Yemen. Decine di morti calpestati in una calca
Della redazione
Pagine Esteri, 20 aprile 2023 – Almeno 78 yemeniti sono rimasti uccisi in una fuga precipitosa di massa nella capitale Sanaa quando centinaia di persone si sono radunate in una scuola per ricevere donazioni previste per gli ultimi giorni del mese sacro del Ramadan.
Diverse persone sono rimaste ferite, tra cui 13 sono in condizioni critiche.
La donazione era di 5000 riyal yemeniti, circa 8 euro, una somma significativa in un paese dilaniato dalla guerra e in cui povertà e malattie sono la condizione per la maggior parte della popolazione.
Il processo di riconciliazione in corso tra Arabia saudita e Iran fa sperare in una soluzione negoziata anche in Yemen dove le fazioni avverse sostenute dai due potenti paesi si combattono senza sosta dal 2015. Tuttavia i segnali iniziali di una composizione pacifica del conflitto tra i ribelli sciiti Houthi appoggiati da Teheran e il governo sostenuto militarmente dalla Coalizione araba a guida saudita, non sono ancora sfociati in risultati concreti. Pagine Esteri
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Partinico, miseramente fallito il tentativo di bloccare l’intitolazione del liceo alle figure di Peppino e Felicia Impastato. Auspichiamo adesso che la prefettura dia seguito alla scelta del Liceo
Partinico 16 aprile 2023 - Il tentativo da parte della destra partinicese di bloccare l’intitolazione del liceo alle figure di Peppino e Felicia Impastato èRifondazione Comunista
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Il lavoro c’è, a mancare sono i lavoratori
Nell’ultimo biennio gli occupati in Italia sono cresciuti di quasi un milione e 800mila unità, di cui i tre quarti nel terziario di mercato. In questo settore, però, c’è una vera e propria emergenza: la carenza di personale, considerando che solo nella filiera turistica e nel commercio quest’anno (rispetto al 2022) servono circa 560mila lavoratori in più, considerando anche l’indotto ma il 40%potrebbero essere di difficile reperimento. Parliamo di 230mila profili che non si trovano sul mercato soprattutto per mancanza delle competenze richieste dalle imprese.
Obiettivo più crescita Sono questi i principali numeri contenuti nell’Osservatorio Terziario e Lavoro dell’Ufficio Studi di Confcommercio, presentato ieri a Roma all’apertura del Forum: «Per creare nuova occupazione – sostiene il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli – servono, prima di tutto, più crescita e più produttività. E, naturalmente anche la costruzione di un compiuto sistema di politiche attive, utile per favorire l’incontro tra domanda e offerta». In 27 anni, cioè dal 1995 a oggi, gli occupati sono aumentati di 1,2 milioni di unità: tutti i grandi aggregati produttivi hanno perso, salvo il terziario di mercato che ha generato oltre 2,7 milioni di posti di lavoro. Durante la pandemia i servizi hanno patito di più; poi c’è stato un forte recupero soprattutto del turismo(sottovalutato anche dagli «esperti»), ma l’operazione non è ancora completata come si evince anche dai consumi delle famiglie del 2022 ancora sotto di 20 miliardi rispetto al 2019, di cui 13 persi da alberghi, bar e ristoranti.
La spinta dei contratti stabili Lo scorso anno, escludendo lavoratori domestici, agricoltura e Pa, il terziario di mercato ha contato il 64,5% dell’occupazione totale e il 79,5% di quella indipendente (il settore, quindi, è una “palestra” di autoimprenditorialità). Senza dimenticare che i servizi occupano il 61,7% del totale lavoro dipendente. E ancora: degli 1,77 milioni di nuovi occupati nella fase di recupero post-pandemico, 1,36 milioni appartengono ai servizi, cioè il 76,6%. Il lavoro indipendente non ha completamente recuperato e il deficit si concentra nelle professioni e nei trasporti (la crisi non è stata uguale per tutti). Il divario nella struttura delle tipologie di contratto per grandi aggregati è 70,2% contro 86,3% tra terziario non stagionale (che comunque comprende una quota di attività stagionali, come gli stabilimenti balneari) e industria e attività finanziarie e creditizie. I contratti stagionali si riferiscono ad alloggio e ristorazione (il 30,6% delle forme contrattuali del macro settore). Il 55,2% di tutti i contratti a tempo indeterminato sono siglati nel terziario di mercato.
Tra giugno 2020 e giugno 2022 l’incremento totale del tempo indeterminato è stato di 685mila unità, pari al 39% dell’incremento occupazionale con qualsiasi contratto; di questi 685mila, 468mila appartengono al terziario di mercato (cioè il 69%). Anche per i servizi, quindi, la reazione alla pandemia è stata di puntare sul tempo indeterminato. Economia incerta, fare le riforme Passando allo scenario economico, Confcommercio evidenzia come la questione energetica abbia messo a dura prova il Paese, creando danni a famiglie e imprese. A questo proposito, i pur confortanti segnali di riduzione del costo delle forniture di energia, osservati di recente, non devono far dimenticare che la spesa energetica complessiva delle imprese del terziario di mercato si attesterà, nel 2023, a circa 38 miliardi, ancora molto al di sopra dei 13miliardi del 2021.
Il peggio sembra passato, ma resta una sostanziale incertezza dello scenario internazionale, come resta confermato il rallentamento dell’economia mondiale. E questo vale anche per l’Italia, che, secondo le stime di Confcommercio, avrebbe chiuso il primo trimestre con un Pil sostanzialmente stabile e che presenta una prospettiva di crescita per il 2023 poco sotto l’1%, un risultato che verrebbe leggermente migliorato il prossimo anno. Il Pnrr fa fatica a decollare, i consumi restano deboli (nella media del 2022, sono ancora sotto di quasi venti miliardi di euro rispetto al 2019), e il credito è più caro, con il rialzo dei tassi di interesse. A prezzi costanti, prosegue Confcommercio, neppure alla fine del 2024 avremo recuperato i livelli aggregati di Pil e consumi (dei residenti) del 2007; sulle stime dei valori reali pro capite «aiuta» la crisi demografica: nonostante questo (aspetto disastroso) mancherebbero ancora 145 euro di Pil a testa e 480 euro di consumi. Tuttavia, un segnale positivo è che l’economia italiana arriva a questo rallentamento in ottima salute, avendo mostrato, nel biennio 2021-2022, una capacità di reazione eccezionale e inattesa, con una crescita superiore anche a quella dei nostri principali partner internazionali.
«Dobbiamo lavorare per costruire una nuova e più forte fase di sviluppo, proprio per evitare di ripiombare nell’incubo degli zero virgola – ha chiosato Sangalli –. All’appello manca poi il grande tema delle riforme, a cominciare da quella fiscale. Bisogna poi puntare su politiche attive e formazione. Il Pnrr infine. Inflazione, prezzi ed emergenze energetiche rendono necessario l’adeguamento strutturale del Piano. Bisogna fare presto e bene perché l’occasione non va sprecata».
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Il figlio dello scià di Persia visita Israele
di Redazione
Pagine Esteri, 19 aprile 2023 – Nel momento di massima tensione tra Israele e Iran, le autorità dello Stato ebraico hanno ricevuto Reza Ciro Pahlavi, 62 anni, il principe ereditario e figlio maggiore dell’ultimo scià di Persia. Dal suo esilio negli Stati Uniti Pahlavi sta cercando di ritagliarsi un ruolo di primo piano in vista di un eventuale cambio di regime a Teheran.
Mentre nelle scorse settimane Israele ha continuato a condurre esercitazioni congiunte con gli Stati Uniti e a bombardare obiettivi in Siria legati all’Iran – lasciando presagire la possibilità di un attacco diretto contro Teheran – a Gerusalemme Pahlavi ha incontrato i vertici dello stato.
«Siamo felici di ospitare il principe ereditario iraniano e di ammirare la sua coraggiosa decisione di visitare Israele per la prima volta. Il principe ereditario simboleggia una leadership diversa da quella del regime degli ayatollah e promuove i valori della pace e della tolleranza, a differenza degli estremisti che regnano in Iran» ha affermato la ministra dell’Intelligence di Israele, Gila Gamliel.
«Siamo felici di essere qui e di lavorare per un futuro prospero e di pace che la gente della nostra regione merita. Dai figli di Ciro, ai figli di Israele, costruiremo questo futuro insieme, in amicizia» ha invece scritto su Twitter Pahlavi dopo il suo arrivo all’aeroporto Ben Gurion a Tel Aviv.
In un’intervista concessa nei giorni scorsi ad “Agenzia Nova” a margine della Conferenza di Monaco sulla sicurezza, l’erede al trono aveva affermato che «nessuno vuole la guerra» tra Iran e Israele. Pahlavi aveva poi osservato che un nuovo Iran eliminerebbe «tutte le minacce» della Repubblica islamica, «compresa quella nucleare», e che «la soluzione più rapida» sarebbe la caduta dell’attuale regime.
Ieri Pahlavi si è recato oggi al muro del pianto con la moglie Jasmine e con la ministra dell’Intelligence di Israele. Lunedì sera ha invece partecipato a una cerimonia presso il memoriale dell’Olocausto a Gerusalemme, lo Yad Vashem, insieme al presidente di Israele, Isaac Herzog, e al primo ministro Benjamin Netanyahu. – Pagine Esteri
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Nato e Difesa Ue. La ricetta di Cavo Dragone per vincere la sfida globale
Dobbiamo essere pronti a operare e muoverci e vincere in uno scenario multidominio, una priorità per tutti i Paesi europei che impone di accelerare il passo. Così il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ha sottolineato l’urgenza per il Vecchio continente di adeguarsi a uno scenario di sicurezza mutevole e sempre più insicuro. L’occasione arriva dall’intervista che l’ammiraglio italiano ha svolto all’Atlantic Council, uno dei più importanti think tank attivi a Washington, nel corso della quale sono stati affrontati i temi relativi all’attuale scenario geopolitico, reso più fragile dall’invasione russa all’Ucraina, quelli relativi alla postura di difesa dell’Italia alla luce del conflitto e il sistemico cambiamento che sta coinvolgendo l’architettura di Difesa europea.
La responsabilità comune davanti alle minacce
Il capo di Stato maggiore ha iniziato il suo intervento citando il presidente Usa John F. Kennedy, che nel periodo più teso della crisi di Cuba si rivolse all’associazione dei giornali americani parlando delle “comuni responsabilità di fronte a comuni pericoli”. Gli eventi di Cuba, per l’allora presidente erano serviti “a illuminare per qualcuno la sfida, ma le dimensioni della minaccia incombono all’orizzonte da molti anni”. Oggi come allora, ha detto Cavo Dragone, i tempi sono critici, “con uno scenario strategico che evolve a velocità elevatissime, senza precedenti”.
Sfide a 360°
A quattordici mesi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, infatti, la Cina ha preso posizione sul conflitto, ha ricordato Cavo Dragone, con una proposta di sistemazione dello scenario geopolitico est europeo. Al contempo “la Cina ha portato avanti un negoziato per il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran”, con Riyad che ha anche preso la decisione di entrare come partner della Shanghai Cooperation Organisation, “un’alleanza politica, di sicurezza e commerciale”. Al contempo, mentre l’Algeria versa sull’orlo del collasso, la Tunisia chiede di unirsi ai Paesi Brics, “mentre la domanda di sicurezza aumenta in tutto il Mediterraneo allargato”, specialmente dove agiscono gruppi paramilitari come la Wagner o i proxy iraniani.
Gli occhi di Pechino sul Sud del mondo
Cosa sta succedendo, allora, si è chiesto Cavo Dragone. “Non c’è una risposta facile. Visto dall’alto il pianeta è diventato una scacchiera con tutti i pezzi in movimento”. Non solo allora tutte le risorse devono essere messe in campo per sostenere l’Ucraina, con il fianco est che rappresenta “la priorità militare” dell’Alleanza, con un rafforzamento della sua capacità di deterrenza, ma anche l’offensiva diplomatica cinese verso il Sud globale deve essere contrastata. “Russia e Iran stanno supportando l’azione di Pechino per rompere il proprio isolamento diplomatico”, come dimostrato anche dal voto di molti Paesi della regione che non hanno condannato l’invasione di Mosca.
L’importanza delle alleanze
Cosa fare per affrontare queste sfide? “La parola d’ordine è partnership. Oggi i partner internazionali devono diventare sempre più capaci di interoperare”. Su tutte la Nato e le altre alleanze devono diventare sempre più capaci di affrontare le sfide di oggi. Un impegno che richiederà uno sforzo anche da parte europea. L’invasione russa ha risvegliato l’attenzione europea passando da una “idea teorica verso una reale Difesa europea”. L’Ue si sta “operazionalizzando, per avere una catena di comando militare, che mancava; la crisi Ucraina, purtroppo, ci ha risvegliati”.
Il legame Italia-Usa
L’ammiraglio Cavo Dragone è a Washington per incontrare i vertici militari degli Stati Uniti, seguendo l’incontro avuto con il generale Mark Milley, capo dello Staff congiunto delle Forze armate Usa, a Roma a marzo, con cui l’ufficiale italiano ha una “totale connessione e condivisione di idee”. Per l’ammiraglio, infatti, “il legame transatlantico tra l’Italia e gli Stati Uniti è forte, e gli Usa sono per noi un punto di riferimento all’interno dell’Alleanza”. Un legame che si evidenzia anche dalla presenza dei 30mila militari Usa presenti nel nostro Paese. “Insieme stiamo migliorando la capacità di agire insieme, soprattutto nel Mediterraneo, dove nonostante la presenza di nuovi attori, lanciamo un messaggio forte: che il bacino è parte dello spazio di sicurezza della Nato”.
La povertà è la quarta causa di morte della popolazione negli Stati Uniti | Diogene
"L’analisi ha rilevato che solo le malattie cardiache, il cancro e il fumo erano associati a un numero maggiore di decessi rispetto alla povertà. Obesità, diabete, overdose di droga, suicidi, armi da fuoco e omicidi, tra le altre comuni cause di morte, erano meno letali della povertà."
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ONU. Basta sanzioni contro Kabul, stop alla repressione talebana delle donne
di redazione
Pagine Esteri, 19 aprile 2023 – Con un rapporto pubblicato ieri il Programma di sviluppo dell’Onu (UNDP) descrive in dettaglio la terribile situazione dell’Afghanistan quasi due anni dopo l’imposizione del blocco economico da parte del governo degli Stati Uniti. Il rapporto mostra che prima della presa di Kabul da parte dei Talebani nell’agosto del 2021, il tasso di povertà nel paese era di circa il 47,5% della popolazione (41 milioni). Dopo l’inizio delle sanzioni Usa e internazionali è salito a oltre l’80% con stime che indicano che il 97% della popolazione potrebbe presto precipitare nella miseria.
Il rapporto dell’UNDP sottolinea che la Banca centrale afghana non è stata in grado di fornire liquidità adeguata alle banche a causa della sua impossibilità di stampare moneta e del congelamento di quasi 10 miliardi di dollari di riserve estere, di cui 7 miliardi trattenuti dalla Federal Bank of New York.
La situazione è stata peggiorata dall’improvvisa perdita di aiuti internazionali e l’accesso ai finanziamenti da parte del paese. “L’interruzione dell’assistenza estera, che in precedenza rappresentava quasi il 70% del bilancio afgano, ha provocato una considerevole compressione delle finanze pubbliche”, si afferma del rapporto.
Allo stesso tempo, l’UNDP punta il dito anche contro il deterioramento della situazione del paese causata dai leader Talebani e dalle loro politiche repressive contro le donne. “L’economia non può essere rilanciata se le donne non potranno lavorare, la crescita economica futura sarà limitata se non ci saranno investimenti sufficienti nell’istruzione delle ragazze e delle donne”, ha dichiarato il direttore regionale dell’UNDP per l’Asia e il Pacifico, Kanni Wignaraja. “Solo la piena continuità dell’istruzione delle ragazze e la capacità delle donne di perseguire il lavoro e l’apprendimento possono mantenere viva la speranza di un reale progresso”, ha aggiunto Wignaraja. Pagine Esteri
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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi: Il giornalismo – 29 maggio 2023
La sterminata produzione giornalistica di Luigi Einaudi, specie sul Corriere della Sera, oltre a trattare temi tipici del giornalismo economico, spazia su profili più ampi e diversi e consente di riflettere sul ruolo attuale del giornalismo, anche nel suo rapporto con gli “altri” poteri, soprattutto quello politico e quello giudiziario.
Relatori
Massimo Nava, Editorialista del Corriere della Sera;
Davide Giacalone, giornalista e Vice Presidente della Fondazione Luigi Einaudi
Andrea Cangini, giornalista e Segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi
clicca qui per il programma completo
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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi: L’Università: La politica e le istituzioni– 22 maggio 2023
Luigi Einaudi, Uomo politico consente di affrontare tematiche legate ai temi attuali, quali l’impianto costituzionale, il ruolo dei referendum, il ricorso eccessivo alla normazione anche in sede penale, il mutato ruolo del Presidente della Repubblica, le autonomie regionali etc.
Relatori
Bartolomeo Romano, Ordinario di Diritto Penale nell’Università di Palermo e Consigliere giuridico del Ministro della Giustizia
Antonella Sciortino, Ordinario di Diritto costituzionale
Gaetano Armao, Associato di Diritto amministrativo
clicca qui per il programma completo
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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi: L’economia – 15 maggio 2023
Il seminario affronterà il pensiero economico di Luigi Einaudi, anche nella sua esperienza di Governatore della Banca di Italia, e verificherà l’eventuale attualità delle sue proposte.
Relatori
Emanuele Alagna, Direttore Banca D’Italia sede di Palermo
Fabio Mazzola, Ordinario di Politica economica, Prorettore Università di Palermo
Andrea Mario Lavezzi, Ordinario di Economia Politica
clicca qui per il programma completo
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Marongiu & i Sporcaccioni - Welcome to Bisiacaria
Marongiu & i Sporcaccioni sono i ragazzi del bar che fanno musica nel tempo libero, e che hanno i nostri problemi, ma li sfogano raccontando la vita di provincia attraverso una musica davvero piacevole e che ti rende leggero, nel senso che parla di cose che chi ha vissuto e vive in provincia vede ogni giorno. @Musica Agorà
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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi: L’Università – 8 maggio 2023
L’Università – 8 maggio 2023
Il seminario approfondirà il mondo dell’accademia e le prospettive della ricerca e dell’insegnamento, anche nei rapporti con le imprese e con i progetti di finanziamento europei.
Relatori
Armando Plaia, Ordinario di diritto privato e Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza;
Aldo Schiavello, Ordinario di Filosofia del diritto e Coordinatore del Dottorato in Diritti umani;
Giuseppe Di Chiara, Ordinario di Diritto processuale penale, Coordinatore del Dottorato in Pluralismi giuridici e Direttore della Scuola per le professioni legali.
clicca qui per il programma completo
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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi
Dipartimento di Giurisprudenza – Progetto a cura del Prof. Bartolomeo Romano, Ordinario di Diritto Penale e Coordinatore del Dipartimento Giustizia della Fondazione Luigi Einaudi
La poliedrica figura di Luigi Einaudi – accademico, economista, politico, esponente delle Istituzioni, giornalista – si presta particolarmente ad essere approfondita seguendo i suoi diversi percorsi professionali ed umani. Già membro dell’Assemblea Costituente, fu poi Vice Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro delle finanze, del tesoro e del bilancio nel IV Governo De Gasperi, e tra il 1945 e il 1948 fu Governatore della Banca d’Italia. Dal 1948 al 1955 fu il secondo Presidente della Repubblica Italiana.
Pertanto, con il presente Progetto ci si propone di costruire una serie di Seminari tematici, ciascuno dei quali capace di far riconoscere agli studenti crediti formativi. Per coloro i quali seguissero tutti i seminari, che nel loro complesso daranno vita ad un corso unitario, del quale è Responsabile Scientifico il Professore Bartolomeo Romano, la Fondazione Einaudi attribuirà un “attestato di conoscitore del pensiero liberale di Luigi Einaudi” nel corso di una manifestazione conclusiva alla presenza del Presidente della Regione Siciliana, del Sindaco di Palermo, del Magnifico Rettore dell’Università di Palermo e del Presidente della Fondazione Einaudi.
I seminari si terranno nell’Aula Chiazzese del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo, ogni lunedì pomeriggio, dalle ore 15 alle 17, nel mese di maggio 2023, secondo il seguente programma:
1. L’Università – 8 maggio 2023
Il seminario approfondirà il mondo dell’accademia e le prospettive della ricerca e dell’insegnamento, anche nei rapporti con le imprese e con i progetti di finanziamento europei.
Relatori
Armando Plaia, Ordinario di diritto privato e Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza;
Aldo Schiavello, Ordinario di Filosofia del diritto e Coordinatore del Dottorato in Diritti umani;
Giuseppe Di Chiara, Ordinario di Diritto processuale penale, Coordinatore del Dottorato in Pluralismi giuridici e Direttore della Scuola per le professioni legali.
2. L’economia – 15 maggio 2023
Il seminario affronterà il pensiero economico di Luigi Einaudi, anche nella sua esperienza di Governatore della Banca di Italia, e verificherà l’eventuale attualità delle sue proposte.
Relatori:
Emanuele Alagna, Direttore Banca D’Italia sede di Palermo
Fabio Mazzola, Ordinario di Politica economica, Prorettore Università di Palermo
Andrea Mario Lavezzi, Ordinario di Economia Politica
3. La politica e le istituzioni– 22 maggio 2023
Luigi Einaudi, Uomo politico consente di affrontare tematiche legate ai temi attuali, quali l’impianto costituzionale, il ruolo dei referendum, il ricorso eccessivo alla normazione anche in sede penale, il mutato ruolo del Presidente della Repubblica, le autonomie regionali etc.
Relatori
Bartolomeo Romano, Ordinario di Diritto Penale nell’Università di Palermo e Consigliere giuridico del Ministro della Giustizia
Antonella Sciortino, Ordinario di Diritto costituzionale
Gaetano Armao, Associato di Diritto amministrativo
4. Il giornalismo – 29 maggio 2023
La sterminata produzione giornalistica di Luigi Einaudi, specie sul Corriere della Sera, oltre a trattare temi tipici del giornalismo economico, spazia su profili più ampi e diversi e consente di riflettere sul ruolo attuale del giornalismo, anche nel suo rapporto con gli “altri” poteri, soprattutto quello politico e quello giudiziario.
Relatori
Massimo Nava, Editorialista del Corriere della Sera;
Davide Giacalone, giornalista e Vice Presidente della Fondazione Luigi Einaudi
Andrea Cangini, giornalista e Segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi
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European Youth Parliament a Ragusa: La Fondazione Einaudi sostiene il Parlamento Europeo Giovani – 12 -14 maggio
La Fondazione Luigi Einaudi parteciperà alla Sessione Regionale del Parlamento Europeo Giovani che si terrà a Ragusa dal 12 al 14 maggio.
L’evento avrà come protagonisti circa 70 studenti delle scuole superiori della Regione Siciliana e uno staff internazionale composto da giovani provenienti da tutta Europa. L’obiettivo è promuovere la cultura delle istituzioni come luogo delle soluzioni, dell’Europa come casa unitaria dei nostri valori, del confronto e della diversità come uniche stelle polari della crescita sociale. Si tratterà di un evento nel quale giovanissimi studenti avranno l’opportunità di assumere nuove competenze vestendo pienamente il ruolo di Europarlamentari e simulando una sessione dell’Europarlamento, crescendo così nella convinzione del rispetto delle posizioni altrui e confrontandosi con tematiche importanti della legislazione europea attinenti ad un più generale tema, il potere del progresso e dell’innovazione.
Le 8 tematiche che verranno affrontate a Ragusa2023 nelle altrettante commissioni saranno legate al più generale tema del potere del progresso e dell’innovazione. La Fondazione Einaudi, oltre a sostenere interamente l’iniziativa con il suo patrocinio e ad essere dunque partner dell’evento, parteciperà ai lavori della Commissione nella persona dell’Avv. Gian Marco Bovenzi, project manager della stessa.
L’evento è articolato in tre fasi principali: nel corso del Teambuilding i ragazzi imparano a conoscere i propri compagni di commissione mediante una serie di giochi e di attività interattive che mirano a rompere il ghiaccio e a creare un forte spirito di gruppo; durante il Committee Work ci si confronta e si riflette su una tematica specifica insieme ai propri compagni di commissione, analizzando i problemi e le sfide ad essa legate per poi proporre soluzioni in merito e giungere alla stesura di una risoluzione scritta; ogni commissione presenta poi le proprie proposte nella parte conclusiva della sessione, l‘Assemblea Generale. Dopo una fase di dibattito durante la quale i delegati possono sollevare punti dal posto o tenere discorsi al podio, ogni risoluzione viene messa ai voti.
Per scaricare il pdf del programma clicca sul link: Scheda Progetto Ragusa2023
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Concorso Nazionale "La legalità come strumento di realizzazione personale", rivolto agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado di istruzione.
Ministero dell'Istruzione
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La teologia della liberazione palestinese: dalla reinterpretazione delle Scritture alla decolonizzazione della mente
di Caterina Bandini*
Pagine Esteri, 19 aprile 2023 – «L’occupazione è un peccato contro Dio»: questo il postulato del documento Kairós Palestina: un momento di verità. Una parole di fede, speranza e amore dal cuore delle sofferenze dei palestinesi, pubblicato in arabo l’11 dicembre 2009 dal Consiglio ecumenico delle Chiese di Terra santa[1]. Ispirato al Kairós sudafricano, un documento pubblicato nel 1985 da una maggioranza di preti neri per denunciare il regime di apartheid, Kairós Palestina rappresenta il culmine di un lungo percorso di sensibilizzazione e politicizzazione delle Chiese palestinesi.
I palestinesi cristiani che vivono in Israele-Palestina sono circa 171 000 su una popolazione palestinese totale di più di 7 milioni di persone. La maggior parte si trova all’interno dello Stato d’Israele (120 000), 40 000 vivono nella Cisgiordania occupata, 10 000 a Gerusalemme e meno di un migliaio nella Striscia di Gaza. La minoranza cristiana ha una composizione eterogenea: i fedeli appartengono a ben 13 Chiese diverse, che vengono divise localmente tra «orientali» (Chiesa greco-ortodossa, armena, siriaca, ecc.) e «occidentali» (Chiesa cattolica romana, anglicana, luterana, ecc.). La maggioranza dei cristiani appartiene alla Chiesa greco-ortodossa (detta anche arabo-ortodossa o semplicemente ortodossa), la quale detiene il controllo del maggior numero di Luoghi santi; la seconda comunità più numerosa è quella cattolica di rito latino.
Le Chiese palestinesi sono state o sono tutt’ora al centro di conflitti tra l’alto clero, appoggiato dai poteri stranieri e dalla loro presenza missionaria, ed il laicato palestinese. La Chiesa greco-ortodossa in particolare, che possiede un importante patrimonio immobiliare, ha venduto terreni e immobili dapprima al governo britannico, poi ai coloni sionisti e alle autorità israeliane. Inoltre, la dimensione transnazionale delle Chiese di Terra santa ha contribuito ad alimentare in seno alla società palestinese la diffidenza nei confronti dei cristiani, sospettati di collaborare con l’occidente colonizzatore. Ciò spiega, in parte, la preponderanza di attivisti cristiani tanto nel movimento nazionalista degli anni ‘30 quanto nel movimento di liberazione nazionale che si sviluppa dopo la Nakba. L’importanza di Kairós Palestina è dovuta al fatto che per la prima volta non sono i fedeli ad impegnarsi politicamente contro l’occupazione israeliana, bensì gli alti livelli della gerarchia ecclesiale.
La pubblicazione del documento rappresenta l’apice di un movimento nato in seno alla comunità protestante che coinvolge clero e laicato sin dalla prima Intifada (1987-1993) (Kuruvilla, 2013). Ispirandosi alla teologia contestuale, alla teologia della liberazione sud-americana e alla critica post-coloniale della Bibbia, il reverendo anglicano Naim Stifan Ateek, all’epoca pastore della Cattedrale di San Giorgio a Gerusalemme, pubblica nel 1989 Justice, and Only Justice: A Palestinian Theology of Liberation (Ateek, 1989), considerato il testo fondatore della teologia della liberazione palestinese. Nel libro, Ateek spiega che la lettura dell’Antico Testamento pone delle difficoltà specifiche ai palestinesi cristiani. I concetti di «popolo eletto» e «terra promessa» o ancora il racconto mitologico dell’Esodo assumono un significato politico nel contesto israelo-palestinese, dove l’idea di una continuità perfetta tra il popolo ebraico nella Bibbia e lo Stato d’Israele ha offerto una legittimità storico-religiosa all’impresa sionista. Secondo Ateek, se la Bibbia è stata strumentalizzata fino a diventare un elemento importante nel conflitto, può anche diventare un elemento della soluzione. I palestinesi cristiani devono quindi elaborare una lettura palestinese dell’Antico Testamento. Una comprensione universalista della natura di Dio sul piano teologico non significa che tutte le parti della Bibbia abbiano lo stesso valore per i cristiani: i libri dei Profeti, ad esempio, dove Dio fa prova di compassione nei confronti di altri popoli, rappresentano un’evoluzione rispetto ai libri dell’Esodo e di Giosuè caratterizzati dalla tradizione nazionalista e militarista degli zeloti.
Altri autori hanno partecipato allo sforzo di decolonizzazione dell’Antico Testamento, come il reverendo luterano Mitri Raheb (Raheb, 1995). Questo movimento teologico ed intellettuale è andato di pari passo con un’opera di arabizzazione e palestinizzazione delle Chiese che, fino ad allora, solo la Chiesa melkita aveva compiuto. Nella seconda metà del XX secolo, l’arabo sostituisce le lingue straniere nella liturgia, i membri del clero provengono sempre di più dalla popolazione locale e le istituzioni cristiane cominciano a rivendicare esplicitamente la loro appartenenza alla nazione palestinese. Anche la Chiesa cattolica romana prende parte a questo processo e s’impone come uno degli attori principali del movimento di teologia della liberazione contribuendo alla sua diffusione fuori dagli ambienti protestanti. La nomina, nel 1987, di Michel Sabbah a capo del Patriarcato latino di Gerusalemme rappresenta una tappa importante: primo (e finora unico) patriarca palestinese nella storia dell’istituzione, durante il suo mandato (1987-2008) Sabbah ha saputo coinvolgere la gerarchia cattolica romana nelle questioni politiche locali, prendendo posizione contro l’occupazione e per la pace, e incoraggiando l’impegno politico dei cristiani.
I teologi-attivisti si focalizzano sulla comunità cristiana internazionale. Uno degli obiettivi principali del movimento consiste a contrastare la diffusione del sionismo cristiano, una corrente di pensiero che appoggia l’esistenza dello Stato d’Israele come Stato esclusivamente ebraico sulla base di una lettura letterale dell’Antico Testamento (Nederveen-Pieterse, 1991). Il sionismo cristiano si è progressivamente affermato nelle comunità evangeliche statunitensi e sud-americane ed alcuni esponenti di questa corrente hanno un legame molto stretto col potere politico israeliano, il che contribuisce a marginalizzare il cristianesimo palestinese sulla scena internazionale. Dalla fine degli anni ‘80 ad oggi, varie organizzazioni palestinesi cristiane della società civile si sono impegnate nella creazione di circuiti di turismo e pellegrinaggio alternativi (come i cosiddetti pellegrinaggi «delle pietre vive») volti a far conoscere la realtà dell’occupazione ai cristiani provenienti da tutto il mondo (Feldman, 2011).
Ed è proprio quest’interesse pronunciato nei confronti della comunità internazionale, a discapito delle comunità cristiane locali, che viene oggi criticato da una nuova generazione di teologi palestinesi. Essi considerano che l’opera dei padri fondatori Naim Ateek et Mitri Raheb e di tutti coloro che si sono ispirati al loro modello presenta una dimensione coloniale inerente alla struttura, la costruzione e gli obiettivi che gli autori si sono posti (Munayer e Munayer, 2022). Volendosi opporre al sionismo cristiano, Ateek e Raheb si sono rivolti ai cristiani occidentali e non ai cristiani palestinesi; hanno preso spunto quasi esclusivamente da teologi maschi, bianchi e occidentali; non hanno adottato un approccio intersezionale, esaminando di fatto un’unica dimensione dell’oppressione palestinese (da parte dell’occidente e dello Stato d’Israele) e tralasciandone altre (sessismo, classismo, islamofobia).
La nuova generazione propone l’elaborazione di una «teologia della liberazione civica» in linea col pensiero di Edward Said, uno dei primi a indicare la necessità di una lettura palestinese della Bibbia (Masalha e Isherwood, 2014). Non si tratta più soltanto di reinterpretare le Scritture, ma di decolonizzare la mente e la pratica religiosa dei palestinesi cristiani. Dall’advocacy sulla scena internazionale all’empowerement delle comunità locali, l’obiettivo principale di questa nuova teologia più contestuale e meno cristiana è il dialogo all’interno della società palestinese, in particolare fra cristiani e musulmani. Teologi e attivisti pubblicano più in arabo che in inglese[2], s’ispirano all’iconografia ortodossa più che a quella protestante o latina e prendono a modello figure cristiane della resistenza palestinese, come la giornalista Shireen Abu Aqleh uccisa nel maggio 2022 dall’esercito israeliano. Prodotto di questa rinascita teologica, una rivista accademica palestinese è stata recentemente fondata con l’obiettivo di creare uno spazio di discussione sul tema del cristianesimo palestinese in arabo e inglese. Il comitato editoriale del Journal of Palestinian Christianity è composto dal reverendo luterano Munther Isaac e due giovani teologi, Yousef AlKhoury e John Munayer, tutti e tre affiliati all’università evangelica palestinese di Betlemme, il Bethlehm Bible College[3]. Pagine Esteri
NOTE
[1] Per la versione italiana del documento: kairospalestine.ps/sites/defau…
[2] Si veda la pagina in arabo del sito Come and See – The Christian Website from Nazareth: comeandsee.com/ar/
[3] La presentazione della rivista è disponibile qui: files.constantcontact.com/6d0f…
Letture consigliate:
Ateek, Naim Stifan (1989) Justice, and Only Justice: A Palestinian Theology of Liberation. Maryknoll, Orbis Books.
Feldman, Jackie (2011) “Abraham the Settler, Jesus the Refugee: Contemporary Conflict and Christianity on the Road to Bethlehem”, History & Memory, 23 (1): 62-95.
Kuruvilla, Samuel Jacob (2013) Radical Christianity in Palestine and Israel: Liberation and Theology in the Middle East. Londra e New York, IB Tauris.
Masalha, Nur, Isherwood, Lisa (a cura di) (2014) Theologies of Liberation in Palestine-Israel. Indigenous, Contextual, and Postcolonial Perspectives. Eugene, Pickwick Publications.
Munayer John S., Munayer, Samuel S. (2022) “Decolonising Palestinian Liberation Theology: New Methods, Sources and Voices”, Studies in World Christianity, 28 (3): 287-310.
Nederveen-Pieterse, Jan (1991) “The History of a Metaphor: Christian Zionism and the Politics of Apocalypse”, Archives de sciences sociales des religions, 75: 75-103.
Raheb, Mitri (1995) I am a Palestinian Christian. Minneapolis, Augsburg Fortress Press.
*Caterina Bandini è sociologa e attualmente ricercatrice presso il Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) e l’Università di Nantes nell’ambito di un progetto collettivo sulla sinistra “radicale” israeliana. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi con un’etnografia dei movimenti religiosi per la pace e i diritti umani in Israle-Palestina, dove ha condotto numerosi periodi di ricerca sul campo dal 2015 ad oggi. Si occupa principalmente di attivismo e movimenti sociali, relazione fra politica e religione, risoluzione dei conflitti, studi post-coloniali e settler colonial studies. È autrice dell’articolo “ʻLa terre ne nous appartient pas, nous lui appartenonsʼ. Usages militants de la théologie et recompositions identitaires en Israël-Palestine”, Critique Internationale (pubblicazione prevista per fine 2023) e curatrice (con Marion Lecoquierre) del volume tematico “Le colonialisme de peuplement : applications empiriques et approches critiques”, Revue Internationale de Politique Comparée (pubblicazione prevista per fine 2023). Sul tema del cristianesimo palestinese ha pubblicato: “Catholiques français et chrétiens palestiniens : pour une sociologie relationnelle de la solidarité”, Les Cahiers d’EMAM, 32 (2020).
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In Cina e Asia – Von der Leyen: "Non giremo le spalle alla Cina”
Von der Leyen: "Non giremo le spalle alla Cina"
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Filippine: gli USA rafforzano la tenaglia militare contro la Cina
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 19 aprile 2023 – La competizione economica e geopolitica tra Stati Uniti e Cina sta scivolando sempre più velocemente verso il confronto sul piano militare.
Mentre la tensione si alza soprattutto intorno a Taiwan – la provincia ribelle di cui Pechino pretende la reintegrazione nel territorio nazionale – Washington rafforza le sue posizioni nel quadrante Indo-Pacifico dando vita ad una vera e propria tenaglia che accerchia la Repubblica Popolare dal Giappone fino all’Australia, passando per la Corea del Sud e le Filippine.
Al di fuori del proprio territorio nazionale Washington possiede, caso unico al mondo, circa 700 installazioni militari distribuite in 80 diversi paesi nei cinque continenti. Solo in Corea del Sud gli Stati Uniti possono contare su 56 mila soldati, ai quali occorre aggiungere i 25 mila dispiegati in Giappone.
Nelle ultime settimane, poi, gli Stati Uniti hanno rafforzato in maniera consistente la propria presenza nelle Filippine, suscitando la dura reazione di Pechino.
Per Washington quattro nuove basi militari nelle Filippine
All’inizio di aprile, il governo di Manila ha formalizzato l’ubicazione di altre quattro basi militari sul proprio territorio nelle quali le forze armate statunitensi potranno mantenere una consistente presenza sulla base dell’Accordo di cooperazione militare rafforzata (Enhanced Defence Cooperation Agreement, Edca) siglato con Washington nel 2014 e dell’Accordo sulle forze in visita (Vfa) del 1998.
L’Edca, che i due paesi hanno informato di voler ulteriormente potenziare, consentiva già a un elevato numero di militari statunitensi di utilizzare cinque basi filippine per portare avanti varie attività e per realizzare piste di decollo, magazzini, alloggi ed altre infrastrutture. Washington, tra l’altro, aveva già annunciato lo stanziamento di 82 milioni di dollari per potenziare le infrastrutture nelle cinque basi già utilizzate, che formalmente rimangono sotto il controllo di Manila.
Poi, lo scorso 2 febbraio, i due governi hanno annunciato l’estensione dell’accordo dopo un incontro nella capitale filippina tra il presidente Ferdinando Marcos Jr e il segretario americano alla Difesa, Lloyd Austin.
Tre dei nuovi siti militari – situati a Isabela, Zambales e Cagayan – concessi alle truppe statunitensi si trovano nell’isola settentrionale di Luzon, a soli 400 km da Taiwan, e comprendono la base navale di Santa Ana e l’aeroporto di Lal-lo. La quarta infrastruttura militare invece si trova sull’isola di Balabac, nella provincia di Palawan, la più vicina all’atollo delle Spratly, al centro di un aspro contenzioso territoriale tra la Cina e le Filippine. Pechino infatti adduce rivendicazioni storiche per rivendicare la propria sovranità su quasi tutto il Mar Cinese Meridionale, pur essendo stata sconfessata nel 2016 dalla Corte permanente arbitrale dell’Aja dell’ONU che ha dato ragione alle Filippine.
Nelle scorse settimane la tensione nell’area è tornata ad accendersi. Il 6 febbraio la guardia costiera delle Filippine ha accusato un’imbarcazione militare cinese, impegnata in un’operazione di pattugliamento, di aver puntato una “luce laser” contro l’equipaggio di un naviglio filippino nel Mar Cinese Meridionale, a circa 20 km dalle isole Spratly.
Il dietrofront di Manila
Durante il suo mandato, il discusso presidente Rodrigo Duterte aveva dato vita ad una svolta nelle relazioni internazionali, allontanandosi da Washington e stringendo maggiori relazioni con Pechino. Ma da quando è entrato in carica nel luglio del 2022 il nuovo presidente Ferdinando Marcos Jr (figlio dell’ex dittatore Ferdinando Marcos, deposto nel 1986) ha invertito la rotta ripristinando e sviluppando la tradizionale alleanza politica e militare con gli Stati Uniti.
D’altronde le Filippine sono state formalmente una colonia statunitense dalla fine del XIX secolo – quando furono cedute a Washington dalla Spagna dopo la sconfitta di quest’ultima in un conflitto diretto con Washington – fino al 1946, per rimanere comunque nell’area di influenza della superpotenza. All’inizio degli anni ’90 si assistette a una forte riduzione della presenza militare statunitense nell’arcipelago, con il ritiro della maggior parte dei 15 militari presenti da decenni nelle due grandi basi di Clark Field e Subic Bay.
La situazione è cambiata con la firma dell’Accordo di cooperazione militare tra Manila e Washington del 2014 che ha permesso agli Stati Uniti di stanziare di nuovo un gran numero di truppe nell’arcipelago asiatico.
Washington: “contenere l’espansionismo della Cina”«I nuovi siti rafforzeranno l’interoperabilità degli Stati Uniti e le forze armate filippine e ci consentiranno di rispondere assieme (…) a una serie di sfide condivise nella regione dell’Indo-Pacifico, inclusi i disastri naturali e umanitari”, ha dichiarato la vice portavoce del Pentagono Sabrina Singh, ma è più che ovvio che l’accordo risponde principalmente alla necessità di Washington di rafforzare il proprio dispositivo militare nella regione per contrastare l’influenza cinese.
Il comandante della Difesa delle Filippine, Carlito Galvez, ha messo le mani avanti, affermando che il patto militare che concede agli USA l’usufrutto a tempo indeterminato di quattro nuove basi punta esclusivamente a rafforzare la deterrenza. «La situazione geopolitica sta diventando sempre più precaria. I nostri progetti nell’ambito dell’Edca (…) non sono concepiti per l’aggressione. Non ci stiamo preparando per la guerra. Piuttosto, puntiamo a sviluppare le nostre capacità di difesa contro eventuali minacce alla nostra sicurezza».
Il capo di stato maggiore congiunto delle forze armate statunitensi, Mark Milley, è stato però molto più sincero. La Repubblica Popolare, ha accusato il generale nel corso di un’audizione al Senato federale di Washington, «sta tentando di diventare la potenza regionale egemone (…) Per questo puntiamo ad accedere alle basi e alla supervisione, e siamo impegnati in un riposizionamento nel Pacifico occidentale». «I paesi della regione si stanno armando, e tutti, con rarissime eccezioni, vogliono la presenza degli Stati Uniti nella regione» ha affermato Milley citando l’acquisto di una flotta di sottomarini a propulsione nucleare da parte dell’Australia e la corsa agli armamenti intrapresa dal Giappone.
A rincarare la dose, nel corso di un’intervista alla Cnn, è stato l’ambasciatore USA a Tokyo, Rahm Emanuel. «Si guardi all’India, alle Filippine, all’Australia, agli Stati Uniti, al Canada o al Giappone. Negli ultimi tre mesi tutti questi Paesi hanno avuto un confronto di qualche tipo con la Cina. A Pechino non possono essere scioccati dal fatto che questi stessi Paesi assumano delle iniziative per proteggersi o per scoraggiare attacchi» ha accusato il diplomatico.
Militari statunitensi e filippini durante le manovre militari congiunte
La reazione di Pechino
Ovviamente, il rafforzamento della presenza militare statunitense nelle Filippine ha suscitato la dura reazione del governo della Repubblica Popolare Cinese. A marzo una delegazione del Ministero degli Esteri di Pechino in visita a Manila ha avvertito che l’estensione dell’Edca «trascinerà il paese negli abissi del conflitto geopolitico e finirà col danneggiarne l’economia». Nel corso di una conferenza stampa, l’ambasciatore cinese a Manila Huang Xilian è stato ancora più esplicito quando ha affermato che le Filippine stanno soffiando sul fuoco delle tensioni regionali: «Ovviamente, gli Usa vogliono approfittare dei nuovi siti militari per interferire nella situazione nello Stretto di Taiwan, per perseguire i propri obiettivi geopolitici e portare avanti la propria agenda anti-cinese a spese della pace e dello sviluppo delle Filippine e della regione».
Esercitazioni congiunte tra USA e Filippine
La scorsa settimana, però, le forze armate delle Filippine e degli Stati Uniti hanno realizzato le più massicce esercitazioni militari congiunte di sempre, mobilitando circa 17500 soldati di entrambi i paesi (di cui più di 12 mila statunitensi) più un centinaio di australiani, il doppio rispetto al 2022. Le imponenti manovre, denominate “Balikatan” (spalla a spalla), hanno simulato operazioni di sbarco anfibio e di combattimento aereo e attività di addestramento a fuoco vivo. Nei giorni precedenti le forze armate cinesi avevano invece simulato, poche centinaia di km più a nord, attacchi missilistici e incursioni aeree contro obiettivi a Taiwan.
Contemporaneamente, alla fine di una riunione interministeriale – che ha coinvolto i titolari degli Esteri e della Difesa – tra Washington e Manila i due paesi hanno diffuso un comunicato congiunto in cui accusano Pechino di compiere alcune “manovre illegali” nel Mar Cinese Meridionale. A tal proposito, il presidente filippino Marcos Jr ha usato toni belligeranti: «Questo Paese non perderà un centimetro del suo territorio. Continueremo a difendere la nostra integrità territoriale e sovranità in conformità con la nostra Costituzione e con il diritto internazionale».
Nel corso della riunione gli Stati Uniti hanno formalizzato un piano volto alla consegna alle Filippine, nei prossimi anni, di radar, droni, aerei da trasporto militare e sistemi di difesa aerea e costiera. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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PRIVACY DAILY 96/2023
Il tramonto dei diritti in India
Quando il leader del Congresso, Rahul Gandhi, è stato condannato a due anni di carcere per aver “diffamato” Narendra Modi è stato soltanto dell'ultimo passo lungo un processo involutivo che ormai da diversi anni contraddistingue la cosiddetta "democrazia più grande del mondo". Una nostra analisi in partnership con Gariwo Onlus.
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Fr.#27 / La buona e doverosa sorveglianza
Parere positivo per la sorveglianza dei dati sugli abbonamenti al trasporto pubblico
Con un recente comunicato il Garante Privacy ci informa di aver dato parere positivo all’invio telematico dei dati sugli abbonamenti ai mezzi pubblici all’Agenzia delle Entrate. La comunicazione dei dati degli abbonamenti di tutti i cittadini italiani sarebbe propedeutica alla compilazione della dichiarazione dei redditi precompilata.
Le comunicazioni saranno facoltative per soggetti pubblici e privati peri periodi d’imposta 2023 e 2024 e poi obbligatorie a partire dal periodo d’imposta 2025 e riguardano i trasporti locali, interregionali e regionali.
Certo, è strano però che il Garante non abbia sollevato alcuna contestazione a questa comunicazione massiva di dati, considerando che non più di tre anni fa criticava duramente lo schema dell’Agenzia delle Entrate per la fatturazione elettronica, adducendo proprio l’enorme potere informativo e di profilazione derivante dall’accentramento di dati:
prevedono la profilazione di tutti i contribuenti, anche minori d’età, e […] si ritiene invece necessario, attesi i rischi elevati per i diritti e le libertà degli interessati approfondire separatamente l’istruttoria al fine di acquisire ulteriori elementi di valutazione, al fine di individuare idonee garanzie…1
In ogni caso, sono certo che col parere positivo del Garante non ci sarà alcun rischio e potremo dormire sonni tranquilli, consapevoli che è tutto per il bene comune.
Anche Privacy Chronicles ha ricevuto parere positivo dal Garante Privacy. No, non è vero. Ma è un bene o un male?
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A New York arrivano i robot spioni
La polizia di New York si è recentemente dotata di alcuni giocattoli tecnologici che entreranno presto a far parte dell’armamentario dei buoni agenti impegnati a preservare la sicurezza della città2.
Saranno due robot diversi, che fanno cose diverse. Ci sarà “Digidog”, chiamato anche Spot, che aiuterà gli agenti a gestire situazioni pericolose evitando di mettere a repentaglio la loro vita. Spot è un robot-cane di cui si parla da molti anni, sviluppato da Boston Dynamics — azienda molto famosa nel campo della robotica.
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Spot è probabilmente tra i robot più avanzati al mondo e può fare un sacco di cose, come andare in ricognizione con telecamere e sensori vari. Pare che secondo il Sindaco sia cruciale per mantenere la città sicura:
The robotic mobile K-9 device is part of a number of technological rollouts the city said is "crucial" in keeping the city safe.
Viene da chiedersi quali siano state le valutazioni sulle quali hanno deciso che adottare un robot-cane fosse assolutamente fondamentale per la sicurezza della città. Data l’utilità cruciale di Spot, dobbiamo aspettarci che i pastori tedeschi delle unità cinofile saranno presto sostituiti da questo gran bel pezzo di (costosa) tecnologia?
Il secondo pezzo è invece più goffo ma decisamente più spione di Spot. Si chiama K5 Autonomous Security Robot (ASR) ed è letteralmente una cabina mobile di sorveglianza che grazie all’intelligenza artificiale potrà anche riconoscere potenziali minacce alla sicurezza pubblica. Dicono che verrà usato in campus, centri commerciali e altri luoghi strategici che hanno bisogno di più sorveglianza. C’è sempre bisogno di più sorveglianza, no?
Sicuramente servirà un po’ di tempo per abituarsi a queste presenze, ma non ho dubbi che i buoni cittadini di New York ne saranno in grado. D’altronde, i loro cugini cinesi sono già ben abituati da tempo a vedere girare in città robot automatizzati per la sorveglianza di massa. Però hey, è per la nostra sicurezza.
Anche Roma si dà all’espropriazione digitale
Dopo Venezia, Milano e Bologna, anche a Roma arriva il virus dell’espropriazione digitale. Secondo la Presidente del I Municipio di Roma il turismo deve essere limitato; Roma non può essere un dormitorio per turisti. Strano, considerando che fino a qualche tempo fa tutti ci raccontavano di come il turismo fosse l’oro dell’Italia.
In ogni caso, la soluzione espropriativa è molto semplice e sempre la stessa: codici identificativi, piattaforme digitali, limiti agli affitti e all’apertura di B&B, monitoraggio continuativo. Secondo la Bonaccorsi infatti è necessario e assolutamente urgente obbligare i “portali online e i motori di ricerca a pubblicare solo annunci delle strutture dotate di codice identificativo rilasciato dal comune”.
C’è da dire che rispetto al Sindaco di Venezia almeno non ha ancora minacciato gli abitanti di ritrovarsi il picchetto di agenti della guardia di finanza h24 davanti al portone di casa.
Ma non lamentatevi: lo fanno per il vostro bene.
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Meme del giorno
Citazione del giorno
“The world, viewed philosophically, remains a series of slave camps, where citizens – tax livestock – labor under the chains of illusion in the service of their masters.”
Stefan Molyneux
Articolo consigliato
Il cielo sotto Skynet
Skynet esiste già, ed è in Cina. È questo il nome con cui amichevolmente ci si riferisce al sistema interconnesso di sorveglianza presente su tutto il territorio cinese. Un nome, una garanzia, direi. Mi piace sempre parlare di Cina, perché credo che purtroppo sia una…
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2 months ago · 8 likes · 2 comments · Matte Galt
La grande coalizione che servirebbe all’Europa
Servirebbe all’Europa una «grande coalizione»? Sì, servirebbe anche se è difficile che possa nascere. Non è tuttavia un esercizio futile immaginare un tale scenario. Può aiutare a capire meglio le difficoltà del presente. Ma occorre una premessa. Contrariamente a ciò che pensano i true believers , i veri credenti, ossia i faziosi di destra e di sinistra , quelle cose lì — destra e sinistra — contengono di tutto. Chi ha a cuore la democrazia liberale può constatare, dal suo punto di vista, quanto segue: in entrambi i contenitori (destra e sinistra) sono contemporaneamente presenti pessime idee e pessimi propositi, idee e propositi così così, buone idee e buoni propositi. Le grandi coalizioni funzionano (ma ci riescono raramente) quando i difetti dell’una e dell’altra parte si neutralizzano a vicenda. Soprattutto, possono avere successo se vengono emarginate le componenti massimaliste di entrambe.
Perché all’Europa servirebbe una grande coalizione? Per la stessa ragione per cui, di tanto in tanto, si formano grandi coalizioni entro i sistemi democratici nazionali: per fronteggiare condizioni di emergenza. Ci sono minacce che incombono sull’insieme dei cittadini europei. Anche se la percezione di quanto queste minacce siano gravi non sembra essere ancora sufficientemente diffusa. Si dice: l’invasione russa dell’Ucraina ha cambiato il mondo che conoscevamo. Ma quanti fra coloro che lo dicono hanno anche capito che se è cambiato il mondo intorno a noi, dobbiamo cambiare anche noi? È chiaro quale sia il retro-pensiero di molti: dopo che la guerra in Ucraina sarà finita (nel migliore dei casi con una sconfitta russa, nel peggiore con un cessate il fuoco sine die tipo conclusione della guerra di Corea) si tornerà
al mondo pacifico di prima. Ma non è così. Comunque finisca la vicenda ucraina, l’Europa, non per sua volontà, è passata, per restarci, da una condizione di pace a una di non-pace. Con rischi di guerra «calda» sempre in agguato. Significa che la minaccia e le pressioni della potenza euroasiatica (la Russia) sull’Europa non cesseranno.
Si pensi anche al movimento a tenaglia, alla minaccia russa dal Sud. Gli attuali scontri in Sudan sono alimentati dalla Wagner, braccio armato della Russia in Africa e in Medio Oriente (non solo in Ucraina). La pressione russa sull’Europa arriva dall’Est ma arriverà presto anche dal Sud. Ci sono in gioco, oltre che il controllo del Mediterraneo, anche quello di materie prime, opportunità di mercato, risorse energetiche. Per non parlare del fatto che una Russia insediata in luoghi strategici dell’Africa, del Medio e Vicino Oriente può ricattare e destabilizzare l’Europa mediante la gestione politica dei flussi migratori. E c’è naturalmente la Cina, con la sua potenza economica, e ormai anche militare, decisa quanto il suo alleato russo (ma con molte più risorse e capacità) a indebolire e a disarticolare il mondo occidentale, Europa in testa. Come ha osservato Sergio Fabbrini ( Il Sole 24ore , 10 aprile), commentando il viaggio in Cina di Macron, ai cinesi conviene trattare, come fanno, con le piccole nazioni europee singolarmente prese, sfruttando le nostre fragilità, piuttosto che con la Commissione europea. La Cina, inoltre, vuole fare di tutto per accelerare il ridimensionamento della potenza internazionale degli Stati Uniti. Lo ha osservato Danilo Taino (Corriere , 17 aprile). Gli europei antiamericani se ne rallegrano ma se quel ridimensionamento ci sarà, un’Europa divisa e quindi debole, cadendo sotto l’influenza di potenze autoritarie, cesserà prima o poi di essere democratica.
Una grande coalizione, eliminati da una parte e dall’altra gli incompatibili, a cominciare dai putiniani e cripto-putiniani di destra e di sinistra, potrebbe affrontare alcuni dei più gravi problemi che ha l’Europa. A cominciare dalla questione della sicurezza. Una compresenza, nel governo dell’Europa, di forze, di sinistra e di destra, consapevoli che il possesso di mezzi coercitivi (la forza militare) è necessario per garantire la sicurezza europea, potrebbe fare passi significativi in materia di difesa comune mantenendo contemporaneamente intatti i legami atlantici, l’alleanza politica e militare con gli Stati Uniti: difesa europea sì, terza forza fra Stati Uniti e Cina, spezzando in due il campo democratico, no. Checché ne dica Macron. Per inciso, non è possibile pensare realisticamente alla sicurezza europea se non si recupera, quanto meno in materia di difesa, la Gran Bretagna. Perché ci serve la sua forza militare e perché la presenza britannica è necessaria per bilanciare e, possibilmente, neutralizzare, i ricorrenti pruriti neogollisti della Francia.
Il richiamo al caso britannico serve anche per un’altra ragione. Brexit è stata soprattutto il frutto di una rivincita dell’insularità rispetto al continente. Ma al di là di ciò, molte delle critiche che i britannici rivolgevano all’Unione, quando ne facevano parte, non erano campate in aria. Quelle critiche venivano sempre bollate come frutto dell’«euroscetticismo»: qualche volta lo erano ma altre volte erano invece espressione di un disagio, squisitamente liberale, davanti all’eccesso di dirigismo che caratterizzale istituzioni europee. Se in una grande coalizione fossero presenti forze che condividono alcune di quelle critiche, forse le istituzioni europee, alla lunga, ne trarrebbero giovamento.
Da ultimo pensiamo al tema delle migrazioni. Una grande coalizione potrebbe mettere fuori gioco gli opposti estremismi (in Italia essi si manifestano, per così dire, in purezza): le pulsioni xenofobe di certa destra («Chiudiamo le porte ai barbari») e quelle evangelico-terzomondiste di certa sinistra («Sono loro i più deboli. Vanno accolti tutti»). Serve un punto di equilibrio. Una gestione realistica dei flussi (a livello europeo, come tanti invocano) non è possibile se gli opposti estremismi non vengono neutralizzati.
Sappiamo che il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni spera, dopo le prossime elezioni europee, di ottenere un ribaltamento delle alleanze, fare nascere una intesa fra popolari e conservatori nel Parlamento di Strasburgo. Sia o no realistico tale disegno non è comunque ciò a cui si riferisce lo scenario ipotizzato. Qualcuno può dire che qui si immagina, su scala europea, una sorta di «agenda Draghi». Nessuno ha mai capito cosa fosse la suddetta agenda. Però in politica c’è sempre bisogno di parole d’ordine e slogan. E dunque perché no?
L'articolo La grande coalizione che servirebbe all’Europa proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
GiustaMente
Due questioni di giustizia occupano le cronache: l’ipotesi di una revisione processuale per gli ergastolani della strage di Erba e la fuga di un detenuto in procinto d’essere estradato. Sono casi diversi, ma che hanno in comune la distrazione dal nocciolo del problema. Che è grave e pericoloso.
Due coniugi, Rosa Bazzi e Olindo Romano, sono condannati all’ergastolo, con tre sentenze conformi, per avere ucciso quattro persone e ferito gravemente una quinta l’11 dicembre del 2006. Un sostituto procuratore generale, presso il Tribunale di Milano, chiede ora che il processo sia rivisto, ritenendo innocenti i condannati. C’è chi sostiene di averlo sempre detto e chi (“Le Iene”) ne ha recentemente fatto oggetto di trasmissioni televisive con analoga finalità: sostenere che sono innocenti. Tutto legittimo. Ma, ove mai la richiesta venga accolta, il processo si rifarà in tribunale e non in televisione, sulla stampa o al bar. Capisco che tutto faccia spettacolo, purché sia chiaro che quello cui assistiamo è solo spettacolo. La questione è tutt’altra e anche gravida di dolorose conseguenze.
Fra le ragioni che il sostituto procuratore generale adduce, oltre a una diversa valutazione di prove e testimonianze, vi è un preciso e gravissimo rilievo. Leggo che considera «indotte, con modalità che definire poco ortodosse è fare esercizio di eufemismo, le “confessioni”, trattate invece alla stregua di prove regine». E aggiunge: «certo è che i due sono soggetti a qualche “manipolazione” da parte dei Carabinieri». Ed è qui che si apre una voragine, perché sotto processo deve finire qualche magistrato o responsabile dell’Arma.
Nessuno di noi crede che in tribunale possa agguantarsi una verità assoluta e non smentibile, sappiamo bene che l’errore non è mai cancellabile. Ma ritenere che dei collegi giudicanti considerino «prove regine» delle confessioni è come dare loro degli incapaci, se non analfabeti del diritto. Ritenere che le indagini abbiano indotto o coartato gli indagati a confessare quel che non hanno commesso è ipotizzare un reato in capo a chi interrogava, sia nel caso della polizia giudiziaria che del pubblico ministero responsabile delle indagini. Affermare che i Carabinieri possano «manipolare» gli indagati è immaginare loro come violatori della legge e il pm come loro complice o incapace di accorgersene. Fine. È questo il problema: qualcuno deve rispondere di quel che successe o di quel che sta accadendo, perché gli uni o l’altro stanno facendo il possibile per togliere credibilità e affidabilità alla pur fallace giustizia.
L’altro è il caso di Artem Uss, cittadino russo, tratto in arresto all’aeroporto perché ricercato negli Stati Uniti quale trafficante e complice degli aggiramenti delle sanzioni alla Russia. Dopo più di un mese in carcere, i giudici assegnano ai domiciliari la custodia cautelare, con braccialetto elettronico. Uss si libera del braccialetto e se ne va. Il ministro della Giustizia invia gli ispettori al Tribunale di Milano e la presidente del Consiglio considera dubbie le motivazioni dei domiciliari. Errori a catena.
I giudici devono restare liberi di sentenziare quel che credono e, semmai, la responsabilità dev’essere fatta valere ove sia il procedimento stesso a smentirli, non il potere esecutivo. I giudici non si occupano della sicurezza nazionale o di rapporti internazionali, ma della responsabilità penale, che è personale. Se Uss era da sorvegliare (e lo era) potevano circondare la casa con l’esercito o potevano chiedere ai servizi di sicurezza (che sostengono di nulla sapere!!), non sindacare i giudici. In ogni caso, una volta scappato, sia lui che il padre hanno tenuto a ringraziare gli «amici italiani» che lo hanno aiutato. Questa non è cortesia ma il manifestarsi di un ricatto attivo, teso a far sapere che potrebbero uscire i nomi degli «amici», veri o inventati. Quindi ci si preoccupi di quel che sarà fatto (o non fatto) per evitarlo. E si usi la mente nel parlare di giustizia.
L'articolo GiustaMente proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Germany insists in major revision of the EU Chat Control proposal to protect fundamental rights
Germany will not support the EU Commission’s „Chat Control“ proposal of a regulation on Child Sexual Abuse unless major changes are implemented, a leaked position paper reveals:
1) The country opposes „client-side scanning“ on personal devices and wants to exclude end-to-end encrypted messages from scanning. Audio communications and phone calls would also be exempted from scanning.
2) As for server-side mass scanning of private communications and cloud storage, the government „reserve[s] the right to make additional requests at a later date“, questioning the „permissibility“ of such scans in view of fundamental rights. Indeed the European Parliament’s Research Service found only last week that the globally unprecedented scanning orders proposed by the EU Commission would stand in Court only if they were targeted and „specific with regards to the group of individuals to be monitored“.
3) The German government also insists that no voluntary mass scanning by providers in the absence of an order should take place, as currently practised by various US services such as Facebook/Instagram Messenger, Gmail, outlook.com.
4) The proposed age verification requirements for communications services „must allow for anonymous or at least pseudonymous use of the services in question“. It is feared that these requirements could effectively mean the end of anonymous e-mail or messenger accounts, which can be essential for whistleblowers.
Pirate Party MEP Patrick Breyer, shadow rapporteur (negotiator) for his group in the Civil Liberties Committee (LIBE) and long-time opponent of mass scanning of private communications, comments:
„The EU Commission’s globally unprecedented proposal of indiscriminately searching the content of any private correspondence and photos is increasingly falling apart. A Chinese-style mass surveillance scheme as extreme as this doesn’t exist anywhere else in the free world for a reason: It would inflict a death blow to the security and secrecy of communications as well as the right to communicate anonymously, which protect children, victims, whistleblowers, dissidents, industry, governments and many more.
What we really need instead of untargeted chat control and identification obligations for age verification is obliging law enforcement agencies to have known exploitation material removed from the internet, as well as Europe-wide standards for effective prevention measures, victim support and counselling, and for effective criminal investigations.”
Leo
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