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Pierre Schoendoerffer – La 317a Sessione


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RiStabilità


Il Patto di stabilità e crescita, che contiene le regole di bilancio cui i Paesi dell’Unione europea devono attenersi, è stato sospeso durante l’emergenza pandemica e tornerà in vigore una volta iniziato il 2024. Sul punto c’è un equivoco: è stato sospeso

Il Patto di stabilità e crescita, che contiene le regole di bilancio cui i Paesi dell’Unione europea devono attenersi, è stato sospeso durante l’emergenza pandemica e tornerà in vigore una volta iniziato il 2024. Sul punto c’è un equivoco: è stato sospeso il Patto, mica la realtà. La prima cosa è alla portata dei governi, la seconda no. In emergenza si è potuto spendere di più, accrescendo deficit e debito, senza incorrere in vincoli interni, ma quei vincoli mica erano stati elaborati per la gioia di coltivare bonsai economici, bensì per evitare che deficit e debiti eccessivi squilibrino il mercato interno e sfondino le dighe che difendono dalle alluvioni speculative. Quindi il Patto era sospeso, ma i problemi e i costi dei debiti crescenti sono lì a ricordarci il peso della realtà.

Analogo effetto hanno le richieste di questa o quella spesa, sempre nobilmente indirizzata (da ultimo quella relativa agli aiuti all’Ucraina), in “deroga” al Patto: evita la contestazione dell’ufficio, ma non evita per nulla la conseguenza sul bilancio e sugli acquirenti di debito.

Lo scorso 14 marzo l’Ecofin, ovvero l’insieme dei ministri dell’economia e delle finanze dei Paesi Ue, ha proseguito l’esame della proposta fatta dalla Commissione europea, circa la riforma del Patto. In brutale sintesi, la Commissione propone che i Paesi che si trovano con un eccesso di deficit o debito o di entrambi negozino, ciascuno a partire dalle proprie condizioni, con la Commissione stessa il percorso di rientro. In tale negoziato su misura c’è una coda velenosa: si terrà conto della sostenibilità di ciascun debito, segnalandone la pericolosità al mercato. L’alternativa, se la riforma non si facesse, sarebbe vedere tornare in vigore il vecchio trattato, con meccanismi automatici di riequilibrio. Questo è il punto importante, che serve a capire il seguito: non è che quei meccanismi non abbiano funzionato, è che non sono stati applicati pienamente, bensì solo a spizzichi e bocconi. Tanto che il ministro dell’economia tedesca, il liberale Christian Lindner sostiene: <<Inutile avere regole che sono soggette alla discrezionalità politica e alla fine non funzionano mai>>. Difficile dargli torto.

Dopo quella riunione la Germania ha diffuso un proprio “non paper”, una riflessione informale, in cui sostiene che passi pure per la negoziabilità proposta dalla Commissione, ma se poi non funziona si passa alla garanzia di un sistema automatico, con una riduzione obbligatoria proporzionale allo squilibrio del debito, fino all’1% annuo del prodotto interno lordo.

L’Italia si trova fra questi scogli: la proposta della Commissione porterebbe ad una indicazione di pericolo per il nostro debito, quella tedesca all’automaticità della sua riduzione. E nella misura massima, visto che il Fondo monetario internazionale ha provveduto a ricordare che, nel mondo sviluppato, il nostro debito è secondo solo a quello del Giappone, ma con una condizione interna assai diversa (colà altro che pensionati che neanche hanno 60 anni!). Che intendiamo fare? Se la sinistra non fosse impegnata a convincere sé stessa d’essere de sinistra e i terzopolisti a scannarsi e mettere in fuga gli elettori, proverebbero a incalzare il governo su questo tema.

Aumentare il debito è bello nell’immediato e molto doloroso nel futuro subito successivo, dimostra sovranità nazionale nello svendere sovranità nazionale. Il debito toglie libertà. Diminuire il debito è doloroso nell’immediato e un sollievo subito dopo, riconquistando sovranità e libertà. Un governo che pensasse di durare non avrebbe dubbi e scegliere la riduzione. Chi pensa di cadere sceglie l’indebitamento. Chi non sceglie si barcamena nell’inutilità.

Una cosa è sicura: se non si sarà capaci di usare i fondi europei e si penserà di tenere in ostaggio gli altri immobilizzandoli sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes), i due scogli si stringeranno e si dovrà chiedere a Schettino l’effetto che fa. A quel punto il Patto sarà difficile, ma la stabilità ancora di più.

La Ragione

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Il fondatore di Anonymous Russia è stato arrestato

@Pirati Europei

Arrestato in Bielorussia uno dei leader del gruppo hacker filorusso #Killnet: è un 18enne bielorusso ed era a capo di Anonymous Russia. Non si sa di cosa sia accusato. Lo ha detto il fondatore di Killnet nel suo canale Telegram.

Il fondatore del gruppo Killnet noto con il soprannome Killmilk ha deciso di “deanonimizzare” il membro della comunità arrestato. Secondo lui, il capo di Anonymous Russia è un cittadino bielorusso di 18 anni, studente del liceo, Arseniy Eliseev, noto con i nick Raty o Mr. Raty e residente a Gomel. Ora si trova in stato di fermo, in custodia cautelare, in una cella di isolamento presso l’ufficio investigativo di Gomel.

(CONTINUA QUI)

Il cittadino bielorusso di 18 anni e studente di liceo, Arseniy Eliseev, noto con i nick Raty o Mr. Raty e residente a Gomel

Questa voce è stata modificata (2 anni fa)

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Su Intelligenza Artificiale Spiegata Semplice – Il podcast di AI Play, riascolta la puntata


Grazie a Pasquale Viscanti e Giacinto Fiore per l’ospitalità su “Intelligenza Artificiale Spiegata Semplice”, il podcast di AI Play, dove abbiamo parlato di cosa insegna la vicenda ChatGPT a Manager e imprenditori dell’IA. Per riascoltare la puntata clicca qui.


guidoscorza.it/su-intelligenza…



4900 prigionieri politici palestinesi in carcere in Israele


Tra di essi anche donne e minori. Oltre mille sono agli arresti "amministrativi", senza processo L'articolo 4900 prigionieri politici palestinesi in carcere in Israele proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/04/17/medioriente/4900-prigio

della redazione

Pagine Esteri, 17 aprile 2023Sono 4.900 i prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane tra cui 31 donne e 160 minori e più di 1.000 detenuti “amministrativi”, ossia in carcere senza processo, tra cui due giovani donne, il numero più alto dal 2003. 544 prigionieri scontano il carcere a vita, il caso più noto è quello di Abdullah Al-Barghouti (67 ergastoli). Sono questi i dati comunicati da Ong locali e internazionali in occasione della Giornata del prigioniero palestinese.

Quest’anno, dal primo gennaio al 15 aprile circa 2300 palestinesi sono stati arrestati dalle forze militari e di polizia di Israele. Tra di questi 350 sono minori.

Le Ong aggiungono che circa 700 detenuti sono ammalati, tra cui 24 affetti da cancro. In questi giorni è in corso una campagna per far scarcerare Walid Daqqah (detenuto da 37 anni) affetto da mielofibrosi. Le sue condizioni si sarebbero aggravate, sostengono i palestinesi, a causa di cure adeguate in carcere. Pagine Esteri

L'articolo 4900 prigionieri politici palestinesi in carcere in Israele proviene da Pagine Esteri.



Le iniziative delle altre Autorità


L’Autorità garante spagnola adotta delle Linee Guida per la prevenzione dei data breach nella Pubblica Amministrazione L’Agenzia spagnola per la protezione dei dati (AEPD) ha pubblicato le Orientaciones para tratamientos que implican comunicación de datos entre Administraciones Públicas ante el riesgo de brechas de datos personales. Si tratta di un documento rivolto al settore pubblico... Continue reading →


La decisione del governo di nominare il Responsabile del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Viminale, Commissario straordinario all' Emergenza Nazi


Perù: uccise giornalista, condannato ex ministro degli Interni


di Redazione Pagine Esteri, 17 aprile 2023 – Un generale in pensione ed ex candidato alla presidenza del Perù, Daniel Urresti, è stato condannato a 12 anni di carcere per crimini contro l’umanità perché riconosciuto colpevole di aver partecipato all’omici

di Redazione

Pagine Esteri, 17 aprile 2023 – Un generale in pensione ed ex candidato alla presidenza del Perù, Daniel Urresti, è stato condannato a 12 anni di carcere per crimini contro l’umanità perché riconosciuto colpevole di aver partecipato all’omicidio di un giornalista.

Nei giorni scorsi un tribunale ha infatti stabilito che Urresti, che all’epoca era un ufficiale dei servizi segreti militari di Lima, partecipò all’agguato e all’omicidio di Hugo Bustíos, un reporter del settimanale peruviano “Caretas” che stava svolgendo un’inchiesta sulla violazione dei diritti umani da parte degli apparati di sicurezza.

Il giornalista lavorava nella regione andina di Ayacucho, al centro del conflitto armato tra guerriglia maoista e forze governative negli anni Ottanta e Novanta. Prima di essere assassinato, il reporter ha documentato le violazioni dei diritti umani compiute nella regione sia dai ribelli di Sendero Luminoso sia dalle forze armate. La regione di Ayacucho è stata la più colpita dalla violenza politica che ha causato quasi 70mila tra morti e desaparecidos, stando al bilancio fornito dalla Commissione per la verità e la riconciliazione del Perù.

Il 24 novembre del 1988 Bustíos si stava recando ad Erapata, nel sud-ovest del paese, per indagare sull’uccisione di un contadino e di suo figlio. Bustíos era convinto che gli autori degli omicidi fossero alcuni membri dell’esercito, che in quella zona erano allora impegnati in una dura repressione di Sendero Luminoso. Mentre era sulla strada per Erapata insieme al collega Eduardo Rojas, cadde in un’imboscata realizzata da alcuni militari in abiti civili: prima venne ferito con alcuni colpi d’arma da fuoco e poi fu ucciso dopo che sul suo corpo venne piazzato dell’esplosivo per incolpare i ribelli maoisti. Il suo collega Rojas però riuscì a fuggire e a raccontare l’accaduto.

Per l’omicidio, nel 2007, è stato già condannato come mandante il comandante della locale base militare, Victor La Vera Hernández, che dopo essere uscito di prigione già nel 2011 indicò Urresti come uno degli esecutori materiali. Il politico fu quindi processato una prima volta ma venne assolto nel 2018. Nel 2019, però, la Corte Suprema di Lima ordinò un nuovo processo sostenendo che i giudici non avessero valutato adeguatamente alcune prove e testimonianze contro l’ex militare che nel 2014 e 2015 ha ricoperto anche l’incarico di ministro degli Interni nel governo del populista Ollanta Humala e poi di deputato.

La Commissione Interamericana per i Diritti Umani aveva già condannato le autorità peruviane per aver violato il diritto dei parenti della vittima alla verità non indagando adeguatamente sull’omicidio. Gli avvocati della Difesa hanno annunciato che ricorreranno in appello nonostante l’accusa avesse chiesto una condanna a 25 anni. Prima della sentenza Urresti ha scritto di Twitter di sentirsi “ingiustamente perseguitato”.

Ma Urresti è attualmente indagato per il ruolo che ebbe, come ministro degli Interni, nella repressione che nel febbraio del 2015 portò alla morte di uno studente di 25 anni e al ferimento di altri manifestanti che partecipavano ad uno sciopero. Gli agenti della Polizia Nazionale spararono contro i manifestanti a Pichanaki causando molte vittime. L’allora ministro affermò che gli agenti non avevano fatto ricorso alle armi da fuoco ma venne smentito da numerose testimonianze e poco dopo il presidente Humala gli revocò l’incarico. – Pagine Esteri

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.

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Phantom of the Paradise


Questo film è la storia di quel sound..., dell'uomo che lo creò, della ragazza che lo cantò e del mostro che lo rubò.

Questo è l'intro di apertura del musical dal regista Brian De Palma ,prodotto dalla 20th century Fox nel 1974, (andato in onda in Italia nel 1989) e uno dei pochi musical che ho più apprezzato (io che non adoro i musical)e che sono andata a scovare per curiosità dopo che un amico americano ci aveva chiesto di partecipare ad una tribute per il 50' anniversario dell'uscita.

iyezine.com/phantom-of-the-par…



In Cina e Asia – Il Ministro della Difesa cinese incontra Putin


In Cina e Asia – Il Ministro della Difesa cinese incontra Putin Putin
I titoli di oggi:

Il Ministro della Difesa cinese incontra Putin
Ucraina: trovate "componenti di fabbricazione cinese" nelle armi russe
Borrell: "La Cina può svolgere un ruolo nella guerra"
Usa: società cinesi accusate di fornire al cartello messicano i precursori chimici del fentanil
Veterani del Partito comunista a capo dell’ufficio per Hong Kong e Macao
Sentenza di un tribunale di Pechino: gli "straordinari su WeChat" vanno pagati
Il Giappone avrà il suo primo casinò
L'esercito sudcoreano spara colpi di avvertimento contro una motovedetta della Corea del Nord

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SCONTRI IN SUDAN. Gradito anche all’Italia il capo miliziano Dagalo


Il leader delle famigerate Forze di supporto rapido (Rsf) è stato in visita “privata” in Italia il 9 febbraio 2022. Sul tavolo dei contatti con Roma anche "il contrasto alla migrazione irregolare" L'articolo SCONTRI IN SUDAN. Gradito anche all’Italia il

di Antonio Mazzeo

Pagine Esteri, 17 aprile 2023 – Buoni contro cattivi, forze militari regolari contro paramilitari, filo-occidentali contro filo-russi. Ancora una volta analisti e commentatori tv preferiscono le esemplificazioni binarie per descrivere gli attori (solo alcuni di essi, in verità), che in queste ore si combattono violentemente nelle strade di Khartoum, capitale del Sudan. Da una parte le unità dell’esercito fedeli al presidente del Consiglio Sovrano di Transizione, il generale Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan; dall’altra le Forze di Supporto Rapido (RSF), corpo d’élite del Servizio nazionale d’intelligence, guidate dal vicepresidente del consiglio, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemetti”. Il primo lo si vorrebbe vicino a Washington, il secondo a Mosca, ma probabilmente più che dalle distinte preferenze sui partner internazionali, il tentato golpe nasce dalla ferma opposizione del generale Hemetti a porre le “sue” milizie sotto il controllo della Presidenza del consiglio. “Un progetto – scrive l’africanista Fulvio Beltrami – in cui Hemetti vede un tentativo di distruggere il suo potere (e dei suoi immensi affari), privandolo del controllo della potente unità di combattimento”. (1)

Le Forze di Supporto Rapido conterebbero attualmente su un enorme numero di militari bene armati e addestrati – tra i 50.000 e i 70.000 -, molti dei quali già in forza alla Janjaweed, la milizia araba impiegata dal governo sudanese durante la lunga guerra in Darfur esplosa nel febbraio 2003. Le RSF furono istituite nel 2013 e poste sotto il comando del generale Hemetti; da allora si sono macchiate di gravi crimini contro l’umanità (massacri di civili, saccheggi e distruzioni, stupri, ecc.), soprattutto nel biennio 2014-15 ancora in Darfur. Il 3 giugno 2019, due mesi dopo il colpo di stato che costrinse alla fuga il presidente Omar al-Bashir in carica da 25 anni, i reparti guidati da Mohamed Hamdan Dagalo attaccarono con gas e armi da fuoco numerosi manifestanti nelle strade di Khartoum, uccidendo più di un centinaio di persone e gettandone i corpi nel Nilo.

Dopo un secondo golpe militare a fine ottobre 2021, al vertice dello stato africano si insediò il Consiglio Sovrano di Transizione presieduto dal generale al-Burhan, vicepresidente il sempre più potente capo delle RSF, impunito per le efferate stragi ma gradito a diverse cancellerie europee, Roma in testa. Come rilevato da Africa ExPress, Mohamed Hamdan Dagalo Hemetti è stato in visita “privata” in Italia il 9 febbraio 2022, in compagnia del fratello Al-Qoni Hamdan (ufficiale delle Forze di Supporto Rapido, responsabile del settore appalti) e da un uomo d’affari di origini siriane, Muhammad Abdul Halim. “Hemetti mirava anche ad ottenere finanziamenti per acquistare da una fabbrica italiana le attrezzature lattiero-casearie necessarie agli impianti in costruzione in Etiopia”, ha riportato la testata giornalistica. (2)

Il 3 settembre 2022 è stato l’ambasciatore italiano a Khartoum, Gianluigi Vassallo, a recarsi in visita dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, nei sui uffici del Palazzo presidenziale di Khartoum. Sul meeting è stata pubblicata una lunga nota sul sito istituzionale delle RSF. “Il diplomatico è stato ricevuto allo scadere del suo incarico, alla presenza del sottosegretario per gli Affari esteri, l’ambasciatore Dafa-Allah Al-Haj, e del Direttore del dipartimento europeo, l’ambasciatore Khalid Musa”, vi si legge. “Il vice presidente del Consiglio Sovrano di Transizione, generale Mohammed Hamdan Dagalo ha sottolineato il desiderio del Sudan di sviluppare e rafforzare le sue relazioni con l’Italia in tutti i campi nell’interesse dei due paesi. Ha inoltre invitato l’Italia e la comunità internazionale a sostenere il Sudan e il suo popolo nel portare avanti il processo di transizione democratica (…) Dagalo ha lodato gli sforzi dell’Italia a supporto della stabilità del Sudan, apprezzando il livello del fruttuoso coordinamento tra i due paesi nei settori della lotta all’immigrazione illegale, della salute e degli interventi umanitari”. Altrettanto enfatiche le parole dell’ambasciatore Vassallo. “Esprimo il mio apprezzamento al governo del Sudan e al suo popolo per il sostegno continuo e il rispetto per il mio lavoro a Khartoum”, ha dichiarato il diplomatico. “E’ stata un’esperienza unica che ha testimoniato il grande sviluppo delle relazioni tra i due paesi. L’Italia continuerà a sostenere gli sforzi del Sudan per conseguire la stabilità e la transizione democratica e a cooperare insieme per combattere l’immigrazione illegale. Il mio paese ha donato 250.000 euro per supportare ciò che è stato danneggiato dai disastri naturali in Sudan. (3)

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Chiodo fisso quello dell’immigrazione irregolare per tutti i governi succedutisi alla guida del bel paese nelle ultime decadi, anche a costo di stringere relazioni e alleanze con i regimi più indigesti, impresentabili, violenti e corrotti del continente africano. Con il Sudan è stato firmato il 3 agosto 2016 un memorandum sui temi della gestione dei fenomeni migratori e delle frontiere (a sottoscriverlo a Roma l’allora direttore generale della Pubblica sicurezza, prefetto Franco Gabrielli e il direttore generale delle Forze di polizia sudanesi, generale Hashim Osman el-Hussein).

“Le parti di dichiarano pienamente impegnate a impedire i pericolosi viaggi di migranti che mettono seriamente a rischio le loro vite e convinte che un’efficace politica di rimpatrio avrebbe un notevole effetto deterrente, contribuendo a prevenire la migrazione irregolare e le tragedie umanitarie ad essa connesse”, si legge nel preambolo del memorandum.

L’accordo, mai revocato dall’Italia nonostante i successivi sanguinosi colpi di stato in Sudan, prevede la collaborazione tra le due forze di polizia in ampi settori: contrasto al crimine organizzato internazionale, immigrazione irregolare, traffico di esseri umani, crimine telematico e finanziario, riciclaggio di denaro, contraffazione di documenti, corruzione, ecc.. Numerosi gli interventi previsti: scambio di informazioni sui gruppi criminali organizzati, sulla loro struttura, gestione e modus operandi, nonché sull’applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali; scambio di informazioni sui gruppi terroristici operanti nei rispettivi territori e in materia di immigrazione irregolare e per combattere la tratta di esseri umani e il traffico di migranti; scambi di esperienze e di esperti tra le forze di polizia; organizzazione di corsi e attività addestrative; scambio di informazioni sui passaporti e sugli altri documenti di viaggio, sui visti e sui timbri di ingresso e uscita; possibile partecipazione congiunta ad iniziative di cooperazione operativa a livello regionale o internazionale, “anche nell’ambito delle attività svolte dalle competenti agenzie dell’Unione Europea, quali Frontex ed Europol”. Onde migliorare le capacità di gestione delle frontiere e dei flussi migratori e di contrasto alla migrazione irregolare, il memorandum prevede la possibilità che l’Italia offra alle autorità sudanesi “supporto e assistenza tecnica in termini di formazione e di fornitura di mezzi e di equipaggiamento”.

Infine una serie di articoli in tema di rimpatri di cittadini irregolari. “Le competenti autorità sudanesi forniscono assistenza e supporto nell’accertamento della nazionalità dei migranti irregolari, procedendo alla loro identificazione, al fine di consentire alle competenti autorità italiane di eseguire le misure di rimpatrio”, è previsto all’art. 9. “Le competenti autorità diplomatiche/consolari del Sudan procedono senza indugio alle interviste delle persone da rimpatriare, al fine di stabilire la loro nazionalità e, sulla base dei risultati del colloquio, senza svolgere ulteriori indagini sulla loro identità, emettono, il prima possibile, documenti di viaggio sudanesi d’emergenza, consentendo in tal modo alle competenti autorità italiane di organizzare ed eseguire operazioni di rimpatrio mediante voli di linea o charter”.

Il funesto e liberticida accordo sottoscritto quando ancora alla guida dello stato africano c’era Omar Hassan al-Bashir (dal 30 giugno 1989 incriminato dalla Corte Penale Internazionale per genocidio e crimini contro l’umanità), è stato duramente stigmatizzato dalle associazioni di giuristi e dalle ONG che difendono i diritti umani. “Il memorandum comporta lo stravolgimento delle già flebili garanzie previste dall’ordinamento in tema di rimpatri”, ha denunciato ASGI – Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione. “La Polizia italiana non solo si arroga il diritto di deportare stranieri irregolari in Sudan senza averli identificati con certezza come sudanesi, ma addirittura mortifica il controllo giurisdizionale previsto dalla legge consistente nella previa convalida dell’accompagnamento coattivo. Pertanto è uno strumento di natura politica illegittimo sia perché adottato al di fuori del controllo parlamentare sia perché sottratto alle procedure previste dalla fonti costituzionali, sovranazionali e nazionali”. Forti preoccupazioni sono state espresse anche dalla sezione italiana di Amnesty International. “L’Italia sta deportando queste persone in un paese dove alcuni gruppi corrono un rischio concreto di gravi violazioni dei loro diritti umani, sulla base di un accordo di riammissione il cui contenuto non è chiaro”, ha scritto AI. “Si teme tra l’altro il rimpatrio di originarie del Darfur, che andrebbero incontro a persecuzioni, repressioni brutali e altri gravi abusi”. (4)

Il 6 luglio 2017, nel corso di un incontro con il ministro degli Affari esteri della Repubblica del Sudan, Ibrahim A. Ghandour, l’allora titolare della Farnesina, Angelino Alfano, esprimeva la soddisfazione per i risultati conseguiti in meno di un anno dalla firma del memorandum anti-immigrati. “Riconosciamo il ruolo del Sudan sulla rotta migratoria dell’Africa Orientale e in particolare nell’ambito del Processo di Khartoum, strumento fondamentale per eradicare i flussi migratori irregolari e i traffici di esseri umani”, dichiarava il ministro Alfano. “Apprezziamo molto gli sforzi che il Sudan sta facendo per ospitare un gran numero di rifugiati nel proprio territorio e siamo pienamente consapevoli del ruolo svolto tra l’Africa subsahariana e mediterranea…”. (5)

Destituito manu militari il presidente Omar al-Bashir, l’Italia non ha perso tempo a riallacciare le relazioni con il nuovo fragile e diviso regime. Il 4 marzo 2020 l’allora vice ministra degli Esteri, Emanuela Claudia Del Re era la prima esponente del governo a recarsi in Sudan in visita istituzionale ed incontrare il presidente del primo governo di transizione Abdallah Hamdok, la ministra degli Esteri Asma Abdallah, quello delle Finanze Ibrahim Badawi e quello della Salute Akram al-Tom. La Vice Ministra ha espresso apprezzamento per l’attivismo sudanese in politica estera, in particolare per l’importante ruolo che sta rivestendo per la stabilizzazione della regione del Corno d’Africa”, riporta la Farnesina. “In campo multilaterale l’Italia rafforzerà l’advocacy nell’ambito del Group of friends of Sudan per facilitare la rimozione del Sudan dalla lista dei paesi sponsor del terrorismo, mentre in ambito bilaterale avvieremo a breve i negoziati per la conclusione di un accordo quadro bilaterale sulla cooperazione allo sviluppo che faciliterà gli interventi italiani a sostegno della popolazione sudanese. (6)

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Dagalo incontra una delegazione francese

Nessun riferimento alle politiche di contrasto all’immigrazione, vero, ma sette mesi dopo sarebbe stata la stessa Del Re a rendere inequivocabili fini e obiettivi dei nuovi interventi di cooperazione pro-Sudan. Il 13 ottobre 2020, nel corso di una conversazione telefonica con il ministro degli Esteri ad interim Omar Gamareldin Ismail, la vice ministra esprimeva l’apprezzamento “per gli sforzi compiuti dal governo sudanese nell’ospitare centinaia di migliaia di migranti e nel facilitare le operazioni di rimpatrio, in particolare dei migranti bloccati in Libia”. “Continueremo a fornire il supporto di cui avete bisogno, soprattutto attraverso organizzazioni delle Nazioni Unite che operano sul campo”, prometteva alla fine Emanuela Claudia Del Re. (7) E infatti, meno di un mese dopo, la Farnesina formalizzava la nuova strategia italiana per le migrazioni in Sudan, stanziando un contributo iniziale di 1,5 milioni di euro del Fondo Migrazioni a favore dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) al fine di promuovere progetti “a beneficio di migranti, rifugiati e comunità locali, in particolare negli Stati dell’est del Sudan, maggiormente esposti ai flussi migratori, e in corrispondenza del campo rifugiati di Shagrab”. (8)

Talmente buone le relazioni tra il governo italiano e le autorità di Khartoum in perenne lotta per il potere che il 5 marzo 2021 l’ambasciatore Gianluigi Vassallo annunciava sul sito del ministero degli Affari esteri nuove prospettive di partenariato con il Sudan. “L’Italia costituisce uno dei principali partner commerciali del Sudan a livello europeo, con interessi concentrati prevalentemente nei settori agroalimentare ed energetico”, asseriva il diplomatico. “Sono inoltre in corso di analisi alcune prospettive di partenariato in settori potenzialmente strategici e ancora poco esplorati, quali aeronautica aerospaziale e incubazione di start-up, ma anche infrastrutture e trasporti”. (9)

Il primo governo di transizione democratica veniva poi spodestato dal golpe dell’ottobre 2021 ma restava immutata – anzi no, cresceva – la fiducia di Roma nelle capacità di contrasto dei migranti del nuovo regime bipolare al-Burhan/Hemetti. “La Farnesina rafforza l’impegno in ambito migratorio in Sudan ed Etiopia”, annunciava euforico il ministro Luigi Di Maio a conclusione di una visita ad Addis Abeba (11 luglio 2022). “Abbiamo espresso particolare attenzione alle conseguenze sul piano migratorio dei conflitti in corso nella regione e sono stati finanziati tre progetti per un totale di 7 milioni di euro del Fondo Migrazioni per rafforzare l’azione di sostegno a rifugiati e migranti vulnerabili in Sudan ed Etiopia. Saranno inoltre rafforzate le attività volte a promuovere la coesistenza pacifica con le comunità locali dei migranti che dal Corno d’Africa seguono la rotta migratoria del Mediterraneo centrale”. (9)

A riprova del rilanciato sostegno dell’Italia, dal 2 al 5 agosto 2022 veniva effettuata in Sudan una missione congiunta del personale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione e dell’Ufficio UNHCR per l’Italia. La delegazione, accompagnata dall’ambasciatore Gianluigi Vassallo, si recava in visita nei campi di Um Rakuba e Tunyadbah, a 230km da Ghedarif, nel Sudan orientale, dove erano ospitati complessivamente più di 40.000 rifugiati. “Il Sudan ha dimostrato generosità nell’accogliere 1.142.000 rifugiati, di cui 50.000 in fuga dal recente conflitto nella regione del Tigray, in Etiopia”, annota con non poco cinismo e ipocrisia la Farnesina. “La missione congiunta in Sudan conferma il forte impegno italiano a favore non solo dei rifugiati, ma anche delle comunità locali che accolgono i rifugiati nel Paese, con l’obiettivo di una stabilizzazione dei flussi con soluzioni di lungo periodo, in particolare per i più giovani”. (11)

Negli stessi giorni in cui i tecnici del Ministero Affari esteri e dell’UNHCR erano in visita ai campi rifugiati sudanesi, una missione top secret di presunti agenti dei servizi segreti sbarcava nell’aeroporto di Khartoum a bordo di un aereo privato, un TARH-1 Dassault Falcon 900EX. A rivelare l’inquietante vicenda è stato Massimo Alberizzi, corrispondente per decenni del Corriere della Sera in Africa orientale e direttore oggi di Africa ExPress. “La delegazione è arrivata da Roma all’alba di mercoledì 3 agosto; in aeroporto le 12 persone appena sbarcate, tutte di nazionalità italiana, sono state ricevute dal tenente colonnello Abdel Rahim Taj El Din uno dei capi del cerimoniale del RSF”, scrive Alberizzi. La missione degli 007 sarebbe stata definita dopo la visita privata a febbraio in Italia del generale Mohamed Hamdan Dagalo. “Il comandante delle RSF ha presentato una lista di richieste comprendenti attrezzature per l’assistenza tecnica e il supporto strategico (cioè istruttori per corsi d’addestramento e armi)”, aggiunge il giornalista. “Il nostro Paese e gli altri partner coinvolti nell’operazione dopo una valutazione accurata, hanno informato Hemetti dell’approvazione delle sue richieste che contemplano anche droni dei quali l’ex janjaweed ha sostenuto di avere bisogno per il controllo delle frontiere e per fermare il flusso migratorio verso l’Europa”. (12)

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Una colonna di automezzi con a bordo miliziani delle Forze di supporto rapido

In un secondo articolo pubblicato il 26 agosto 2022, Massimo Alberizzi ha fornito ulteriori particolari sull’operazione militare clandestina. “Nel Paese africano già da oltre un anno, si alterna una squadra di 12 militari italiani il cui compito è di istruire gli ex janjaweed che ora si sono riciclati nel Rapid Support Forces”, ha spiegato il giornalista. “Il 12 gennaio Hemmetti e il suo braccio destro, Muhammad Abdul Halim, hanno ricevuto per due volte un’altra delegazione italiana, guidata da un dirigente del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), agenzia che dipende dalla Presidenza del Consiglio, con quattro uomini fidatissimi e una donna apparentemente rappresentante di una ONG, giunti a Karthum per pianificare l’addestramento”. All’incontro era presente pure il generale Ahmed Ibrahim Ali Mofadaal, capo dell’intelligence sudanese. “Ali Mofadaal è un pericoloso islamista che era uno dei dirigenti della dittatura di Omar Al Bashir”, annota Alberizzi. “E’ considerato il diretto responsabile della feroce repressione delle manifestazioni di piazza che si susseguono perché sia sciolto il governo militare (…) Durante l’incontro è stato confermato l’impegno italiano ad addestrare i janjaweed, ufficialmente per bloccare i migranti che tentano di raggiungere il Mediterraneo e quindi l’Europa attraverso il Sudan e la Libia passando dall’oasi di Kufra”. (13)

Né il ministero della Difesa né quello degli Esteri hanno inteso commentare l’accurata e dettagliata narrazione del direttore di Africa ExPress. L’intera vicenda è stata portata in discussione al Senato dal senatore Alberto Airola del Movimento 5 Stelle nella seduta del 6 settembre 2022. Nel corso del suo intervento il parlamentare ha anche ipotizzato che per le attività addestrative delle forze speciali del generale Hemmetti sarebbe stata utilizzata una parte del fondo per gli “aiuti umanitari” a favore del Sudan del valore di 46 milioni di euro, fondo deliberato dall’Unione europea nel 2017. (14) Anche in questo caso il governo italiano ha ritenuto di non dover fornire alcun chiarimento sull’affaire.

E dall’agosto 2022 andiamo ai giorni nostri. Mentre a Khartoum crescevano i rumori su un possibile scontro armato tra il numero uno e il numero due del governo militare di “transizione”, il 6 aprile scorso l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Marco Minniti (poi ministro dell’Interno dal dicembre 2016 al giugno 2018) firmava in qualità di presidente della Fondazione Med-Or del gruppo industriale-militare Leonardo SpA un Memorandum of Understanding con l’ambasciatore del Sudan in Italia, Sayed Altayeb Ahmed. “L’Intesa con la Repubblica del Sudan punta alla collaborazione nel campo della cultura”, spiega Med-Or Leonardo. “In linea con le attività già intraprese dalla Fondazione con altri paesi africani si stabilisce un mutuo impegno per il sostegno all’educazione, alla formazione professionale e, soprattutto, alla promozione della lingua italiana in Sudan”. L’accordo prevede in particolare l’erogazione di borse di studio e la partecipazione a corsi di alta formazione accademica e professionale per giovani studenti del Sudan presso università italiane, oltre alla realizzazione di progetti di ricerca congiunti tra Med-Or e alcuni think tank sudanesi. (15) Italiani, sempre e solo, brava gente… Pagine Esteri

Note:

1 farodiroma.it/sudan-scatta-il-…

2 https://www.africa-express.info/2022/09/08/italia-addestra-i-tagliagole-janjaweed-ma-il-parlamento-non-lo-sa-le-rivelazioni-di-africa-express-approdano-in-senato/

3 rsf.gov.sd/en/news/2358/Dagalo…

4 stranieriinitalia.it/attualita…

5 esteri.it/it/sala_stampa/archi…

6 https://www.esteri.it/it/sala_stampa/archivionotizie/retediplomatica/2020/03/visita-della-vice-ministra-del-re-in-sudan_0/

7 esteri.it/it/sala_stampa/archi…

8 esteri.it/it/sala_stampa/archi…

9 esteri.it/it/sala_stampa/archi…

10 esteri.it/it/sala_stampa/archi…

11 esteri.it/it/sala_stampa/archi…

12 africa-express.info/2022/08/13…

13 africa-express.info/2022/08/26…

14 senato.it/japp/bgt/showdoc/18/…

15 med-or.org/news/fondazione-med…

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PRIVACY DAILY 94/2023


La Guardia Civil fa marcia indietro sulla banca dati Toletum, mentre l’Autorità garante spagnola apre un fascicolo sul caso. “La questione ‘Toletum’ è nelle mani dell’Agenzia per la protezione dei dati e del dipartimento di protezione dei dati della Guardia Civil”. Questa è la laconica risposta del Comando della Guardia Civil di Toledo alla stampa.... Continue reading →


L'intenso e violento scontro militare tra i generali del Comitato di sicurezza e le loro forze sta esponendo le masse del nostro popolo al pericolo e all'incosc




  Sergio Dalmasso  Giovedì 14 aprile: dodicesima giornata di mobilitazione sindacale contro i provvedimenti del governo Borne (presidenza Macron) c


Attentato contro Kishida, il Giappone si sente nel mirino


Attentato contro Kishida, il Giappone si sente nel mirino 6584782
Nove mesi dopo l'omicidio di Shinzo Abe nuovo episodio. A Wakayama un 24enne, arrestato dalla polizia, tira un ordigno esplosivo a un comizio elettorale. Il premier ne esce illeso, mentre parte la riunione del ministro degli Esteri del G7

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La Germania esce definitivamente dal nucleare con la chiusura delle ultime tre centrali. Finalmente un altro grande paese industrializzato, anzi la locomotiva d


Dal nuovo numero della rivista CRITICA MARXISTA vi proponiamo l'editoriale di apertura di Aldo Tortorella. Ripubblichiamo in questo numero gli articoli sul fas

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Il primo ministro italiano Giorgia Meloni è tornata soddisfatta dal viaggio nel Corno D'Africa che l'ha portata ad incontrare le autorità di Etiopia e Somalia


Caso uranio impoverito, il punto del generale Tricarico


Una conversazione “franca e sincera” – come si suole dire quando ci si confronta senza risparmio di colpi – con un giornalista che si occupa di uranio impoverito mi ha convinto che sull’argomento non si possono spegnere i riflettori, pena che si radichi c

Una conversazione “franca e sincera” – come si suole dire quando ci si confronta senza risparmio di colpi – con un giornalista che si occupa di uranio impoverito mi ha convinto che sull’argomento non si possono spegnere i riflettori, pena che si radichi come verità, nel sentire comune, quella di un’informazione allarmistica, ma scientificamente e storicamente poco rigorosa nel denunciare l’esistenza di un pericolo sostanzialmente inesistente per i militari italiani impiegati nelle missioni all’estero.

La prima motivazione addotta dal mio interlocutore per sostanziare le sue convinzioni è che sull’argomento esiste ormai una “giurisprudenza radicata e consolidata”. Peccato che una semplice verifica gli avrebbe invece consentito di appurare l’esatto contrario. La giustizia sull’argomento si è letteralmente spaccata in due; su oltre cento contenziosi ad oggi andati a giudizio, oltre la metà ha visto soccombere i ricorrenti ed esonerare l’amministrazione da qualunque responsabilità per l’insorgere di patologie tumorali attribuibili all’uranio impoverito.

Inoltre, ci sono oltre un centinaio di altre istanze pendenti in attesa di sentenza presso Tar, corti d’appello, Cassazione, tribunali civili e Consiglio di Stato. A completare il quadro del contenzioso, si registrano oltre trecento istanze stragiudiziali in corso di definizione. Se a tutto ciò si aggiungono le richieste di riconoscimento delle patologie come dipendenti da causa di servizio avanzate all’amministrazione della Difesa, le cifre lievitano a dismisura raggiungendo l’ordine delle migliaia.

Una situazione francamente meritevole di maggior attenzione da parte di chi detiene i poteri di controllo, segnatamente della Corte dei conti, per una verifica approfondita che non si stia sostanziando uno smisurato danno erariale, un fiume di denaro pubblico esborsato dallo Stato a seguito di sentenze non confortate da verità solide e condivise dal mondo della scienza, quella indipendente ed autorevole.

Sembra quasi una replica di quanto avvenuto per la tragedia di Ustica del 1980, quando il DC9 Itavia precipitò a causa di una bomba a bordo ed i giudici dei tribunali civili condannarono lo Stato italiano a risarcire con diverse centinaia di milioni di euro gli aventi titolo per un fatto mai avvenuto, un missile inesistente sparato contro il velivolo civile.

Tornando all’uranio impoverito, l’unico assunto certo e verificabile è che nessuno studio condotto da istituti prestigiosi e indipendenti e commissionato da istituzioni nazionali e sovranazionali ha mai appurato il nesso di causalità tra esposizione a particolati di uranio impoverito e l’insorgenza di tumori. Anzi, quegli stessi studi hanno ritenuto trascurabile la pericolosità del particolare agente, fissandone una soglia di rischio solo in casi estremi – peraltro altamente improbabili – quali la sopravvivenza in ambienti chiusi colpiti da proiettili di uranio impoverito (gli spazi interni di un veicolo corazzato) o per il personale addetto alla pulizia degli stessi mezzi. In tali casi si è stimato che la probabilità di contrarre un tumore sia il doppio rispetto ad una condizione di normalità.

Se poi si dovesse dar risposta alle legittime perplessità di chi cerca una ragione per la pur rilevante quantità di sentenze favorevoli agli istanti, le motivazioni adducibili sarebbero molteplici, di natura non scientifica, tutte verosimili ma opinabili e che con tale riserva debbono essere prese.

Innanzitutto, potrebbe aver avuto un ruolo non da poco la comprensibile e giustificata indulgenza con cui sia l’amministrazione sia la giustizia hanno accolto le istanze di soggetti affetti da gravi patologie. Di norma tale atteggiamento comprensivo e remissivo è quello che di norma viene usato in risposta a istanti affetti da infermità invalidanti.

Più di un tribunale inoltre non ha tenuto rigoroso conto del parere degli stessi tecnici di ufficio, altre volte invece il pregresso riconoscimento della patologia da parte dell’amministrazione ha costituito per il giudice un precedente significativo per l’accoglimento dell’istanza.

Uguali clemenza e comprensione potrebbero aver guidato l’amministrazione nel predisporre la difesa nei processi per i quali non è dato sapere quanto l’Avvocatura dello Stato sia stata istruita in termini di perentorietà e determinazione con cui affrontare l’accusa.

L’inversione dell’onere della prova infine potrebbe essere stato l’ultimo fattore non secondario che ha agevolato la formazione di sentenze risarcitorie sfavorevoli alla Difesa.

In definitiva, l’auspicio è quello che non sia troppo tardi per una inversione di tendenza nel ristabilimento di una informazione corretta, magari con qualche giornalista che disegni un responsabile e complessivo punto di situazione da cui ripartire, avuto anche riguardo alle non marginali ricadute economiche per le martoriate risorse pubbliche.


formiche.net/2023/04/caso-uran…



Cesare Viel


Cesare Viel immagina forme di soggettività altre che interpretano l’arte come momento di scambio emozionale e di relazione con la collettività.

iyezine.com/cesareviel

informapirata ⁂ reshared this.



"Abbiamo accettato l'invito del PCC perchè riteniamo che vada contrastata la logica della nuova guerra fredda che gli Stati Uniti stanno promuovendo contro la


VIDEO. Golpe in corso in Sudan, è scontro tra autori colpo di stato del 2021


Protagoniste le Forze di supporto rapido (Rsf), la formazione paramilitare controllata Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo entrato in conflitto con il generale Al Burhan. Entrambi il 25 ottobre 2021 avevano preso il potere rovesciando il governo democratico ci

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 15 aprile 2023 – Resta fluida la situazione in Sudan dove è in corso un tentativo, non è chiaro se destinato al successo, di golpe da parte delle Forze di supporto rapido (Rsf), la formazione paramilitare controllata Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo, contro il capo della giunta militare Abdel Fattah al Burhan. Entrambi erano stati autori il 25 ottobre 2021 del un colpo di stato che ha interrotto la transizione del Sudan verso la democrazia cominciata dopo la rimozione dal potere, dopo trent’anni, di Omar Al Bashir nel 2019. Contro questo golpe hanno manifestato e protestato con forza i sudanesi: la repressione dei militari golpisti ha fatto centinaia di morti e feriti.

Le Rsf ha fatto sapere di aver preso il controllo del Palazzo presidenziale infliggendo pesanti perdite all’esercito regolare e di essere vicine ad occupare l’aeroporto di Khartoum. Fonti dell’esercito però smentiscono. La tensione tra l’esercito, gli ordini di Al Burhan, e i paramilitari delle Rsf era molto alta da diversi giorni. Poi questa mattina ha avuto inizio una offensiva delle forze regolari contro la base di Soba, a sud di Khartum, nella mani delle Rsf da alcuni giorni. Gli scontri si sono poi allargati ad altre basi militari nel Paese e anche al centro di Khartum, in particolare nella zona del palazzo presidenziale.

Da mesi si negoziava il ritorno del governo nelle mani dei civili senza però un risultato definitivo. Un punto critico è l’integrazione nell’esercito delle Rsf formate anche da ex membri delle milizie janjaweed – accusate di crimini nel Darfur – e che sarebbero sostenute dalla Russia e dall’organizzazione mercenaria Wagner. Pagine Esteri

GUARDA IL VIDEO

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PRIVACY DAILY 93/2023


Negli Stati Uniti, il panorama legislativo relativo alla privacy dei minori sta diventando sempre più protettivo. La recente tendenza mira a regolamentare l’uso dei social media da parte dei minori e a fornire ai genitori un maggiore controllo sulle attività dei loro figli sui social media. Questa ondata legislativa si sta sviluppando parallelamente alle preoccupazioni... Continue reading →


Sistemi di difesa dalla Cina a Prigozhin. Gli Usa sanzionano un’azienda cinese


Il governo statunitense ha imposto nuove sanzioni contro la Russia, e non solo, per l’invasione dell’Ucraina iniziativa il 24 febbraio dell’anno scorso. Nel mirino del dipartimento di Stato e del dipartimento del Tesoro sono finite oltre 120 aziende e ind

Il governo statunitense ha imposto nuove sanzioni contro la Russia, e non solo, per l’invasione dell’Ucraina iniziativa il 24 febbraio dell’anno scorso. Nel mirino del dipartimento di Stato e del dipartimento del Tesoro sono finite oltre 120 aziende e individui in più di 20 Paesi. “Gli effetti delle nostre sanzioni coordinate a livello globale hanno costretto la Federazione Russa a cercare vie alternative per finanziare e alimentare la sua macchina da guerra”, si legge in una nota. “In coordinamento con il Regno Unito, stiamo prendendo di mira la rete di evasione delle sanzioni che sostiene uno dei più ricchi miliardari russi, Alisher Usmanov, sanzionato dagli Stati Uniti lo scorso anno”.

DA PECHINO A WAGNER

Sanzionata anche un’azienda cinese che, spiega Washington, ha fornito immagini satellitari a entità affiliate al gruppo russo di mercenari Wagner fondato da Evgenij Prigožin. Si tratta di King-Pai Technology HK Co., Limited (King-Pai). Già sulla lista nera statunitense da giugno, la società fornisce secondo Washington “sistemi di guida per missili da crociera”, recita un comunicato del Tesoro.

COLPITA ANCHE ROSATOM

Nel mirino sono finite anche persone legate a Rosatom, società statale russa per l’energia atomica. “La Russia utilizza le esportazioni di energia, anche nel settore nucleare, per esercitare pressioni politiche ed economiche sui suoi clienti a livello globale”, si legge nella nota del dipartimento di Stato.


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Caccia del futuro. Il finanziamento di Londra che accelera sul Gcap


Oltre seicento milioni di sterline per il programma del caccia di sesta generazione Gcap. È il finanziamento assegnato alla BAE Systems dal governo britannico per la prossima fase del progetto che vede Londra collaborare con Roma e Tokyo per la realizzazi

Oltre seicento milioni di sterline per il programma del caccia di sesta generazione Gcap. È il finanziamento assegnato alla BAE Systems dal governo britannico per la prossima fase del progetto che vede Londra collaborare con Roma e Tokyo per la realizzazione del velivolo da combattimento del futuro destinato a sostituire i circa novanta caccia F-2 giapponesi e gli oltre duecento Eurofighter di Gran Bretagna e Italia. Secondo il ministero della Difesa britannico, il contratto si concentrerà sullo sviluppo della tecnologia per il jet, aggiungendo che l’investimento fa parte dei due miliardi di sterline stanziati fino al 2025 già impegnati da Westminster prima della collaborazione con Giappone e Italia.

Il finanziamento

Parte dei 656 milioni di sterline aggiudicati da BAE Systems (circa ottocento milioni di euro) andranno a coprire anche il lavoro svolto dai partner britannici del progetto, alcuni dei quali hanno forti legami anche con l’Italia. Oltre a Rolls-Royce Uk, che sta lavorando al motore, partner del progetto sono Leonardo Uk e, per la componente missilistica, Mbda Uk. “La prossima tranche di finanziamenti per il futuro aereo da combattimento – ha commentato il ministro della Difesa britannico Ben Wallace – aiuterà a fondere le tecnologie e le competenze combinate che abbiamo con i nostri partner internazionali – sia in Europa che nel Pacifico – per consegnare questo caccia leader mondiale entro il 2035″.

Il Gcap

Il progetto del Global combat air programme prevede lo sviluppo di un sistema di combattimento aereo integrato, nel quale la piattaforma principale, l’aereo più propriamente inteso, provvisto di pilota umano, è al centro di una rete di velivoli a pilotaggio remoto con ruoli e compiti diversi, dalla ricognizione, al sostegno al combattimento, controllati dal nodo centrale e inseriti in un ecosistema capace di moltiplicare l’efficacia del sistema stesso. L’intero pacchetto capacitivo è poi inserito all’intero nella dimensione all-domain, in grado cioè di comunicare efficacemente e in tempo reale con gli altri dispositivi militari di terra, mare, aria, spazio e cyber. Questa integrazione consentirà al Tempest di essere fin dalla sua concezione progettato per coordinarsi con tutti gli altri assetti militari schierabili, consentendo ai decisori di possedere un’immagine completa e costantemente aggiornata dell’area di operazioni, con un effetto moltiplicatore delle capacità di analisi dello scenario e sulle opzioni decisionali in risposta al mutare degli eventi.

Il programma congiunto

L’avvio del programma risale a dicembre del 2022, quando i governi di Roma, Londra e Tokyo hanno concordato di sviluppare insieme una piattaforma di combattimento aerea di nuova generazione entro il 2035. Nella nota comune, i capi del governo dei tre Paesi sottolinearono in particolare il rispettivo impegno a sostenere l’ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole, a difesa della democrazia, per cui è necessario istituire “forti partenariati di difesa e di sicurezza, sostenuti e rafforzati da una capacità di deterrenza credibile”. Grazie al progetto, Roma, Londra e Tokyo puntano ad accelerare le proprie capacità militari avanzate e il vantaggio tecnologico.

L’acceleratore italiano

Il finanziamento britannico segue di pochi giorni l’iniziativa del ministero della Difesa italiano di lanciare la Gcap acceleration initiative per accelerare lo sviluppo di tecnologie relative al Global combat air programme. Destinato a aziende e centri di ricerca, lo scopo dell’iniziative è raccogliere le migliori proposte volte per la piattaforma Gcap per lavorare insieme a soluzioni innovative che possano essere applicate nel processo di maturazione tecnologica.


formiche.net/2023/04/caccia-fu…



Lula a Pechino: «Cambiare la governance globale»


Lula a Pechino: «Cambiare la governance globale» 6569764
L'INCONTRO DI XI E IL PRESIDENTE BRASILIANO. Pochi risultati sull’Ucraina, molti sul fronte commerciale e della «dedollarizzazione» del mondo

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Premio “Stefano Chiarini” assegnato a Francesca Albanese


Oggi a Modena la consegna del riconoscimento alla Relatrice speciale dell'Onu per i Diritti Umani nei Territori palestinesi occupati L'articolo Premio “Stefano Chiarini” assegnato a Francesca Albanese proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2

Pagine Esteri, 15 aprile 2023 – Il Premio Internazionale Stefano Chiarini, alla memoria del giornalista del manifesto scomparso nel 2007, sarà assegnato oggi alla giurista Francesca Albanese, Relatrice Speciale dell’Onu per i Diritti Umani nei Territori palestinesi occupati. La cerimonia si svolgerà nel Municipio di Modena alle ore 10.30.

La giuria del premio – quest’anno dedicato agli «Invisibili – I Palestinesi in Libano» – riconosce «l’impegno e la professionalità dimostrata da Albanese nello svolgere l’importante lavoro di ricerca ed accertamento del mancato rispetto dei diritti umani nei territori occupati di Palestina». La sua relazione, prosegue la giuria, «Situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupato dal 1967» trasmessa all’Assemblea Generale dell’ONU, ha consentito di ribadire quanto enunciato dall’art.1 – 4° comma del Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra che riconosce il diritto alla ribellione ai popoli che «lottano contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro i regimi razzisti, nell’esercizio del diritto dei popoli all’autodeterminazione».

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Il programma proseguirà nel pomeriggio sempre a Modena presso «La Tenda» dove sarà assegnato allo studioso e ricercatore Gabriel Traetta il premio dedicato a Maurizio Musolino, giornalista e co-fondatore dell’associazione «Per non dimenticare Sabra e Chatila». Gabriel Traetta è autore del volume «Apartheid in Palestina – Origini e prospettive della questione palestinese». Sono previsti inoltre interventi di Wasim Dahmash docente all’Università degli Studi di Cagliari; di Bassam Saleh, presidente dell’associazione «Amici dei prigionieri palestinesi» e di Eliana Riva, storica e giornalista, regista del documentario «Il Cielo di Sabra e Chatila» prodotto da Pagine Esteri che sarà presentato in apertura del programma.

Il film, girato 40 anni dopo il massacro del settembre 1982 nei campi profughi palestinesi a Beirut, compiuto dalle milizie falangiste con la copertura dell’esercito israeliano, è un incontro con i sopravvissuti e i rifugiati di varie generazioni per raccontarne le condizioni di vita in Libano, le aspirazioni e il desiderio di tornare nella terra di origine. Pagine Esteri

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Vittorio Arrigoni. Egidia Beretta: “Il Restiamo umani” di Vik necessario più che mai


Per l'anniversario dell'uccisione di Vittorio Arrigoni, la madre, Egidia Beretta, ci ha inviato un video messaggio per ribadire il monito che Vik lanciava da Gaza contro la guerra e ricordare il suo impegno per i diritti dei palestinesi L'articolo Vittor


Pentagon Papers


Un giovane militare ha diffuso su Discord documenti top secret riguardanti la guerra in Ucraina e le attività di spionaggio degli Stati Uniti.

In queste ore la diffusione non autorizzata di documenti top-secret del Pentagono sta facendo girare la testa al governo degli Stati Uniti. I documenti riguardano principalmente la guerra in Ucraina e le attività di spionaggio del governo statunitense.

I giornalisti della NBC riportano che i documenti sono comparsi in una “oscura parte di Internet incentrata sul gaming”. In realtà non c’è nulla di oscuro nelle modalità di diffusione dei documenti, che sono stati condivisi fin da gennaio 2023 in una chat di Discord chiamata “Thug Shaker Central”.

Due volte a settimana, prima e dopo i pasti: Privacy Chronicles

Come saprete, Discord è una delle piattaforme più famose al mondo per il gaming e in generale come canale di comunicazione di massa. Ad esempio, è tramite Discord che si può accedere a uno dei più famosi tool di IA per la generazione di immagini: Midjourney. Insomma, non è certo un antro oscuro per hacker col cappuccio.

E in effetti, anche la persona che sembrerebbe responsabile della diffusione di questi dati non è un hacker col cappuccio, ma un giovane militare della US Air Force che lavorava come specialista del Cyber Transport Systems1, chiamato Jack Teixeira. Sembra che il caro Jack nel tempo libero si divertisse a shitpostare su Discord insieme agli amici, e che negli scorsi mesi abbia deciso di condividere con loro le fotografie di diversi documenti top-secret.

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Quando i documenti sono poi arrivati anche su 4chan, su alcuni canali Telegram e su Twitter, il governo degli Stati Uniti ha capito che c’era qualcosa che non andava.

I giornali mainstream non riportano il contenuto di questo leak, ma non è difficile risalire a qualche informazione più di dettaglio scavando un pochino online. Tra i contenuti principali sembrano esserci informazioni in merito a:

  • le attività di spionaggio degli Stati Uniti su Zelensky
  • la volontà degli Emirati Arabi di lavorare con la Russia per contrastare i servizi di intelligence americani e inglesi
  • il piano dell’Egitto di fornire munizioni e armi alla Russia; i
  • il network di operativi della CIA presenti in Ucraina
  • le attività di spionaggio degli Stati Uniti sulla Corea del Sud.

Alcuni documenti sembrerebbero anche dimostrare che degli agenti Ucraini abbiano attaccato obiettivi militari in territorio russo. Questi ultimi in particolare potrebbero portare anche a un’escalation del conflitto tra Russia e Ucraina (Stati Uniti).

Non è chiaro se Jack Teixeira sia davvero un simpatico nerd con la passione per la diffusione di documenti top secret. La storia in effetti ha dell’assurdo. Come faceva una recluta 21enne ad avere accesso a documenti di quel tipo? E che senso aveva pubblicarli in quel modo? A pensar male si potrebbero immaginare diversi scenari, ma a noi non piace pensar male. In ogni caso, ieri Jack è stato arrestato in Massachusetts e potrebbe rischiare fino a 10 anni di carcere.

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Certe volte conviene guardare il dito


Il governo degli Stati Uniti ha da poco iniziato una campagna politica e mediatica contro TikTok, punta di diamante dello spionaggio cinese. Una campagna così forte che ha portato in brevissimo tempo a pensare e proporre la legge chiamata RESTRICT ACT di cui abbiamo parlato la settimana scorsa. La legge conferisce poteri illimitati al governo di sospendere e vietare praticamente qualsiasi servizio e azienda in qualche modo collegata con Cina e Russia. Una sorta di Maccartismo 2.0.

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Ma mentre i più alti burocrati americani erano impegnati a guardare la luna, millantando di spionaggi hi-tech da parte dei loro acerrimi nemici, in casa loro c’era un ragazzino appena uscito dall’accademia impegnato nel più grave leak di documenti top secret degli ultimi 10 anni, dopo quello fatto molto più scaltramente da Edward Snowden.

Se una cosa è certa, è che gli ottogenari nelle stanze dei bottoni non comprendono la natura dell’era dell’informazione e non sono chiaramente in grado di gestire la fludità delle informazioni digitali.

Eric Hughes, fondatore dei Cypherpunk e autore dell’omonimo manifesto, lo diceva nel 1992: Information does not just want to be free, it longs to be free. Information expands to fill the available storage space. Information is Rumor's younger, stronger cousin; Information is fleeter of foot, has more eyes, knows more, and understands less than Rumor.

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Non tutto il male vien per nuocere


Nel frattempo, Jack Teixeira è stato arrestato e gli alti burocrati ottogenari si sono attivati per correre ai ripari. Da una parte c’è chi ci dice che il problema è proprio da ricercarsi nella negligenza del governo.

Secondo gli esperti il sistema di gestione dei documenti confidenziali ha almeno due criticità: l’eccessiva sovra-classificazione, risultante in un eccessiva quantità di documenti classificati, e la mancanza di standard precisi per determinare cosa dovrebbe essere classificato o meno. Insomma sembra che al Pentagono sia un gran casino.

Dall’altra parte c’è invece chi vorrebbe sfruttare l’occasione per puntare il dito contro le piattaforme online e i canali di comunicazione “privati” che sono difficili da controllare e quindi rendono difficile prevenire diffusioni non autorizzate di questo tipo. La macchina della propaganda in questo senso sembra essere già stata avviata per convincere il pubblico che il problema — come al solito — è l’eccessiva libertà di comunicazione:

The U.S. government may not have been looking there, but cybersecurity experts have long known that Discord has been used by criminals and hackers to spread malware and stealthily transfer stolen information.

“The Discord domain helps attackers disguise the exfiltration of data by making it look like any other traffic coming across the network,” said a 2021 report by Cisco’s Talos cybersecurity team.

The intelligence community is now grappling with how it can scrub platforms like Discord in search of relevant material to avoid a similar leak in the future, said the congressional official.2


Insomma, se prima il problema era TikTok (in quanto cinese), ora il problema è anche Discord e ogni singola piattaforma privata che possa essere usata come strumento per diffondere informazioni senza autorizzazione.

Cosa possiamo aspettarci nel prossimo futuro? Certamente i fatti di questi giorni potranno facilitare la proliferazione di proposte di legge per sorvegliare attivamente i canali social e le piattaforme di comunicazione. D’altronde, se possono farlo per contrastare la pedofilia, perché non proporre lo stesso anche per proteggere la sicurezza nazionale? Ricordiamo che fino a non troppo tempo fa in Twitter esistevano delle vere e proprie task force e “war room” capitanate dalle agenzie di intelligence con l’unico scopo di gestire proattivamente rischi di questo tipo.

1

Una sorta di divisione ICT che si occupa di gestire l’infrastruttura necessaria per far funzionare il network di comunicazione della US Air Force.

2

nbcnews.com/politics/national-…



“Per me Vik ha significato…”. Il ricordo di chi ha conosciuto e vissuto Vittorio Arrigoni


Pagine Esteri ricorda il ruolo e la figura di Vittorio Arrigoni riproponendo il podcast con le voci delle persone che avevano accompagnato l'attivista, scrittore e blogger italiano, assassinato a Gaza nell'aprile 2011, nella sua vita e nel suo impegno a s

della redazione

Pagine Esteri, 15 aprile 2023 – Il podcast contiene nell’ordine le testimonianze di Maria Elena Delia, attivista e compagna di impegno e di vita di Vittorio Arrigoni; Anna Maria Selini, giornalista e autrice del libro “Vittorio Arrigoni, ritratto di un utopista”; Meri Calvelli, cooperante e direttrice del Centro scambi culturali “Vittorio Arrigoni” di Gaza city; Samuele Sciarrillo, podcaster e autore di “Le Ali di Vik”.
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Kimia Zan aveva 26 anni, le hanno sparato in faccia


Si chiama Kimia Zand, ha 26 anni, è una delle migliaia di ragazze coraggiose ad essere scesa in strada per protestare contro il brutale assassinio della ragazza di 22 anni, curda-iraniana, Jîna Emînî, conosciuta con il nome persiano di Mahsa Amini. Le mil

Si chiama Kimia Zand, ha 26 anni, è una delle migliaia di ragazze coraggiose ad essere scesa in strada per protestare contro il brutale assassinio della ragazza di 22 anni, curda-iraniana, Jîna Emînî, conosciuta con il nome persiano di Mahsa Amini. Le milizie dei volontari paramilitari dei Guardiani della rivoluzione islamica, denominate “basij”, le hanno sparato in faccia, accecandole un occhio.

Kimia ha scritto su Instagram: “Non ci siamo prestate ad essere per loro donne esemplari osservanti della cosiddetta moralità islamica. Siamo invece diventate un modello della persistente resistenza al regime iraniano”. Ormai è ampiamente documentato che la Repubblica islamica prende di mira, sistematicamente, gli occhi dei manifestanti. Iran Human Rights, Amnesty international, l’associazione curda per i diritti umani, Hengaw, e tante altre organizzazioni non governative, nei loro report affermano che durante le proteste che hanno avuto luogo dopo la morte di Mahsa Amini, uccisa dalla cosiddetta polizia morale perché non indossava correttamente il velo, un gran numero di manifestanti è stato colpito volontariamente al volto perdendo la vista a uno o a entrambi gli occhi.

I medici affermano che, ad oggi, almeno 580 manifestanti hanno subito gravi lesioni agli occhi solo a Tehran e nel Kurdistan iraniano. Lo scorso dicembre 400 oftalmologi avevano sottoscritto una lettera di protesta, dove descrivevano anche le ferite che erano stati costretti a curare. Recentemente il Guardian aveva pubblicato una radiografia del cranio, ridotto a un colabrodo, di un giovane rimasto cieco dopo essere stato colpito da 18 pallini di colpi di fucili “a pompa” caricati a pallettoni o da pistole da paintball durante le rivolte scoppiate in tutto il paese. Che si tratti di una strategia prestabilita per seminare il terrore tra i dimostranti, appare del tutto evidente per i medici e le organizzazioni umanitarie. Tra le vittime di questa “politica di accecamento”, molte sono giovani donne.

Iran Human Rights (IHR) invita i cittadini in Iran a inviare qualsiasi informazione su chiunque abbia perso la vista per mano delle forze di sicurezza per aiutare a documentare con prove tale orribile pratica affinché i responsabili possano essere chiamati a renderne conto.

Il direttore di IHR, Mahmood Amiry-Moghaddam, ha recentemente dichiarato: “Esporre l’entità dei crimini e documentare le prove sono passi cruciali verso la giustizia che richiede la cooperazione di tutti i cittadini. Il leader della Repubblica islamica, Ali Khamenei, e le forze repressive sotto il suo comando devono sapere che dovranno rispondere di tutti i loro crimini commessi”.

Il New York Times ha pubblicato un rapporto di medici di tre ospedali di Tehran, rispettivamente il Farabi, il Rasoul Akram e il Labafinejad, che hanno curato più di 500 manifestanti con ferite agli occhi. Nella provincia del Kurdistan, sono state curate dai medici almeno 80 persone con analoghe lesioni agli occhi. Nel frattempo, il capo della polizia Hassan Karami ha negato che i manifestanti siano stati presi di mira in parti sensibili del loro corpo, descrivendo le loro azioni di repressione come del tutto “professionali”.

In Iran, ora che in queste ultime settimane è diminuita l’intensità delle proteste di piazza, il regime islamico ha intensificato la repressione nei confronti delle donne, degli studenti e dei giovani curdi e beluci.

Il piano delle autorità iraniane si può riassumere in questa locuzione: “hijab e castità”. La politica repressiva adottata dalla Repubblica islamica ripropone il dualismo dogmatico della sharia: “I cattivi, senza hijab” in contrapposizone con “i buoni, con l’hijab”.

Il presidente del Consiglio islamico, Mohammad Baqer Ghalibaf, ha teorizzato una legge più severa sul codice di abbigliamento rendendo ancora più rigida l’apartheid di genere. L’obiettivo del regime è quello di tenere separate le donne che violano la regola dell’hijab da quelle osservanti. Secondo il nuovo ordinamento introdotto le donne vengono distinte in “positive” (cioè quelle che indossano l’hjiab) e in “negative” quelle che infrangono la norma.

Ghalibaf non ha esplicitato i criteri per valutare queste due categorie di donne; egli sostiene che dovrebbe essere adottato un “approccio positivo” con le donne che sono “accondiscendenti all’uso dell’hijab” e che dovrebbe essere adottato un “approccio negativo” nei confronti delle “donne che infrangono la norma”. Infrangere la norma vuol dire non indossare correttamente l’hijab che dovrebbe coprire interamente la testa e il collo, lasciando scoperti solo gli occhi, il naso e la bocca.

“Una donna con un velo che lascia scoperta parte del capo – sostiene Ghalibaf – è una persona immorale che trasgredisce la regola, che inquina l’ambiente morale e sociale della comunità e che promuove la corruzione sulla terra”.

Il presidente del Consiglio islamico raccomanda di adottare tali restrizioni con urgenza in vista della stagione estiva, altrimenti “si rischia di perdere il controllo sull’imposizione dell’obbligo dell’hijab”.

Dall’inizio della rivoluzione per la liberazione dell’Iran dalla Repubblica islamica, scoppiata il 16 settembre 2022 dopo l’uccisione di Mahsa, un gran numero di donne si rifiuta di indossare l’hijab in pubblico.

Intanto Hossein Jalali, segretario della Commissione culturale dell’assemblea legislativa iraniana, ha annunciato che il piano Ghalibaf chiamato “Castità, hijab e vita casta” ha ricevuto il via libera da parte della Magistratura, delle forze di polizia, del Ministero dell’Interno, della Sicurezza nazionale, del Consiglio per la cultura pubblica e del Consiglio islamico.

Il progetto di legge prevede che sia obbligatorio osservare il rigido codice di abbigliamento nelle automobili, nei treni, negli aerei, nelle metropolitane, nei centri educativi, nelle istituzioni, all’aperto, per le strade, nei parchi di divertimento, negli spazi virtuali, nei centri sportivi, durante le competizioni sportive, nei teatri, nelle fiere, nelle mostre, in tutti gli uffici pubblici e privati inclusi quelli delle organizzazioni non governative.

Secondo questa legge, le donne che non osservano correttamente il codice “hijab e castità” riceveranno un SMS di avviso nel primo richiamo, dopo il secondo richiamo saranno multate e dopo il terzo la multa sarà più pesante e saranno private di ogni servizio sociale con il blocco dei loro conti in banca. La multa per il mancato rispetto dell’hijab obbligatorio ammonta a 3 miliardi di toman.

Inoltre i Ministeri dell’Istruzione e della Scienza hanno annunciato in dichiarazioni separate che le studentesse che non rispettano le “norme e i regolamenti del codice di abbigliamento”, saranno private dei servizi educativi.

Sono già stati chiusi centinaia di uffici di sindacati in diverse regioni dell’Iran dove le donne hanno violato la legge su “castità e hijab”.

Nonostante tutte queste restrizioni, durante le festività del Nowruz (Capodanno iranico) appena trascorso e col Ramadan ancora in corso, giovani donne delle più svariate province dell’Iran hanno messo in atto numerose azioni di disobbedienza civile pubblicando, sui social, loro foto e video a capo scoperto nei luoghi pubblici e turistici, nonché mentre danzavano e cantavano.

“Malvagio Khamenei, ti abbatteremo”, “Abbasso i pasdaran; abbasso i basij”, gridano donne, uomini e bambini delle province del centro e di quelle più remote del paese. Dalla periferia al centro, a mani nude, uniti in una inedita sintonia. Questa è una delle caratteristiche più rivoluzionarie della ribellione dei giovani iraniani.

La Repubblica islamica non può sopportare che improvvisamente le donne sfoggino le loro ciocche al vento. Dopo oltre sei mesi di una coraggiosa lotta a mani nude, al prezzo della vita, ora con la disobbedienza civile e con gesti gioiosi, ironici e densi di simbolismo, le donne per le strade, sui mezzi pubblici, nei parchi, nelle scuole e nei campus universitari, ostentano i loro fluenti capelli, sciolti o a coda di cavallo, legati in crocchia o modellati in bob. “Il velo è solo un simbolo della protesta, dell’oppressione ed è paragonabile al Muro di Berlino”, sono convinte che se lo si abbatte, l’intero sistema della Repubblica islamica crollerà”, è questo il loro grido di libertà al mondo.

L’obbligo del velo è il pilastro più debole su cui si fonda la rigida applicazione delle leggi islamiche che costringono le donne alla segregazione e la polizia morale ha il compito di videosorvegliare l’abbigliamento delle persone e di arrestare coloro che non rispettano il codice prescritto dalle leggi vigenti della sharia.

Il regime teocratico non può rinunciare all’applicazione rigida della norma che segrega le donne confinandole in uno spazio di minorità: considerandole inferiori agli uomini, dunque. Non può sopportare che da oltre sei mesi, per le donne, la questione dell’hijab sia un capitolo chiuso, perché con questa rivoluzione le ragazze hanno di fatto già abolito l’obbligo di indossarlo. Le autorità iraniane non riescono più a far rispettare l’odioso codice di abbigliamento e ricorrono dunque all’inasprimento della legge e al terrorismo. La cosiddetta polizia morale continua a terrorizzare e a tormentare le donne di qualsiasi età, anche le bambine di nove anni.

In queste ore, nelle scuole di Tehran si registrano ancora attacchi chimici.

Nel Liceo femminile “Mahdieh” è stato liberato nelle aule un gas tossico e diverse studentesse si sono sentite male e sono state trasportate in ospedale. Lo stesso è accaduto nel Liceo di Naqadeh. E da circa cinque mesi che sono in atto veri e propri attacchi con avvelenamento da agenti nervini. Oltre 800 le ragazze senza velo di 120 scuole dell’Iran hanno accusato sintomi da avvelenamento respiratorio. Almeno tre adolescenti sono morte. Le famiglie vengono minacciate e ad esse viene intimato il silenzio!

Il movimento giovanile di protesta accusa il regime della Repubblica islamica di volersi vendicare del coraggioso attivismo delle donne che hanno generato un moto di ribellione nonviolenta che sta scardinando le fondamenta ideologiche su cui si basa la teocrazia.

Dietro questi crimini contro l’umanità vi è la mano del regime che avrebbe incaricato gruppi di estremisti religiosi di mettere in atto tali azioni terroristiche nei confronti delle studentesse che si oppongono all’obbligo dell’hijab per escluderle dalle scuole e tenere dunque lontane dall’istruzione pubblica le alunne senza velo che hanno di fatto abbattuto l’apartheid di genere in Iran. Il gruppo estremista di Hamian-e Velayat è l’organizzazione sciita che starebbe dietro queste azioni terroristiche nelle scuole del paese. In passato tale formazione religiosa aveva lanciato attacchi contro i derwishi. Hamian-e Velayat è molto legata al figlio della guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, e ai pasdaran. L’obiettivo della parte più radicale del regime, infatti, sarebbe quello di terrorizzare la popolazione.

Un agente organofosfato viene liberato nelle aule di licei femminili provocando forte sudorazione, eccesso di salivazione, vomito, ipermotilità intestinale, perdita momentanea della vista, difficoltà respiratorie e paralisi, fino all’esito della morte. Tali sintomi si possono presentare anche a distanza di due settimane.

In questi ultimi giorni si sono registrati numerosi arresti di adolescenti che non indossavano l’hijab nei negozi e nei centri commerciali. A Isfahan quaranta negozi sarebbero stati chiusi perché il personale non indossava il velo. A Shandiz, nel nordovest dell’Iran, un agente delle forze volontarie paramilitari “basij” delle Guardie rivoluzionarie in borghese ha aggredito in un negozio di alimentari due donne senza l’hijab, rovesciando loro addosso un secchiello di yogurt.

“Fare il bene e proibire il male”, è il principio filosofico della Repubblica islamica. Il regime ha a lungo promosso la legge sul velo come simbolo del suo successo nell’istituzione della Repubblica islamica. La legge iraniana sull’hijab impone alle donne e alle ragazze di età superiore ai 9 anni di coprirsi i capelli e di nascondere le curve del proprio corpo sotto abiti lunghi e larghi. Nell’agosto del 2021 il presidente Ebrahim Raisi aveva inasprito la legge sull’hijab, imponendo un codice di abbigliamento più rigido e accaniti pedinamenti per farlo rispettare. La polizia morale aveva installato telecamere di videosorveglianza nei pressi di scuole, università e uffici e ad ogni angolo di piazze e strade. Ora le telecamere sono presenti anche nelle aule delle scuole di ogni ordine e grado.

Molte donne aderiscono ancora a questa regola, alcune per scelta e altre per paura. I video del Gran bazar nel centro della capitale Tehran, ad esempio, mostrano che la maggior parte delle donne si coprono i capelli.

Ma i video di parchi, caffè, ristoranti e centri commerciali, luoghi frequentati da donne giovani, mostrano che quasi tutte sono a capo scoperto. Non indossano più l’hijab le celebrità dell’arte, dello spettacolo e le atlete. “L’era dell’hijab forzato è ormai finita in Iran”, gridano le ragazze nelle piazze e nelle strade.

“I foulard torneranno sulle teste delle donne”, è la risposta del deputato Hossein Jalali ai media iraniani.

Ma ora la sfida tra il regime e i giovani è più che mai aperta e il dissenso nella nuova generazione rimane troppo diffuso per essere contenuto e troppo pervasivo perché vi sia un ritorno al rispetto del codice di abbigliamento, affermano le attiviste per i diritti umani.

Le donne con la disobbedienza civile stanno trasformando i loro foulard nell’arma più efficace e più potente contro la dittatura religiosa e gli strati profondi di misoginia e patriarcato della Repubblica islamica.

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I leaks del Pentagono confermano: forze Nato in Ucraina


I leaks del Pentagono trafugati e diffusi alcuni giorni fa confermano la presenza sul campo, in Ucraina, di forze speciali di alcuni paesi della Nato. Superata un'altra linea rossa nello scontro tra Russia e Alleanza Atlantica L'articolo I leaks del Pent

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 14 aprile 2023 – Smentite, mezze ammissioni, infine la conferma: si tratterebbe della più massiccia fuga di notizie riservate degli ultimi anni.
Qualcuno – ieri l’FBI ha arrestato un giovane militare impiegato in una base statunitense in Massachusetts (altra storia è capire se per conto di qualcun altro e a quale scopo) – è effettivamente riuscito a trafugare un centinaio di documenti riservati del Pentagono che includono informazioni e analisi dell’intelligence e dello Stato Maggiore sul conflitto in corso in Ucraina.

Poi, questi leaks sono stati pubblicati su Discord, una piattaforma di comunicazione online dal quale sono stati diffusi su vari siti e social network, a volte con dei tagli ed a volte con delle modifiche. Negli ultimi giorni, dopo esser stati ampiamente controllati per depurarli di eventuali manipolazioni, alcuni sono stati pubblicati da grandi organi di informazione. Si tratta in generale di documenti classificati al massimo livello di riservatezza, alcuni dei quali da non condividere neanche con le intelligence dei paesi alleati.

I file resi pubblici riguardano diverse questioni, da un giudizio pessimistico sulla possibilità per l’esercito ucraino di riconquistare porzioni consistenti dei territori occupati da Mosca ad un’analisi dei dissidi all’interno dell’apparato statale e delle forze armate russe. Inoltre i leaks evidenziano che Washington spia costantemente lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky oltre che molti dei paesi considerati alleati.

Dai file emerge anche che l’intelligence statunitense prevede un lungo stallo nel conflitto che quindi potrebbe continuare ancora a lungo, visto che nessuno dei due schieramenti ha la forza militare per imporsi sull’altro.

La conferma: forze speciali dei paesi Nato in UcrainaTra i documenti più interessanti, però, ci sono quelli che confermano la presenza, in Ucraina, di forze speciali di vari paesi aderenti all’Alleanza Atlantica. In tutto, sul terreno, sarebbero schierati 50 membri delle forze speciali britanniche, 17 lettoni, 14 statunitensi, 15 francesi ed un solo olandese.

Non si tratterebbe quindi di grandi numeri, ai quali vanno però aggiunti alcune migliaia di membri delle diverse forze armate dei paesi occidentali e di altri paesi che combattono agli ordini di Kiev con le insegne della Legione Internazionale. A questi vanno poi sicuramente aggiunti tecnici e istruttori inviati di volta in volta dai paesi che donano o vendono armi di ultima generazione all’Ucraina; la maggior parte del lavoro di addestramento all’uso dei dispositivi può essere realizzato anche nei paesi di origine, ma spesso l’ultima fase non può non prevedere la presenza sul campo degli istruttori stranieri. Infine, ci sarebbero gli uomini inviati ufficialmente a rinforzare la sicurezza delle rappresentanze diplomatiche operanti a Kiev e che in realtà si dedicherebbero ad altro.

Già un anno fa dei funzionari ucraini avevano raccontato al Times che degli esperti britannici erano a Kiev per addestrare i locali all’uso di sistemi anti-carro; più tardi Le Figaro informò che una cinquantina di militari francesi erano sul campo per sostenere Kiev nell’analisi delle informazioni fornite dalla rete satellitare e nell’individuazione degli obiettivi nemici da colpire. Dal canto suo il New York Times ha informato sul fatto che un gruppo di membri delle forze speciali di Washington – probabilmente della Cia – operava a Kiev per gestire il consistente flusso di armi in arrivo da Europa e Stati Uniti e per proteggere il presidente ucraino, citando la presenza sul campo di militari canadesi, lituani, polacchi e cechi.

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Un militare ucraino si addestra all’uso dei razzi Usa “Javelin”

Superata un’altra linea rossa
Al di là dell’esiguità dei numeri – sempre che i numeri riportati siano veritieri – ora i leaks trafugati e diffusi confermano che i paesi della Nato non si limitano a fornire massicci aiuti finanziari, armi ed equipaggiamenti di vario tipo all’Ucraina, ma schierano sul campo un certo numero di propri militari in uno scontro bellico che potrebbe presto opporre direttamente il blocco euro-atlantico con la Russia.

Le forze speciali alle quali si riferisce il documento potrebbero essere presenti in Ucraina per partecipare ai preparativi dell’annunciata controffensiva di primavera alla quale starebbero lavorando le forze armate ucraine. Uno dei documenti trafugati afferma ad esempio che Kiev progetta di attaccare con i droni alcune basi militari all’interno del territorio della Federazione Russa, in particolare nella confinante regione di Rostov sul Don. Un altro leak, reso noto dal Guardian, il Pentagono afferma che Kiev sta tentando di creare 12 nuove brigate dotate di 253 carri armati e circa 1500 veicoli blindati più leggeri. Secondo gli osservatori militari statunitensi però, al 23 marzo cinque di queste brigate non avevano ancora iniziato l’addestramento necessario e sei non possedevano l’equipaggiamento necessario a partecipare all’offensiva.

Secondo la BBC, che già nei mesi scorsi ha pubblicato delle informazioni filtrate dai comandi militari, le forze speciali occidentali presenti in Ucraina starebbero compiendo delle missioni di intelligence per facilitare il lavoro delle truppe ucraine. Il documento del Pentagono risalente al 23 marzo mette in rilievo che le forze speciali britanniche schierate sul campo sono le più numerose.

Recentemente il ministro della Difesa di Kiev, Oleksii Reznikov, ha risolutamente negato la presenza sul campo della Nato ed ha definito i leaks trafugati il frutto di un tentativo di manipolazione da parte della Russia, ma da Washington ormai non possono che confermare l’autenticità dei documenti diffusi nei giorni scorsi da una talpa.
Se anche queste forze speciali non stanno combattendo in prima linea, indubbiamente supportano o dirigono le truppe ucraine. Un’altra linea rossa nello scontro tra Russia e Alleanza Atlantica è stato superato, dopo la decisione del governo di schierare armi nucleari tattiche sul territorio della Bielorussia. – Pagine Esteri

6567686* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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La vicenda che ha coinvolto suo malgrado il nostro compagno Dimitrij Palagi, consigliere comunale di Firenze, è assai grave e un'amministrazione comunale dovre