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Lo sportswashing dietro il calcio milionario dei sauditi


Il mondo guarda ai contratti faraonici per i calciatori stranieri che militeranno nel campionato saudita e dimentica le gravi accuse di violazioni di diritti umani e politici nel regno dei Saud L'articolo Lo sportswashing dietro il calcio milionario dei

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di Michele Giorgio

(questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto)

Pagine Esteri, 26 luglio 2023 – Per i club di tutto il Golfo e non solo dell’Arabia saudita qualche star del calcio internazionale era già transitata negli anni scorsi. Si trattava di calciatori decisi a chiudere la carriera incassando qualche milione di dollari con poco sforzo. Per gli Emirati è passato da allenatore persino il più grande di tutti, Diego Maradona. Però non si era mai vista una valanga di milioni di dollari come quella che i club sauditi investono dal 2021 nel calcio mondiale. Con ingaggi stratosferici stanno mettendo sotto contratto calciatori di altissimo livello. Il primo è stato Cristiano Ronaldo, a fine carriera ma sempre in forma, che in Arabia saudita guadagna 200 milioni di euro a stagione. E quest’anno i sauditi saccheggiano anche il campionato italiano al quale hanno strappato un talento cristallino come Milinkovic-Savic, 28enne e all’apice della carriera, che nella sua nuova squadra, l’Al-Hilal di Riyadh, la più vincente del campionato locale, troverà l’ex difensore di Napoli e Chelsea Kalidou Koulibaly. L’Al Nassr, dove gioca Ronaldo, ha preso il centrocampista dell’Inter Marcelo Brozovic.

Il fenomeno saudita è stato paragonato ad altri simili visti di recente, come la Cina che però si è sgonfiato abbastanza prestp. Dietro c’è una strategia anche politica del controverso, a dir poco, principe ereditario Mohammed bin Salman che evidentemente ha inserito il calcio nel suo piano Vision 2030 di «modernizzazione» del regno. Non è per caso che i quattro top club sauditi – Al Hilal, Al Ittihad, Al Nassr e Al Ahli – siano ora controllati al 75% dal Public Investment Fund (Pif) – il fondo di investimento da 650 miliardi di dollari del governo saudita – che le controlla al 75 per cento. Il Pif due anni fa ha comprato anche il Newcastle in Premier e il team di F1 Aston Martin.

Secondo le notizie che girano, la Saudi Premier League (Spl) sotto la spunta di Mns punterebbe a diventare in 5-6 anni una delle dieci migliori leghe dal punto di vista tecnico, commerciale, finanziario e mediatico così da aprire la strada al Mondiale in Arabia saudita che salderebbe i conti con i cugini-rivali del Qatar. Ma le ombre sono tante su queste ambizioni in apparenza sportive e di puro interesse economico. Ed è forte il sospetto di sportwashing, ossia di una imponente operazione di immagine che attraverso il pallone punta a nascondere o, peggio, a far dimenticare completamente alla comunità internazionale le accuse di gravi violazioni di diritti umani e politici che l’Arabia saudita si porta dietro da sempre, assieme alla criminalizzazione dell’omosessualità e alla negazione di diritti fondamentali per le donne. Accuse a cui si aggiungono il brutale omicidio nel 2018 del giornalista dissidente Jamal Khashoggi di cui, si afferma da più parti, il mandante sarebbe stato proprio Mohammed bin Salman, e i crimini attribuiti a Riyadh per i bombardamenti in Yemen che dal 2015 hanno ucciso migliaia di civili.

E lo sportwashing funziona. Post e messaggi positivi sull’Arabia saudita da parte di Cristiano Ronaldo si stanno dimostrando efficaci. Così come è stata efficace la decisione presa dai Saud di ospitare finali di coppa di club europei e altri eventi sportivi, incluso il Gran Premio di F1. E se Lionel Messi ha scelto un’altra lega per chiudere la sua fenomenale carriera, comunque il campione argentino è stato ingaggiato per promuovere il regno in giro per il mondo. Da mesi e in queste ultime settimane in modo particolare, milioni di italiani e cittadini europei seguono le notizie da Riyadh solo per i petrodollari che vanno nelle tasche di questo o quel calciatore.

Nel frattempo nel rapporto sull’Arabia saudita 2022-23 di Amnesty International si legge che «Le autorità hanno preso di mira persone che avevano esercitato pacificamente i loro diritti alla libertà d’espressione e associazione» che «I difensori dei diritti umani sono stati maltrattati in carcere o soggetti a divieti di viaggio come condizione per il loro rilascio» e ancora che «I tribunali hanno emesso condanne alla pena capitale contro persone, anche minorenni, al termine di processi gravemente irregolari», tra cui membri di una tribù che si erano opposti allo sgombero dalle loro case. I lavoratori migranti hanno continuato a subire abusi e sfruttamento e, aggiunge Amnesty, «l’entrata in vigore di una legge sullo status personale, ha codificato a livello legislativo il sistema di tutoraggio maschile e la discriminazione contro le donne». Sarebbero migliaia i prigionieri di coscienza in Arabia saudita. Pagine Esteri

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PRIVACYDAILY


N. 143/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Il dipartimento degli Affari interni ha reso note le informazioni personali di oltre 50 partecipanti che hanno risposto a un sondaggio sulla sicurezza informatica, secondo quanto rivelato da Guardian Australia.I nomi, le ragioni sociali, i numeri di telefono e le e-mail dei partecipanti al sondaggio sono stati pubblicati... Continue reading →


#40 / Di telecamere, peculiari attivisti e strane priorità


Entro il 2025 mille nuove telecamere a Roma / Blade Runners, gli attivisti che non ci meritiamo / Le strane priorità della Bank of England / Torna la Privacy Week / Meme e citazione della settimana.

Entro il 2025 mille nuove telecamere a Roma


Il sindaco Gualtieri ha già dato disposizioni per far sì che Roma sia sicura per residenti e turisti in occasione del Giubileo del 2025: mille nuove telecamere, una sala operativa super smart per la polizia e un SOC (Cybersecurity Operation Center) per garantire la sicurezza delle telecamere e della sala operativa1. La sicurezza della sicurezza prima di tutto.

Di tutta questa sicurezza, ne saranno certamente felici gli amici romani. Finalmente potranno essere ripresi in tempo reale mentre vengono derubati in metro.

Hey, il portafoglio sparirà comunque e nessuno certamente sarà né catturato né processato — ma almeno saprete che da qualche parte c’è un vigile urbano che vi osserva, che veglia su di voi, e che prova tanta compassione. Mentre sorseggia il suo caffé con panna.

Lo so, forse sono eccessivamente critico. Magari le telecamere funzionano davvero come mezzo di repressione del crimine. In effetti, Milano è la città con più telecamere d’Italia ed è anche la più sicura. Che gli operatori del 112 la chiamino amichevolmente la Gotham City d’Italia è solo uno scherzo. È sicurissima, fidatevi. Soprattutto in zona Stazione Centrale, che è letteralmente invasa di telecamere.

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Blade Runners, gli attivisti che non ci meritiamo


Non tutti la pensano come Gualtieri e altri sindaci illuminati che non vogliono altro che il nostro benessere e sicurezza. In UK in particolare è da poco nato un movimento chiamato “Blade Runners” che ha una missione particolare: distruggere ogni telecamera di videosorveglianza nella città di Londra2.

A loro la sorveglianza di massa non piace, e non gli piace neanche l’espansione illimitata delle nuove ZTL videosorvegliate che da qualche tempo vengono spacciate come soluzione contro il cambiamento climatico.

Questi gentiluomini, che chiaramente non ci meritiamo, stanno progressivamente distruggendo e smantellando ogni telecamera. Un esponente, rimasto anonimo, ha recentemente dichiarato che non si fermeranno fino a che non le avranno distrutte tutte “no matter what”.

Pare che la loro azione sia stata così efficiente finora da aver messo in crisi le autorità locali, che potrebbero perfino decidere di sospendere il progetto ULEZ, simile alla Area B di Milano (una ZTL), per mancanza di apparati di sorveglianza.

Nel dissociarmi da queste terribili notizie di danneggiamento di proprietà pubblica, mi limito a dire che sarebbe davvero terribile se nascessero gruppi di emulazione in altre città europee, vista la fatica e l’amore che i nostri sindaci impiegano per tenerci al sicuro.

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Le strane priorità della Bank of England


La Bank of England ha deciso di dedicare il settimo piano del suo edificio a bagni unisex, o per meglio dire “gender neutral”. La decisione segue una serie di politiche inclusive e alcune dichiarazioni peculiari, anch’esse inclusive, come ad esempio il fatto che chiunque possa avere una gravidanza3.

Voi pensavate che alla Bank of England fossero impegnatissimi a scongiurare la più grande crisi finanziaria del secolo e contrastare l’inflazione (che loro stessi hanno causato). E invece no. Qua bisogna essere inclusivi. Ma perché parlarne su queste pagine?

Perché la questione dei bagni “gender neutral” riguarda molto da vicino anche la privacy e la dignità delle donne, per ovvi e oggettivi motivi, che però oggi sembrano essere fuori dalla portata delle più elevate menti dei nostri continenti.

Condividere un bagno o uno spogliatoio con persone dell’altro sesso può infatti essere un’esperienza negativa per molte donne, che magari preferirebbero non farsi guardare nude da persone dotate di prostata (questo è linguaggio inclusivo?).

D’altronde, se così non fosse, potremmo tutti già oggi usare bagni e spogliatoi uguali per tutti. Se nel corso della storia umana abbiamo deciso di separarli, forse un motivo c’era.

Nella letteratura in materia di privacy (in particolare Solove) si fa spesso riferimento all’impatto di azioni che in qualche modo invadono la sfera privata fisica della persona contro la sua volontà. L’esposizione forzosa di funzioni corporee o di nudità, unita alla sensazione di intrusione nella propria sfera privata, può infatti causare notevoli disagi psicologici nelle persone, oltre ad alterazioni dei loro comportamenti e perfino aumentare il rischio di micro-conflitti e violenze.

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Senza contare che i bagni, in generale, sono spesso frequentati anche da bambini — o da adulti con capacità intellettuali di bambini, nel caso delle Banche Centrali.

Quale genitore sarebbe felice di sapere che nel bagno o nello spogliatoio in cui si cambia sua figlia tredicenne dopo l’allenamento è presente anche una persona dotata di prostata di mezza età che ha deciso da un momento all’altro di farsi chiamare Jessica?

In che modo un’imposizione così violenta, che viola la privacy e la dignità delle donne a favore di alcune persone dotate di prostata, può dichiararsi inclusiva? Dov’è finito il femminismo di una volta?

Torna la Privacy Week


Torna la Privacy Week, quest’anno alla sua terza edizione. Un festival di cinque giorni a Milano in cui si alterneranno tanti eventi interessanti come hackaton, interviste, dibattiti, tavole rotonde, serate e incontri di networking. Anche quest’anno tutti gli eventi potranno essere visti comodamente da casa su www.privacyweek.it, mentre per alcuni ci si potrà anche registrare e partecipare dal vivo per chi volesse (posti limitati).

Privacy Week 2023 si terrà dal 25 al 29 settembre e naturalmente ci sarò anch’io, per chi volesse scambiare due chiacchiere dal vivo. Il palinsesto, che è ancora in corso di definizione, è già descritto qui.

Nel frattempo, vi consiglio la registrazione alla piattaforma anche per ricevere la newsletter settimanale e ricevere tutti gli aggiornamenti sulle varie attività!

Meme della settimana


Citazione della settimana

“Don't feel sorry for yourself. Only assholes do that.”
Haruki Murakami

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romatoday.it/politica/sicurezz…

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standard.co.uk/news/london/bla…

3

telegraph.co.uk/business/2023/…



Problemi di salute o disciplinari? I dubbi sul caso Qin Gang


Problemi di salute o disciplinari? I dubbi sul caso Qin Gang 8467100
Dopo una fulminante ascesa, Qin Gang non è più a capo degli esteri. Scomparso da settimane, ieri è stato sostituito. I social impazziscono e Pechino non dirada i dubbi

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L’innovazione europea è multidominio. Ecco l’impegno di Elt Group


Terrestre, aereo, navale, cyber e spazio. La partecipazione di Elt Group alle attività di ricerca e sviluppo finanziati nell’ambito dell’European defence funds (Edf) coinvolge l’azienda in tutti i domini operativi, dai tradizionali a quelli del futuro. La

Terrestre, aereo, navale, cyber e spazio. La partecipazione di Elt Group alle attività di ricerca e sviluppo finanziati nell’ambito dell’European defence funds (Edf) coinvolge l’azienda in tutti i domini operativi, dai tradizionali a quelli del futuro. La Commissione europea ha infatti selezionato i 41 programmi del Work program 2022, nove dei quali vedono la partecipazione da protagonista della società basata a Roma. In questi programmi, l’azienda fornisce il suo contributo grazie soprattutto alla competenza e capacità di innovazione nelle operazioni nello spazio elettromagnetico (Emso) e nel campo cyber.

La partecipazione all’Edf

Il gruppo è coinvolto nelle iniziative dell’Edf fin dalle sue fasi propedeutiche, attraverso la partecipazione al Preliminary actions defence research (Padr) e European defence industrial development programs (Edidp) per lo sviluppo di capacità di difesa comuni. Anche prima dell’istituzione del fondo comune, Elt Group ha maturato e consolidato le sue competenze grazie alla partecipazione a diversi programmi congiunti della difesa tra Paesi europei, come l’Eurofighter Typhoon, le Fremm, l’elicottero NH90 e attualmente partecipa anche allo sviluppo del futuro caccia di sesta generazione Gcap.

Nuovi domini…

Nel dominio spazio, Elt partecipa al progetto Spider che mira alla creazione di una costellazione di satelliti per missioni di Intelligence sorveglianza e ricognizione militari con incluso payload Sigint, e nel dominio cyber con il progetto Newsroom mirato a superare le attuali limitazioni della cyber situational awareness (Csa). Sempre in ambito tecnologico, Elt è presente nei progetti Tiresyas ed Epicure, rispettivamente per contrastare le minacce emergenti aumentando la resilienza dei sensori sviluppare e per l’assemblaggio e collaudo di semiconduttori in outsourcing (Osat) e sostenere i fornitori di tecnologia in Europa nel campo del packaging avanzato per le esigenze della difesa.

… e tradizionali

Nei domini tradizionali, a partire dal dominio aereo, il gruppo italiano partecipa ai progetti React II, per la capacità di attacco elettronico aereo, follow-on del progetto Edidp 2019, e Fasett, nuovo aereo da trasporto per gli Stati membri Ue. Nel dominio navale è presente nei progetti E-Nacsos, per la sorveglianza navale, ed Euroguard, per l’integrazione di tecnologie innovative in una unità navale sperimentale per operazioni costiere. Infine, nel dominio terrestre è sul progetto Latacc per rafforzare la capacità collaborativa fra posti di commando, veicoli, soldati e assetti unmanned in conflitti ad alta intensità.

L’innovazione di Elt Group

Come ricordato di recente dal presidente di Elt Group, Enzo Benigni, “l’innovazione è una cosa seria”, soprattutto in un’epoca in cui l’evoluzione tecnologica procede a una velocità sorprendente “per gli stessi tecnici”. Senza innovazione si diventa rapidamente obsoleti, ed Elt Group ha infatti messo questi concetti al centro del proprio piano industriale Tenet 2030, per cogliere al meglio le possibilità offerte dalle proprie competenze nei nuovi domini dello spazio, del cyber e della bio-difesa. L’azienda, del resto, ha celebrato il proprio importante traguardo proprio in campo spaziale, mettendo in orbita il suo primo payload finanziato dall’azienda, il sistema Scoprio. Il satellite, la cui missione è raccogliere i dati marittimi non classificati analizzati dal segmento di terra presso il quartier generale di Elt a Roma, è solo l’ultimo traguardo della società, i cui prossimi obiettivi sono il sistema in orbita stratosferica EuroHAPS e il sistema di contromisura per impedire l’acquisizione di immagini da parte di satelliti ostili, Zenital jammer.


formiche.net/2023/07/innovazio…



Grazie anche alla Fle ho scoperto le virtù del dubbio


Orwell entrò nella mia vita che ero molto giovane, fine dei Sessanta, e ancora non avevo letto “1984”, il suo romanzo sul mondo totalitario a venire. Sul retro di copertina della mia prima tessera del Pci (Lenin sul fronte) al punto 10, conclusivo, era sc

Orwell entrò nella mia vita che ero molto giovane, fine dei Sessanta, e ancora non avevo letto “1984”, il suo romanzo sul mondo totalitario a venire. Sul retro di copertina della mia prima tessera del Pci (Lenin sul fronte) al punto 10, conclusivo, era scritto: “Difendere il partito da ogni attacco”. Per educazione o diseducazione totalizzante, non ero dunque predisposto al dubbio, sebbene mio padre notasse, con una sfumatura di ironia, che l’articolo 10 si prestava a un equivoco di tipo militare, lontano dall’idea di una via italiana o democratica al socialismo. Ero un ragazzo, l’assenza di dubbio mi dava conforto, incoraggiamento e spinta. Ora se faccio da vecchio un quiz estivo della Fondazione Einaudi, quasi quarant’anni dopo l’uscita da destra dal partito e la conversione all’anticomunismo militante, in anticipo sul crollo del Muro e la ridenominazione, mi viene come risultato un incredibile: “Liberale classico”. Mi viene da ridere, ovviamente, e ripenso all’epoca in cui la disciplina spazzava via per statuto ogni forma di dubbio.

Per quattro decenni i miei nuovi amici, da Aron a Popper, mi hanno spiegato le virtù infinite del dubbio, cuore e anima di ogni pensiero critico. Alla nuova filosofia della congettura e della confutazione, del fallibilismo, della verifica in termini di fatto, dell’esperienza, del metodo rigidamente improntato alla flessibilità etica e epistemologica del dubitare su tutto e di tutto, ma non di tutti, ché al mondo ci sono anche amicizia e amore, mi sono conformato da vero conformista, da neofita di un liberalismo debole e acquisito. Incorporata l’idea che il dubbio sia il sale della terra, per via di una lettera di Orazio a Massimo Lollio, in cui lo invitava a essere saggio a costo di sprofondare nella medietà o mediocrità del dubbio, con la famosa formula Sàpere àude, poi trasformata da Kant nel simbolo illuminista dell’autonomia critica, osare servirsi della propria intelligenza, non dipendere da nessun dogma e limitarsi a conoscere ciò che si può conoscere con certezza, sempre dopo aver dubitato di ogni cosa, ho accettato il primato umano e divino del dubbio nel pensiero.

Nel frattempo deve essere successo qualcosa perché una persona che è degna di stima come Ezio Mauro su Repubblica ha degradato il dubbio, anzi il Grande Dubbio, a una forma di fanatismo ai limiti del negazionismo climatico, tale da far correre al pianeta seri rischi di sopravvivenza. In più, si desume da tutto il ragionamento a sorpresa, il dubbio è meloniano, larussiano, abascaliano, lepenista, salviniano, magari trumpiano, è costitutivamente di destra, conservatore se non reazionario, e serve a minare la certezza della scienza, il ruolo delle classi dirigenti, ha una natura populista intrinseca, si sposa bene con gli affari propri, gli interessi meschini e particolari; il Grande Dubbio “spoglia il potere di quella potestà metafisica che gli riconosceva la capacità di dare un nome alle cose, dunque di interpretarle, rappresentarle e risolverle davanti al popolo; un autentico retaggio di antica maestà cancellato dalla ribellione nei confronti delle élite, che è la vera anima trasversale dei populismi di varia natura” (Ezio Mauro). E così, dopo un’intera vita spesa a emendarmi dalla certezza maestosa e metafisica del platonico e giovanpaolino “splendore della verità” o “veritatis splendor”, eccomi tornato in compagnia di Mauro all’articolo 10: “Difendere il partito da ogni attacco”. In questo caso il partito preso. Il succedaneo del comunismo, l’ambientalismo apocalittico.

Il Foglio

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Prepararsi all’imprevisto, serve una strategia integrata. La proposta di Elisabetta Trenta


Il 22 luglio all’aeroporto internazionale del Golfo Persico in Iran è stata registrata una temperatura di 66°C, quasi ai limiti della resistenza umana. È uno degli ultimi avvertimenti alla politica sulla necessità di prepararsi a un mondo più caldo e più

Il 22 luglio all’aeroporto internazionale del Golfo Persico in Iran è stata registrata una temperatura di 66°C, quasi ai limiti della resistenza umana. È uno degli ultimi avvertimenti alla politica sulla necessità di prepararsi a un mondo più caldo e più pericoloso dove non solo le pandemie o i missili, ma anche il calore stesso, o le piogge, possono diventare dei killer. Da tempo l’unica costante della nostra società sembra essere diventata la crisi, causata da guerre, pandemie, minacce terroristiche, clima estremo o migrazioni di massa. Di fronte all’aumentare in numero e intensità degli eventi estremi, la politica e le amministrazioni pubbliche hanno l’obbligo di prepararsi ad affrontarli.

Pianificare per l’imprevisto

Nell’epoca dell’incertezza pianificare per il futuro sulla base delle probabilità che un evento accada è un errore perché, come ha dimostrato Nassim Nicholas Taleb, se basiamo le decisioni sul probabile, saremo sempre impreparati per il “cigno nero”, quell’evento rarissimo e imprevedibile ma dalle conseguenze catastrofiche. Purtroppo, la nostra mente, per aiutarci a semplificare la complessità della realtà, compie degli errori che ci fanno escludere la possibilità dell’esistenza dei cigni neri.

Le fallacie mentali

Il primo è l’errore di conferma, che facciamo quando cerchiamo solo le prove di ciò che pensiamo già, ignorando le tesi contrarie. Per questo, finché non vediamo un cigno nero, pensiamo che tutti i cigni siano bianchi: abbiamo automaticamente escluso l’imprevisto. Un altro errore è quello della “fallacia narrativa”, per la quale troviamo legami causa-effetto tra gli eventi anche quando non ci siano. Questo ci fa sentire sicuri, perché spiegarsi un evento significa possedere la chiave per controllarlo. Ma, il più delle volte, quel legame causa-effetto non esiste. Infine il terzo errore è quello di trascurare tutte le cause che non vediamo, anche se il non vederle non significa che non ci siano. L’eccessiva consapevolezza delle nostre conoscenze può avere, però, delle conseguenze negative.

Prepararsi al peggio

Oggi possiamo dire che il piano pandemico non aggiornato, una delle cause per cui l’Italia si è fatta trovare impreparata alla pandemia, possa essere dipeso anche da questa fallacia della mente che tende a escludere il ripetersi di un evento rarissimo, come era stata l’epidemia Sars del 2003. Capire che l’arroganza epistemica della politica e dell’amministrazione siano state una delle cause dei troppi morti da Covid è essenziale per cambiare rotta, perché solo una leadership proattiva può salvarci dagli effetti delle crisi. Occorre prepararsi al peggio, senza essere catastrofisti, perché è necessario essere pronti a proteggere le nostre società in modo proporzionato ai rischi cui sono esposte. Preparazione e resilienza sono gli elementi essenziali della capacità di un governo per affrontare in maniera efficace una crisi.

La Strategia di sicurezza nazionale sistemica integrata e multidimensionale

Questo era stato un elemento importante del programma di governo nel 2018 quando ho proposto al presidente del Consiglio la realizzazione di una Strategia di sicurezza nazionale sistemica integrata e multidimensionale, da elaborare in sinergia tra tutti i ministeri e agenzie e con la collaborazione dell’industria, dell’accademia, della ricerca e del settore privato. Una siffatta strategia è lo strumento utile al Paese per fare fronte, in maniera adeguata, alle nuove crisi ed emergenze nel campo della sicurezza e difesa perché́ l’approccio sistemico permette di aumentare la resilienza collaborativa, intesa come capacità di risposta dell’intero apparato statale a qualsiasi evento che possa perturbarne sicurezza, stabilità interna e governabilità̀ e che arrechi pregiudizio al regolare svolgimento della vita dei cittadini. Dotarci di una siffatta strategia ci consentirà di preparaci ad affrontare ogni genere di minaccia ottimizzando i budget di tutte le amministrazioni coinvolte, perché la caratteristica di una crisi è che non resterà mai circoscritta all’ambito in cui nasce. Una crisi sanitaria diventa presto una crisi economica, sociale e finanziaria come una crisi climatica potrebbe sfociare facilmente in un conflitto o in una guerra.


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Fondi europei alla difesa, serve una strategia che punti alla leadership. Il punto di Nones


Degli oltre ottocento milioni di euro assegnati dall’Unione europea ai progetti di ricerca e sviluppo nell’ambito dell’European defence fund, lo strumento della Commissione per promuovere la cooperazione in materia di difesa, l’Italia parteciperà a 31 dei

Degli oltre ottocento milioni di euro assegnati dall’Unione europea ai progetti di ricerca e sviluppo nell’ambito dell’European defence fund, lo strumento della Commissione per promuovere la cooperazione in materia di difesa, l’Italia parteciperà a 31 dei 41 programmi vincitori. Si tratta di uno stanziamento di circa il 74% dei fondi complessivi stanziati per il Work programme 2022. Il nostro Paese, e in particolare Leonardo, parteciperanno a progetti che riguardano l’intera gamma dei domini operativi, dai tradizionali terra, mare e aria, ai nuovi dello spazio e del cyber. La società di piazza Monte Grappa, soprattutto, si è aggiudicata la guida del programma Tiresyas (Technology innovation for European radar system applications), relativo allo studio di una nuova famiglia di sensori multi-dominio aria-mare-terra. Del significato del risultato, e soprattutto delle implicazioni di lungo periodo per il nostro Paese, Airpress ne ha parlato con il professor Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai).

Il punto di Nones

La prima riflessione che occorre fare è che si conferma come l’Edf stia diventando il principale strumento attraverso il quale si cerca di sviluppare una capacità tecnologica e industriale europea. Al di là degli importanti accordi a livello intergovernativo che ci sono stati nel passato, e che continueranno ad esserci, che riguardano prevalentemente lo sviluppo e poi la produzione di grandi sistemi d’arma, è importante che l’Europa faccia una attività propedeutica relativa ai programmi di ricerca e di sviluppo, fino al livello dei cosiddetti dimostratori tecnologici.

Dunque, per quanto tutti questi programmi debbano essere chiaramente orientati sulla base delle esigenze delle Forze armate europee e nella prospettiva di dare una risposta a queste esigenze, il programma Edf si muove con grande libertà, perché non implica automaticamente una produzione successiva, ma ne crea invece i presupposti. Ovviamente, a condizione che i risultati attesi siano conseguiti e, soprattutto, lo siano in maniera tempestiva. Lo sforzo congiunto europeo, dunque, è sicuramente un tassello importante nella costruzione di una Europa della difesa

Ciò detto, tuttavia, siamo al secondo anno dell’esercizio Edf, con i risultati del 2022 che si cominciano a vedere adesso. Si possono, allora, trarre alcune iniziali valutazioni. La prima cosa che emerge da un’analisi dei dati Edf 2021-2022 è che la Francia emerge come il principale Paese impegnato nelle attività di ricerca e sviluppo. Lo è sia in termini di ritorni economici all’interno dei vari programmi sia, soprattutto, a livello di leadership dei programmi stessi. L’essere team leader, quindi a capo di un consorzio a cui partecipano imprese e soggetti di altre nazioni, rappresenta di per sé un valore aggiunto per lo Stato interessato, perché ne dimostra la dinamicità e il fatto che gli altri partecipanti ne riconoscano il ruolo guida, al di là del fatto che poi possano essere più o meno presenti nei singoli programmi.

Quindi, una valutazione complessiva deve riguardare sia il numero di progetti a cui si partecipa, sia l’entità dei finanziamenti che vengono percepiti da ciascun Paese. Il punto è assicurare un rapporto il più possibile equilibrato tra il finanziamento che ogni Paese alloca al bilancio europeo, e quindi all’Edf, e quello che è il suo ritorno economico e finanziario. In generale, il punto di riferimento che si utilizza in questo tipo di valutazioni è quello di tenere conto che se nel nostro caso l’Italia partecipa grosso modo al 13% del bilancio comunitario, è importante che possa poi, attraverso i bandi assegnati, ricevere una quota analoga. Ovviamente questo vale quando all’interno di quel settore il Paese intenda avere una posizione importante, e quindi consideri strategiche le attività che vengono finanziate. Nel caso della difesa, l’Italia è sicuramente uno dei grandi player europei, e quindi deve mantenere l’ambizione di vedere riconosciuto questo suo ruolo.

Un aspetto che sicuramente potrebbe essere migliorato, e che era stato evidenziato fin dal primo anno dell’European defence fund, è quello dei programmi a guida italiana. Questo perché ci sono delle attività di ricerca e sviluppo nelle quali l’Italia ha delle grandi capacità, che le vengono riconosciute anche a livello europeo (come è evidente nei programmi Pesco), e quindi può avere l’ambizione di potere essere lei a guidare i progetti di questi segmenti. Ovviamente non può farlo sempre, ma dato che i bandi sono annuali, l’Italia deve poter realizzare questo tipo di ambizione. Ciò comporta un grande sforzo e una grande determinazione da parte industriale, ma anche il sostegno dell’intero sistema-Paese. Nella costruzione dei progetti e dei consorzi che li devono presentare bisogna poter garantire l’impegno complessivo delle capacità industriali e tecnologiche, ma anche delle capacità di guida e di indirizzo da parte dello Stato. Ancora prima, bisogna che sia ben chiaro e definito quali siano i segmenti sui quali il sistema-Paese vuole puntare, che non possono essere lasciati solo alla discrezionalità delle imprese del settore, ma che devono essere il risultato di un confronto fra aziende, Forze armate e autorità politica, che favorisca la conclusione di questa strategia. Forse sarebbe il caso di riconsiderare alcuni dei suggerimenti che erano contenuti nella direttiva per la politica industriale del ministero della Difesa del 2021 e che potrebbero aiutare nella direzione di migliorare la possibilità dell’Italia di partecipare più attivamente alle iniziative europee.


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Esercitazioni militari nell’Indo-Pacifico, si scalda il fronte sino-russo


La contromossa sino-russa all’intensificarsi della diplomazia militare Nato nel Pacifico non si è certo fatta attendere. Dopo la notizia dell’apertura di un liaison office in Giappone, iniziativa volutamente omessa dalle dichiarazioni ufficiali dell’ultim

La contromossa sino-russa all’intensificarsi della diplomazia militare Nato nel Pacifico non si è certo fatta attendere. Dopo la notizia dell’apertura di un liaison office in Giappone, iniziativa volutamente omessa dalle dichiarazioni ufficiali dell’ultimo incontro dell’Alleanza a Vilnius, i due Paesi hanno immediatamente annunciato lo svolgimento di un’esercitazione navale comune, la Northern/Interaction, nel mar del Giappone. Lo specchio d’acqua su cui si affacciano, oltre al Giappone, anche le due Coree, la Russia e la Cina, è fondamentale per questi ultimi due Paesi. Gli stretti di Soya, Tsushima e Tsugaru, in particolare, sono punti-chiave per garantire la sicurezza nazionale sino-russa.

Le esercitazioni, della durata di quattro giorni, sono state pianificate dal comando del teatro settentrionale dell’Esercito popolare di liberazione (Pla). La Cina partecipa con i cacciatorpediniere missilistici Guiyang e Qiqihar (che ha ospitato il comando congiunto), le due fregate missilistiche Zaozhuang e Rizhao e la nave da rifornimento Taihu. La Russia ha inviato le unità antisommergibili Admiral Tribunts e Admiral Panteleev assieme alle corvette Gremyashy e Aldar Tsydenzhapov. Relativamente alle forze aeree, i due Paesi hanno schierato più di trenta velivoli, tra aerei da caccia, velivoli antisom ed elicotteri. Fonti cinesi riportano anche che Pechino avrebbe inviato a Vladivostok aerei da trasporto Y-20, velivoli Aewc KJ-500, caccia J-16 e, per la prima volta, l’elicottero multiruolo Z-20. Si tratta di una mossa molto significativa che dimostra l’alto livello di integrazione delle due Forze armate, soprattutto perché conferma che le forze aree cinesi sono già in grado di operare da basi russe. La capacità di operare indistintamente da più basi in ambo i territori, che si aggiunge all’attività di pattugliamento congiunto già in corso nel mar del Giappone e nel mare Cinese orientale, dimostra che il salto di qualità verso una completa integrazione delle due Forze armate è ormai avvenuto.

È un risultato abbastanza sorprendente, in quanto la convergenza tra Cina e Russia non è frutto di un percorso che parte da molto lontano. La Cina ha iniziato infatti a partecipare alle esercitazioni annuali russe solo nel 2018, con “Vostok 2018” cui hanno fatto seguito Tsentr 2019 e Kavkaz 2020. Dal canto suo, la Russia ha partecipato alle esercitazioni cinesi solo nel 2021 con la Western/Interaction, condotta nella regione autonoma dello Ningxia Hui, nella Cina nord-occidentale. Una tappa molto significativa di questo processo è stato l’invio, nel 2022, di diverse componenti delle forze terrestri, navali e aeree cinesi in Russia per partecipare alle esercitazioni Vostok 2022, che si sono svolte in tredici siti russi e in diverse aree di interesse strategico nel mar del Giappone.

Al momento dell’annuncio di Northern/Interaction, il ministero della Difesa cinese ha sottolineato come questa esercitazione abbia uno scopo operativo, cioè quello di approntare le capacità necessarie al mantenimento della sicurezza delle rotte marittime strategiche per ambo i Paesi, ma soprattutto geopolitico. Tramite lo sviluppo di più strette relazioni militari, Cina e Russia intendono infatti segnalare la propria volontà di imporsi come attori-chiave nel Pacifico che, nelle parole del governo cinese, ne siano i “reali garanti di pace e stabilità” tramite un livello ottimale di deterrenza. Queste attività addestrative complesse andranno inoltre ad aumentare grazie alla possibilità di rotazione tra i cinque i comandi strategici cinesi e potranno dunque interessare diversi teatri strategici e scenari di conflitto nel Pacifico, tra i quali ovviamente Taiwan.

Se la potenza navale di superfice russa è di per sé poco credibile, la crescita della Marina cinese sotto il profilo quantitativo e qualitativo desta invece una certa preoccupazione, sebbene non si configuri ancora come una minaccia tangibile. A questo bisogna aggiungere una riflessione sulla capacità di proiezione aerea di Pechino. Diverse fonti Osint suggeriscono come la Cina stia accelerando i piani di produzione del caccia J-20, caccia a decollo convenzionale che sarebbe stato prodotto fino ad oggi in circa cinquecento esemplari, equipaggiati da un sistema di propulsione notevolmente migliorato rispetto alle precedenti versioni. Anche la produzione di caccia Stovl FC-31, progetto basato sulla falsariga dell’americano F-35B e in dotazione alla Marina del Pla, sembra aver superato i problemi legati al peso eccessivo del bimotore di quinta generazione che ne limitavano l’impiego su unità anfibie dotate di sistemi di lancio skyjump, sebbene non si conosca ancora con precisione il numero di velivoli in servizio effettivo.

L’ipotesi di una convergenza sino-russa nel Pacifico ha indubbiamente spinto Stati Uniti e Giappone a intensificare i propri sforzi al fine di garantirsi la superiorità aerea nel teatro operativo, raggiungibile sia tramite l’acquisizione di velivoli di quinta generazione sia tramite lo sviluppo di un caccia di sesta generazione. In questo senso va vista la partecipazione del Giappone al Global combat air program (Gcap), il programma per lo sviluppo del caccia di sesta generazione Tempest nel quale, assieme al Regno Unito e all’Italia, il Paese ha un ruolo di punta.

Venendo al Pacifico, sotto il profilo aero-navale, gli Stati Uniti dispongono di una presenza importante che comprende, tra le altre, sette portaerei convenzionali – come la Uss Nimitz – che dal 2019 sono in grado di operare velivoli F-35C e le nuove unità anfibie di classe America, che possono a loro volta imbarcare fino a 13 F-35B garantendo al contempo un’efficace piattaforma di proiezione per le forze da sbarco. Per quanto riguarda il Giappone, da tempo Tokyo ha avviato un piano di ammodernamento delle proprie forze di difesa e il Paese ha recentemente deciso di aumentare il proprio lotto di F-35 prevedendo l’acquisto di 105 unità nella versione F-35A e 42 unità nella configurazione F-35B, che intende operare grazie alle due portaelicotteri di classe Izumo attualmente in via di conversione in assetto da portaerei leggere con capacità anfibia. Inoltre, come sappiamo, il Giappone ha appena siglato un partenariato strategico con l’Italia finalizzato proprio ad aumentare le sinergie operative per quello che è ormai stato soprannominato come il “caccia del mondo libero”.

Roma si è infatti impegnata ad acquisire sessanta velivoli nella configurazione convenzionale destinata all’Aereonautica militare (F-35A) e trenta velivoli nella versione a decollo e atterraggio verticale per la Marina (F- 35B) che andranno a formare il gruppo di volo delle navi Trieste e Cavour, che è attesa proprio nel Pacifico tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. A ciò si aggiunge la ripresa, dopo circa vent’anni, delle esercitazioni congiunte tra la Marina militare italiana e la Forza marittima di autodifesa giapponese. Nel quadro di questa nuova attività addestrativa congiunta, il Ppa Morosini ha fatto scalo alla base navale di Yokosuka nell’ambito di un dispiegamento di cinque mesi nella regione che comprende sia attività operative che di supporto logistico, inclusa la manutenzione e le attività di riparazione navale.

Italia e Giappone spingono inoltre per un progressivo intensificarsi della cooperazione nei settori della difesa e della sicurezza che comprende meccanismi di sinergia nei settori dell’Intelligence e cyber-warfare. Ci auspichiamo che la sinergia si estenda anche alla forza da sbarco, coinvolgendo la nostra Forza di proiezione dal mare, visto l’alto numero di unità navali anfibie previste nel teatro. La convergenza delle due marine, che include anche il profilo della proiezione aerea, è comunque un’ottima aggiunta alla già assodata interoperatività tra i partner Nato e potrà garantire all’Alleanza livelli ottimali di readiness mettendola in grado di controbilanciare il profilo di deterrenza sino-russo.

Per l’Italia il Pacifico è un territorio per certi versi inesplorato. Ma va notato che Roma non è completamente nuova all’Asia orientale, dove da qualche anno ha avviato una strategia di consolidamento di vecchi e nuovi partenariati strategici. Questa svolta della diplomazia navale di Roma, tradizionalmente incentrata sul Mediterraneo, è iniziata nel 2007, quando l’Italia è diventata il primo Paese europeo a essere ammesso come partner di dialogo nel Forum delle isole del Pacifico, l’organizzazione internazionale che ha come obiettivo l’accrescimento della cooperazione tra i Paesi che si affacciano sull’oceano Pacifico. Lo sforzo di Roma è proseguito anche nel 2021, in occasione della costituzione della trilaterale Italia-India-Giappone che proprio quest’anno ha portato diversi frutti: oltre al rilancio della cooperazione con la Corea del Sud in stallo dal 2018, l’Italia ha formalizzato due partnership strategiche molto significative con Tokyo e New Delhi e un memorandum d’intesa con Manila nel settore delle relazioni industriali.

Il rinnovato interesse dell’Italia per il teatro asiatico, oggi considerato una sorta di Mediterraneo allargato, è coerente con la dottrina Nato e la posizione dell’Ue che considerano la sicurezza dell’Europa come inseparabile da quella dell’Asia orientale. Con il continuo aumentare del numero dei quadri di crisi, e soprattutto la necessità sempre più ovvia di contenere la Cina, l’Italia sembra aver finalmente compreso la necessità di diventare pienamente un attore-chiave nel contesto degli equilibri internazionali, anche e soprattutto per garantire la sicurezza e l’interesse nazionale del nostro Paese.

Resta infine l’incognita delle capacità sottomarina. L’imponente flotta di sottomarini russi, peraltro tecnologicamente molti sviluppati e con livelli di readiness ottimali, potrebbe rappresentare la vera minaccia per Giappone, Corea del Sud, Taiwan e gli interessi occidentali nel Pacifico. C’è sempre più interesse per la guerra sottomarina, come denotano i diversi progetti cinesi e indiani attualmente in corso o il recente accordo Aukus tra gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Australia. L’accordo comprende il trasferimento di un numero dai tre a cinque sottomarini di classe Virginia alla marina australiana a partire dal 2032, lo sviluppo congiunto da parte del Regno Unito e dell’Australia di un nuovo sottomarino di classe Aukus che entrerà in servizio intorno al 2040 e un impegno multimiliardario da parte di tutti e tre i Paesi per espandere la comune capacità industriale sottomarina. Vista la minaccia convenzionale e nucleare che può derivarne, o quantomeno con l’intento di contenere l’espansione di Pechino nel Pacifico, è ovviamente auspicabile che gli attori Nato attivi nel teatro, inclusa l’Italia, continuino ad investire nel settore della guerra sottomarina, incluso lo sviluppo di unità di superficie in configurazione antisom, e che il dispiegamento delle forze navali alleate nel pacifico divenga rapidamente avvicendabile e scalabile, seppure a costo di irritare oltre a Pechino e Mosca anche il regime di Pyongyang.


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Il 25 luglio 1998 venne varato il testo unico sull'immigrazione, la cd "Turco Napolitano" con i voti di tutte le sinistre. Giungeva durante una discussione che


#NotiziePerLaScuola

Giornata Nazionale del Cinema per la Scuola: appuntamento a Palermo dal 16 al 18 ottobre per promuovere le opere audiovisive realizzate nell'ambito del Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola.



Tre palestinesi uccisi dall’esercito israeliano in Cisgiordania


Sono stati colpiti sul monte Gerizim nei pressi della città di Nablus L'articolo Tre palestinesi uccisi dall’esercito israeliano in Cisgiordania proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/07/25/medioriente/tre-palestinesi-uccisi-dallesercit

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della redazione

Pagine Esteri, 25 luglio 2023 – Tre giovani palestinesi sono stati uccisi la scorsa notte sul monte Gerizim nei pressi della città di Nablus, nella Cisgiordania sotto occupazione militare. Saad Al-Kharraz, Montaser Salama e Nour Al-Arda, tutti di Nablus, sono stati colpiti, secondo la versione fornita dalle autorità israeliane, quando hanno aperto il fuoco contro una pattuglia militare.

Secondo testimoni oculari palestinesi, si sarebbe trattato invece di un agguato dell’esercito israeliano a un’auto con a bordo i giovani, probabilmente membri di un gruppo armato e ricercati dalle forze di occupazione. Sempre i palestinesi denunciano che i militari israeliani avrebbero impedito alle ambulanze di raggiungere l’auto con a bordo di tre colpiti.

Sabato scorso, un palestinese di 18 anni era stato ucciso dall’esercito israeliano a Sebastia. Il giovane Mohammad Mhalfa, era in auto quando è stato colpito, secondo fonti mediche palestinesi. Pagine Esteri

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Secondo il nuovo regolamento digitale dell’UE, le piattaforme online devono permettere ai revisori di valutare i loro algoritmi. Ma rimangono diversi interrogativi su questo ambito inedito. La legge sui servizi digitali (DSA) introdurrà un regime specifico per le piattaforme online...


SONDAGGI. Arabi sempre più lontani dagli Stati uniti e vicini a Russia e Cina


I sondaggi mostrano un aumento della insoddisfazione nei confronti degli Stati Uniti. Russia e Cina, al contrario, sono diventate più popolari nella regione mediorientale L'articolo SONDAGGI. Arabi sempre più lontani dagli Stati uniti e vicini a Russia e

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della redazione

Pagine Esteri, 25 luglio 2023 – L’opinione pubblica araba sta cambiando riguardo al ruolo delle grandi potenze in Medio Oriente, con importanti implicazioni per il futuro della regione. Mentre le principali potenze internazionali continuano a sfidarsi, i sondaggi mostrano un aumento della insoddisfazione nei confronti degli Stati Uniti e, in misura minore, dell’Unione europea (Ue). Russia e Cina, al contrario, sono diventate più popolari in tutta la regione.

Lo scorso anno, un sondaggio condotto dalla BBC su giovani arabi ha mostrato un calo della popolarità degli Stati Uniti, con una solida maggioranza, circa il 57 percento, che considera gli Usa un nemico anziché un alleato. La Russia, invece, è vista come un alleato di primo piano dal 70 percento dei giovani intervistati, solo il 26 percento la considera una nemica.

La Fondazione Friedrich Ebert, associata al Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD), ha recentemente condotto un sondaggio simile che ha coinvolto le popolazioni di nove paesi arabi, oltre a Turchia, Iran e Israele.

Il sondaggio ha rivelato che in cinque paesi, tra cui gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto e la Giordania, tutti tradizionali alleati di Washington, l’opinione pubblica ha maggiore fiducia nella Russia rispetto agli Stati Uniti. Sette paesi hanno visto la guerra in Ucraina come un conflitto geopolitico tra Russia e Occidente, piuttosto che come una guerra tra due paesi, e tutti e nove i paesi hanno indicato gli Stati Uniti come il maggior beneficiario della guerra.

Tutti i paesi oggetto del sondaggio appoggiano il ritiro militare degli Stati Uniti dalla regione araba, e sette di questi affermano che la possibile uscita di scena americana renderà il Medio Oriente più sicuro e migliorerà le relazioni nelle regione. Anche l’opinione pubblica negli Emirati e in Qatar, due dei più stretti alleati di Washington, sostiene che la presenza russa è più vantaggiosa per la regione araba rispetto a quella statunitense.

Tutti i paesi oggetto del sondaggio concordano sul fatto che l’Europa si affida troppo agli Stati Uniti per la sua Difesa e i cittadini di sette paesi, tra cui Egitto, Arabia Saudita e Giordania, in maggioranza si oppongono a una maggiore presenza militare europea nella regione. Per quanto riguarda l’ordine globale attuale, sei paesi affermano che il mondo è già multipolare e che lo diventerà ancora di più, mentre tre paesi vedono un’unipolarità persistente che cambierà presto.

Un altro sondaggio condotto da Arab Barometer per conto della BBC mostra che la Cina è più popolare degli Stati Uniti in otto dei nove paesi arabi presi in esame.

VINCERE LA GUERRA DELLA PROPAGANDA

Sui social media, il malessere arabo per la guerra tra Russia e Ucraina è evidente. Ma è principalmente rivolto contro gli Stati Uniti e all’Ue, considerati responsabili di aver provocato la Russia in una guerra che è economicamente dannosa per la loro stessa regione.

Attraverso una vasta gamma di fonti, tra cui giornali governativi e privati locali, gli editorialisti arabi accusano gli Usa e l’Ue di “doppia morale”. Fanno notare la risposta attiva degli occidentali alla guerra russa in Ucraina, rispetto alla loro passività di fronte a molti conflitti nel mondo, compresi gli attacchi continui di Israele a Gaza. Molti argomentano che l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin non è peggiore dell’invasione statunitense dell’Iraq sotto il presidente George W. Bush.

Ci sono anche altre ragioni, più profonde, per questo crescente malcontento arabo verso l’Occidente. Il pubblico arabo non dimenticato la lunga storia del colonialismo occidentale nella regione, il costante favore occidentale a sostegno di Israele e le invasioni statunitensi dell’Afghanistan e dell’Iraq. Molti della generazione della Primavera Araba, inoltre, si sono sentiti abbandonati dall’Occidente, che ha continuato a sostenere i regimi autoritari della regione in cambio di vantaggi economici e politici. Tutti questi fattori hanno contribuito a alimentare sia correnti islamiste che nazionaliste antioccidentali negli ultimi anni.

Nonostante il suo coinvolgimento diretto in Siria, la Russia ha guadagnato una popolarità significativa in molti paesi arabi. Mosca è vista come un ostacolo al dominio degli Stati Uniti nella regione e il suo sostegno per prezzi agevolati in termini di cereali e carburante ad alcuni paesi arabi ha contribuito a conquistare i cuori e le menti delle popolazioni locali.

Molti arabi vedono la Cina come una potenza non coloniale che negli ultimi anni si è concentrata sulla costruzione di relazioni economiche senza ambizioni politiche esplicite. La Cina è diventata il maggiore partner commerciale dei paesi arabi e l’influenza di questi nuovi legami si è manifestata quando gli Stati arabi hanno appoggiato unilateralmente Pechino contro le recenti visite ufficiali statunitensi ed europee a Taiwan.

UN BILANCIO PRAGMATICO

Nonostante questo sostegno pubblico alla Russia e alla Cina, che si allinea alle politiche perseguite dai governi arabi, è improbabile che si verifichi a breve termine uno spostamento politico strategico verso la Cina e la Russia a spese degli Stati Uniti e dell’Europa.

La protezione militare e politica fornita dagli Stati Uniti ai paesi del Golfo non può essere sacrificata facilmente e la maggior parte degli eserciti arabi si basa pesantemente su armi prodotte negli Stati Uniti. Gli arabi non possono voltare le spalle ai progressi tecnologici occidentali o al bilancio commerciale di miliardi di dollari tra arabi, europei e statunitensi.

Tuttavia, i paesi arabi agiranno in modo pragmatico e realistico. Potrebbero gradualmente ridurre la loro forte dipendenza dall’Occidente e cercare di diversificare le loro alleanze politiche, economiche e militari, sia con la Russia e la Cina che con paesi confinanti come l’Iran, la Turchia e persino Israele. E come recentemente argomentato anche da un conservatore come l’ex segretario di stato Henry Kissinger, a seguito del riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran mediato dalla Cina, il Medio Oriente multipolare sarà “un nuovo gioco con nuove regole”.

L’analisi di Kissinger è evidente non solo nelle recenti intese saudita-iraniane, ma anche in altri significativi cambiamenti regionali. Egitto, Turchia e Iran hanno stabilito nuove relazioni, e cinque paesi arabi, tra cui gli Emirati Arabi Uniti, l’Algeria e il Bahrain, hanno espresso interesse a entrare nel BRICS, un blocco geopolitico che include Cina, Russia, India, Brasile e Sudafrica. È previsto che il BRICS supererà presto per dimensioni economiche il G7.

I paesi arabi potrebbero continuare ad approfondire le loro alleanze con i paesi orientali, cercando di creare un’alternativa al modello occidentale. Pagine Esteri

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Difesa, Asi e Dis uniti per un nuovo centro per la sicurezza spaziale


Orbite e istituzioni suggellano una nuova unione. È merito della sigla apposta a Palazzo esercito per dare seguito all’Accordo attuativo tra il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), il ministero della Difesa e l’Agenzia spaziale italiana

Orbite e istituzioni suggellano una nuova unione. È merito della sigla apposta a Palazzo esercito per dare seguito all’Accordo attuativo tra il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), il ministero della Difesa e l’Agenzia spaziale italiana (Asi) volto a realizzare il Centro nazionale Prs Galileo public regulated service nell’aeroporto di Centocelle, nell’edificio che ospiterà il Comando operazioni spaziali (Cos). Ad apporre la firma, il sottocapo di Stato maggiore della Difesa, Carmine Masiello, dal dirigente dell’Ufficio centrale per la segretezza, Pietro Burla e dal direttore generale facente funzioni per l’Asi, Fabrizio Tosone. L’Autorità competente Prs (Cpa), attiva in seno all’Ufficio centrale per la segretezza del Dis, ha infatti il compito di assicurare l’utilizzo del servizio di navigazione e sincronizzazione robusto e sicuro denominato Public regulated service, fornito dal sistema di navigazione satellitare europeo Galileo. Non si tratta però di un servizio aperto a tutti gli utenti, al contrario, sarà destinato esclusivamente ai Governi degli Stati membri dell’Ue e necessiterà di un’infrastruttura ad hoc, connessa con i sistemi del Vecchio continente.

Il centro

Il centro sul piano operativo verrà gestito dalla Difesa, e sarà responsabile di fornire servizi agli utenti autorizzati dall’Autorità politica all’utilizzo del servizio Prs, agendo in collaborazione sul piano tecnico con l’Autorità competente Prs. Un ruolo-chiave è giocato anche dall’Asi, che ha sia promosso lo sviluppo del centro sia gestito la realizzazione del primo ricevitore Prs del nostro Paese, prodotto da Leonardo. Con la nuova intesa si dà formale inizio alla collaborazione inter istituzionale che permetterà al nostro Paese di mantenere il suo ruolo di primo piano nel programma di navigazione europeo. Tale accordo attuativo discendente dall’Accordo di programma siglato tra Dis ed Asi a marzo 2023 – con cui è stato delineato il percorso di sviluppo della capacità Prs nazionale – che rappresenta lo strumento tecnico amministrativo che consentirà all’Asi di sostenere e supportare finanziariamente la Difesa nella realizzazione del Cnp: un primo passo fondamentale nello sviluppo della capacità Prs.

Strategia nazionale di sicurezza per lo Spazio

Gli interventi previsti dall’accordo di marzo, che proseguiranno con questo nuovo Accordo, erano funzionali sia a sviluppare le infrastrutture necessarie all’implementazione del servizio Prs sia a contribuire alla ricerca e innovazione finalizzate alla realizzazione dei ricevitori, coinvolgendo in questo modo gli utenti autorizzati dei settori Difesa, sicurezza, gestione emergenze e infrastrutture critiche. A stabilire le risorse necessarie ad assicurare lo sviluppo del servizio Prs, è il piano triennale di attività dell’Asi, che definisce inoltre “lo sviluppo della capacità nazionale Prs una delle priorità definite dall’Atto d’indirizzo politico emanato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri a febbraio 2019”. Obiettivo dell’intesa è di implementare, e allo stesso tempo proteggere, le capacità nazionali nel campo della sicurezza che potrebbero essere messe a rischio da crisi ed emergenze in diversi ambiti, che vanno dalle telecomunicazioni all’Osservazione della Terra, fino alla navigazione satellitare.

Legami con la Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza

In questo quadro, nella relazione annuale del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica sulla politica dell’informazione per la sicurezza rilasciata negli scorsi mesi, in realtà non compaiono sezioni esplicitamente dedicate all’ambito spaziale, ma i riferimenti presenti indicano continuità con quanto fatto l’anno scorso. “Per quanto attiene al settore aerospaziale, l’azione di presidio informativo si continua a misurare con una catena del valore italiana strettamente connessa a quella europea”, recita la relazione. L’attività informativa, nel dettaglio, “è stata rivolta alla prevenzione, all’individuazione e al monitoraggio di tentativi di ingerenza di soggetti esteri, volti a depotenziare o finanche marginalizzare il nostro comparto industriale ad alto valore aggiunto nei principali mercati internazionali di settore”.


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In Cina e Asia – Corea del Nord, Pechino invia la prima delegazione da inizio pandemia


In Cina e Asia – Corea del Nord, Pechino invia la prima delegazione da inizio pandemia cina corea del nord
I titoli di oggi:
Corea del Nord, la Cina invia la prima delegazione da inizio pandemia
Taiwan, al via i giochi militari di Han Kuang
Borsa, Pechino chiede di rivedere le "note negative" sulla Cina in fase di quotazione
Pakistan, un nuovo mandato d'arresto per Imran Khan
India, netizen infuriati contro una citazione hindu in Oppenheimer
Cambogia, quasi pronta la base cinese a Ream

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PRIVACYDAILY


N. 142/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Un filmato di Donald Trump arrestato dagli agenti di polizia nelle strade di New York. Un video che mostra il futuro apocalittico degli Stati Uniti se Joe Biden otterrà un secondo mandato presidenziale. Una dichiarazione di Re Felipe VI che si scusa con i catalani per non essere... Continue reading →


Chopsticks – "Cavallette per aperitivo”, il consumo di insetti in Cina


Chopsticks – 8451644
Il consumo di insetti in Cina è diffuso nel sud del Paese, mentre nelle grandi città è considerata un'attrazione per turisti. Chopsticks, la rubrica sul cibo cinese a cura di Livio di Salvatore

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Salutiamo con gioia la rimonta con cui le nostre compagne e i nostri compagni della sinistra spagnola, basca e catalana hanno fermato l'avanzata data per certa


Si sono svolte il 23 luglio le elezioni generali in Spagna. Ecco i risultati (tra parentesi le precedenti elezioni): Partido Popular: 8.091.840 voti 33,05%


Esercitazioni militari e minacce. Cosa succede nell’Indo-Pacifico


Le acque dell’Indo-Pacifico sono sempre più agitate. Taiwan ha infatti avviato le proprie annuali esercitazioni militari Han Kuang, il principale evento addestrativo delle Forze armate di Taipei, tenuto ogni anno dal 1984. Le esercitazioni coinvolgeranno

Le acque dell’Indo-Pacifico sono sempre più agitate. Taiwan ha infatti avviato le proprie annuali esercitazioni militari Han Kuang, il principale evento addestrativo delle Forze armate di Taipei, tenuto ogni anno dal 1984. Le esercitazioni coinvolgeranno tutte le componenti dello strumento militare dell’isola e metteranno alla prova la loro prontezza di combattimento simulando una risposta a una potenziale invasione cinese da parte dell’Esercito popolare di liberazione (Pla). L’obiettivo principale delle esercitazioni è verificare la capacità della Difesa di preservare le proprie forze in caso di invasione su larga scala e di condurre intercettazioni marittime per contrastare l’eventuale tentativo di porre un blocco navale intorno a Taiwan da parte di Pechino. Questo prevedrà l’uso da parte dei militari taiwanesi anche di aeroporti civili, così come il camuffamento delle forze a terra e l’integrazione di forze marittime, aeree e terrestri per contrattaccare le navi da assalto anfibio avversarie. Parallelamente all’esercitazione militare, le autorità condurranno anche le esercitazioni Wan’an, volte a preparare i civili all’evacuazione in caso di raid aerei.

La risposta di Pechino

La reazione della Cina non si è fatta attendere, e Pechino ha inviato nei giorni scorsi 37 aerei e sette navi della marina militare intorno a Taiwan. Una prova di forza in risposta alle esercitazioni dell’isola. Tra gli assetti inviati da Pechino anche i caccia J-10 e J-16 e bombardieri H-6. Una ventina di apparecchi rilevati dalle difese di Taiwan sono stati osservati attraversare la cosiddetta “linea mediana” dello Stretto di Taiwan, il confine non ufficiale tra l’isola e la terraferma, e entrare nella zona di identificazione della difesa aerea meridionale di Taiwan. La presenza di schieramenti militari massicci cinesi intorno all’isola “separatista” (secondo Pechino) non è nuova. Nell’agosto del 2022, in risposta alla visita a Taipei dell’ex-presidente della Camera degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, la Cina reagì tenendo enormi esercitazioni militari, lanciando anche diversi missili sopra l’isola.

L’alleanza tra Russia e Cina

Le esercitazioni di Taiwan potrebbero anche essere una risposta alla più recente portaerei cinese, la Shandong, che di recente si è impegnata nelle sue prime esercitazioni nel Pacifico occidentale, in acque non lontane da Taiwan. Inoltre, nel Mar del Giappone, Russia e Cina hanno tenuto un’esercitazione navale congiunta, conclusasi domenica, con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione navale tra i due Paesi. La marina russa era rappresentata da due navi antisommergibile, due corvette e navi ausiliarie, mentre Pechino ha inviato cinque navi da guerra, tra cui un cacciatorpediniere con missili guidati, insieme ad aerei di entrambe le marine.

Le altre [b]esercitazioni

Quella di Taiwan non sarà l’unica esercitazione militare che si terrà nelle acque dell’Indo-Pacifico nei prossimi giorni, evidenziando la crescente attenzione riservata alla regione a livello internazionale. Le forze australiane e statunitensi hanno dato avvio a due settimane di esercitazioni, detto Talisman Sabre, che comprenderà una serie di sbarchi anfibi al largo della costa nord-orientale dell’Australia. L’esercitazione fa parte della crescente vicinanza tra i due Paesi e rivela le intenzioni di Canberra di giocare un ruolo maggiore quale provider di sicurezza della regione. Più a nord, in Giappone, Parigi e Tokyo terranno la prima esercitazione congiunta di jet da combattimento. La Forza di autodifesa aerea giapponese parteciperà con tre caccia F-15 e due F-2, un aereo da trasporto KC-767 e un aereo da trasporto C-2, mentre la Forza aerea e spaziale francese schiererà due caccia Dassault Rafale, un aereo da trasporto Airbus A330 Multi-Role Tanker e un aereo da trasporto Airbus A400M, oltre a un contingente di circa 120 militari. L’iniziativa dimostra soprattutto il forte impegno della Francia ad espandere la propria presenza nell’Indo-Pacifico. L’ambito aereo nella quale l’esercitazione franco-giapponese è anche significativo, dal momento che Tokyo fa parte del programma per il caccia di sesta generazione con Italia e Uk Gcap, parallelo (e concorrente) a quello franco-tedesco Fcas.


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Carta e penna, il senso comune coincide con le evidenze scientifiche


Investire nella tecnologia digitale applicata all’istruzione può essere utile, ma far sparire carta e penna dalle classi sarebbe dannoso. Molto dannoso. Lo ritiene l’87,1% degli italiani sondati da Euromedia Research, lo conferma il rapporto della Fondazi

Investire nella tecnologia digitale applicata all’istruzione può essere utile, ma far sparire carta e penna dalle classi sarebbe dannoso. Molto dannoso. Lo ritiene l’87,1% degli italiani sondati da Euromedia Research, lo conferma il rapporto della Fondazione Luigi Einaudi che ha riassunto i risultati delle principali ricerche scientifiche internazionali sul tema: raro caso in cui il senso comune coincide con le evidenze scientifiche.

Il cervello è come un muscolo, si sviluppa se viene sollecitato. Scrivere a mano e in corsivo sollecita l’emisfero sinistro del cervello, quello che coinvolge l’attività del pensiero, del linguaggio, della memoria. Scrivere su una tastiera non sollecita il cervello. Obbligando a non staccare la mano del foglio, la scrittura in corsivo stimola il pensiero logico-lineare, quello che permette di associare tra loro le idee. “In termini di costruzione del pensiero e delle idee c’è un rapporto importante tra il cervello e la mano”, ha stabilito la professoressa Virginia Berninger dell’Università di Washington. La lettura su carta coinvolge la parte frontale e prefrontale dell’encefalo, essenziali per sviluppare la capacità di elaborazione del pensiero, di pianificazione e per l’attivazione della mobilità fine. La lettura su dispositivi digitali impegna, invece, la parte limbica dell’encefalo. La più primitiva. Quella legata all’istinto e alle emozioni.

Tra il 2014 il 2018 il programma europeo Cost, E-Read ha coinvolto quasi 200 ricercatori che hanno lavorato su un campione di oltre 170.000 partecipanti. Il risultato della ricerca è contenuto nella “Dichiarazione di Stavanger sul futuro della lettura”. Conclusione inequivocabile: la carta rimane il medium da preferire, soprattutto nella lettura dei testi più lunghi. Manfred Spitzer, neuroscienziato tedesco non ha dubbi. “Più la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano le competenze degli studenti, e di conseguenza i loro futuri redditi”, dice. La tesi è confermata da tutte le ricerche più autorevoli. Nel 2016, gli studiosi Susan Payne, Kyle Greenberg e Michael Walker hanno realizzato un interessante test su 50 classi di studenti dell’Accademia militare americana di West Point. Una metà di loro è stata fatta studiare utilizzato esclusivamente strumenti digitali, un’altra metà ha utilizzato esclusivamente strumenti tradizionali (carta e penna). Al termine del semestre, i test hanno restituito dati inequivocabili: gli studenti che non disponevano di mezzi digitali sono risultati del 20% più bravi rispetto a quelli che avevano in uso i soli device.

Sono solo alcune delle evidenze scientifiche illustrate martedì scorso in Senato nel corso del convegno “Scuola digitale? Il valore imprescindibile di carta e penna” organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi. Lo abbiamo fatto mossi dal timore che l’entusiasmo per la tecnologia digitale possa finire per far scomparire la carta e la penna dall’orizzonte degli studenti. Le parole del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che chiuso i nostri lavori, ci hanno rassicurati. “La Fondazione Luigi Einaudi – ha detto – ha individuato un tema chiave della contemporaneità, cioè quello della relazione virtuosa tra carta e penna da una parte e digitale dall’altra. La Rete non può né deve spazzare via la carta e la penna. Lettura su carta e scrittura a mano nelle scuole sono insostituibili. L’apprendimento attraverso i libri non è rimovibile dal sistema dell’istruzione”.

Un punto fermo è stato messo, un paletto è stato piantato. Considerando che l’ultimo rapporto Invalsi ha certificato che il 50% degli studenti che conseguono il diploma di maturità non è in grado di comprendere appieno il senso di un testo scritto, credo che ce ne fosse bisogno.

Huffington Post

L'articolo Carta e penna, il senso comune coincide con le evidenze scientifiche proviene da Fondazione Luigi Einaudi.




Etiopia, la crisi umanitaria in Tigray continua, ma per l’Italia si è risolto tutto con l’accordo di Pretoria


In Etiopia, precisamente nello stato regionale del Tigray, il 4 novembre 2020 è iniziata una guerra definita una veloce “azione di polizia” dal Premier etiope Aby Ahmed Ali. Guerra per fermare i membri del partito TPLF -Tigray People’s Liberation Front e

In Etiopia, precisamente nello stato regionale del Tigray, il 4 novembre 2020 è iniziata una guerra definita una veloce “azione di polizia” dal Premier etiope Aby Ahmed Ali.

Guerra per fermare i membri del partito TPLF -Tigray People’s Liberation Front e tutti i suoi sostenitori. Il casus belli è stato l’attacco alle caserme del nord in cui erano dislocati i militari dell’ ENDF – Ethiopian National Defence Forces. Attaccati da parte di membri del TPLF, ma rivendicato dai leader tigrini come azione preventiva e difensiva dettata da tensioni pregresse.

Dichiarazioni contese e rivendicazioni sulle responsabilità e giustificazioni che però sul campo, fin da subito hanno determinato attività fratricide e i risvolti etnici e genocidi verso milioni di civili di etnia tigrina.

Massacri, esecuzioni extragiudiziali (o bruciati vivi), stupri e fame come armi di guerra. Campi e raccolti bruciati, bestiame rubato o macellato come strategia per affamare il popolo del Tigray, droni per attaccare target considerati dalla difesa etiope, magazzini o aree occupate dai così detti “dissidenti”, “ribelli” e definiti terroristi dalla legge etiope a partire dal maggio 2021: sistematicamente bombardati per mezzo droni in aree di mercati, residenziali come asili. Decine di migliaia di vittime. Target di bombardamenti, distruzioni e saccheggi anche in luoghi di culto, chiese, monasteri, patrimoni dell’ umanità e culturali. Attaccati anche le strutture sanitarie ed ospedali. Le forze alleate amhara direttamente coinvolte in attività di pulizia etnica e sostituzione demografica sfollando i tigrini dal Tigray occidentale.

Le forze militari coinvolte: quelle tigrine, il TDF – Tigray Defence Forces e la fazione etiope dell’ ENDF- Ethiopian National Defence Forces con le forze militari regionali Amhara, la milizia Fano e ufficiosamente l’esercito eritreo.

L’esercito del Presidente eritreo Isaias Afwerki ha invaso fin dall’inizio il suolo etiope nella regione tigrina, ma per molti mesi Abiy Ahmed Ali ha sempre negato la loro presenza.

Come il suo alleato etiope, il dittatore eritreo Isaias Afwerki nel febbraio 2023, ospitato dal Presidente Ruto in Kenya, ha negato platealmente in un comizio pubblico tutti i crimini di guerra di cui si è macchiato il suo esercito: stupri, saccheggi, distruzioni e massacri. Tra i ranghi delle truppe eritree sono stati mandati a morire in prima linea anche cadetti dell’ esercito somalo formati in Eritrea negli anni precedenti, falsamente informati che sarebbero stati preparati per missioni somale in Qatar.

Come parlare di guerra civile, come categorizzata dai media occidentali, se nel conflitto hanno partecipato anche “forze esterne” come eritrei e somali?

La legge etiope del maggio 2021 ha legittimato indirettamente e normativamente la persecuzione di persone di etnia tigrina per il solo sospetto di essere collusi con i membri del TPLF, considerati dissidenti. Oltre alle confermate attività di pulizia etnica nella zona del Tigray occidentale da parte delle forze amhara, ci sono state deportazioni, arresti di massa e detenzioni di tigrini di ogni età e sesso, donne in gravidanza e bambini. Arresti e detenzioni in abuso del diritto umanitario come denunciato molteplici volte dalle agenzie internazionali come HRW – Human Rights Watch e Amnesty Int. Ancora oggi su queste detenzioni non si hanno notizie. Sono stati arrestati anche uomini e donne di chiesa.

Uno dei casi eclatanti, per cui in Italia si è parlato di Tigray, è stato l’arresto di dei frati, sacerdoti e dei volontari salesiani. Campanilismo mediatico.


Approfondimento:

Etiopia, Perseguire Crimini Contro l’Umanità: Dov’é La Legge?


La guerra è stata combattuta per 2 anni nel totale blackout comunicativo (interrotte linee telefoniche e dati/internet) ed elettrico: considerato il più lungo blackout della storia.

Alcun media, giornalista o comparto umanitario poteva entrare nel Tigray.

Il governo etiope si è fatto artefice per volontà politiche, di aver bloccato l’accesso umanitario per milioni di persone in Tigray macchiandosi di crimini di guerra, come denunciato da un report del team di esperti sul diritto umanitario dell’ONU. Il report ha indicato che tutte le forze in guerra hanno perpetrato crimini verso i civili.

  • La guerra attualmente è stata definita la più atroce degli ultimi anni.
  • Le stime parlano di più di 600.000 morti e vittime tra i civili.
  • Si stimano centinaia di migliaia di stupri verso donne di etnia tigrina come arma di guerra e vendetta per non far più generare nuove generazioni di tigrini.

Nonostante il 2 novembre 2022 si sia arrivato a negoziati e alla firma di un accordo di cessazione ostilità tra governo centrale etiope e TPLF, diversi punti dell’accordo dopo 9 mesi sono ancora disattesi: il ritiro delle “forze straniere” dalla regione, ermeticamente definite così le forze amhara e quelle eritree (Eritrea che non è stata interpellata o inclusa nei negoziati)

Gli amhara occupanti ancora oggi il Tigray occidentale perché rivendicato tale area come giuridicamente di loro proprietà, ma accusati dopo la firma dell’accordo, di continuare a perpetrare attività di pulizia etnica e di sostituzione demografica.

L’ esercito eritreo anche se in gran parte si è ritirato in Eritrea, diversi gruppi sono ancora presenti ed hanno ripiegato defilandosi in aree periferiche dei grandi centri e in aree rurali. Oggi sono ancora presenti nella woreda [distretto] di Irob perpetrando abusi e denunciati pochi mesi fa di aver bloccato il supporto umanitario in zona Zalambessa.

La giustizia di transizione, per cui il governo etiope ha dichiarato volontà di seguirne il processo e per cui l’ IRA, il governo temporaneo in Tigray (costituito come da accordo di Pretoria) ha dato piena disponibilità e collaborazione, è in totale stallo sia in Etiopia che dal punto di vista diplomatico internazionale.

I media in Italia, durante i 2 anni di guerra genocida, non hanno dato giusto risalto e prodotto alcuna informazione per dar degna visibilità e denuncia alla disumanità ed alle atrocità che stavano accadendo a milioni di persone.

Le istituzioni italiane del governo attuale e precedente non hanno ancora dato una risposta ai tanti appelli della diaspora che chiede giustizia, trasparenza e supporto per famigliari e società tigrina che da troppo sta soffrendo.

Oggi, dopo 9 mesi dai negoziati mediati dall’ Unione Africana a Pretoria, Sud Africa e conseguente firma dell’accordo, i media italiani si sono sentiti legittimati a chiudere completamente l’informazione sulle conseguenze che ha prodotto quella guerra.

Oggi in Tigray si parla ancora di migliaia di morti per fame (quelli censiti ufficialmente – non avremo mai modo di sapere l’esatto numero di persone morte silenziosamente per fame). A causa dello scandalo del dirottamento del materiale alimentare umanitario e di corruzione all’interno del sistema militare e governativo etiope, il WFP – World Food Programme e l’ USAID a marzo 2023 hanno bloccato il supporto al Tigray ed a giugno 2023 in altre aree dell’Etiopia, lasciando 20 milioni di persone bisognose in balia degli eventi e dei loro destini.
Grazie a Duke Burbridge per la condivisione di questo grafico.Grazie a Duke Burbridge per la condivisione di questo grafico.


Approfondimento:

Lo scandalo del dirottamento del materiale alimentare umanitario


La tregua regge, ma milioni di persone sono ancora in balia degli eventi senza supporto


Secondo il Tigray Regional Health Bureau, tra marzo e aprile, c’è stato un aumento del 28% nel numero di bambini sotto i cinque anni che muoiono per malnutrizione acuta. La colpa è stata imputata principalmente alla cessazione degli aiuti delle agenzie umanitarie al Tigray.

I bambini vengono ricoverati con cure speciali per malnutrizione in tutta Etiopia a un ritmo allarmante nel 2023. Nel Tigray, per ragioni poco trasparenti, i bambini ricoverati per malnutrizione acuta grave – SAM – non vengono dimessi.

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Recentemente grazie ad un altro aggiornamento dal ricercatore Duke Burbridge è stato messo in luce che oltre la distribuzione di generi alimentari è sospesa dalla fine di marzo 2023, l’assistenza nutrizionale ai neonati e alle madri in gravidanza o che allattano è stata dimezzata già ad aprile.
Etiopia, Tigray: La distribuzione di generi alimentari è sospesa dalla fine di marzo. L'assistenza nutrizionale ai neonati e alle madri incinte o che allattano è stata dimezzata ad aprile.Etiopia, Tigray: La distribuzione di generi alimentari è sospesa dalla fine di marzo. L’assistenza nutrizionale ai neonati e alle madri incinte o che allattano è stata dimezzata ad aprile.

La ricostruzione della società regionale tigrina non vede ancora la luce in fondo al tunnel.


Osservatori già nel 2022 indicavano una regressione di decenni sullo sviluppo socio economico che ha comportato la guerra per lo stato regionale del Tigray.

Sistema scolastico distrutto, milioni di giovani studenti tra pandemia e guerra hanno perso più di 3 anni di formazione ed educazione. Oggi ci sono difficoltà perché manca il materiale, le strutture, ma anche per la mancata bonifica del suolo dagli ordigni bellici inesplosi (per cui anche gli agricoltori sono rimasti feriti durante le attività di aratura). Molti edifici scolastici oggi sono occupati da migliaia di sfollati che non possono tornare a casa per paura o per mancanza di mezzi di sussistenza. Il sistema sanitario è stato distrutto per il 90%, dichiarato già nel 2021: oggi le conseguenza per i malati ed i pazienti sono catastrofiche perché se ci sono piccoli passi positivi, comunque la fornitura di materiale igienico/sanitario e medicinali è ancora sotto la soglia che permetterebbe di assistere e curare le persone.

Recentemente, luglio 2023, è stato condiviso uno studio sul’impatto di devastazione e conseguenze che ha prodotto la guerra di 2 anni su bambini, ragazzi, genitori e insegnanti considerando il contesto formativo e dell’istruzione.

Di seguito una inforgrafica riassuntiva:

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Fonti informative video per raccontare la catastrofe attuale in Tigray


Tigrai TV è una delle poche fonti informative che evidenzia e denuncia costantemente le attuali gravi carenze alimentari e sanitarie (problemi dei civili e delle decine di migliaia di sfollati, IDP) condividendo per mezzo video le testimonianze dirette delle persone che oggi cercano solo di sopravvivere.

Di seguito vengono segnalate le notizie degli ultimi mesi sulla crisi umanitaria in atto.

  • Il 15 luglio a Shire le decine di campi IDP che accolgono migliaia di sfollati, sono stati sommersi da acqua e fango a causa delle alluvioni del periodo. Ironia tragica e drammatica, non è solo la mancanza d’acqua ad uccidere le persone, ma alle volte è la troppa acqua che può ammazzare.

Da fonte amica e informata sui fatti, ma che si terrà anonima per tutelare la sua incolumità, giungono notizie e conferme che in Tigray in zona di confine con l’Eritrea la situazione è ancora instabile. I civili non hanno alcuna protezione e i gruppi eritrei continuano a saccheggiare e reprimere i tigrini. Gli sfollati interni, IDP, se tornano a casa rischiano la vita. Tutto il contesto aggravato dalla mancanza di supporto alimentare.

Sul numero di IDP non c’è trasparenza. Le dichiarazioni dello IOM non danno chiarimenti sul numero aggiornato di quante persone sfollate ci siano oggi in Tigray. In un ultimo report pubblicato viene dichiarato infatti: “La regione Tigray è stata coperta in questo round, ma i dati sono stati condivisi separatamente.” Nel report non ci sono note, dettagli ed informazioni su tali dati separati.

L’ Emergency Coordination Center – ECC del Tigray ha condiviso un aggiornamento operativo datato 21 luglio 2023


L’aggiornamento del 21 luglio 2023, come riporta Duke Burbridge su Tghat, ha sottolineato che il report è parziale e manca l’esposizione di diverse criticità e che la sospensione del cibo sta causando l’aumento di sfollamenti nel Tigray. Mentre il JEOP ha completato la raccolta dei dati per nuovi obiettivi, il WFP sta lottando per fare progressi.

Gli sfollati di Endabaguna non hanno ricevuto cibo.


Duke Burdbridge ha voluto riassumere i punti fondamentali del report dell’ ECC Tigray che riporto di seguito:

Accessibilità regionale

  • Una bozza di mappa dell’accessibilità mostra che alcune aree nella zona sud e nord-ovest sono considerate accessibili ora, ma le rotte di rifornimento nel Tigray sono tutte sospese ad eccezione del corridoio Semera-Mekelle.

Cluster Alimentare

  • La sospensione del cibo sta contribuendo a un aumento degli sfollati nel Tigray e i 37.000 sfollati interni di Endabaguna non hanno ancora ricevuto cibo.
  • Le aree del Tigray sono ancora inaccessibili, comprese la zona orientale (Erob [Irob], Zala Anbesa [Zalambessa], Gulo Mekeda), la zona centrale (Egela) e la zona nord-occidentale (Dima, Tahtay Adiyabo).
  • Ci sono ancora tasse informali (shake down) [tangenti da pagare] lungo le rotte verso il Tigray.
  • Segnala che è in fase di implementazione un nuovo sistema di targeting. Il JEOP sembra aver completato la raccolta dei dati nella zona centrale, orientale, sud-orientale e metà della zona meridionale. Il WFP è ancora alla fase 1 di 3.
  • Menziona uno sforzo collettivo per “monitorare la situazione”, verificare i rapporti di morte non confermati e confutare qualsiasi disinformazione.
  • è aumentato l’accattonaggio osservabile nelle principali città, i bambini sono esposti allo sfruttamento mentre cercano di lavorare per il cibo.
  • le madri malnutrite e i loro bambini sono maggiormente a rischio durante il parto, ma non fornisce alcuna informazione su come ciò abbia avuto un impatto su madri e bambini nel Tigray.
  • Segnala che la mancanza di assistenza alimentare è un fattore importante nella bassa iscrizione e frequenza scolastica.
  • Riferisce che alcuni allevatori sono costretti a vendere i loro animali da tiro e da riproduzione per il cibo.
  • Ribadisce che l’assistenza alimentare e gli input agricoli sono urgentemente necessari per facilitare il ritorno degli sfollati dalle aree agricole in tempo per piantare.

Distretto Agricoltura

  • Viene coltivato solo il 42% della superficie totale coltivata nel Tigray.
  • Solo il 19% dei fertilizzanti e il 12% dei semi necessari sono stati ricevuti nel Tigray.
  • Le infestazioni da parassiti sono presenti in 34 woreda, nella maggior parte dei casi non ci sono sostanze chimiche da controllare.
  • Gli input agricoli sono estremamente necessari e scarseggiano.

Contesto Istruzione

  • I programmi di alimentazione scolastica sono stati tagliati dal WFP per la pausa estiva, ancora in corso in altri siti per 7.634 bambini.
  • Il resoconto della visita ad Adigrat ha mostrato che 3 scuole su 4 erano ancora utilizzate per ospitare sfollati interni. In alcuni casi le lezioni si tengono accanto alle aree in cui vivono gli sfollati.

Contesto Salute

  • l’ECC riferisce che circa il 75% delle strutture sanitarie sta segnalando ora, che è ancora al di sotto della media nazionale, questo include il 100% delle strutture del sud-est e di Mekelle; 99% di Centrale; 80% del nord-ovest; 77% dell’est; 50% del sud.
  • Segnala importanti focolai di malaria e infezioni acute del tratto respiratorio (ritenuto essere COVID 19); possibile focolaio di morbillo nelle città di Ofla, Hawzen, Adi-Gudom, Asgeda, Adi-Haki, Shire, Hintalo e Axum.
  • Segnala un’epidemia di pertosse a Endamekoni.
  • Il report non segnala casi di colera. [NB questo è allarmante a causa delle recenti segnalazioni e conferme di 13.000 casi di colera e 100 morti nel Tigray]

Continua la poca trasparenza che è un fattore aggravante per poter gestire e coordinare le attività per tutelare le vite di milioni di persone.

Poi arrivano le foto che, senza tanti giri di parole, dimostrano la situazione delle persone nelle tante aree rurali, sono la maggior parte che costituiscono la morfologia del Tigray.

Questo è Kiros Kiflu. Ha avuto una vita felice con sua moglie e sei figli. Possedeva 5 acri di terreno agricolo e più di 25 capi di bestiame. Kiflu non è mai stato affamato o indigente. Due anni fa è stato #sfollato dalla sua casa a Humera, Tigray occidentale (zona di attività di pulizia etnica da parte amhara) Kiflu oggi, però, non sa dove siano i suoi figli e sua moglie. Ha perso tutti i suoi averi oltre ad essere separato dalla sua famiglia. Oggi tutto ciò che ha è la roccia che usa come cuscino, una stuoia che è metà di quanto è alto ed il suo bastone.

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La giustizia per le vittime lascia spazio agli accordi economici per “stabilità e sviluppo” dei governanti


Il governo etiope fin dall’inizio ha cercato di screditare e delegittimare le investigazioni del team di esperti di diritto umanitario ONUICHREE – propagandandola come attività di ingerenza esterna verso l’Etiopia come Stato Sovrano e rivendicando la sua sovranità mascherandola da campagna pro panafricanismo dal basso, dal popolo.


Approfondimento:

Quattro Modi in Cui il Governo Etiope Manipola i Media – AA African Arguments


HRW – Human Rights Watch recentemente in risposta ha dichiarato:

“I tentativi dell’Etiopia di porre fine al mandato dell’ICHREE durante il suo mandato non hanno precedenti. Non solo suggerisce che gli Stati possono manovrare politicamente per ribaltare le decisioni del Consiglio dei diritti umani per evitare il controllo indipendente e la responsabilità, ma potrebbe anche costituire un pericoloso precedente per quanto riguarda il controllo internazionale e l’impunità per le violazioni dei diritti altrove.”


Per i crimini di guerra in cui il governo etiope è implicato, l’America a partire dal 1 gennaio 2022 ha messo in vigore la sanzione che l’ha vista esclusa dall’African Growth and Opportunity Act – AGOA.

HRW come per l’Etiopia, ha bacchettato, anche le dichiarazioni del segretario americano Antony Blinken:

Nella sua determinazione sulle atrocità di marzo, Blinken ha sostanzialmente riconosciuto che le violazioni [in Tigray] non erano cessate, affermando che “le violazioni dei diritti umani nell’Etiopia settentrionale [media ed istituzioni fanno fatica a citare Tigray n.d.a.] sono notevolmente diminuite”, non che si fossero fermate. Avrebbe dovuto seguire la determinazione dell’atrocità con sforzi per renderla importante in modi concreti. Può ancora.”


Nel contempo gli USA di Joe Biden confermano la loro posizione rivolta all’economia e legittimati dall’accordo di Pretoria, con Europa a seguire, stanno riprendendo e continuando a ripristinare e normalizzare le relazioni e accordi economici con il governo etiope.

La stessa America cha recentemente ha ritrattato la sua posizione in tutela dei diritti umani con uno smacco per la memoria e la giustizia di tutte le vittime della guerra genocida iniziata in Tigray. A detta di una recente notifica interna del Dipartimento del Tesoro americano, la revoca legale unilaterale di tale designazione per l’Etiopia per cui non è più coinvolta in un modello di gravi violazioni dei diritti umani”, aprirà la strada per poter riprendere l’invio di aiuti economici USA ed internazionali al paese dell’Africa orientale.

Anche l’Italia del governo Meloni ha firmato accordi triennali con il governo etiope di Abiy Ahmed Ali per un totale di 182 milioni di euro per accordi di cooperazione, supporto della filiera agro alimentare e sostanzialmente per crescita e sviluppo economico. La stessa premier Meloni e i media italiani a seguire, hanno rilanciato in maniera propagandistica parole come “Piano Mattei” per l’Africa (di cui non si hanno ancora dettagli) e accordi e stretta sui legami economici con l’Etiopia, ma alcuna parola in tutela di giustizia e diritti degli individui, dei milioni di persone prese in mezzo a guerre non loro.

Da ricordare che in tutto questo la priorità sono le persone e le loro vite e le persone non mangiano soldi.

WFP aveva dichiarato che avrebbe ripreso la consegna di nuovi round di materiale alimentare a partire da fine luglio, ma ancora oggi, ad una settimana da fine mese, non ci sono comunicati ed aggiornamenti ufficiali dall’agenzia umanitari.

Sono quasi 6 milioni di persone oggi in Tigray ad attendere, oltre che giustizia per le centinaia di migliaia di vittime, cibo e cure mediche.

Un totale di 20 milioni in tutta Etiopia ad attendere supporto alimentare urgente, conseguenza di guerra e siccità.

L’accordo di tregua era necessario, ma la crisi umanitaria è ancora in atto.

Mai come oggi, il cibo ed il supporto medico sono letteralmente di vitale importanza per tutelare la vita di milioni di persone.


tommasin.org/blog/2023-07-24/e…



Abusare


Abusando delle esagerazioni si finisce con il vivere in una realtà alterata, alle soglie della follia. Vale per quanti avversano il disegno di legge Nordio, circa l’abuso d’ufficio, e vale per quanti attaccano a testa bassa il testo della direttiva europe

Abusando delle esagerazioni si finisce con il vivere in una realtà alterata, alle soglie della follia. Vale per quanti avversano il disegno di legge Nordio, circa l’abuso d’ufficio, e vale per quanti attaccano a testa bassa il testo della direttiva europea sulla corruzione. Una discussione può essere interessante e anche animata senza che si avverta il bisogno di estremizzarla, riducendo tutto a faziosità priva di senso.

Anche se quel disegno fosse approvato esattamente come è stato presentato, non significherebbe che un pubblico ufficiale potrà liberamente abusare del proprio ufficio. Nessuno che sappia di che sta parlando può sostenere una simile enormità. Anzi, il rischio che corre un tale provvedimento non è quello di essere troppo efficace, ma di non esserlo affatto, nel senso che – mancando la responsabilità della Procura in capo alle accuse che muove – potrebbe andare a finire che cancellando l’ipotesi ‘minore’ di reato verranno sostenute le ‘maggiori’: dal falso alla turbativa e alla corruzione. In quel modo l’esposizione dell’amministratore alla gogna resterebbe immutata. Se il reato d’abuso viene contestato in massa e poi porta condanne con il contagocce, probabilmente succederà la stessa cosa ma anche con i medesimi guasti. Tutto qui. Ragionando con calma e pregando di arrivare alla conclusione dell’articolo.

La direttiva europea sulla corruzione deve ancora essere discussa dal Parlamento europeo e adottata dal Consiglio. Una discussione è una discussione, sicché si possono anche sollevare questioni nel merito. Tanto più che quel testo nasce all’indomani del Qatargate – i cui contorni restano oscuri – in cui la condotta della Procura belga fu liberticida e noi italiani abbiamo ampia esperienza negativa di quanto procedere demagogicamente nell’approvare norme moralistiche finisca non con il diminuire la corruzione ma con l’aumentare la precarietà dell’agire politico. In ogni caso, nessuno si sogna di eliminare i reati di corruzione; quindi, con calma, meglio discutere nel merito e dopo avere almeno letto quello di cui s’intende parlare.

La nuvola nera sia sopra la riforma Nordio che su ogni altra iniziativa volta alla (giusta) repressione del crimine – quella che toglie luce tanto alla sete di giustizia quanto alla ripulsa del giustizialismo forcaiolo – non è la redazione di questo o quel codicillo ma il non funzionamento della nostra macchina che amministra la giustizia. Io cittadino ci sto a subire un’accusa ingiusta, so che fa parte delle regole di convivenza, ma non ci sto a passare dieci e più anni a difendermi. È incivile. E ci sto a ribadire che anche il peggiore criminale ha diritto a un giusto processo e a un’adeguata difesa, ma non ci sto al fatto che la condanna arrivi dopo un tempo superiore alla pena. È incivile.

Questo è il nostro problema. Cui la cagnara delle tifoserie aggiunge soltanto il fastidio di dovere mettersi a scrivere cose ovvie.

La Ragione

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Abbottare


A settembre si dovrà presentare la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), cui succederà il bilancio 2024. Al Ministero dell’Economia e Finanza, dove si lavora a preparare i due documenti, a essere condizionata non è soltanto l’a

A settembre si dovrà presentare la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), cui succederà il bilancio 2024. Al Ministero dell’Economia e Finanza, dove si lavora a preparare i due documenti, a essere condizionata non è soltanto l’aria che rinfresca ma anche la scelta che accalora: se la spesa resta invariata, perde almeno il 10% d’efficacia; se invece segue l’inflazione, rimane invariata in efficacia ma cresce in valore assoluto e a una velocità enormemente superiore a quella del Prodotto interno lordo, quindi sfonda il deficit e il debito. Farlo nell’anno in cui il Patto di stabilità tornerà attivo (nella vecchia o nuova versione) è un suicidio. E allora? Allora sarebbe buona l’occasione per dimostrare che la politica esiste, che le riforme si fanno, che un bilancio s’imposta con il ragionare e non soltanto con il ragioniere.

Un po’ è la situazione in cui si trova il non etnologicamente attrezzato che, volendo far colpo sui commensali, sceglie dalla carta dei vini indirizzandosi al più costoso: è probabile (ma non sicuro) che un vino più caro sia migliore, ma è escluso che la scelta sarà assennata se la si fa in ragione della moneta anziché della pietanza. Esempio meno alticcio: la spesa pubblica per la sanità è costantemente cresciuta (con l’eccezione di una parentesi nel 2012) ma sono tutti convinti che sia stata tagliata, il che accade perché: a. si parla di tagli non rispetto alla spesa dell’anno precedente, ma rispetto a quanto si era pensato di aumentarla; b. perché si misura in percentuale sul Pil; c. perché la si valuta rispetto all’inflazione. Misurazioni corrette, ma se si vuol parlare della stessa cosa occorre usare lo stesso metro. Intanto la spesa pubblica cresce e si somma a quella privata, salvo lamentarsi del servizio.

Vale per la giustizia (spendiamo nella media dei Paesi Ue, abbiamo magistrati meglio pagati e il peggiore servizio continentale), vale per la scuola (costringiamo le famiglie a spese, come quella dei libri di testo, che altrove neanche esistono e lamentiamo la minore paga degli insegnanti senza mai considerare le ore contrattualizzate), vale per tutto: la misurazione meramente quantitativa è importante, ma per niente soddisfacente. Il servizio migliore non lo ottiene chi spende di più, ma chi spende meglio. E per spendere meglio si devono mettere i soldi al servizio dei cambiamenti e decidere gli investimenti che si ritengono necessari, non inseguire con i quattrini percentuali di spreco. Per questo una bella legge di bilancio è tale se connette le riforme in programma alle spese opportune per sostenerle e far aumentare la produttività, quindi far poi scendere il peso della spesa corrente.

Il contratto del pubblico impiego è scaduto e non ci sono i soldi per rinnovarlo secondo le aspettative e l’andamento dei prezzi, ma sarebbe sano far attendere il ragioniere e ragionare su come cambiare il contratto in modo da premiare chi è bravo e liberarsi di chi non è in grado. Altrimenti si resta nella trappola in cui siamo e che prevede, nel 2024 rispetto al 2021, una crescita superiore all’inflazione – mentre il resto s’impoverisce – di voci come le pensioni (+1,4%) o la spesa per interessi sul debito (+14%). Con quest’ultima prevista in crescita, per anni, sia in valore assoluto che in percentuale sul Pil. Significa avere sempre meno soldi per altro. Sicché pensare di rimediare chiedendo ancora più soldi in prestito è una via verso la perdizione. Siccome comunque li chiederemo, l’importante è metterli al servizio di quel che serve per far crescere più velocemente la ricchezza prodotta, riducendo lo svenamento incontrollato della spesa corrente improduttiva.

Nadef e legge di bilancio non sono (soltanto) esercizi contabili, ma l’atto più politico di un governo. Giustamente nel sistema inglese è escluso che il Parlamento possa fare cambiamenti, perché a quel punto cambia il governo. Da noi è capitato spesso il contrario: pur di non cambiare il governo s’abbottava e cambiava il bilancio. Il risultato si vede.

La Ragione

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L’occasione


Quel che sostenne ieri chi oggi governa è noto, con un evidente taglio che se proprio non si vuol definire antieuropeista (e lo era) è stato un tono continuamente polemico e avversativo. Circa quel che dice oggi si può rimproverare l’incoerenza, ma è più

Quel che sostenne ieri chi oggi governa è noto, con un evidente taglio che se proprio non si vuol definire antieuropeista (e lo era) è stato un tono continuamente polemico e avversativo. Circa quel che dice oggi si può rimproverare l’incoerenza, ma è più utile benedirla. Guardiamo al futuro, a quel che si può costruire. Non soltanto perché è più utile che rotolarsi nel trastullo polemico, ma perché si presenta una grande occasione per l’Italia, per l’Unione europea e per i governanti (non solo italiani) che furono o sono euroantipatizzanti.

Il caldo luglio presente apre il semestre alla conclusione del quale cessa la sospensione del Patto di stabilità. Non è che poi torna la presunta austerità, la cui sostanza rimane oscura in una realtà in cui ogni anno lo Stato spende più di quel che incassa, devolvendo soldi nel pagamento di interessi sul debito che non sono un merito per cui il debito stesso si possa aumentarlo ma una buona ragione per contrarlo. Come, difatti, ci si propone di fare. L’inflazione aiuta lo Stato indebitato, perché diminuisce il valore dei titoli già emessi e fa aumentare il gettito dell’Iva, ma infilza i consumatori e i risparmiatori, oltre a rendere necessario un rialzo dei tassi d’interesse, che continuerà. Si spera non a lungo. Dal primo gennaio 2024 torna in vigore il vecchio patto o una sua versione modificata. Di quali siano le versioni alternative ci siamo già occupati. Mentre pensare di usare il Mes come strumento negoziale è un’idea così sciocca da potere produrre soltanto sciocchi contentini declamatori. Conditi dal compatimento.

L’occasione è data dal Green Deal. Il governo italiano (quello in carica) non si è opposto: s’è astenuto. Chiede una cosa rilevante ma non decisiva, ovvero l’inserimento dei carburanti bio fra quelli utilizzabili. Lo sfondo del Green Deal non è bucolico ma produttivo, spingendo allo sviluppo di nuovi processi produttivi e tecnologie. Che sia un interesse comune europeo è condiviso da tutti. Che alcuni Paesi Ue lo rispettino e altri no è demenziale, come magistralmente argomentato da Mario Draghi nella sua “Martin Feldstein Lecture” (cosa aspettano i Paesi Ue e le forze politiche europee a puntare su di lui per un nuovo equilibrio istituzionale dell’Unione?). Il problema dunque non è il cosa, è solo marginalmente il quando, ma diviene: con quali soldi? Perché è vero che si tratta di investimenti che saranno produttivi di ricchezza, ma richiedono comunque forza finanziaria immediata.

Ed è qui l’occasione: finalità, innovazioni e interessi europei giustificano debito comune europeo. Al tavolo della riforma del Patto di stabilità è non soltanto inutile ma autolesionista portare la gnagnera italiana dell’“elasticità”, consistente nel potere continuare a far spesa in deficit che poi aumenta il nostro svantaggio. E neanche è sensato che dalla spesa da contenere sia esclusa questa o quella voce (tipo difesa o investimenti), perché tanto i soldi – sul mercato – andranno trovati e pagati per quanti se ne chiedono. A quel tavolo si porti il Green Deal, senza cadere nella trappola per allocchi che sia di sinistra o di destra (e suggerendo a chi si crede ficcante di piantarla dall’usare “gretini”, altrimenti diventa una firma). È un obiettivo? Bene, organizziamoci per non mancarlo.

Questo aiuterebbe l’Ue a fare un ulteriore e importante passo avanti nella direzione dell’integrazione e della cancellazione degli squilibri esistenti, l’Italia a mettere in maggiore sicurezza il proprio imponente debito pubblico e la destra che governa a porre un problema che sappia guardare al futuro, anziché sforzarsi – con scarsa credibilità – di conciliare il passato con il presente. Alle stesse elezioni europee si potrà così portare un tema, in ciascun Paese, che abbia a che vedere con la realtà e non evochi soltanto, per maggioranze e opposizioni, i temi della paura o della ripulsa. Le classi dirigenti che non si forgiano nelle guerre (fortunatamente) crescono affrontando queste sfide.

La Ragione

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