WaveMakers la serie che ha dato il via a un’ondata MeToo a Taiwan
WaveMakers, serie Netflix uscita nel 2023, racconta le vicissitudini dell'ufficio stampa di un partito politico taiwanese, impegnato nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali. Al centro della vicenda vi è la storia di una ragazza dell'ufficio stampa del partito, che accusa un collega di molestie sessuali. WaveMakers ha rafforzato il movimento #MeToo a Taiwan. Articolo realizzato in collaborazione con Gariwo - La Foresta dei Giusti
L'articolo WaveMakers la serie che ha dato il via a un’ondata MeToo a Taiwan proviene da China Files.
In Cina e Asia – Summit Nato: "Pechino minaccia l’ordine internazionale”
I titoli di oggi:
Summit Nato: "La Cina minaccia l'ordine internazionale"
Thailandia: il premier ed ex generale golpista Prayut annuncia di volersi ritirare dalla politica
Taiwan, pronta esercitazione di evacuazione su larga scala
Bulgari si scusa con Pechino per aver separato la Rpc da Taiwan sul proprio sito
Tik Tok, senatore Usa: il "lobbying aggressivo di Pechino sta rallentando la corsa al RestrictAct"
Allarme talenti, le aziende cinesi cercando di "riprendersi" i cittadini all'estero
Clima, piogge record causano morti e danni in tutta l'Asia
L'articolo In Cina e Asia – Summit Nato: “Pechino minaccia l’ordine internazionale” proviene da China Files.
“L’uomo e l’intelligenza artificiale tra scienza, etica e diritto”
Oggi a partire dalle ore 18,30 parteciperò con Gianluigi Ciacci e Paolo Galdieri all’incontro “L’uomo e l’intelligenza artificiale tra scienza, etica e diritto” organizzato dell’Associazione Culturale International Horizon, via degli Uffici del Vicario 43, Roma Qui il link completo alle informazioni internationalhorizon.it/2023/0…
like this
Difesa, investimenti e migranti. Patto da 30 miliardi tra Meloni ed Erdogan
Quota trenta. È l’obiettivo italo-turco relativo all’interscambio commerciale tra i due paesi, scaturito tra le altre cose, dall’incontro bilaterale a margine del Vertice Nato di Vilnius tra il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il Presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan. Il faccia a faccia tra i due leader, accompagnati dalle delegazioni, è durato circa 50 minuti, a conferma degli intensi rapporti tra i due Paesi. Focus su difesa, investimenti e migranti.
Scambi
Punto di partenza la relazione solida alla voce difesa, che rende l’asse tra Italia e Turchia intenso: l’obiettivo di un ulteriore slancio nei rapporti economici, per arrivare a un interscambio di 30 miliardi di euro, rappresenta l’impegno comune. Esattamente un anno fa l’allora premier Mario Draghi siglò ad Ankara ben nove accordi di cooperazione in diversi ambiti in occasione del terzo vertice intergovernativo, dopo quelli datati 2008 e 2012. L’Italia è il quarto partner commerciale della Turchia, inoltre Roma e Ankara, in qualità di potenze regionali, condividono interessi comuni nel bacino del Mediterraneo su cui provano ad incidere in aree connesse come Libia, Afghanistan e Libano.
Mediterraneo
Da un lato Giorgia Meloni ha posto l’accento sulla strategia complessiva per il Mediterraneo e il contrasto all’immigrazione clandestina, coagulatasi nel Piano Mattei e ha confermato l’interesse alla collaborazione in diversi settori. Dall’altro appare evidente che, al momento, un dossier su tutti spicca tra i due paesi: la Libia.
L’Italia da tempo sta costruendo uno sforzo diplomatico al fine di offrire supporto alla stabilizzazione istituzionale del paese, con l’auspicio che si tengano al più presto elezioni politiche libere e regolari e parallelamente con Eni svolge un ruolo ormai certificato.
La Turchia continua nelle sue interlocuzioni con il governo locale, al fine di restare centrale nell’area: lo dimostra il recente annuncio del ministro libico del petrolio e del gas, Mohamed Aoun, riguardo al fatto che le società turche sono partner prioritari per la ricerca sismica in Libia, citando la vicinanza geografica e l’esperienza della Turchia nel settore. Più in generale, l’intero versante che va da Gibilterra a Cipro è attraversato da zone economiche esclusive valutate come una straordinaria opportunità commerciale.
Energia
Anche se non è stato ufficialmente oggetto del vertice, il dossier energetico è di fatto uno dei maggiori punti all’interno delle politiche mediterranee che riguardano le relazioni fra i due paesi. Va ricordato che la capacità del Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline (Tanap) che trasporta il gas naturale dall’Azerbaigian alla Turchia e poi in Europa, è stata rafforzata contribuendo non solo alla partnership energetica tra Ankara e Baku ma facendo della Turchia un punto di riferimento. Quest’anno i dati elle esportazioni parlano di 22,2 miliardi di metri cubi di gas attraverso il gasdotto, di cui 10,2 bcm destinati alla Turchia e 12 bcm all’Europa.
Il combinato disposto tra il Baku-Tbilisi-Erzurum, il Tanap e il Tap, è di 40 miliardi di dollari, proprio al fine di aumentare la diversificazione delle risorse dell’Europa alla voce gas naturale. Secondo i dati diffusi dal “Natural Gas Market 2022 Sector Report” dell’Autorità turca di regolamentazione del mercato energetico le spedizioni di gas dall’Azerbaigian alla Turchia quest’anno accusano un aumento di circa 1,5 miliardi di metri cubi rispetto a 12 mesi fa.
PRIVACYDAILY
#38 / Geopolitica dei dati e coincidenze
Stati Uniti e Unione Europea hanno fatto pace
La notizia della settimana è che la Commissione Europea ha adottato una decisione di adeguatezza per il nuovo accordo internazionale per il trasferimento di dati verso gli Stati Uniti: lo EU-US Data Privacy Framework, che ha sostituito il Privacy Shield.
Dice la Commissione che ora le aziende europee potranno esportare dati verso gli Stati Uniti, come facevano fino al 2020, senza doversi preoccupare di adottare particolari misure di sicurezza per la salvaguardia dei nostri interessi.
Sei già iscritto a Privacy Chronicles? No? Dai su…
Il motivo di questo rinnovato amore dopo anni di guerra fredda sui dati — di cui anche chatGPT fu vittima recente — è che gli Stati Uniti avrebbero previsto delle misure di salvaguardia per i diritti dei cittadini europei, inclusa la limitazione dell’accesso ai nostri dati da parte dell’intelligence statunitense.
Eh sì, perché nel 2020 abbiamo deciso che esportare dati verso gli Stati Uniti era illegale proprio a causa di una sentenza della Corte di Giustizia Europea che dopo una causa lunga quasi 10 anni decise che le attività di sorveglianza di massa dell’intelligence statunitense erano troppo pervasive e penetranti per poter anche solo sperare di proteggere i diritti e interessi dei cittadini europei.
Abbiamo passato gli ultimi 3 anni a fare terrorismo psicologico alle aziende, con tanto di sanzioni del Garante Privacy, ma si scherzava: col nuovo pezzo di carta magico firmato da Biden e dalla Von der Leyen ora siamo tutti di nuovo al sicuro e i nostri dati potranno liberamente transitare verso i nostri padr… ehm — alleati: gli Stati Uniti.
BitcoinVoucherBot è un servizio semplice, sicuro e privacy friendly per acquistare Bitcoin. Niente siti web, niente tracking IP, nessun documento richiesto. Solo Telegram. Clicca qui per iniziare a usarlo! Annuncio sponsorizzato.
BRITcoin sarà uno strumento di controllo dell’immigrazione?
Britcoin, il nome con cui è conosciuto amichevolmente il progetto inglese di CBDC (Central Bank Digital Currency) — da non confondersi con Bitcoin — potrebbe essere collegato a un sistema di age check e nationality check automatizzati1.
In altre parole, questa nuova versione della Sterlina potrebbe essere programmabile in modo tale da bloccare l’acquisto di prodotti vietati ai minori di 18 anni o magari applicare condizioni di utilizzo diverse in base alla nazionalità. Magari potrebbero essere previsti limiti temporali per l’uso della CBDC nazionale da parte dei turisti o di tutti coloro che per qualche motivo si trovano in UK senza avere la cittadinanza.
La programmabilità è una caratteristica funzionale di molti progetti di CBDC, e la Bank of Englad non ha mai fatto mistero della volontà di approfondire proprio questo aspetto. I soldi del futuro potrebbero diventare un’importante arma geopolitica, ancora più di adesso.
Facebook era un progetto del Pentagono?
Noi ci fidiamo degli Stati Uniti perché sono nostri grandi amiconi, ma non dimentichiamo che hanno da sempre avuto il pallino della sorveglianza di massa.
Parliamo ad esempio di un peculiare progetto finanziato nel 2003 dalla US Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), che aveva lo scopo di creare una piattaforma pubblica per la raccolta massiva di dati personali utili ad allenare algoritmi di intelligenza artificiale.
Il progetto si chiamava “LifeLog” e l’idea era molto semplice: creare uno strumento — una sorta di diario elettronico — che permettesse alle persone di registrare digitalmente la loro vita: spostamenti, conversazioni, letture, relazioni, acquisti e molto altro.
"LifeLog will be able … to infer the user’s routines, habits and relationships with other people, organizations, places, and objects," the pamphlet explained, "and to exploit these patterns to ease its task."2
Inspiegabilmente DARPA chiuse però i rubinetti al progetto LifeLog poco meno di un anno dopo la sua nascita, precisamente a febbraio 2004…
Per una assoluta coincidenza, proprio in quegli stessi giorni veniva fondato Facebook.
Stasera webinar su privacy, sicurezza e hard-wallet
Se possiedi un Ledger o un altro hard wallet potrebbe interessarti il webinar di stasera organizzato da Etherevolution, in cui si parlerà di privacy, sicurezza e hard wallet.
Spiegheranno come evitare rischi, le caratteristiche ottimali, le vulnerabilità e l'importanza di agire responsabilmente ed evitare scorciatoie quando si tratta della sicurezza dei propri fondi.
Parteciperò anch’io, anche se solo come ospite.
Per chi volesse iscriversi: questo è il link.
Meme del giorno
Citazione del giorno
“In the West, we have been withdrawing from our tradition-, religion- and even nation-centred cultures, partly to decrease the danger of group conflict. But we are increasingly falling prey to the desperation of meaninglessness, and that is no improvement at all.”
Jordan B. Peterson
Aiutaci a sostenere Privacy Chronicles!
Ogni settimana siamo nella tua casella di posta a farti compagnia con notizie e approfondimenti che spesso sembrano usciti da un episodio di Twilight Zone. E speriamo di continuare a farlo!
Un modo per sostenere Privacy Chronicles è condividere questo articolo con i tuoi amici e conoscenti e lasciare un like o un commento! Un altro modo è abbonarsi (anche in Bitcoin) per l’equivalente di una colazione al mese.
O ancora, puoi fare una donazione libera in sats, scansionando questo QR Code:
Scansiona il QR Code con il tuo wallet LN oppure clicca qui!
1
Dal match tra i due finti nemici Musk vs Zuckerberg alla guerra (geopolitica) nella Silicon Valley tra i cani da guardia dell'Impero
@Informatica (Italy e non Italy 😁)
Ci sarà l'annunciato match di lotta Mma tra Elon Musk e Murk Zuckerberg? Musk ha lanciato il guanto su Twitter e Zuckerberg l’ha raccolto su Instagram. La 'sfida' nasce dal lancio di #Threads, il nuovo social della Meta di Zuckerberg che imita il Twitter di Musk. La vicenda è solo uno dei contrasti tra i big a capo di varie fazioni nella Silicon Valley. Come è cambiato il rapporto con il governo americano e gli apparati. La raccolta dei dati e il problema di gestirli. La crisi sociale nella Silicon Valley. In studio Giuseppe De Ruvo e Alfonso Desiderio. Puntata registrata il 30 giugno 2023.
like this
reshared this
Le iniziative delle altre Autorità
“Diritto della privacy e protezione dei dati personali. Il GDPR alla prova della data driven economy” di Alessandro Alongi e Fabio Pompei (ED Tab Edizioni)
Nordio: la politica ha rinunciato a svolgere il proprio ruolo
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio è al centro delle polemiche. E lui, ex magistrato, che deve riformare la magistratura. E contro di lui volano le frecce degli ex colleghi. Mentre il governo è sotto attacco Nordio consegna a Libero in esclusiva la sua verità.
Ministro, l’accusano di essersi accorto dell’incongruità della norma sull’imputazione coatta solo dopo che questa norma ha danneggiato un sottosegretario del suo governo…
«Allora questa incongruità l’ho criticata già dal 1997, nel mio primo libro sulla giustizia e l’ho ripetuta varie volte in mie pubblicazioni successive».
Qual è la ragione?
«È una ragione squisitamente tecnica perché il codice Vassalli che abbiamo recepito nell’88/89 ha mantenuto il controllo giurisdizionale del giudice, in questo caso del Gip, sull’attività del pubblico ministero come faceva una volta il giudice istruttore. Io ho fatto il giudice istruttore e se il giudice istruttore mandava a giudizio l’imputato anche contro il parere del pubblico ministero che ne avesse chiesto l’assoluzione, in tribunale arrivava tutto il fascicolo processuale. Quindi i giudici potevano farsi un’idea di quelle che erano le tesi dell’accusa, della difesa e dello stesso giudice istruttore perché avevano davanti l’intero fascicolo. Con il codice Vassalli, e questo è il punto cruciale in tribunale, ammesso che si faccia il processo, non arriva nulla, il giudice è completamente vergine. Il fascicolo è vuoto. Vi è solo il certificato penale e se c’è, un’ incidente probatorio.
Ma è raro. E nel caso di Delmastro non c’è. Allora cosa succede, qual è la contraddizione che il giudice si trova ad avere davanti un fascicolo vuoto? Il suo unico interlocutore non è il gip che ha fatto l’ordinanza ma è il pubblico ministero stero al quale il giudice chiederà: “Signor pubblico ministero esponga le ragioni dell’accusa”. E il pubblico ministero in questi casi dirà che non ci sono ragioni dell’accusa tanto è vero che verrà chiesto il proscioglimento e quindi il processo è inutile, è contraddittorio. A meno che il giudice non cominci lui a fare tutta una serie di attività… ma questo è in contrasto con il sistema accusatorio dove la prova viene fornita dal dibattito, dal contraddittorio tra accusa e difesa. Torniamo ai principi del vecchio sistema, quando il presidente del tribunale faceva le domande lui, cosa che ancora oggi di tanto in tanto si fa ma questo è irragionevole, è irrazionale perché in contrasto con il sistema accusatorio. Quindi è una questione squisitamente tecnica. Lo dico da anni».
È vero che è pronta una riforma del sistema degli avvisi di garanzia?
«Il disegno di legge che è stato presentato e che adesso va al vaglio dopo la bollinatura e dopo il transito al Quirinale andrà al Parlamento, alla Commissione Giustizia. Il mio lavoro è già stato fatto e non dipende più da me questo. In Parlamento potrà essere modificato, approvato o altro… In questo primo pacchetto che abbiamo presentato visto che volevamo dare un termine ragionevole, entro i primi 8 mesi di governo, abbiamo dato un segnale forte di riforma. Ma c’è una parte che riguarda l’informazione di garanzia ed essenzialmente la sua segretezza. È già stata istituita una commissione per la riforma del codice di procedura penale. Il nostro obbiettivo è attuare integralmente quella che era la volontà del professor Vassalli e realizzarla completamente, ovvero fare un codice di stampo accusatorio anglosassone. Quindi sarà cambiata anche la struttura del registro degli indagati e dell’informazione di garanzia.
Santanchè, Delmastro, La Russa… È in corso un attacco di un pezzo di magistratura al governo? Attaccano per fermare la riforma secondo lei?
«No, secondo me no. Sono fatti tra loro indipendenti e mi rifiuto di pensare a dei magistrati che vogliono interferire nell’azione governativa attraverso azioni giudiziarie. Non si può però negare che ogni volta che si sia provato a fare una riforma della giustizia è sempre stata bloccata con interventi giudiziari. È vero e anche questo io lo scrivo da 25 anni. La colpa però non deriva da una serie di attacchi della magistratura che possono essere di ordine tecnico, o di ordine politico. La colpa è della politica che ha rinunciato al suo ruolo preminente e che si è chinata davanti alle critiche della magistratura. Nessuno vuole impedire alla magistratura di commentare le leggi sotto il profilo tecnico visto sono loro che le applicano. La colpa della politica è stata quella di aderire o meglio inchinarsi alla magistratura senza dire questo:”Noi ascoltiamo le vostre opinioni ma alla fine decidiamo noi e solo noi perché abbiamo un mandato che secondo la Costituzione deriva dal popolo”».
È vero che sta per proporre una legge costituzionale per la separazione delle carriere?
«Noi fino a questo momento non l’abbiamo proposta. Esiste una proposta in Parlamento depositata da altre forze politiche. Una separazione netta delle carriere esigerebbe una riforma costituzionale, come una riforma netta del consiglio superiore della magistratura. Questo è però nel programma di governo».
Ministro, il reato di abuso d’ufficio sarà cancellato?
«Io mi sono battuto fortemente perché venisse cancellato. La proposta è stata accettata dopo ampi dibattiti nell’ambito delle forze politiche della coalizione. È stata approvata dal consiglio dei ministri.
Questo disegno di legge non va sovvertito. Potrà essere ritoccato ma rimane nel suo impianto e quindi io sono certo che il reato d’abuso verrà cancellato. Tra le tante inesattezze che ho ascoltato in questi giorni ci sarebbe quella di una contrarietà dell’Europa. Io già 20 giorni fa in Lussemburgo e l’altro giorno a Tokyo ho incontrato personalmente il commissario per la glustizia in Europa Didier Renders che si è dichiarato perfettamente soddisfatto delle spiegazioni che ho fornito io e non vi è ragione di dubitare che l’Europa abbia qualcosa da dire. Non avremo problemi con l’Europa. Quasi tutti i sindaci italiani, compresi quelli del Pd, soprattutto governatori come De Luca ed Emiliano, si siano dichiarati d’accordo sul fatto che questo reato ha combinato tanti e tanti e tali danni che l’unicomodo è abolirlo».
E non andrebbe cancellato anche il reato fantasma quello di concorso esterno?
«Sul concorso esterno la Commissione per la riforma del Codice Penale che è stata istituita nel 2002 e che era indegnamente presieduta da me aveva all’unanimità deciso che il reato in concorso esterno in associazione mafiosa fosse un reato evanescente e andava completamente rimodulato secondo i criteri di “concorso di persona nel reato” e quindi, in prospettiva, andrà rimodulata. Naturalmente senza interferire minimamente o ridurre la lotta alla mafia»
L’Anm accusa il presidente del Consiglio di delegittimare la magistratura. È un’accusa che secondo lei ha qualche fondamento?
«No. Intanto non mi pare che la presidente del Consiglio abbia pronunciato una sola parola contro la magistratura. Queste reazioni di voler delegittimare i magistrati quando si criticano alcune loro iniziative è quasi una reazione automatica da parte dell’associazione. Lo hanno fatto anche con me un mese fa. Al che io ho risposto che se i magistrati si arrabbiano quando noi critichiamo il loro operato, allora anche i politici hanno ragione ad arrabbiarsi quando vengono inquisiti dai magistrati. Nel mio mondo ideale i magistrati non dovrebbero criticare le leggi e i politici non dovrebbero criticare le sentenze. Una settimana fa ho incontrato i rappresentanti dell’Anm e Santalucia al Ministero».
Che incontro è stato?
«Da un punto di vista personale estremamente cordiale. Abbiamo cercato di individuare i punti che ci uniscono che di più di quelli che ci dividono. A noi interessa essenzialmente una giustizia effciente, rapida ed equa»
Un membro del Csm, Tullio Morello, ha riproposto l’amnistia. Lei è favorevole?
«No. Io credo che in questo momento sia prematuro parlare di amnistia e parlare anche in generale di affievolimento delle pene.
Il garantismo ha due volti: uno è l’enfatizzazione della presunzione di innocenza ma l’altro eguale e simmetrico è quello della certezza della pena. Bisognerebbe prendere in considerazione l’idea che la pena che dev’essere certa, immediata e proporzionata, può anche non coincidere necessariamente con il carcere per i reati minori. E in questo senso noi stiamo lavorando sia sulle pene alternative, sia soprattutto sulla possibilità di ristrutturare delle carceri per detenuti non pericolosi dove ci sia grande spazio per il lavoro e anche per lo sport ai fini anche di un reinserimento nella società secondo il principio della Costituzione.
Per fare questo le nostre carceri necessitano di spazio. Non tutte lo hanno quindi stiamo cercando di recuperare delle caserme dismesse che garantiscano le misure di sicurezza di un carcere, dove poter dirottare i detenuti meno pericolosi e lavorare sul loro recupeго».
Secondo lei il caso La Russa indebolirà la maggioranza?
«No perché la maggioranza guarda ai contenuti del programma di governo che sono condivisi in modo omogeneo da tutti. Ritengo che le vicende delle singole persone sono purtroppo vicende della vita che devono essere commentate nei luoghi opportuni ma che non possono e non devono avere conseguenze politiche».
L'articolo Nordio: la politica ha rinunciato a svolgere il proprio ruolo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Ucraina, Mediterraneo, Cina e 2%. Tutti gli impegni dei leader Nato
Il summit Nato di Vilnius si chiude con una dichiarazione dei leader in 90 punti. L’ultimo per ringraziare l’ospitalità lituana e darsi appuntamento a Washington, negli Stati Uniti, nel 2024 per il 75° anniversario dell’alleanza e nei Paesi Bassi nel 2025.
IL FUTURO DELL’UCRAINA
I leder hanno ribadito il sostegno alla sovranità della Georgia e dell’Ucraina. In particolare, la sicurezza di Kyiv “è di grande importanza per gli alleati” e il suo futuro “è nella Nato”. Ribadendo gli impegni del vertice di Bucarest del 2008, i leader hanno riconosciuto che “il percorso dell’Ucraina verso la piena integrazione euro-atlantica è andato oltre la necessità del Piano d’azione per l’adesione”. Ma “saremo in grado di estendere” l’invito soltanto “quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte”. Non c’è, dunque, quel calendario richiesto dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
IL VICINATO MERIDIONALE
Quanto al Fianco Sud, priorità italiana, gli alleati evidenziano “le sfide interconnesse di sicurezza, demografiche, economiche e politiche”, “aggravate aggravate dall’impatto del cambiamento climatico, dalla fragilità delle istituzioni, dalle emergenze sanitarie e dall’insicurezza alimentare”. È un terreno fertile per gruppi armati, organizzazioni terroristiche, interferenze “destabilizzanti e coercitive” da parte di concorrenti strategici come la Russia e la Cina. Per questo, i leader hanno dato mandato al Consiglio Nord Atlantico di avviare “una riflessione completa e approfondita sulle minacce e le sfide esistenti ed emergenti e sulle opportunità di impegno con i nostri Paesi partner, le organizzazioni internazionali e altri attori rilevanti della regione, da presentare al prossimo vertice del 2024”.
IL RAPPORTO CON LA CINA
La Cina rappresenta una sfida per “i nostri interessi, la nostra sicurezza e i nostri valori”, si legge nel documento che evidenzia le tattiche di guerra ibrida messe in campo da Pechino. La Cina, continua, “cerca di controllare settori tecnologici e industriali chiave, infrastrutture critiche, materiali strategici e catene di approvvigionamento. Usa la sua leva economica per creare dipendenze strategiche e rafforzare la sua influenza. Cerca di sovvertire l’ordine internazionale basato sulle regole, anche nei settori spaziale, cibernetico e marittimo”. La Nato ribadisce l’apertura a un “impegno costruttivo” con la Cina ma evidenzia anche come il rafforzamento del partenariato strategico tra la Cina e la Russia “sono contrari ai nostri valori e interessi”. Inoltre, gli alleati chiedono alla Cina “di agire in modo responsabile e di astenersi dal fornire aiuti letali alla Russia” e di “cessare di amplificare la falsa narrativa russa che incolpa l’Ucraina e la Nato per la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina”.
LE SPESE MILITARI
I leder hanno ribadito l’impegno a impegniamo a investire annualmente “almeno” il 2% del Pil in difesa. E ancora: “Affermiamo che in molti casi sarà necessaria una spesa superiore al 2% del Pil per colmare le carenze esistenti e soddisfare i requisiti in tutti i settori derivanti da un ordine di sicurezza più contestato”. Infine, si sono impegnati a investire almeno il 20% dei bilanci per la difesa in major equipment, comprese le relative attività di ricerca e sviluppo per “mantenere il nostro vantaggio tecnologico e continuare a modernizzare e riformare le nostre forze e capacità, anche attraverso l’integrazione di tecnologie innovative”.
Macron annuncia missili per l’Ucraina. Cosa sono gli Scalp
“Ho deciso di aumentare le consegne di armi ed equipaggiamenti per consentire agli ucraini di avere la capacità di colpire in profondità”. Con queste parole il presidente francese Emmanuel Macron, al suo arrivo al vertice Nato di Vilnius, commenta la decisione francese di rifornire Kiev con missili da crociera a lungo raggio. Nella stessa occasione l’inquilino dell’Eliseo ha sottolineato l’importanza di inviare un messaggio non solo di “di sostegno all’Ucraina”, ma anche “di unità della Nato e di determinazione affinché la Russia non possa vincere questa guerra”.
I missili che Parigi intende recapitare a Kiev, noti in francese come Scalp (Système de Croisière Autonome à Longue Portée), sono lo stesso sistema impiegato anche dalla Royal Air Force con il nome di Storm Shadow, sistema con cui Londra sta già rifornendo Kiev dal maggio scorso.
Proprio per questo motivo i vertici francesi ritengono che questa decisione non rappresenti un’escalation nei confronti di Mosca, le cui Forze Armate impiegano sistemi capaci di colpire da distanze ben maggiori rispetto ai 250 Km di portata della versione dello Scalp destinata all’Ucraina.
Non è stata però diffusa alcun’informazione ufficiale riguardo al numero di ordigni che Parigi intende inviare a Kiev. Una fonte militare francese afferma che gli Scalp non saranno prodotti appositamente ma verranno presi dagli arsenali già esistenti, e che saranno un ‘numero significativo’, mentre una fonte del mondo diplomatico afferma che circa 50 missili saranno inviati all’Ucraina.
Al pari degli Storm Shadow, i missili aria-terra in dotazione alle Forze Armate di Parigi saranno forniti in una versione compatibile con i velivoli ucraini di fabbricazione sovietica, sia per la maggiore disponibilità di questi negli hangar del paese che per accorciare i tempi necessari all’impiego di questi ordigni sul campo di battaglia.
Alla decisione francese fa eco quella di Berlino, che afferma di aver quasi ultimato un ulteriore pacchetto di aiuti militari destinati all’Ucraina, per un valore totale di 700 milioni di euro. Il tempismo di questi annunci è importante, in quanto essi arrivano in concomitanza sia dell’importantissimo vertice Nato di Vilnius che di importanti sviluppi nella controffensiva ucraina: proprio in queste ore i vertici militari ucraini diffondono la notizia per cui le forze armate russe sarebbero intrappolate a Bakhmut, il centro conquistato poche settimane fa dai miliziani della Wagner al termini di scontri durissimi con i soldati di Kiev.
A poche ore dall’annuncio arriva la reazione russa. “Naturalmente, resta da chiarire e determinare esattamente di quale raggio stiamo parlando. Ma dal nostro punto di vista, si tratta di una decisione sbagliata, gravida di conseguenze per l’Ucraina, perché naturalmente ci costringerà a prendere delle contromisure” ha dichiarato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov in un briefing successivo all’annuncio di Macron.
reshared this
La strada della Turchia verso l’Ue è già chiusa. La versione di Tzogopoulos
Trovo difficile che la Turchia smetta di minacciare la Grecia e la Repubblica di Cipro o smetta di collaborare con Russia e Cina, dice a Formiche.net Giorgios Tzogopoulos, lecturer presso l’Istituto Europeo di Nizza Cife, fellow presso il Begin Sadat Center for Strategic Studies in Israele e presso la Hellenic Foundation for European and Foreign Policy in Grecia. L’occasione è una riflessione sulle mosse di Erdogan a Vilnius, tra aperture alla Nato e contropartite che già ha chiesto a Ue e Kfor. Nel mezzo la consapevolezza che la Turchia crede nel proprio eccezionalismo in politica estera.
Turchia-Nato-Svezia: cosa vuole davvero Erdogan?
Le conversazioni sembrano essere bilaterali – tra Turchia e Svezia – ma sono di natura molto più ampia. Riflettono l’interesse del presidente Erdogan a negoziare con gli Stati Uniti su una varietà di temi, dalla situazione nel Mediterraneo orientale, Medio Oriente e Africa al futuro dell’economia turca e alla profondità della collaborazione di difesa turco-americana. Ciò non significa che il contenuto dei negoziati turco-svedesi, come definiti nel memorandum trilaterale del giugno 2022 (anche con la Finlandia), non sia significativo. Naturalmente, se Washington e Ankara concordano su un modello generale di collaborazione, sarà naturale che Stoccolma e Ankara seguano l’esempio. Questo è ciò che sta accadendo attualmente a Vilnius, anche se dobbiamo attendere i risultati definitivi. L’Assemblea nazionale turca controllata dal partito di Erdogan e dai suoi partner politici avrà l’ultima parola sull’adesione della Svezia alla Nato.
Dopo il suo solido legame con Russia, Cina e Iran perché ora chiede l’ingresso nell’Ue?
La Turchia crede nel proprio eccezionalismo in politica estera. In altre parole, cerca di agire autonomamente e di collaborare sia con l’Occidente che con l’Oriente secondo i propri interessi strategici. Gli Stati Uniti sono preoccupati per queste acrobazie ma non hanno necessariamente la capacità di influenzare la Turchia come avveniva durante il periodo della Guerra Fredda. Ankara, da parte sua, sta cercando modi per dare energia alla sua economia nazionale e diagnostica i rischi nel suo precedente disimpegno dall’Occidente. Quindi cerca di ricongiungersi sia con gli Stati Uniti che con l’Ue. Ovviamente, la strada per l’Ue è quasi completamente chiusa. I riferimenti all’adesione all’Ue possono servire solo a soddisfare l’opinione pubblica turca. Le discussioni in corso tra Ankara e Bruxelles si concentrano su aree in cui può esistere la cooperazione: ad esempio sulla modernizzazione dell’unione doganale, sulla creazione di stabilità nel Mediterraneo orientale e sulla gestione della crisi dei rifugiati. Non creano illusioni sull’adesione della Turchia all’Ue.
La mediazione con l’Ucraina rischia di essere sbilanciata a favore di Mosca?
Ci sono due diverse letture di ciò in relazione alla guerra in Ucraina: alcuni dicono che la Turchia mette a repentaglio l’unità della Nato, mentre altri sostengono che la posizione equilibrata turca crei alcune opportunità per avere un interlocutore della Russia all’interno dell’Alleanza. Nella mia analisi, il problema per l’Occidente va oltre la Turchia. È che così tanti paesi del mondo, compresi i più grandi in termini di popolazione, Cina e India, preferiscono anche non prendere posizione nella guerra in Ucraina. Ciò pone seri ostacoli all’isolamento della Russia nel sistema internazionale e alla massimizzazione dell’efficacia delle sanzioni.
E’ un rischio geopolitico concedere i F16 americani alla Turchia?
A mio parere la questione non è se la Turchia ottenga o meno caccia F-16. È se la Turchia agisce come un tipico e affidabile stato membro della Nato. Se gli Stati Uniti trovano un modo per collegare la vendita dei caccia F-16 all’adeguamento della politica estera turca alle priorità della Nato, allora questa vendita sarà forse utile. Se gli Stati Uniti non lo faranno, la vendita sarà problematica. Personalmente trovo difficile che la Turchia smetta di minacciare la Grecia e la Repubblica di Cipro o smetta di collaborare con Russia e Cina. Ma gli Stati Uniti stanno facendo tutto il possibile per impedire la dissociazione di Ankara dall’Occidente. Successivamente, le tattiche di contrattazione turche produrranno risultati e ciò creerà un brutto precedente per le pratiche diplomatiche in Occidente.
La Bri sta trasformando la Turchia in un molo cinese nel Mediterraneo. Quanto influisce tutto ciò nel quadro generale?
La Cina sta esercitando una politica estera ed economica molto intelligente e attenta, e questo è evidente nel Mediterraneo. La Turchia non è uno stato membro dell’Ue e questo significa che è molto più facile per le aziende cinesi investire lì. In Turchia, ad esempio, non esisterà mai un dibattito simile al dilemma che l’Italia sta attualmente affrontando riguardo alla sua partecipazione alla Bri. Le relazioni sino-turche sono forti e il contributo delle banche e delle imprese cinesi all’economia turca è in rapida evoluzione. Ma credo che dovremmo guardare al quadro generale che è la presenza cinese generale nel Mediterraneo. La Cina gioca la carta dell’interconnettività. La Turchia è un partner importante ma, dal punto di vista cinese, è un anello della catena della Bri.
Non solo Ucraina. Tutti i piani militari della Nato
Europe first. Per la Nato l’Europa torna prioritaria. Anche se sembra scontato per la gravità e l’ampiezza della minaccia della Russia di Putin, in realtà dopo gli sconvolgimenti provocati dall’11 settembre e dalla guerra ai terroristi islamici, gli interventi in Libia, Afghanistan e Iraq, l’attenzione per il Medio Oriente e il sud est asiatico, l’Alleanza Atlantica rilancia appieno tutti i suoi originari scopi fondativi di deterrenza e difesa dei Paesi membri europei ben oltre le motivazioni del sostegno all’Ucraina.
Oltre alla svolta dell’ingresso della Svezia, a misurare il successo del vertice di Vilnius sarà soprattutto la concreta attuazione dei nuovi piani di difesa e di potenziamento militare strategico dell’Alleanza.
Un rilancio determinante per la funzionalità e l’efficacia di una Nato già proiettata al dopo Kiev.
Il fulcro essenziale è l’approvazione dei nuovi dettagliati piani di difesa globale dell’alleanza dopo la guerra fredda.
Predisposte da Chris Cavoli, il generale americano che ricopre il ruolo di Comandante supremo alleato in Europa, le 4000 pagine top secret prevedono una completa revisione della complessa macchina internazionale militare della Nato e forniscono indicazioni chiare per ogni forza armata alleata su come agire in caso di conflitto. Si tratta dell’evoluzione più sostanziale e concreta dalla caduta del muro di Berlino. Al centro dell’attenzione la Russia, ma senza perdere di vista il terrorismo internazionale. Si comincia con l’elaborazione di tre piani regionali: uno per il nord, che copre l’Atlantico e l’Artico europeo; uno per il centro, che riguarda il Baltico e l’Europa centrale fino alle Alpi; e il piano per il fianco sud dal Mediterraneo e al Mar Nero.
Accanto a questa pianificazione sono previste predisposizioni di interventi per lo spazio, le operazioni informatiche e le forze speciali.
Cinque le priorità immediate: forze terrestri capaci di pronto intervento, in particolare brigate corazzate pesanti; sistemi integrati di difesa aerea e missilistica in grado di proteggere le unità in movimento; potenza di fuoco a lungo raggio missilistica e d’artiglieria; reti digitali per il trasferimento blindato dei dati fra il fronte e il centri di comando; logistica per supportare e rifornire eserciti in tutta Europa.
Entro la fine dell’anno il Generale Cavoli assegnerà ad ogni alleato specifici ruoli in relazione agli ipotetici fronti che potrebbero aprirsi. Battaglioni e brigate dovranno conoscere in anticipo le loro localizzazioni, che si tratti di un’isola norvegese o di una zona dei Carpazi.
I piani forniscono anche indicazioni chiare per ogni forza armata su come agire in caso di conflitto.
Al vertice della Nato dello scorso anno a Madrid, gli alleati hanno concordato di mantenere collettivamente oltre 100.000 truppe pronte per il dispiegamento in meno di dieci giorni, e altre 200.000 in un mese. Altrettanto importante è che ora i paesi membri esplicitino quali unità sono disponibili in qualsiasi momento. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania si sono esercitate su come aumentare rapidamente reparti e schieramenti in Polonia, Lituania ed Estonia. L’Italia probabilmente eseguirà presto un test simile in Bulgaria, mentre la Germania ha annunciato che rischiererà un’intera brigata sul suolo lituano.
Lo scopo è rassicurare gli Stati baltici e dimostrare alla Russia che queste forze sono abbastanza agili da rappresentare un argine sul fronte orientale. Un argine che verrebbe attivato più rapidamente di quanto la Mosca possa avviare una mobilitazione e scatenare un attacco. La nuova pianificazione della Nato non solo mantiene gli eserciti all’erta, ma stabilisce anche priorità per armamenti e investimenti. La difesa collettiva del continente richiede sistemi missilistici, armi pesanti: jet, droni, carri armati e artiglieria.
Vista da Vilnius la Nato è insomma una superpotenza. Lo riconosce anche Emmanuel Macron che tre anni addietro l’aveva definito “un organismo in stato di morte cerebrale” mentre ora l’Alleanza, ammette il Presidente Francese, è stata risvegliata da Putin con “il peggiore degli elettroshock”, l’invasione dell’Ucraina.
Dietro le prospettive di potenziamento complessivo si celano tuttavia varie crepe nazionali. Sul settimanale britannico The Economist, l’International Institute for Strategic Studies evidenzia infatti che attualmente la maggior parte delle nazioni può schierare solo una brigata al completo. E lo stesso vale per le forze navali. Il think tank di Londra aggiunge in proposito la denuncia del Commodoro Carsten Fjord-Larsen della Marina danese che lamenta come nel 2002 la sua flotta avesse schierato 34 unità combattenti, mentre ora le unità sono scese a cinque.
Sul vertice di Vilnius aleggia anche il possibile ruolo dell’Alleanza in Asia. Gli alleati concordano sul fatto che la Cina stia avendo un impatto sempre maggiore sulla sicurezza europea, non da ultimo attraverso l’approfondimento delle sue relazioni con la Russia.
Nessuno si nasconde che oltre che psicologico, il transfert asiatico rappresenta per la Nato una scomoda verità perché se dovesse scoppiare una crisi a Taiwan, l’Europa potrebbe trovarsi esposta e coinvolta. Ma questo attiene al futuro si ritiene non immediatamente prossimo. L’orizzonte del presente è colorato di giallo e di blu, i colori dell’Ucraina liberata dall’incubo di Putin.
“Dati, salute, digitale. Sbloccare il potenziale, proteggere la privacy”
Oggi ho avuto il piacere di intervenire con Diletta Huyskes, CEO di Immanence, alla Recordati Lectures “Dati, salute, digitale. Sbloccare il potenziale, proteggere la privacy”
“Cinque anni di GDPR: cosa resta da fare e come migliorarlo”
Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, tutti i venerdì su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni.
Vi spiego perché il Giappone è sempre più importante per la Nato. Parla Nagao
“Riaffermare la cooperazione con i Paesi che condividono la stessa mentalità nel sostenere l’ordine internazionale basato sulle regole, libero e aperto”: è questo secondo il premier Fumio Kishida l’obiettivo con cui il Giappone partecipa al Summit Nato di oggi e domani, 11/12 luglio, a Vilnius. Kishida firmerà un nuovo documento di cooperazione insieme al segretario generale dell’alleanza, Jens Stoltenberg, con cui cercherà di rafforzare la cooperazione tra il Giappone e la Nato in settori quali la sicurezza marittima, la risposta alla disinformazione e lo spazio esterno. Tokyo, secondo le fonti che hanno informato i media, ha sviluppato il documento chiamato “Individually Tailored Partnership Program” con i 31 membri dell’Alleanza Atlantica per rafforzare la cooperazione di sicurezza tra la regione indo-pacifica e euro-atlantica, tenendo conto della Cina. Queste interconnessioni sono parte di una visione strategica che il Giappone eredita dal defunto leader Shinzo Abe e che la guerra in Ucraina ha reso — per Tokyo come per Washington e Bruxelles — una necessità più cogente.
“La questione principale riguarda proprio l’Ucraina: la controffensiva di Kyiv si scontra con una forte linea di difesa della Russia, la Nato deve fornire armi più forti per vincere e dopo gli F-16, sono sul tavolo gli Atamcs, le munizioni a grappolo, eccetera”, spiega Satoru Nagao, esperto di politiche di difesa e sicurezza dell’Hudson Institute, basato a Tokyo. Il Giappone ha consapevolezza della situazione e intende partecipare alle discussioni correnti della Nato, la quale “deve prepararsi a una guerra più lunga: pertanto deve riformare la propria industria della Difesa” se vuole mantenere i ritmi produttivi per aiutare in modo consistente l’Ucraina.
Questo sforzo potrebbe anche avere un obiettivo strategico di preparazione. Se la Russia è la minaccia corrente, la Cina è una questione a lungo termine, ma la Nato si sta preparando a parlarne. “La Cina sta sfidando le regole internazionali che l’Europa ha mantenuto per lungo tempo. La minaccia cinese è a lungo termine perché l’economia cinese è più forte di quella russa. E poiché la Russia fa affidamento sulla Cina nell’attuale situazione di guerra, l’influenza della Cina su Vladimir Putin sta crescendo. Pertanto, la Nato rafforzerà la cooperazione con Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud. Inoltre cercherà di cooperare sempre di più con altri Paesi come l’India”, spiega Nagao. Per l’analista, la decisone presa da Ankara sull’ingresso svedese nell’alleanza indica che la Turchia ritiene l’Ucraina (dunque la Nato) vincente. “Stare dalla parte vincente è vantaggioso. E in effetti, anche l’orientamento dell’India verso gli Stati Uniti e la Francia indica la stessa direzione”, aggiunge.
Tuttavia, secondo Nagao il momento attuale potrebbe non essere perfetto per mostrare una politica sufficientemente forte nei confronti della Cina. “In primo luogo — commenta — se la Nato mostrerà una posizione troppo forte nei confronti della Cina, quest’ultima aumenterà il suo sostegno alla Russia. Attualmente, la Cina sta fornendo molte parti di armi alla Russia, ma non ha fornito molte armi pesanti e munizioni. Se dovesse cambiare linea, la guerra in Ucraina potrebbe risentirne. In secondo luogo, l’anno prossimo gli Stati Uniti dovranno affrontare le elezioni presidenziali. Ciò significa che l’economia del prossimo anno sarà decisiva per le elezioni. Il presidente Joe Biden non vuole imporre sanzioni troppo forti contro la Cina se queste rischiano di danneggiare l’economia statunitense”.
Pertanto, anche se la Nato intende rafforzare le sue relazioni con i partner dell’Indo Pacifico, la sua attività diretta contro la Cina sarà relativamente moderata. L’opposizione della Francia all’ufficio di collegamento della Nato a Tokyo è un caso tipico: Parigi, come la Nato stessa, sa che un liaison office è utile, ma la Francia ha esitato a farlo proprio ora per evitare di indispettire Pechino.
“La Nato ha un ufficio di collegamento in Georgia dal 2010, ne ha avuto uno a Tashkent in Uzbekistan dal 2013 al 2017. Pertanto, la rappresentanza di Tokyo non è strana. Dal punto di vista giapponese, è una mossa gradita. Per molto tempo, Tokyo ha cercato di convincere gli alleati statunitensi in Europa a unirsi ai suoi sforzi per affrontare le sfide della Cina. In alcuni casi, il Giappone ha cercato di cooperare o di aderire a strutture multinazionali orientate all’Occidente, come per esempio il Five Eyes (Six Eyes se il Giappone aderisce), Aukus (Jaukus se il Giappone aderisce)”, ricorda Nagao.
Dietro alla posizione di Parigi c’è solo l’azione di equilibrio con la Cina? “Se quella è la ragione principale, è possibile che la sede di Tokyo sia stata decisa da Stati Uniti e Giappone, e ciò significa che la Francia era fuori da questo negoziato, ma dopo quanto successo con l’Aukus Parigi potrebbe voler essere parte di certe scelte”.
Per Nagao, la Francia vuole dimostrare la propria presenza come indipendente dagli Stati Uniti. “Da quando è iniziata l’aggressione russa in Ucraina, molti Paesi non possono acquistare armi dalla Russia. Ma soprattutto i Paesi del Sud globale, come Brasile, Indonesia e India, vogliono acquistare armi non solo dagli Stati Uniti, ma anche da altri. Così, invece della Russia, scelgono la Francia. L’Indonesia acquista jet da combattimento dalla Francia. L’India acquisterà dalla Francia i jet da combattimento per le sue portaerei e i suoi sottomarini”.
Resta che l’apertura di un ufficio dell’alleanza atlantica a Tokyo potrebbe essere il primo passo per rafforzare la cooperazione tra il Giappone e gli alleati degli Stati Uniti in Europa e per condividere informazioni e percezioni. La Francia si sta opponendo in questo momento, ma l’analista dell’Hudson Institute prevede che in futuro qualcosa sarà concordato, perché le sfide della Cina rappresentano una minaccia seria sia per il Giappone che per l’Europa.
Quale contributo può dare all’alleanza la cooperazione con Tokyo? E in che modo l’alleanza è utile a Tokyo? “Pensiamo a cosa accadrebbe se la Cina attaccasse Taiwan. I Paesi della Nato dovrebbero dispiegare forze militari per evacuare i loro cittadini da Taiwan e dalla Cina. Probabilmente saranno portati a decidere di sostenere gli Stati Uniti nella guerra contro la Cina. In una situazione del genere, quale sarà il territorio in cui la Nato potrà dispiegare le forze militari? Le scelte sono limitate. Giappone o Filippine. È molto probabile che molti Paesi scelgano il Giappone per dispiegare le proprie forze militari. Pertanto, la Nato ha bisogno di informazioni locali per preparare tali operazioni”.
E torna anche in questo la necessità di un ufficio di collegamento, che possa essere un eventuale punto di contatto e organizzazione. Secondo alcuni esperti statunitensi, la Cina potrebbe invadere Taiwan prima del 2027: in tal caso, la collaborazione con il Giappone è “una questione sempre più importante e urgente” per la Nato, chiosa Nagao.
A Vilnius si deciderà il futuro di Kiev? La versione di Vdovychenko (Cds)
Prime ore del Vertice di Vilnius. La grande novità è la cosiddetta “riconciliazione” tra Svezia e Turchia. Le azioni scandalose che hanno coinvolto il rogo e la deturpazione del Corano, le crescenti richieste di Ankara: tutto ciò ha alzato la posta in gioco nei negoziati, giunti a Vilnius.
Tuttavia, tutti gli ucraini rimangono con gli occhi aperti sul futuro del proprio paese. Che tipo di “ombrello di sicurezza” potrebbe essere proposto per Kiev? Quali sono i timori che bloccano gli Stati membri della Nato dal concedere l’adesione all’Ucraina?
Proprio questa mattina, il Segretario Generale della NATO, con un linguaggio diplomatico, parla del “giusto segnale” per l’Ucraina. Tuttavia, il linguaggio della dichiarazione finale deve ancora essere discusso. Come opzione, si propone di scrivere nel documento finale che si tratta di un invito politico all’Ucraina ad aderire alla NATO e di indicare l’impegno politico degli alleati per un rapido avvio dei negoziati di adesione.
È ovvio e chiaro che la posizione degli Stati Uniti è il principale ostacolo che impedisce all’Ucraina di avere un forte impegno politico da parte degli alleati della NATO verso l’adesione. Pertanto, la società ucraina ritiene che, se gli alleati della NATO non sono pronti a invitare formalmente l’Ucraina all’adesione già a Vilnius, a Kiev dovrebbe essere offerta un’opzione intermedia che registrerebbe un significativo cambiamento positivo rispetto ai vertici di Bucarest e Madrid.
La chiave è avere, nella dichiarazione finale del vertice, una frase che sottintenda un riconoscimento inequivocabile da parte degli alleati del fatto che la futura adesione dell’Ucraina all’Alleanza contribuisce alla sicurezza europea e transatlantica. Questo obbligherà coloro che parlano di timori e rischi per la NATO a fare riferimento a questo punto in futuro. C’è l’idea di trovare una nuova forma per l’invito, evitando di menzionare la parola “invito” considerata dannosa per alcuni Paesi. Ad esempio, “riconoscendo il contributo dell’Ucraina alla sicurezza europea e transatlantica, gli alleati confermano la richiesta di adesione dell’Ucraina alla NATO e avviano i negoziati per l’adesione”.
Un’idea importante è quella di aggiungere che l’Alleanza “conferma la candidatura dell’Ucraina” per fare un passo avanti rispetto alla situazione attuale, dove l’Alleanza ha solo preso in considerazione la candidatura di Kiev.
Alla luce del riferimento al summit di Bucarest del 2008 sulla potenziale adesione dell’Ucraina alla NATO, la decisione presa a Vilnius diventa ancor più significativa. L’inclusione di tale riferimento, anche se con l’avvertenza dello sviluppo storico, significherebbe un cambiamento rispetto alle precedenti “formulazioni” politiche. Essa sottolineerebbe gli sforzi coraggiosi mostrati dalle Forze armate ucraine, evidenziando il loro incrollabile impegno a salvaguardare i valori europei. In ultima analisi, ciò serve a dimostrare che l’integrazione dell’Ucraina nella NATO debba essere tempestiva e imprescindibile, a condizione che vengano soddisfatti i prerequisiti di sicurezza.
Sebbene il linguaggio utilizzato possa mancare di precisione, il messaggio complessivo rimane lucido e inequivocabile. La comunità di esperti ucraini ritiene fondamentale l’inserimento nella dichiarazione finale di un’analogia tra la trasformazione “accelerata” di Finlandia e Svezia in alleati della NATO e l’Ucraina. Inoltre, il Ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha scritto un tweet che è apparso sensazionale: ha annunciato che l’Alleanza ha raggiunto un accordo interno e ha deciso di cancellare la fase MAP (il cosiddetto Membership Action Plan) per l’Ucraina. In pratica, questo significa una radicale accelerazione nella procedura di adesione. Si tratta di una richiesta di lunga data di Kiev, che fin dall’inizio ha avuto il pieno e quasi unanime sostegno della comunità nazionale degli esperti ucraini.
In pratica, si parla di modificare la procedura di ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza e di consentirle di aderire rapidamente – similmente a quanto accaduto a Finlandia e Svezia. Poiché l’adesione dei finlandesi alla NATO è stata deliberatamente effettuata il prima possibile e, come eccezione, il MAP è stato annullato per non dare a Mosca il tempo di danneggiarlo, anche l’adesione dell’Ucraina può essere procedere agli stessi ritmi.
È anche importante notare che non è stato il processo di ammissione finlandese o svedese a essere particolarmente veloce, ma il loro processo di invito, e questo dovrebbe essere il punto di riferimento. Quindi, al netto delle riforme realizzate e dell’interoperabilità raggiunta dall’Ucraina, così come il rapido processo di invito alla NATO di Finlandia e Svezia, gli Alleati dovrebbero essere pronti a procedere all’integrazione politica dell’Ucraina.
Nel caso in cui qualcuno volesse parlare ancora di una possibile escalation della Federazione Russa come conseguenza, ecco l’argomento logico: come abbiamo visto l’espansione finlandese, che ha aggiunto più di mille chilometri al confine della Federazione Russa con la NATO, è stata percepita senza alcuna reale protesta o opposizione da parte russa; pertanto, questo successo deve essere ripetuto.
Al summit di Vilnius, Tajani indica la linea di Roma nella Nato
Nella tarda mattinata dell’11 luglio il ministro degli Esteri Antonio Tajani è intervenuto al Nato Public Forum: in un dialogo con la giornalista Hadley Gamble, conduttrice e corrispondente internazionale per Cbnc, Tajani ha sviscerato l’approccio italiano alle principali questioni di interesse per l’Alleanza Atlantica.
La prima questione affrontata è stata quella del rischio nucleare, e degli esiti del meeting con i vertici dell’Iaea per discutere dei rischi legati alla centrale nucleare di Zaporizhia, meeting a cui Tajani stesso ha preso parte. Il ministro degli Esteri ha ribadito il sostegno italiano alla strategia, perseguita dall’Agenzia, di lavorare alla creazione di una free zone nell’area circostante l’impianto nucleare: l’eventuale raggiungimento di un simile accordo non sarebbe soltanto funzionale al mantenimento di un più elevato livello di sicurezza nei confronti del rischio nucleare, ma anche un primo importante passo all’interno del processo di riappacificazione. Tuttavia, il tintinnare della sciabola nucleare da parte di Mosca rappresenta un grande ostacolo in questa direzione.
Sulla modernizzazione della difesa collettiva e l’aumento della spesa militare, Tajani ribadisce il forte impegno italiano nei confronti dell’Alleanza e la disponibilità di Roma ad incrementare questo impegno, sia in termini operativi che in termini finanziari. Ma il Ministro degli Esteri rimarca che parallelamente al processo di rafforzamento menzionato, l’Alleanza deve riflettere sul dove e sul come allocare le nuove risorse disponibili, rimanendo concentrata sull’Ucraina ma senza tralasciare altre fonti di instabilità: il bacino mediterraneo con Daesh, Wagner e Boko Haram; l’Iran e la sua questione nucleare; il teatro indo-pacifico.
Riguardo a quest’ultimo, Tajani esprime una dicotomia India-Cina che caratterizza l’approccio italiano. Roma si impegna a dialogare con entrambe, ma in termini diversi. Mentre con Delhi, “la principale democrazia della regione”, il dialogo sembra essere più disteso e gli interessi più coincidenti, con Pechino la situazione è diversa: l’obiettivo della politica estera italiana e dell’Occidente in generale deve essere quello di rapportarsi con la Cina per garantire una competizione economica leale, libera da fenomeni sleali e dannosi come il dumping. In questo senso, il tour cinese del segretario del tesoro statunitense Janet Yellen è stato enfatizzato da Tajani come un esempio virtuoso dell’approccio da adottare.
Quando la moderatrice riporta il focus sul mediterraneo e sul ruolo di “prima linea” svolto dall’Italia, il Ministro degli Esteri denota come le cause di instabilità nella regione siano molteplici: immigrazione, povertà, terrorismo, cambiamento climatico, penetrazione russa. Fattori spesso concatenati tra di loro: ogni contadino che smette di lavorare la terra per le conseguenze del cambiamento climatico è un nuovo potenziale miliziano di Daesh. Per Tajani Bruxelles si dovrebbe fare artefice di un nuovo “Piano Marshall Europeo” atto a garantire una stabilità economica e sociale nella parte di Africa che va dall’area Sub-sahariana al Corno d’Africa, le cui dinamiche impattano fortemente su quelle del bacino mediterraneo.
Riguardo al conflitto ucraino, Tajani evidenzia come l’impegno italiano non sia rivolto contro la Russia, ma soltanto a protezione dell’Ucraina, del diritto internazionale e dei valori di libertà e democrazia, in cui l’Italia si riconosce. E alla domanda della moderatrice sulla disponibilità italiana a continuare a inviare armamenti all’Ucraina anche dopo il 2023, il Ministro degli Esteri afferma che l’Italia è pronta a fare quello che sarà necessario. Sull’integrazione dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica il rappresentante della Farnesina condivide l’approccio americano di lavorare step-by-step e individua il primo di questi passi, una volta terminati gli scontri, nella creazione di un Nato-Ukraine Council, piattaforma politica e militare per cooperare non soltanto riguardo alla questione ucraina, ma sul piano globale.
Su quello che invece riguarda l’engagement politico ed economico dell’Italia verso Kiev, Tajani incita all’azione. L’obiettivo è di ricostruire l’Ucraina e di integrarla nello spazio comune europeo. Ma questa ricostruzione deve iniziare già oggi, per mandare importanti segnali agli attori nazionali e internazionali. Il Ministro degli Esteri sottolinea come gli investimenti e la diplomazia portino risultati importanti citando alcuni casi che vedono direttamente coinvolta l’Italia, come i processi di riappacificazione nell’ex-Yugoslavia o l’organizzazione di eventi multilaterali per discutere di sviluppo economico e di infrastrutture con i paesi partner. Se si tralascia questa dimensione, ammonisce Tajani, c’è il rischio di perdere il sostegno degli apparati locali, regalando preziose opportunità a Mosca e ad altri stati non-europei.
Scacco a Putin. L’invettiva di Garri Kasparov al summit Nato
Cosa ci fa uno scacchista al Summit Nato? Non si tratta di un giocatore qualsiasi ma del celebre Grande maestro Garry Kasparov, intervenuto in occasione del Nato Public Forum di Vilnius nel panel “Non lasciare nessuno indietro: l’imperativo della sicurezza umana”, moderato da Vivian Salama, giornalista per la sicurezza nazionale del Wall Street Journal. Considerato uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi e una vera e propria leggenda per la disciplina, Kasparov è stato campione del mondo di scacchi dal 1985 al 2000, per poi ritirarsi dalle scacchiere nel 2005 e iniziare il suo cammino come attivista contro Vladimir Putin. Questo nuovo percorso lo ha portato a divenire inoltre leader e fondatore del partito Fronte civile unito, un movimento politico e sociale ispirato a ideali socialdemocrazia e liberalismo sociale in forte contrasto con la politica del Cremlino.
Performance mafiosa
Dopo i fatidici e chiacchierati eventi del 24 giugno, un alone di mistero continua a permanere sulla sorte del leader del gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin, nell’era “post-golpe”. “Qualunque sia il nome da dare alla performance di Prigozhin, ammutinamento, ribellione […] da tempo sostengo che analizzando la Russia di Putin dobbiamo cercare il padrino: è uno stato mafioso. La sfida di Prigozhin va vista da questo punto di vista”, ha spiegato Kasparov. A detta dell’attivista esiste infatti una vera e propria mafia di San Pietroburgo, sempre più preoccupata di perdere i propri affari e opportunità di business, a causa delle ripercussioni economiche della guerra in Ucraina, più che del conflitto e delle sue ragioni in sé.
Sgretolamento della società civile russa
Nel frattempo, il largo consenso intorno alla figura di Putin va a indebolirsi e scalfirsi progressivamente con l’avanzare del conflitto, e secondo l’ex campione del mondo “sempre più persone all’interno della cerchia ristretta di Putin sono davvero preoccupate per le sue politiche fallimentari”. A detta sua oggi questo è esacerbato dal fatto che “in Russia non esista una società civile”, a causa dell’operato di un regime post-sovietico che ha trascorso gli ultimi decenni a prendere man mano sempre più controllo dello spazio pubblico limitando il dissenso.
Una sfida all’Alleanza
Fin dall’inizio dell’invasione del territorio ucraino, Mosca non ha lasciato spazio a molti dubbi nel dichiarare che “non è una guerra contro l’Ucraina, è una guerra contro la Nato”, come ha riportato Kasparov. Secondo lo scacchista, la liberazione della Russia, da quello che lui ha definito il “fascismo di Putin”, non potrà vedere la luce fino a che “la bandiera ucraina verrà issata a Sebastopoli” (in Crimea). Il punto è quindi agire anche sui cuori e le menti: “Bisogna uccidere l’idea dell’impero nella mente dei russi. Devono capire che la guerra è persa. Se la storia russa è una guida, i cambiamenti in Russia sono iniziati proprio con le guerre perse”.
La guerra di valori
Un po’ come fatto già all’inizio dell’invasione russa, a febbraio 2022 con le sue “8 mosse contro Putin”, il Grande maestro ha proposto la sua personale ricetta strategica per dare uno scacco matto al presidente russo, il che in questo caso coincide con la vittoria ucraina nella guerra in corso. I tre elementi che porteranno alla vittoria le forze di Kiev secondo lui saranno infatti: “liberazione, riparazione e giustizia”. Ed è proprio questo terzo elemento a essere portante nel dividere l’élite russa, “per inviare un messaggio molto chiaro: tutti i criminali di guerra saranno consegnati alla giustizia”. In tale quadro Kasparov ha dato inoltre una sua risposta al grande dibattito intorno alla questione se si tratti di una guerra della Russia o di Putin, affermando che: “Purtroppo ora è la guerra della Russia e ogni cittadino russo, me compreso, ha la responsabilità collettiva dei crimini commessi in Ucraina”. Il conflitto veste dunque i panni di guerra di valori che, come ha spiegato ancora Kasparov, “non può finire al tavolo dei negoziati”. E l’augurio è che la guerra finisca il prima possibile e che la Russia post conflitto rifletta seriamente sulla sua trasformazione “da impero a confederazione e repubblica”, ha concluso il Grande maestro.
Non c’è Nato se Kyiv perde. Ma gli alleati si dividono sull’adesione
“Se l’Ucraina non vince come nazione democratica e indipendente non ci sarà motivo di discutere delle garanzie di sicurezza o dell’ingresso nella Nato”, ha detto Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, in apertura del summit di Vilnius, in Lituania. “Il presidente Volodymyr Zelensky sarà con noi questa sera a cena e domani per inaugurare il Consiglio Nato-Ucraina: sono certo che gli alleati lanceranno un messaggio forte per sottolineare la necessità che l’Ucraina si avvicini alla Nato”, ha continuato.
Ma le bozze del comunicato finale non prevedono un percorso definito per l’ingresso dell’Ucraina. Nel comunicato finale del summit di Vilnius, infatti, dovrebbe figurare soltanto un passaggio in cui i leader della Nato dichiarano di essere pronti a “estendere all’Ucraina l’invito a entrare nell’Alleanza quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte”. Lo si apprende da fonti qualificate. I negoziati però sono ancora in corso e il linguaggio finale “non è ancora del tutto stabile”.
L’assenza di un calendario è “inaudito e assurdo”, ha tuonato Zelensky. Sul suo canale Telegram, il presidente ucraino ha sostenuto che l’incertezza sul futuro di Kyiv nella Nato incoraggia la Russia a continuare la guerra: “L’incertezza è debolezza”, ha scritto. “Rispettiamo i nostri alleati”, ha continuato. “Apprezziamo la sicurezza condivisa. E apprezziamo sempre una conversazione aperta. Ma anche l’Ucraina merita rispetto”.
Sarà il G7 a emettere una dichiarazione sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina, ha annunciato il cancelliere tedesco Olaf Scholz arrivando al summit. La dichiarazione potrebbe anche arrivare domani, dicono fonti diplomatiche, ma tutto dipenderà dagli ultimi contatti fra le capitali. Il formato potrebbe anche essere quello del cosiddetto “G7 plus”, quindi anche con la Corea del Sud.
Berlino ha anche annunciato che invierà a Kyiv armi supplementari per un valore di 700 milioni di euro. Secondo contributore in termini di aiuti militari all’Ucraina dopo gli Stati Uniti, la Germania aveva già annunciato il 13 maggio consegne di armi per 2,7 miliardi di euro. Anche Parigi ha promesso nuove armi. La Francia, infatti, invierà all’Ucraina missili a lungo raggio Scalp, ha annunciato il presidente Emmanuel Macron al vertice Nato. Gli Scalp aiuteranno le forze di Kyiv a colpire obiettivi in profondità dietro le linee russe e sono già forniti da Londra con il nome di Storm Shadow.
Le forniture di missili a lungo raggio all’Ucraina da parte della Francia sono un errore che avrà conseguenze per l’Ucraina, ha detto Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, nel suo quotidiano colloquio con i giornalisti. La Russia dovrà stabilire la portata esatta dei missili, ha aggiunto. Analogamente, ha prospettato “evidenti implicazioni negative” per la sicurezza della Russia connesse all’adesione della Svezia alla Nato e che “risponderà” con misure analoghe a quelle adottate dopo l’ingresso della Finlandia nell’Alleanza atlantica. “I leader europei non sembrano capire che spostare le infrastrutture della Nato verso i confini della Russia è un errore”, ha rincarato Peskov, ribadendo che la situazione attuale nasce dalla “avanzata” Nato verso l’Europa centrale e orientale. Sul vertice di Vilnius ha affermato che è pervaso di “spirito anti-russo”.
Open Letter: Commissioner Reynders asked to correct unacceptable accusations against NGOs
Lettera aperta: Il Commissario Reynders chiede di correggere le accuse inaccettabili contro le ONG Il commissario europeo Reynders ha ripetutamente attaccato le "organizzazioni non profit" come la noyb, sostenendo che esse portano i casi davanti alla CGUE come "modello di business".
Il Nato Public Forum al Summit di Vilnius. I video dell’evento
Pomeriggio 11 luglio
facebook.com/plugins/video.php…
Mattina 11 luglio
facebook.com/plugins/video.php…
L’11 e 12 luglio 2023, i capi di Stato e di governo della Nato si sono riuniti a Vilnius, in Lituania, in occasione del vertice dell’Alleanza Atlantica che dovrà affrontare le sfide dell’attuale contesto di sicurezza internazionale.
Per l’occasione, l’Alleanza, insieme al Centro Studi sull’Europa Orientale, al German Marshall Fund degli Stati Uniti, alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco e al Consiglio Atlantico organizza il Nato Public Forum, un evento pubblico che mira a promuovere una migliore comprensione delle politiche e degli obiettivi della Nato e delle decisioni che saranno adottate al vertice di Vilnius, di cui Formiche è Partner istituzionale per l’Italia.
Il Forum presenta una serie di tavole rotonde, dibattiti e sessioni interattive su vari argomenti dell’agenda della Nato attraverso il dialogo e l’impegno di un gruppo unico e diversificato di parti interessate, dai capi di Stato e di governo e dai ministri, agli esperti di sicurezza internazionale, agli opinionisti, agli accademici, ai giornalisti e ai giovani.
Cosa porta Seul verso Bruxelles (sede di Nato e Ue). Conversazione con Frassineti
Il presidente sudcoreano, Yoon Suk-yeol, sarà uno dei protagonisti asiatici al Summit Nato di Vilnius che parte oggi, 11 luglio. Invitato di primo piano e host dell’incontro dell’AP4, ossia della riunione separata che l’alleanza dedicherà ai quattro partner dell’Asia Pacifico – Corea del Sud, Giappone, Australia, Nuova Zelanda.
Sin dalla sua elezione nel maggio 2022, Yoon ha spinto per rafforzare la cooperazione in ambito di sicurezza con l’Europa e gli altri alleati degli Stati Uniti (in primis con il Giappone, con cui le relazioni stanno rifiorendo dopo anni di attriti), per scoraggiare le minacce nucleari e missilistiche della Corea del Nord, per approfondire la cooperazione internazionale in materia di sicurezza anche a seguito delle tensioni con la Cina. L’obiettivo è aumentare il proprio contributo alle sfide globali (non ultimo sfruttando un ruolo attivo nell’invasione della Russia in Ucraina).
L’anno scorso a Madrid era stata la prima volta in cui i quattro leader dell’Asia-Pacifico partecipavano a un vertice della Nato. In quell’occasione, l’allora neo-eletto presidente Yoon aveva affermato che i nuovi conflitti e la competizione globale rappresentano una minaccia per i valori universali. Quest’anno, la sua presenza “rafforzerà la cooperazione con l’alleanza e invierà un monito unito che la comunità internazionale non tollererà le attività illegali della Corea del Nord”, ha dichiarato un funzionario sudcoreano che ha informato i giornalisti sull’agenda del presidente.
Storico alleato degli Stati Uniti e oggi ottavo esportatore di armi su scala globale, la Corea del Sud durante il vertice potrebbe subire nuove pressioni per fornire armi all’Ucraina (Seul si è limitata ad autorizzare l’invio del c.d. ‘materiale non letale’ che include attrezzature per lo sminamento e ambulanze). Finora l’amministrazione di Yoon ha resistito, diffidando dell’influenza russa sulla Corea del Nord. Alcuni rumors diffusi dai media sudcoreani hanno fatto intendere che Yoon potrebbe visitare l’Ucraina come parte del suo viaggio, replicando un passaggio simile del giapponese Fumio Kishida. Ci sono state parziali smentite, quello che è certo è che il sudcoreano passerà anche dalla Polonia. Seul e Varsavia hanno notevolmente rafforzato i propri rapporti economici e strategici, anche per quanto riguarda il commercio di armi e l’energia nucleare.
La Polonia è diventata una destinazione chiave per le esportazioni dell’industria della difesa sudcoreana, soprattutto all’indomani dell’aggressione russa all’Ucraina che ha imposto un’accelerazione ai piani di Varsavia per rinnovare le proprie forze armate. L’anno scorso le aziende sudcoreane hanno firmato contratti per un valore stimato tra 15 e 20 miliardi di dollari – la vendita più cospicua mai realizzata dall’industria della difesa sudcoreana – per fornire all’esercito polacco carri armati, munizioni e obici semoventi. Choi Sang-mok, segretario presidenziale per la politica economica, ha dichiarato che la visita in Polonia di Yoon aiuterà anche a rafforzare le catene di approvvigionamento, a garantire nuovi mercati di esportazione e a espandere la cooperazione nella ricostruzione dell’Ucraina.
Cooperazione su vasta scala
Il momento centrale della presenza di Yoon al summit di Vilnius sarà la firma di un accordo per istituzionalizzare la cooperazione tra la Corea del Sud e la Nato, ricorda Francesca Frassineti, ricercatrice dell’Università di Bologna e di Ispi, esperta di penisola coreana e regione indo-pacifica. L’intesa riguarderà 11 settori tra cui la non proliferazione, la cyber sicurezza e le tecnologie emergenti. “Vale la pena ricordare – continua Frassineti che parla con Formiche.net da Seul, dove ha recentemente presentato un paper accademico proprio sulle relazioni tra Nato e Seul – che in termini di cooperazione nel dominio cibernetico la Corea del Sud nel 2022 è stata inserita nel Nato Cooperative Cyber Defense Center of Excellence con sede a Tallin, un passaggio che ha anticipato l’inaugurazione, lo scorso novembre, della rappresentanza diplomatica della Repubblica di Corea presso la Nato a Bruxelles”.
“L’aspetto interessante che riguarda la posizione sudcoreana è la continuità tra l’attuale amministrazione conservatrice e quella precedente guidata invece dai democratico-progressisti. Seul sta rafforzando la narrazione e il messaggio circa la volontà di potenziare i legami con la Nato e l’Unione europea; con quest’ultima la Corea del Sud celebra propro quest’anno il 60º anniversario delle relazioni diplomatiche”, spiega Frassineti. Moon Jae-in, il leader del Partito Democratico che ha preceduto alla presidenza Yoon, era stato il primo a mandare un inviato speciale presso l’Ue, scelta presa anche dall’attuale presidente Yoon. “Questa maggiore attenzione nei confronti dell’Europa è indice di una rinnovata consapevolezza da parte sudcoreana che l’Ue può essere molto più che un partner economico-commerciale. I recenti accordi in materia di fornitura di risorse per la difesa con diversi Paesi dell’Europa orientale, alcuni di questi anche membri della Nato, aggiungono un elemento nuovo e approfondiscono il partenariato anche in materia di difesa e sicurezza”, aggiunge l’esperta. All’inizio dell’anno, incontrando il riconfermato segretario generale Jens Stoltenberg, Yoon ha ribadito l’impegno sudcoreano a essere molto più di un “partner across the globe”. “Possiamo aspettarci — continua Frassineti — che Yoon a Vilnius cercherà di mettere a frutto gli sforzi compiuti negli ultimi dodici mesi per accrescere il profilo internazionale della Corea del Sud, muovendosi diversamente rispetto allo scorso anno quando aveva presenziato fresco di elezione e con pochissima esperienza politica. Probabilmente riceverà un tipo di accoglienza più attenta da parte degli altri leader. Certo, resta aperta la questione del sostegno militare all’Ucraina in quanto la posizione del governo di Seul ha scontentato molti”.
Qual è il feedback a livello di opinione pubblica di questo orientamento strategico sudcoreano? “In generale – risponde Frassineti – un maggiore attivismo a livello internazionale è visto positivamente. Nel caso del partenariato strategico con l’Ue e, più recentemente, di legami più stretti con la Nato, si osserva un sostegno bipartisan da parte dei due principali schieramenti politici. A livello di opinione pubblica la percezione dell’Europa è molto positiva, soprattutto tra i giovani, anche grazie alle attività di public diplomacy condotte dalla rappresentanza dell’Ue in Corea del Sud e all’operato dei centri di eccellenza Jean Monnet all’interno delle principali università del Paese”.
Se per l’amministrazione Moon l’area di interesse principale per la politica estera sudcoreano era in realtà il Sudest asiatico e non in prima battuta l’Europa, con Yoon si nota un una riconsiderazione in tal senso soprattutto dovuta alla necessità di mantenere saldi i rapporti con gli Stati Uniti e all’impatto della guerra in Ucraina. Per Frassineti, i tentativi sudcoreani di approfondire i legami con i partner europei stanno avendo buoni risultati probabilmente anche per il fatto che negli ultimi anni la Corea del Sud così come alcuni Paesi europei sono stati il bersaglio della coercizione proveniente dalla Cina e dalla Russia. “Si osserva una crescente convergenza nella percezione della minaccia tra europei e partner asiatici. Quando a Seul si valutava la posizione da prendere sulla crisi ucraina, e soprattutto la vendita di armi alla Polonia, la Russia aveva minacciato esplicitamente la Corea del Sud. Yoon in quell’occasione aveva dimostrato di saper reggere la sfida. Con molta probabilità la risposta del suo governo sarebbe molto diversa nel caso in cui le stesse pressioni arrivassero dalla Cina”.
L’attuale amministrazione conservatrice ha dimostrato l’intenzione di portare avanti una politica estera allineata a quella statunitense e di esporsi, almeno a parole, contro i tentativi di ribaltare l’ordine liberale internazionale fondato su regole condivise, ma con Pechino permangono criticità e forme di interdipendenza complesse da gestire. Anche a questo per Seul serve l’allineamento con la Nato.
“AI+: Generative AI for Business. Una nuova intelligenza artificiale per il business”
A proposito di Zeri, ricordiamo il grande Federico
Federico Zeri (Roma, 12 agosto 1921 – Mentana, 5 ottobre 1998) è stato uno storico dell'arte e critico d'arte italiano.
Ricordiamo chi ha inventato lo Zero
मुक्त ज्ञानकोश विकिपीडिया से
शून्य
Estela C de Tres Zapotes.jpg
ईपीआई-ओल्मेक स्क्रिप्ट।
शून्य (०) एक अंक है जो संख्याओं के निरूपण के लिये प्रयुक्त आजकी सभी स्थानीय मान पद्धतियों का अपरिहार्य प्रतीक है। इसके अलावा यह एक संख्या भी है। दोनों रूपों में गणित में इसकी अत्यन्त महत्वपूर्ण भूमिका है। पूर्णांकों तथा वास्तविक संख्याओं के लिये यह योग का तत्समक अवयव है।
ग्वालियर दुर्ग में स्थित एक छोटे से मन्दिर की दीवार पर शून्य (०) उकेरा गया है जो शून्य के लेखन का दूसरा सबसे पुराना ज्ञात उदाहरण है। यह शून्य आज से लगभग १५०० वर्ष पहले उकेरा गया था।[1]
informapirata reshared this.
La Nato si occupi di più della lotta alle interferenze russe e cinesi, dice Cesa
Inizia oggi il summit Nato a Vilnius, in Lituania, alla viglia del quale la Turchia ha dato il suo via libera all’adesione della Svezia. Ne parliamo con Lorenzo Cesa, segretario dell’Unione di Centro ed eletto alla Camera nella lista Noi moderati, nuovo presidente della delegazione parlamentare italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato.
Come valuta il rinnovo del mandato di segretario generale della Nato per Jens Stoltenberg?
Non possiamo che vedere positivamente la riconferma di Jens Stoltenberg. Riteniamo, infatti, che soprattutto in un momento delicato come quello attuale, a livello internazionale, nell’area euro-atlantica, ci sia bisogno di stabilità e di continuità per gli assetti organizzativi della Nato.
Come si presenta l’Italia al summit di Vilnius?
L’Italia – che è uno dei Paesi fondatori dell’Alleanza Atlantica, nonché il secondo Paese per numero di truppe impegnate in missioni Nato e il quinto contributore in termini finanziari – ha sempre avuto un ruolo cruciale nella Nato e al summit a Vilnius intende svolgere un ruolo da protagonista, anche e soprattutto relativamente all’attuale politica estera che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il governo italiano stanno promuovendo sull’area del Mediterraneo.
Il Consiglio Nato-Ucraina che verrà inaugurato rappresenta un primo passo verso l’adesione dell’Ucraina all’alleanza? È il “chiaro segnale” che ha auspicato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky?
Sicuramente sì. Ben venga il fatto che venga istituita la Commissione permanente Nato-Ucraina, un impegno importante teso a consolidare i rapporti tra i Paesi dell’Alleanza e Kyiv. È chiaramente un segnale positivo e di apertura che rappresenta un passo in avanti nel percorso verso l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza atlantica, anche se – come ha detto, con molto realismo, il presidente Volodymyr Zelensky –, sarà possibile farlo solo al termine del conflitto con la Russia. Nel frattempo, l’Italia continuerà a sostenere Kyiv nel conflitto contro la Federazione russa.
Quasi quattro anni fa il presidente francese Emmanuel Macron definiva la Nato in stato di “morte cerebrale”. Com’è cambiata da allora l’alleanza?
Dopo il crollo del muro di Berlino, si pensava, forse, che della Nato non ci fosse più bisogno. Oggi, invece, è cambiata completamente la percezione: con lo scoppio della guerra in Ucraina, si è tornati a capire la centralità e il rilievo dell’Alleanza che ha ripreso i valori originari adattandosi ai nuovi scenari geopolitici.
Quali sono gli impegni futuri per la Nato?
Ci focalizzeremo su come contribuire al rafforzamento della postura dell’Alleanza Atlantica, aumentando le potenzialità di difesa dei Paesi membri, con l’adeguamento delle spese militari e concordando nuovi impegni e investimenti che vadano oltre il livello minimo del 2% del Pil. Su questo tema, come delegazione italiana, abbiamo sollevato una questione importante: specificare quali siano le voci che rientrano nel 2% come, per esempio, gli investimenti nella cybersecurity, il contrasto al terrorismo, le crisi alimentari e così via. L’altro importante obiettivo che ci prefiggiamo è svolgere un ruolo più incisivo nell’ambito del Dialogo mediterraneo. In questo contesto, sarà cruciale l’attività del Gruppo speciale Mediterraneo Medio Oriente, nato proprio su iniziativa italiana, e sarà fondamentale spingere sui partenariati stimolando la cooperazione. Proprio per dare risalto a questi aspetti/temi, nella primavera del 2024, si svolgerà in Italia la conferenza sul Dialogo mediterraneo con la finalità di allargarci anche ad altri Paesi dell’Unione africana e del Medio Oriente.
Negli ultimi scorsi in Italia si è tornati a parlare di interferenze russe e di tentativi di destabilizzare la collocazione internazionale del nostro Paese, anche tramite denaro. L’Italia ha l’antidoto per resistere a quante attività?
È evidente che sono questioni che riguardano tutti i Paesi e non solo l’Italia. È altrettanto chiaro che come Nato dovremo sempre di più occuparci di questi argomenti, ovvero proteggere più efficacemente le vulnerabilità dell’Occidente dalle nuove minacce e sfide non solo provenienti dalla Russia ma anche dalla Cina.
Come può fare in questo senso l’Italia l’anno prossimo da presidente del G7?
Come ho sottolineato prima, è fondamentale che vi sia collaborazione tra i Paesi per affrontare questo importante tema. Servono risposte univoche per fare in modo che queste risposte siano efficaci su un argomento così delicato e complesso. L’Italia, che avrà il compito di presiedere il G7, come sempre, assumerà un ruolo di primo piano contribuendo, in maniera attiva, ad individuare iniziative condivise con gli altri Paesi.
In Cina e Asia – Al via il summit Asean di Jakarta
I titoli di oggi:
Al via il summit Asean di Jakarta
Il Sud-Est asiatico contro le bombe a grappolo Usa dirette in Ucraina
Isole Salomone, la partnership con la Cina è ora ufficiale
Via Yellen, Xi incontra la portavoce del Consiglio russo
A cena con Yellen, i netizen cinesi criticano le donne che hanno condiviso l'esperienza sui social
India e chip, Foxconn si ritira dalla joint venture con Vedanta
L'articolo In Cina e Asia – Al via il summit Asean di Jakarta proviene da China Files.
“Premio Lagrange-Fondazione CRT”
Ieri sera è stato un piacere poter partecipare al Premio Lagrange – Fondazione CRT, il massimo riconoscimento internazionale per la scienza dei sistemi complessi con il quale è stata insignita Tina Eliassi Rad.
La Commissione europea assegna il terzo round ai trasferimenti di dati UE-USA alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea
Nuovo Trans-Atlantic Data Privacy Framework in gran parte una copia di "Privacy Shield". #noyb contesterà la decisione.
Il terzo tentativo della Commissione europea di ottenere un accordo stabile sui trasferimenti di dati UE-USA tornerà probabilmente alla Corte di giustizia (CGUE) nel giro di pochi mesi. Il presunto "nuovo" Trans-Atlantic Data Privacy Framework è in gran parte una copia del fallito "Privacy Shield". Nonostante gli sforzi di pubbliche relazioni della Commissione europea, ci sono pochi cambiamenti nella legge statunitense o nell'approccio adottato dall'UE. Il problema fondamentale con FISA 702 non è stato affrontato dagli Stati Uniti, in quanto gli Stati Uniti continuano a ritenere che solo le persone statunitensi siano degne di diritti costituzionali
like this
reshared this
L’Atlantico «orientale»: accordi con Tokyo e Seul
Al summit della Nato anche i rappresentanti del gruppo Ap4. Verso l'annuncio due documenti di cooperazione con Giappone e Corea del sud, sarà invece rinviata la decisione sull'apertura di un ufficio a Tokyo
L'articolo L’Atlantico «orientale»: accordi con Tokyo e Seul proviene da China Files.
Oggi in Israele “Giorno della resistenza” contro la riforma della giustizia
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
della redazione
(foto di archivio)
Pagine Esteri, 11 luglio 2023 – E’ cominciato in Israele il “Giorno di resistenza” contro la riforma della Giustizia del governo di Benyamin Netanyahu in risposta all’approvazione alla Knesset in prima lettura (su 3) dell’eliminazione della cosiddetta “clausola di ragionevolezza”. Migliaia di manifestanti oggi bloccano strade a Haifa, Gerusalemme e a Tel Aviv ed uno sciopero paralizza molte attività lavorative. La polizia ha effettuato alcuni arresti.
Il testo è stato adottato con 64 voti a favore, corrispondenti ai membri della coalizione di governo. I 56 deputati dell’opposizione hanno votato contro.
L’articolo della riforma approvato in prima lettura mira a cancellare la possibilità per i giudici di pronunciarsi sulla “ragionevolezza” delle decisioni del governo. Secondo i partiti di estrema destra e religiosi che compongono la maggioranza al potere, la nuova legge garantirebbe un migliore equilibrio dei poteri. Gli oppositori la vedono come una minaccia alla democrazia e in particolare ai poteri di controllo della Corte Suprema.
In un video diffuso ieri Netanyahu ha detto che la legge “non è la fine della democrazia, ma che rafforzerà la democrazia”. L’opposizione ha promesso per oggi una giornata di azione nazionale domani contro il disegno di legge, che sarà sottoposto a seconda e terza lettura. Pagine Esteri
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo Oggi in Israele “Giorno della resistenza” contro la riforma della giustizia proviene da Pagine Esteri.
❄️ freezr ❄️
in reply to Informa Pirata • • •Informa Pirata likes this.
Informa Pirata
in reply to ❄️ freezr ❄️ • •informapirata ⁂ reshared this.