruolo, apprezzata nei consessi internazionali, e pronta ad affrontare tutte le sfide che l’aspettano con spirito di squadra”, frutto dell’impegno quotidiano degli uomini e delle donne in uniforme azzurra che quotidianamente “senza mai tirarsi indietro, in silenzio fanno quanto hanno giurato di fare: il proprio dovere, sempre, da cento anni”.
La sicurezza dal cielo
“Una volta che abbiate conosciuto il volo, camminerete sulla terra guardando il cielo, perché là siete stati e là desidererete tornare”. È con questa citazione di Leonardo Da Vinci che il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Cavo Dragone, ha voluto salutare l’Arma azzurra. Non abbiamo mai metabolizzato la conquista dei cieli, e il volo con finisce mai di sorprenderci. L’Aeronautica, con i suoi uomini e donne, dimostra ogni giorno la padronanza dell’ecosistema con i suoi mezzi e la tecnologia all’avanguardia” ha continuato Cavo Dragone, aggiungendo come “noi cittadini sappiamo che qualcuno veglia su di noi, sui cieli, giorno e notte, in qualunque condizione meteo”. Una squadra di eccezionali italiani, concittadini dei quali essere orgogliosi”.
Cento anni e non sentirli
Per il ministro Crosetto, nonostante i cento anni, l’Aeronautica si mantiene giovane “con lo sguardo sempre in avanti e la passione per l’innovazione”. Il Centenario, allora, “non è un punto di arrivo, ma la capitalizzazione di quanto fatto pronti a raggiungere vette sempre più alte”. Tutto dell’Arma azzurro parla di futuro, “una memoria che non trattiene a terra, ma fa volare sempre più in alto”. Il ministro ha poi voluto ricordare i tanti impegni assunti dalla Forza armata a tutela della sicurezza dei cittadini e degli interessi italiani, dal ponte aereo in Afghanistan agli aiuti in Turchia e Siria, dallo sforzo sui fianchi est e nord dell’Alleanza dopo l’invasione russa dell’Ucraina, passando per il supporto insostituibile nel corso della pandemia, con i voli in biocontenimento. “In cento anni il mondo è cambiato, ma non le qualità migliori dell’Aeronautica” che ha saputo costruirsi in questo secolo “qualcosa di oltre al successo delle missioni: l’affetto degli italiani” con la sua capacità di coniugare umanità e tecnica, ben rappresentato dalle Frecce tricolori “che uniscono tutti gli italiani durante i momenti più significativi della Repubblica”. E allora, l’augurio del ministro è che il motto dell’Arma azzurra, “Con valore verso le stelle” rappresenti anche il cammino dell’Italia, nella sicurezza che, “tra cento anni, l’Aeronautica militare sarà ancora qui, a vigilare sui cieli e nello spazio”.
Una parata aerea
Protagonisti della manifestazione, naturalmente, i velivoli dell’Arma azzurra. Hanno infatti attraversato i cieli di Roma, a rappresentare idealmente quelli di tutta la nazione, ben 74 apparecchi della Forza armata, a rappresentare tutte le diverse capacità espresse dall’Aeronautica. Dagli elicotteri multiruolo HH-101 agli arei per il collegamento P-180, passando per i C-130J della Lockheed Martine e i C-27J di Leonardo, velivoli per il trasporto tattico e strategico, fino ai KC767 per il rifornimento in volo. Presenti anche gli assetti per la sorveglianza aerea, come i P-72A per il pattugliamento marittimo, che vede infatti la partecipazione di equipaggi misti Aeronautica-Marina, i G550 CAEW, velivoli all’avanguardia per la sorveglianza con capacità di comando e controllo, in grado di verificare l’impermeabilità dello spazio aereo alleato e di allertare la difesa aerea nel caso di minaccia, e il 350ER per le operazioni Sigint. In volo anche i cosiddetti velivoli bianchi, impiegati per il trasporto delle autorità nazionali e per i voli sanitari d’urgenza, come gli Airbus A319 e i Falcon 50 e 900, e l’addestratore all’avanguardia T-346, realizzato da Leonardo, e utilizzato per formare i piloti destinati ai velivoli di ultima generazione presso la International flight training school di Decimomannu. Non potevano mancare poi i caccia veri e propri, le prime linee della difesa aerea, con i Panavia Tornado, gli Eurofighter, protagonisti dell’Air policing condotta dall’Italia e, naturalmente, gli F-35. A concludere la cerimonia, il passaggio dei nove Aermacchi MB-339PAN delle Frecce tricolori.
La complicata e necessaria relazione tra politica e Aeronautica spiegata da Tricarico
Non è una novità che l’Italia sia disattenta ai problemi della sicurezza e della Difesa e che il mondo della politica sia stato e sia fondamentalmente allineato e in sintonia con tale colpevole incultura. Sono pochi i ministri della Difesa che nel secondo dopoguerra si sono discostati da tale peculiarità socio-politica del nostro Paese, interpretando in maniera più attenta, concreta e professionale il loro mandato.
Pur con una casistica di comportamenti ampia, non è però facile valutare se il generale disinteresse per il mondo militare sia stato un vantaggio o un inconveniente, un peso che abbia influito sulla preparazione e sull’adeguatezza delle Forze armate all’assolvimento della loro missione. Personalmente propendo per la prima ipotesi, ossia che, anche per come il mondo politico è mutato, le Forze armate abbiano potuto agire praticamente “indisturbate”, al riparo dell’attenzione dell’opinione pubblica e della politica.
Immaginiamo, ad esempio, che aiuto avrebbe potuto dare un presidente del Consiglio convinto – come è realmente successo – che i sistemi d’arma siano catalogabili in offensivi e difensivi, e su queste basi approntare lo strumento militare. Sono semplici e pure oscenità che avrebbero segnato la discussione pubblica e impedito un sostanziale processo di allestimento dello strumento militare.
Invece le Forze armate hanno avuto mano libera nelle attività progettuali e operative, pur dovendo tollerare rumori di fondo quali le critiche per fenomeni deleteri interni o scelte messe in sindacato perché in certi momenti era inevitabile che l’opinione pubblica non se ne occupasse.
Fortuna ha voluto che la briglia sia stata lasciata sciolta a servitori dello Stato, a persone perbene che hanno messo l’autonomia loro concessa al servizio del pubblico interesse, impiegando le risorse secondo criteri di buona amministrazione.
L’Aeronautica in particolare si è portata avanti in specifiche capacità pregiate o perfino abilitanti, grazie sia ai criteri di buon management citati, sia all’esperienza sul campo, quando è stata chiamata (praticamente sempre) a integrare missioni internazionali di pace o di guerra. L’armamento di precisione è figlio della prima guerra del Golfo e del ruolo in essa avuto dal generale Mario Arpino, il quale ha promosso e monitorato la crescita nel settore. Anche l’Unmanned è un output della guerra dei Balcani del 1999: il primo vero debutto operativo dei droni allora ancora imperfetti e disarmati, mostrò con estrema chiarezza le loro potenzialità militari. L’Aeronautica militare prese il treno al volo e l’impegno degli anni successivi l’ha portata a essere leader europea nell’utilizzo degli Uav. La guerra dei Balcani ha anche permesso di organizzare meglio le capacità di comando e controllo di operazioni belliche complesse. Le operazioni del 1999 furono un valido banco di prova per professionalizzare gli operatori, mettere a punto le strutture, gli apparati e i collegamenti necessari, individuare le procedure più corrette per gestire con efficacia operazioni militari complesse. Oggi, questo livello di professionalità lo abbiamo noi più di chiunque altro in Europa.
Il caccia di quinta generazione è un rilevante esempio di come la Forza armata sia riuscita a raggiungere traguardi importanti, bruciando sul filo di lana gli altri europei, nonostante la palla al piede di una stampa pessima e di una politica troppo attenta agli umori della gente più che alla Difesa. Quando è scoppiata la polemica sui costi del programma F-35 era ormai tardi per fare dietrofront, i passaggi governativi e parlamentari di autorizzazione al prosieguo nel programma, compiuti nella sonnolenza generale, erano così vincolanti che il treno ha dovuto proseguire senza stop, nonostante un’ipotizzabile paletta rossa della politica e forse anche dell’industria di settore.
Una rassegna delle eccellenze raggiunte dalla nostra Aeronautica negli ultimi anni deve registrare la capacità Caew, che è già ora una componente aggiornata di punta a nostra disposizione e che in prospettiva, con il completamento della flotta di piattaforme airborne, non avrà pari anche dal punto di vista dimensionale, oltre che qualitativo. Oggi però è necessaria un’inversione di tendenza e il quadro politico, anche per le sollecitazioni della guerra in Ucraina, sembra voler accettare un ruolo più attivo. Un’inversione di tendenza in cui la politica può aiutare il mondo militare a portare in Europa le capacità così faticosamente messe a punto, affinché le eccellenze acquisite siano i pilastri su cui edificare uno strumento militare comune.
Sarebbe imperdonabile – ma non incredibile, dati i nostri trascorsi – che l’Italia si presentasse al laboratorio di una Difesa comune come portatrice d’acqua e non come elemento trainante in uno scenario in cui è in grado di esprimere il meglio a livello internazionale. Perché questa è la fine che si farebbe se la politica non comprendesse le prospettive nazionali nell’impresa comune e non rivendicasse un ruolo-guida. Ma per farlo serve un cambio radicale di registro, per acquisire consapevolezza di quanto le nostre Forze armate siano avanti rispetto ad altri Paesi. Pretendendo giustamente di indicare la strada ad altri rimasti più indietro, mediante un ruolo-guida, quando (si spera presto) si comincerà a costruire un dispositivo europeo di Difesa comune e quando le responsabilità andranno suddivise secondo le capacità e non altri parametri in cui il nostro Paese potrebbe ancora essere tenuto fuori dal salotto buono.
La proiezione globale dell’Aeronautica militare secondo Camporini
In un quadro internazionale che appariva cristallizzato, scosso da un’inattesa, grave emergenza pandemica, ma con rapporti tra Paesi, nazioni e alleanze che apparivano consolidati, certezze date per scontate si sono polverizzate con l’aggressione russa all’Ucraina. Questo evento ha spazzato l’idea che il futuro delle operazioni militari fosse limitato sostanzialmente a quelle di polizia internazionale, con esiti non sempre positivi, come si è visto in Afghanistan, ma che comunque avrebbero utilizzato forze leggere, in ambienti anche ostili ma senza la necessità di capacità di alta valenza.
Erano situazioni di crisi in cui i sistemi dei singoli Paesi avrebbero operato facendo riferimento a un quadro cooperativo che si sarebbe evoluto in una sorta di specializzazione non pianificata, in cui ci si attendeva che strategie, informazioni, Intelligence e comunicazioni fossero uno sfondo predeterminato, cui dare un contributo in termini di capacità operative.
Questa ipotesi, frutto di un ottimismo ontologico, avrebbe potuto portare lo strumento militare italiano a un’evoluzione monodimensionale, evoluzione cui però l’Aeronautica militare ha saputo sfuggire.
Qualcuno avrebbe potuto nutrire delle perplessità di fronte a decisioni che sembravano non privilegiare la punta di lancia, i velivoli da combattimento, reparti con denominazioni gloriose, che sono giustamente da salvaguardare. Decisioni come quella di puntare, primi in Europa, sui sistemi a pilotaggio remoto, cui conferire la coccarda della Strega del 28° Gruppo, oppure quella di investire risorse molto importanti nella guerra elettronica, nella capacità airborne early warning (Aew) e nelle conseguenti capacità di comando e controllo aeroportato hanno forse fatto storcere il naso a chi guardava al passato. Ma i fatti di questi mesi ci dimostrano che chi rimane ancorato alle concezioni del secolo scorso rischia di avere amare sorprese, cui non si può rimediare se non in tempi incompatibili con le urgenze del momento.
Ecco dunque l’Aeronautica militare ben consapevole di avere un ruolo che non si esaurisce nelle classiche missioni di intercettazione, contraerea e supporto aereo ravvicinato, ma operi con successo in un ambiente multidimensionale, dove i rapporti con le altre componenti non si possono limitare a uno scambio di compiti e di mission report, ma devono fondersi in un sistema integrato in cui lo scambio di informazioni avvenga con un flusso continuo multi-direzionale, opportunamente strutturato e filtrato, in modo da fornire ai decisori strategici tutte, e sole, le informazioni necessarie a prendere le decisioni.
Si tratta dunque di una nuova cultura operativa. Acquisirla permette poi di misurarsi e integrarsi in un più ampio ambito multinazionale, che sia quello strutturato dell’Alleanza Atlantica oppure dell’Unione europea, nella sua ancora embrionale capacità militare integrata, oppure quello a volte problematico delle coalizioni di volenterosi che hanno caratterizzato la storia degli ultimi decenni.
È una cultura che sta diventando patrimonio comune e condiviso della Forza armata e sta coinvolgendo anche altre componenti dello strumento militare nazionale. Ma al di là degli aspetti funzionali, per trasformarsi in capacità che possano risultare determinanti serve anche una valenza dimensionale, che può essere assicurata solo da risorse finanziarie superiori a quelle attualmente disponibili e soprattutto garantite nel tempo.
Queste considerazioni valgono per tutte le componenti dello strumento militare ma per l’Aeronautica, attesa l’importanza delle risorse economiche necessarie, hanno una valenza particolare, che non deve essere sottaciuta.
In buona sostanza, oggi l’Aeronautica dispone di tutte, o quasi, le capacità necessarie a dare un contributo alle operazioni delle Alleanze e delle coalizioni cui i decisori politici decidono di partecipare, ma certo non nelle dimensioni quantitative che possano renderla determinante, come invece potrebbe risultare, attese le capacità esprimibili.
È chiaro che i progressi in questa direzione dipendono da fattori in primo luogo politici, ma che necessariamente investono anche la dimensione industriale in un’ottica che non può, né deve, essere limitata all’ambito nazionale. C’è la necessità di un concreto dialogo nel quadro della Nato e in quello dell’Ue, possibilmente allargato alle altre potenze like-minded, per identificare obiettivi cui dare il necessario contributo nazionale, in un quadro armonico di concreta sostenibilità, così da rendere efficace l’azione politica.
La Forza armata in questi decenni ha acquisito una piena consapevolezza delle capacità che deve esprimere per essere uno strumento adeguato della politica di Difesa e in generale della politica estera nazionale. È necessario che tale consapevolezza e questa cultura ormai radicata si consolidino, in modo che il nostro Paese possa agire da protagonista sulla scena internazionale.
Intervista apparsa sul numero 142 della rivista Airpress
YouTube il censore, l’analisi dei prof. Bassini e Mula
L’oscuramento delle pagine Facebook delle organizzazioni di estrema destra, il bando di Donald Trump da Twitter (prima dell’avvento di Elon Musk) e ora lo stop, per una settimana, al canale YouTube della fondazione Einaudi dopo la pubblicazione di un video di un intervento di Antonio Martino, morto il 5 marzo 2022, in cui – come racconta qui Andrea Cangini – si esprimeva contro l’uso del green pass e l’obbligo vaccinale. Tre episodi molto diversi tra loro che però attengono all’utilizzo pubblico dei social e, soprattutto, alla difficoltà nel compiere, sulle piattaforme online, quello che in qualsiasi altro luogo (fisico) sarebbe considerato il legittimo esercizio della libertà di esprimere un’opinione. Giusta o sbagliata, condivisibile o deprecabile, che sia. I tre episodi raccontano – o meglio, ricordano – una questione irrisolta: come si articola il rapporto tra i colossi (privati, naturalmente) del web – i grandi social network in questo caso – e la libertà di pensiero, sancita da tutte le costituzioni democratiche? La domanda ha molteplici risposte. Nessuna definitiva.
Come ha spiegato in questa intervista ad HuffPost il professor Luciano Floridi, i social network fanno parte di una terra di mezzo – né pubblica, né privata – che è l’infosfera. Necessiterebbero di regole nuove, partendo dal presupposto che non possono essere ingabbiati in quelle due categorie classiche. Ma fino a quando continueremo a ragionare in termini di pubblico e privato – leggi alla mano, non possiamo fare diversamente – degli interrogativi resteranno aperti. Di questi abbiamo parlato con Marco Bassini, docente di Fundamental Rights and Artificial Intelligence all’Università di Tilburg, nei Paesi Bassi e con Davide Mula, avvocato e professore aggiunto dell’InnoLawLab dell’Università europea di Roma.
“L’equilibrio è difficile da trovare – spiega ad HuffPost Bassini, – perché tutte le piattaforme nascono come soggetti privati, con l’idea di poter stabilire autonomamente le ‘regole della casa’. La situazione è diventata più complessa quando si è passati da un cyberspazio popolato da una moltitudine di piccole comunità virtuali a un ‘ecosistema’ di (pochi) giganti del web, che hanno una crescente dominanza economica ma anche influenza giuridica”. E, verrebbe da aggiungere, portano con sé una contraddizione: “Restano – argomenta il docente – ancora piattaforme private, ma questa connotazione è sempre più stretta rispetto alla realtà dei fatti. Perché, è evidente, se una grande piattaforma digitale esclude un utente o un contenuto dalla propria comunità al giorno d’oggi incide sull’esercizio della libertà di espressione”.
Per il ruolo che hanno assunto le piattaforme digitali nel quotidiano di ogni cittadino, ma anche delle istituzioni pubbliche, si tende spesso a dimenticarsi della loro natura privatistica: “Li usiamo come luoghi pubblici ai quali abbiamo la necessità di accedere per dire la nostra. In alcuni casi, addirittura, li usiamo come piattaforme di lavoro. Il problema, però, è che pur sempre di luoghi privati si tratta. O meglio, di uno spazio vissuto come sostanzialmente pubblico, ma regolato da meccanismi privati”, spiega invece Mula.
Come si gestisce, però, questo dato di fatto? La soluzione è tutt’altro che semplice: “Come per ogni diritto, il rispetto della libertà di espressione si impone in primo luogo in capo agli Stati – spiega Bassini – un soggetto privato, invece, agisce in base a un contratto e quindi, in teoria, secondo regole proprie, anche quando limita la libertà di espressione, per esempio moderando i contenuti pubblicati dai suoi utenti (che quelle regole hanno precedentemente accettato). Dal momento che, però, parliamo di mezzi così importanti si pone un tema: le piattaforme online vanno considerate fornitori di servizi pubblici? Sono degli attori parastatali? Se fossero soggetti o servizi pubblici dovrebbero sottostare ai vincoli che si applicano agli altri attori pubblici. E, quindi, ad esempio, dovrebbero prendere atto del fatto che un discorso critico, un’opinione anche discutibile, non vìola alcuna disposizione di legge. E così come lo Stato non può impedire l’espressione di quell’opinione, non potrebbe farlo neanche la piattaforma”. Allora stato, però, non è così. Perché, argomenta Bassini: “Per la loro conformazione, le piattaforme possono riservarsi il diritto di moderare contenuti secondo i propri termini di servizio, per esempio rimuovendo contenuti non necessariamente illeciti secondo l’ordinamento ma contrari ai propri termini d’uso. Detto ciò, i social sono ben consapevoli di quanto sia importante assicurare agli utenti uno spazio libero e aperto, e tendono a promuovere il pluralismo delle idee”. Ma come fanno a garantirlo? Il docente spiega: “È lo stesso legislatore, in Europa, a richiedere che le piattaforme che mettono a disposizione la loro infrastruttura per la condivisione dei contenuti non siano gravate da un obbligo di selezione alla fonte. In questo modo si tiene fede alla distinzione tra il lavoro degli editori e quello degli intermediari; ciò posto, le piattaforme sono tenute a valutare le segnalazioni di violazioni che ricevono rispetto ai contenuti dei loro utenti”.
Il caso emblematico della censura alla Fondazione Einaudi
Secondo Mula, si dovrebbe agire a monte: “Le policy non sono così chiare, non prevedono meccanismi di reclamo efficaci. Prendiamo il caso della fondazione Einaudi: se anche un singolo video avesse davvero violato le politiche anti Covid della piattaforma, ciò non avrebbe comunque giustificato la sospensione dell’intero canale”. E, invece, è proprio quello che è accaduto: per una settimana il canale YouTube della Fondazione Einaudi è stato inaccessibile. Oscurato, come se avesse contenuti universalmente riconosciuti come inaccettabili: “Nella moderazione delle segnalazioni – spiega ancora l’avvocato – non si dovrebbe dare troppo spazio all’Intelligenza artificiale”. Perché, prosegue l’esperto, il processo è il seguente: “Quando arriva la segnalazione di un contenuto che non corrisponde la policy della piattaforma, l’intelligenza artificiale legge il messaggio, se rileva la ricorrenza di determinate parole viene disposta la rimozione. Bisognerebbe prevedere una sorta di ‘appello’, per impugnare la decisione e fare in modo che il caso fosse valutato da una persona in carne e ossa e non dall’intelligenza artificiale”.
Insomma: un essere umano è in grado di valutare il contesto, di capire, ad esempio, che la frase pronunciata dal prof. Martino altro non era che un’opinione liberamente espressa. L’intelligenza artificiale si limita a bannare il post intercetta una frase che, per usare le parole che YouTube ha scritto alla Fondazione Einaudi, contraddice “il parere di esperti appartenenti ad autorità sanitarie locali o all’Oms”. Con buona pace dell’articolo 21 della Costituzione. Peraltro, aggiunge Mula, “ci troviamo in un contesto in cui quel messaggio (l’opinione di Martino, ndr) non è più attuale, dal momento che non ci troviamo più nella fase in cui i vaccini erano obbligatori o caldamente consigliati”. La decisione di YouTube, insomma, è discutibile da qualunque versante la si guardi. Anche perché, è l’altro spunto che offre Mula, “così una piattaforma digitale interviene nella dinamica della ricostruzione storica di un dibattito pubblico”.
Il caso della fondazione Einaudi, argomenta ancora Bassini, è emblematico: “È un segnale preoccupante. Non parliamo di un quisque de populo ma di un intellettuale (che perdipiù è stato titolare di rilevantissime cariche pubbliche) che ha espresso un’opinione. Una decisione come quella che ha preso Youtube è una deriva pericolosa”. Secondo il docente, bisogna chiedersi se non sia insanabile il conflitto tra due visioni della rete internet: da un lato, un web più democratico e trasparente , dall’altro un web più ordinato. “Possiamo immaginare – continua Bassini – che ci sia un web che funziona, almeno nella moderazione dei contenuti, come un soggetto pubblico. A questo punto, solo i contenuti illeciti finirebbero per essere rimossi dal web. In altri termini: gli standard applicabili ai social sarebbero gli stessi degli attori pubblici. Sarebbe certo il risultato più desiderabile a garanzia della libertà di espressione (espressivo forse di una sfiducia verso la capacità di autoregolazione delle piattaforme). Dall’altra parte, però, c’è forse l’opzione di un web più ordinato ma meno “democratico” e trasparente, in cui per esempio una maggiore moderazione nei contenuti aiuterebbe a combattere la disinformazione. Certo, se poi a essere silenziato è un soggetto come la Fondazione Einaudi, c’è un problema…”.
Da tempo si discute di come normare i social, proprio per evitare che possa essere limitata la libertà di espressione degli utenti. Per ora è stata trovata una strada europea: il Digital services act. “Si tratta – spiega ancora Bassini – di un regolamento approvato a ottobre 2022, le cui previsioni entreranno progressivamente a regime e avranno efficacia dal febbraio 2024. Il Digital services act non cancella l’idea che la piattaforma non sia un editore e non elimina la libertà di moderazione dei contenuti. Quello che fa, invece, è affrontare soprattutto la dimensione della trasparenza. Si chiede, quindi, alle piattaforme di assolvere alcuni obblighi di diligenza rispetto al modo in cui gestiscono i contenuti. In questo modo, per esempio, non si impedisce la rimozione di contenuti ma si insiste sulla motivazione e sulla giustificazione di queste scelte””.
Ma il fatto che le piattaforme del web siano multinazionali, pone problemi per l’applicazione della legge italiana? Per Bassini non è esattamente così: “Le piattaforme sono nate negli Stati Uniti e, almeno culturalmente, in linea di principio, si dovrebbero ispirare al primo emendamento della Costituzione Usa e non dovrebbero interferire nel libero confronto delle idee. Al giudice italiano non è impedito di intervenire, come abbiamo visto in alcuni casi che hanno riguardato l’oscuramento delle pagine social di alcune formazioni di estrema destra. Anche lì, però, le decisioni non sono state univoche: si è spaziati da provvedimenti che hanno affermato che i social hanno una ‘speciale responsabilità’ di garantire la libertà di espressione degli utenti, dovendosi così astenere dal rimuovere contenuti non previamente dichiarati illeciti da un giudice a pronunce che hanno invece sottolineato la doverosità di un intervento dei social per eliminare dal web contenuti ritenuti illeciti, silenziando alcuni attori politici. Insomma, una gran confusione. Ma la vera domanda è: è ancora libero un mercato in cui il potere di moderazione è affidato più alle piattaforme che ai giudici?”. La domanda, al momento, è destinata a rimanere con una pluralità di risposte. Ad ogni modo, secondo il docente, il regolamento europeo va nel verso giusto: “Imporre l’osservanza una serie di misure, anche di carattere procedimentale, soprattutto alle piattaforme online di grandi dimensioni (che possono avere un impatto molto significativo sull’opinione pubblica, favorendo la circolazione di contenuti virali) è un primo strumento per rendere valutabile e più trasparente l’operato dei social. Anche all’esterno”.
Posto che rendere le piattaforme online soggetti pubblici è impresa persa in partenza, c’è una terza via? Per l’avvocato Mula, l’Unione europea dovrebbe fare da sé: un social made in Ue. “Bisognerebbe pensare formule alternative ai social americani. Se è così vivida l’esigenza di un social su cui confrontarsi, potrebbe rendere gli utenti più tranquilli l’idea di agire su una piattaforma posta sotto lo sguardo attento dell’Ue”.
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Verso un’Autorità per gestire il traffico subacqueo. La proposta di Fondazione Leonardo
Nonostante aumentino le conoscenze sulle galassie più lontane nello Spazio, lo stesso non si può dire per i fondali marini, di cui conosciamo dettagliatamente solo il 20% del totale. Un intreccio complesso di fattori economici, geostrategici e legati alla biodiversità rende la dimensione subacquea un nuovo dominio di confronto tra le potenze sempre più strategico. Ciò è particolarmente evidente nel Mediterraneo allargato, dove l’Italia può giocare un ruolo di primo piano nella dimensione marittima, considerando anche che il 64% delle nostre importazioni e il 50% dell’export transitano via mare. Da queste riflessioni è partito l’evento “Civiltà del mare. Il subacqueo, nuovo ambiente dell’umanità” organizzato dalla Fondazione Leonardo Civiltà delle macchine, all’Accademia navale di Livorno, in collaborazione con la Marina militare, il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l’università La Sapienza.
Il convegno
L’iniziativa ha avuto l’obiettivo di presentare il white paper “Geopolitica, strategia, interessi del mondo subacqueo. Il ruolo dell’Italia”, che rappresenta un primo passo per portare all’attenzione dei decision maker l’esigenza di definire e impostare una governance degli spazi subacquei, attraverso un referente unico in grado di gestire gli aspetti regolatori e di assicurare un’adeguata tutela e osservazione sulle attività che si svolgono sopra e sotto la superficie del mare, attraverso una conoscenza integrata dello stato dei fondali marini. L’evento ha coinvolto numerosi esponenti dei vertici delle Forze armate e dell’industria di settore per approfondire queste tematiche e contribuire alla loro conoscenza presso l’opinione pubblica in due diverse tavole rotonde di discussione: “Il quinto dominio fisico: valenza strategica, profilo giuridico e formazione” e “La sfida tecnologica: capacità industriali e opportunità”. Le conclusioni della giornata sono state affidate al ministro della Difesa, Guido Crosetto.
Un nuovo dominio operativo e frontiera per l’Italia
“Sulla Terra si potrà vivere meglio se ci si occuperà di più del mare” e “il subacqueo va visto come un nuovo dominio operativo”, ha esordito nel corso del suo intervento il presidente della Fondazione Leonardo, Luciano Violante. I fondali marini, infatti, come ha ricordato il presidente, “sono attraversati da sei tipi di infrastrutture essenziali: energetiche, per il trasporto di energia elettrica, comunicazione, minerarie, legate alla biologia, e per stoccaggio dell’anidride carbonica”. In questo quadro, se consideriamo che “attraverso i cavi sottomarini passa il 97% del traffico Internet e dieci miliardi di dollari di transizione finanziaria all’anno e che nel periodo compreso tra il 2019 e il 2027 è prevista una crescita del mercato dei cavi sottomarini da 10,3 a 34,6 miliardi di dollari, possiamo comprendere perché le sfide strategiche e tecnologiche del mondo subacqueo necessitino di una visione olistica, di un approccio multidisciplinare e di un approccio integrato”, ha spiegato invece il presidente di Leonardo, Luciano Carta. Per il nostro Paese sarà infatti sempre più cruciale sorvegliare e proteggere le strategiche linee di comunicazione marittima che convogliano i flussi commerciali e assicurano buona parte del sostentamento energetico nazionale. Come ha ricordato anche il ministro per la Protezione civile e le politiche del mare, Nello Musumeci, “il sistema mare oggi acquista un’importanza straordinaria, specialmente per una nazione come l’Italia che ha circa ottomila km di coste”. Un concetto ribadito anche dal capo di Stato maggiore della Marina, Enrico Credendino: “È necessario disporre di un ampio ventaglio di capacità dispiegabili anche ad altissime profondità, in grado di garantire sia il controllo della dimensione subacquea, comprese le infrastrutture che vi risiedono, sia adeguate capacità di intervento per fronteggiare eventuali minacce”. Affinché ciò avvenga, secondo l’ammiraglio, “è necessario disporre di tecnologie allo stato dell’arte”.
Necessità di nuovi enti e regolamentazioni
Come ha spiegato il presidente Violante, il paper curato dalla Fondazione Leonardo vede la proposta di istituire “un’Autorità nazionale per il controllo del traffico subacqueo”; definita “auspicata” anche dal presidente Carta. Nonostante infatti la prossima apertura del 9 giugno a La Spezia del polo nazionale della dimensione subacquea, che come spiegato da Credendino “funzionerà da incubatore per spin off e start up e le energie che ne scaturiranno alimenteranno un formidabile moltiplicatore di ritorno degli investimenti migliorando la competitività anche internazionale delle aziende italiane”, “è necessario predisporre le condizioni anche giuridiche per un ordinato e coerente accesso agli spazi subacquei effettuando un controllo e coordinamento delle operazioni che vi si svolgono”. La proposta contenuta nel paper per la costituzione di una autorità nazionale per il traffico subacqueo rappresenta dunque “un passo importante nella direzione che la consapevolezza del fatto che la situational awarness subacquea è la precondizione per poter condurre l’intero spettro delle operazioni difensive e offensive”, ha osservato l’amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo. Vi è quindi “l’esigenza di determinare un coordinamento tra le norme esistenti e il varo di nuove norme che devono disciplinare il mondo del subacqueo”, ha sottolineato infine il ministro Musumeci.
Sinite parvulos! Un suffragio veramente universale
Il punto centrale della questione è la partecipazione democratica dei cittadini nel quadro non solo italiano ma anche europeo. La democrazia vive in Europa una crisi di rappresentanza; ogni cittadino europeo partecipa infatti a diverse elezioni: quelle per il parlamento Europeo, quelle nazionali, quelle distrettuali (in Italia ormai solo per le regioni) e quelle municipali...
La vera definizione di vittoria per l’Ucraina
Per secoli gli ucraini hanno combattuto per la loro indipendenza. La guerra attuale è una continuazione di questa lotta storica. Oggi gli eroi ucraini muoiono per la causa dell’indipendenza; è proprio questa causa che la Russia sta cercando di negare e distruggere. Come possiamo definire l’indipendenza? Certo, significa un paese veramente sovrano e controlla tutto […]
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TuorismA: un segnale di rinascita culturale
Ora che è calato il sipario su questa nona edizione di TourismA, il salone dell’archeologia e del turismo culturale, svoltosi al Palazzo dei Congressi di Firenze dal 24 al 26 marzo, tentiamo di tracciare un primo bilancio con Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva, la rivista promotrice di questa iniziativa che negli anni si è […]
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Rileggendo il discorso di Haile Selassie I alla Società delle Nazioni Considerando il genocidio del Tigray
Dalla dottoressa Charlotte Touati su TGHAT.com
“Non c’è nessun esempio di un governo che stermini sistematicamente un popolo con mezzi barbari”, disse l’imperatore Haile Selassie
Il 21 marzo, la comunità tigrina e i difensori dei diritti umani si sono riuniti davanti al Palazzo delle Nazioni, dove siedono i delegati delle Nazioni Unite a Ginevra, per protestare contro la minaccia all’esistenza della Commissione internazionale degli esperti dei diritti umani in Etiopia (ICHREE) , su mandato del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, con sede a Ginevra.
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L’ONU è nata dalla promessa “Mai più”, quindi i manifestanti di martedì chiedevano solo una cosa: far rispettare questa promessa, per tutti.
Il luogo e le circostanze mi hanno ispirato a fare alcune riflessioni.
Un genocidio qualificato basato sul suprematismo razziale
Per lo storico che sono, quello che si è svolto in Tigray negli ultimi 2 anni è un genocidio caratterizzato, nel senso etimologico della parola latina coniata da gens “ nazione ” + oc-cidere”uccidere”. Abiy Ahmed e Isayas Afeworqi hanno deciso a sangue freddo di eliminare l’intero popolo tigrino seguendo un piano di vecchia data. Il primo ministro etiope Abiy Ahmed, che dovrebbe proteggere i suoi cittadini, ha infatti dotato il suo Paese degli strumenti strategici, logistici e legali per raggiungere i suoi fini. Inoltre, ciò che è molto importante sottolineare nel caratterizzare un genocidio è l’ideologia che lo sottende, basata sul suprematismo razziale. In questo caso, Abiy Ahmed si è rivolto agli intransigenti nazionalisti Amhara, la nazione che tradizionalmente ha fornito gli imperatori e soggiogato le altre nazioni che compongono oggi l’Etiopia.
Se la comunità internazionale non è riuscita a fermare questa pulizia etnica, deve rendere giustizia ai sopravvissuti e, affinché ciò avvenga, deve essere condotta un’indagine indipendente . Questo è il mandato della Commissione internazionale di esperti in diritti umani sull’Etiopia. Le manovre del governo etiope per fermare i lavori della commissione sono illegittime. Uno Stato sospettato di crimini di guerra non può interferire nel processo che lo prende di mira, non può essere giudice e partito! Se oggi il Consiglio per i diritti umani si piega davanti all’Etiopia di Abiy Ahmed, apre il vaso di Pandora. Qualsiasi regime potrà bloccare indagini e responsabilità, è la fine della giustizia internazionale!
Questa guerra ha già visto violazioni senza precedenti del DIU – Diritto internazionale umanitario. La strumentalizzazione dell’aiuto umanitario per scopi politici e il suo utilizzo come merce di scambio nella negoziazione dell’accordo di cessazione delle ostilità dovrebbe mettere in guardia tutti i partner del governo di Abiy Ahmed che sta usando metodi sporchi. Questo si aggiunge al fatto che è inaffidabile, che è stato verificato più e più volte.
Chi si presenta come il settimo re, il nuovo imperatore, dovrebbe considerare che l’imperatore Haile Selassie era qui al Palazzo delle Nazioni di Ginevra per portare l’Etiopia nella Società delle Nazioni, primo paese africano ad entrare nel concerto delle nazioni nel 1923. Fu qui anche per fondare l’ONU nel 1948 dopo il disastro della seconda guerra mondiale. La lotta al genocidio è iscritta qui nel frontespizio delle istituzioni internazionali e infatti l’Etiopia è stata tra i primi paesi a firmare la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio nel 1948.
Un tragico colpo di scena: il governo etiope fa ciò che l’imperatore è venuto a denunciare
Molti etiopi non si riconoscono nel Re dei re, che simboleggia per loro l’imperialismo amhara. L’Etiopia è l’unico paese africano che non è stato colonizzato, ma è esso stesso un impero. Ma prendiamo gli ultranazionalisti Amhara al loro stesso gioco!
Il 30 giugno 1936, Haile Selassie fece un discorso alla Società delle Nazioni chiedendo aiuto contro l’aggressione italiana. Oggi, coloro che rivendicano la sua eredità commettono essi stessi gli stessi crimini. L’imperatore ha formulato il suo appello all’Occidente in amarico, una lingua che da qualche anno è diventata la lingua dell’incitamento all’odio contro i tigrini e del movimento No More diretto proprio contro l’Occidente.
Ecco la traduzione di alcuni estratti che metterò in parallelo con le azioni del governo etiope e dei suoi alleati durante la guerra del Tigray quasi 87 anni dopo. Basta invertire i ruoli, l’Italia fascista è il governo di oggi e l’Etiopia di allora è il Tigray in preda al genocidio.
L’imperatore Amhara inizia con queste parole: “È certamente senza esempio che un popolo sia stato vittima di una tale iniquità e sia abbandonato al suo aggressore. Né vi è alcun esempio di un governo che stermina sistematicamente un popolo con mezzi barbari, in violazione delle promesse più solenni. »
L’imperatore descrive poi l’uso dell’aviazione contro i civili e l’uso di armi non convenzionali, in particolare durante l’“accerchiamento di Mekelle”. Dai primi giorni di guerra, nel novembre 2020, il governo etiope ha bombardato civili, compresi i bambini di un asilo , ha utilizzato droni e ha diffuso malattie sessualmente trasmissibili utilizzando lo stupro come arma di guerra (che può essere considerata un’arma biologica).
Haile Selassie denuncia poi la doppia faccia del governo italiano, che ha firmato trattati di pace solo per distogliere l’attenzione della comunità internazionale (parla addirittura di accordi segreti) mentre preparava l’invasione dell’Etiopia. Il parallelo è sorprendente con il trattato di pace del 2018 tra Abiy Ahmed e Isayas Afeworqi, le cui clausole segrete includevano l’invasione del Tigray. Ma gli europei non volevano vedere che si trattava in realtà di un patto di sangue e hanno persino assegnato il premio Nobel per la pace ad Abiy Ahmed nel 2019, un anno dopo il cosiddetto accordo di pace. Di fronte alla cecità occidentale, non posso fare a meno di pensare al dottorato honoris causa conferito a Benito Mussolini dall’Università di Losanna nel 1937, un anno dopo il discorso di Haile Selassie.
L’imperatore spiegò così l’inazione dell’Europa: “Purtroppo per l’Etiopia, questo era il momento in cui alcuni governi ritenevano che la situazione europea richiedesse di ottenere, a tutti i costi, l’amicizia dell’Italia”. Oggi, la realtà politica avvantaggia il governo etiope perché è dimostrato che, nel contesto della guerra in Ucraina, i capi di stato occidentali in perdita di popolarità nel continente africano, risparmiano Abiy Ahmed per radunare l’Etiopia contro la Russia . Secondo Reuters, gli Stati Uniti e l’UE hanno raggiunto un accordo con il governo etiope che porterebbe alla prevista fine del mandato dell’ICHREE.
La fine del mandato dell’ICHREE sarà la fine del diritto internazionale
Conclude Haile Selassie: “Ho il dovere di informare i governi riuniti a Ginevra, responsabili della vita di milioni di uomini, donne e bambini, del pericolo mortale che li minaccia, descrivendo loro la sorte che hanno subìto Etiopia […] Ho deciso di venire io stesso per testimoniare il crimine perpetrato contro il mio popolo e per dare all’Europa un monito del destino che l’attende se si inchinerà al fatto compiuto.”
“Affermo che il problema ora all’esame dell’Assemblea è molto più ampio. Non è solo la liquidazione dell’aggressione italiana: è la sicurezza collettiva; è l’esistenza stessa della Società delle Nazioni; è la fiducia che ogni Stato deve riporre nei trattati internazionali […] A parte il Regno del Signore, non c’è nazione sulla terra che sia superiore all’altra”.
A tutto questo cosa possono ribattere gli ultranazionalisti che si proclamano costantemente il “Re dei re”?
Nel 2023, leggiamo ancora: “non è in gioco solo la risoluzione dell’aggressione etio-eritrea al Tigray, è la sicurezza collettiva; è l’esistenza stessa dell’ONU; è la fiducia che ogni Stato deve riporre nei trattati internazionali e nel diritto umanitario internazionale”.
Nel 1936, oltre a descrivere le sofferenze degli etiopi, l’idea dominante del discorso dell’imperatore etiope era quella di chiedere il rispetto delle regole internazionali. In caso contrario, se tutti i colpi sono consentiti, ciò metterebbe a repentaglio la pace per tutte le nazioni. E questo è quello che è successo. L’Europa, indifferente al dramma etiopico, subì la stessa sorte, devastata dal fascismo e dalla seconda guerra mondiale. Il LN è scomparso. L’ONU è nata dalle sue ceneri. Dobbiamo imparare dai nostri errori e oggi, se l’ONU fa orecchie da mercante alle richieste di protezione e giustizia dei tigrini, non è direttamente in agguato una minaccia militare dall’Etiopia, ma la disintegrazione del diritto internazionale e, in ultima analisi, dell’ONU .
Il discorso del 1936 chiedeva: “Di fronte a un fatto compiuto, gli stati creeranno il formidabile precedente di piegarsi alla forza?” Nel 2023, gli Stati creeranno il precedente di piegarsi al governo etiope sospettato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità rinunciando a qualsiasi indagine, inaugurando così l’era dell’impunità?
La dott.ssa Charlotte Touati è una storica e ricercatrice affiliata all’Università di Losanna
FONTE: tghat.com/2023/03/27/rereading…
Sinite parvulos! Un suffragio veramente universale
Il punto centrale della questione è la partecipazione democratica dei cittadini nel quadro non solo italiano ma anche europeo. La democrazia vive in Europa una crisi di rappresentanza; ogni cittadino europeo partecipa infatti a diverse elezioni: quelle per il parlamento Europeo, quelle nazionali, quelle distrettuali (in Italia ormai solo per le regioni) e quelle municipali...
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OpenRequest: Pirates launch citizen participation website and seek suggestions on preventing corruption
Brussels, 28/03/2023 – The Pirate Party Members of the European Parliament are launching OpenRequest, a unique participatory tool giving citizens the opportunity to suggest issues that should be raised in the European Parliament. For example, citizen suggestions can trigger parliamentary questions to Commission or Council, research tasks to the European Parliament’s Research Service or the sending of an open letter by Members of the European Parliament. On top of that, the OpenRequest website publicly documents the status of the proposals.
The European Pirates have long advocated for more direct democracy and transparency in the European project, which this new tool promotes. In view of the recent Qatargate corruption scandal, Pirates specifically seek citizen suggestions on how the EU could better prevent corruption, conflicts of interest and intransparency.
Marcel Kolaja, Member and Quaestor of the European Parliament for the Czech Pirate Party, comments:
“The European Parliament should be the voice of the citizens. It is the only body of the European Union that the people directly elect. That’s why we want to give them more venues to get involved in the parliamentary process and to alert us to important topics for discussion.“
Patrick Breyer, Member of the European Parliament for the German Pirate Party, comments:
“OpenRequest has proven a popular and successful tool of citizen participation when I was a Pirate Party member of a regional parliament in Germany. Now we are bringing it to the European level. Cultivating and extending citizen participation is a cornerstone of Pirate Party principles. Politicians should take their role as citizen representatives seriously and find the courage to ask the people for their input and suggestions.”
Markéta Gregorová, Member of the European Parliament for the Czech Pirate Party, comments:
“Both national and European politicians do not take enough account of the real composition of society. For a long time I have been pointing out that there is a lack of, for example, women or young people and various representatives of minorities with different life experiences. It is these groups who bring often neglected topics into the debate because they live them. Through OpenRequest, every citizen of the European Union can make a proposal and give visibility to topics that are not part of the political debate.”
Mikuláš Peksa, Member of the European Parliament and Chairperson of the European Pirate Party, comments:
“Dialogue is a central tool of a functioning and prosperous democracy. Unfortunately, in some countries we see that this necessary component of democracy is in decline. In Hungary and Poland in particular, opposition voices are being silenced. But our tool enables these people to make important input through our new website. It only takes a few minutes to make a proposal and it doesn’t have to be complicated, just a well expressed idea. We want to involve as many citizens as possible in the dialogue.”
CULTURA. La parola poetica di Ghassan Zaqtan nel suo In cammino invocano i fratelli
di Simone Sibilio*
Pagine Esteri, 28 marzo 2023 –
Quattro sorelle da Zakariya
Quattro sorelle scalano il colle
sono sole
vestite di lutto.
Quattro sorelle sospirano davanti al bosco.
Quattro sorelle
madide lettere leggono al buio.
Un treno da ‘Artuf
passava oltre la foto.
Un cavallo portava una ragazza da Zakariya
oltre la curva nitriva in pianura.
Sulla gola le nubi andavano lente.
Quattro sorelle da Zakariya,
sole
sul colle
sono vestite solo di lutto.
Questi versi tratti dalla raccolta Biografia in carbone (2003) del celebre poeta palestinese Ghassan Zaqtan sigillano l’incontro tra la memoria privata, familiare e l’esperienza collettiva di una vasta comunità espulsa dalla propria terra e perduta sui sentieri d’esilio.
Potremmo dire che è una poesia rappresentativa di una tendenza dominante nella letteratura palestinese degli ultimi anni, il ritorno sui luoghi perduti nel ’48 o nelle successive tragiche vicende della storia palestinese, attraverso la descrizione di un’esperienza reale o anche solo attraverso l’immaginazione, motore del dire poetico. Il villaggio di Zakariya menzionato dal poeta e da cui proveniva la madre, venne raso al suolo in seguito alla Nakba e sostituito dall’insediamento israeliano col nome ebraico di Zecharia, in una operazione di “sovrascrittura toponomastica” tipica delle politiche identitarie israeliane. In seguito ad Oslo, Ghassan Zaqtan ritorna su quel sito accompagnando la madre e partecipando a questa esperienza di riconnessione con i luoghi e i ricordi familiari. Quel momento intriso di senso di perdita e di tensione è immortalato in questi toccanti versi.
Zaqtan è uno di quegli intellettuali palestinesi nati negli anni ’50 che dopo un lungo peregrinare tra le numerose méte della diaspora, in seguito agli Accordi di Oslo nel 1993 ha avuto l’opportunità di rientrare in Palestina, ma come spiega in un’intervista:
«Si trattava di un ritorno limitato a una parte ristretta del luogo, regolata dalle condizioni e dalle politiche dell’occupazione, un ritorno incompleto in un luogo incompleto”.
Nato nel 1954 a Beit Jala, nei Territori Occupati, e figlio di Khalīl Zaqtan, noto poeta ed educatore a cui si deve l’apertura della prima scuola nel campo profughi di Deisha, alla periferia di Betlemme, ha vissuto in esilio la maggior parte della sua giovinezza. In Giordania ha insegnato educazione fisica nei programmi educativi dell’UNRWA, poi ha vissuto prima in Siria, poi in Libano e in Tunisia come altri intellettuali palestinesi esuli al seguito dell’OLP.
In ambito giornalistico ed editoriale, è stato caporedattore della prima rivista letteraria palestinese pubblicata nei Territori Occupati, di appartenenza dell’OLP, “al-Bayadir”, poi delle riviste “al-Shu‘ara’” e “Masharif”, e infine della pagina letteraria del quotidiano di Ramallah “al-Ayyam”. Nel 1996 insieme ad altri intellettuali ha fondato la Casa della Poesia di Ramallah, dirigendo dal 2004 al 2011 il Dipartimento Cultura e pubblicazioni del Ministero della Cultura. Oggi vive a Kobar, un paesino nei pressi di Ramallah, punto di osservazione privilegiato sui colli circostanti e da cui cogliere i segni del luogo e del tempo che abbondano nella sua poesia.
È autore di quattro testi in prosa (in italiano è disponibile Ritratto del passato, a cura di L. Ladykoff, Poiesis, Bari, 2008 – 2° ristampa, 2011) e di oltre una decina di raccolte poetiche, di cui l’ultima in uscita: Vado a sentire le meraviglie di mio padre. Ha inoltre conseguito numerosi riconoscimenti arabi e internazionali, tra cui il Griffin Poetry nel 2013 per la raccolta tradotta in inglese da Fady Jouda Like a Straw Bird it follows me and Other Poems e i premi arabi Mahmoud Darwish (2016) e Anwar Salman (2019).
Le sue prime raccolte poetiche apparse tra gli anni ’80 e la fine degli anni ‘90, Primo mattino (1980), Vecchie ragioni, (1982), Stendardi, (1984), L’eroismo delle cose, (1988), sono in parte attraversate dalle domande e istanze della poesia in voga in quegli anni, erede della stagione della letteratura d’impegno sociale e politico, volta alla sublimazione del rapporto del rapporto con la terra e il luogo. Tuttavia serbano già i semi dell’indirizzo estetico che la scrittura di Zaqtan intraprenderà, strutturata attorno a quella “poetica delle piccole cose” – in contrapposizione alle grandi narrazioni, all’eroismo della lotta, al martirio o alle inquietudini della realtà politica a lungo dominanti nella poesia palestinese del ‘900 – condensata in un verso libero tenue e ponderato, pervaso da atmosfere meditative e toni tutt’altro che declamatori.
Ma è in una fase successiva segnata dall’uscita di La tentazione del monte, (1998) e, soprattutto, di Biografia in carbone (2003) che si può tracciare l’inizio di un percorso che renderà la parola poetica di Zaqtan facilmente riconoscibile nel panorama letterario arabo. Da queste due raccolte emergono con più evidenza quelli che saranno inoltre gli elementi portanti attorno a cui si orienterà la sua ricerca poetica, sempre più aperta alle suggestioni della narratività:
– l’illuminazione del particolare, l’attenzione alle piccole cose, siano esse presenze materiali o simboliche del quotidiano che colmano i vuoti o registrano i moti dell’anima; l’attenzione per ciò che apparrebbe marginale o perduto, ma che la poesia recupera o ravviva, rendendolo elemento rivelatore del rapporto con il luogo e con il sé;
– la scrittura del paesaggio, laddove l’avvicendarsi di modalità descrittive naturalistiche o realistiche lascia spazio all’irruzione del surreale e dell’onirico, così trasportando repentinamente il lettore da ambienti naturali, vividi, chiari, a scenari cupi, surreali o persino da incubo;
– a queste due traiettorie è correlata l’articolazione della memoria che assume una pluralità di forme e declinazioni: memoria storica e dei luoghi perduti, attraverso cui poter accedere ad un passato cancellato, al contempo dolente e carico di vita, e dunque alle istanze dell’identità e del discorso politico; memoria intertestuale con cui intraprende il dialogo con i grandi poeti del passato, memoria degli assenti, le cui voci vibrano con vigore in numerosi suoi testi, componendo la partitura della dualità vita/morte.
L’esilio, il movimento nello spazio e nel tempo, il paesaggio, la memoria sono, dunque, componenti centrali nell’opera di Zaqtan, che si ritrovano nelle tre raccolte antologizzate nel volume in italiano In cammino invocano i fratelli. Versi scelti, a cura di S. Sibilio, uscito per le Edizioni Q di Roma nel 2019. Le raccolte, scelte di concerto con l’autore, sono rappresentative di un progetto organico, ovvero presentano tratti, temi, atmosfere comuni e, piùin generale, sono figlie di una comune ricerca. Si tratta di Come uccello di paglia, mi segue del 2008; Nessun neo mi rivela a mia madre del 2014; In cammino invocano i fratelli del 2015, le ultima due inedite in italiano.
In particolare il topos del ricordo e quello dell’assenza vengono articolati all’interno di una poetica dell’ordinario che disvela il suo rapporto con spazi e tempi plurimi, saldato dall’incessante ricerca intertestuale. La Palestina in questo opere dimora sullo sfondo di un poema abitato da soggettività spesso escluse da quelle narrazioni e dettagli di luoghi e scenari descritti. E dunque il paesaggio territoriale e poetico a volte sembrano fondersi in un unico spazio in cui si muovono persone comuni ma anche spettri, visioni, richiami alla tradizione araba o biblica. Particolarmente intenso è quello sguardo sul movimento migratorio di popoli illuminato o solo evocato nella raccolta che dona il titolo al volume In cammino invocano i fratelli. In cammino sono i diseredati, i dispersi, gli esuli che attraversano i territori del sogno e della memoria in cerca di riconnettersi con la propria storia e con il luogo vissuto. Ed è un cammino comune a tanti popoli, dai Palestinesi a partire dalla Nakba ad altri, accolti in questo testo aperto e votato a riferire di esperienze altre di dispersione nella storia. E lungo questo cammino uno dei fratelli invocati è il grande Mahmud Darwish con cui Zaqtan intesse un profondo dialogo, in più di un testo, un dialogo che lega passato a presente in un costante gioco di rimandi e allusioni alla vita di un popolo che resiste dopo ormai 75 anni con ogni mezzo possibile alla minaccia di cancellazione:
Qui c’è un albero rigoglioso che non vediamo, eppure possiamo ancora ricordare
mandorli, fichi, due peschi, molti susini e un albicocco sotto la finestra di tua madre.
Qui è la luce, dove un poeta vide una scala nel vento
e al risvegliò ci scagliò la visione
mentre il luogo a lui destinato era ormai un’orchestra di colombe
“ volano le colombe,
si posano le colombe”.
Zaqtan è in Italia per un giro di presentazioni di In cammino invocano i fratelli. Versi scelti. Sarà a Venezia giovedì 30 per una conferenza (ore 08,45) all’Università Ca’ Foscari nella sede di Ca’ Dolfin in compagnia del docente di letteratura araba e traduttore Simone Sibilio, del docente di arabo Bishara Obeid e del poeta Gianni Montieri; e venerdì 31 marzo, ospite di Incroci di Civiltà (ore 09,00 all’Auditorium Santa Margherita); a Roma il 2 Aprile presso lo spazio artistico RomartFactory con Luisa Morgantini, Wasim Dahmash e Simone Sibilio.
____________
* Simone Sibilio (Phd) insegna lingua e letteratura araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Le sue principali aree di ricerca sono la poesia araba moderna e contemporanea, la questione palestinese, la traduzione letteraria. Tra le sue maggiori pubblicazioni, Nakba. La memoria letteraria della catastrofe palestinese (Edizioni Q, II, 2015); In guerra non mi cercate. Poesia araba delle rivoluzioni e oltre (in collaborazione con O. Capezio, E. Chiti e F.M. Corrao, Le Monnier, 2018), Poesia araba moderna e contemporanea (Ipocan, Roma, 2022). Ha tradotto numerosi poeti arabi contemporanei tra cui Muhammad al-Fayturi, Talal Haidar, Moncef Ouhaibi, Ghassan Zaqtan, Najwan Darwish. È autore della silloge Una bussola per bandiera (Di Felice Edizioni, 2021).
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Geografie digitali di esclusione
Quando parliamo di Internet siamo ormai consapevoli del fatto che questo sia un mondo con una cultura, un’economia, un’etica e una politica proprie. Si pensi, ad esempio, alla cybercultura, alle criptomonete, e alle problematiche etiche e politiche che avvolgono tutte queste dimensioni. Chi più chi meno, siamo tutti informati e coscienti, anche grazie al fiorente dibattito contemporaneo...
Perché l'intervista a @CarloRovelli è così importante?
@Politica interna, europea e internazionale
Rovelli appartiene infatti a una classe sociale privilegiata, un'intersezione di competenze STEM di alto livello, attenzione alle dinamiche sociali ma senza fare politica, cosmopolitismo, multiculturalismo. E chiunque abbia frequentato quel tipo di persone sa che questo è il loro modo di pensare.Vede più lontano di noi.
Vede che il mondo è molto "più grande di quella che si autodefinisce comunità internazionale" e dire che quel mondo non è sbagliato (sì, sto banalizzando Luca Sofri) solo perché non rispetta i diritti umani o il diritto internazionale, è un errore
Un errore perché i "valori" dell'Occidente sono messi a dura prova proprio dalla classe dirigente dell'Occidente.3 esempi: il primo coinvolge tutto l'Occidente, un consesso che ha deciso di fare strame del #DirittoAllaConoscenza perseguitando #Assange
Il secondo riguarda l'Europa, sempre più tentata dalla sorveglianza di massa, utilizzando come scusa il terrorismo con #TERREG e la lotta alla pedopornografia con #Chatcontrol e (se escludiamo la Germania) nel più totale silenzio della politica
Il terzo ci riguarda da vicino, con il governo italiano che, forse nell'intento di innestarsi una coda ignifuga, stralcia i "crimini contro l'umanità" dal ddl di adeguamento del codice penale allo Statuto di Roma. Si vis impunitatem, para legem...
Ma sono così tante le occasioni in cui l'Occidente smentisce sé stesso: guerre di aggressione a stati sovrani con milioni di morti civili innocenti, abbandono dei migranti, persecuzione dei whistleblower, affari con tiranni sanguinari, repressione dei manifestanti!
Il concetto di Occidente può avere ancora senso nel rispetto dei diritti umani, i diritti civili e i diritti sociali. Se vogliamo dimostrare la propria superiorità verso il resto del mondo, iniziamo a farlo accogliendo quegli sfollati e dissidenti che vorrebbero raggiungerci.
Se l'Occidente è democrazia, allora invece di "esportarla", inizi a consolidarla al proprio interno migliorando gli strumenti di partecipazione democratica e invertendo l'attuale tendenza che tende a dare potere, istruzione e salute solo a una minoranza di pochi ricchi.
Non ascolteremo perciò Carlo Rovelli come esperto di geopolitica, ma il suo punto di vista sarà interessante da ascoltare sia in sé, sia per tutti i tentativi che ne seguiranno per sterilizzarne la portata.
Il video completo dell'intervista su La7
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@sabrinaweb71 @garlorobelli abbrova! 😄
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Lordi - Screem Writers Guild
In definitiva i Lordi al loro meglio che giocano in casa, magnificando la bellissima stagione dell’horror forse più ingenuo ma più vero.
iyezine.com/lordi-screem-write…
Lordi - Screem Writers Guild - 2023
Nuovo disco dei finlandesi Lordi, uno dei gruppi metal più conosciuti al mondo, che tornano con “Screem writers guild” su Atomic Fire Records.Massimo Argo (In Your Eyes ezine)
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PODCAST. TURCHIA-SIRIA, terremoto già dimenticato dal mondo, immensi i bisogni dei civili
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 28 marzo 2023 – Nel devastante terremoto del 6 febbraio che ha colpito Siria e Turchia, hanno perso la vita almeno 50mila persone e sono rimasti coinvolti 24,4 milioni di persone. Migliaia di famiglie vivono in rifugi temporanei e faticano a procurarsi cibo e altri beni essenziali. La situazione appare grave in modo particolare nel nord-ovest della Siria dove il sisma si è aggiunto alle dure condizioni di vita in un territorio martoriato dalla guerra interna vissuta dal paese arabo dopo il 2011. A farci il quadro della situazione è Martina Iannizzotto, funzionaria del Programma Alimentare Mondiale, in questi giorni a Gaziantep.
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Martina Iannizzotto è una operatrice umanitaria con oltre venti anni di esperienza nella risposta ad emergenze. Ha lavorato in Serbia, Kossovo, Palestina, Siria, Libano, Turchia, Bangladesh e Colombia, con organizzazioni non-governative ed agenzie delle nazioni unite.
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In volo da un secolo. Il futuro dell’Aeronautica militare secondo Goretti
L’Aeronautica militare compie cento anni. Il 28 marzo 1923, infatti, l’Italia riuniva tutte le sue componenti militari aeronautiche in una nuova Forza armata autonoma. Un traguardo importante per l’Arma azzurra, tra le prime al mondo a raggiungere il secolo di vita
Generale, qual è il valore della ricorrenza, e che lezioni ci arrivano dalla storia dell’Arma azzurra?
Cento anni dell’Aeronautica militare. Un anniversario speciale nonché un’ulteriore occasione per mostrare agli italiani gli obiettivi di una Forza armata dinamica, utile al Paese e con forte propensione all’innovazione tecnologica. È l’occasione per ripercorrere l’evoluzione dell’impiego del mezzo aereo che mosse a Roma i primi passi, già all’inizio del Novecento, sull’aeroporto di Centocelle, grazie al pioniere del volo Wilbur Wright e da alcuni giovani ufficiali italiani. Da allora abbiamo fatto enormi passi in avanti, arrivando fino al dominio aerospaziale. L’anniversario sarà l’opportunità per raccontare chi siamo stati, cosa rappresentiamo oggi e soprattutto come vediamo il nostro domani.
Cos’è cambiato da quel 1923?
Sono cambiati gli uomini, gli aeroplani, l’organizzazione, ma non lo spirito, la dedizione e la passione che ogni giorno animano e guidano gli uomini e le donne in divisa azzurra. È una grande occasione per ricordare le gesta di chi ha costruito l’Arma, far conoscere i nostri ideali e le preziose capacità al servizio della collettività e delle istituzioni, e mostrare l’impegno della Difesa.
Cosa rappresentano le celebrazioni per questo secolo di vita?
Il centenario è una pietra miliare, un importante risultato. Fin dai suoi albori l’Aeronautica ha rappresentato un equilibrio tra tecnologia, passione, professionalità, lavorando quotidianamente come una squadra unita e coesa a servizio del Paese. Un secolo di storia che vogliamo condividere con gli italiani, e al tempo stesso con tutta la Difesa e con tutti i più importanti settori della società civile, dalla ricerca scientifica e accademica in generale alla cultura, all’industria aerospaziale e dell’informazione.
Oggi, l’Aeronautica è impegnata in tutti i principali scenari per l’Italia e le sue alleanze. Qual è l’importanza di questa proiezione internazionale?
Dai primi anni Sessanta l’Aeronautica è impegnata in contesti sensibili e in missioni internazionali. Basti pensare alle prime missioni in Africa con l’Onu per poi proseguire con le operazioni nella guerra del Golfo, in Kuwait, nei Balcani, in Eritrea fino ai fatti del 2001 e il successivo contributo alla sicurezza internazionale in Afghanistan, Iraq e Libia. Insomma, l’Aeronautica non è nuova a queste attività e ha un passato di impegni a favore della collettività e della sicurezza internazionale. Oggi l’Arma azzurra rinnova quell’impegno supportando la difesa del fianco est della Nato e partecipando alle operazioni di Air policing in Lituania, Estonia, Islanda, Polonia, Romania. Per dare un’idea del nostro impegno, nel 2022 abbiamo fatto più di 170 scramble e 550 ore di volo, tra attività reali e addestrative. Il 2023 lo abbiamo iniziato in Romania dove i nostri Eurofighter saranno schierati almeno fino all’estate e poi il nostro supporto a favore della Nato continuerà in Lituania fino a fine anno. Uno sforzo costante, continuativo che ha visto, vede, e vedrà uomini e donne in azzurro intenti ad assicurare l’impiego operativo dei mezzi a difesa dei cieli alleati.
Una proiezione globale che si fonda anche su solidi rapporti internazionali, dalle collaborazioni sul caccia del futuro con Tokyo e Londra alla International flight training school. Possiamo parlare di una vera air diplomacy?
I legami con i Paesi amici e alleati sono strettamente connessi alla sfida tecnologica. Questa rappresenta una nuova realtà che nasce dai moderni scenari operativi, caratterizzata anche da minacce asimmetriche, in evoluzione costante e non più limitate a un unico ambiente operativo. In questi scenari il Giappone è una nazione amica e un partner di importanza centrale e strategica per gli interessi dell’Italia. Il Gcap, il caccia di sesta generazione, insieme a droni, piattaforme di comando e controllo, satelliti e stazioni a terra, è un esempio di interessi comuni e future collaborazioni. Oggi, questo tipo di programmi necessitano investimenti immensi, che le singole nazioni non possono sostenere da sole. È successo con il Tornado, con l’Eurofighter e accadrà ancora. Per quanto attiene al Gcap, francesi e tedeschi hanno scelto una strada diversa ma è logico affermare che, molto probabilmente, quando le nazioni avranno definito i loro requisiti, vedremo le due piattaforme convergere. Per quanto riguarda il Giappone, la loro adesione al programma costituisce una grande opportunità per una migliore reciproca comprensione. Quella tra le nostre due aeronautiche è una collaborazione basata sulla fiducia reciproca. Il nostro legame è forte e stiamo cooperando in diverse aree, su vari programmi, compresa la International flight training school (Ifts) e l’utilizzo di piattaforme comuni, come l’F-35 e il tanker KC767. L’Ifts è un virtuoso esempio di sinergia istituzionale e industriale in grado di soddisfare la crescente domanda dell’Am e dei partner di formazione dei propri piloti. Un sistema addestrativo di valore assoluto già scelto da nazioni amiche, oltre Tokyo, come Austria, Germania, Qatar, Singapore, Canada e Arabia Saudita, che in esso trovano la competenza, la professionalità e la qualità per formare i propri piloti militari con i più alti standard esistenti. Il progetto mette a fattor comune il consolidato know how dell’Aeronautica nell’addestramento al volo e l’eccellenza dell’industria nazionale nell’ambito dei sistemi integrati per la formazione dei piloti militari. L’Ifts consentirà di raddoppiare l’attuale offerta formativa dell’Aeronautica attraverso il polo di Decimomannu, che si unirà a quello già esistente a Galatina. Circa ottanta piloti l’anno, tra italiani e stranieri, verranno formati in Italia.
Quest’anno celebriamo il passato dell’Aeronautica, ma qual è la visione per il futuro?
Quella di avere una Forza spiccatamente tecnologica, più snella, agile, reattiva, capace e sempre più coesa e utile al Paese. Oggi l’Am sta vivendo un processo di forte e continua trasformazione che tiene conto di un futuro incerto e difficile. Ciò impone uno strumento flessibile capace di stare al passo con un progresso tecnologico rapido e inarrestabile e con una velocità del cambiamento in continuo aumento. È un processo lungo e complesso che richiede tempo, impegno e determinazione, ma la via da seguire è chiara. Esploriamo nuovi orizzonti per utilizzare tecnologie abilitanti innovative che ci permettano di guardare al domani, e rimanere utili al mutare dei rischi e delle minacce. È la sfida che ci attende e che affrontiamo a testa alta, forti e orgogliosi delle nostre capacità, delle qualità, dei valori, della professionalità e della competenza del nostro personale che in cento anni ha dimostrato di saper operare professionalmente con passione, generosità, profondo amore e spirito di servizio per il nostro Paese e per la nostra gente. Le nuove tendenze evolutive impongono di pensare e pianificare oggi le sfide di domani, così da essere efficaci quando serve, potendo contare su capacità operative a marcata integrazione interforze, opportunamente dimensionate e sempre al passo con l’evoluzione tecnologica.
Cruciali per il futuro saranno le nuove dimensioni cyber e spaziale. In che modo si sta preparando l’Arma azzurra a queste sfide?
L’attuale scenario geopolitico e la crisi internazionale in corso hanno imposto una maggiore attenzione anche sulla sicurezza e sull’accesso allo spazio e al cyber-spazio. L’impiego diffuso delle tecnologie emergenti ha ampliato il campo d’azione delle sfide in tutti e cinque i domini, inglobando l’aerospazio e il mondo cibernetico, insieme a minacce come sciami di droni, missili ipersonici e IA. Lo spazio e l’aerospazio rappresentano l’ambiente operativo di riferimento dell’Aeronautica che, in ragione dell’evoluzione delle tecnologie e delle sfide, ogni giorno è chiamata a difendere il Paese da nuove minacce, come missili balistici o detriti spaziali, che devono essere identificate e tracciate già in orbita. L’Aeronautica è naturalmente proiettata a valorizzare e proteggere anche l’ambiente spaziale, fornendo la propria unica competenza a beneficio del Paese. Attraverso i programmi nazionali, le cooperazioni bilaterali e la partecipazione ai progetti industriali e di ricerca, la Forza armata è pienamente inserita nel sistema-Paese e opera per mantenere l’eccellenza nel comparto nazionale.
Tra questi programmi, il volo spaziale è l’estensione del dominio aereo, una sfida tecnologica in termini di sviluppo scientifico e imprenditoriale. L’Aeronautica sta lavorando per acquisire expertise nel settore. È stato finalizzato un accordo commerciale con Virgin Galactic per effettuare un volo suborbitale durante il quale si svolgeranno esperimenti scientifici in microgravità; di recente è stato anche firmato un accordo di collaborazione con Axiom per effettuare un volo orbitale e relativo addestramento nell’ambito della missione Ax-3 verso la Stazione spaziale internazionale. Anche la dimensione cyber, realtà trasversale e pervasiva di ogni dominio, ha una forte contiguità con l’Am. Si tratta di una sfida legata alla tecnologia e l’Aeronautica sta sviluppando con attenzione e determinazione gli strumenti per difendersi dai possibili attacchi.
La storia dell’Aeronautica è legata a quella dei suoi velivoli. Come saranno i mezzi di domani?
Con l’ingresso dei caccia F-35 abbiamo portato avanti l’integrazione tra velivoli di quarta e quinta generazione, con focus sulle modalità con cui i sistemi riescono a interagire tra loro e ad aiutarsi a vicenda. La tecnologia non si è fermata e oggi la sfida è quella di guardare avanti, verso il caccia di sesta generazione. Non sarà semplicemente un aeroplano che sostituirà l’Eurofighter ma un sistema di sistemi, un integratore, un elemento fondamentale per la Forza armata dopo il 2030. È un programma ambizioso e rappresenta per l’industria nazionale un’occasione unica per sviluppare tecnologie innovative, partendo dall’osservazione di quelle possedute o potenzialmente sviluppabili come l’IA, la bassa osservabilità, la fusione dei dati, l’intelligenza distribuita, la realtà virtuale, la propulsione alternativa, l’ipersonica, la connettività e altro ancora. Tutte tecnologie che hanno un’applicazione diretta in campo civile, con ricadute e benefici per tutto il Paese, necessarie per conferirgli il giusto ruolo a livello europeo e internazionale. Il caccia di sesta generazione è un programma già attivo e insieme a Londra e Tokyo stiamo sviluppando il Gcap. Una grande opportunità per l’Aeronautica e per il Paese con ampi benefici economici e industriali. Si attireranno infatti investimenti in ricerca e sviluppo e si offriranno vantaggi e opportunità per la prossima generazione di tecnici e ingegneri.
E per l’ala rotante?
Siamo promotori in Europa del Future vertical lift o Next generation high speed helo, nonché leader nel suo sviluppo e nella relativa crescita industriale, destinata ad aumentare nel tempo. Del resto è già avvenuto per l’F-35 per il quale, grazie alle competenze sviluppate, ora altre nazioni guardano con interesse a noi e al nostro polo di Cameri. Stiamo guardando avanti, verso una tecnologia superiore. La possibilità di volare in elicottero a una velocità doppia di quella possibile oggi, di effettuare manovre estreme e di fermarsi in un istante, costituirebbe un vero salto di qualità. Abbiamo bisogno di questo tipo di capacità e l’Ucraina ne è una dimostrazione. Gli elicotteri hanno subito molte perdite perché non possono difendersi dai missili surface-to-air emersi all’improvviso da aree boscose. Dobbiamo pensare all’ingresso in servizio di nuovi sistemi d’arma in grado di fronteggiare le sfide che si presenteranno nei prossimi trenta, quarant’anni. Sfide tecnologiche, ambientali e culturali prima che operative, portate da nuove minacce. Siamo di fronte a una complessità generale caratterizzata da un progresso tecnologico che avanza a velocità elevatissima e dove concetti come connettività, IA, cloud, big data, interoperabilità e multi dominio sono ormai i paradigmi di riferimento.
In che modo va valorizzato il rapporto con industria e ricerca?
L’impegno dell’Aeronautica nel mondo della ricerca e dello sviluppo è in continua crescita. Si sviluppano accordi e programmi di cooperazione con l’industria, Pmi e istituzioni di continuo e a tutti i livelli per creare e rafforzare sinergie che siano la spinta propulsiva per tutto il sistema-Paese. Abbiamo sottoscritto accordi con Leonardo, il Cnr, le università e singole istituzioni pubbliche per lavorare insieme in vari ambiti: accesso allo spazio, addestramento al volo, manutenzione dei velivoli attraverso la realtà virtuale e aumentata come il simulatore dell’Ifts Live virtual and constructive, biocarburante e altri ancora. Non dobbiamo fermarci qui ma rafforzare la filiera con industria e ricerca per essere il più predittivi possibile. La chiave è stimolare la ricerca e valorizzare nuovi strumenti di cooperazione sempre più virtuosi e capaci di valorizzare le expertise.
Un esempio sono gli hackathon, eventi in cui esperti e sviluppatori si riuniscono per realizzare in uno, due giorni un progetto dedicato. Questi rappresentano un’opportunità per conoscere e apprezzare idee proposte da giovani talenti che provengono da start up, centri di ricerca e università italiane, mondi con i quali la Difesa e l’industria devono saper dialogare per accrescere conoscenze, innovare e affrontare un futuro dove tecnologia e digitalizzazione continuano a evolvere verso realtà spesso non preventivabili. Ne abbiamo ospitato uno a Pratica di Mare, il primo hackathon aeronautico, l’Airathon appunto, su IA, blockchain e realtà aumentata virtuale e immersiva. Quell’evento è stato un virtuoso esempio che ha dato seguito a una serie di collaborazioni per consolidare competenze specifiche e mettere a disposizione strumenti efficaci e all’avanguardia.
Guardando ai prossimi cento anni dell’Arma azzurra, qual è il messaggio che vuole lanciare alle future generazioni di aviatori?
L’Aeronautica militare ha messo, mette e metterà sempre a disposizione di tutti coloro che aspirano a operare nella terza dimensione le proprie naturali e indiscusse competenze nel settore aerospaziale. Ai ragazzi, le giovani menti smart del nostro futuro, dico sempre: abbiate il coraggio di osare. L’Aeronautica guarda da sempre verso il futuro. Dal 1923 la nostra forza è sempre quella di osare, di guardare avanti con coraggio, spirito di squadra, motivazione e fame di cultura. Lo spazio è il futuro dei giovani, ai quali abbiamo l’obbligo di trasferire il massimo della nostra conoscenza, opportunità e gratitudine per tutti coloro che in questi cento anni hanno consentito di rendere grande l’Aeronautica militare.
Intervista apparsa sul numero 142 della rivista Airpress
Intervista al Presidente Giuseppe Benedetto per EXTREMA RATIO
Intervista all’Avvocato penalista Giuseppe Benedetto, Presidente della Fondazione Luigi Einaudi, sul suo ultimo libro “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere”, edito da Rubbettino Editore. Un serio dibattito sulle regole del gioco della giustizia penale non può evadere la separazione delle carriere tra giudici e pm: questa, la profonda convinzione da cui muove l’Autore, fondando la sua riflessione su ragioni di rango prima di tutto giuridico, senza trascurare uno sguardo comparativo.
La carriera unica, infatti, rappresenta una peculiarità italiana soprattutto nei paesi liberal-democratici occidentali, ed esemplifica un’incoerenza del sistema interno, ancora oggi capace d’inibire il pieno compimento del processo accusatorio (introdotto più di trent’anni fa dalla Riforma Vassalli) e della riforma costituzionale del 1999, che volle incidere l’art. 111 Cost. nel segno del giusto processo e della parità delle parti di fronte ad un giudice terzo ed imparziale. Nel descrivere questa rappresentazione, Benedetto incalza sollevando l’attenzione sulle ulteriori e connesse storture dell’ordinamento, indicando una proposta di legge già depositata e giocando con le provocazioni sulla “riserva mentale” nella quale sembra arroccata la magistratura.
La discussione non riguarda la compromissione dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, ma appartiene all’esfoliazione del nostro sistema da vecchie e diffuse tracce inquisitorie. Tutto ciò che precede, infatti, attiene al rispetto del giusto processo.
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Concorso nazionale "Matteotti per le scuole": l'ottava edizione è rivolta agli alunni della scuola secondaria di I e II grado, per ricordare Giacomo Matteotti e la sua testimonianza di libertà e di democrazia.
Ministero dell'Istruzione
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Libertà nella rete e libertà della rete
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In Cina e Asia – L’Ue approva strumento anti-coercizione
I titoli di oggi:
Mar cinese meridionale, Scspi: "Operazioni Usa in aumento"
Cina, cittadino giapponese arrestato per spionaggio
Cina, Baidu cancella l'evento di lancio dell'omologo cinese di ChatGPT
Giappone e Usa annunciano accordo sui minerali della transizione energetica
Brics, l'ex presidente del Brasile alla guida della New Developement Bank
Myanmar, Min Aung Hlaing chiede "un'azione decisiva" contro gli oppositori
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Majority of credit bureau "CRIF" database illegal
La maggior parte del database del credit bureau "CRIF" è illegale Decisione della DPA austriaca sul caso noyb: I dati di milioni di austriaci devono essere cancellati
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PRIVACY DAILY 79/2023
Per il ciclo “i Mercoledì di Nexa”, mercoledì 12 aprile h.17: presentazione del libro "La rivoluzione informatica Conoscenza, consapevolezza e potere nella società digitale" di @EnricoNardelli
L'INCONTRO SI TERRÀ IN PRESENZA E ONLINE
Con l'avvento, a metà del secolo scorso, dei calcolatori elettronici, che apparivano in grado di svolgere quei compiti intellettuali tipici delle persone, l'umanità aveva iniziato a pensare di poter alleviare le sue fatiche mentali. La storia successiva ha mostrato che eravamo ottimisti e anche un po' superficiali. L'automazione realizzata attraverso la tecnologia digitale ha ancora forti limiti e spesso vincola il nostro spazio di libertà invece di aiutarci. Le "macchine cognitive" che la realizzano sono prive di ogni consapevolezza di ciò che fanno, di qualunque comprensione di ciò che producono e ignorano tutte le dimensioni che caratterizzano la società umana a parte quella esclusivamente razionale.
In parallelo, la riservatezza sulle nostre azioni e la nostra esistenza si sta assottigliando sempre di più, mentre piattaforme inizialmente pensate per facilitare le relazioni sociali e l'utilizzo dei servizi sono usate per influenzarci in modi nascosti e subdoli e per aumentare le disuguaglianze sociali, impoverendo le masse a scapito dei pochissimi che le controllano. Adesso è iniziata la diffusione di sistemi basati su tecniche di intelligenza artificiale, che hanno la potenzialità di esasperare ancora di più questa situazione.
È quindi in atto una vera e propria rivoluzione, la "rivoluzione informatica", che - come precedenti analoghe rivoluzioni, quella della stampa a caratteri mobili e quella industriale - cambierà radicalmente la nostra società. Dobbiamo però sviluppare un'automazione rispettosa e fidata, che ci aiuta facendoci risparmiare tempo, ci protegge da intromissioni indebite e supporta la crescita di comunità solidali. La sua realizzazione passa attraverso un'istruzione di massa sull'informatica, la disciplina scientifica e tecnologica che la rende possibile, obiettivo verso il quale molti paesi avanzati, in tutto il mondo, si sono già mossi.
LINK AL COMUNICATO
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Sette lezioni dalla Lettonia dopo un anno di invasione russa dell’Ucraina
È passato un anno da quando la Russia ha intensificato la sua guerra contro l’Ucraina fino a trasformarla in un’invasione su vasta scala. Quando abbiamo scritto delle prime reazioni lettoni all’attacco russo, abbiamo notato che la vicinanza geografica sia con l’aggressore che con la vittima faceva sentire i lettoni coinvolti emotivamente nel conflitto. La Lettonia si è […]
L'articolo Sette lezioni dalla Lettonia dopo un anno di invasione russa dell’Ucraina proviene da L'Indro.
L’inciviltà urbana non si combatte con l’inciviltà digitale
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“Il trattamento dei dati personali nell’attività investigativa” – Adempimenti e misure di sicurezza per l’investigatore nel rispetto della privacy (Editore Key)
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❄️ freezr ❄️
in reply to Informa Pirata • • •Ma guarda i comuni medievali ci hanno dato una grande lezione di democrazia.
Facciamo invece che la metà dei senatori e deputati sono eletti e mantengono il loro mandato per i termini stabiliti dalla legge.
Poi facciamo che l'altra metà è composta da cittadini scelti a caso e che restano in carica solo 6 mesi.
Tutti gli esperimenti di democrazia diretta e partecipata hanno sempre dato esiti positivi.
Applichiamola a tutti i livelli.
Allora la parte eletta si sforzerà di dare un andamento politico mentre la cittadinanza si occuperà che la politica si occupi veramente dei problemi del popolo.
Più semplice di così non si può fare.
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Informa Pirata
in reply to ❄️ freezr ❄️ • •@❄️ freezr ❄️ sono d'accordo ed esistono già progetti interessanti come "politici per caso" che costutuirebbero una sperimentazione imprescindibile per avere un riscontro su queste iniziative di potenziamento democratico
politicipercaso.it/
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❄️ freezr ❄️
in reply to Informa Pirata • • •Informa Pirata likes this.