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La NATO esce dal vertice di Vilnius più ricca, più aggressiva e più armata


Vincitori indiscussi del summit l'Usa di Biden e la Turchia di Erdogan. All'Alleanza il 2% del PIL. Particolare enfasi alla modernizzazione della dotazione nucleare. L'articolo La NATO esce dal vertice di Vilnius più ricca, più aggressiva e più armata pr

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di Antonio Mazzeo –

Pagine Esteri, 12 luglio 2023. Se invece del summit Nato la capitale della Lituania Vilnius avesse ospitato un’Olimpiade, sul podio dei vincitori sicuramente sarebbero saliti il segretario generale dell’alleanza Jens Stoltenberg, il presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden e il premier-ras turco Recep Tayyip Erdogan. Il primo è stato premiato con l’ulteriore estensione temporale del suo mandato per aver allargato l’adesione de iure alla Nato di Finlandia e Svezia e de facto di mezzo mondo. Il secondo per aver imposto a tutti gli alleati la visione geostrategica di Washington e del Pentagono, riaffermando l’incontrastata supremazia militare-nucleare Usa e convertendo a bancomat l’Unione europea e le medie potenze del vecchio continente per finanziare la folle corsa al riarmo globale. Il terzo per aver ottenuto il consenso unanime degli alleati per il piano di liquidazione della questione kurda a suon di raid e bombe in cambio di un sì all’ingresso dell’ex neutrale Svezia nella Nato. Grande sconfitto ai “giochi olimpici” di Vilnius 2023 il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: si attendeva di essere accolto subito e a braccia aperte da chi gli ha garantito armi e munizioni per decine e decine di miliardi di euro per le controffensive anti-Mosca, ma alla fine è stato congedato con un “ti vogliamo, ma ci rivediamo domani” assai malamente digerito. Assai deludenti le performance dei leader diplomatici e militari di Londra, Parigi, Berlino, Roma e Bruxelles, opache comparse in una competizione che ha sancito lo strapotere del complesso militare-industriale e nucleare transnazionale, grande sponsor e nume tutelare della Nato del terzo millennio. Un’alleanza che esce da Vilnius tutt’altro che monolitica ma ancora più aggressiva e armata, sempre più anti-russa e anti-cinese, e più pronta a intervenire rapidamente per imporre la pax americana in ogni angolo del pianeta.

“L’ingresso della Finlandia è un passo storico per la Nato e saremo ancora più grandi e più forti quando si concluderà l’iter di adesione della Svezia”, ha enfatizzato il segretario Jens Stoltenberg a conclusione del vertice in terra lituana. “Siamo davvero felici dell’impegno assunto dal presidente turco di presentare prima possibile all’assemblea parlamentare nazionale il protocollo di ratifica all’ingresso della Svezia nella Nato. La Turchia e la Svezia continueranno a cooperare nella lotta al terrorismo. Le autorità di Stoccolma hanno emendato la costituzione, cambiato le leggi e accresciuto in modo significativo la cooperazione anti-terrorismo contro il PKK, riprendendo l’esportazione di armi alla Turchia”. (1) Anche Washington ha operato in prima persona per ottenere l’ok di Erdogan alla Svezia 32^ stella della Nato: alla vigilia del summit di Vilnius il capo del Pentagono Lloyd Austin ha fatto sapere al leader turco di essere deciso ad autorizzare il trasferimento ad Ankara di 40 cacciabombardieri F-16, una commessa anelata da diversi anni dall’aeronautica militare turca. (2)

Ospiti d’onore in Lituania accanto ai leader di governo dei due nuovi paesi membri dell’alleanza anche i rappresentanti dell’Unione europea con cui la Nato condivide missioni strategiche e oneri finanziari per potenziare la produzione bellica e le reti infrastrutturali per la mobilità di uomini e mezzi militari; i ministri degli esteri di Georgia, Repubblica di Moldavia e Bosnia ed Herzegovina e quelli di Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud. Per la Nato la regione indo-pacifica ha assunto un ruolo fondamentale “per la sicurezza euro-atlantica e l’impegno a difesa dell’Ucraina” e nella “cooperazione nel settore della cyber-difesa, della lotta al terrorismo e della produzione di armi e nuove tecnologie”. Nel documento finale del vertice di Vilnius i paesi membri dell’Alleanza Atlantica rivendicano pure una più stretta partnership con alcune delle maggiori organizzazioni internazionali e regionali come l’Onu, l’Osce e l’Unione africana. “Noi rafforzeremo queste interazioni per promuovere i nostri interessi comuni e contribuire alla sicurezza globale”, promette la Nato. “Stiamo inoltre esplorando la possibilità di stabilire un ufficio di collegamento a Ginevra per un ulteriore rafforzamento dei nostri legami con le Nazioni Unite”.

Buona parte del comunicato finale del vertice in Lituania è dedicato al nemico numero uno dell’Alleanza militare, la Russia di Putin. “La Federazione Russa ha violato le norme e i principi che contribuiscono a un ordine di sicurezza europeo stabile e affidabile”, scrivono i paesi Nato. “La Federazione Russa rappresenta la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza dell’Alleanza e alla pace e alla stabilità nell’area euro-atlantica (…) La Russia è del tutto responsabile della sua illegale, ingiustificabile e non provocata guerra di aggressione contro l’Ucraina, che ha gravemente compromesso la sicurezza euro-atlantica e globale. Noi non riconosciamo né riconosceremo mai le illegali e illegittime annessioni russe, inclusa quella della Crimea. La distruzione della diga di Kakhovka è tra le più gravi e brutali conseguenze della guerra avviata dalla Russia”.

La Nato stigmatizza inoltre il piano di ammodernamento dell’arsenale nucleare e convenzionale di Mosca. “Noi condanniamo l’intenzione della Russia di volere installare armi nucleari e sistemi a capacità nucleare nel territorio della Bielorussia, un’ulteriore dimostrazione delle ripetute azioni di Mosca si minare la stabilità strategica e la sicurezza generale nell’area euro-atlantica”, aggiunge la Nato. “La Russia ha intensificato le sue azioni ibride contro gli alleati e i partner Nato, inclusi quelli a lei confinanti. Ciò include l’interferenza nei processi democratici, la coercizione politica ed economica, le estese campagne di disinformazione, le minacce informatiche dannose, le operazioni illegali e distruttive dei servizi d’intelligence russi”. E sarà ancora il conflitto in Ucraina il banco di prova dell’Alleanza per contrastare e indebolire il regime di Putin. “Il summit di Vilnius ha reso l’Ucraina più forte e ha rafforzato le capacità di deterrenza e difesa della Nato”, ha enfatizzato il segretario generale Stoltenberg. “Mi aspetto che i leader dell’Alleanza assicurino un pacchetto di aiuti e interventi che avvicinino ancora di più l’Ucraina alla Nato. Esso includerà un programma di assistenza pluriannuale per assicurare l’interoperabilità; il rafforzamento dei legami politici grazie a un nuovo Consiglio Nato-Ucraina; la riaffermazione che l’Ucraina diventerà un membro della Nato”. Impegni ritenuti del tutto generici e deludenti dal premier Zelenskyy, ma ribaditi integralmente nel documento finale del summit. “Il futuro dell’Ucraina è nella Nato”, afferma l’Allenza. “Noi ribadiamo l’impegno assunto al Summit 2008 di Bucarest e oggi riconosciamo che il sentiero tracciato dall’Ucraina per una piena integrazione euro-atlantica è andato oltre di quanto previsto dal Membership Action Plan. L’Ucraina è divenuta sempre più interoperativa e politicamente integrata con l’Alleanza e ha fatto progressi sostanziali nel suo piano di riforma”. Ciononostante, così come richiesto dall’amministrazione Biden, non è stata decisa nessuna data per formalizzare l’ingresso di Kiev nella Nato. Tuttavia non verranno fatte mancare all’Ucraina le armi e le munizioni per condurre il sanguinoso conflitto fratricida con la Russia. “La continua e urgente consegna di assistenza non letale all’Ucraina attraverso il Pacchetto di assistenza completo (Pac) rimane una priorità della Nato”, si aggiunge nel documento finale del vertice di Vilnius. “A partire dallo scorso vertice di Madrid gli Alleati e i partner hanno fornito più di 500 milioni di euro al Pac. Per supportare la deterrenza e la difesa dell’Ucraina a breve, medio e lungo termine, abbiamo deciso oggi di sviluppare ulteriormente il Pac con un programma pluriannuale di assistenza che aiuterà a ricostruire il settore di difesa e sicurezza del paese e a garantire la sua transizione fino alla piena interoperabilità con la Nato”.

Contro la Russia sarà rafforzata la presenza di reparti di pronto intervento delle forze armate dei paesi Nato nel cosiddetto fianco orientale (Polonia, Lettonia, Estonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Ungheria e Bulgaria), a cui si aggiungerà una forza di dispiegamento rapido di oltre 300.000 militari pronti ad essere trasferiti ai confini con Russia e Bielorussia in caso di allerta, insieme a una sostanziale “potenza di combattimento” aerea e navale. Al summit di Vilnius è stato deciso di accelerare il processo di elevazione degli esistenti otto battlegroup dispiegati nei paesi dell’Europa orientale a unità di dimensione di brigata “dove e quando richiesto”, con una maggiore dotazione di mezzi da guerra, equipaggiamenti e sistemi di comando e controllo preposizionati. “Con il nuovo NATO Force Model varato al Summit di Madrid, gli Alleati stanno predisponendo un più ampio pool di forze da combattimento, incluse le unità di alta prontezza operativa, rafforzando la nostra capacità di risposta militare e sfruttando l’esperienza regionale e la vicinanza geografica”, riporta il documento finale del Summit. “Noi stiamo stabilendo anche una nuova Forza di Reazione Alleata multinazionale e multi-dominio, che garantirà più opzioni nella risposta in tempi rapidissimi alle minacce e alle crisi in tutte le direzioni. Abbiamo raggiunto l’accordo di potenziare il sistema di comando e controllo della Nato per assicurare che esso sia sufficientemente agile, resiliente e dotato del personale in grado di eseguire i nostri piani d’intervento”.

Particolare e preoccupante enfasi al vertice di Vilnius è stata data alle capacità di deterrenza nucleare dell’Alleanza militare. “Noi forniremo individualmente e collettivamente uno spettro completo di forze, capacità, piani, risorse, assetti e infrastrutture necessari alla deterrenza e alla difesa, inclusi quelli per una guerra ad alta intensità contro i nostri peggiori competitori armati di testate nucleari”, aggiungono i paesi Nato. “In accordo, rafforzeremo l’addestramento e le esercitazioni che simulano una dimensione di crisi e conflitto convenzionale e, per gli Alleati interessati, nucleare, facilitando una maggiore coerenza tra componenti convenzionali e nucleari nella postura di deterrenza e difesa della Nato in tutti i domini e nell’intero spettro di conflitto”. Scopo fondamentale della capacità nucleare della Nato – si ribadisce a Vilnius – è quello di preservare la pace, prevenire la coercizione e scoraggiare l’aggressione. “Le armi nucleari sono uniche e fino a quando esse esisteranno la Nato resterà un’alleanza nucleare. Le circostanze in cui la Nato potrebbe usare armi nucleari sono estremamente remote. Ogni impiego di armi nucleari contro la Nato altererebbe fondamentalmente la natura di un conflitto. L’Alleanza ha le capacità e la determinazione di imporre costi a un avversario che sarebbero inaccettabili e che superebbero di gran lunga i benefici che egli spererebbe di poter ottenere”. E onde rendere ancora più credibili le minacce di risposta e ritorsione nucleare, il vertice Nato ha annunciato nuovi passi per rendere ancora più efficienti e distruttivi i propri arsenali atomici. “Continueremo a modernizzare la dotazione nucleare Nato e stiamo aggiornando la pianificazione per accrescere la flessibilità e l’adattabilità di tutte le forze nucleari dell’Alleanza, mentre continueremo ad esercitare un forte controllo politico in ogni tempo”, si riporta nel documento finale.

Elemento chiave delle strategie belliche della Nato continuerà ad essere il sistema di Difesa integrata aerea e missilistica (IAMD). “Lo IAMD Nato è una missione essenziale e permanente in tempo di pace, durante una crisi e in caso di conflitto”, riporta il documento finale del vertice in Lituania. “Esso incorpora tutte le misure che contribuiscono alla deterrenza di ogni minaccia aerea e missilistica o ad annullare o ridurre la loro efficienza. Questa missione è condotta con un approccio a 360 gradi ed è indirizzata su misura e in tutte le direzione strategiche contro le minacce predisposte dagli attori statali e non”.

La difesa missilistica è ritenuta del tutto complementare alla deterrenza nucleare. “Lo spirito e i principi politici della Nato Ballistic Missile Defence (BMD) rimane immutata dal Summit di Lisbona del 2010”, annotano i paesi partecipanti al vertice di Vilnius. “La BMD è puramente difensiva ed è finalizzata a contrastare le minacce dei missili balistici che provengono da fuori dell’area euro-atlantica. Gli Alleati continuano ad essere impegnati al completo sviluppo della Nato BMD per contribuire alla difesa collettiva dell’Alleanza ed assicurare la piena copertura e protezione all’intera popolazione, ai territori e alle forze dell’Europa contro la crescente minaccia rappresentata dalla proliferazione di missili balistici”. Alla Nato Ballistic Missile Defence continueranno ad operare le unità anti-missile delle forze armate Usa schierate in Romania, Turchia, Spagna e Polonia, ma gli Alleati si dichiarano pronti a completare l’installazione di “componenti addizionali” del sistema anti-missili balistici e dei relativi centri di comando e controllo “in quanto necessari a raggiungere la completa capacità operativa”.

Un occhio di Washington e degli alleati euro-atlantici anche verso il cosiddetto Fianco Sud della Nato, comprendente il Mediterraneo allargato, il nord Africa, le regioni del Sahel e il Medio oriente. “I confini meridionali della Nato sono interconnessi con la sua sicurezza e rappresentano una sfida demografica, economica e politica”, aggiunge il documento approvato a Vilnius. “Ciò è aggravato dall’impatto del cambiamento climatico, dalla fragilità delle istituzioni, dalle emergenze sanitarie e dall’insicurezza alimentare. Questa situazione assicura un terreno fertile per la proliferazione di gruppi armati non statali, comprese le organizzazioni terroristiche. A ciò si aggiunge la destabilizzazione e l’interferenza coercitiva dei competitori strategici. La Russia sta alimentando le tensioni e l’instabilità in queste regioni. L’instabilità pervasiva sfocia nella violenza contro i civili, inclusa la violenza sessuale legata ai conflitti, così come negli attacchi contro i beni culturali e i danneggiamenti ambientali. Ciò contribuisce ai trasferimenti forzati delle popolazioni e ad alimentare il traffico di esseri umani e la migrazione irregolare”. La Nato globale si dichiara dunque pronta ad assumere il ruolo di protagonista nella gestione delle crisi sociali, economiche, ambientali, climatiche che affliggono il pianeta e nel “contenimento” di fenomeni strutturali come le migrazioni da sud a nord. “In risposta alle implicazioni profonde di queste minacce e sfide all’interno e in prossimità dell’area euro-atlantica, oggi noi abbiamo incaricato il Consiglio Nord Atlantico in sessione permanente a lanciare una riflessione completa e profonda su di esse e sulle opportunità di relazione con altre nazioni partner, organizzazioni internazionali e altri rilevanti attori nella regione, i cui risultati saranno presentati al prossimo Summit Nato del 2024”.

Per soddisfare le smisurate ambizioni Nato di global player mondiale, al vertice di Vilnius si è condiviso l’impegno ad investire sempre maggiori risorse finanziarie in armi e strutture militari. Tutti i paesi membri dell’Alleanza sono stati richiamati a rispettare “le obbligazioni sancite dall’art. 3 del Trattato di Washington” destinando annualmente non meno del 2% del Prodotto interno lordo al settore difesa. “Noi lo facciamo riconoscendo che ciò è ancora più necessario e urgente per rispondere agli impegni dell’Alleanza incluso le richieste di maggiori apparecchiature di lunga durata e per contribuire ai nuovi piani di difesa e al modello di forza Nato, così come alle operazioni, alle missioni e alle attività dell’Alleanza”, si aggiunge nel documento finale. “Noi affermiamo che in molti casi, la spesa oltre il 2% del Pil sarà necessaria per rimediare alle deficienze esistenti e rispondere ai bisogni di tutti i domini che giungono da un ordine di sicurezza contestato”. (3)

Ancora dunque maggiori spese in armi e strumenti di morte e conseguenti tagli al welfare e alle spese sociali nonostante le cifre record attestate nell’ultimo biennio nei budget delle forze armate dei paesi Nato. Alla vigilia del summit di Vilnius, lo stesso segretario generale Jens Stoltenberg si è dichiarato più che soddisfatto per gli sforzi di bilancio sostenuti dall’Alleanza, con una crescita in termini reali dell’8.3% nell’ultimo anno da parte degli alleati europei e del Canada. “Questo è il maggior incremento delle ultime decadi ed è il nono anno consecutivo che aumentano le nostre spese militari”, ha dichiarato Stoltenberg. “In questo modo gli alleati europei e il Canada hanno investito più di 450 miliardi di dollari da quando abbiamo deciso di accrescere gli investimenti nel 2014”. (4)

A Vilnius la Nato si è impegnata a destinare non meno del 20% del budget difesa alla ricerca, sviluppo e acquisizione di nuovi sistemi d’arma. “Stiamo accelerando i nostri sforzi per assicurare che l’Alleanza mantenga il suo vantaggio tecnologico nelle tecnologie emergenti e dirompenti per conservare la nostra interoperabilità ed efficienza militare, includendo anche soluzioni dual-use”, si riporta alla fine del documento del Summit. “Stiamo lavorando insieme per adottare e integrare nuove tecnologie, cooperare con il settore privato, proteggere i nostri ecosistemi innovativi, i modelli standard, ecc..”. In quest’ambito si inserisce il Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (DIANA) lanciato lo scorso anno per promuovere network di ricerca e sviluppo tra centri accademici, start-up e grandi e piccole aziende. A DIANA è stata destinata una prima tranche di un miliardo di euro circa grazie al NATO Innovation Fund, il fondo di investimenti finanziari varato al vertice di Madrid da 23 paesi (Belgio, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno unito, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Spagna, Turchia, Ungheria). Il fondo finanzierà in particolare i settori ritenuti strategici e prioritari dalla Nato: sistemi aerospaziali, intelligenza artificiale, biotecnologie e bioingegneria, computer quantistici, cyber security, motori ipersonici, robotica e sistemi terrestri, navali, aerei e subacquei a pilotaggio remoto, industria navale e delle telecomunicazioni, energia, sistemi di propulsione, ecc.. (5) Nel board dei direttori del NATO Innovation Fund è stato chiamato, tra gli altri, l’ex ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani.

Alla realizzazione dei programmi di ricerca DIANA concorreranno nove acceleratori e 63 Centri test da insediare in Europa e in Nord America. Uno di questi acceleratori Nato sorgerà nella città di Torino, mentre ancora in Italia sono previsti due Centri Test, il primo al Centro di sperimentazione e supporto navale (Cssn) di La Spezia e il secondo a Capua (Caserta) presso il Centro italiano di ricerche aerospaziali (Cira), società partecipata dall’Agenzia Spaziale Italiana, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dalla Regione Campania.

Note:

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Tra G7 e F-16, Zelensky torna da Vilnius più forte di prima


Il summit di Vilnius, che si è avviato al termine, è stato sicuramente proficuo per l’Ucraina. Anche se la speranza di un piano ben definito per regolare l’accesso all’interno dell’alleanza non si è concretizzata, la quarantottore lituana ha portato comun

Il summit di Vilnius, che si è avviato al termine, è stato sicuramente proficuo per l’Ucraina. Anche se la speranza di un piano ben definito per regolare l’accesso all’interno dell’alleanza non si è concretizzata, la quarantottore lituana ha portato comunque importanti novità per Kyiv.

Nella mattinata di Mercoledì 12 Luglio Amanda Sloat, senior director per l’Europa all’interno del National Security Council statunitense, ha preannunciato che questa sera il presidente statunitense Joe Biden, assieme ad altri leader del G7, annunceranno una forma di impegno a lungo termine atta a garantire la sicurezza dell’Ucraina durante l’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy. “Gli Stati Uniti, insieme ai leader del G7, annunceranno la nostra intenzione di aiutare l’Ucraina a costruire un esercito in grado di difendersi e di scoraggiare un futuro attacco” sono state le parole della funzionaria statunitense.

L’annuncio dovrebbe coincidere con l’inizio di una serie di negoziati bilaterali tra l’Ucraina e ciascuno degli stati del G7 coinvolto nell’iniziativa (ancora non è chiaro quali siano effettivamente gli stati coinvolti in questo processo), portate avanti sotto l’egida di una dichiarazione-ombrello congiunta. Oggetto di queste negoziazioni saranno la fornitura di equipaggiamento bellico a lungo termine, così come l’incremento nella condivisione dei dati di intelligence, nel sostegno alla lotta contro le minacce informatiche e ibride, negli sforzi per l’addestramento e le esercitazioni militari e snello sviluppo della base industriale ucraina.

Quest’iniziativa, che offrirebbe un sostegno costante e in forma strutturata all’Ucraina, è atta a placare, almeno parzialmente, i malesseri di Kyiv e di quei paesi Nato che speravano di vedere uscire dal summit di Vilnius una roadmap ben definita per l’ammissione ucraina all’interno dell’Alleanza atlantica. A questo proposito, la prima ministra dell’Estonia Kaja Kallas ha constatato che gli accordi di sicurezza bilaterali potrebbero offuscare il dibattito sull’adesione dell’Ucraina, e che gli impegni preannunciati non sono sufficienti a scoraggiare la Russia nel lungo termine.

“L’adesione alla Nato darebbe la garanzia che quando c’è un cambio di leadership in alcuni paesi, perché ci sono le elezioni, non cambia l’obbligo di uno stato membro di aiutare l’Ucraina” ha affermato la leader del paese baltico.

Contemporaneamente, a latere del summit di Vilnius alcuni funzionari hanno annunciato la firma di un memorandum che prevede per agosto l’inizio delle sessioni di addestramento di piloti, tecnici e staff di supporto ucraini all’utilizzo dei velivoli multiruolo F-16. I primi addestramenti, condotti da personale di 11 nazioni diverse, avranno luogo in Danimarca, mentre un ulteriore campo sarà adibito nei prossimi mesi in territorio romeno. La notizia è stata rilanciata sul suo profilo Twitter dal ministro della difesa ucraino Oleksii Reznikov, che non esclude un’estensione del programma ad altre tipologie di apparecchi.

“Speriamo di poter vedere i risultati all’inizio del prossimo anno” si augura il ministro della difesa danese Troels Lund Poulsen, anche se al momento non risulta che nessun esemplare di F-16 sia stato effettivamente recapitato alle forze aeree di Kyiv.


formiche.net/2023/07/ucraina-v…



L’Europa è al bivio, servono nuove regole fiscali e di governance


Sintesi della Martin Feldstein Lecture 2023 tenuta dall’ex premier ed già presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, durante la conferenza estiva del National Bureau of Economic Research di Cambridge, Massachusetts. La domanda più importante

Sintesi della Martin Feldstein Lecture 2023 tenuta dall’ex premier ed già presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, durante la conferenza estiva del National Bureau of Economic Research di Cambridge, Massachusetts.

La domanda più importante che dobbiamo porci è se l’Europa possa aprire una strada diversa in direzione dell’unione fiscale.

La Storia ci insegna che di rado i bilanci comuni sono stati creati come appendici all’integrazione monetaria, bensì per garantire obiettivi specifici nell’interesse comune. Fino a oggi l’Europa non ha mai dovuto far fronte a così tanti obiettivi sovranazionali, che non possono essere perseguiti dai singoli Paesi. Stiamo vivendo una serie di importantissime transizioni che richiedono ingenti investimenti comuni. La Commissione Europea ha fissato in più di 600 miliardi l’anno, da qui al 2030, il fabbisogno degli investimenti per la transizione verde. Il settore pubblico dovrà finanziare da un quarto a un quinto di questa cifra.

Stiamo vivendo anche una transizione geopolitica per la quale non possiamo più fare affidamento su Paesi poco amichevoli nei nostri confronti per i nostri approvvigionamenti basilari. Ciò comporta un considerevole cambiamento di indirizzo degli investimenti per aumentare le capacità produttive in patria o nei Paesi partner.

Nel corso della Storia dell’Ue, inoltre, i suoi valori fondanti di pace, democrazia e libertà non sono mai stati messi alla prova come adesso dalla guerra in Ucraina. Una delle prime conseguenze di ciò è che dobbiamo avviare un’altra transizione e dirigerci verso una Difesa europea comune molto più forte, se intendiamo rispettare il target delle spese militari dei Paesi della Nato pari al due per cento del Pil.

Così com’è, però, la compagine istituzionale europea non è adatta per queste transizioni, come evidenzia un paragone con gli Stati Uniti. Negli Usa possiamo constatare una maggiore attenzione per la cosiddetta “arte di governo”, in cui la spesa federale, le modifiche delle regolamentazioni e gli incentivi fiscali si allineano per perseguire gli obiettivi strategici fissati. L’Inflation Reduction Act, per esempio, accelererà simultaneamente la spesa per la transizione verde, attirerà investimenti esteri e ristrutturerà le catene di approvvigionamento a favore dell’America.

L’Europa, all’opposto, è priva di una strategia equivalente che integri la spesa a livello Ue, le direttive sui sussidi pubblici e i piani fiscali nazionali, come dimostra l’esempio del clima.

Una volta scaduto il Recovery Plan, non c’è una proposta per uno strumento federale in sua sostituzione, atto a portare avanti la necessaria spesa per il clima. Le normative sugli aiuti pubblici dei Paesi dell’Ue limitano la capacità delle autorità nazionali di perseguire attivamente una politica industriale verde.

Nell’inerzia, si rischia seriamente di non rispettare i nostri obiettivi climatici e, probabilmente, di perdere la nostra industria di base a beneficio di regioni che hanno meno vincoli. Questo lascia spazio a due opzioni.

Primo, è possibile allentare le normative sugli aiuti di stato e rilassare le regolamentazioni fiscali per assumerci l’onere di una spesa per gli investimenti in pieno. Così facendo, però, si creerà frammentazione, dato che i Paesi con un maggiore margine di bilancio potranno spendere più degli altri. Come abbiamo appreso dall’Accordo di Deauville, la frammentazione non ha senso quando l’obiettivo sovranazionale è tale che i singoli Paesi non possono raggiungerlo da soli. Proprio come l’euro non può essere stabile se vengono meno ingenti parti dell’unione monetaria, così il cambiamento del clima non può essere risolto se un Paese riduce le sue emissioni di anidride carbonica più rapidamente degli altri.

Questo significa che non abbiamo a disposizione che un’unica opzione, la seconda: cogliere l’occasione per ridefinire l’Ue, la sua struttura fiscale e il suo processo decisionale e renderli più adeguati alle sfide che ci troviamo davanti.

La sfida più importante per la zona euro è che per perseguire molteplici obiettivi diversi stiamo facendo affidamento su regolamentazioni fiscali a livello nazionale.

Tenuto conto del ruolo fondamentale di stabilizzazione dei bilanci nazionali, abbiamo bisogno di regolamentazioni che permettano alle politiche controcicliche di reagire agli shock locali. Abbiamo bisogno di garantire l’affidabilità a medio termine delle politiche fiscali nazionali in un contesto post-pandemico caratterizzato da un indebitamento elevatissimo. Garantire la credibilità fiscale implica necessariamente per le regolamentazioni di essere più automatiche e che vi sia meno discrezionalità. Poiché è impossibile mettere a punto regolamentazioni adatte a tutte le situazioni che si presenteranno in futuro, un maggiore automatismo vincolerà sempre la capacità dei governi di reagire a shock imprevisti.

Nello stesso modo, regolamentazioni accettabili richiedono aggiustamenti su orizzonti temporali non troppo lunghi. Il tipo di investimento che ci occorre oggi, però, implica impegni di spesa a lungo termine, molti dei quali proseguiranno ben oltre l’arco di vita dei governi che li sottoscrivono. La Commissione Europea ha cercato di risolvere questi compromessi proponendo una grande attenzione alla regola di spesa collegata alla traiettoria debitoria a medio termine di un Paese.

Poiché costituisce una decentralizzazione dei poteri al centro, l’automatismo normativo può funzionare soltanto se è eguagliato da un livello di spesa maggiore dal centro. Questo è ciò che possiamo vedere negli Stati Uniti, dove la devolution dei poteri nel governo federale rende possibile norme di bilancio perlopiù inflessibili per gli stati.

La zona euro probabilmente non potrà mai replicare una struttura del genere, tenuto conto di quanto sono più grandi i bilanci nazionali rispetto a quelli degli stati americani. Vi sono buoni motivi, tuttavia, per adottarne alcuni elementi.

Lo spazio fiscale asimmetrico europeo – dove alcuni Paesi sono in grado di spendere molto più di altri – è sprecato, in sostanza, quando si tratta di obiettivi condivisi come il clima e la Difesa. Se alcuni Paesi possono spendere liberamente a favore di questi obiettivi ma altri no, l’impatto di tutte le spese sarà in ogni caso inferiore, perché nessun Paese sarà in grado di arrivare alla sicurezza climatica o militare.

Una maggiore emissione di debito comune per finanziare questo investimento in teoria potrebbe espandere lo spazio fiscale collettivo che abbiamo a disposizione. Questo significa, quanto meno, che dovremmo garantire che gli stati membri più indebitati usino lo spazio fiscale per creare una spesa comune che migliori le loro prospettive.

Una possibilità, dunque, consiste nel procedere – come abbiamo fatto finora – con l’integrazione tecnocratica, apportando modifiche tecniche e sperando che le modifiche politiche seguano quanto prima. In definitiva, nel caso dell’euro questo approccio funzionò e l’Ue ne è uscita rafforzata. I costi di quella impresa, però, sono stati elevati, i progressi lenti.

Un’altra possibilità consiste nell’andare avanti con un iter politico vero e proprio, il cui fine sia chiaro dall’inizio e sia sottoscritto da tutti sotto forma di modifica del Trattato europeo. Questa strada non portò a nulla alla metà degli anni Duemila, e da allora i policymaker si sono astenuti dall’imboccarla un’altra volta. Tuttavia, io credo che oggi vi siano maggiori speranze di successo.

Quando l’Ue si allargherà per includere i Balcani e l’Ucraina, sarà indispensabile riaprire i Trattati per garantire di non ripetere gli errori commessi in passato espandendo la nostra periferia senza rafforzare il centro.

Il punto di partenza di qualsiasi cambiamento del Trattato in futuro dovrà essere il riconoscimento di un numero in costante incremento di obiettivi condivisi e la necessità di finanziarli insieme, il che richiede una forma diversa di rappresentatività e di processo decisionale centralizzato. A quel punto, diventerà più realistico incamminarci verso regolamentazioni più automatiche.

Io credo che oggi gli europei siano più pronti di vent’anni fa a imboccare questa strada, perché in verità hanno a disposizione soltanto tre opzioni: la paralisi, l’uscita dall’Ue o l’integrazione.

Dai sondaggi emerge chiaramente che i cittadini si sentono sempre più minacciati dall’esterno, non ultimo da quando è iniziata l’invasione russa. E questo rende la paralisi sempre più inaccettabile.

La Brexit ha tradotto in realtà le motivazioni teoriche a favore dell’uscita dell’Ue e, se i vantaggi di questa scissione appaiono ancora estremamente incerti, i costi sono fin troppo evidenti.

Se dunque la paralisi e l’uscita dall’Ue appaiono poco allettanti, i costi relativi di un’integrazione ulteriore appaiono minori.

Non potremo creare la capacità operativa dell’Ue senza rivedere l’assetto fiscale europeo. In conclusione, la guerra in Ucraina ha ridefinito profondamente la nostra Unione, non soltanto nella sua appartenenza o nei suoi obiettivi condivisi, ma anche nella consapevolezza che ha creato: il nostro futuro è interamente nelle nostre mani.

La Stampa

L'articolo L’Europa è al bivio, servono nuove regole fiscali e di governance proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Ucraina, Turchia e spesa militare. L’intervento di Sullivan al Nato Public Forum


Durante la seconda giornata di lavori al summit Nato di Vilnius, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan è intervenuto al Nato Public Forum, rispondendo alle domande postegli da Cristoph Heusgen, diplomatico tedesco e pre

Durante la seconda giornata di lavori al summit Nato di Vilnius, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan è intervenuto al Nato Public Forum, rispondendo alle domande postegli da Cristoph Heusgen, diplomatico tedesco e presidente della Munich Security Conference.

Il dialogo viene aperto dalla domanda di Heusgen sull’evoluzione nella posizione della Turchia rispetto all’entrata della Svezia nell’Alleanza atlantica, e in particolare sul ruolo avuto da Washington in questo spostamento. Il politico statunitense ha evidenziato come il vero artefice di questa evoluzione sia stato il segretario della Nato Jens Stoltenberg, che ha agito da mediatore tra le posizioni contrastanti di Ankara e Stoccolma fino a raggiungere il punto di compromesso, il sì di Erdogan all’ingresso della Svezia nell’Alleanza. Ha poi aggiunto che gli Stati Uniti si sono limitati ad assumere un ruolo gregario nei confronti dello sforzo di Stoltenberg, con il presidente Joe Biden che ha evidenziato alla sua controparte turca l’importanza fondamentale che l’entrata della Svezia nella Nato avrebbe per la struttura di sicurezza euroatlantica.

Sullivan ha anche negato fermamente la supposizione avanzata dal suo moderatore sulla possibilità di superare l’impasse nella fornitura degli F-16 ad Ankara in cambio della rimozione del veto sulla Svezia, ricordando come Biden lavori da mesi su questa questione, e che il dialogo con il congresso per approvare la fornitura proseguirà dopo l’accordo tra Svezia e Turchia agli stessi ritmi di prima.

Sul disappunto ucraino rispetto agli scarsi progressi raggiunti a Vilnius nei confronti dell’entrata di Kiyv nella Nato, la risposta di Sullivan non lascia spazio a dubbi. Il consigliere per la sicurezza nazionale evidenza come gli Stati membri dell’Alleanza siano d’accordo sul non poter includere l’Ucraina nella Nato fintanto che rimane in guerra con la Russia (poiché esso implicherebbe un estendersi del conflitto all’alleanza stessa secondo l’Articolo 5), così come sulla questione della Membership Action Plan, e ancora sul fatto che Kiyv abbia fatto grandi progressi sul piano delle riforme, progressi che però non sono sufficienti a raggiungere gli standard che tutti gli stati della Nato hanno dovuto rispettare prima di poter diventare membri dell’Alleanza.

Il comunicato rilasciato al termine dei lavori della prima giornata è stato concordato da tutti i leader partecipanti nel rispetto della propria visione, e per come è formulato esso rappresenta la posizione dell’Alleanza come un blocco unico; per arrivare a questo punto ogni stato condivide la sua visione tattica con gli altri, che tramite un processo di reciproca integrazione e mutuo aggiustamento portano alla nascita di una strategia comune basata su principi logici condivisi. “Unità non può essere l’essere d’accordo su ogni singola cosa dall’inizio alla fine”, nota l’amministratore statunitense.

La questione dell’unità è stata particolarmente sottolineata da Sullivan, riecheggiando quanto detto da Biden sull’importanza di mostrarsi uniti davanti a una Russia. Nei 505 giorni trascorsi dall’inizio dell’invasione il presidente russo Vladimir Putin ha più volte cercato il punto di rottura nelle discussioni dell’Alleanza, discussioni che però sono fisiologiche in un’alleanza composta da 31 diverse democrazie con interessi non sempre coincidenti.

Riguardo all’Ucraina, il consigliere di Biden rimarca come tutti i membri della Nato vedono nel lungo periodo l’ottenimento della membership da parte di Kyiv, visione confermata dai risultati del Summit di Vilnius; inoltre, Sullivan sottolinea come gli Stati Uniti (e non solo) siano pronti ad offrire all’Ucraina tutto il sostegno economico e militare necessario per difendersi da Mosca fino al raggiungimento della membership.

L’ultima questione affrontata da Sullivan è quella della “quota del 2%”: Heusgen ricorda che 9 anni fa, al summit in Galles svoltosi all’indomani dell’annessione della Crimea, gli Stati membri si impegnarono a destinare il 2% del proprio Pil alle spese militari; adesso quella del 2% viene vista come una soglia minima, ma alcuni paesi non sono ancora riusciti a raggiungerla, mentre i problemi all’orizzonte (anche non squisitamente militari) continuano a moltiplicarsi. Sullivan nota come negli ultimi 9 anni tutti gli stati membri abbiano comunque accresciuto la loro spesa militare, con alcuni paesi che hanno già raggiunto la soglia prefissata e altri che hanno un piano preciso per farlo; viceversa, come nota il politico americano, ci sono anche paesi che sono ben lontani dal raggiungimento del 2%, e i gap tra la spesa di diversi stati membri continua ad essere importante.

Considerando l’evolversi della situazione geopolitica, l’idea di Sullivan è che il 2% diverrà per forza di cose una soglia minima da estendere ulteriormente; gli Stati Uniti incoraggeranno questo processo e “non saranno timidi nel pressare chiunque rimanga indietro”.


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Tecnologia e innovazione al centro della guerra. Il punto a Vilnius


Gli avvenimenti in Ucraina hanno reso ancor più chiaro quanto sia rilevante l’incidenza della tecnologia sul campo di battaglia e di come stia cambiando la guerra in sé. Dalla competizione strategica, che passa anche per l’innovazione, al Defence innovati

Gli avvenimenti in Ucraina hanno reso ancor più chiaro quanto sia rilevante l’incidenza della tecnologia sul campo di battaglia e di come stia cambiando la guerra in sé. Dalla competizione strategica, che passa anche per l’innovazione, al Defence innovation accelerator for the North Atlantic (Diana) sono stati numerosi i temi al centro del panel “Tech talk: sfruttare le tecnologie emergenti per ottenere vantaggi strategici”, moderato dalla reporter Teri Schultz e tenutosi in occasione del Nato Public Forum, che si tiene in concomitanza del vertice di Vilnius dell’Alleanza atlantica.

Sinergia più stretta con i privati

“Continuo a riferirmi alla guerra russo-ucraina come a una Prima guerra mondiale combattuta con la tecnologia del XXI secolo”, ha esordito la senior policy fellow dell’European council of foreign relations (Ecfr), Ulrike Franke (nella foto). E infatti insieme al ritorno di un conflitto di stampo novecentesco, si è assistito anche a una centralità senza precedenti delle tecnologie disruptive e delle minacce emergenti sul campo di battaglia. Secondo quanto ha raccontato l’esperta, le forze ucraine si stima che abbiano perso circa diecimila droni al mese. Mai nessun conflitto fino ad ora aveva registrato un simile record. Accanto a ciò Franke ha voluto sottolineare il ruolo che ha giocato “la tecnologia in questa aggressione russa all’Ucraina e il ruolo enormemente importante che le aziende private e le aziende civili private stanno continuando a svolgere”, di cui “la maggior parte americane”. Si è visto ad esempio Google mettere una sorta di “ombrello digitale” su numerosi siti ucraini, affinché non potessero essere colpiti da attacchi Dos, o Amazon che ha permesso all’Ucraina di spostare al sicuro sul cloud molte funzioni statali, e ancora Starlink e SpaceX che con i loro satelliti hanno assicurato la connessione internet nel Paese. Per questo per non farsi trovare impreparati in futuro “abbiamo bisogno di legami sempre più stretti tra le aziende private e lo Stato in tempo di pace, in modo che se succede qualcosa si possa intervenire subito”, ha aggiunto ancora l’esperta.

La competizione passa per il tech

“La Nato è stata davvero coraggiosa, in quanto organizzazione sovranazionale, a rendersi conto e a intervenire in questo divario e a guidare il Fondo [Nato Innovation] e l’attività Diana”, ha esordito invece Andrea Traversone, socio amministratore del Fondo per l’innovazione della Nato (Nif). Al Summit Nato di Madrid dello scorso anno infatti i leader dell’Alleanza avevano firmato una lettera d’intenti che impegnasse gli Stati a implementare l’Innovation fund, un fondo di un miliardo di euro che aiuterà nei prossimi 15 anni start up e realtà deep tech a innovare e migliorare la dotazione tecnologica dell’Alleanza Atlantica. L’obiettivo è mantenere il vantaggio tecnologico nella sfida posta da Russia e Cina a vantaggio della sicurezza transatlantica. Tale fondo, secondo Traversone, andrà a colmare un gap di investimento in deep tech che esiste da più di 25 anni. In ottica di competizione è dunque importante che la Nato e i suoi alleati abbiano implementato tale fondo multi-sovrano, per investire ancor più concretamente nell’innovazione e per rendere i cittadini alleati sempre più sicuri.

Tecnologie al servizio dell’innovazione

“Dovremmo essere in grado di ampliare la nostra definizione di tecnologia di sicurezza […] perché stiamo parlando di una tecnologia che ha un’ampia base nell’energia, nel clima […] e c’è una serie di soluzioni là fuori”, ha spiegato la presidente del Consiglio di amministrazione di Diana, Barbara K. McQuiston. Il progetto Diana mira infatti a creare una rete federata di centri di sperimentazione e acceleratori d’innovazione con il compito di supportare le start up innovative facilitando la cooperazione tra settore privato e realtà militari. “Per me la sicurezza economica e nazionale vanno mano nella mano”, ha proseguito McQuiston, secondo cui bisogna essere in grado di lavorare con gli imprenditori, accelerando i loro business nel dual-use, e allo stesso tempo studiare come queste tecnologie e soluzioni lavoreranno sul campo per molte attività portate avanti dalla Nato, ma anche per l’aiuto umanitario e l’emergenza migratoria. Diana il mese scorso ha aperto i primi uffici a Londra, ma in tale progetto è coinvolto anche il nostro Paese, sarà infatti Torino a ospitare l’acceleratore per il settore aerospaziale.


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Etiopia, appello all’Unione Africana per affrontare le debolezze dell’accordo di pace in Tigray


“Un meccanismo di monitoraggio appena rilasciato ha rivelato prove inquietanti che l’accordo sulla cessazione delle ostilità (CoHA) raggiunto otto mesi fa tra il governo federale etiope e il Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF) è viziato da la
“Un meccanismo di monitoraggio appena rilasciato ha rivelato prove inquietanti che l’accordo sulla cessazione delle ostilità (CoHA) raggiunto otto mesi fa tra il governo federale etiope e il Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF) è viziato da lacune significative che incidono sulla protezione dei civili.”


Rapporto completo

Il monitoraggio della società civile, primo nel suo genere, trova inquietanti lacune nell’accordo di pace con il Tigray

Il report “Ethiopia Watch” esorta l’Unione Africana a costruire sullo storico accordo raggiunto a Pretoria otto mesi fa.

10 LUGLIO 2023 – Un meccanismo di monitoraggio appena rilasciato ha rivelato prove inquietanti che l’accordo sulla cessazione delle ostilità (CoHA) raggiunto otto mesi fa tra il governo federale etiope e il Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF) è viziato da lacune significative che incidono sulla protezione dei civili.

Il meccanismo di monitoraggio, che è la creazione di una coalizione di organizzazioni della società civile regionali e internazionali, ha pubblicato i suoi risultati in un rapporto intitolato Ethiopia Watch: Civil Society Monitor of the Cessation of Hostilities Agreement. Il rapporto raccoglie e analizza i dati provenienti da fonti pubbliche e private, creando una valutazione completa e indipendente dell’accordo di pace mediato dall’Unione africana.

Il rapporto del meccanismo descrive il CoHA come un risultato epocale che ha migliorato la situazione in Etiopia. Ma il rapporto trova, e dettaglia meticolosamente, lacune critiche che derivano sia dalla portata limitata dell’accordo sia dai fallimenti nella sua attuazione.

Il rapporto di 26 pagine viene pubblicato in vista del vertice dell’Unione africana, che si terrà a Nairobi dal 13 al 16 luglio.

“Il rapporto rivela che è pericoloso affermare che l’Etiopia è ora in pace”,


“Il rapporto rivela che è pericoloso affermare che l’Etiopia è ora in pace”, ha affermato Dismas Nkunda , direttore esecutivo di Atrocities Watch Africa, che è un membro della coalizione della società civile che ha istituito il meccanismo . Anche se c’è molto da festeggiare riguardo al processo di pace guidato dall’UA, resta ancora molto lavoro da fare. L’ accordo deve essere pienamente implementato e dotato di risorse. Dovrebbe essere esteso per includere altri attori chiave del conflitto in tutta l’Etiopia. E deve essere ampliato per includere la piena partecipazione dei giovani, delle donne e delle ragazze”.


Le fonti utilizzate per il rapporto, molte delle quali hanno condiviso le loro intuizioni sulla condizione di anonimato, hanno contestato la narrativa predominante secondo cui il conflitto nel Tigray è stato risolto.

Sebbene sia vero che i giorni peggiori della guerra sono passati, le fonti del rapporto indicano le significative lacune evidenziate nel rapporto come prova che la pace è provvisoria, incerta e fragile.

Il rapporto descrive in dettaglio come le truppe eritree rimangano presenti in alcune parti del Tigray, dove sono accusate di aver ucciso civili, aver commesso aggressioni sessuali e perpetrato sparizioni forzate. I gruppi regionali della società civile coinvolti nel meccanismo di monitoraggio invitano il governo federale dell’Etiopia a chiedere espressamente che le forze eritree sul territorio etiope se ne vadano.

Il rapporto descrive come il conflitto sia persistito e intensificato in Amhara e, in misura minore, in Afar, commesso (come nel caso degli attacchi delle truppe eritree) da non firmatari dell’accordo di pace. Il destino della terra politicamente contesa (nel Tigray occidentale e meridionale) non viene affrontato esplicitamente dall’accordo e tuttavia è chiaramente un motore della presunta pulizia etnica in corso nel Tigray occidentale, dell’instabilità e del conflitto nella vicina regione di Amhara.

“I limiti dell’accordo minacciano di vanificare i progressi compiuti finora e gli organi politici dell’Unione africana possono e devono rafforzare l’accordo al fine di garantire una pace sostenibile in Etiopia”, ha affermato Achieng Akena, direttore esecutivo dell’International Refugee Rights Initiative , anche un membro della coalizione della società civile che ha istituito il meccanismo.

Il rapporto rileva che l’articolo 4 del CoHA impegna le parti a condannare qualsiasi atto di violenza sessuale e di genere. Eppure c’è stata poca o nessuna condanna pubblica da parte delle parti della violenza sessuale da parte delle proprie truppe, né degli incidenti verificatisi dopo la firma del CoHA né degli incidenti durante il conflitto. Il rapporto descrive ulteriormente come le donne fossero assenti dalle delegazioni ufficiali delle parti ai colloqui di pace.

“Il livello e la brutalità della violenza di genere commessa da tutte le parti in conflitto rende imperativo che le donne e le ragazze svolgano un ruolo centrale nel processo di pace e in qualsiasi processo di giustizia di transizione”, ha dichiarato Annah Moyo-Kupeta, direttore esecutivo del Centro . per lo studio della violenza e della riconciliazione, anch’esso parte della coalizione della società civile.

Il rapporto rileva una sorprendente mancanza di trasparenza nel lavoro del meccanismo ufficiale di monitoraggio, verifica e conformità dell’UA (AU-MVCM)


Il rapporto rileva una sorprendente mancanza di trasparenza nel lavoro del meccanismo ufficiale di monitoraggio, verifica e conformità dell’UA (AU-MVCM). Il gruppo di monitoraggio dell’UA lavora con poche risorse e un mandato limitato, mostra il rapporto. Allo stesso tempo, i suoi sforzi per ottenere l’accesso alle aree detenute da forze che non fanno parte del CoHA meritano il riconoscimento e il sostegno politico dell’UA.

La coalizione chiede di intensificare la mediazione e il monitoraggio, anche nominando esperti civili in materia di diritti umani e di genere all’AU-MVCM.

“È importante utilizzare la memoria istituzionale e le risorse che il continente e l’Unione Africana hanno a disposizione e dispiegate in situazioni precedenti per risolvere problemi malvagi in passato”, ha affermato Shuvai Busuman Nyoni, direttore esecutivo della leadership Centro africana. “Lascia che l’Africa prenda seriamente in considerazione ciò che ha funzionato, ciò che può essere modificato e vada avanti con decisione e senza riserve”.

Il rapporto esplora la difficile situazione di centinaia di migliaia di sfollati interni (IDP) che hanno urgente bisogno di maggiore sostegno e sicurezza. Gli sfollati interni, che non hanno alcun diritto legale all’istruzione, alla salute, al benessere abitativo e al lavoro, vivono alla mercé degli individui e delle comunità che li aiutano.

La coalizione della società civile raccomanda che il governo federale introduca urgentemente un quadro politico per gli sfollati in tutta l’Etiopia e garantisca loro lo status legale come parte delle misure di riconciliazione nazionale a livello nazionale.

Il rapporto conferma le conclusioni di numerose notizie sulla sistematica dirottamento degli aiuti alimentari da parte delle autorità etiopi e tigrine.

“Il governo federale e il TPLF devono rispettare il loro impegno ai sensi del CoHA di non dirottare gli aiuti e l’assistenza alimentare e dovrebbero entrambi indagare con urgenza sulle segnalazioni persistenti di tale diversione e chiedere conto degli autori”, ha affermato Abdullahi Halakhe, che è l’ Avvocato anziano del Corno Orientale e dell’Africa meridionale con Refugees International.

I leader dell’Unione africana hanno la responsabilità speciale di insistere affinché le parti aderiscano al CoHA e garantire che l’accordo di pace serva da base per accordi futuri e migliori in tutta l’Etiopia, conclude il rapporto.

“Come accordo unico, il CoHA è un inizio positivo per la pace e la riconciliazione in Etiopia”, afferma il rapporto. “Nonostante i suoi successi nel mettere a tacere le armi nel Tigray, il CoHA rappresenta il pavimento, piuttosto che il soffitto, di ciò che può essere raggiunto per gli etiopi. La portata dei futuri accordi deve essere ampliata, se si vuole raggiungere una pace duratura in tutto il paese”.


Note ai redattori

Per intervistare i membri della coalizione della società civile che ha istituito il meccanismo di monitoraggio, si prega di contattare Peter Duffy: peter.duffy@crisisaction.org


FONTE: martinplaut.com/2023/07/10/a-c…


tommasin.org/blog/2023-07-12/e…



Dal summit Nato di Vilnius al G7 italiano. La partita del fianco Sud


L’invasione russa dell’Ucraina che ha catalizzato buona parte delle energie e degli impegni sulla sicurezza dell’Est Europa. I nuovi membri, Finlandia e tra qualche tempo Svezia, provenienti da Nord. Lo sguardo sempre più attento verso l’Indo-Pacifico. In

L’invasione russa dell’Ucraina che ha catalizzato buona parte delle energie e degli impegni sulla sicurezza dell’Est Europa. I nuovi membri, Finlandia e tra qualche tempo Svezia, provenienti da Nord. Lo sguardo sempre più attento verso l’Indo-Pacifico. In questo contesto durante il summit Nato di Vilnius, in Lituania, poco spazio è stato dedicato al fianco Sud.

Gli alleati hanno evidenziato nelle dichiarazioni finali che “le sfide interconnesse di sicurezza, demografiche, economiche e politiche” nel vicinato meridionale sono “aggravate dall’impatto del cambiamento climatico, dalla fragilità delle istituzioni, dalle emergenze sanitarie e dall’insicurezza alimentare”. Ciò rende la regione un terreno fertile per gruppi armati, organizzazioni terroristiche, interferenze “destabilizzanti e coercitive” da parte di concorrenti strategici come la Russia e la Cina. Per questo, hanno dato mandato al Consiglio Nord Atlantico di avviare “una riflessione completa e approfondita sulle minacce e le sfide esistenti ed emergenti e sulle opportunità di impegno con i nostri Paesi partner, le organizzazioni internazionali e altri attori rilevanti della regione, da presentare al prossimo vertice del 2024”. Discussione, dunque, rimandata al summit di Washington quando la Nato festeggerà i suoi 75 anni.

E proprio l’anno prossimo la presidenza del G7 sarà dell’Italia, che ha nel vicinato meridionale l’area di maggiore interesse strategico. Il governo Meloni ha annunciato la presentazione a ottobre del Piano Mattei per l’Africa, un progetto di collaborazione “non predatoria” con i Paesi dell’Africa e del Medio Oriente su dossier come migranti ed energia. Rispetto al summit di quest’anno tenutosi a Hiroshima, in Giappone, il vertice che si svolgerà in Puglia aggiungerà un elemento: il rapporto con il Sud Globale, come ha spiegato nelle scorse settimane l’ambasciatore Luca Ferrari, sherpa G7/G20 a Palazzo Chigi.

Per l’Italia una doppia occasione da capitalizzare.


formiche.net/2023/07/nato-g7-f…



L’Italia, la Nato e la Cina. Il corsivo di Laura Harth


Dalle parole ai fatti. Dovrebbe essere quello il motto del governo Meloni dopo l’ottimo comunicato uscito dal summit Nato di Vilnius, in Lituania. Parole più forti che mai dall’Alleanza transatlantica, non solo sull’invasione russa dell’Ucraina, ma anche

Dalle parole ai fatti. Dovrebbe essere quello il motto del governo Meloni dopo l’ottimo comunicato uscito dal summit Nato di Vilnius, in Lituania. Parole più forti che mai dall’Alleanza transatlantica, non solo sull’invasione russa dell’Ucraina, ma anche sul suo partner “senza limiti” nell’attacco frontale all’ordine internazionale basato sulle regole – la Repubblica popolare cinese. Un Paese nelle grinfie di una dittatura feroce che ormai da tempo cerca di imporre il suo modello per una governance mondiale alternativo a quello dei valori universali ribaditi con fermezza dagli alleati Nato. Un Paese che, come sottolinea il comunicato, non ha nessun remore a mettere in campo tutti gli strumenti politici, economici e militari a sua crescente disposizione per sfidare quello stesso ordine che – il regime malgrado – ha permesso alla sua popolazione di uscire dalla povertà più assoluta. Una dittatura che solo l’altro ieri – a 500 giorni esatti dalla guerra unilaterale scatenata da Mosca sul continente europeo – ha dichiarato di voler approfondire ancora il suo partenariato strategico con la Russia di Vladimir Putin per costruire un nuovo ordine mondiale.

Se non bastasse a convincere coloro che ancora credono nella favolosa operazione di disinformatia di una cosiddetta “soluzione cinese” al conflitto in Ucraina, ricordiamo che negli stessi 500 giorni Xi Jinping e la sua corte del Partito comunista cinese non hanno mai condannato l’invasione illegale russa. Mai. Non solo: hanno e continuano a sostenere lo sforzo bellico russo attraverso l’ampio spargimento della disinformazione dentro e fuori dalla Cina, l’aggiramento delle sanzioni imposte dall’alleanza dei Paesi a sostegno dei principi fondamentali della Carte della Nazioni Unite, e – dulcis in fundo – l’aiuto militare diretto.

Ma se dal comunicato Nato emerge un quadro molto chiaro circa la sfida condivisa dal più grande blocco democratico nella storia dell’umanità, esiste ancora grande opacità su un piano di implementazione concreta dei principi elencati e, ancor di più, sullo stato di preparazione allo scenario di un potenziale conflitto intorno a Taiwan. De-risking è la nuova parola d’ordine imposta con successo dall’Unione europea, ma di fatto – salvo rare eccezioni in alcuni campi ben (e troppo?) circoscritti – sembra mancare una strategia complessiva per preparare l’Italia a uno scontro che in termini economici sarebbe apocalittico rispetto alle già asprissime conseguenze della guerra russa. Sebbene sia vero che negli ultimi anni i vari governi italiani hanno fatto saggio uso incrementale del suo Golden Power per mettere al riparo asset strategici, non è altrettanto chiaro qual è il suo apprezzamento dell’esposizione economica italiana a uno shock simile.

La Repubblica popolare cinese da anni sta lavorando sul suo cosiddetto piano di doppia circolazione, che mira a isolare il suo mercato domestico da shock esterni – come le indubbie sanzioni nel caso di una invasione di Taiwan – mentre al contempo cerca di accrescere la sua leva economica esterna per creare dipendenze strategiche e aumentare la sua influenza come ribadisce il comunicato Nato. Precedenti governi italiani sono caduti nella trappola di tale strategia, come evidenziato dalla disastrosa sottoscrizione del memorandum d’intesa sulla Via della Seta, un accordo politico che certamente non ha aiutato a mettere in guardia il mondo imprenditoriale italiano sui rischi dello crescente scontro geopolitico cercato da Pechino.

Il continuo tentennare dell’attuale governo sulla continuazione o meno di quell’accordo certamente non è utile a preparare meglio la società italiana sulle conseguenze di quanto descritto dal summit di Vilnius. Facile immagine le forti pressioni da Pechino o dal mondo imprenditoriale italiano per “non agire in modo che possa far infuriare la Cina”. Serve proprio a quello la famosa leva economica. Ma un governo responsabile, che ha gli occhi ben aperti sulla sfida cinese come emerge dalla sottoscrizione del comunicato Nato, ha l’obbligo di superare le ambiguità del passato. Occorre prepararci al peggio ora per resistere meglio quando arriva. Da chi ha interessi privati diretti in Cina alla società italiana intera.

Lo stesso compito spetta al parlamento, maggioranza e opposizione. Dopo Vilnius, sarebbe più che opportuno che i parlamentari cominciassero a interrogare il governo apertamente non solo sulla questione della Via della Seta, ma anche sull’esposizione economica complessiva del Paese. Quante aziende sono a rischio nel caso di un conflitto e le conseguenti sanzioni? Come sta, se lo sta facendo, il governo comunicando tali rischi con il settore? Quali politiche intende mettere in campo per accrescere la loro comprensione del e resilienza al rischio? Come, sempre se, si stanno preparando le aziende stessi? Per l’interesse dell’Italia: dalle parole ai fatti. Ora.


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Pirates welcome new manufacturing rules


Today, the European Parliament will adopt its position on the Ecodesign regulation for the trilogue negotiations with the Council. MEPs drafted a law that will establish new manufacturing rules for e.g. …

Today, the European Parliament will adopt its position on the Ecodesign regulation for the trilogue negotiations with the Council. MEPs drafted a law that will establish new manufacturing rules for e.g. tech and fashion companies, aiming to significantly reduce the environmental impact by setting circular design criteria on most consumer goods in the EU. Pirate Party Members of the European Parliament, active proponents of the ‘right to repair’ directive which pursues similar circular economy targets, welcome the mandate.

Patrick Breyer, Member of the European Parliament for the German Pirate Party, comments:“Consumers stand to benefit immensely from this legislation. We want to ban planned obsolescence particularly for digital consumer goods. Manufacturers must not be allowed to limit the lifetime of a product to maximise profits. According to our mandate, manufacturers will also need to make available software updates and cannot simply run away from their products. Consumers will have access to repair guidelines, not only mechanics. As consumers in the digital age, we should have a right to control, repair and modify the technology that shapes our lives – this is our conviction as Pirates.”

Marcel Kolaja, Member and Quaestor of the European Parliament for the Czech Pirate Party and Member of the Committee on the Internal Market and Consumer Protection, comments:

“Unfortunately, it’s not uncommon to throw away a product that still works and we would prefer continue using it. However, a repair of a minor flaw would be too expensive. We may have gotten used to it, but it’s a problem worth addressing. Both because of our wallets and because of the environmental impact. Ban on products that are faulty “by design” and compliance with ecodesign requirements such as affordable and accessible repair will save every European family between €650 and €1800 every year. And the benefits for our environment will be priceless. Another important aspect of the legislation is the ban on the disposal of functional but unsold products, such as electronic and textiles. This kind of wasteful behavior happens with the sole aim of not reducing market prices and it is unacceptable. Even more so at a time when we are hearing calls from the same producers for more sensible ways of consuming, as a way of their greenwashing techniques.”


patrick-breyer.de/en/pirates-w…



GHAJAR. Vite sospese al confine tra Libano e Israele


Per fare pressioni su Hezbollah, Tel Aviv mette in discussione la linea blu stabilita dall'ONU. Iniziata nel 2000, la disputa si è riaccesa il 5 luglio dopo uno scontro a fuoco. L'articolo GHAJAR. Vite sospese al confine tra Libano e Israele proviene da

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di Michele Giorgio –

(Articolo pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto)


Pagine Esteri, 12 luglio 2023. Una vita sospesa, senza sapere se Ghajar tornerà un giorno sotto il controllo di Damasco, come vorrebbero i suoi abitanti alawiti che si sentono siriani, se, almeno per metà, sarà parte in modo permanente del Libano o se invece, come sembra in questi giorni, resterà tutto sotto l’autorità di Israele. È questa la condizione di questo villaggio al confine tra il Libano e le alture siriane del Golan, attraversato dalla Linea Blu tracciata nel 2000 dall’Onu e abitato da duemila persone che Israele, alzando nei giorni scorsi una recinzione, ha voluto mettere sotto la sua sovranità (che l’Onu riconosce solo a metà). La vicenda è passata quasi inosservata perché i riflettori la settimana passata sono rimasti puntati sull’invasione israeliana del campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. Ed è emersa per lo scontro a fuoco lungo il confine – lancio di un razzo da parte di (pare) uomini di Hamas in Libano e reazione dell’artiglieria israeliana – avvenuto il 5 luglio. Una fiammata preceduta dalla mossa del movimento sciita Hezbollah di allestire due tende di osservazione nell’area delle colline di Kfar Shuba e delle fattorie di Shebaa occupate da Israele.

In sostanza gli israeliani hanno messo in discussione la demarcazione del confine terrestre fatta dall’Onu allo scopo di fare pressione su Hezbollah. Con i suoi avamposti «militari avanzati» nell’area delle fattorie di Shebaa, il movimento sciita libanese ha voluto riaffermare la sua resistenza armata e la legittimità del suo arsenale per la liberazione di quel fazzoletto di terra occupato da Israele rivendicato da Beirut sebbene sia considerato siriano dalla comunità internazionale. Il confine israelo-libanese da alcuni mesi vive una crescente tensione, in conseguenza della riconciliazione tra Iran e Arabia saudita, per decenni i principali giocatori sullo scacchiere politico interno libanese. La svolta ha complicato i piani di Tel Aviv di creare una coalizione araba a guida israeliana contro l’Iran. E ha dato agli alleati di Teheran nella regione, a cominciare da Hezbollah, maggior riconoscimento e legittimità di azione con riflessi immediati sul terreno. La leadership di Hezbollah intende unificare l’«asse della resistenza», dai Pasdaran (Guardie rivoluzionarie iraniane) alle fazioni armate palestinesi. Perciò, durante le recenti offensive militari israeliane in Cisgiordania e Gaza, si è detto pronta a sostenere la lotta armata palestinese. Ad aprile Hezbollah ha lanciato razzi verso il territorio israeliano e a giugno ha tenuto una esercitazione militare su vasta scala a Kfar Shuba. Quindi la scorsa settimana i combattenti sciiti hanno abbattuto un drone israeliano che aveva violato lo spazio aereo libanese.

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Israele ha replicato inviando i suoi bulldozer oltre la recinzione tecnica e la Linea Blu a Houla e i suoi soldati hanno sparato proiettili di gomma e lanciato granate stordenti e lacrimogeni contro i civili libanesi che protestavano. Infine, è cominciata la battaglia della comunicazione. La stampa israeliana ha riferito che Hezbollah ha rimosso uno dei suoi avamposti militari a Kfar Shuba a seguito delle pressioni della comunità internazionale. L’Unifil, il contingente di interposizione dell’Onu sulla Linea Blu non è stato in grado di confermare. Il portavoce del movimento sciita ha negato: «Gli avamposti sono ancora dove dovrebbero essere e intendiamo persino aumentarne il numero in base alle esigenze della resistenza». Giovedì scorso Hezbollah ha esortato il governo e tutti i libanesi ad agire per impedire un insediamento israeliano permanente nella parte settentrionale di Ghajar. Gli abitanti del villaggio sono divisi. Quelli, nella zona nord, invocano la piena sovranità libanese e quelli, nella parte meridionale, che preferiscono restare almeno per ora con Israele, per ragioni di lavoro.

La disputa territoriale è iniziata nel 2000 quando Israele si è ritirato dal sud del Libano dopo 22 anni di occupazione, decidendo però di mantenere il controllo di una porzione del villaggio. Dopo 23 anni, la questione si è riaperta completamente e rischia di essere la scintilla di una nuova guerra tra Israele e Hezbollah. L’Unifil è presa tra due fuochi. Il suo mandato dovrà essere rinnovato dall’Onu ad agosto. Israele e Usa premono affinché i caschi blu svolgano un azione di contrasto di Hezbollah non prevista però dai compiti dei soldati delle Nazioni unite, in buona parte italiani.

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WaveMakers la serie che ha dato il via a un’ondata MeToo a Taiwan


WaveMakers la serie che ha dato il via a un’ondata MeToo a Taiwan 8194114
WaveMakers, serie Netflix uscita nel 2023, racconta le vicissitudini dell'ufficio stampa di un partito politico taiwanese, impegnato nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali. Al centro della vicenda vi è la storia di una ragazza dell'ufficio stampa del partito, che accusa un collega di molestie sessuali. WaveMakers ha rafforzato il movimento #MeToo a Taiwan. Articolo realizzato in collaborazione con Gariwo - La Foresta dei Giusti

L'articolo WaveMakers la serie che ha dato il via a un’ondata MeToo a Taiwan proviene da China Files.



racconti distopici




Recensione Cielo di Piia Leino - Leggere distopico

@libri@feddit.it

"Helsinki, 2058. Dopo una violenta guerra civile, la società è crollata e il movimento sovranista Luce ha preso il potere sull’ex capitale della Finlandia. I dissidenti politici sono fuggiti al nord, mentre ai cittadini leali Luce ha donato Cielo, una realtà virtuale dove tutto è meraviglioso e colorato."

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@libri@poliverso.org

#libri #mastolibri #libripendolari #unlibroalgiorno #libriSegreti

leggeredistopico.com/2023/07/1…




In Cina e Asia – Summit Nato: "Pechino minaccia l’ordine internazionale”


In Cina e Asia – Summit Nato: narto
I titoli di oggi:
Summit Nato: "La Cina minaccia l'ordine internazionale"
Thailandia: il premier ed ex generale golpista Prayut annuncia di volersi ritirare dalla politica
Taiwan, pronta esercitazione di evacuazione su larga scala
Bulgari si scusa con Pechino per aver separato la Rpc da Taiwan sul proprio sito
Tik Tok, senatore Usa: il "lobbying aggressivo di Pechino sta rallentando la corsa al RestrictAct"
Allarme talenti, le aziende cinesi cercando di "riprendersi" i cittadini all'estero
Clima, piogge record causano morti e danni in tutta l'Asia

L'articolo In Cina e Asia – Summit Nato: “Pechino minaccia l’ordine internazionale” proviene da China Files.



Paolo Ferrero* Il vertice che si sta aprendo a Vilnius è una vera e propria bomba ad orologeria perché rischia di assumere decisioni che aprono la strada a


“L’uomo e l’intelligenza artificiale tra scienza, etica e diritto”


Oggi a partire dalle ore 18,30 parteciperò con Gianluigi Ciacci e Paolo Galdieri all’incontro “L’uomo e l’intelligenza artificiale tra scienza, etica e diritto” organizzato dell’Associazione Culturale International Horizon, via degli Uffici del Vicario 43, Roma Qui il link completo alle informazioni internationalhorizon.it/2023/0…


guidoscorza.it/luomo-e-lintell…



Difesa, investimenti e migranti. Patto da 30 miliardi tra Meloni ed Erdogan


Quota trenta. È l’obiettivo italo-turco relativo all’interscambio commerciale tra i due paesi, scaturito tra le altre cose, dall’incontro bilaterale a margine del Vertice Nato di Vilnius tra il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il Presidente tur

Quota trenta. È l’obiettivo italo-turco relativo all’interscambio commerciale tra i due paesi, scaturito tra le altre cose, dall’incontro bilaterale a margine del Vertice Nato di Vilnius tra il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il Presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan. Il faccia a faccia tra i due leader, accompagnati dalle delegazioni, è durato circa 50 minuti, a conferma degli intensi rapporti tra i due Paesi. Focus su difesa, investimenti e migranti.

Scambi

Punto di partenza la relazione solida alla voce difesa, che rende l’asse tra Italia e Turchia intenso: l’obiettivo di un ulteriore slancio nei rapporti economici, per arrivare a un interscambio di 30 miliardi di euro, rappresenta l’impegno comune. Esattamente un anno fa l’allora premier Mario Draghi siglò ad Ankara ben nove accordi di cooperazione in diversi ambiti in occasione del terzo vertice intergovernativo, dopo quelli datati 2008 e 2012. L’Italia è il quarto partner commerciale della Turchia, inoltre Roma e Ankara, in qualità di potenze regionali, condividono interessi comuni nel bacino del Mediterraneo su cui provano ad incidere in aree connesse come Libia, Afghanistan e Libano.

Mediterraneo

Da un lato Giorgia Meloni ha posto l’accento sulla strategia complessiva per il Mediterraneo e il contrasto all’immigrazione clandestina, coagulatasi nel Piano Mattei e ha confermato l’interesse alla collaborazione in diversi settori. Dall’altro appare evidente che, al momento, un dossier su tutti spicca tra i due paesi: la Libia.

L’Italia da tempo sta costruendo uno sforzo diplomatico al fine di offrire supporto alla stabilizzazione istituzionale del paese, con l’auspicio che si tengano al più presto elezioni politiche libere e regolari e parallelamente con Eni svolge un ruolo ormai certificato.

La Turchia continua nelle sue interlocuzioni con il governo locale, al fine di restare centrale nell’area: lo dimostra il recente annuncio del ministro libico del petrolio e del gas, Mohamed Aoun, riguardo al fatto che le società turche sono partner prioritari per la ricerca sismica in Libia, citando la vicinanza geografica e l’esperienza della Turchia nel settore. Più in generale, l’intero versante che va da Gibilterra a Cipro è attraversato da zone economiche esclusive valutate come una straordinaria opportunità commerciale.

Energia

Anche se non è stato ufficialmente oggetto del vertice, il dossier energetico è di fatto uno dei maggiori punti all’interno delle politiche mediterranee che riguardano le relazioni fra i due paesi. Va ricordato che la capacità del Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline (Tanap) che trasporta il gas naturale dall’Azerbaigian alla Turchia e poi in Europa, è stata rafforzata contribuendo non solo alla partnership energetica tra Ankara e Baku ma facendo della Turchia un punto di riferimento. Quest’anno i dati elle esportazioni parlano di 22,2 miliardi di metri cubi di gas attraverso il gasdotto, di cui 10,2 bcm destinati alla Turchia e 12 bcm all’Europa.

Il combinato disposto tra il Baku-Tbilisi-Erzurum, il Tanap e il Tap, è di 40 miliardi di dollari, proprio al fine di aumentare la diversificazione delle risorse dell’Europa alla voce gas naturale. Secondo i dati diffusi dal “Natural Gas Market 2022 Sector Report” dell’Autorità turca di regolamentazione del mercato energetico le spedizioni di gas dall’Azerbaigian alla Turchia quest’anno accusano un aumento di circa 1,5 miliardi di metri cubi rispetto a 12 mesi fa.


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Il consorzio POTENTIAL guidato da Francia e Germania ha iniziato a lavorare su un progetto pilota su larga scala per creare un portafoglio europeo di identità digitale, con implementazione esclusa entro il 2025, è stato annunciato all’evento di lancio a...


PRIVACYDAILY


N. 132/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: La Commissione europea ha adottato oggi la decisione sull’adeguatezza del quadro normativo UE-USA in materia di privacy dei dati. La decisione conclude che gli Stati Uniti garantiscono un livello di protezione adeguato – paragonabile a quello dell’Unione europea – per i dati personali trasferiti dall’UE alle società statunitensi... Continue reading →


#38 / Geopolitica dei dati e coincidenze


Stati Uniti e Unione Europea hanno fatto pace / BRITcoin sarà uno strumento di controllo dell’immigrazione? / Facebook era un progetto del Pentagono? / Meme e citazione del giorno.

Stati Uniti e Unione Europea hanno fatto pace


La notizia della settimana è che la Commissione Europea ha adottato una decisione di adeguatezza per il nuovo accordo internazionale per il trasferimento di dati verso gli Stati Uniti: lo EU-US Data Privacy Framework, che ha sostituito il Privacy Shield.

Dice la Commissione che ora le aziende europee potranno esportare dati verso gli Stati Uniti, come facevano fino al 2020, senza doversi preoccupare di adottare particolari misure di sicurezza per la salvaguardia dei nostri interessi.

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Il motivo di questo rinnovato amore dopo anni di guerra fredda sui dati — di cui anche chatGPT fu vittima recente — è che gli Stati Uniti avrebbero previsto delle misure di salvaguardia per i diritti dei cittadini europei, inclusa la limitazione dell’accesso ai nostri dati da parte dell’intelligence statunitense.

Eh sì, perché nel 2020 abbiamo deciso che esportare dati verso gli Stati Uniti era illegale proprio a causa di una sentenza della Corte di Giustizia Europea che dopo una causa lunga quasi 10 anni decise che le attività di sorveglianza di massa dell’intelligence statunitense erano troppo pervasive e penetranti per poter anche solo sperare di proteggere i diritti e interessi dei cittadini europei.

Abbiamo passato gli ultimi 3 anni a fare terrorismo psicologico alle aziende, con tanto di sanzioni del Garante Privacy, ma si scherzava: col nuovo pezzo di carta magico firmato da Biden e dalla Von der Leyen ora siamo tutti di nuovo al sicuro e i nostri dati potranno liberamente transitare verso i nostri padr… ehm — alleati: gli Stati Uniti.

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BRITcoin sarà uno strumento di controllo dell’immigrazione?


Britcoin, il nome con cui è conosciuto amichevolmente il progetto inglese di CBDC (Central Bank Digital Currency) — da non confondersi con Bitcoin — potrebbe essere collegato a un sistema di age check e nationality check automatizzati1.

In altre parole, questa nuova versione della Sterlina potrebbe essere programmabile in modo tale da bloccare l’acquisto di prodotti vietati ai minori di 18 anni o magari applicare condizioni di utilizzo diverse in base alla nazionalità. Magari potrebbero essere previsti limiti temporali per l’uso della CBDC nazionale da parte dei turisti o di tutti coloro che per qualche motivo si trovano in UK senza avere la cittadinanza.

La programmabilità è una caratteristica funzionale di molti progetti di CBDC, e la Bank of Englad non ha mai fatto mistero della volontà di approfondire proprio questo aspetto. I soldi del futuro potrebbero diventare un’importante arma geopolitica, ancora più di adesso.

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Facebook era un progetto del Pentagono?


Noi ci fidiamo degli Stati Uniti perché sono nostri grandi amiconi, ma non dimentichiamo che hanno da sempre avuto il pallino della sorveglianza di massa.

Parliamo ad esempio di un peculiare progetto finanziato nel 2003 dalla US Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), che aveva lo scopo di creare una piattaforma pubblica per la raccolta massiva di dati personali utili ad allenare algoritmi di intelligenza artificiale.

Il progetto si chiamava “LifeLog” e l’idea era molto semplice: creare uno strumento — una sorta di diario elettronico — che permettesse alle persone di registrare digitalmente la loro vita: spostamenti, conversazioni, letture, relazioni, acquisti e molto altro.

"LifeLog will be able … to infer the user’s routines, habits and relationships with other people, organizations, places, and objects," the pamphlet explained, "and to exploit these patterns to ease its task."2


Inspiegabilmente DARPA chiuse però i rubinetti al progetto LifeLog poco meno di un anno dopo la sua nascita, precisamente a febbraio 2004…

Per una assoluta coincidenza, proprio in quegli stessi giorni veniva fondato Facebook.

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Stasera webinar su privacy, sicurezza e hard-wallet


Se possiedi un Ledger o un altro hard wallet potrebbe interessarti il webinar di stasera organizzato da Etherevolution, in cui si parlerà di privacy, sicurezza e hard wallet.

Spiegheranno come evitare rischi, le caratteristiche ottimali, le vulnerabilità e l'importanza di agire responsabilmente ed evitare scorciatoie quando si tratta della sicurezza dei propri fondi.

Parteciperò anch’io, anche se solo come ospite.

Per chi volesse iscriversi: questo è il link.

Meme del giorno


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Citazione del giorno

“In the West, we have been withdrawing from our tradition-, religion- and even nation-centred cultures, partly to decrease the danger of group conflict. But we are increasingly falling prey to the desperation of meaninglessness, and that is no improvement at all.”

Jordan B. Peterson

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1

telegraph.co.uk/business/2023/…

2

vice.com/en/article/vbqdb8/15-…



Dal match tra i due finti nemici Musk vs Zuckerberg alla guerra (geopolitica) nella Silicon Valley tra i cani da guardia dell'Impero

@Informatica (Italy e non Italy 😁)

Ci sarà l'annunciato match di lotta Mma tra Elon Musk e Murk Zuckerberg? Musk ha lanciato il guanto su Twitter e Zuckerberg l’ha raccolto su Instagram. La 'sfida' nasce dal lancio di #Threads, il nuovo social della Meta di Zuckerberg che imita il Twitter di Musk. La vicenda è solo uno dei contrasti tra i big a capo di varie fazioni nella Silicon Valley. Come è cambiato il rapporto con il governo americano e gli apparati. La raccolta dei dati e il problema di gestirli. La crisi sociale nella Silicon Valley. In studio Giuseppe De Ruvo e Alfonso Desiderio. Puntata registrata il 30 giugno 2023.

Il video di Limes è su YouTube

#MappaMundi #geopolitica #threads

in reply to ❄️ freezr ❄️

@❄️ freezr ❄️ sì, è sempre importante non perdere di vista l'impatto geopolitico sulle questioni delle BigTech che vengono troppo spesso ricondotte a un mero paradigma mercantilistico

informapirata ⁂ reshared this.



Le iniziative delle altre Autorità


Il piano d’azione della CNIL per l’Intelligenza artificiale La CNIL ha pubblicato un piano d’azione per proteggere la privacy nell’ambito dei sistemi di intelligenza artificiale (IA), in particolare dell’IA generativa come ChatGPT.Il piano si concentra su quattro punti chiave:– Comprendere il funzionamento dei sistemi di IA e il loro impatto sulle persone.– Consentire e supervisionare... Continue reading →


“Diritto della privacy e protezione dei dati personali. Il GDPR alla prova della data driven economy” di Alessandro Alongi e Fabio Pompei (ED Tab Edizioni)


“Diritto della privacy e protezione dei dati personali. Il GDPR alla prova della data driven economy.” (Tab Edizioni) di Alessandro Alongi e Fabio Pompei, oltre a costituire un “manuale” pratico in tema di diritto alla protezione dei dati personali, grazie alla dovizia di particolari normativi e giurisprudenziali, fornisce una visione completa sulle molte criticità che... Continue reading →


di Maurizio Acerbo Domenica 9 luglio a Roma si è tenuta l'assemblea di lancio della campagna di adesioni individuali e della fase costituente di Unione Popo


Nordio: la politica ha rinunciato a svolgere il proprio ruolo


Il ministro della Giustizia Carlo Nordio è al centro delle polemiche. E lui, ex magistrato, che deve riformare la magistratura. E contro di lui volano le frecce degli ex colleghi. Mentre il governo è sotto attacco Nordio consegna a Libero in esclusiva la

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio è al centro delle polemiche. E lui, ex magistrato, che deve riformare la magistratura. E contro di lui volano le frecce degli ex colleghi. Mentre il governo è sotto attacco Nordio consegna a Libero in esclusiva la sua verità.

Ministro, l’accusano di essersi accorto dell’incongruità della norma sull’imputazione coatta solo dopo che questa norma ha danneggiato un sottosegretario del suo governo…
«Allora questa incongruità l’ho criticata già dal 1997, nel mio primo libro sulla giustizia e l’ho ripetuta varie volte in mie pubblicazioni successive».

Qual è la ragione?
«È una ragione squisitamente tecnica perché il codice Vassalli che abbiamo recepito nell’88/89 ha mantenuto il controllo giurisdizionale del giudice, in questo caso del Gip, sull’attività del pubblico ministero come faceva una volta il giudice istruttore. Io ho fatto il giudice istruttore e se il giudice istruttore mandava a giudizio l’imputato anche contro il parere del pubblico ministero che ne avesse chiesto l’assoluzione, in tribunale arrivava tutto il fascicolo processuale. Quindi i giudici potevano farsi un’idea di quelle che erano le tesi dell’accusa, della difesa e dello stesso giudice istruttore perché avevano davanti l’intero fascicolo. Con il codice Vassalli, e questo è il punto cruciale in tribunale, ammesso che si faccia il processo, non arriva nulla, il giudice è completamente vergine. Il fascicolo è vuoto. Vi è solo il certificato penale e se c’è, un’ incidente probatorio.

Ma è raro. E nel caso di Delmastro non c’è. Allora cosa succede, qual è la contraddizione che il giudice si trova ad avere davanti un fascicolo vuoto? Il suo unico interlocutore non è il gip che ha fatto l’ordinanza ma è il pubblico ministero stero al quale il giudice chiederà: “Signor pubblico ministero esponga le ragioni dell’accusa”. E il pubblico ministero in questi casi dirà che non ci sono ragioni dell’accusa tanto è vero che verrà chiesto il proscioglimento e quindi il processo è inutile, è contraddittorio. A meno che il giudice non cominci lui a fare tutta una serie di attività… ma questo è in contrasto con il sistema accusatorio dove la prova viene fornita dal dibattito, dal contraddittorio tra accusa e difesa. Torniamo ai principi del vecchio sistema, quando il presidente del tribunale faceva le domande lui, cosa che ancora oggi di tanto in tanto si fa ma questo è irragionevole, è irrazionale perché in contrasto con il sistema accusatorio. Quindi è una questione squisitamente tecnica. Lo dico da anni».

È vero che è pronta una riforma del sistema degli avvisi di garanzia?
«Il disegno di legge che è stato presentato e che adesso va al vaglio dopo la bollinatura e dopo il transito al Quirinale andrà al Parlamento, alla Commissione Giustizia. Il mio lavoro è già stato fatto e non dipende più da me questo. In Parlamento potrà essere modificato, approvato o altro… In questo primo pacchetto che abbiamo presentato visto che volevamo dare un termine ragionevole, entro i primi 8 mesi di governo, abbiamo dato un segnale forte di riforma. Ma c’è una parte che riguarda l’informazione di garanzia ed essenzialmente la sua segretezza. È già stata istituita una commissione per la riforma del codice di procedura penale. Il nostro obbiettivo è attuare integralmente quella che era la volontà del professor Vassalli e realizzarla completamente, ovvero fare un codice di stampo accusatorio anglosassone. Quindi sarà cambiata anche la struttura del registro degli indagati e dell’informazione di garanzia.

Santanchè, Delmastro, La Russa… È in corso un attacco di un pezzo di magistratura al governo? Attaccano per fermare la riforma secondo lei?
«No, secondo me no. Sono fatti tra loro indipendenti e mi rifiuto di pensare a dei magistrati che vogliono interferire nell’azione governativa attraverso azioni giudiziarie. Non si può però negare che ogni volta che si sia provato a fare una riforma della giustizia è sempre stata bloccata con interventi giudiziari. È vero e anche questo io lo scrivo da 25 anni. La colpa però non deriva da una serie di attacchi della magistratura che possono essere di ordine tecnico, o di ordine politico. La colpa è della politica che ha rinunciato al suo ruolo preminente e che si è chinata davanti alle critiche della magistratura. Nessuno vuole impedire alla magistratura di commentare le leggi sotto il profilo tecnico visto sono loro che le applicano. La colpa della politica è stata quella di aderire o meglio inchinarsi alla magistratura senza dire questo:”Noi ascoltiamo le vostre opinioni ma alla fine decidiamo noi e solo noi perché abbiamo un mandato che secondo la Costituzione deriva dal popolo”».

È vero che sta per proporre una legge costituzionale per la separazione delle carriere?
«Noi fino a questo momento non l’abbiamo proposta. Esiste una proposta in Parlamento depositata da altre forze politiche. Una separazione netta delle carriere esigerebbe una riforma costituzionale, come una riforma netta del consiglio superiore della magistratura. Questo è però nel programma di governo».

Ministro, il reato di abuso d’ufficio sarà cancellato?
«Io mi sono battuto fortemente perché venisse cancellato. La proposta è stata accettata dopo ampi dibattiti nell’ambito delle forze politiche della coalizione. È stata approvata dal consiglio dei ministri.
Questo disegno di legge non va sovvertito. Potrà essere ritoccato ma rimane nel suo impianto e quindi io sono certo che il reato d’abuso verrà cancellato. Tra le tante inesattezze che ho ascoltato in questi giorni ci sarebbe quella di una contrarietà dell’Europa. Io già 20 giorni fa in Lussemburgo e l’altro giorno a Tokyo ho incontrato personalmente il commissario per la glustizia in Europa Didier Renders che si è dichiarato perfettamente soddisfatto delle spiegazioni che ho fornito io e non vi è ragione di dubitare che l’Europa abbia qualcosa da dire. Non avremo problemi con l’Europa. Quasi tutti i sindaci italiani, compresi quelli del Pd, soprattutto governatori come De Luca ed Emiliano, si siano dichiarati d’accordo sul fatto che questo reato ha combinato tanti e tanti e tali danni che l’unicomodo è abolirlo».

E non andrebbe cancellato anche il reato fantasma quello di concorso esterno?
«Sul concorso esterno la Commissione per la riforma del Codice Penale che è stata istituita nel 2002 e che era indegnamente presieduta da me aveva all’unanimità deciso che il reato in concorso esterno in associazione mafiosa fosse un reato evanescente e andava completamente rimodulato secondo i criteri di “concorso di persona nel reato” e quindi, in prospettiva, andrà rimodulata. Naturalmente senza interferire minimamente o ridurre la lotta alla mafia»

L’Anm accusa il presidente del Consiglio di delegittimare la magistratura. È un’accusa che secondo lei ha qualche fondamento?
«No. Intanto non mi pare che la presidente del Consiglio abbia pronunciato una sola parola contro la magistratura. Queste reazioni di voler delegittimare i magistrati quando si criticano alcune loro iniziative è quasi una reazione automatica da parte dell’associazione. Lo hanno fatto anche con me un mese fa. Al che io ho risposto che se i magistrati si arrabbiano quando noi critichiamo il loro operato, allora anche i politici hanno ragione ad arrabbiarsi quando vengono inquisiti dai magistrati. Nel mio mondo ideale i magistrati non dovrebbero criticare le leggi e i politici non dovrebbero criticare le sentenze. Una settimana fa ho incontrato i rappresentanti dell’Anm e Santalucia al Ministero».

Che incontro è stato?

«Da un punto di vista personale estremamente cordiale. Abbiamo cercato di individuare i punti che ci uniscono che di più di quelli che ci dividono. A noi interessa essenzialmente una giustizia effciente, rapida ed equa»

Un membro del Csm, Tullio Morello, ha riproposto l’amnistia. Lei è favorevole?

«No. Io credo che in questo momento sia prematuro parlare di amnistia e parlare anche in generale di affievolimento delle pene.
Il garantismo ha due volti: uno è l’enfatizzazione della presunzione di innocenza ma l’altro eguale e simmetrico è quello della certezza della pena. Bisognerebbe prendere in considerazione l’idea che la pena che dev’essere certa, immediata e proporzionata, può anche non coincidere necessariamente con il carcere per i reati minori. E in questo senso noi stiamo lavorando sia sulle pene alternative, sia soprattutto sulla possibilità di ristrutturare delle carceri per detenuti non pericolosi dove ci sia grande spazio per il lavoro e anche per lo sport ai fini anche di un reinserimento nella società secondo il principio della Costituzione.
Per fare questo le nostre carceri necessitano di spazio. Non tutte lo hanno quindi stiamo cercando di recuperare delle caserme dismesse che garantiscano le misure di sicurezza di un carcere, dove poter dirottare i detenuti meno pericolosi e lavorare sul loro recupeго».

Secondo lei il caso La Russa indebolirà la maggioranza?
«No perché la maggioranza guarda ai contenuti del programma di governo che sono condivisi in modo omogeneo da tutti. Ritengo che le vicende delle singole persone sono purtroppo vicende della vita che devono essere commentate nei luoghi opportuni ma che non possono e non devono avere conseguenze politiche».

Libero

L'articolo Nordio: la politica ha rinunciato a svolgere il proprio ruolo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Ucraina, Mediterraneo, Cina e 2%. Tutti gli impegni dei leader Nato


Il summit Nato di Vilnius si chiude con una dichiarazione dei leader in 90 punti. L’ultimo per ringraziare l’ospitalità lituana e darsi appuntamento a Washington, negli Stati Uniti, nel 2024 per il 75° anniversario dell’alleanza e nei Paesi Bassi nel 2025

Il summit Nato di Vilnius si chiude con una dichiarazione dei leader in 90 punti. L’ultimo per ringraziare l’ospitalità lituana e darsi appuntamento a Washington, negli Stati Uniti, nel 2024 per il 75° anniversario dell’alleanza e nei Paesi Bassi nel 2025.

IL FUTURO DELL’UCRAINA

I leder hanno ribadito il sostegno alla sovranità della Georgia e dell’Ucraina. In particolare, la sicurezza di Kyiv “è di grande importanza per gli alleati” e il suo futuro “è nella Nato”. Ribadendo gli impegni del vertice di Bucarest del 2008, i leader hanno riconosciuto che “il percorso dell’Ucraina verso la piena integrazione euro-atlantica è andato oltre la necessità del Piano d’azione per l’adesione”. Ma “saremo in grado di estendere” l’invito soltanto “quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte”. Non c’è, dunque, quel calendario richiesto dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

IL VICINATO MERIDIONALE

Quanto al Fianco Sud, priorità italiana, gli alleati evidenziano “le sfide interconnesse di sicurezza, demografiche, economiche e politiche”, “aggravate aggravate dall’impatto del cambiamento climatico, dalla fragilità delle istituzioni, dalle emergenze sanitarie e dall’insicurezza alimentare”. È un terreno fertile per gruppi armati, organizzazioni terroristiche, interferenze “destabilizzanti e coercitive” da parte di concorrenti strategici come la Russia e la Cina. Per questo, i leader hanno dato mandato al Consiglio Nord Atlantico di avviare “una riflessione completa e approfondita sulle minacce e le sfide esistenti ed emergenti e sulle opportunità di impegno con i nostri Paesi partner, le organizzazioni internazionali e altri attori rilevanti della regione, da presentare al prossimo vertice del 2024”.

IL RAPPORTO CON LA CINA

La Cina rappresenta una sfida per “i nostri interessi, la nostra sicurezza e i nostri valori”, si legge nel documento che evidenzia le tattiche di guerra ibrida messe in campo da Pechino. La Cina, continua, “cerca di controllare settori tecnologici e industriali chiave, infrastrutture critiche, materiali strategici e catene di approvvigionamento. Usa la sua leva economica per creare dipendenze strategiche e rafforzare la sua influenza. Cerca di sovvertire l’ordine internazionale basato sulle regole, anche nei settori spaziale, cibernetico e marittimo”. La Nato ribadisce l’apertura a un “impegno costruttivo” con la Cina ma evidenzia anche come il rafforzamento del partenariato strategico tra la Cina e la Russia “sono contrari ai nostri valori e interessi”. Inoltre, gli alleati chiedono alla Cina “di agire in modo responsabile e di astenersi dal fornire aiuti letali alla Russia” e di “cessare di amplificare la falsa narrativa russa che incolpa l’Ucraina e la Nato per la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina”.

LE SPESE MILITARI

I leder hanno ribadito l’impegno a impegniamo a investire annualmente “almeno” il 2% del Pil in difesa. E ancora: “Affermiamo che in molti casi sarà necessaria una spesa superiore al 2% del Pil per colmare le carenze esistenti e soddisfare i requisiti in tutti i settori derivanti da un ordine di sicurezza più contestato”. Infine, si sono impegnati a investire almeno il 20% dei bilanci per la difesa in major equipment, comprese le relative attività di ricerca e sviluppo per “mantenere il nostro vantaggio tecnologico e continuare a modernizzare e riformare le nostre forze e capacità, anche attraverso l’integrazione di tecnologie innovative”.


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Macron annuncia missili per l’Ucraina. Cosa sono gli Scalp


“Ho deciso di aumentare le consegne di armi ed equipaggiamenti per consentire agli ucraini di avere la capacità di colpire in profondità”. Con queste parole il presidente francese Emmanuel Macron, al suo arrivo al vertice Nato di Vilnius, commenta la deci

“Ho deciso di aumentare le consegne di armi ed equipaggiamenti per consentire agli ucraini di avere la capacità di colpire in profondità”. Con queste parole il presidente francese Emmanuel Macron, al suo arrivo al vertice Nato di Vilnius, commenta la decisione francese di rifornire Kiev con missili da crociera a lungo raggio. Nella stessa occasione l’inquilino dell’Eliseo ha sottolineato l’importanza di inviare un messaggio non solo di “di sostegno all’Ucraina”, ma anche “di unità della Nato e di determinazione affinché la Russia non possa vincere questa guerra”.

I missili che Parigi intende recapitare a Kiev, noti in francese come Scalp (Système de Croisière Autonome à Longue Portée), sono lo stesso sistema impiegato anche dalla Royal Air Force con il nome di Storm Shadow, sistema con cui Londra sta già rifornendo Kiev dal maggio scorso.

Proprio per questo motivo i vertici francesi ritengono che questa decisione non rappresenti un’escalation nei confronti di Mosca, le cui Forze Armate impiegano sistemi capaci di colpire da distanze ben maggiori rispetto ai 250 Km di portata della versione dello Scalp destinata all’Ucraina.

Non è stata però diffusa alcun’informazione ufficiale riguardo al numero di ordigni che Parigi intende inviare a Kiev. Una fonte militare francese afferma che gli Scalp non saranno prodotti appositamente ma verranno presi dagli arsenali già esistenti, e che saranno un ‘numero significativo’, mentre una fonte del mondo diplomatico afferma che circa 50 missili saranno inviati all’Ucraina.

Al pari degli Storm Shadow, i missili aria-terra in dotazione alle Forze Armate di Parigi saranno forniti in una versione compatibile con i velivoli ucraini di fabbricazione sovietica, sia per la maggiore disponibilità di questi negli hangar del paese che per accorciare i tempi necessari all’impiego di questi ordigni sul campo di battaglia.

Alla decisione francese fa eco quella di Berlino, che afferma di aver quasi ultimato un ulteriore pacchetto di aiuti militari destinati all’Ucraina, per un valore totale di 700 milioni di euro. Il tempismo di questi annunci è importante, in quanto essi arrivano in concomitanza sia dell’importantissimo vertice Nato di Vilnius che di importanti sviluppi nella controffensiva ucraina: proprio in queste ore i vertici militari ucraini diffondono la notizia per cui le forze armate russe sarebbero intrappolate a Bakhmut, il centro conquistato poche settimane fa dai miliziani della Wagner al termini di scontri durissimi con i soldati di Kiev.

A poche ore dall’annuncio arriva la reazione russa. “Naturalmente, resta da chiarire e determinare esattamente di quale raggio stiamo parlando. Ma dal nostro punto di vista, si tratta di una decisione sbagliata, gravida di conseguenze per l’Ucraina, perché naturalmente ci costringerà a prendere delle contromisure” ha dichiarato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov in un briefing successivo all’annuncio di Macron.


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Mentre Unione Europea e NATO rafforzano l'alleanza con il fascista Erdogan il Consiglio Nazionale Curdo lancia un appello per Ocalan. Il "socialista" Stoltenber

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La strada della Turchia verso l’Ue è già chiusa. La versione di Tzogopoulos


Trovo difficile che la Turchia smetta di minacciare la Grecia e la Repubblica di Cipro o smetta di collaborare con Russia e Cina, dice a Formiche.net Giorgios Tzogopoulos, lecturer presso l’Istituto Europeo di Nizza Cife, fellow presso il Begin Sadat Cent

Trovo difficile che la Turchia smetta di minacciare la Grecia e la Repubblica di Cipro o smetta di collaborare con Russia e Cina, dice a Formiche.net Giorgios Tzogopoulos, lecturer presso l’Istituto Europeo di Nizza Cife, fellow presso il Begin Sadat Center for Strategic Studies in Israele e presso la Hellenic Foundation for European and Foreign Policy in Grecia. L’occasione è una riflessione sulle mosse di Erdogan a Vilnius, tra aperture alla Nato e contropartite che già ha chiesto a Ue e Kfor. Nel mezzo la consapevolezza che la Turchia crede nel proprio eccezionalismo in politica estera.

8183246Turchia-Nato-Svezia: cosa vuole davvero Erdogan?

Le conversazioni sembrano essere bilaterali – tra Turchia e Svezia – ma sono di natura molto più ampia. Riflettono l’interesse del presidente Erdogan a negoziare con gli Stati Uniti su una varietà di temi, dalla situazione nel Mediterraneo orientale, Medio Oriente e Africa al futuro dell’economia turca e alla profondità della collaborazione di difesa turco-americana. Ciò non significa che il contenuto dei negoziati turco-svedesi, come definiti nel memorandum trilaterale del giugno 2022 (anche con la Finlandia), non sia significativo. Naturalmente, se Washington e Ankara concordano su un modello generale di collaborazione, sarà naturale che Stoccolma e Ankara seguano l’esempio. Questo è ciò che sta accadendo attualmente a Vilnius, anche se dobbiamo attendere i risultati definitivi. L’Assemblea nazionale turca controllata dal partito di Erdogan e dai suoi partner politici avrà l’ultima parola sull’adesione della Svezia alla Nato.

Dopo il suo solido legame con Russia, Cina e Iran perché ora chiede l’ingresso nell’Ue?

La Turchia crede nel proprio eccezionalismo in politica estera. In altre parole, cerca di agire autonomamente e di collaborare sia con l’Occidente che con l’Oriente secondo i propri interessi strategici. Gli Stati Uniti sono preoccupati per queste acrobazie ma non hanno necessariamente la capacità di influenzare la Turchia come avveniva durante il periodo della Guerra Fredda. Ankara, da parte sua, sta cercando modi per dare energia alla sua economia nazionale e diagnostica i rischi nel suo precedente disimpegno dall’Occidente. Quindi cerca di ricongiungersi sia con gli Stati Uniti che con l’Ue. Ovviamente, la strada per l’Ue è quasi completamente chiusa. I riferimenti all’adesione all’Ue possono servire solo a soddisfare l’opinione pubblica turca. Le discussioni in corso tra Ankara e Bruxelles si concentrano su aree in cui può esistere la cooperazione: ad esempio sulla modernizzazione dell’unione doganale, sulla creazione di stabilità nel Mediterraneo orientale e sulla gestione della crisi dei rifugiati. Non creano illusioni sull’adesione della Turchia all’Ue.

La mediazione con l’Ucraina rischia di essere sbilanciata a favore di Mosca?

Ci sono due diverse letture di ciò in relazione alla guerra in Ucraina: alcuni dicono che la Turchia mette a repentaglio l’unità della Nato, mentre altri sostengono che la posizione equilibrata turca crei alcune opportunità per avere un interlocutore della Russia all’interno dell’Alleanza. Nella mia analisi, il problema per l’Occidente va oltre la Turchia. È che così tanti paesi del mondo, compresi i più grandi in termini di popolazione, Cina e India, preferiscono anche non prendere posizione nella guerra in Ucraina. Ciò pone seri ostacoli all’isolamento della Russia nel sistema internazionale e alla massimizzazione dell’efficacia delle sanzioni.

E’ un rischio geopolitico concedere i F16 americani alla Turchia?

A mio parere la questione non è se la Turchia ottenga o meno caccia F-16. È se la Turchia agisce come un tipico e affidabile stato membro della Nato. Se gli Stati Uniti trovano un modo per collegare la vendita dei caccia F-16 all’adeguamento della politica estera turca alle priorità della Nato, allora questa vendita sarà forse utile. Se gli Stati Uniti non lo faranno, la vendita sarà problematica. Personalmente trovo difficile che la Turchia smetta di minacciare la Grecia e la Repubblica di Cipro o smetta di collaborare con Russia e Cina. Ma gli Stati Uniti stanno facendo tutto il possibile per impedire la dissociazione di Ankara dall’Occidente. Successivamente, le tattiche di contrattazione turche produrranno risultati e ciò creerà un brutto precedente per le pratiche diplomatiche in Occidente.

La Bri sta trasformando la Turchia in un molo cinese nel Mediterraneo. Quanto influisce tutto ciò nel quadro generale?

La Cina sta esercitando una politica estera ed economica molto intelligente e attenta, e questo è evidente nel Mediterraneo. La Turchia non è uno stato membro dell’Ue e questo significa che è molto più facile per le aziende cinesi investire lì. In Turchia, ad esempio, non esisterà mai un dibattito simile al dilemma che l’Italia sta attualmente affrontando riguardo alla sua partecipazione alla Bri. Le relazioni sino-turche sono forti e il contributo delle banche e delle imprese cinesi all’economia turca è in rapida evoluzione. Ma credo che dovremmo guardare al quadro generale che è la presenza cinese generale nel Mediterraneo. La Cina gioca la carta dell’interconnettività. La Turchia è un partner importante ma, dal punto di vista cinese, è un anello della catena della Bri.


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Non solo Ucraina. Tutti i piani militari della Nato


Europe first. Per la Nato l’Europa torna prioritaria. Anche se sembra scontato per la gravità e l’ampiezza della minaccia della Russia di Putin, in realtà dopo gli sconvolgimenti provocati dall’11 settembre e dalla guerra ai terroristi islamici, gli inter

Europe first. Per la Nato l’Europa torna prioritaria. Anche se sembra scontato per la gravità e l’ampiezza della minaccia della Russia di Putin, in realtà dopo gli sconvolgimenti provocati dall’11 settembre e dalla guerra ai terroristi islamici, gli interventi in Libia, Afghanistan e Iraq, l’attenzione per il Medio Oriente e il sud est asiatico, l’Alleanza Atlantica rilancia appieno tutti i suoi originari scopi fondativi di deterrenza e difesa dei Paesi membri europei ben oltre le motivazioni del sostegno all’Ucraina.

Oltre alla svolta dell’ingresso della Svezia, a misurare il successo del vertice di Vilnius sarà soprattutto la concreta attuazione dei nuovi piani di difesa e di potenziamento militare strategico dell’Alleanza.

Un rilancio determinante per la funzionalità e l’efficacia di una Nato già proiettata al dopo Kiev.

Il fulcro essenziale è l’approvazione dei nuovi dettagliati piani di difesa globale dell’alleanza dopo la guerra fredda.

Predisposte da Chris Cavoli, il generale americano che ricopre il ruolo di Comandante supremo alleato in Europa, le 4000 pagine top secret prevedono una completa revisione della complessa macchina internazionale militare della Nato e forniscono indicazioni chiare per ogni forza armata alleata su come agire in caso di conflitto. Si tratta dell’evoluzione più sostanziale e concreta dalla caduta del muro di Berlino. Al centro dell’attenzione la Russia, ma senza perdere di vista il terrorismo internazionale. Si comincia con l’elaborazione di tre piani regionali: uno per il nord, che copre l’Atlantico e l’Artico europeo; uno per il centro, che riguarda il Baltico e l’Europa centrale fino alle Alpi; e il piano per il fianco sud dal Mediterraneo e al Mar Nero.

Accanto a questa pianificazione sono previste predisposizioni di interventi per lo spazio, le operazioni informatiche e le forze speciali.

Cinque le priorità immediate: forze terrestri capaci di pronto intervento, in particolare brigate corazzate pesanti; sistemi integrati di difesa aerea e missilistica in grado di proteggere le unità in movimento; potenza di fuoco a lungo raggio missilistica e d’artiglieria; reti digitali per il trasferimento blindato dei dati fra il fronte e il centri di comando; logistica per supportare e rifornire eserciti in tutta Europa.

Entro la fine dell’anno il Generale Cavoli assegnerà ad ogni alleato specifici ruoli in relazione agli ipotetici fronti che potrebbero aprirsi. Battaglioni e brigate dovranno conoscere in anticipo le loro localizzazioni, che si tratti di un’isola norvegese o di una zona dei Carpazi.

I piani forniscono anche indicazioni chiare per ogni forza armata su come agire in caso di conflitto.

Al vertice della Nato dello scorso anno a Madrid, gli alleati hanno concordato di mantenere collettivamente oltre 100.000 truppe pronte per il dispiegamento in meno di dieci giorni, e altre 200.000 in un mese. Altrettanto importante è che ora i paesi membri esplicitino quali unità sono disponibili in qualsiasi momento. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania si sono esercitate su come aumentare rapidamente reparti e schieramenti in Polonia, Lituania ed Estonia. L’Italia probabilmente eseguirà presto un test simile in Bulgaria, mentre la Germania ha annunciato che rischiererà un’intera brigata sul suolo lituano.

Lo scopo è rassicurare gli Stati baltici e dimostrare alla Russia che queste forze sono abbastanza agili da rappresentare un argine sul fronte orientale. Un argine che verrebbe attivato più rapidamente di quanto la Mosca possa avviare una mobilitazione e scatenare un attacco. La nuova pianificazione della Nato non solo mantiene gli eserciti all’erta, ma stabilisce anche priorità per armamenti e investimenti. La difesa collettiva del continente richiede sistemi missilistici, armi pesanti: jet, droni, carri armati e artiglieria.

Vista da Vilnius la Nato è insomma una superpotenza. Lo riconosce anche Emmanuel Macron che tre anni addietro l’aveva definito “un organismo in stato di morte cerebrale” mentre ora l’Alleanza, ammette il Presidente Francese, è stata risvegliata da Putin con “il peggiore degli elettroshock”, l’invasione dell’Ucraina.

Dietro le prospettive di potenziamento complessivo si celano tuttavia varie crepe nazionali. Sul settimanale britannico The Economist, l’International Institute for Strategic Studies evidenzia infatti che attualmente la maggior parte delle nazioni può schierare solo una brigata al completo. E lo stesso vale per le forze navali. Il think tank di Londra aggiunge in proposito la denuncia del Commodoro Carsten Fjord-Larsen della Marina danese che lamenta come nel 2002 la sua flotta avesse schierato 34 unità combattenti, mentre ora le unità sono scese a cinque.

Sul vertice di Vilnius aleggia anche il possibile ruolo dell’Alleanza in Asia. Gli alleati concordano sul fatto che la Cina stia avendo un impatto sempre maggiore sulla sicurezza europea, non da ultimo attraverso l’approfondimento delle sue relazioni con la Russia.

Nessuno si nasconde che oltre che psicologico, il transfert asiatico rappresenta per la Nato una scomoda verità perché se dovesse scoppiare una crisi a Taiwan, l’Europa potrebbe trovarsi esposta e coinvolta. Ma questo attiene al futuro si ritiene non immediatamente prossimo. L’orizzonte del presente è colorato di giallo e di blu, i colori dell’Ucraina liberata dall’incubo di Putin.


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“Dati, salute, digitale. Sbloccare il potenziale, proteggere la privacy”


Oggi ho avuto il piacere di intervenire con Diletta Huyskes, CEO di Immanence, alla Recordati Lectures “Dati, salute, digitale. Sbloccare il potenziale, proteggere la privacy”


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“Cinque anni di GDPR: cosa resta da fare e come migliorarlo”


Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, tutti i venerdì su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni.


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Vi spiego perché il Giappone è sempre più importante per la Nato. Parla Nagao


“Riaffermare la cooperazione con i Paesi che condividono la stessa mentalità nel sostenere l’ordine internazionale basato sulle regole, libero e aperto”: è questo secondo il premier Fumio Kishida l’obiettivo con cui il Giappone partecipa al Summit Nato di

“Riaffermare la cooperazione con i Paesi che condividono la stessa mentalità nel sostenere l’ordine internazionale basato sulle regole, libero e aperto”: è questo secondo il premier Fumio Kishida l’obiettivo con cui il Giappone partecipa al Summit Nato di oggi e domani, 11/12 luglio, a Vilnius. Kishida firmerà un nuovo documento di cooperazione insieme al segretario generale dell’alleanza, Jens Stoltenberg, con cui cercherà di rafforzare la cooperazione tra il Giappone e la Nato in settori quali la sicurezza marittima, la risposta alla disinformazione e lo spazio esterno. Tokyo, secondo le fonti che hanno informato i media, ha sviluppato il documento chiamato “Individually Tailored Partnership Program” con i 31 membri dell’Alleanza Atlantica per rafforzare la cooperazione di sicurezza tra la regione indo-pacifica e euro-atlantica, tenendo conto della Cina. Queste interconnessioni sono parte di una visione strategica che il Giappone eredita dal defunto leader Shinzo Abe e che la guerra in Ucraina ha reso — per Tokyo come per Washington e Bruxelles — una necessità più cogente.

“La questione principale riguarda proprio l’Ucraina: la controffensiva di Kyiv si scontra con una forte linea di difesa della Russia, la Nato deve fornire armi più forti per vincere e dopo gli F-16, sono sul tavolo gli Atamcs, le munizioni a grappolo, eccetera”, spiega Satoru Nagao, esperto di politiche di difesa e sicurezza dell’Hudson Institute, basato a Tokyo. Il Giappone ha consapevolezza della situazione e intende partecipare alle discussioni correnti della Nato, la quale “deve prepararsi a una guerra più lunga: pertanto deve riformare la propria industria della Difesa” se vuole mantenere i ritmi produttivi per aiutare in modo consistente l’Ucraina.

Questo sforzo potrebbe anche avere un obiettivo strategico di preparazione. Se la Russia è la minaccia corrente, la Cina è una questione a lungo termine, ma la Nato si sta preparando a parlarne. “La Cina sta sfidando le regole internazionali che l’Europa ha mantenuto per lungo tempo. La minaccia cinese è a lungo termine perché l’economia cinese è più forte di quella russa. E poiché la Russia fa affidamento sulla Cina nell’attuale situazione di guerra, l’influenza della Cina su Vladimir Putin sta crescendo. Pertanto, la Nato rafforzerà la cooperazione con Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud. Inoltre cercherà di cooperare sempre di più con altri Paesi come l’India”, spiega Nagao. Per l’analista, la decisone presa da Ankara sull’ingresso svedese nell’alleanza indica che la Turchia ritiene l’Ucraina (dunque la Nato) vincente. “Stare dalla parte vincente è vantaggioso. E in effetti, anche l’orientamento dell’India verso gli Stati Uniti e la Francia indica la stessa direzione”, aggiunge.

Tuttavia, secondo Nagao il momento attuale potrebbe non essere perfetto per mostrare una politica sufficientemente forte nei confronti della Cina. “In primo luogo — commenta — se la Nato mostrerà una posizione troppo forte nei confronti della Cina, quest’ultima aumenterà il suo sostegno alla Russia. Attualmente, la Cina sta fornendo molte parti di armi alla Russia, ma non ha fornito molte armi pesanti e munizioni. Se dovesse cambiare linea, la guerra in Ucraina potrebbe risentirne. In secondo luogo, l’anno prossimo gli Stati Uniti dovranno affrontare le elezioni presidenziali. Ciò significa che l’economia del prossimo anno sarà decisiva per le elezioni. Il presidente Joe Biden non vuole imporre sanzioni troppo forti contro la Cina se queste rischiano di danneggiare l’economia statunitense”.

Pertanto, anche se la Nato intende rafforzare le sue relazioni con i partner dell’Indo Pacifico, la sua attività diretta contro la Cina sarà relativamente moderata. L’opposizione della Francia all’ufficio di collegamento della Nato a Tokyo è un caso tipico: Parigi, come la Nato stessa, sa che un liaison office è utile, ma la Francia ha esitato a farlo proprio ora per evitare di indispettire Pechino.

“La Nato ha un ufficio di collegamento in Georgia dal 2010, ne ha avuto uno a Tashkent in Uzbekistan dal 2013 al 2017. Pertanto, la rappresentanza di Tokyo non è strana. Dal punto di vista giapponese, è una mossa gradita. Per molto tempo, Tokyo ha cercato di convincere gli alleati statunitensi in Europa a unirsi ai suoi sforzi per affrontare le sfide della Cina. In alcuni casi, il Giappone ha cercato di cooperare o di aderire a strutture multinazionali orientate all’Occidente, come per esempio il Five Eyes (Six Eyes se il Giappone aderisce), Aukus (Jaukus se il Giappone aderisce)”, ricorda Nagao.

Dietro alla posizione di Parigi c’è solo l’azione di equilibrio con la Cina? “Se quella è la ragione principale, è possibile che la sede di Tokyo sia stata decisa da Stati Uniti e Giappone, e ciò significa che la Francia era fuori da questo negoziato, ma dopo quanto successo con l’Aukus Parigi potrebbe voler essere parte di certe scelte”.

Per Nagao, la Francia vuole dimostrare la propria presenza come indipendente dagli Stati Uniti. “Da quando è iniziata l’aggressione russa in Ucraina, molti Paesi non possono acquistare armi dalla Russia. Ma soprattutto i Paesi del Sud globale, come Brasile, Indonesia e India, vogliono acquistare armi non solo dagli Stati Uniti, ma anche da altri. Così, invece della Russia, scelgono la Francia. L’Indonesia acquista jet da combattimento dalla Francia. L’India acquisterà dalla Francia i jet da combattimento per le sue portaerei e i suoi sottomarini”.

Resta che l’apertura di un ufficio dell’alleanza atlantica a Tokyo potrebbe essere il primo passo per rafforzare la cooperazione tra il Giappone e gli alleati degli Stati Uniti in Europa e per condividere informazioni e percezioni. La Francia si sta opponendo in questo momento, ma l’analista dell’Hudson Institute prevede che in futuro qualcosa sarà concordato, perché le sfide della Cina rappresentano una minaccia seria sia per il Giappone che per l’Europa.

Quale contributo può dare all’alleanza la cooperazione con Tokyo? E in che modo l’alleanza è utile a Tokyo? “Pensiamo a cosa accadrebbe se la Cina attaccasse Taiwan. I Paesi della Nato dovrebbero dispiegare forze militari per evacuare i loro cittadini da Taiwan e dalla Cina. Probabilmente saranno portati a decidere di sostenere gli Stati Uniti nella guerra contro la Cina. In una situazione del genere, quale sarà il territorio in cui la Nato potrà dispiegare le forze militari? Le scelte sono limitate. Giappone o Filippine. È molto probabile che molti Paesi scelgano il Giappone per dispiegare le proprie forze militari. Pertanto, la Nato ha bisogno di informazioni locali per preparare tali operazioni”.

E torna anche in questo la necessità di un ufficio di collegamento, che possa essere un eventuale punto di contatto e organizzazione. Secondo alcuni esperti statunitensi, la Cina potrebbe invadere Taiwan prima del 2027: in tal caso, la collaborazione con il Giappone è “una questione sempre più importante e urgente” per la Nato, chiosa Nagao.


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A Vilnius si deciderà il futuro di Kiev? La versione di Vdovychenko (Cds)


Prime ore del Vertice di Vilnius. La grande novità è la cosiddetta “riconciliazione” tra Svezia e Turchia. Le azioni scandalose che hanno coinvolto il rogo e la deturpazione del Corano, le crescenti richieste di Ankara: tutto ciò ha alzato la posta in gio

Prime ore del Vertice di Vilnius. La grande novità è la cosiddetta “riconciliazione” tra Svezia e Turchia. Le azioni scandalose che hanno coinvolto il rogo e la deturpazione del Corano, le crescenti richieste di Ankara: tutto ciò ha alzato la posta in gioco nei negoziati, giunti a Vilnius.

Tuttavia, tutti gli ucraini rimangono con gli occhi aperti sul futuro del proprio paese. Che tipo di “ombrello di sicurezza” potrebbe essere proposto per Kiev? Quali sono i timori che bloccano gli Stati membri della Nato dal concedere l’adesione all’Ucraina?

Proprio questa mattina, il Segretario Generale della NATO, con un linguaggio diplomatico, parla del “giusto segnale” per l’Ucraina. Tuttavia, il linguaggio della dichiarazione finale deve ancora essere discusso. Come opzione, si propone di scrivere nel documento finale che si tratta di un invito politico all’Ucraina ad aderire alla NATO e di indicare l’impegno politico degli alleati per un rapido avvio dei negoziati di adesione.

È ovvio e chiaro che la posizione degli Stati Uniti è il principale ostacolo che impedisce all’Ucraina di avere un forte impegno politico da parte degli alleati della NATO verso l’adesione. Pertanto, la società ucraina ritiene che, se gli alleati della NATO non sono pronti a invitare formalmente l’Ucraina all’adesione già a Vilnius, a Kiev dovrebbe essere offerta un’opzione intermedia che registrerebbe un significativo cambiamento positivo rispetto ai vertici di Bucarest e Madrid.

La chiave è avere, nella dichiarazione finale del vertice, una frase che sottintenda un riconoscimento inequivocabile da parte degli alleati del fatto che la futura adesione dell’Ucraina all’Alleanza contribuisce alla sicurezza europea e transatlantica. Questo obbligherà coloro che parlano di timori e rischi per la NATO a fare riferimento a questo punto in futuro. C’è l’idea di trovare una nuova forma per l’invito, evitando di menzionare la parola “invito” considerata dannosa per alcuni Paesi. Ad esempio, “riconoscendo il contributo dell’Ucraina alla sicurezza europea e transatlantica, gli alleati confermano la richiesta di adesione dell’Ucraina alla NATO e avviano i negoziati per l’adesione”.

Un’idea importante è quella di aggiungere che l’Alleanza “conferma la candidatura dell’Ucraina” per fare un passo avanti rispetto alla situazione attuale, dove l’Alleanza ha solo preso in considerazione la candidatura di Kiev.

Alla luce del riferimento al summit di Bucarest del 2008 sulla potenziale adesione dell’Ucraina alla NATO, la decisione presa a Vilnius diventa ancor più significativa. L’inclusione di tale riferimento, anche se con l’avvertenza dello sviluppo storico, significherebbe un cambiamento rispetto alle precedenti “formulazioni” politiche. Essa sottolineerebbe gli sforzi coraggiosi mostrati dalle Forze armate ucraine, evidenziando il loro incrollabile impegno a salvaguardare i valori europei. In ultima analisi, ciò serve a dimostrare che l’integrazione dell’Ucraina nella NATO debba essere tempestiva e imprescindibile, a condizione che vengano soddisfatti i prerequisiti di sicurezza.

Sebbene il linguaggio utilizzato possa mancare di precisione, il messaggio complessivo rimane lucido e inequivocabile. La comunità di esperti ucraini ritiene fondamentale l’inserimento nella dichiarazione finale di un’analogia tra la trasformazione “accelerata” di Finlandia e Svezia in alleati della NATO e l’Ucraina. Inoltre, il Ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha scritto un tweet che è apparso sensazionale: ha annunciato che l’Alleanza ha raggiunto un accordo interno e ha deciso di cancellare la fase MAP (il cosiddetto Membership Action Plan) per l’Ucraina. In pratica, questo significa una radicale accelerazione nella procedura di adesione. Si tratta di una richiesta di lunga data di Kiev, che fin dall’inizio ha avuto il pieno e quasi unanime sostegno della comunità nazionale degli esperti ucraini.

In pratica, si parla di modificare la procedura di ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza e di consentirle di aderire rapidamente – similmente a quanto accaduto a Finlandia e Svezia. Poiché l’adesione dei finlandesi alla NATO è stata deliberatamente effettuata il prima possibile e, come eccezione, il MAP è stato annullato per non dare a Mosca il tempo di danneggiarlo, anche l’adesione dell’Ucraina può essere procedere agli stessi ritmi.

È anche importante notare che non è stato il processo di ammissione finlandese o svedese a essere particolarmente veloce, ma il loro processo di invito, e questo dovrebbe essere il punto di riferimento. Quindi, al netto delle riforme realizzate e dell’interoperabilità raggiunta dall’Ucraina, così come il rapido processo di invito alla NATO di Finlandia e Svezia, gli Alleati dovrebbero essere pronti a procedere all’integrazione politica dell’Ucraina.

Nel caso in cui qualcuno volesse parlare ancora di una possibile escalation della Federazione Russa come conseguenza, ecco l’argomento logico: come abbiamo visto l’espansione finlandese, che ha aggiunto più di mille chilometri al confine della Federazione Russa con la NATO, è stata percepita senza alcuna reale protesta o opposizione da parte russa; pertanto, questo successo deve essere ripetuto.


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Al summit di Vilnius, Tajani indica la linea di Roma nella Nato


Nella tarda mattinata dell’11 luglio il ministro degli Esteri Antonio Tajani è intervenuto al Nato Public Forum: in un dialogo con la giornalista Hadley Gamble, conduttrice e corrispondente internazionale per Cbnc, Tajani ha sviscerato l’approccio italian

Nella tarda mattinata dell’11 luglio il ministro degli Esteri Antonio Tajani è intervenuto al Nato Public Forum: in un dialogo con la giornalista Hadley Gamble, conduttrice e corrispondente internazionale per Cbnc, Tajani ha sviscerato l’approccio italiano alle principali questioni di interesse per l’Alleanza Atlantica.

La prima questione affrontata è stata quella del rischio nucleare, e degli esiti del meeting con i vertici dell’Iaea per discutere dei rischi legati alla centrale nucleare di Zaporizhia, meeting a cui Tajani stesso ha preso parte. Il ministro degli Esteri ha ribadito il sostegno italiano alla strategia, perseguita dall’Agenzia, di lavorare alla creazione di una free zone nell’area circostante l’impianto nucleare: l’eventuale raggiungimento di un simile accordo non sarebbe soltanto funzionale al mantenimento di un più elevato livello di sicurezza nei confronti del rischio nucleare, ma anche un primo importante passo all’interno del processo di riappacificazione. Tuttavia, il tintinnare della sciabola nucleare da parte di Mosca rappresenta un grande ostacolo in questa direzione.

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Sulla modernizzazione della difesa collettiva e l’aumento della spesa militare, Tajani ribadisce il forte impegno italiano nei confronti dell’Alleanza e la disponibilità di Roma ad incrementare questo impegno, sia in termini operativi che in termini finanziari. Ma il Ministro degli Esteri rimarca che parallelamente al processo di rafforzamento menzionato, l’Alleanza deve riflettere sul dove e sul come allocare le nuove risorse disponibili, rimanendo concentrata sull’Ucraina ma senza tralasciare altre fonti di instabilità: il bacino mediterraneo con Daesh, Wagner e Boko Haram; l’Iran e la sua questione nucleare; il teatro indo-pacifico.

Riguardo a quest’ultimo, Tajani esprime una dicotomia India-Cina che caratterizza l’approccio italiano. Roma si impegna a dialogare con entrambe, ma in termini diversi. Mentre con Delhi, “la principale democrazia della regione”, il dialogo sembra essere più disteso e gli interessi più coincidenti, con Pechino la situazione è diversa: l’obiettivo della politica estera italiana e dell’Occidente in generale deve essere quello di rapportarsi con la Cina per garantire una competizione economica leale, libera da fenomeni sleali e dannosi come il dumping. In questo senso, il tour cinese del segretario del tesoro statunitense Janet Yellen è stato enfatizzato da Tajani come un esempio virtuoso dell’approccio da adottare.

Quando la moderatrice riporta il focus sul mediterraneo e sul ruolo di “prima linea” svolto dall’Italia, il Ministro degli Esteri denota come le cause di instabilità nella regione siano molteplici: immigrazione, povertà, terrorismo, cambiamento climatico, penetrazione russa. Fattori spesso concatenati tra di loro: ogni contadino che smette di lavorare la terra per le conseguenze del cambiamento climatico è un nuovo potenziale miliziano di Daesh. Per Tajani Bruxelles si dovrebbe fare artefice di un nuovo “Piano Marshall Europeo” atto a garantire una stabilità economica e sociale nella parte di Africa che va dall’area Sub-sahariana al Corno d’Africa, le cui dinamiche impattano fortemente su quelle del bacino mediterraneo.

Riguardo al conflitto ucraino, Tajani evidenzia come l’impegno italiano non sia rivolto contro la Russia, ma soltanto a protezione dell’Ucraina, del diritto internazionale e dei valori di libertà e democrazia, in cui l’Italia si riconosce. E alla domanda della moderatrice sulla disponibilità italiana a continuare a inviare armamenti all’Ucraina anche dopo il 2023, il Ministro degli Esteri afferma che l’Italia è pronta a fare quello che sarà necessario. Sull’integrazione dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica il rappresentante della Farnesina condivide l’approccio americano di lavorare step-by-step e individua il primo di questi passi, una volta terminati gli scontri, nella creazione di un Nato-Ukraine Council, piattaforma politica e militare per cooperare non soltanto riguardo alla questione ucraina, ma sul piano globale.

Su quello che invece riguarda l’engagement politico ed economico dell’Italia verso Kiev, Tajani incita all’azione. L’obiettivo è di ricostruire l’Ucraina e di integrarla nello spazio comune europeo. Ma questa ricostruzione deve iniziare già oggi, per mandare importanti segnali agli attori nazionali e internazionali. Il Ministro degli Esteri sottolinea come gli investimenti e la diplomazia portino risultati importanti citando alcuni casi che vedono direttamente coinvolta l’Italia, come i processi di riappacificazione nell’ex-Yugoslavia o l’organizzazione di eventi multilaterali per discutere di sviluppo economico e di infrastrutture con i paesi partner. Se si tralascia questa dimensione, ammonisce Tajani, c’è il rischio di perdere il sostegno degli apparati locali, regalando preziose opportunità a Mosca e ad altri stati non-europei.


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Scacco a Putin. L’invettiva di Garri Kasparov al summit Nato


Cosa ci fa uno scacchista al Summit Nato? Non si tratta di un giocatore qualsiasi ma del celebre Grande maestro Garry Kasparov, intervenuto in occasione del Nato Public Forum di Vilnius nel panel “Non lasciare nessuno indietro: l’imperativo della sicurezz

Cosa ci fa uno scacchista al Summit Nato? Non si tratta di un giocatore qualsiasi ma del celebre Grande maestro Garry Kasparov, intervenuto in occasione del Nato Public Forum di Vilnius nel panel “Non lasciare nessuno indietro: l’imperativo della sicurezza umana”, moderato da Vivian Salama, giornalista per la sicurezza nazionale del Wall Street Journal. Considerato uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi e una vera e propria leggenda per la disciplina, Kasparov è stato campione del mondo di scacchi dal 1985 al 2000, per poi ritirarsi dalle scacchiere nel 2005 e iniziare il suo cammino come attivista contro Vladimir Putin. Questo nuovo percorso lo ha portato a divenire inoltre leader e fondatore del partito Fronte civile unito, un movimento politico e sociale ispirato a ideali socialdemocrazia e liberalismo sociale in forte contrasto con la politica del Cremlino.

Performance mafiosa

Dopo i fatidici e chiacchierati eventi del 24 giugno, un alone di mistero continua a permanere sulla sorte del leader del gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin, nell’era “post-golpe”. “Qualunque sia il nome da dare alla performance di Prigozhin, ammutinamento, ribellione […] da tempo sostengo che analizzando la Russia di Putin dobbiamo cercare il padrino: è uno stato mafioso. La sfida di Prigozhin va vista da questo punto di vista”, ha spiegato Kasparov. A detta dell’attivista esiste infatti una vera e propria mafia di San Pietroburgo, sempre più preoccupata di perdere i propri affari e opportunità di business, a causa delle ripercussioni economiche della guerra in Ucraina, più che del conflitto e delle sue ragioni in sé.

Sgretolamento della società civile russa

Nel frattempo, il largo consenso intorno alla figura di Putin va a indebolirsi e scalfirsi progressivamente con l’avanzare del conflitto, e secondo l’ex campione del mondo “sempre più persone all’interno della cerchia ristretta di Putin sono davvero preoccupate per le sue politiche fallimentari”. A detta sua oggi questo è esacerbato dal fatto che “in Russia non esista una società civile”, a causa dell’operato di un regime post-sovietico che ha trascorso gli ultimi decenni a prendere man mano sempre più controllo dello spazio pubblico limitando il dissenso.

Una sfida all’Alleanza

Fin dall’inizio dell’invasione del territorio ucraino, Mosca non ha lasciato spazio a molti dubbi nel dichiarare che “non è una guerra contro l’Ucraina, è una guerra contro la Nato”, come ha riportato Kasparov. Secondo lo scacchista, la liberazione della Russia, da quello che lui ha definito il “fascismo di Putin”, non potrà vedere la luce fino a che “la bandiera ucraina verrà issata a Sebastopoli” (in Crimea). Il punto è quindi agire anche sui cuori e le menti: “Bisogna uccidere l’idea dell’impero nella mente dei russi. Devono capire che la guerra è persa. Se la storia russa è una guida, i cambiamenti in Russia sono iniziati proprio con le guerre perse”.

La guerra di valori

Un po’ come fatto già all’inizio dell’invasione russa, a febbraio 2022 con le sue “8 mosse contro Putin”, il Grande maestro ha proposto la sua personale ricetta strategica per dare uno scacco matto al presidente russo, il che in questo caso coincide con la vittoria ucraina nella guerra in corso. I tre elementi che porteranno alla vittoria le forze di Kiev secondo lui saranno infatti: “liberazione, riparazione e giustizia”. Ed è proprio questo terzo elemento a essere portante nel dividere l’élite russa, “per inviare un messaggio molto chiaro: tutti i criminali di guerra saranno consegnati alla giustizia”. In tale quadro Kasparov ha dato inoltre una sua risposta al grande dibattito intorno alla questione se si tratti di una guerra della Russia o di Putin, affermando che: “Purtroppo ora è la guerra della Russia e ogni cittadino russo, me compreso, ha la responsabilità collettiva dei crimini commessi in Ucraina”. Il conflitto veste dunque i panni di guerra di valori che, come ha spiegato ancora Kasparov, “non può finire al tavolo dei negoziati”. E l’augurio è che la guerra finisca il prima possibile e che la Russia post conflitto rifletta seriamente sulla sua trasformazione “da impero a confederazione e repubblica”, ha concluso il Grande maestro.


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Non c’è Nato se Kyiv perde. Ma gli alleati si dividono sull’adesione


“Se l’Ucraina non vince come nazione democratica e indipendente non ci sarà motivo di discutere delle garanzie di sicurezza o dell’ingresso nella Nato”, ha detto Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, in apertura del summit di Vilnius, in Litua

“Se l’Ucraina non vince come nazione democratica e indipendente non ci sarà motivo di discutere delle garanzie di sicurezza o dell’ingresso nella Nato”, ha detto Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, in apertura del summit di Vilnius, in Lituania. “Il presidente Volodymyr Zelensky sarà con noi questa sera a cena e domani per inaugurare il Consiglio Nato-Ucraina: sono certo che gli alleati lanceranno un messaggio forte per sottolineare la necessità che l’Ucraina si avvicini alla Nato”, ha continuato.

Ma le bozze del comunicato finale non prevedono un percorso definito per l’ingresso dell’Ucraina. Nel comunicato finale del summit di Vilnius, infatti, dovrebbe figurare soltanto un passaggio in cui i leader della Nato dichiarano di essere pronti a “estendere all’Ucraina l’invito a entrare nell’Alleanza quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte”. Lo si apprende da fonti qualificate. I negoziati però sono ancora in corso e il linguaggio finale “non è ancora del tutto stabile”.

L’assenza di un calendario è “inaudito e assurdo”, ha tuonato Zelensky. Sul suo canale Telegram, il presidente ucraino ha sostenuto che l’incertezza sul futuro di Kyiv nella Nato incoraggia la Russia a continuare la guerra: “L’incertezza è debolezza”, ha scritto. “Rispettiamo i nostri alleati”, ha continuato. “Apprezziamo la sicurezza condivisa. E apprezziamo sempre una conversazione aperta. Ma anche l’Ucraina merita rispetto”.

Sarà il G7 a emettere una dichiarazione sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina, ha annunciato il cancelliere tedesco Olaf Scholz arrivando al summit. La dichiarazione potrebbe anche arrivare domani, dicono fonti diplomatiche, ma tutto dipenderà dagli ultimi contatti fra le capitali. Il formato potrebbe anche essere quello del cosiddetto “G7 plus”, quindi anche con la Corea del Sud.

Berlino ha anche annunciato che invierà a Kyiv armi supplementari per un valore di 700 milioni di euro. Secondo contributore in termini di aiuti militari all’Ucraina dopo gli Stati Uniti, la Germania aveva già annunciato il 13 maggio consegne di armi per 2,7 miliardi di euro. Anche Parigi ha promesso nuove armi. La Francia, infatti, invierà all’Ucraina missili a lungo raggio Scalp, ha annunciato il presidente Emmanuel Macron al vertice Nato. Gli Scalp aiuteranno le forze di Kyiv a colpire obiettivi in profondità dietro le linee russe e sono già forniti da Londra con il nome di Storm Shadow.

Le forniture di missili a lungo raggio all’Ucraina da parte della Francia sono un errore che avrà conseguenze per l’Ucraina, ha detto Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, nel suo quotidiano colloquio con i giornalisti. La Russia dovrà stabilire la portata esatta dei missili, ha aggiunto. Analogamente, ha prospettato “evidenti implicazioni negative” per la sicurezza della Russia connesse all’adesione della Svezia alla Nato e che “risponderà” con misure analoghe a quelle adottate dopo l’ingresso della Finlandia nell’Alleanza atlantica. “I leader europei non sembrano capire che spostare le infrastrutture della Nato verso i confini della Russia è un errore”, ha rincarato Peskov, ribadendo che la situazione attuale nasce dalla “avanzata” Nato verso l’Europa centrale e orientale. Sul vertice di Vilnius ha affermato che è pervaso di “spirito anti-russo”.


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Domani, mercoledì 12 luglio sarà in Toscana in segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista per la prima giornata della Festa di Liberazione


Open Letter: Commissioner Reynders asked to correct unacceptable accusations against NGOs


Lettera aperta: Il Commissario Reynders chiede di correggere le accuse inaccettabili contro le ONG Il commissario europeo Reynders ha ripetutamente attaccato le "organizzazioni non profit" come la noyb, sostenendo che esse portano i casi davanti alla CGUE come "modello di business".
EU Commissioner Reynders presenting the


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Il Nato Public Forum al Summit di Vilnius. I video dell’evento


Pomeriggio 11 luglio Mattina 11 luglio L’11 e 12 luglio 2023, i capi di Stato e di governo della Nato si sono riuniti a Vilnius, in Lituania, in occasione del vertice dell’Alleanza Atlantica che dovrà affrontare le sfide dell’attuale contesto di sicurezza

Pomeriggio 11 luglio

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Mattina 11 luglio

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L’11 e 12 luglio 2023, i capi di Stato e di governo della Nato si sono riuniti a Vilnius, in Lituania, in occasione del vertice dell’Alleanza Atlantica che dovrà affrontare le sfide dell’attuale contesto di sicurezza internazionale.

Per l’occasione, l’Alleanza, insieme al Centro Studi sull’Europa Orientale, al German Marshall Fund degli Stati Uniti, alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco e al Consiglio Atlantico organizza il Nato Public Forum, un evento pubblico che mira a promuovere una migliore comprensione delle politiche e degli obiettivi della Nato e delle decisioni che saranno adottate al vertice di Vilnius, di cui Formiche è Partner istituzionale per l’Italia.

Il Forum presenta una serie di tavole rotonde, dibattiti e sessioni interattive su vari argomenti dell’agenda della Nato attraverso il dialogo e l’impegno di un gruppo unico e diversificato di parti interessate, dai capi di Stato e di governo e dai ministri, agli esperti di sicurezza internazionale, agli opinionisti, agli accademici, ai giornalisti e ai giovani.


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Cosa porta Seul verso Bruxelles (sede di Nato e Ue). Conversazione con Frassineti


Il presidente sudcoreano, Yoon Suk-yeol, sarà uno dei protagonisti asiatici al Summit Nato di Vilnius che parte oggi, 11 luglio. Invitato di primo piano e host dell’incontro dell’AP4, ossia della riunione separata che l’alleanza dedicherà ai quattro partn

Il presidente sudcoreano, Yoon Suk-yeol, sarà uno dei protagonisti asiatici al Summit Nato di Vilnius che parte oggi, 11 luglio. Invitato di primo piano e host dell’incontro dell’AP4, ossia della riunione separata che l’alleanza dedicherà ai quattro partner dell’Asia Pacifico – Corea del Sud, Giappone, Australia, Nuova Zelanda.

Sin dalla sua elezione nel maggio 2022, Yoon ha spinto per rafforzare la cooperazione in ambito di sicurezza con l’Europa e gli altri alleati degli Stati Uniti (in primis con il Giappone, con cui le relazioni stanno rifiorendo dopo anni di attriti), per scoraggiare le minacce nucleari e missilistiche della Corea del Nord, per approfondire la cooperazione internazionale in materia di sicurezza anche a seguito delle tensioni con la Cina. L’obiettivo è aumentare il proprio contributo alle sfide globali (non ultimo sfruttando un ruolo attivo nell’invasione della Russia in Ucraina).

L’anno scorso a Madrid era stata la prima volta in cui i quattro leader dell’Asia-Pacifico partecipavano a un vertice della Nato. In quell’occasione, l’allora neo-eletto presidente Yoon aveva affermato che i nuovi conflitti e la competizione globale rappresentano una minaccia per i valori universali. Quest’anno, la sua presenza “rafforzerà la cooperazione con l’alleanza e invierà un monito unito che la comunità internazionale non tollererà le attività illegali della Corea del Nord”, ha dichiarato un funzionario sudcoreano che ha informato i giornalisti sull’agenda del presidente.

Storico alleato degli Stati Uniti e oggi ottavo esportatore di armi su scala globale, la Corea del Sud durante il vertice potrebbe subire nuove pressioni per fornire armi all’Ucraina (Seul si è limitata ad autorizzare l’invio del c.d. ‘materiale non letale’ che include attrezzature per lo sminamento e ambulanze). Finora l’amministrazione di Yoon ha resistito, diffidando dell’influenza russa sulla Corea del Nord. Alcuni rumors diffusi dai media sudcoreani hanno fatto intendere che Yoon potrebbe visitare l’Ucraina come parte del suo viaggio, replicando un passaggio simile del giapponese Fumio Kishida. Ci sono state parziali smentite, quello che è certo è che il sudcoreano passerà anche dalla Polonia. Seul e Varsavia hanno notevolmente rafforzato i propri rapporti economici e strategici, anche per quanto riguarda il commercio di armi e l’energia nucleare.

La Polonia è diventata una destinazione chiave per le esportazioni dell’industria della difesa sudcoreana, soprattutto all’indomani dell’aggressione russa all’Ucraina che ha imposto un’accelerazione ai piani di Varsavia per rinnovare le proprie forze armate. L’anno scorso le aziende sudcoreane hanno firmato contratti per un valore stimato tra 15 e 20 miliardi di dollari – la vendita più cospicua mai realizzata dall’industria della difesa sudcoreana – per fornire all’esercito polacco carri armati, munizioni e obici semoventi. Choi Sang-mok, segretario presidenziale per la politica economica, ha dichiarato che la visita in Polonia di Yoon aiuterà anche a rafforzare le catene di approvvigionamento, a garantire nuovi mercati di esportazione e a espandere la cooperazione nella ricostruzione dell’Ucraina.

Cooperazione su vasta scala

Il momento centrale della presenza di Yoon al summit di Vilnius sarà la firma di un accordo per istituzionalizzare la cooperazione tra la Corea del Sud e la Nato, ricorda Francesca Frassineti, ricercatrice dell’Università di Bologna e di Ispi, esperta di penisola coreana e regione indo-pacifica. L’intesa riguarderà 11 settori tra cui la non proliferazione, la cyber sicurezza e le tecnologie emergenti. “Vale la pena ricordare – continua Frassineti che parla con Formiche.net da Seul, dove ha recentemente presentato un paper accademico proprio sulle relazioni tra Nato e Seul – che in termini di cooperazione nel dominio cibernetico la Corea del Sud nel 2022 è stata inserita nel Nato Cooperative Cyber Defense Center of Excellence con sede a Tallin, un passaggio che ha anticipato l’inaugurazione, lo scorso novembre, della rappresentanza diplomatica della Repubblica di Corea presso la Nato a Bruxelles”.

“L’aspetto interessante che riguarda la posizione sudcoreana è la continuità tra l’attuale amministrazione conservatrice e quella precedente guidata invece dai democratico-progressisti. Seul sta rafforzando la narrazione e il messaggio circa la volontà di potenziare i legami con la Nato e l’Unione europea; con quest’ultima la Corea del Sud celebra propro quest’anno il 60º anniversario delle relazioni diplomatiche”, spiega Frassineti. Moon Jae-in, il leader del Partito Democratico che ha preceduto alla presidenza Yoon, era stato il primo a mandare un inviato speciale presso l’Ue, scelta presa anche dall’attuale presidente Yoon. “Questa maggiore attenzione nei confronti dell’Europa è indice di una rinnovata consapevolezza da parte sudcoreana che l’Ue può essere molto più che un partner economico-commerciale. I recenti accordi in materia di fornitura di risorse per la difesa con diversi Paesi dell’Europa orientale, alcuni di questi anche membri della Nato, aggiungono un elemento nuovo e approfondiscono il partenariato anche in materia di difesa e sicurezza”, aggiunge l’esperta. All’inizio dell’anno, incontrando il riconfermato segretario generale Jens Stoltenberg, Yoon ha ribadito l’impegno sudcoreano a essere molto più di un “partner across the globe”. “Possiamo aspettarci — continua Frassineti — che Yoon a Vilnius cercherà di mettere a frutto gli sforzi compiuti negli ultimi dodici mesi per accrescere il profilo internazionale della Corea del Sud, muovendosi diversamente rispetto allo scorso anno quando aveva presenziato fresco di elezione e con pochissima esperienza politica. Probabilmente riceverà un tipo di accoglienza più attenta da parte degli altri leader. Certo, resta aperta la questione del sostegno militare all’Ucraina in quanto la posizione del governo di Seul ha scontentato molti”.

Qual è il feedback a livello di opinione pubblica di questo orientamento strategico sudcoreano? “In generale – risponde Frassineti – un maggiore attivismo a livello internazionale è visto positivamente. Nel caso del partenariato strategico con l’Ue e, più recentemente, di legami più stretti con la Nato, si osserva un sostegno bipartisan da parte dei due principali schieramenti politici. A livello di opinione pubblica la percezione dell’Europa è molto positiva, soprattutto tra i giovani, anche grazie alle attività di public diplomacy condotte dalla rappresentanza dell’Ue in Corea del Sud e all’operato dei centri di eccellenza Jean Monnet all’interno delle principali università del Paese”.

Se per l’amministrazione Moon l’area di interesse principale per la politica estera sudcoreano era in realtà il Sudest asiatico e non in prima battuta l’Europa, con Yoon si nota un una riconsiderazione in tal senso soprattutto dovuta alla necessità di mantenere saldi i rapporti con gli Stati Uniti e all’impatto della guerra in Ucraina. Per Frassineti, i tentativi sudcoreani di approfondire i legami con i partner europei stanno avendo buoni risultati probabilmente anche per il fatto che negli ultimi anni la Corea del Sud così come alcuni Paesi europei sono stati il bersaglio della coercizione proveniente dalla Cina e dalla Russia. “Si osserva una crescente convergenza nella percezione della minaccia tra europei e partner asiatici. Quando a Seul si valutava la posizione da prendere sulla crisi ucraina, e soprattutto la vendita di armi alla Polonia, la Russia aveva minacciato esplicitamente la Corea del Sud. Yoon in quell’occasione aveva dimostrato di saper reggere la sfida. Con molta probabilità la risposta del suo governo sarebbe molto diversa nel caso in cui le stesse pressioni arrivassero dalla Cina”.

L’attuale amministrazione conservatrice ha dimostrato l’intenzione di portare avanti una politica estera allineata a quella statunitense e di esporsi, almeno a parole, contro i tentativi di ribaltare l’ordine liberale internazionale fondato su regole condivise, ma con Pechino permangono criticità e forme di interdipendenza complesse da gestire. Anche a questo per Seul serve l’allineamento con la Nato.


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