VIDEO. Israele. Ben Gvir: “I miei diritti superiori a quelli degli arabi”
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della redazione
Pagine Esteri, 24 agosto 2023 – “Il mio diritto, quello di mia moglie e dei miei figli, di muoverci sulle strade in Giudea e Samaria (la Cisgiordania, ndr), è più importante del diritto di movimento degli arabi (i palestinesi sotto occupazione israeliana, ndr)”. Si è espresso con queste parole il ministro israeliano della Sicurezza ed esponente di punta dell’estrema destra Itamar Ben Gvir, durante una intervista alla tv Canale 12 sull’aumento della tensione e delle uccisioni in Cisgiordania. Ben Gvir è un noto suprematista che non riconosce diritti fondamentali ai palestinesi.
“Mi dispiace, Mohammad”, ha proseguito il ministro rivolgendosi al giornalista di Channel 12, Mohammad Magadli, “ma questa è la realtà. Questa è la verità. Il mio diritto alla vita ha la precedenza sul loro diritto di movimento”.
Secondo l’analista israeliana Mairav Zonszein del Crisis Group, Ben Gvir ha espresso ad alta voce la visione di quella che ha definito come la “parte silenziosa”, ossia i cittadini israeliani di estrema destra che, ha spiegato, manifestano disprezzo per la vita dei palestinesi.
Ahmad Tibi, deputato e cittadino palestinese di Israele, ha definito i commenti di Ben Gvir la prova che Israele non dà valore alla vita dei palestinesi. “Per la prima volta, un ministro israeliano ammette in diretta che Israele applica un regime di apartheid, basato sulla supremazia ebraica”, ha scritto Tibi su X, la piattaforma precedentemente nota come Twitter. Pagine Esteri
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Agenda Sud, l’intervento con il PNRR. Una visione nuova per superare i divari negli apprendimenti, caratterizzata da percorsi di crescita e di accompagnamento mirato delle scuole.
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Etiopia, guerra del Tigray & la “grande menzogna” dietro la morte di 600.000 civili che ha segnato un secolo
Anche se nel Tigray le armi tacciono, la guerra per la verità sul peggiore sterminio di massa del 21° secolo continua – e un’altra bomba sta per esplodere.
Comprendere la guerra del Tigray in Etiopia , un resoconto del conflitto e delle sue lunghe e complesse radici storiche di Sarah Vaughan e Martin Plaut, ex redattore per l’Africa della BBC, sarà pubblicato questa settimana da Hurst Publishers.
Ciò che hanno da dire è esplosivo: l’intera giustificazione della guerra era basata su una menzogna – l’affermazione che i Tigrini l’hanno iniziata attaccando il quartier generale del Comando Nord a Mekelle, la capitale del Tigray, la notte del 3 novembre 2020 e che la risposta del governo federale è stata una “operazione di legge e ordine per contrastare un attacco terroristico traditore” da parte dei Tigrini.
Gli autori rivelano in grande dettaglio che la motivazione della guerra era da tempo “in gestazione e preparazione” mentre il Primo Ministro Abiy Ahmed spingeva per centralizzare il potere dopo 25 anni di federalismo etnico dominato dal Tigray sotto il Fronte Democratico Rivoluzionario Popolare Etiope .
Dal luglio 2020, raccontano gli autori, ci sono stati espliciti appelli sui social media all’Etiopia e all’Eritrea affinché agissero contro il Fronte di liberazione popolare del Tigray (TPLF), identificato come “la fonte di tutti i nostri problemi”. Abiy e i suoi soci hanno avviato un programma di incitamento all’odio contro i tigrini, definendoli mostri e dicendo che dovrebbero essere gli ultimi della loro specie. I Tigrini furono espulsi dall’esercito e dal servizio civile e migliaia si ritirarono nel Tigray. Il sentimento anti-Tigray è stato incanalato in milioni di case etiopi dalla televisione satellitare.
Un contesto importante è che non si trattava di una guerra civile ma di una guerra regionale in cui la Forza di difesa nazionale etiope (ENDF) si alleava con l’Eritrea, il cui leader, Isaias Afwerki, aveva un litigio di lunga data con i Tigrini che risale agli anni ’70 . I due paesi, insieme alla Somalia, hanno formato un’alleanza tripartita il 27 gennaio 2020, nove mesi prima dello scoppio della guerra, e le armi e le truppe sono state spostate ben prima del 3 novembre.
“Tutti sapevano che sarebbe successo”, ha detto Plaut al Commonwealth Institute in occasione del lancio del libro la scorsa settimana. “Non è stata una sorpresa.”
Un’invasione da tempo pianificata
Plaut cita la professoressa Mirjam van Reisen, dell’Università di Tilburg nei Paesi Bassi, che stava lavorando a un progetto di ricerca con accademici dell’Università di Mekelle quando la notte del 3 novembre 2020 ha ricevuto una chiamata da un collega, che diceva che c’erano stati degli spari in città .
Van Reisen apprese in seguito che due aerei dell’aeronautica etiope erano atterrati all’aeroporto di Mekelle, fingendo di portare nuove banconote, ma in realtà trasportando forze speciali.
“L’ENDF è stato inviato con un aereo per catturare e uccidere la leadership del governo regionale”, ha detto Plaut. “Quella è stata la scintilla che ha portato allo scoppio dei combattimenti”.
I tigrini si sono poi recati al comando regionale di Mekelle e hanno detto loro di consegnare le armi altrimenti sarebbero stati arrestati. Molti lo fecero, ma alcuni reagirono e ci furono combattimenti in altre basi nel Tigray.
Il giorno successivo – 4 novembre – le truppe etiopi, eritree e somale, insieme alla milizia etnica Amhara, iniziarono la loro invasione del Tigray. Gli eritrei presero il Tigray occidentale in modo da poter tagliare le linee di rifornimento verso il Sudan. Macallè cadde il 29 novembre e le TDF furono spinte sulle montagne da dove lanciarono una guerriglia.I rifugiati etiopi provenienti dalla regione del Tigray attendono di ricevere aiuti nel campo profughi di Um Rakuba, a circa 80 km dal confine tra Etiopia e Sudan in Sudan, il 30 novembre 2020. Secondo il Programma alimentare mondiale, il 2 dicembre, circa 12.000 rifugiati etiopi provenienti dal Tigray sono stati sono stati accolti nel campo di Um Rakuba mentre oltre 40.000 rifugiati etiopi sono fuggiti in Sudan dall’inizio dei combattimenti nella regione settentrionale del Tigray in Etiopia. (Foto: EPA-EFE / Ala Kheir)
Le persone fuggite dalla guerra di May Tsemre, Addi Arkay e Zarima si riuniscono in un campo per sfollati interno allestito temporaneamente per ricevere i primi sacchi di grano dal Programma alimentare mondiale a Debark, a 90 km dalla città di Gondar, in Etiopia, il 15 settembre 2021. (Foto: Amanuel Sileshi / AFP)
Il resto è storia. La guerra si è articolata in più fasi: l’occupazione del Tigray (novembre 2020); la riconquista di Macallè da parte delle forze di difesa del Tigray (giugno 2021); la marcia del TPLF su Addis Abeba (da agosto a novembre 2021); la ritirata a Macallè (novembre 2021) e l’assalto finale da parte delle milizie eritree, ENDF e Amhara (aprile 2022), che si concluderà con la cessazione delle ostilità nel novembre 2022.
I paragoni con le atrocità tendono ad essere odiosi, ma l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha verificato 7.199 morti civili in Ucraina, un livello disgustoso di omicidi di massa di cui il presidente russo Vladimir Putin ha la piena responsabilità. Il numero delle vittime in combattimento ammonta a decine di migliaia.
Al contrario, il numero delle vittime in Etiopia potrebbe non essere mai noto. Le migliori stime sono state elaborate da Jan Nyssen, geografo dell’Università di Ghent in Belgio, che ha calcolato che fino a 600.000 non combattenti sono morti durante la guerra del Tigray tra novembre 2020 e novembre 2022. Molti di loro sono morti di fame. Se si aggiungessero i combattenti morti in combattimento, il numero totale di morti potrebbe avvicinarsi a 1 milione.
Alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco dello scorso fine settimana, la vicepresidente americana Kamala Harris ha accusato la Russia di aver commesso crimini contro l’umanità. Ma dato il simultaneo silenzio quasi planetario sul Tigray, è lecito concludere che non tutti i crimini contro l’umanità sono uguali.
L’amministrazione del presidente Joe Biden ha avviato l’anno scorso una revisione per determinare se fosse stato commesso un genocidio nel Tigray, ma poi ha fatto marcia indietro per non ostacolare il processo di pace culminato negli accordi di pace di Pretoria e Nairobi nel novembre dello scorso anno.
La pace che ha accompagnato la firma dell’accordo ha fornito uno scudo contro il porsi troppe domande difficili o scavare troppo in profondità nel conflitto del Tigray – e ha fornito un’opportunità ad Abiy, che ha ospitato il vertice dei capi di stato africani ad Addis Abeba lo scorso fine settimana, per fare un giro di vittoria.
Gli autori possono aspettarsi una rabbiosa reazione al loro libro, soprattutto riguardo alla falsa affermazione narrativa, poiché questa è diventata un articolo di fede per i difensori dell’operazione militare.
Ma la domanda può essere posta in modo diverso: quale parte era pronta e preparata a combattere una guerra il 4 novembre 2020? Tsadkan Gebretensae, il leggendario comandante delle Forze di Difesa del Tigray (TDF), proprio la scorsa settimana ha criticato aspramente il TPLF per la sua mancanza di adeguata preparazione quando tutti i segnali erano lì.Gli etiopi portano un poster del presidente Abiy Ahmed mentre partecipano a una manifestazione ad Addis Abeba, in Etiopia, il 7 novembre 2021, tenuta per mostrare sostegno al governo e alla Forza di difesa nazionale dell’Etiopia nei suoi sforzi contro il Fronte di liberazione popolare del Tigray e l’Esercito di liberazione dell’Oromo . (Foto: EPA-EFE/STR)
Nelle prime settimane di guerra sono stati commessi numerosi crimini di guerra, come l’uccisione extragiudiziale di centinaia di civili ad Axum nel novembre 2020 e la brutalizzazione e lo stupro di donne tigrine. “Sono stati violentati a caso”, ha detto Plaut. “A volte molte, molte volte nel corso di molti giorni.”
Dovevano ancora verificarsi gli arresti arbitrari di massa di decine di migliaia di etnici tigrini, il bombardamento aereo di scuole e ospedali e l’uso della fame come arma di guerra attraverso il blocco del Tigray, che comportò la morte di migliaia di bambini.
Non si può negare che la TDF abbia risposto anche infliggendo atrocità, ma la tesi che si sia trattato di una guerra a sfondo etnico volta a soggiogare ed eliminare un’intera nazione può essere avanzata solo contro una parte.
Ripescando la vecchia storia
C’è chi si chiederà, con l’accordo di pace ora firmato e in vigore, qual è lo scopo di riportare alla luce questa storia ormai vecchia?
La risposta migliore è la stessa ragione per cui è stata istituita la Commissione per la verità e la riconciliazione del Sudafrica: anche le vittime dovrebbero avere voce in capitolo. E sono africani anche loro.
Ciò è particolarmente vero se si considera che, per gran parte della guerra, il Tigray rimase tagliato fuori dal resto del mondo, senza accesso a Internet o al telefono. Fino ad oggi, i giornalisti rimangono altamente limitati. Il governo etiope, il suo controllo sui media statali e il suo esercito di troll sui social media hanno la capacità unica di raccontare la propria storia o aggredire digitalmente chiunque si allontani dalla linea ufficiale.
Plaut e Vaughan accolgono con favore il dibattito e sperano che vengano scritti più libri. Il conflitto in Etiopia non è finito da molto tempo. La ricerca della verità non si esaurisce con un libro.
L’accordo di pace, dicono, non ha risolto il conflitto fondamentale di fondo in Etiopia sull’identità nazionale comune e le questioni ad essa correlate come il nazionalismo etnico, la fame di terra e il regolamento dei conti.Il primo ministro etiope Abiy Ahmed. (Foto: EPA-EFE/STR)
Il Fronte democratico rivoluzionario popolare etiope (EPRDF) potrebbe essere accusato di autoritarismo e di errori nei 27 anni in cui ha governato il paese, ma negli anni trascorsi da quando Abiy ha preso il potere nel 2018, i livelli di conflitto, divisione e violenza sono stati senza precedenti.
Ciò non vuol dire negare che l’accordo di pace sia stato un risultato significativo. Il ruolo del Sudafrica e degli ex presidenti Olusegun Obasanjo della Nigeria e Uhuru Kenyatta del Kenya – e degli Stati Uniti dietro le quinte – probabilmente ha salvato molte migliaia di persone dalla fame e dalla morte.
L’Accordo di Pretoria era alla base dell’ammissione che la TDF era esaurita e allo stremo, con il popolo del Tigray affamato e di fronte a una schiacciante forza regionale armata e finanziata da potenti attori internazionali.
Vaughan teme quell’aspetto dell’accordo che rafforza il messaggio che “la forza è giusta e si può vincere con la forza delle armi”.
Come lei sottolinea, il Tigray è solo una delle dinamiche che hanno segnato l’Etiopia in questo periodo.
“Anche dopo la cessazione delle ostilità, avvenuta il 22 novembre dello scorso anno, il conflitto si è esteso ad altri ambiti”, spiega.
Più recentemente si è trattato dello scisma nella Chiesa ortodossa. Ora che i Tigrini sono fuori dai giochi, la lotta per il dominio in Etiopia si gioca tra Oromo e Amhara.
L’Etiopia si è allontanata dall’attento atto di bilanciamento etnico dell’era EPRDF, che potrebbe essere stata una risposta imperfetta al problema delle molteplici etnie, verso quello che Vaughan ora chiama un “gioco a somma zero” in cui la scelta dell’identità è molto più netta.
“Fino a quando le élite etiopi non troveranno un approccio più positivo e costruttivo a questo problema, questo accordo di pace potrebbe restare, ma i problemi di fondo non saranno risolti”, dice.
Questo articolo di Phillip van Niekerk è stato pubblicto dal Daily Meverick il 22 febbraio 2023
FONTE: dailymaverick.co.za/article/20…
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Firenze: sferrato al Corridoio Vasariano un attacco alla civiltà
La notte fra il 22 e il 23 agosto qualcuno ha preso della pittura nera e ha fatto molte scritte a tema palloniero sui pilastri del Corridoio Vasariano.
Eh, niente da fare. Più in là non ci vanno; tocca buttar giù.
Nelle ore successive le gazzette hanno sgazzettato, i ben vestiti hanno benvestitato, un certo numero di afferenti al democratismo rappresentativo ha afferentato e democratato di arresti e pene esemplari secondo un copione tanto familiare quanto irritante. Per chi tratta gazzette, ben vestiti e quant'altro con la scostanza gelida degli statistici e degli entomologi spicca comunque la dichiarazione di uno fra i meglio retribuiti individui dell'ambiente, tale Eike Schmidt, che ha cianciato di attacco alla civiltà.
Le stesse gazzette che piacciono tanto ai ben vestiti raccontano che nella sola giornata del 14 novembre 1978 a Firenze furono collocati 6 (sei) ordigni.
Altro che scritte e pallone.
La civiltà rimase al suo posto.
Amici con limiti. La storia ondivaga dei rapporti tra Pechino e Mosca
Il saggio inedito del docente di relazioni internazionali Shi Yinhong, già consulente del consiglio di stato cinese: «La Russia nella strategia cinese»
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«Oggi mentre andavo in bicicletta, finalmente ho avuto l'illuminazione:
Se vuoi sapere se un politico è fascista o no, osserva se lavora per risolvere problemi sociali come povertà, cattiva salute, bassa istruzione, malnutrizione, ambiente in via di estinzione, cambiamento climatico e simili *o* se sta incolpando un gruppo di persone (alcune minoranze) per eventuali mali di quella società.
Regola pratica: i politici fascisti non risolvono i problemi: cercano capri espiatori per distrarsi da essi!»
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@Pitoc @imdat celeste of Tau Ceti :v_nb: :v_tg: [3201] [NaG • NaB]
> Io ritengo peggio un centro-sinistra
Sì, la maggioranza degli elettori italiani ha fatto esattamente il tuo ragionamento. Complimenti!
Però questo non c'entra nulla con la riflessione dell'autore del post
VIDEO. Russia: Evgenij Prigozhin morto in un “incidente” aereo
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della redazione
Pagine Esteri, 23 agosto 2023 – Evgenij Prigozhin, capo del gruppo mercenario Wagner e responsabile di un tentato golpe in Russia lo scorso giugno contro “l’establishment politico-militare”, e il suo numero 2, Dmitrij Utkin, sono morti oggi assieme ad altre otto persone in un “incidente” aereo che ha coinvolto un volo privato da Mosca a San Pietroburgo schiantatosi nella regione russa di Tver.
La certezza della morte di Prigozhin non c’è ancora, le notizie non sono ancora definitive. Il leader della Wagner, sostiene qualche fonte, non era sull’aereo precipitato bensì su un altro aereo privato atterrato regolarmente. Tuttavia, con il passare delle ore, la morte di Prigozhin appare sempre più certa e più parti stentano a credere che si sia trattato effetivamente di un incidente. Addirittura, secondo il canale Telegram Grey Zone, vicino al gruppo Wagner, il jet con a bordo Prigozhin “è stato abbattuto dal fuoco della difesa aerea di Mosca”.
Le voci di una “eliminazione” sono alimentate dalla ipotesi avanzata da tanti e che circola da settimane di una “vendetta fredda del Cremlino” per il tentato golpe organizzato da Prigozhin. Pagine Esteri
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“Garante della Privacy: “Stop alla diffusione del video della violenza sessuale di Palermo”. Le sanzioni previste”
Qui il link alla mia intervista completa repubblica.it/tecnologia/2023/…
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BRICS. Allargamento e dedollarizzazione: a Johannesburg in cerca di grandezza e indipendenza
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Pagine Esteri, 23 agosto 2023. L’obiettivo è quello di espandere il gruppo BRICS e di trovare il modo di appianare o almeno di rendere meno importanti le diversità interne agli stati membri. Il vertice di quest’anno è seguito con un interesse assolutamente particolare e, probabilmente, con un timore nuovo da parte dei più importanti leader occidentali. Con la guerra in Ucraina e le pesanti sanzioni alla Russia, sono nate nuove alleanze e si sono rafforzate alcune vecchie.
La “dedollarizzazione” dell’economia internazionale, definita “irreversibile” dal presidente russo Vladimir Putin, è un processo con cui l’occidente e gli Stati Uniti dovranno effettivamente fare i conti. Il denaro definisce gli equilibri più nettamente di qualsiasi proclama politico ed è da sempre questo il campo di gioco più importante per le economie emergenti. Perciò a Johannesburg l’argomento più caldo sul tavolo, oltre ai nuovi possibili stati aderenti, è quello che riguarda le modalità per aumentare l’uso delle valute locali nelle transazioni commerciali e finanziarie con l’obiettivo di liberarsi dalla dipendenza dal dollaro USA.
Il videomessaggio del presidente russo Vladimir Putin durante il vertice BRICS di Johannesburg
Il presidente cinese Xi Jinping, che a sorpresa non è stato presente all’apertura dei lavori, ha dichiarato in un discorso pronunciato a suo nome che l’espansione del gruppo BRICS significa dare la possibilità alle economie emergenti di costruire un ordine internazionale più giusto e equo. Aggiungendo, come monito, che “continueremo a crescere, qualsiasi resistenza potremo trovare”. Ma sull’espansione Brasile e India frenano, mentre la Russia, insieme alla Cina, vorrebbero al contrario accelerare. “Non cerchiamo di essere un contrappunto al G7, al G20 o agli Stati Uniti” ha dichiarato il presidente brasiliano Lula de Silva.
Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva
I Paesi interessati ad entrare a far parte dei BRICS sono, tra gli altri, Egitto, Arabia Saudita, Iran, Argentina e Indonesia.
Neanche il presidente russo Vladimir Putin ha pronunciato da sé il proprio discorso. Un video registrato e il suo portavoce, il ministro degli esteri Sergey Lavrov, lo hanno tenuto al sicuro dalle conseguenze del mandato di arresto internazionale per presunti crimini di guerra compiuti durante l’attacco all’Ucraina. Non sono, invece, chiare le ragioni che hanno impedito la partecipazione del presidente cinese.
Presenti, invece, il leader sudafricano Cyril Ramaphosa, il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva e il primo ministro indiano Narendra Modi.
Il premier indiano Narendra Damodardas Modi
BRICS è l’acronimo delle economie emergenti che attualmente lo compongono, che sono appunto Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, regioni che rappresentano circa il 40% della popolazione mondiale e più del 25% dell’economia globale. Pagine Esteri
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Oltre le competenze cognitive, l’approfondimento dell’Invalsi.
Info ▶️ invalsiopen.it/le-character-sk…
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#NotiziePerLaScuola Oltre le competenze cognitive, l’approfondimento dell’Invalsi. Info ▶️ https://www.invalsiopen.it/le-character-skills/ Iscrivetevi per rimanere sempre aggiornati ▶️ https://www.miur.gov.it/web/guest/iscrizione-newsletterTelegram
PODCAST AUSTRALIA. Referendum per i diritti degli aborigeni. Cosa cambierà?
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di Daniela Volpecina –
Pagine Esteri, 23 agosto 2023. Un referendum per riconoscere i diritti degli aborigeni. L’annuncio del governo australiano, giunto al termine di un lungo e infuocato dibattito, sta già facendo discutere.
La popolazione su questo tema appare spaccata e i pareri contrari al momento sembrerebbero prevalere su quelli favorevoli. Ma che cosa cambierà per gli indigeni se i sì al quesito referendario, previsto presumibilmente entro fine anno, dovessero prevalere sui no?
Il prof. George Zillante
Ne abbiamo discusso con il professor George Zillante, già capo dipartimento della facoltà di Architettura dell’Università di Adelaide nel sud dell’Australia, oggi consulente dell’ateneo, e grande conoscitore della materia.
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Rapporto annuale 2022 in uscita! il 2022 è stato l'anno delle decisioni più importanti nelle nostre cause di lunga data sui trasferimenti di dati tra l'UE e gli Stati Uniti
trasferimenti di dati
Srettha Thavisin è il nuovo premier thailandese. Al governo Pheu Thai e militari
Dopo un prolungato periodo di incertezza politica, la Thailandia ha il suo nuovo primo ministro: Srettha Thavisin, ex magnate dell'immobiliare, istruito negli Stati Uniti, da sempre vicino alla famiglia Shinawatra
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Il ruolo dei Brics per la Cina
La retorica del Partito comunista racconta così il gruppo: mentre Washington organizza "circoli ristretti" per contenerla, la Cina punta ad allargare le sue partnership. Non per motivi egoistici, prova a sostenere, ma per rendere più forte la voce di quel mondo in via di sviluppo che è stato spesso silenziato
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Weekly Chronicles #42
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Fantasmi nella macchina
Siamo fantasmi nella macchina (Ghosts in the machine). È il titolo di un recente video della divisione PsyOp dell’esercito degli Stati Uniti. Sì, esiste una divisione PsyOp.
Il video, davvero ben fatto come ci si aspetterebbe da maestri dell’inganno, mostra quasi 4 minuti di video e immagini di eventi storici come le proteste di piazza Tienanmen in Cina e altre “rivoluzioni” civili.
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Cosa si intende per psyop e psychological warfare? Per psyop possiamo intendere un’azione pianificata che usa l’informazione come mezzo per influenzare la percezione e il comportamento del pubblico al fine di raggiungere obiettivi strategici. Gli obiettivi possono essere i più diversi, anche civili. Ad esempio, il governo britannico ha una “Nudge Unit” che ha lo scopo di influenzare il pensiero delle masse e rendere più semplice il rispetto delle politiche governative, diminuendo così i costi di enforcement.
Lo psychological warfare invece è sostanzialmente la stessa cosa, ma ad ampio spettro. Si potrebbe dire che se la psyop è la singola operazione, lo psychological warfare è l’intera campagna militare. Anche in questo caso l’obiettivo è modificare il pensiero e comportamento delle persone al fine di ottenere un vantaggio strategico.
Possiamo ingannare, persuadere, cambiare, influenzare, ispirare. Assumiamo qualsiasi forma. Siamo ovunque. Una sensazione nel buio, un messaggio nelle stelle (We can deceive, persuade, change, influence, inspire. We come in any form. We are everywhere. A feeling in the dark, a message in the stars).
“Anything we touch is a weapon”. Qualsiasi cosa tocchiamo è un’arma, dicono nel video — mentre uno schermo TV mostra un cartone animato. Oggi l’informazione è ovunque e non solo in TV, radio o giornali. Qualsiasi bit d’informazione con cui abbiamo a che fare potrebbe essere parte di una o più PsyOp.
Eppure, provate anche solo a ipotizzare pubblicamente che le informazioni storiche e attuali che arrivano al grande pubblico possano essere frutto di campagne di disinformazione e propaganda. Vi daranno dei pazzi.
La parte più divertente? Mentre i nostri governi ammettono pubblicamente di cimentarsi in psyops e psychological warfare, allo stesso tempo vogliono convincerci di essere impegnati nella “lotta alla disinformazione”.
Pentester, antisemiti e omofobi
Cos’hanno in comune pentester, antisemiti e omofobi? Un simpatico strumento per pen-testing open source chiamato Flipper Zero, lanciato su Kickstarter nel 2020 con grande successo.
Con Flipper Zero un pen-tester può fare un sacco di cose, come ad esempio emulare RFID e carte NFC per accedere a sistemi di controllo, esplorare reti wifi e bluetooth, controllare dispositivi IoT e anche fornire gli strumenti necessari per lavorare con componenti hardware (ad esempio per reverse engineering).
Insomma un oggettino molto carino per chi si cimenta in questa disciplina. Forse però, un po’ troppo utile. E questo non piace alle agenzie di intelligence statunitensi, che durante le loro attività di sorveglianza di alcuni gruppi Telegram composti da individui “razzisti, antisemiti, xenofobi, islamofobi, misogini e omofobi”1, hanno scoperto che alcuni di loro erano interessati al Flipper.
Così, hanno emesso un avvertimento pubblico sul rischio di uso di questo dispositivo da parte di “estremisti” e potenziali terroristi “eticamente motivati”.2
“The NYPD Intelligence and Counterterrorism Bureau (ICB) assesses that racially and ethnically motivated violent extremists (REMVEs) may seek to exploit the hacking capabilities of a new cyber penetration tester, known as the Flipper Zero, in order to bypass access control systems.”
Nel 2020 circa 38.000 persone hanno acquistato Flipper su Kickstarter. Molti altri sicuramente avranno fatto lo stesso negli ultimi tre anni. Quante persone finiranno in liste di sorveglianza speciale solo per aver comprato uno strumento di ricerca e di lavoro assolutamente legale?
Quanto ancora a lungo riusciremo a giustificare questa macabra inversione dell’onere della prova? Siamo davvero tutti criminali fino a prova contraria, o anche questo fa parte di una grande PsyOp?
Cyberdog
La scorsa settimana Xiaomi ha annunciato l’uscita del suo nuovo giocattolo digitale: Cyberdog 2, un cane cibernetico che peserà quasi 9kg e sarà alto circa 36cm al garrese poligonale. Ricorda un po’ il cane, robotico anche lui, di Casshan — protagonista cyborg dell’omonimo anime anni ‘70.
Il dispositivo sarà dotato di un incredibile armamentario di auto-sorveglianza: un LiDAR, una videocamera RGB, quattro sensori 3D ToF, una videocamera per il rilevamento della profondità, un sensore a ultrasuoni, una videocamera con lente fisheye, quattro microfoni, due ricevitori UWB (Ultra-Wideband), e una non meglio specificata videocamera interattiva basata sull’AI.3
Molto carino, ma dove finiranno i terabyte di dati raccolti dal cervello elettronico del CyberDog? Nota positiva: pare che sia il codice sorgente che i disegni e le specifiche hardware saranno open source. Per ora forse, è meglio però evitare di mettersi un cane-spia in casa.
Weekly memes
Weekly quotes
“The lion cannot protect himself from traps, and the fox cannot defend himself from wolves. One must therefore be a fox to recognize traps, and a lion to frighten wolves.”
Niccolò Machiavelli
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English version
Ghosts in the machine
This is the title of a recent video from the PsyOp division of the United States Army. Yes, there is a PsyOp division.
The video, very well-crafted as one would expect from masters of deception, shows nearly 4 minutes of footage and images of historical events such as the Tiananmen Square protests in China and other civil "revolutions."
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What is meant by psyop and psychological warfare?
Psyops can be understood as planned actions that use information as a means to influence the perception and behavior of the public in order to achieve strategic objectives. The objectives can vary widely, even including civilian goals. For example, the British government has a "Nudge Unit" that aims to influence mass thinking and make compliance with government policies easier, thereby reducing enforcement costs.
Psychological warfare, on the other hand, is essentially the same thing but on a broader scale. It could be said that if psyop is a single operation, psychological warfare is the entire military campaign. In either case, the goal is to change people's thoughts and behaviors in order to gain a strategic advantage.
"We can deceive, persuade, change, influence, inspire. We come in any form. We are everywhere. A feeling in the dark, a message in the stars."
"Anything we touch is a weapon”, they say, as the video shows a TV screen display featuring a cartoon. Today, information is everywhere, not only on TV, radio, or newspapers. Today, any bit of information we interact with could be part of one or more psyops.
Yet, if you somehow try to publicly speculate that historical and current information reaching the general public could be the result of misinformation and propaganda campaigns, you will be considered a crazy conspiracy theorist.
The funniest part? While our governments publicly admit to engaging in psyops and psychological warfare, at the same time they want to convince us that they are engaged in "fighting disinformation."
Pentesters, antisemites and homophobes
What do pentesters, antisemites, and homophobes have in common? A cute open-source pen-testing tool called Flipper Zero, launched on Kickstarter in 2020 with great success.
With Flipper Zero, a pen-tester can do a lot of fun stuff, such as emulating RFID and NFC cards to access control systems, exploring Wi-Fi and Bluetooth networks, controlling IoT devices, and providing the necessary tools for working with hardware components (e.g., for reverse engineering).
In short, it's a very useful tool for those involved in the field. However, perhaps it's a bit too useful. And this doesn't sit well with US intelligence agencies, who, during their surveillance activities of certain Telegram groups composed of "racist, anti-Semitic, xenophobic, Islamophobic, misogynistic, and homophobic" individuals discovered that some of them were interested in Flipper. Thus, they issued a warning about the risk of “extremists” and potentially "ethically motivated" terrorists using this device.
"The NYPD Intelligence and Counterterrorism Bureau (ICB) assesses that racially and ethnically motivated violent extremists (REMVEs) may seek to exploit the hacking capabilities of a new cyber penetration tester, known as the Flipper Zero, in order to bypass access control systems.”
In 2020, about 38,000 people purchased Flipper on Kickstarter. Many more have surely done the same in the past three years. How many people will end up on special surveillance lists just for buying a completely legal research tool?
How much longer can we justify this macabre inversion of the burden of proof? Are we really all criminals until proven innocent, or is it just another big PsyOp?
Cyberdog
Last week, Xiaomi announced the release of its new digital toy: Cyberdog 2, a cybernetic dog that will weigh almost 9 kg and stand about 36 cm tall at the polygonal withers. It somewhat resembles the robotic dog, just like Casshan — the cyborg protagonist of a 1970s anime.
The device will be equipped with an incredible array of self-surveillance tools: LiDAR, an RGB camera, four 3D ToF sensors, a depth-sensing camera, an ultrasound sensor, a fisheye lens camera, four microphones, two Ultra-Wideband (UWB) receivers, and an unspecified AI-based interactive camera.
Very cute, but where will the terabytes of data collected by the electronic brain of CyberDog end up? Positive note: it seems that both the source code and hardware designs will be open source. For now, perhaps it's better to avoid bringing a spy dog into the house.
Ma sicuramente avevano anche dei difetti
dailydot.com/debug/flipper-zer…
hdblog.it/hardware/articoli/n5…
SUDAN. La guerra entra nel quinto mese
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di Michele Giorgio*
Pagine Esteri, 22 agosto 2023 – La guerra in Sudan è entrata nel suo quinto mese con il suo pesante carico di migliaia di morti e feriti, milioni di sfollati e rifugiati e violenze etniche nel Darfur. Parlando in occasione del 69esimo anniversario delle Forze armate, il presidente del Consiglio sovrano di transizione del Sudan, il generale Abdel Fattah Al Burhan, ha accusato i nemici delle Forze di supporto rapido (Rsf) del generale Hamdan Dagalo (Hemeti) di commettere gravi crimini di guerra. Ma la responsabilità delle sofferenze che patisce la popolazione va attribuita a tutti e due i leader rivali. Ad Al Burhan come a Dagalo, prima partner in un colpo di stato che ha fermato la transizione del Sudan verso la democrazia. Dopo, per sete di potere, hanno gettato il Sudan in un conflitto di cui è difficile vedere la fine. La «roadmap verso la pace» annunciata martedì da Malik Agar, leader ribelle divenuto numero due del Consiglio sovrano, è fallita prima ancora di essere discussa. Youssef Ezzat, il consigliere di Hamdan Dagalo, ha respinto l’iniziativa che prevede una tregua immediata e l’avvio di colloqui diretti tra le due parti in lotta.
La guerra, perciò, va avanti con l’Esercito e le Rsf che pensano a consolidare le loro posizioni. Appena qualche giorno fa le Nazioni unite hanno ricordato che più di 1 milione di persone sono fuggite dal Sudan e chi è rimasto nel paese non ha più cibo a sufficienza. 1.017.449 persone hanno raggiunto i paesi vicini già alle prese con l’impatto di conflitti precedenti. Gli sfollati interni sono 3.433.025, secondo gli ultimi dati dell’OIM. «Il tempo sta scadendo per gli agricoltori per piantare i raccolti che nutriranno loro e i loro vicini. Le scorte mediche sono limitate. La situazione sta andando fuori controllo», hanno avvertito le agenzie dell’Onu in una dichiarazione congiunta. Milioni di sudanesi rimasti a Khartoum e nelle città del Darfur e del Kordofan oltre alla fame e talvolta la sete, devono affrontare saccheggi e violenze. Le denunce di aggressioni sessuali sono aumentate del 50%, ha riferito Laila Baker del Fondo per la popolazione dell’Onu. «I resti di molti uccisi non sono stati identificati e sepolti» ha aggiunto da parte sua Elizabeth Throssell, portavoce dell’Alto Commissario per i Diritti Umani. Qualche settimana fa alcuni operatori umanitari avevano denunciato che gli obitori di Khartoum sono intasati e che decine di cadaveri restano nelle strade della capitale. I corpi che si trovano negli obitori si stanno decomponendo a causa delle prolungate interruzioni di energia elettrica e per la scarsità di personale.
I morti in quattro mesi sarebbero circa quattromila ma la Cnn ha raccolto dati sufficienti per affermare che altre centinaia di persone, forse mille, sono state massacrate lo scorso 15 giugno a El Geneina, la capitale del Darfur occidentale, dai miliziani delle Rsf e da uomini armati arabi. Alcune sono state giustiziate sommariamente per le strade. Altre sono state colpite mentre tentavano di attraversare un fiume. Altre ancora sono cadute in un’imboscata vicino al confine con il Ciad. L’indagine del network Usa sulle atrocità di quel giorno apre una finestra sulla portata di massacri e abusi compiuti negli ultimi quattro mesi e rimasti nascosti.
Le dimensioni dell’emergenza umanitaria aumentano giorno dopo giorno. Medici senza Frontiere (Msf) ricorda in un comunicato che centinaia di migliaia di profughi sono già in Ciad e hanno bisogno di aiuti internazionali. «I campi (di accoglimento) sono pieni – si legge nel comunicato – così come quelli temporanei di transito. Le persone vengono mandate in altre zone lontano dalla città dove si stanno costruendo nuove sistemazioni che però non sono ancora pronte. Qui i rifugiati sono esposti al sole e alla pioggia, con cibo e acqua insufficienti. I bisogni sono enormi e le risorse molto scarse». In Ciad, avverte Msf, è arrivata la stagione delle piogge che porta con sé un enorme aumento dei casi di malaria e potrebbe provocare epidemie.
Partono per il Sudan aiuti anche dall’Italia. «Sono in viaggio quattro nostri container con materiali per gli ospedali e aiuti per un valore di circa 800mila euro che dovrebbero arrivare a destinazione nei primi 10 giorni di settembre» dice al manifesto Stefano Rebora, direttore di «Music for Peace», associazione di Genova che opera in Sudan da anni. «Dalle notizie che riceviamo dai nostri collaboratori sudanesi» aggiunge «i combattimenti vanno avanti in particolare a Khartoum, nel Darfour, a Fashir e Nyala. Gran parte dei ministeri sono stati trasferiti a Port Sudan». L’obiettivo di «Music for Peace», conclude Rebora, «sarà di entrare a Khartoum, attraversare la linea del fronte e portare aiuti ai civili nelle aree più colpite dalla guerra e di rifornire l’ospedale di Emergency». Pagine Esteri
* Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto
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Uccisioni di massa tra i profughi che provano a fuggire dall’Etiopia
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Pagine Esteri, 21 agosto 2023. Un mese dopo il nuovo rapporto del Mixed Migration Center, che riportava uccisioni di massa, violenze deliberate e assassinii tra i profughi che provano a raggiungere l’Arabia Saudita, il nuovo report di Human Rights Watch scende nell’orrore più profondo.
Sono sempre di più i migranti che tentano di lasciare il Corno d’Africa intraprendendo un lungo, difficile e pericoloso viaggio attraverso lo Yemen. Per la maggior parte provengono dall’Etiopia, dove due anni di guerra in Tigray hanno causato circa 500.000 vittime, 2 milioni di sfollati interni e una gravissima carestia.
Per fuggire ci si deve affidare a reti di trafficanti che riscuotono il proprio compenso attraverso il lavoro forzato, il traffico di droga e lo sfruttamento sessuale.
Nel mese di ottobre un rapporto dell’ONU ha rivelato che tra il 1° Gennaio e il 30 Aprile 2022 430 persone sono state uccise e 650 ferite lungo il confine tra lo Yemen e l’Arabia Saudita dall’artiglieria e dai fucili delle forze armate saudite. Erano quasi tutti rifugiati, richiedenti asilo che provenivano dall’Africa. Anche le milizie Youthi, secondo i rapporti di Human Rights Watch, si sono macchiate di pesanti crimini.
La maggior parte delle persone uccise sono uomini ma il numero di donne e bambini massacrati sta crescendo in maniera allarmante: il 30% sono donne e il 7% bambini, secondo i dati ONU. Proprio per le donne il viaggio è particolarmente pericoloso: le testimonianze dei sopravvissuti e le notizie raccolte dalle organizzazioni internazionali, rivelano torture e stupri.
“They Fired on Us Like Rain” è il titolo del report pubblicato ieri da Human Rights Watch, il quale rivela che sono stati “almeno centinaia” i migranti e richiedenti asilo etiopi uccisi tra Marzo 2022 e Giugno 2023 al confine tra lo Yemen e l’Arabia Saudita. Tra loro donne e bambini. Secondo la ONG gli omicidi rientrano nella politica del governo saudita che opera feroci respingimenti di migranti e le azioni si configurano come crimini contro l’umanità.
Le guardie di frontiera saudite utilizzano esplosivi pesanti per uccidere deliberatamente e in maniera indiscriminata i richiedenti asilo che si avvicinano al confine. A volte chiedono ai migranti di scegliere una parte del loro corpo e da lì iniziano a sparare. Vengono uccisi anche coloro che, arrestati e rilasciati dalle autorità saudite, provano a ritornare in Yemen.
Centri di tortura e detenzione non mancano lungo il percorso e un numero imprecisato di migranti muore di stenti a causa della mancanza di acqua. Le bande criminali che controllano i flussi rapiscono i migranti, li rinchiudono nelle prigioni e li torturano in attesa del pagamento di un riscatto da parte dei familiari. Le donne vengono violentate dalle guardie, che costringono anche i loro compagni ad abusare di loro.
L’Arabia Saudita ha rigettato le accuse e si è opposta all’apertura di un’inchiesta, dichiarando che non esistono prove sufficienti e che HRW utilizza fonti inattendibili. Ma non sono solo i racconti dei sopravvissuti. Ci sono le immagini che mostrano i feriti, i mutilati, i corpi abbandonati o sistemati intorno ai campi profughi. Anche le immagini satellitari mostrano un numero impressionante e crescente di corpi nei cimiteri improvvisati tutto intorno alle baraccopoli. Pagine Esteri
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Elezioni Ecuador. Clima di apparente “normalità” sotto la sorveglianza dei militari
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di Davide Matrone –
Pagine Esteri, 21 agosto 2023. Ieri 20 agosto, le elezioni in Ecuador si sono tenute dalle ore 7 alle 17.00 con la presenza di oltre 10 mila militari dispiegati su tutto il territorio nazionale. Questo primo elemento ci fa intendere il clima di tensione creatosi in questi anni nel paese con l’insediarsi di bande criminali in alcune regioni della costa in particolare. Tutti i candidati si son presenttati ai seggi a votare circondati dai componenti dell’esercito armati fino ai denti. E tutti i seggi erano pieni di militari sin dalle prime ore della giornata. Non si sono registrati anomalie nel voto interno cominciato il giovedí nei 39 centri penitenziari delle 20 regioni del paese, in cui hanno votato 4756 detenuti aventi diritto. Anche i rappresentanti delle organizzazioni internazionali hanno confermato la regolarità del processo elettorale. Tuttavia, si son registrate molte critiche e proteste per gli elettori all’estero, molti dei quali non sono potuti registrarsi per esercitare il suffraggio ed altri hanno dovuto attendere molto tempo per farlo on line. Durante la giornata alcuni dei candidati alla presidenza, hanno richiamato l’attenzione del CNE. Dei 409250 mila ecuadoriani residenti all’estero (il 3.1% del corpo elettorale totale), solo 113434 mila si sono iscritti fino al 20 agosto per votare dalle 9 alle 19. Per questo motivo i primi risultati ufficiali emanati dal Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) sono stati resi noti dopo le 19.30.
I primi risultati non ancora definitivi.
Dopo quasi l’85% dei seggi scrurinati, il primo dato certo è che si tornerà a votare in ottobre per il ballottaggio che vedrà sfidarsi la candidata Luisa González con il 33.6% dei voti, seguito da Daniel Noboa al 23.1%.
Da una prima analisi vediamo che il voto correista resta lo stesso e si conferma un consenso duro e di militanza. Dal 2017 ad oggi si aggira tra un 30-33% nelle varie tornate elettorali (regionali, comunali e politiche). Il discorso di Luisa González, basato sul recupero della patria e di voler realizzare quanto fatto di buono nel passato, non è andato oltre il proprio elettorato che di concentra prevalentemente sulla costa. Alle elezioni passate del 2021, Andrés Arauz (candidato del correismo) al primo turno ottenne il 33.1%. L’unica donna candidata alla Presidenza ha dovuto fronteggiare attacchi da parte di una certa stampa che ha in alcune occasioni cercato di ridurre la sua capacità di governare e di essere sotto le direttive del capo Correa. Nel dibattito non ha certamente brillato ma le denunce verso i candidati Sonnenholzner e Topic hanno sortito certi effetti e hanno ridimensionato entrambi i candidati.
La sorpresa di queste elezioni al momento è senza dubbio Daniel Noboa figlio del magnate delle banane Álvaro Noboa che è partito in sordina ed è poi giunto nei primi 3 posti in poco tempo. Senza dubbio la buona esposizione nel dibattito del 13 agosto ha consentito un incremento di voti in una sola settimana. Inoltre, era il candidato più “nuovo” e “fresco” di queste elezioni. Non avendo scheletri nell’armadio, ha potuto viaggiare comodamente senza ricevere attacchi da nessuna parte. Al terzo posto va Fernando Villavicencio (candidato ucciso durante un comizio elettorale il 9 agosto) con oltre il 16% dei voti conquistando tra l’altro 3 regioni del paese tra la Serra e l’Amazzonia. Infine, al 4° posto il candidato Topic con un 14% che con il suo discorso centrato nella lotta alla delinquenza con il pugno duro ha fatto presa in un elettorato timoroso. Topic era stato paragonato sin da subito al Bukele ecuatoriano.
Luisa González tutto sommato si è difesa bene contro il resto dei candidati del centrodestra. Ha conquistato 8 regioni del paese ed alcune nella zona amazzonica che storicamente non è mai stata favorevole al correismo. I voti dal territorio confermano il buon risultato delle elezioni amministrative dello scorso anno per il correismo che nonostante gli attacchi continui, conserva un 30% di consensi nella popolazione. Ora molto probabilmente i 6 candidati della destra si uniranno nel ballottaggio per sconfiggere nuovamente “lo spettro del comunismo”. Il clima da guerra fredda non è mai terminata per gli anti comunisti. Il muro di Berlino è sempre in piedi. Tuttavia, lo stesso processo di unione non è scontato che accada con gli elettori. Per esempio, un dubbio sorge con il voto del movimento indigeno occupato più per i referendum pro ambiente che per un candidato in particolare. Dove sono andati i della Conaie? A destra? A Luisa González? En el ballottaggio. Ricordiamo che Yaku Pérez si è asciugato abbastanza in queste elezioni. Èx candidato di Pachakutik è passato da un 20% a un 4.5% in soli due anni. Dove sono andati questi voti e dove andranno al ballottaggio? Attenzione, non sempre la somma unisce.
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Naufragio Sicilia, 41 morti. Sopravvissuti alla deriva per 4 giorni
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Due uomini, una donna e un minore. Sono le sole 4 persone sopravvissute al naufragio che lo scorso giovedì ha causato la morte di 41 migranti tra cui 3 bambini.
Conosciamo la loro storia grazie a loro, che hanno raccontato come la barca si sia ribaltata dopo sole 6 ore di navigazione a causa di un’onda particolarmente alta. 7 metri di lunghezza, ospitava 45 persone, partite da Sfax in Tunisia, tentavano di raggiungere l’Italia.
Alcuni, una quindicina, indossavano un salvagente ma sono affogati lo stesso, hanno raccontato i 4 naufraghi, provenienti da Costa d’Avorio e Guinea Konakry, alla Guardia Costiera italiana.
Loro sono rimasti in acqua per ore. Poi hanno visto una barca abbandonata, probabilmente lasciata dopo un trasbordo di migranti e sono riusciti a salire. La barca, senza motore, è andata alla deriva per almeno 4 giorni finendo, trascinata dalle correnti, al largo della Libia.
La Guardia Costiera libica, seppur avvisata dalle autorità italiane, non sarebbe intervenuta, secondo la ricostruzione fatta da La Presse.
I sopravvissuti sono stati avvistati ieri da una barca mercantile battente bandiera maltese, la Rimona, che li ha salvati facendoli salire a bordo. Questa mattina sono trasbordati su una motovedetta della Guardia Costiera che li ha portati a Lampedusa.
Nessuna barca né autorità marittima ha avvistato cadaveri in mare. I corpi dei 41 migranti rimarranno, come centinaia di altri, sul fondo del Canale di Sicilia. Pagine Esteri
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Accordo sezioni primavera anno educativo 2023/2024, per la realizzazione dell'offerta di servizi educativi in favore dei bambini dai due ai tre anni.
Info ▶️ miur.gov.
Ministero dell'Istruzione
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Mauro Battocchi – La partita dell’euro
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“Intelligenza artificiale: un passo verso il rispetto dei diritti. Meglio tardi che mai? Forse no”
Ne scrivo oggi su HuffingtonPost Italia nella rubrica Governare il Futuro Qui il testo completo huffingtonpost.it/rubriche/gov…
Caso Vannacci, i doveri e la libertà. Parla il generale Arpino
“Buongiorno, generale! …Ci chiedevamo se le andasse gentilmente di scrivere qualcosa sulla questione Vannacci…”. Innanzitutto, nel ringraziare la redazione di Formiche.net per avermi offerto questa opportunità, dico solo che ho risposto subito positivamente. Lo dico perché in cuor mio in precedenza avevo già deciso di astenermi dal trattare l’argomento, dopo aver osservato già venerdì scorso come i media (specie i così detti giornaloni) avessero “mal-trattato” l’argomento, che chiaramente appariva deformato e snaturato.
Per carità, incidentalmente può sempre accadere, specie quando si è costretti a subire la spinta a commentare subito, e sotto pressione, senza aver avuto ancora il tempo o la possibilità di leggere il libro, o almeno di sfogliarlo. Invece no, condanna immediata e inappellabile, che a certi livelli richiederebbe almeno un’analisi superficiale, a volo d’uccello. Niente. Questa trappola di anticipi mediatici ha finito per coinvolgere anche rispettabilissimi alti personaggi della politica, solitamente molto equilibrati, e ciò a sua volta potrebbe aver spinto a far sbilanciare anzitempo anche stimatissimi e insospettabili altrettanto alti personaggi militari.
A questo punto posso anche svelare qualcosa di personale, che non ho ancora raccontato a nessuno. Lo stesso venerdì 18 agosto, appena letti sulle rassegne questi ritagli di stampa, ho avvertito odore di bruciato e sono andato a cercare il curriculum vitae del generale Vannacci. Ineccepibile, anzi, straordinario: racconta la storia di un soldato generoso, valoroso e lineare nel comportamento. Due nomi, una garanzia: Folgore e 9° Col Moschin… Mi sono lasciato prendere da un impulso immediato, ho preso carta e penna (anzi, schermo e tastiera) e ho scritto quanto segue all’Istituto geografico di Firenze. Era il primo pomeriggio, e non circolava ancora la notizia del probabile avvicendamento al Comando.
“Caro generale Vannacci, anche se non ci siamo conosciuti nel corso degli anni di servizio, mi permetta di esprimerle tutta la mia ammirazione per la sua figura di uomo e di soldato. Al di là delle penose polemiche che hanno accompagnato l’uscita di ‘Il mondo al contrario’ (il coraggio di dire la verità – o di ammetterla – evidentemente non è molto diffuso). Le voglio assicurare che siamo ancora in tanti, direi un’ampia maggioranza, a credere in quei valori che oggi da poche chiassose minoranze vengono rifiutati e derisi. Condivido parola per parola, riga per riga, ciò che lei ha detto e scritto. Farò del mio meglio per darne la massima diffusione. È da questa parte, non da altre, che verranno la salvezza e l’affermazione della nostra cara Italia. Una stretta di mano stretta e forte, da soldato a soldato”.
A dire la verità, quando mi è arrivata la proposta di Formiche.net non avevo ancora letto il libro riga per riga, ma solo stralci e una copia elettronica. Solo ieri mattina mi sono arrivate due copie cartacee, che, come promesso, farò circolare a iniziare da figli e nipoti.
Ieri mattina, poi, mi è venuto un dubbio atroce: si è parlato di autorizzazione e di sanzioni. Io ho lasciato il servizio attivo 23 anni fa, non è che nel frattempo è cambiato qualcosa? Ho voluto verificare. Il nuovo codice dell’Ordinamento della Difesa in effetti è datato 2010 e comprende ben 2272 articoli. La “Libertà di manifestazione del pensiero” per i militari è contemplata dall’articolo 1472, in vigore dal 27 marzo 2012, che così recita:
1. I militari possono liberamente pubblicare i loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio, per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione.
2. Essi possono, inoltre, trattenere presso di sé, nei luoghi di servizio, qualsiasi libro, giornale o altra pubblicazione periodica.
3. Nei casi previsti dal presente articolo resta fermo il divieto di propaganda politica.
Ebbene, nel libro del generale Vannacci non c’è traccia di argomenti riservati di interesse militare o di propaganda politica. Ma allora, dove sta il problema? Se si tratta di esigenze di “politicamente corretto” nell’esprimere le proprie idee, questo lasciamolo ad altri. A noi militari interessano solo verità e correttezza nella comunicazione. Qualità che in questo libro certo non mancano.
Details
Type: HttpException
Code: 0
Message: cURL error Could not resolve host: t.me: 6 (curl.haxx.se/libcurl/c/libcurl…) for https://t.me/s/Miur_Social
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Line: 308
Trace
#0 index.php(7): RssBridge->main()
#1 lib/RssBridge.php(17): RssBridge->run()
#2 lib/RssBridge.php(100): DisplayAction->execute()
#3 actions/DisplayAction.php(128): TelegramBridge->collectData()
#4 bridges/TelegramBridge.php(39): getSimpleHTMLDOM()
#5 lib/contents.php(368): getContents()
#6 lib/contents.php(144): _http_request()
#7 lib/contents.php(308)
Context
Query: action=display&bridge=Telegram&username=Miur_Social&format=Atom
Version: dev.2023-07-11
OS: Linux
PHP: 8.1.22
Go back[https://rss.trom.tf/url]
[url=https://github.com/RSS-Bridge/rss-bridge/issues?q=is%3Aissue+is%3Aopen+Telegram+Bridge]Find similar bugsCreate GitHub Issue
VerifiedJoseph
CHINA FILES SUMMER SCHOOL 2023 – CAPIRE IL SECOLO ASIATICO
Dopo il successo delle passate iniziative di formazione (qui l’ultimo ciclo di lezioni di maggio 2023) arriva una nuova edizione allargata della nostra Summer School per il 2023. Si svolge tra l’8 e il 29 settembre con 12 speaker di professioni e competenze diverse, andando a coprire vari temi riguardanti la Cina ma anche tanti altri paesi asiatici. Le iscrizioni aprono ora, con 20 posti disponibili. Ecco come partecipare
L'articolo CHINA FILES SUMMER SCHOOL 2023 – CAPIRE IL SECOLO ASIATICO proviene da China Files.
Un anno fa l’omicidio di Mahsa Amini, ma nessuno si occupa più della rivolta delle donne in Iran
A ormai quasi un anno dalla morte a Teheran di Mahsa Amini, e dopo quasi un anno di cronache sul movimento di protesta che quel decesso in stato di custodia da parte della polizia morale ha generato, viene da chiedersi quanto l’opinione pubblica italiana abbia potuto realmente approfondire la propria conoscenza del presente dell’Iran, come anche della frastagliata natura dell’opposizione iraniana all’estero. Quante opportunità abbia cioè avuto tramite i resoconti dei media – resoconti in realtà intermittenti negli ultimi mesi, rispetto al periodo tra settembre e febbraio – di andare oltre il sistema binario della narrativa militante (il “regime” che reprime e la “rivoluzione” del movimento Donna Vita Libertà), per comprendere il sistema politico e sociale iraniano nelle sue tante stratificazioni e dinamiche interne. Termini con i quali qui si intendono i diversi gradi di opposizione e di consenso dentro al Paese verso l’ordinamento della Repubblica Islamica e dei gruppi oligarchici – religiosi, politici, economici e militari – che la governano.
Perché, più che dai desideri rivoluzionari della diaspora, proprio da questi diversi gradi di opposizione e di consenso, e dai loro slittamenti presenti e futuri, dipendono in ultima analisi gli esiti delle potenti istanze di cambiamento che il movimento delle donne e dei giovani – espressione a loro volta di più ampi gruppi sociali, più o meno attivi sulla scena pubblica – ha espresso e alimentato in questi mesi.
Chi scrive pensa che questo anno quasi compiuto di eventi e cronache iraniani sia anche stata un’occasione persa per conoscere più in profondità il Paese. Complici i meccanismi con cui l’informazione su questi eventi giungeva fino a noi, il semi-monopolio della gestione delle fonti da parte di alcuni media e gruppi più organizzati dell’opposizione all’estero (prevalentemente in lingua inglese e basati tra Usa e Gran Bretagna) e infine di una certa, colpevole superficialità di certo giornalismo italiano. Che spesso aderiva acriticamente a quelle stesse visioni militanti – la negazione stessa di un’informazione indipendente, cui non si chiede di schierarsi ma di dare una rappresentazione il più “terza” possibile delle forze in campo -, rinunciando a ulteriori approfondimenti. E rinunciando perfino a indagare la reale appartenenza dei proprio interlocutori, visto che l’opposizione all’estero è divisa tra diverse anime e gruppi, talvolta in acerrima contrapposizione fra loro.
Le diverse voci della diaspora, e il nodo della loro rappresentatività
Questi ultimi mesi, per esempio, hanno registrato la mancata creazione di un’ampia piattaforma politica unitaria da parte della Alleanza per la Democrazia e la libertà in Iran, cui partecipavano figure riconosciute e influenti come la giornalista Masih Alinejad, lo scrittore irano-canadese Hamed Esmaeilion (rappresentante dei familiari delle vittime dell’aereo civile abbattuto per colpevole errore dalla contraerea dei Pasdaran nel gennaio 2020), la premio Nobel Shirin Ebadi e il figlio dell’ultimo scià, Reza Pahlavi, dal 1979 residente negli Usa. Il venir meno di questo tentativo, nonostante il varo della cosiddetta “Carta di Mahsa” alla Georgetown University il 9 marzo scorso, è coinciso da una parte con un autonomo affermarsi del movimento monarchico guidato da Reza Pahlavi (che sulla rete conta quasi mezzo milione di adesioni a una petizione in suo sostegno), dall’altra con un ulteriore intensificarsi dell’azione politica del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana: organizzazione che si autodefinisce come una coalizione di forze democratiche fondate a Teheran nel 1981 e la cui presidente Maryam Rajavi è la leader dei Mojahedin del Popolo, riconosciuti anche nelle sigle Mek, Pmoi e Mko.
Chi scrive non è in grado di quantificare il radicamento effettivo di quest’ultima organizzazione in Iran e nella diaspora, e c’è da chiedersi chi davvero lo sia, vista in particolare la clandestinità con cui opera in Iran. Ma è certo dovere di chiunque ne parli ricordare che, oltre a essere l’organizzazione più strutturata dell’opposizione, si tratta di una realtà molto controversa tra gli iraniani: e questo in particolare per il fatto di avere combattuto a fianco di Saddam Hussein nel lungo conflitto tra Iran e Iraq degli anni Ottanta. Fra i tanti altri fatti che definiscono il Mek vi è quello che migliaia di suoi militanti furono vittima delle esecuzioni arbitrarie e di massa di prigionieri politici disposte dai cosiddetti “comitati della morte” nel 1988, per ordine dell’Ayatollah Khomeini – e alla quale partecipò anche l’attuale presidente Ibrahim Raisi, allora giovane magistrato. Che la Repubblica Islamica considera il gruppo un’organizzazione terroristica, responsabile di numerosi attentati negli anni post-rivoluzione e accusata da Teheran di aver ucciso a sua volta migliaia di iraniani. Che anche la Ue e gli Usa li avevano inseriti nelle proprie liste delle organizzazioni terroristiche rispettivamente fino a 2009 e al 2012; che ad oggi il Consiglio nazionale della resistenza iraniana ha il supporto di esponenti conservatori Usa come Mike Pence e John Bolton, e una grande capacità di influenza nei parlamenti europei, Italia compresa.
La visita di Maryam Rajavi nel luglio scorso a Roma – su iniziativa del presidente della Commissione per le politica dell’Unione Europea del Senato Giulio Terzi di Sant’Agata (FdI) e del segretario generale della Fondazione Einaudi, Andrea Cangini – è stata infatti accompagnata dall’adesione di 307 parlamentari italiani, anche dell’opposizione, al suo programma per un nuovo Iran post-Repubblica Islamica. Per quella visita, lo ricordiamo, il governo iraniano ha convocato il nostro ambasciatore a Teheran, Giuseppe Perrone. Ma che il Mek sia anche un elemento divisivo tra le forze dell’opposizione iraniana è riconosciuto dallo stesso Cangini, per il quale, come scriveva il 14 luglio, il conflitto interno alle opposizioni “in effetti, c’è. Ed è un conflitto violento. In molti non credono alla conversione democratica dei mujahidin della signora Rajavi, in molti ne ricordano il fanatismo e le violenze ai tempi di Khomeini e dopo. Ogni dubbio è legittimo”.
Ecco, dubitare è legittimo e dubitare si dovrebbe sempre. Soprattutto se si cerca un’informazione a tutto campo, che guardi alla complessità e non alle semplificazioni, che abbia fonti sempre verificate e dichiarate, a meno che non siano giustificatamente riservate. Sono i requisiti base di un buon giornalismo, che non sempre si riesce a realizzare ma verso il quale si dovrebbe sempre tendere. Ma che talvolta è mancato in quest’ultimo anno di cronache iraniane, accompagnate spesso da un clima pesante e conflittuale anche ai danni di alcuni esponenti dei media, accusati da certi simpatizzanti dell’opposizione (in particolare proprio del Mek, ma non solo) di non essere abbastanza “partigiani” come loro.
Fra meno di un mese sarà il primo anniversario della morte di Mahsa Amini. Le donne, i giovani, gli attivisti e i giornalisti iraniani continuano in varie forme la loro lotta per la libertà e i diritti di tutti. Speriamo che anche le nostre cronache, e gli atteggiamenti della diaspora in Italia, siano sempre all’altezza di questi stessi valori.
Luciana Borsatti su Il Foglio
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BRICS, il vertice più atteso al via in Sudafrica: obiettivo cambiare gli equilibri globali | L'Indipendente
«Prenderà il via domani a Johannesburg, in Sudafrica, fino al 24 agosto il quindicesimo vertice dei BRICS, attesissimo in quanto considerato uno dei più importanti dalla fondazione del gruppo che si è dato come obiettivo principale quello di porre la basi per instaurare un nuovo ordine internazionale multipolare più equo di quello “unipolare” attuale, in grado di contrastare e sfidare l’egemonia occidentale.»
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
🔸 Educazione motoria, bandito il concorso per l’assunzione di 1.
Ministero dell'Istruzione
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Il Massacro di Nanchino: Un Capitolo Oscuro della Storia
Introduzione La Cina e il Giappone, due nazioni dell’Estremo Oriente, sono state plasmate nel corso dei secoli da influenze culturali, dinamiche sociali e avvenimenti politici molto diversi. Tuttavia, nel corso della storia, il destino diContinue reading
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Lavoro, casa, auto: per i giovani il sogno cinese è un miraggio
Sui social montano le critiche al Partito comunista: tra gli under 24 la disoccupazione sarebbe al 46,5%. E allora il governo smette di comunicare i dati. Da «sdraiati» a «figli a tempo pieno»: le nuove generazioni reagiscono così alla disillusione No data. No problem. La Cina ha deciso di sospendere la pubblicazione dei dati sulla disoccupazione giovanile nel Paese dopo ...
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Cina, il pericolo è un popolo disilluso
Aumentano le spese sanitarie, quelle per l'educazione, ma diminuisce la sensazione di poter programmare il proprio futuro. Ed è questo che può mettere in difficoltà sia l'economia cinese, sia la sua guida politica
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Biden "arruola” l’Asia? E Xi va in Sudafrica puntando al sud globale
La Cina risponde al summit di Camp David tra Usa, Giappone e Corea del sud. Lunedì Xi Jinping in Africa per il summit dei Brics. E intanto lancia nuove esercitazioni militari sullo Stretto di Taiwan, in risposta al transito americano del vicepresidente Lai
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L'impressionante espansione della mafia in Veneto svelata dalle carte dei giudici | L'Indipendente
«Indicibili intrecci tra imprenditoria e criminalità organizzata, crescita esponenziale dell’economia sommersa, ma anche intimidazioni mafiose ai danni di giornalisti e sindacalisti a colpi di arma da fuoco, in cui ad agire da burattinai sono uomini d’affari in giacca e cravatta: c’è tutto questo nella nuova maxi-inchiesta contro la ‘ndrangheta della Direzione distrettuale antimafia di Venezia, che ha puntato la sua lente di ingrandimento sul pericoloso binomio tra mafia e colletti bianchi in un’area dello stivale che, almeno a detta delle autorità, negli ultimi decenni sembrava essersi difesa piuttosto bene dall’opera di “colonizzazione” messa a punto dal crimine organizzato nel Nord Italia.»
Evergrande, Country Garden, Zhongrong: i nomi della crisi immobiliare cinese
La richiesta di bancarotta protetta da parte di Evergrande arriva dopo due anni di difficoltà, ma a preoccupare Pechino potrebbe essere più Country Garden e il riflesso sul sistema bancario ombra e dei fondi fiduciari
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Mic Pin
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> e poi migliaia di curiosi a chiederlo, anche pagando
"pagando", vorrei sottolineare, per "chiederlo"... Non per averlo, dal momento che non è nella disponibilità di nessuno, ma anche solo per chiederlo!