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Ucraina: controffensiva a rilento, la guerra si allunga
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di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 20 giugno 2023 – Otto villaggi e un centinaio di chilometri quadrati di territorio liberati in due settimane di controffensiva. Un bottino davvero magro quello che hanno potuto rivendicare il governo e i comandi militari ucraini, considerando soprattutto l’alto numero di vittime tra le proprie truppe (cifre esatte, ovviamente, non se ne diffondono) e l’utilizzo dei carri armati pesanti e di altre armi sofisticate arrivate nelle scorse settimane dai paesi dell’Alleanza Atlantica.
Non è un caso che i toni di Volodymyr Zelenskyi nei confronti degli alleati si siano alzati negli ultimi giorni, fino ad assumere in certi casi una connotazione aggressiva e minacciosa. Il governo di Kiev aspetta ora il prossimo vertice della Nato in preparazione a Vilnius per l’11 e 12 luglio per capire se dal fronte antirusso potrà ottenere una ulteriore escalation negli aiuti militari. Durante il vertice potrebbe di nuovo essere fissato – per la terza volta, visto che alcuni paesi membri non hanno adempiuto alle indicazioni dei vertici degli anni scorsi – un tetto minimo del 2% del Prodotto Interno Lordo da destinare alla spesa bellica.
Ma le recenti dichiarazioni di Joe Biden – secondo il quale l’Ucraina non potrà contare su nessun iter agevolato per entrare a far parte del Patto Atlantico, e dovrà invece soddisfare tutti gli standard richiesti – hanno rappresentato l’ennesima doccia fredda per il paese invaso, oltre che una delusione per i paesi dell’Europa orientale e baltica che sollecitano da tempo il passo. Anche il Parlamento Europeo, giovedì scorso, ha esortato a maggioranza – 425 favorevoli, 38 contrari e 42 astenuti – a «mantenere il suo impegno nei confronti dell’Ucraina» accelerando l’integrazione di Kiev nel Trattato Nord-Atlantico che nel frattempo si allarga in Estremo Oriente e in Oceania.
Il carattere non risolutivo della controffensiva ucraina lascia intendere che il conflitto diretto con Mosca, che dura già da 16 mesi, è destinato a durare ancora a lungo.
Mezzi blindati ucraini distrutti e abbandonati
I capi di stato e di governo di decine di paesi stanno facendo la spola con Kiev per tentare di esercitare un ruolo di mediazione per giungere quantomeno ad un cessate il fuoco. Ma, nonostante dalle capitali dei due paesi protagonisti del conflitto siano giunte per la prima volta aperture al dialogo e dichiarazioni concilianti, le possibilità concrete che nelle prossime settimane le armi possano tacere sono quasi del tutto inesistenti.
Secondo “Institute for the Study of War” (ISW), in realtà la vera controffensiva ucraina – pure annunciata da mesi – potrebbe non essere ancora partita. L’esercito ucraino, suggerisce il think tank statunitense, starebbe per ora sondando la capacità di reazione della truppe russe per avviare in seguito un’offensiva su vasta scala potendo contare su informazioni e analisi più dettagliate.
È però anche possibile che i comandi militari di Kiev – e i loro consiglieri della Nato – abbiano invece sottovalutato la resistenza sul campo delle truppe di Mosca, rimpolpate dai mercenari della Wagner, dai volontari ceceni e da un numero imprecisato di nuovi combattenti russi convinti dalla martellante campagna di reclutamento lanciata dall’esecutivo dopo i magri risultati ottenuti tramite la coscrizione obbligatoria.
Negli ultimi mesi l’esercito di Mosca ha di fatto cessato di avanzare e si è attestato su una linea di difesa, negli oblast del sud est e dell’est ucraino, che sono state opportunamente rinforzate in vista proprio della prevista controffensiva di primavera. I comandanti militari di Kiev mantengono uno stretto riserbo e i toni trionfalistici dei primi giorni sono stati progressivamente abbandonati, smentiti dalle immagini dei primi carri Abrams e Leopard abbandonati dalle proprie truppe o distrutti dal nemico. Intanti i russi continuano a martellare le infrastrutture militari e civili ucraine con i bombardamenti dei missili e dei droni, fiaccando la retroguardia di Kiev che tenta di rispondere – a volte con successo – utilizzando le batterie antiaeree fornite dagli alleati della Nato.
La sensazione è che il conflitto si sia impantanato e che il fronte (lungo circa 900 km), per quante armi l’Alleanza Atlantica possa inviare a Zelenskyi, potrebbe spostarsi nei prossimi mesi di pochi chilometri. Le truppe ucraine sono numericamente insufficienti per coprire tutto il fronte, e non a caso stanno concentrando i propri sforzi su tre direttrici – Lugansk, Donetsk e Zaporizhzhia – nel tentativo di spezzare in due il dispositivo militare russo.
Ma assai difficilmente Kiev riuscirà a replicare lo scenario dello scorso autunno, quando in poche settimane riuscì a riprendersi vasti territori negli oblast di Kherson e Kharkiv. Secondo vari osservatori militari le truppe russe avrebbero negli ultimi mesi sensibilmente migliorato le proprie strategie e la propria capacità di combattimento, facendo ad esempio un maggiore ricorso ai droni kamikaze.
L’imponente infrastruttura di difesa creata da Mosca sulle proprie linee è riuscita finora a rallentare le azioni offensive delle truppe ucraine, creando in alcuni casi dei colli di bottiglia che possono rivelarsi un grosso pericolo per le avanguardie di Kiev. Per non parlare dell’enorme quantità di mine e di trappole esplosive piazzate dai militari russi a protezione delle proprie postazioni.
Alla Russia, in fondo, mantenere un certo numero di territori occupati in Ucraina può far gioco, un risultato da poter vantare davanti all’opinione pubblica come una vittoria. L’Ucraina invece rischia di uscire fortemente logorata da un prolungamento indefinito dello scontro bellico.
I territori interessati dalle manovre Air Defender 2023 della Nato
«Resteremo in Ucraina a lungo termine», ha affermato nei giorni scorsi il segretario della difesa di Washington Lloyd Austin, spiegando che la battaglia che si svolge nel paese «è una maratona, non uno sprint».
Ma alla lunga l’industria militare occidentale – che pure sta facendo affari d’oro grazie al sostegno della Nato a Kiev – potrebbe non essere in grado di assicurare al paese invaso rifornimenti sufficienti e tempestivi, in particolare di proiettili. Un problema che sembra attanagliare anche il dispositivo offensivo russo. Nei giorni scorsi si è appreso che, in un anno, la Bielorussia ha consegnato a Mosca 130 mila tonnellate di munizioni. Inoltre Minsk ospita circa 10 mila militari russi. La scorsa settimana, poi, Vladimir Putin ha ribadito che a luglio un certo numero di testate nucleari tattiche russe verranno trasferite nel territorio dello stato confinante.
Resta da capire se i 31 paesi della Nato invieranno alla fine i caccia F16 a Kiev. Nel frattempo sia la Danimarcasia i Paesi Bassi stanno addestrando un certo numero di piloti ucraini all’uso di questo modello, ma finora nessuna decisione definitiva è stata adottata sull’eventuale invio degli aerei da combattimento che Mosca ha già chiarito di considerare un nuovo passo verso lo scontro diretto con l’Alleanza Atlantica. E comunque, così come è avvenuto per i carri armati, i primi caccia arriverebbero a Kiev solo tra qualche mese, e nel frattempo la guerra di trincea continuerebbe a macinare vittime e distruzioni.
Intanto dal 12 giugno il Patto Atlantico sta tenendo, nei cieli europei e in particolare tedeschi, le più imponenti esercitazioni militari di sempre con la partecipazione di diecimila soldati e 250 aerei appartenenti a 25 dei 31 paesi aderenti all’alleanza. Per esplicita ammissione di Jens Stoltenberg, le manovre “Air Defender”, durate in tutto dieci giorni, hanno voluto rappresentare un monito per Mosca. Ma in un clima avvelenato dalla corsa agli armamenti e dall’escalation bellica simili moniti rischiano di sortire esattamente l’effetto contrario a quello dichiarato, spostando in avanti la lancetta del conto alla rovescia verso lo scontro diretto e globale. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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Spionaggio: la Cina rafforza il suo arsenale normativo
Secondo la nuova formulazione - approvata dal parlamento cinese il 26 aprile e in vigore dal 1 luglio - "la portata degli obiettivi dello spionaggio” viene estesa a “tutti i documenti, i dati, i materiali e gli articoli" relativi alla “sicurezza o agli interessi nazionali”. Non più solo i “segreti di stato”.
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È l’europeismo l’eredità berlusconiana che Meloni dovrà raccogliere
Pur se descritto come il primo dei populisti, non si ricordano suoi cedimenti alla demagogia antieuropeista. Non lo fece quand’era al governo e non lo fece neanche durante i lunghi e non facili anni trascorsi all’opposizione. In questo, Silvio Berlusconi ha dimostrato una serietà e un realismo che mal si conciliano con la retorica che lo ha descritto come un leader tutto furbizie, spettacolo e sondaggi. Ebbene, se, com’è naturale che sia, Giorgia Meloni vorrà davvero incassare l’eredità politica berlusconiana è questo il punto su cui non le saranno consentite deroghe. Il che, se avrà la capacità di porsi in un’ottica non politicistica ma storicistica e culturale, si rivelerà un obiettivo alla sua portata senza bisogno di particolari abiure o compromessi imbarazzanti. Vediamo perché.
Ciclicamente riaffiora nella polemica politica e sulle terze pagine dei giornali la contrapposizione quasi etica tra patriottismo nazionale e patriottismo europeo. Come se i due orizzonti fossero fisiologicamente alternativi e l’uno rappresentasse fatalmente la negazione dell’altro. Non è questo che pensavano i più autorevoli tra gli europeisti italiani. E se ci liberiamo dai pregiudizi non è questo che suggerisce la ragione politica. I fondatori dell’Europa sostennero infatti sin dagli anni Cinquanta quel che il realismo ci induce a credere oggi: che i due sentimenti, perché di questo si tratta, possono e debbono convivere. Sono complementari, rappresentano l’uno la forza e il giusto limite dell’altro.
Carlo Magno, Luigi XIV e Napoleone Bonaparte cercarono di unire l’Europa senza rispettare le diversità nazionali. Fu questo l’errore da cui discese la caducità dei loro successi militari e diplomatici. I padri dell’europeismo trassero lezione dalla Storia ed evitarono di incorrere nel medesimo sbaglio. Uno per tutti, Altiero Spinelli. L’estensore del Manifesto di Ventotene aveva ben chiaro che “l’amore della Patria è una delle forze elementari che più arricchiscono la vita dell’individuo, dandogli l’immediato senso di una comunità di destino con altri esseri umani” e perciò teorizzò la nascita di una “Federazione europea” fondata non sul mito illuministico della Dea Ragione, ma “sulle comunità nazionali” e sul loro naturale sentimento patriottico e terragno.
La lezione di Spinelli è stata recepita dalle Istitutzioni europee. La Carta dei diritti ufficializzata a Nizza nel 2000, infatti, all’articolo 22 sancisce il rispetto della “diversità culturale” e sin dal Preambolo chiarisce che lo sviluppo dei valori dell’Unione non può realizzarsi a discapito “delle culture e delle tradizioni dei popoli d’Europa”. Si noti l’uso del plurale: non il popolo europeo, ma i popoli d’Europa. Concetto che Luigi Einaudi teorizzò già a fine Ottocento parlando di “Stati Uniti d’Europa”. Cioè di un’Europa fondata sulle diverse comunità nazionali e da queste indiscutibilmente arricchita. Del resto, come scrisse Benedetto Croce nella Storia d’Europa, “nazione è concetto spirituale e storico e perciò in divenire, e non naturalistico e immobile come quello di razza”.
Appare, dunque, oggi piuttosto chiaro che, nell’era della globalizzazione e dei revanchismi imperialistici, il divenire degli Stati nazionali europei sia l’europeismo. I due sentimenti non confliggono, si contemperano e rappresentano l’uno la salvezza dell’altro. A Giorgia Meloni conviene prenderne atto, e rifondare sulla duplice identità nazionale ed europea una destra che per governare non può pensare basti una manovra di avvicinamento iperpoliticista al Ppe. Servono (anche) una cultura e una retorica nuove. Così nuove da apparire vecchie come l’europeismo delle origini.
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“LAW AND ETHICS OF POST PANDEMIC HEALTH DATA SHARING – FONDAZIONE BROCHER”
È quello che ho detto oggi a Ginevra nell’incontro “LAW AND ETHICS OF POST PANDEMIC HEALTH DATA SHARING organizzato dalla Fondazione Brocher
EsAgitati
Boom! A leggere proclami e reclami, tonitruanti dichiarazioni e frementi indignazioni – il tutto amplificato ed estremizzato dai giornali, senza che ce ne sia alcun bisogno – sembra ogni giorno che si sia in procinto della fine del mondo o di un mondo nuovo, a seconda dei gusti, senza che il giorno appresso ci si ricordi più nemmeno di che diamine si stesse discutendo. Già presi dall’esagitazione per un nuovo tema e fronte. Non so se serva ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica. È comunque un efficacissimo sistema per perdere credibilità.
Prendete il capitolo giustizia: sembra che tutto sia stato riformato o demolito (sempre a seconda dei gusti), mentre invece non è cambiato proprio niente. Il Consiglio dei ministri ha soltanto approvato un disegno di legge dalla portata tematica limitata, che non ha manco iniziato il suo iter parlamentare. Altro che «Fatta la riforma», come strillano i titoli. Se si monta una gran caciara è perché si ritengono più importanti l’annuncio e la denuncia rispetto alla sostanza. Che poi, per carità, non si può avere tutto e subito e quel disegno è un buon punto d’inizio, che condivido. Ma non è una buona cosa che le opposizioni – comprese quelle (Azione e Italia Viva) che dicono di condividere il merito – non sappiano fare altro mestiere che il coro o il controcanto.
Avrebbero potuto osservare: 1. È singolare che il governo ci tenga a far sapere che il disegno preparato dal ministro Nordio è stato approvato all’unanimità, come se intendessero coprire dissensi, inducendo così a chiederci quali contrasti abbiano accompagnato tutte le decisioni in cui non s’è rimarcata l’unanimità; 2. Cancellazione dell’obbligatorietà dell’azione penale e separazione delle carriere non possono che viaggiare sul diverso binario delle riforme costituzionali, ma i due treni sarebbero dovuti partire assieme, mentre del secondo non c’è traccia neanche in officina; 3. Il disegno affronta soltanto alcuni punti, sicché sarebbe interessante sapere se, per il ministro e il governo, esauriscono i temi della legislazione ordinaria o se pensano di predisporre altri disegni. Nel primo caso sarebbe un moncherino; nel secondo si vorrebbe sapere quando arriveranno gli altri pezzi, se lo spezzatino serve ad agevolare i lavori parlamentari o se sul resto non c’era l’unanimità.
Così, tanto per dare l’impressione che opporsi non è soltanto il fare oggi quel che i governanti odierni fecero ieri – ovvero paventare sfracelli e piangere miseria – salvo poi dare del disfattista a chi dice esattamente le medesime cose (sbagliate) quando ci si trova al governo. Oramai la “sindrome Salvini” s’è impadronita di tanti e ha fatto scuola: basta che s’avvicini una telecamera e s’attacca a enumerare titoli, categorie, tragedie. Non una parola su possibili soluzioni o proposte, che tanto non c’è tempo e i seguaci si sono già stancati.
È da esagitati anche supporre che un evento – uno solo, benché finale come la morte – autorizzi a scrivere la storia in un giorno, lamentando gli altri che sia stata in un giorno riscritta. La storia ha bisogno di tempo. E non è mai, dicasi mai, una sola. Di sicuro uno storico che osi definirsi tale non va a copiare dagli atti giudiziari né si fa trascinare dall’amore o dall’odio. Difatti uno storico lavora su fatti non contemporanei, altrimenti sarebbe un cronista. L’esagitazione del presentismo, del credere che esista soltanto il tempo presente e soltanto in e per quello valga la pena agitarsi, spinge a raccontare ogni giorno e ogni fatto come epocale. Ho contato tre «più grandi romanzieri contemporanei» morti di recente. Come se un libro o una persona avessero maggior valore e il lutto desti maggior dolore nel caso in cui si tratti del “più” qualche cosa. In ogni caso: diteglielo da vivi, che magari fa loro piacere.
L’impressione è che tanta esagerazione ed esagitazione non derivino dalla consapevolezza che si sia innanzi a passaggi decisivi, ma dal bisogno di far credere importanti delle decisioni che sono di passaggio.
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GiustaMente
Non è alla memoria di chi non c’è più che si deve dedicare la riforma della giustizia; la si deve fare avendo memoria dei danni devastanti arrecati dalla malagiustizia alla vita economica, civile e anche politica. Se il capitolo giustizia è uno di quelli del Pnrr non è perché a qualcuno importi – presso la Commissione europea – della spartitocrazia correntizia imperante nel mondo delle toghe, ma perché senza giustizia funzionante non ci sarà mai un mercato regolarmente funzionante, sicché i soldi investiti saranno in gran parte buttati. L’idea che la riforma della giustizia abbia a che vedere con la sorte soltanto di qualche politico è fra le più stolte che si possano immaginare. Purtroppo avvalorata da politicanti senza cultura e giornalisti senza dirittura.
Oggi un disegno di legge dovrebbe essere approvato in Consiglio dei ministri, poi inizierà il suo iter parlamentare. Quattro sono le condizioni affinché non si riveli un petardo bagnato e si concilino giustizia e uso della mente.
1. Vedremo il contenuto, ma questo è sicuramente soltanto un pezzo di quel che serve. L’altro deve viaggiare sul binario della riforma costituzionale che, evitando i vizi del recente passato, dev’essere puntuale e specifica, non una macedonia. Qualsiasi riforma ordinaria è destinata a restare lettera morta senza separazione delle carriere e cancellazione dell’obbligatorietà dell’azione penale.
2. Cambiare le leggi è una parte del lavoro, che diventa inutile se non si cambiano l’organizzazione degli uffici e la carriera dei magistrati, sottraendo quest’ultima alle correnti e dotandola di indici oggettivi di capacità e merito. Ad Aosta servono mediamente 211 giorni per definire una causa civile. Non sono pochi, ma a Vallo della Lucania – vigenti le medesime leggi e procedure – ce ne vogliono 1.518 e a Isernia 1.337. Con l’eccezione di Marsala (dove ce ne vogliono 221), l’intero Sud è messo assai male. Dopo di che è inutile cercare cause antropologiche del mancato decollo produttivo di lande in cui la legalità non è assicurata in tribunale. A ogni guasto si può porre rimedio, ma non se il guastatore ammanicato fa più carriera del risanatore abbandonato. Su questo punto c’entrano poco le leggi generali e molto l’organizzazione e il fallimento del Consiglio superiore della magistratura. Cui non si rimedia senza smantellare la correntocrazia che se n’è impadronita.
3. Servono a nulla gli scontri di parole vuote. Serve a nulla mostrarsi corrucciati e puntare sull’ignoranza di chi ascolta. Nessuno vuole impedire che si arrestino i delinquenti, che si puniscano i corrotti o che si intercettino i criminali. La questione è che finiscono in custodia cautelare troppi cittadini che saranno poi assolti, che si aprono indagini e si portano a processo per abuso amministratori che saranno quasi tutti assolti e che si diffondono conversazioni private sputtananti e non pertinenti. Occhieggiare la telecamera per dire che «La gente deve sapere» o che «I criminali vanno fermati», senza affrontare la realtà che documenta quanto appena riassunto, è da imbroglioni. L’equilibrio non è facile né scontato. In compenso lo squilibrio è evidente.
4. Nel Pnrr è stato scritto che il carico dei procedimenti deve diminuire del 20-25%. In realtà servirebbe farlo scendere dell’80%. Ma come si fa? Non si possono certo lasciare correre reati erroneamente definiti “minori” né impedire a un cittadino di far causa a un altro. Ma si possono far funzionare riti alternativi, avvertendo che l’accusato ha diritto di accedere a un processo, ma nel caso di condanna paga anche il disturbo; altrimenti la si risolve prima, con un considerevole sconto. E si può stabilire che le cause civili relative al vicino che annaffia il geranio e m’inonda il pianerottolo oppure al ristorante che emana puzze siano decise in una mesata, sentite le parti. Altrimenti, se rimangono a litigare per 1.518 giorni, va a finire che il vicino lo ammazzano e i gerani glieli portano sulla tomba, dopo avere festeggiato al ristorante puteolente.
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VIDEO. Raid israeliano a Jenin, uccisi 5 palestinesi
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della redazione
Pagine Esteri, 19 giugno 2023 – Reparti militari israeliani hanno effettuato oggi un ampio raid nella città di Jenin per arrestare due palestinesi innescando un duro scontro a fuoco con combattenti palestinesi e arrivando ad impiegare anche un elicottero Apache.
È la prima volta che Israele impiega elicotteri da combattimento contro centri abitati palestinesi dalla fine della seconda Intifada (2000-2005).
Il ministero della sanità dell’Anp riferisce che almeno 5 palestinesi sono stati uccisi: Khaled Asasa, 21 anni, Qassam Abu Sariya, 29, Ahmed Saqr, 15, e Kayis Jabarin, 21. Del quinto non è noto il nome.
Altri 45 palestinesi sono stati feriti dal fuoco israeliano, di cui due in modo grave. Uno dei feriti gravi è una ragazza di 15 anni che è stata colpita da un proiettile nella sua abitazione.
Le autorità israeliane riferiscono di 8 soldati feriti.
La tensione è molto alta in tutta la zona e si segnalano scontri anche in altre località nel nord della Cisgiordania. Israele effettua frequenti raid a Jenin e nel suo campo profughi, sostenendo di dover combattere la militanza armata palestinese. In uno di questi, all’inizio dell’anno, morirono 10 palestinesi.
Bezalel Smotrich, ministro delle finanze israeliano di estrema destra, ha twittato che “è giunto il momento di sostituire l’ ‘attività delle pinzette’ con un’ampia operazione militare per sradicare i nidi di terroristi nella Samaria settentrionale, e ripristinare la deterrenza e la sicurezza nella regione”. Ha aggiunto che “è giunto anche il momento di utilizzare le forze aeree e le forze corazzate”.
L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Turk si è detto “estremamente preoccupato per la situazione” a Jenin, “comprese le apparenti esecuzioni da parte delle forze israeliane”.
Il ministero degli Esteri egiziano ha condannato quella che ha definito la “continua escalation (israeliana) contro i palestinesi”.
La scorsa settimana, un palestinese di 19 anni è stato ucciso da spari di soldati israeliani durante una irruzione nel campo profughi di Balata (Nablus) per effettuare. Un colono israeliano di 30 anni e quattro militari sono stati feriti durante una sparatoria nei pressi dell’insediamento oloniale di Mevo Dotan, nel nord della Cisgiordania. Pagine Esteri
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VIDEO. Raid israeliano a Jenin, uccisi 4 palestinesi
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della redazione
Pagine Esteri, 19 giugno 2023 – Reparti militari israeliani hanno effettuato oggi un ampio raid nella città di Jenin per arrestare due palestinesi innescando un duro scontro a fuoco con combattenti palestinesi e arrivando ad impiegare anche un elicottero Apache.
È la prima volta che Israele impiega elicotteri da combattimento contro centri abitati palestinesi dalla fine della seconda Intifada (2000-2005).
Il ministero della sanità dell’Anp riferisce che almeno quattro palestinesi sono stati uccisi: Khaled Asasa, 21 anni, Qassam Abu Sariya, 29, Ahmed Saqr, 15, e Kayis Jabarin, 21.
Altri 33 palestinesi sono stati feriti dal fuoco israeliano, di cui due in modo grave. Uno dei feriti gravi è una ragazza di 15 anni che è stata colpita da un proiettile nella sua abitazione.
Le autorità israeliane riferiscono di 8 soldati feriti.
La tensione è molto alta in tutta la zona e si segnalano scontri anche in altre località nel nord della Cisgiordania. Israele effettua frequenti raid a Jenin e nel suo campo profughi, sostenendo di dover combattere la militanza armata palestinese. In uno di questi, all’inizio dell’anno, morirono 10 palestinesi. Pagine Esteri
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Elettronica cambia volto. Enzo Benigni racconta la nascita di ELT Group
Elettronica diventa ELT Group, con un nuovo segno grafico rappresentato da una sfera dalla quale si propagano delle onde elettromagnetiche. L’azienda ha presentato il suo nuovo volto in occasione del Salone internazionale dell’aeronautica e dello spazio di Le Bourget, a Parigi. Il nuovo logo dell’azienda diventa una sfera dalla quale si propagano delle onde elettromagnetiche, un modo per veicolare le tre priorità di indirizzo di questa nuova evoluzione: la dominance dello spettro elettromagnetico in ogni dominio, la proiezione globale dell’azienda e l’accresciuta capacità di protezione di asset, persone e dati. Anche il claim scelto per accompagnare questo cambio di identità visiva segue i tratti di questa evoluzione: “Shaping technology, Global protection”.
Il piano di ELT Group
L’evoluzione segue la visione strategica dell’azienda guidata dal piano industriale Tenet 2030, i cui primi risultati sono stati presentati sempre a Le Bourget. Obiettivi del gruppo sono una dimensione sempre più globale e multidominio, capace di seguire i nuovi trend relativi alle piattaforme all’avanguardia, a partire dal caccia di sesta generazione Global combat air program (Gcap), a cui l’azienda partecipa. Priorità centrali saranno anche l’accesso allo spazio e l’accrescimento delle competenze cyber. Per quanto riguarda la sicurezza dello spettro elettromagnetico nello spazio, ELT Group ha realizzato il suo prima payload per attività di Signal Intelligence, Scorpio, messo in orbita bassa con un Falcon 9 di Space X ad aprile. In ambito cyber, invece, ELT Group fa affidamento sulla propria partecipata Cy4Gate con diverse tecnologie, dalle soluzioni anti-drone Adrian a quelle più specifiche per le reti IT/OT come l’Hybrid cyber digital twin, una piattaforma realizzata per facilitare l’identificazione di vulnerabilità e relative contromisure.
ELT Group. Una nuova visione strategica e una nuova identità
A presentare la nuova identità dell’azienda ci pensa il suo presidente e amministratore delegato, Enzo Benigni, di cui riproponiamo l’editoriale.
“Due anni fa la nostra azienda ha ragionato su una nuova visione strategica, sintetizzata nel piano industriale Tenet 2030, per cogliere al meglio le possibilità offerte da una competenza core nel governo dello spettro elettromagnetico, rispetto al nostro ambito di riferimento, e per farne un abilitante per un approccio multidominio.
In uno scenario rappresentato dalla profonda digitalizzazione e dalla necessità di soluzioni complesse, la gestione dell’Emso (Electromagnetic spectrum operations) sta conferendo una superiorità informativa e di reazione che la nostra azienda ha oggi tradotto in una visione strategica aziendale più ampia e più efficace: rafforzamento della competenza core nel mercato primario della Difesa, ma anche ingresso in nuovi mercati e in nuove geografie.
I trend più recenti hanno mostrato come la competenza di nicchia della nostra azienda potesse essere messa a servizio di nuovi domini, come lo Spazio e la Biodifesa, ed abilitare anche un approccio multidominio nel primario mercato di riferimento. Il progetto avionico di sesta generazione Gcap (Global combat air program) è solo il primo di una serie destinata a rivoluzionare il modo in cui il mondo della Difesa affronterà le minacce emergenti.
A distanza di soli due anni, questa strategia ha iniziato già a tradursi in risultati.
Innanzitutto nella forza di una presenza sempre più globale: l’azienda ha oggi undici sedi commerciali in evoluzione in tre continenti e, oltre alla Germania, ha costituito un’altra azienda di diritto locale nel Golfo, avendo una crescente presenza nel portafoglio ordini del mercato extra Eu.
L’azienda si è mossa in nuovi mercati come quello innovativo della Biodifesa: il successo della tecnologia di contrasto ai virus respiratori E4Shield ha incoraggiato a costituire una newco E4Life, presentata poche settimane fa e che ha l’ambizione di far evolvere ulteriormente la tecnologia – che oggi non inattiva solo il covid, ma anche i virus influenzali e nel futuro speriamo anche i batteri – e di portarla con efficacia sul mercato.
Il 15 aprile in nostro payload “Scorpio” è stato portato in orbita Leo dal Falcon 9 di Space X e sta conducendo la sua missione di raccolta di dati marittimi non classificati per intercettare possibili attività illecite. Abbiamo così dimostrato che le nostre tecnologie possono essere usate anche nel dominio Spazio, dove abbiamo già pensato ad una roadmap più articolata per attività di intelligence e protezione che presenteremo a breve.
Per affrontare al meglio nel mercato questa nuova visione strategica abbiamo pensato di rappresentare questa dinamicità anche nelle scelte di comunicazione, attraverso un nuovo brand che, senza disperdere la radice del nome tradizionale ELT, potesse riallineare l’immagine al noto piano strategico per presentarsi sul mercato con un brand unico.
ELT Group sarà l’identità unica con cui appariremo in tutti i mercati, dalla Germania agli Uae e ovunque è presente nel mondo e in tutti i domini, da quello della Difesa a quello della Biodifesa, e nelle geografie e nei mercati che verranno in futuro.
ELT Group avrà la forza di un one brand in tutti i mercati e di un’offerta commerciale unica, ma molto più ampia costruita grazie alle realtà facenti parte del Gruppo.
Nella rinnovata strategia aziendale le partnership avranno un ruolo fondamentale, sono state quelle che finora hanno permesso nel tempo di generare newco di valore quali Cy4Gate e E4Life, che nella nuova visione strategica conserveranno il loro brand ma rendendo evidente la loro appartenenza ad ELT Group.
Infine in questa nuova architettura aziendale avrà un ruolo fondamentale il New Tech Lab, che sarà il luogo della ricerca di ulteriori soluzioni non convenzionali nell’uso dello spettro elettromagnetico, ma anche un punto di contatto con enti di ricerca ed università, e di collaborazione con nuovi partner per fare in modo che l’intelligenza ingegneristica di ELT Group possa continuare a generare soluzioni sempre più innovative e sostenibili per la difesa di persone, asset e dati nel mondo della Difesa, ma non solo.
“Shaping Tecnologies, Global protection” è il claim che sintetizza questa ambizione”.
“EuroDig2023 – AI and trust”
Domani 20 giugno dalle ore 14.00 parteciperò al workshop “AI and Trust” nella sessione “AI: large language models for children and education” nell’ambito dell’agenda EuroDIG 2023 Per maggiori info qui Consolidated programme 2023 – EuroDIG Wiki
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ministero dell'Istruzione
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Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 24 giugno 2023, Capo d’Orlando
Saluti istituzionali
Franco Ingrillì Sindaco Capo D’Orlando
Domenico Magistro Presidente Camera Penale di Patti
Lara Trifilò Presidente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Patti
Antonella Marchese Responsabile della Scuola Territoriale della Camera Penale di Patti
Con la partecipazione del Viceministro Francesco Paolo Sisto intervengono:
Carmelo Occhiuto Consigliere della Giunta UCPI
Andrea Pruiti Ciarello Presidente Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella
Modera Franco Perdichizzi Giornalista de “La Gazzetta del Sud”
Evento accreditato presso il COA di Patti (2 CF)
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Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 23 giugno 2023, Messina
Saluti istituzionali
Franco Ingrillì Sindaco Capo D’Orlando
Domenico Magistro Presidente Camera Penale di Patti
Lara Trifilò Presidente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Patti
Antonella Marchese Responsabile della Scuola Territoriale della Camera Penale di Patti
Con la partecipazione del Viceministro Francesco Paolo Sisto intervengono:
Carmelo Occhiuto Consigliere della Giunta UCPI
Andrea Pruiti Ciarello Presidente Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella
Modera Franco Perdichizzi Giornalista de “La Gazzetta del Sud”
Evento accreditato presso il COA di Patti (2 CF)
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In Cina e Asia – Blinken incontra Wang Yi
Blinken incontra Wang Yi
Cina: nuove misure di stimolo all'economia
La New Development Bank dei BRICS è una banca zombie?
Cina: milioni di robot per assistere gli anziani
Topo nel riso: la provincia cinese del Jiangxi lancia una campagna per la sicurezza alimentare
Corea del Nord: riunione plenaria per rivedere le politiche economiche, diplomatiche e di sicurezza
Giappone: nuove leggi contro i crimini sessuali e le discriminazioni alla comunità LGBT+
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L’ALTRA ASIA – GLI E-BOOK DI CHINA FILES N°20
Da domenica 18 giugno è disponibile il nuovo dossier di approfondimento dedicato ai leader dell'Asia oltre Cina, India e Coree. Una panoramica sul continente che sta determinando il nostro futuro attraverso le storie e le vite di chi oggi è in cima alla piramide del potere
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Raid israeliano a Jenin, uccisi tre palestinesi
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della redazione
Pagine Esteri, 19 giugno 2023 – Reparti militari israeliani hanno effettuato oggi un ampio raid nella città di Jenin per arrestare due palestinesi innescando un duro scontro a fuoco con combattenti palestinesi e arrivando ad impiegare anche un elicottero Apache.
Il ministero della sanità dell’Anp riferisce che almeno tre palestinesi sono stati uccisi, uno di loro è Khaled Assasa, 20 anni. 22 sono stati feriti dal fuoco dell’IDF, di cui due in modo grave. Uno dei feriti gravi è una ragazza di 15 anni che è stata colpita da un proiettile entrato nella sua abitazione.
La tensione è molto alta in tutta la zona e si segnalano scontri anche in altre località nel nord della Cisgiordania. Israele effettua frequenti raid a Jenin e nel suo campo profughi, sostenendo di dover combattere la militanza armata palestinese. In uno di questi, all’inizio dell’anno, morirono 10 palestinesi. Pagine Esteri
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PRIVACYDAILY
Trasformare gli oggetti connessi in spie: l’eccesso di sicurezza del governo francese | Marx21
"Il Senato francese ha approvato in prima lettura (ma con procedura accelerata) una legge in cui, oltre a limitare (in stile berlusconiano) il diritto di espressione dei magistrati sindacalizzati (in un paese in cui c’è un forte sindacato di sinistra della magistratura, molto attivo nella difesa delle libertà pubbliche e di una visione egalitaria della società), si vuole dare la possibilità alla polizia di attivare i dispositivi teconologici di cui disponiamo per svolgere indagini. La differenza tra ciò che può fare un hacker (meglio, un craker) e quello che può fare la polizia si fa sempre più sottile. D’altra parte diventa palese e chiaro quello che tecnicamente già oggi può essere fatto per la sorveglianza preventiva dei movimenti (tra cui quello sindacale) di protesta e di organizzazione dei lavoratori."
I numeri (e gli obiettivi) del nuovo complesso militare-industriale europeo
L’autonomia strategica europea rimane ancora sulla carta, perlomeno per quello che riguarda la dimensione degli armamenti. L’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio del 2022 sembrava essere stata una doccia fredda per molti leader nazionali ed europei, che li ha convinti che ‘la Storia non fosse finita’ e che la potenza militare avrebbe giocato un ruolo di primo piano nelle dinamiche geopolitiche del XXI secolo.
Con il passare dei mesi, lo sforzo coordinato dei paesi membri ha permesso all’Unione di sostenere la resistenza di Kyiv all’invasione russa con armi, munizioni ed altri equipaggiamenti non letali. Mentre questi pacchetti di aiuti venivano confezionati, a Bruxelles così come nelle capitali europee diventava sempre più chiaro il fatto che l’arsenale militare europeo fosse ridotto agli sgoccioli.
Il progressivo svuotamento degli arsenali non suggeriva solamente l’impossibilità dell’Unione a continuare a inviare rifornimenti all’Ucraina; esso implicava che, in caso di escalation, l’Europa non avrebbe avuto gli armamenti sufficienti a difendere sé stessa.
Di fronte al manifestarsi di un tale scenario, la reazione Europea è stata netta: investire nella difesa. Non solo produrre di più, ma anche incrementare le capacità produttive, moltiplicando gli impianti e lavorando per ridurre le dipendenze da paesi non alleati all’interno delle varie supply chains, fino a farle scomparire definitivamente.
Tuttavia, nonostante i grandi proclami, sul piano pratico ci sono stati scarsi sforzi in questa direzione. A cavallo tra maggio e giugno, il Parlamento europeo ha espresso parere favorevole sulla proposta della Commissione (denominata Act in Support of Ammunition Production, o Asap) di destinare 500 milioni di euro all’incremento della capacità produttiva europea di munizioni e missili. Un evento importante, ma ancora non sufficiente.
Sul lato dell’offerta c’è stato qualche movimento, in risposta alla richiesta urgente di prodotti da parte dei governi di tutta Europa. Saab, Mbda, Thales, Nexter e Rheinmetall hanno incrementato i loro output su base mensile e/o annuale, per venire incontro all’elevata domanda di questi mesi. Ma sono solo risultati temporanei validi nel breve periodo, raggiunti istituendo turni supplementari, acquistando nuovi macchinari, dando priorità agli armamenti che scarseggiano maggiormente, coordinandosi con i fornitori e assumendo più lavoratori. Per portare la produzione ad un nuovo livello, servono investimenti e contratti a lungo termine.
Contratti che fino ad ora non sono stati firmati dalle autorità politiche. C’è qualche rara eccezione: Krauss-Maffei Wegmann ha ricevuto una commessa da parte del governo tedesco per la costruzione di 18 nuovi Leopard 2 (volti a rimpiazzare quelli mandati in Ucraina; Rheinmetall ha stipulato accordi sulla produzione di munizioni per un valore totale di più di 500 milioni di euro (la stessa cifra dell’Asap) con vari paesi europei; Nexter sta producendo munizioni da 155 mm acquistate di Helsinki. Ma allo stesso tempo, si continua a guardare all’estero. La Polonia (notoriamente più atlantista che europeista) ha stipulato contratti da più di 10 miliardi di dollari con aziende statunitensi per l’acquisto dei Main Battle Tanks Abrams e dei caccia multiruolo (F-35), a cui sembra essere interessata anche la Romania. Mentre Danimarca e Olanda hanno acquistato da Israele importanti porzioni di materiale militare.
“È un mercato molto specifico. Non c’è domanda privata, e le aziende dipendono molto dai rapporti con i governi” commenta la direttrice del programma military expenditure and arms production dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), Lucie Béraud-Sudreau. Finchè i governi non firmano accordi ufficiali, stanziando risorse economiche, i risultati saranno obbligatoriamente limitati. Lo rende esplicito il Ceo di Nexter, Nicolas Chamussy, rivolgendosi ai parlamentari francesi:”Ad oggi, lo sforzo di mobilitazione rimane in gran parte autofinanziato, stiamo raggiungendo il limite massimo. Questo autofinanziamento si ferma dove inizia l’imperativo di una buona gestione per le aziende private come noi.”
L’aumento delle spese militari è una delle grandi questioni (ri)emerse dallo scoppio del conflitto in Ucraina. Molti paesi membri della Nato stanno incrementando il budget dedicato, ma sono ancora lontani dal destinare il 2% del proprio Pil alle spese per la difesa, secondo quanto richiesto dalle regole dell’Alleanza. Mentre qualcuno già mira ad alzare la soglia al 3%. Le azioni dei prossimi mesi, così come quelle dei prossimi anni, saranno fondamentali per capire se e quanto l’Europa voglia veramente dotarsi di un Autonomia Strategica sul piano della produzione militare.
“Law and ethics of post pandemic health data sharing – Fondation Brocher”
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Dettagli incredibili di Marte, guarda il bellissimo video in 8k | Passione Astronomia
"Il rover Curiosity ci sta mostrando Marte come non lo avevamo mai visto con una risoluzione pazzesca! Ecco il filmato tutto da godere."
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#laFLEalMassimo – Episodio 97 – Imprese Strategiche e Interesse Nazionale
Questa rubrica continua a ribadire il proprio sostegno al popolo Ucraino e la rilevanza non solo umanitaria della vicenda è confermata dai recenti riferimenti da parte del governatore della banca d’Italia e dell’ex presidente della BCE che hanno sottolineato come il sostegno alla nazione invasa dalla Russia costituisca una priorità non solo dal punto di vista umanitario e civile, ma anche un presupposto fondamentale per il ripristino di un sistema di relazioni internazionali che sia fondato sul rispetto della sovranità di ciascun popolo e sul contrasto deciso di qualunque forma di espansionismo militare.
Molta dell’attenzione mediatica di questi giorni è stata catturata dalla dipartita di Silvio Berlusconi e in questa sede eviterò qualsiasi forma di giudizio politico, storico e sociale che risulterebbe ridondante rispetto a quanto già espresso in passato.
Vorrei invece prendere spunto dai rumors su una possibile vendita della società Media For Europe e sui discorsi che già si sprecano in merito agli interessi nazionali e alle cordate di salvatori nazionalisti che tanti danni hanno arrecato al nostro paese.
In un’epoca in cui le guerre si possono combattere anche e soprattutto per mezzo di tecnologie e rapporti commerciali, sarebbe ingenuo negare che esistano dei legittimi interessi nazionali da tutelare. Tuttavia, occorre resistere in modo deciso alle derive protezioniste e alla invadenza del potere politico sul tessuto imprenditoriale.
Con le dovute cautele rispetto ai regimi che in tutto o in parte non possono definirsi compiutamente democratici è bene pensare ancora che la somma dei paesi che hanno adottato un modello di società aperta possano essere considerati un unico mercato globale, nel quale non è rilevante a fini politici la nazionalità delle imprese e anzi nel quale è positivo che possa esservi una salutare concorrenza tra i paesi per offrire un ambiente favorevole ai lavoratori e alle imprese.
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✍️ Come vi state preparando alla #Maturità2023? Per essere pronti ad affrontare gli #EsamiDiStato2023, sul nostro sito trovate le tracce degli anni passati!
Qui la sezione ▶️ istruzione.it/esami-di-stato/t…
Ministero dell'Istruzione
✍️ Come vi state preparando alla #Maturità2023? Per essere pronti ad affrontare gli #EsamiDiStato2023, sul nostro sito trovate le tracce degli anni passati! Qui la sezione ▶️ https://www.istruzione.it/esami-di-stato/tracce_esempi.Telegram
Berlusconi e la sinistra liberale. | Marx21
"Dobbiamo guardare in faccia la realtà, la ‘rivoluzione liberale’ in Italia non l’ha fatta Berlusconi l’ha fatta la sinistra, l’abolizione dell’articolo 18, la precarizzazione del mondo del lavoro, le privatizzazioni, le liberalizzazioni sono stati i punti qualificanti del centro-sinistra italiano. [...] Non solo, ripensando alla criminale guerra che Berlusconi fece in Libia occorre ricordare la riluttanza del governo italiano ad entrare in guerra, che per questo veniva attaccato dall’opposizione del Pd e dall’allora Presidente Napolitano."
Wikeys, un gioco didattico per scoprire Wikipedia
Ho trovato da poco Wikeys, un gioco da tavolo per scoprire i principi fondamentali di Wikipedia e per imparare a scrivere correttamente un articolo.
È stato realizzato da Wikimedia France e finanziato dal Ministero della Cultura francese, è pensato per un uso didattico a scuola per studenti a partire dai 12 anni.
È distribuito con licenza Creative Commons BY-SA e si puo scaricare in francese da qui: commons.wikimedia.org/wiki/Fil…
Al link qui sotto si può trovare una presentazione in inglese di Wikeys scritta da Mathilde Louis di Wikimedia France: diff.wikimedia.org/2023/03/22/…
E qui invece la traduzione italiana dell'articolo:
dgxy.link/7UrvP
Per chi volesse approfondire, sempre in francese, la pagina di Wikipedia:
fr.wikipedia.org/wiki/Wikip%C3…
e un breve videotutorial con le istruzioni per l'uso:
yewtu.be/watch?v=4RJEUnCchhE
Il gioco è davvero interessante, se qualcuno è interessato si può proporre a @Wikimedia Italia una traduzione collaborativa.
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Yellow Magic Orchestra (YMO) - Solid State Survivor (1979, full album)
Ma la giustizia
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Enzo #Tortora 18 maggio 1988 – 17 giugno 2023
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Tra gli alleati dei maturandi per il ripasso in vista della #Maturità2023 c’è “Maturadio” 🎧 il podcast didattico con 250 lezioni divise per discipline, creato in collaborazione con Treccani e Rai Radio3.
Lo trovate qui ▶️ open.spotify.
Ministero dell'Istruzione
Tra gli alleati dei maturandi per il ripasso in vista della #Maturità2023 c’è “Maturadio” 🎧 il podcast didattico con 250 lezioni divise per discipline, creato in collaborazione con Treccani e Rai Radio3. Lo trovate qui ▶️ https://open.spotify.Telegram
Sostegno a Kiev e revisione dei piani regionali. La Nato ha gli occhi puntati su Vilnius
Maggior impegno per gli investimenti in Difesa e la preparazione del prossimo vertice di Vilnius in programma a luglio. Così si è conclusa la seconda giornata del Consiglio del nord atlantico, a livello di ministri della Difesa, che si tiene questi giorni al quartier generale della Nato a Bruxelles, presieduta dal segretario generale uscente, Jens Stoltenberg. Uno dei punti fondamentali ruota intorno all’appello del numero uno dell’Alleanza atlantica sul fatto che gli alleati dovrebbero prendere impegni più ambizioni per le spese in Difesa: “Il 2% del Pil deve essere una base di partenza, non il tetto degli investimenti”. Tra i ministri della Difesa presenti, vi era anche l’italiano Guido Crosetto, che a margine della riunione ha incontrato l’omologo britannico Ben Wallace, l’omologa canadese Anita Anand, e i ministri Martin Sklenar e Todor Tagarev rispettivamente in rappresentanza di Slovacchia e Bulgaria.
I bilaterali di Crosetto al Summit
Nel corso del lungo incontro con il ministro inglese, al centro vi era la volontà di rafforzare la cooperazione industriale bilaterale nell’ambito della Difesa. Come scritto su Twitter da Crosetto tale intesa “è destinata a rafforzarsi ulteriormente sulla scorta del partenariato strategico che lega i nostri Paesi in particolare col progetto Global combat air programme (Gcap)”. Anche durante il meeting con la ministra Anand si è posta l’attenzione sulla “comune volontà di instaurare una più stretta collaborazione nel settore della Difesa”, oltre a esprimere reciproco apprezzamento per l’impegno profuso in impegni multinazionali. Mentre, dopo aver ribadito ancora la volontà di cementare l’intesa a tema difesa, da Sklenar è “giunto apprezzamento per il sistema di difesa aerea italiano Samp-T rischierato in Slovacchia”, ha raccontato ancora il ministro Crosetto. Infine, con Tagarev si è affrontato il tema della “cooperazione tra le nostre Forze armate, in particolare nel Multinational battlegroup Bulgaria a guida italiana per la sicurezza del fianco Est dell’Alleanza”, ha concluso Crosetto.
Misure per l’Ucraina
La situazione sul campo in Ucraina continua a vedere scontri giornalieri tra Mosca e Kiev. Come ha raccontato Stoltenberg “le forze ucraine hanno intensificato le operazioni lungo la linea del fronte e stanno facendo progressi”, ma in ogni caso “devono affrontare un terreno difficile, con truppe russe trincerate e combattimenti feroci”. Ed è evidente come in un tale contesto di tensioni, un maggiore sostegno all’Ucraina si dimostra ancora una priorità per gli alleati. Ed è in questo quadro che si inseriscono le iniziative di Olanda e Danimarca di addestrare a partire da questa estate i piloti ucraini all’uso dei velivoli F-16; così come l’iniziatva inglese, che mira invece a fornire missili di difesa aerea a corto e medio raggio alle forze ucraine. Inoltre, la Nato è al lavoro anche per l’istituzione di un nuovo consiglio Nato-Ucraina. Tuttavia, al summit in Lituania “non si parlerà di un invito all’Ucraina di adesione alla Nato”, ha anticipato Stoltenberg, ma si cercheranno piuttosto “soluzioni per portare più vicino l’Ucraina alla Nato”.
La questione svedese
Mentre l’entrata della Finlandia nella Nato è ormai realtà, lo stesso non si può dire per la Svezia. Proprio pochi giorni fa ad Ankara vi è stato, come ha spiegato Stoltenberg, un incontro nella cornice del “meccanismo creato lo scorso anno che riunisce Svezia, Finlandia, Turchia e Nato” che “non ha naturalmente risolto tutte le principali questioni, ma si è tenuto in un atmosfera costruttiva e abbiamo visto alcuni progressi” sul processo di adesione della Svezia all’Alleanza. Tale meccanismo è avvenuto a un paio di settimane dall’incontro fra il segretario generale della Nato e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, in cui i due avevano “concordato di convocare il meccanismo per verificare i progressi del percorso di adesione della Svezia”. “La Svezia è pronta” a entrare nell’Alleanza, ha ribadito Stoltenberg, rimarcando che la Nato continuerà ad adoperarsi affinché ciò avvenga “il prima possibile”.
Revisione dei piani regionali
Secondo quanto anticipato a Bruxelles, a Vilnius verranno presi anche provvedimenti per rafforzare la deterrenza e la Difesa dell’Alleanza, grazie a nuovi piani regionali. “Per la prima volta dai tempi della Guerra fredda, stiamo collegando completamente la pianificazione della nostra Difesa collettiva con la pianificazione delle nostre forze, capacità, comando e controllo”, ha infatti anticipato Stoltenberg, aggiungendo anche che vi sarà anche un programma di esercitazioni potenziato per le truppe alleate. Così la Nato si appresta ad avere “più di 300mila soldati in alta prontezza, con il supporto di notevoli capacità aeree e marittime, per difendere ogni centimetro del territorio alleato da qualsiasi minaccia”, ha concluso il numero uno della Nato.
Un punto sul nucleare
La recente dichiarazione di Mosca in merito all’intenzione di voler schierare armi nucleari in Bielorussia è stata presa molto sul serio dagli alleati ed è stata argomento di discussione nel corso della riunione del Nuclear planning group della Nato. “Abbiamo visto alcuni preparativi in corso, seguiremo da vicino ciò che stanno facendo e resteremo vigili”, ha dichiarato infatti Stoltenberg, sottolineando però che “a ora non c’è stato alcun cambiamento nella postura nucleare russa che richieda un cambiamento nella nostra postura, ma valuteremo costantemente cosa fare”. Mantenendosi nel frattempo preparati a rispondere a ogni potenziale minaccia.
PRIVACYDAILY
In Iran nel mese di maggio sono stati condannati a morte 146 detenuti
Il mese di maggio ha visto le esecuzioni per impiccagione di almeno 146 detenuti in Iran, quasi tutti prigionieri politici, tra cui tre donne.
Una delle tre donne giustiziate era Madineh Sabzevan di 39 anni, mamma di cinque figli. È stata impiccata perché accusata di essere implicata in un traffico di droga nonostante che il 13 agosto 2017 il parlamento dei mullah, l’Assemblea consultiva islamica (Majles), avesse approvato un disegno di legge per limitare la pena di morte ai signori della droga e alle loro organizzazioni criminali e punire solo con il carcere i piccoli spacciatori.
Ma questa legge è tuttora applicata in maniera molto estensiva ed è spesso utilizzata per condannare a morte gli oppositori politici che vengono accusati di “muovere guerra contro Dio (moharebeh)”, di “terrorismo” e di “spaccio di stupefacenti” che implica la colpa di “diffondere la corruzione sulla terra (Mofsed-e-filarz)” e di essere “trasgressori dell’ordine morale”.
Dunque, anche se la maggior parte degli spacciatori di droga non sono veri contrabbandieri o capibanda, ma sono consumatori costretti al crimini per la loro dipendenza o a causa della povertà, della disoccupazione e della disperazione, spesso vengono condannati comunque a morte perché la loro vera colpa è di aver espresso pubblicamente contrarietà e opposizione al regime in loro discorsi o nei loro scritti o per aver partecipato a manifestazioni di protesta.
Tutti i giorni si assiste a sit-in di madri con i loro bambini anche molto piccoli davanti ai palazzi dei tribunali rivoluzionari degli ayatollah o davanti alle prigioni di varie città del paese.
A Tehran, come a Isfahan, a Karaj, a Sanadaj, nel Kurdistan iraniano, a Bandar Abbas e fino a Zahedan, nella regione del Belucistan, le mamme manifestano davanti ai palazzi di giustizia e alle carceri esortando le autorità a non giustiziare i loro cari.
Protestano con veemenza per il crescente numero di esecuzioni e hanno chiesto l’immediata sospensione degli ingiusti ordini di impiccagione decisi per i loro congiunti. Sfidano i colpi dei fucili dei paramilitari delle forze volontarie basij dei pasdaran; sfidano i proiettili a pallini dei fucili da caccia; sfidano i gas lacrimogeni di nuova generazione, altamente irritanti.
Il 19 maggio, a Isfahan, durante le proteste notturne contro l’esecuzione di tre prigionieri politici, circa 100 persone, tra cui 40 mamme, sono state arrestate a Tehran e trasferite nelle carceri di Evin, di Qarchak e Greater solo per aver chiesto clemenza per i loro figli.
L’esecuzione di così tante persone in un solo mese ha portato tremende sofferenze alle loro madri, alle mogli e in particolare alle famiglie dei manifestanti arrestati durante le rivolte per Mahsa Amini del 2022-2023.
Le famiglie dei manifestanti giustiziati,come quelle di Saleh Mir-Hashemi, di Majid Kazemi e di Saeed Yaghoubi, hanno sofferto molto perché i i pasdaran non hanno permesso di seppellire i loro figli. Le forze di sicurezza hanno seppellito i tre manifestanti in tre luoghi distanti e non hanno permesso alle loro famiglie di tenere alcuna cerimonia funebre.
Le autorità dell’intelligence iraniana hanno chiamato il fratello di Majid Kazemi e gli hanno detto di unirsi a loro senza dirlo a nessuno. Poi hanno portato il corpo di Majid in un luogo remoto e lo hanno seppellito in un fosso molto piccolo per lui. Hanno detto al fratello del defunto di chiamare a casa e di far sapere ai genitori dove era stato seppellito il loro figlio.
Nonostante ciò, le autorità hanno arrestato e detenuto arbitrariamente la sorella e due fratelli del manifestante giustiziato, come avvertimento mafioso mirante a costringere la famiglia al silenzio.
Per quanto riguarda il giovane campione di karate, Saleh Mir-Hashemi, le autorità carcerarie avevano assicurato a sua madre che non lo avrebbero giustiziato, ma invece lo hanno fatto. La povera mamma di Saleh ha denunciato il fatto che avevano ammanettato suo marito per impedirgli di andare al funerale e che li avevano di fatto tenuti sotto sequestrato per alcuni giorni impedendo loro di tenere la cerimonia funebre. “Hanno ammanettato suo padre, ci hanno impedito di uscire di casa, hanno portato il corpo di Saleh in un villaggio remoto e l’hanno seppellito lì. Non ci hanno permesso di tenere alcuna cerimonia”, ha denunciato la mamma di Saleh.
Sono queste tattiche di un regime mafioso per incutere terrore e impedire che la morte brutale dei manifestanti possa alimentare nuove rivolte e che le cerimonie funebri possano trasformarsi in moti rivoluzionari.
Mamme di curdi e di beluci uccisi dalle forze di sicurezza, sono loro, le donne che stanno pagando il prezzo più elevato.
All’allarmante aumento delle esecuzioni seguono tattiche del regime per prevenire lo scoppio di altre rivolte da parte di una popolazione, in particolare giovanile, insofferente, molto arrabbiata, che non ha nulla da perdere e che quindi desidera il rovesciamento del regime.
Le autorità iraniane usano anche tattiche ingannevoli per placare le rivolte come quella della finta amnistia proclamata nel gennaio 2023, quando avevano annunciato la scarcerazione a 82 mila prigionieri, 22 mila dei quali erano manifestanti. Poco dopo, però, la Magistratura ha cominciato a convocare i manifestanti che aveva precedentemente scarcerato e a rimetterli in carcere con altre accuse.
Un’altra tattica utilizzata è stata quella degli attacchi chimici alle studentesse, che sono continuati per sei mesi, per mettere a tacere le coraggiose donne che mostravano, fiere, le loro ciocche al vento.
La magistratura del regime sta ora convocando anche i giornalisti precedentemente rilasciati a febbraio, affermando falsamente di aver concesso loro l’amnistia. Tuttavia, la giornalista Maryam Vahidian è stata condannata a quattro anni di carcere.
Marzieh Mahmoudi, giornalista e direttrice di Tejaratnews, è stata condannata dal tribunale a pagare una sanzione pecuniaria di 24 milioni di toman per aver pubblicato un singolo tweet, contestando il linguaggio altamente volgare usato dal mullah Hamid Rasaii, un ex deputato, contro la libertà.
Il 20 maggio, Nasim Sultan Beigi, una giornalista ed ex attivista studentesca, è comparsa davanti al quarto ramo dell’ufficio del procuratore di Evin per difendersi dalle accuse di “propaganda contro lo stato”. La signora Sultan Beigi era stata arrestata in un aeroporto l’11 gennaio 2023 e rilasciata su cauzione il 6 febbraio scorso.
Nel frattempo, il 21 maggio, Vida Rabbani, un’altra giornalista, è stata trasferita dalla prigione di Evin all’ospedale Taleghani di Tehran per la somministrazione di cure mediche urgenti. Negli ultimi due mesi era stata alle prese con forti mal di testa, ma le autorità competenti si erano fermamente opposte al trasferimento in una struttura medica esterna.
I processi a porte chiuse a due note giornaliste, recluse dal settembre 2022 nel carcere di Evin per aver riferito della morte e della cerimonia di sepoltura di Mahsa Amini, si sono svolti presso il tribunale rivoluzionario di Tehran il 29 e 30 maggio scorso. Alle due giornaliste, Niloufar Hamedi e a Elaheh Mohammadi, non è stato permesso di incontrare i loro avvocati.
Il processo alla signora Hamedi è durato solo due ore e ai suoi avvocati difensori non è stato concesso il tempo di presentare alcuna difesa. La signora Hamedi ha respinto le accuse contro di lei, tra cui quella di spionaggio per presunta “collaborazione con il governo nemico (USA)” e di “propaganda contro lo stato”.
I manifestanti prigionieri in Iran vengono sistematicamente torturati e tenuti in celle di isolamento al buio, senza cibo e acqua; spesso sia le donne che gli uomini vengono stuprati; non hanno diritto ad un avvocato difensore né a contattare o a ricevere visite di legali o di attivisti per i diritti umani.
Si stima che dall’inizio della rivolta giovanile, dal 16 settembre 2022, dopo l’uccisione di Mahsa Amini, almeno 130 avvocati di tutte le province del Paese, tra cui dozzine di donne, siano stati convocati o arrestati dalla magistratura. Le accuse vanno dall’abuso dell’esercizio della loro professione alle opinioni espresse sui social media, considerate espressioni di “inimicizia e odio contro Dio”.
Il trend è in aumento. Nel solo maggio 2023 sono stati settanta gli avvocati convocati e arrestati. I procedimenti sono per lo più condotti dal tribunale di sicurezza che ha sede nella famigerata prigione di Evin a Tehran. Contro di essi non sono state formulate pubblicamente accuse specifiche.
Gli avvocati vengono costretti durante le udienze a firmare una “lettera di impegno” in cui si obbligano a rispettare le disposizioni della magistratura come condizione per il loro rilascio su cauzione. Nella lettera viene espresso “rammarico” per le proteste insorte a livello nazionale e l’impegno a non contattare “reti di legali o organizzazioni per i diritti umani fuori dal paese, perché considerati elementi controrivoluzionari”. Una tale pratica è considerata una minaccia alla sicurezza del paese e può essere perseguita anche con l’ergastolo o con la condanna a morte.
È questa una tattica che mira a incutere timore e ad esercitare pressione sugli avvocati, affinché non sostengano le proteste e i manifestanti.
Il regime iraniano cerca così di mettere a tacere le voci dissenzienti e di sopprimere le aspirazioni del loro popolo. Tuttavia, larghi strati della popolazione, in particolare le donne, rimangono resilienti e determinate a continuare la coraggiosa e pacifica lotta intrapresa per un futuro migliore di libertà e di democrazia.
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