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Privatocrazia sanitaria, in Italia il 60% dei fondi per la salute pubblica finisce ai privati. Il monito di Nicoletta Dentico | AFV

"La situazione ha raggiunto livelli più che allarmanti: almeno il 60% dei fondi pubblici finisce in mano ai privati, in particolare per l’acquisto di servizi medici e farmacologici; più del 50% delle istituzioni sanitarie che si occupano di malattie croniche sono in mano ai privati, così come lo sono più dell’80% delle istituzioni di assistenza sanitaria residenziale. I tagli della prossima legge di bilancio assecondano questa metastasi.”

ancorafischiailvento.org/2023/…



StAffettati


L’idea s’era già affacciata, ma il suo costo ne aveva suggerito l’accantonamento. Ora riciccia, con la pretesa di dimostrarsi una buona cosa per i giovani. L’immagine che hanno usato è quella della staffetta, del passarsi il testimone: dal lavoratore anzi

L’idea s’era già affacciata, ma il suo costo ne aveva suggerito l’accantonamento. Ora riciccia, con la pretesa di dimostrarsi una buona cosa per i giovani. L’immagine che hanno usato è quella della staffetta, del passarsi il testimone: dal lavoratore anziano a quello giovane. Ma caricando di ulteriori costi le casse pubbliche promette maggiori pressioni fiscali e previdenziali future, il che non è proprio nell’interesse dei più giovani. Quella staffetta li affetta. Il testimone è un torsolo.

Da quel che si capisce, lo schema potrebbe essere il seguente: un lavoratore cui manchi qualche mese o qualche anno alla pensione (più dura e più costa) accetta un part-time e in quel tempo collabora alla formazione di un altro lavoratore, di età non superiore a 35 anni, che sia stato assunto a tempo pieno e indeterminato. In questo modo si ritarderebbe l’andata in pensione del primo e si faciliterebbe l’ingresso nel mondo del lavoro del secondo. Ma per quale motivo un’azienda dovrebbe scegliere di far lavorare la metà del tempo un collaboratore già formato e di fargli utilizzare il tempo per formare un altro collaboratore che si è dovuto assumere senza che sappia fare quel che gli si vorrebbe far fare? È così evidente che nessuno lo farebbe che la proposta ha un’appendice: non dovendoci essere nessun onere aggiuntivo per le imprese, lo Stato si carica il costo dei contributi dell’uscente e dell’entrante, aggiungendo l’agevolazione fiscale per il datore di lavoro. Un marchingegno generatore di debiti e che non tiene conto della realtà su quei due lati del mercato del lavoro.

Sul lato dei pensionandi la faccenda è nota: ogni forma di agevolazione all’andare in pensione e qualsiasi numero si metta alle “quote”, il risultato è un maggiore onere a carico degli altri lavoratori e contribuenti. Il ministro dell’Economia Giorgetti lo aveva detto: con questa leva demografica non c’è margine per regalie. Ma oramai parla per sé e in gran parte a sé. Questo, però, non può tradursi in una costrizione al lavoro controvoglia, per sua natura scarsamente produttivo. La via d’uscita c’è: ciascuno vada in pensione quando gli pare, ma esclusivamente sulla base dei contributi versati. Quello è un sistema giusto, che non scippa niente a nessuno e che porterebbe a quel che s’è già visto in occasione di anticipi pensionistici che i lavoratori hanno rifiutato: si continua a lavorare per convenienza economica. Ed è bene che sia così.

Sul lato dei giovani forse non è chiara la situazione: non mancano i posti di lavoro, mancano i lavoratori. Mancano per cattiva dislocazione e mancata formazione e, relativamente a questa seconda deficienza, si tratta anche di offerte di lavoro qualificato e con prospettive di far strada o carriera che dir si voglia. La spesa pubblica è utile se indirizzata alla formazione: un investimento a favore della ricchezza del lavoratore e di quella produttiva, quindi della ricchezza generale.

Il lavoro serve a far crescere la ricchezza e il benessere. Il lavoro non è una quantità predeterminata, sicché per fare entrare uno si deve far uscire l’altro. Al contrario: più si lavora, più si crea ricchezza e innovazione e più si creano occasioni e posti di lavoro (altrimenti si dovrebbe tornare alla zappa per moltiplicare le radiose opportunità bracciantili). Il lavoro sussidiato si candida a essere improduttivo, quindi un non-lavoro che genera squilibri e debiti. I quali porteranno aggravi fiscali, che sono il ddt sterminatore del lavoro e dell’impresa.

Siamo tutti consapevoli che far politica è anche far propaganda, trovare parole facili, evocare sogni. Bene. Se poi diventano incubi la colpa non è soltanto dei politici, ma anche dei cittadini che lo consentono. Un giorno, dal loggione, uno prese a disturbare Ettore Petrolini mentre recitava; l’attore sopportò un poco, poi si spinse sul proscenio e si rivolse verso l’alto: «Io nun ce l’ho co’ te, perché così ce sei nato, ce l’ho co’ quello che te sta accanto e nun te butta de sotto».

La Ragione

L'articolo StAffettati proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



La nuova strategia cyber del Pentagono commentata dall’avv. Mele


La miglior difesa è l’attacco. Si può riassumere con questa espressione popolare la nuova strategia cyber del Pentagono, frutto anche dell’esperienza della guerra in Ucraina. Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ne ha diffuso mercoledì un riassu

La miglior difesa è l’attacco. Si può riassumere con questa espressione popolare la nuova strategia cyber del Pentagono, frutto anche dell’esperienza della guerra in Ucraina. Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ne ha diffuso mercoledì un riassunto declassificato dopo aver approvato e pubblicato a maggio l’aggiornamento della dottrina dopo cinque anni. Infatti, si legge nel documento, il Pentagono si è impegnato a utilizzare le operazioni informatiche offensive per “frustrare” e “disturbare” le potenze straniere e le organizzazioni criminali che minacciano gli interessi degli Stati Uniti, pur riconoscendo i rischi di escalation nel cosiddetto quinto dominio. Gli Stati Uniti “non possono semplicemente difendersi davanti al problema” degli attacchi informatici, in particolare quelli cinesi, ha osservato Mieke Eoyang, un alto funzionario del dipartimento.

La minaccia numero uno è, è noto, la Cina, con le sue mire su Taiwan e sul Mar Cinese. Gli attacchi informatici cinesi forniscono indicazioni per i “preparativi per la guerra” di Pechino, recita il documento del Pentagono. In caso di conflitto, i cyber-attori cinesi “cercheranno probabilmente di interrompere le reti fondamentale che consentono la proiezione di potenza delle forze congiunte (statunitensi, ndr) in combattimento”. Ma la sola forza offensiva potrebbe non bastare. Nel documento si parla di “altri strumenti” da utilizzare come deterrente. Non vengono citati. Ma spesso i funzionari statunitensi, come ricordano anche i media locali, citano in particolare sanzioni e arresti.

C’è poi la Russia, e il documento riflette le lezioni apprese in questo anno e mezzo di guerra, come osserva l’avvocato Stefano Mele, partner e responsabile del dipartimento cybersecurity law dello studio legale Gianni & Origoni. “Stiamo assistendo oggi, dopo un anno e mezzo dall’inizio dell’aggressione russa dell’Ucraina, a un cambiamento della strategia di Mosca nell’utilizzo del cyber-spazio”, dice a Formiche.net. “Finora, infatti, le forze armate russe hanno sfruttato il quinto dominio della conflittualità soprattutto per attività di supporto operativo alle operazioni militari convenzionali. Ciò, al fine di creare effetti (temporanei) sulle infrastrutture critiche colpite, oppure per amplificare gli effetti – anche psicologici – degli attacchi armati (un esempio sono gli attacchi informatici ai sistemi di pronto soccorso prima di un bombardamento). Oggi, invece, l’attenzione pare essere sempre più focalizzata sulle attività di cyber spionaggio e di raccolta di informazioni a supporto delle operazioni militari. Di conseguenza, sono cambiati anche i sistemi informatici colpiti: la Russia, infatti, appare da un po’ di tempo più concentrata sui sistemi utilizzati per la situational awareness e per la gestione del conflitto sul campo di battaglia, al fine di avvantaggiarsi di queste informazioni per ottenere un vantaggio tattico immediato”, aggiunge.

Dal documento emerge, inoltre, una forte attenzione ala cooperazione militare. “La strategia americana si basa da anni su due pilastri: defending forward e persistent engagement”, ricorda Mele. “Quest’ultimo, in particolare, ci insegna che nel quinto dominio della conflittualità, date le sue caratteristiche intrinseche, è inevitabile essere già preparati per ogni possibile attività operativa e soprattutto essere sempre in un costante stato di allerta leggermente sotto il livello del conflitto. Per questo, è importante il richiamo statunitense alla cooperazione internazionale in un campo in cui le reti ci rendono tutti interconnessi e, dunque, a rischio effetto spillover anche se il conflitto o l’operazione non ci riguarda direttamente”, conclude l’avvocato.


formiche.net/2023/09/cyber-pen…



Lunedì 18 settembre si terrà la cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico 2023/2024!

L’Istituto tecnico “Saffi-Alberti” di Forlì ospiterà la XXIII edizione dell’evento #TuttiAScuola.



“TEAM ITALY ”


A partire dalle 14.30 avrò il piacere di partecipare alla presentazione della squadra che rappresenterà l’Italia alle competizione di fine ottobre in Norvegia ad Amar in collaborazione con il laboratorio Olicyber ed organizzato da Cybersecurity National Lab. Nella locandina tutti i dettagli per seguire la presentazione


guidoscorza.it/team-italy/



Polonia gli F-35 italiani di ultima generazione al confine con la Russia


Cresce il coinvolgimento dell’Italia nel sanguinoso conflitto russo-ucraino: nessuna dichiarazione ufficiale del governo né dibattito parlamentare. L'annuncio in un bellicoso tweet dello Stato Maggiore dell’Aeronautica. L'articolo Polonia gli F-35 italia

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di Antonio Mazzeo –

Pagine Esteri, 15 settembre 2023. Atterrati a Malbork in Polonia gli F35A della Task Force Air 32° Wing che garantirà il supporto alle operazioni NATO Air Policing attraverso missioni aeree di difesa e deterrenza sul fianco Est dei Paesi. Cresce pericolosamente il coinvolgimento dell’Italia nel sanguinoso conflitto russo-ucraino: nessuna dichiarazione ufficiale del governo e men che meno uno straccio di dibattito parlamentare, appena un tweet dello Stato Maggiore dell’Aeronautica zeppo di hashtag e annunci bellicosi (#ForzeArmate – #Una ForzaperilPaese -#WeAreNato – #StrongerTogether).

Il 13 settembre sono atterrati nella base aerea di “Krolewo” a Malbork in Polonia nord-orientale (a meno di un centinaio di Km dal confine con l’enclave russa di Kaliningrad) due cacciabombardieri di quinta generazione F-35A dell’Aeronautica italiana; altri due F-35 sono attesi entro un paio di giorni. “I caccia italiani arrivano in Polonia a sostegno della deterrenza e della difesa della NATO”, riporta l’ufficio stampa dell’Allied Air Command, il Comando centrale delle forze aeree dell’Alleanza di stanza nella grande base di Ramstein, Germania. “Gli aerei pattuglieranno i cieli sul fianco orientale europeo nell’ambito delle missioni di Air Policing della NATO. Oltre ad unirsi ai caccia dell’Aeronautica polacca e di altri paesi partner, i velivoli italiani contribuiranno anche alle attività addestrative che l’Alleanza Atlantica conduce nell’ambito delle sue rafforzate attività di vigilanza”.

Le attività di Air Policing consistono nella “continua sorveglianza” dello spazio aereo, nonché nell’“identificazione di eventuali violazioni alla sua integrità”, dinanzi alle quali scattano “appropriate azioni di contrasto”, come ad esempio, il decollo rapido (scramble) dei caccia intercettori. Pericolosissimi faccia a faccia tra top gun delle forze avversarie che possono sfociare in veri e propri duelli aerei, specie se gli incontri ravvicinati avvengono negli spazi aerei di frontiera esplosivi come quelli tra la Polonia nord-orientale e l’enclave della Russia nel Mar Baltico.

“Lo schieramento di moderni aerei da caccia di quinta generazione in Polonia – appena sei mesi dopo la fine di un dispiegamento simile da parte degli F-35 dell’Aeronautica italiana – dimostra la capacità della NATO di posizionare capacità di combattimento avanzate in modo flessibile”, ha affermato il generale Gianluca Ercolani, Capo di Stato Maggiore dell’Allied Air Command. “È un’altra prova del fatto che gli alleati operano integrati, secondo efficienti accordi di comando e controllo aereo per eseguire una significativa deterrenza e difesa lungo il fianco orientale”.

Ancora più enfatiche le dichiarazioni del tenente colonnello Ciro Maschione, a capo del distaccamento dei cacciabombardieri F-35A “Task Force Air – 32nd Wing” dell’Aeronautica Militare. “Con l’offerta dei nostri aerei da caccia alla NATO, sottolineiamo che l’Italia è pienamente impegnata a sostenere le missioni collettive e durature dell’Alleanza”, spiega Maschione. “L’Italia è stata il primo alleato a schierare i propri F-35 in una missione NATO – in Islanda – aprendo la strada all’integrazione dei moderni velivoli di quinta generazione nelle operazioni aeree dell’Alleanza insieme a Paesi Bassi, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti”.

L’Aeronautica Militare aveva già schierato nella base polacca di Malbork quattro cacciabombardieri EF-2000 “Eurofighter Typhoon” dalla fine di luglio alla fine di novembre 2022. In poco meno di quattro mesi di attività la task force “White Eagle” ha effettuato oltre 500 ore di volo, nonché 23 Alpha Scramble “per la presenza di velivoli russi che operavano senza autorizzazioni nella zona di competenza degli assetti aerei italiani”. L’altissimo rischio che le operazioni dei caccia italiani potevano concludersi con un confronto-scontro con i Mig della Federazione Russa è stato ammesso dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica. “Una settimana intensa quella che gli uomini della Task Force Air White Eagle hanno affrontato fino ad oggi, a causa dei numerosi interventi richiesti dal Combined Air Operation Center di Uedem (altro Centro di comando e controllo aereo della NATO in Germania, ndr)”, ha riferito l’Aeronautica in un comunicato del 22 settembre 2022. “Considerata la complessità del momento, le difficoltà di operare così vicini al confine (i piloti italiani si sono trovati a operare a soli 5 minuti di volo da Kaliningrand, a 20 minuti dalla Bielorussia e a 25 dal territorio ucraino) e, non ultimo, il rischio che qualunque errore possa essere considerato come una provocazione, è assolutamente pleonastico rappresentare come la prontezza operativa di tutta la Task Force, messa duramente alla prova dal continuo operare in tutte le ore della giornata, sia stata garantita dalla preparazione professionale del personale italiano e dell’apparato logistico che ogni giorno li supporta”.

Dall’agosto 2023 l’Italia è pure presente con la Task Force Air Baltic Horse III alle attività di Air Policingdella NATO in Lituania. La missione è denominata Baltic Air Policing ed è condotta anch’essa sotto la supervisione del NATO Allied Air Command di Ramstein. “Il contingente italiano assicura il servizio di Quick Reaction Alert, ovvero la sorveglianza e protezione dei cieli atlantici sul fianco nord-orientale”, spiega lo Stato Maggiore dell’Aeronautica. “La Task Force Air Baltic Horse III è rischierata presso l’aeroporto lituano di Siauliai per contribuire a garantire l’integrità dello spazio aereo della Lituania e delle repubbliche baltiche, rafforzando le attività di sorveglianza delle forze aree dei paesi NATO già presenti nella regione”.

La task force schierata a Siauliai è posta sotto la diretta dipendenza nazionale del COVI(Comando Operativo di Vertice Interforze) ed impiega quattro caccia EF-2000“Eurofighter Typhoon” provenienti dal 4° Stormo dell’Aeronautica di stanza a Grosseto, dal 36° (Gioia del Colle), dal 37° (Trapani-Birgi) e dal 51° (Istrana, Treviso). “La Task Force italiana in Lituania rappresenta l’espressione più autentica della proiettabilità di una Forza Armata moderna, capace di produrre effetti operativi ovunque sia necessario, adattandosi repentinamente ed efficacemente alle mutevoli condizioni di impiego dettate dall’attuale scenario geopolitico”, ha enfatizzato il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, generale Luca Goretti, in occasione della sua recente visita alla base aerea lituana. Un altro teatro operativo ad alto rischio di deflagrazione: anche questo scalo dista infatti un centinaio di km dall’enclave russa di Kaliningrad e a 200 km dalla Bielorussia.

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“MONEY PAY DAY – Lo stato dell’innovazione nei pagamenti in Italia”


Dalle 12.30 parteciperò all’evento “MONEY PAY DAY – Lo stato dell’innovazione nei pagamenti in Italia”, organizzato da Money.it nell’ambito della Future Week, per affrontare il tema della privacy nei pagamenti con particolare attenzione all’utilizzo della intelligenza artificiale e della moneta digitale Qui tutti i dettagli eventbrite.it/e/biglietti-mone…


guidoscorza.it/money-pay-day-l…



In Cina e Asia –


In Cina e Asia – li shangfu
I titoli di oggi:

Li Shangfu indagato per corruzione?
La Cina prima per ricerca avanzata nei settori chiave dell'Aukus
La Cina accusa gli Stati Uniti di spionaggio digitale
La vicepresidente della Commissione europea in Cina per il dialogo digitale
Cina, primo carico di gas naturale dalla Russia arrivato attraverso la rotta artica
Taiwan, la compagna di corsa di Terry Gou e il nuovo progetto cinese sullo Stretto
CICIR: il riavvicinamento tra Russia e Corea del Nord aumenta il rischio di nuova "guerra fredda"
Thailandia, Pita Limjaroenrat si è dimesso da leader del Move Forward

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Libia: la tragedia di Derna in un paese devastato dalla guerra


A Derna, in Libia, i morti causati dalle inondazioni potrebbero arrivare a 20 mila. Una tragedia causata dal cambiamento climatico e amplificata dalla guerra L'articolo Libia: la tragedia di Derna in un paese devastato dalla guerra proviene da Pagine Est

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di Marco Santopadre

Pagine Esteri, 15 settembre 2023 – Aumenta di ora in ora il triste bilancio delle inondazioniche hanno colpito la Libia. Secondo i conteggi più aggiornati, almeno 8000 persone sono morte solo nella città costiera di Derna, nel nord-est del paese, a causa del cedimento di due dighe causato dal ciclone subtropicale “Daniel” che ha spazzato la zona durante la notte tra il 10 e l’11 settembre. Le due dighe costruite dalla ditta jugoslava Hidrotehnika-Hidroenergetika tra il 1973 e il 1979 sono state investite da raffiche di vento fino a 180 km orari, accompagnate da intensissime pioggie, liberando con il loro crollo milioni di litri cubi di acqua che si sono abbattute con violenza inaudite sulle abitazioni cancellando interi quartieri.

Il bilancio sarebbe destinato a crescereancora molto visto che, secondo alcune fonti locali, i dispersi sarebbero almeno altri 10 mila mentre nella città devastata si contano circa 20 mila sfollati. Le squadre della Mezzaluna Rossa continuano a recuperare centinaia di corpi sulla spiaggia della città. Il sindaco di Derna ha affermato ad alcune agenzie di stampa di temere che la città possa ora essere colpita da un’epidemia «a causa del gran numero di corpi che giacciono sotto le macerie e nell’acqua». Nell’area stanno lavorando senza soste squadre di soccorso locali e altre arrivate dall’estero, in particolare da Egitto, Tunisia, Emirati Arabi Uniti, Turchia e Qatar. A rendere più difficili i soccorsi sono le condizioni di molte strade che sono state letteralmente spazzate via rendendo inaccessibili molte aree.

Polemiche e accuse
Intanto però monta la polemica per le eventuali responsabilità nella tragedia.
Ieri il capo dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) Petteri Taalas ha affermato che la maggior parte delle vittime delle inondazionisi sarebbero potute evitate se il paese avesse avuto un servizio meteorologico funzionante in grado di emettere un avviso di allerta con alcune ore di anticipo, permettendo un’evaquazione anticipata dei cittadini che avrebbe salvato molte vite. Secondo varie fonti, però, gli allarmi sarebbero stati emessi, ma sarebbe mancato un intervento tempestivo da parte delle autorità.
Mohamed al-Menfi, capo del consiglio formato da tre membri che funge da presidenza del governo libico riconosciuto a livello internazionale ha informato che l’organismo da lui presieduto ha chiesto al procuratore generale di indagare sul disastro.

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Khalifa Haftar e Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh

La Libia, uno stato fallito
Ma le divisioni del paese in almeno tre semistati – la Tripolitania, la Cirenaica e il Fezzan – formatisi in seguito all’intervento militare della Nato, alla guerra civile e alla forte ingerenza di almeno una decina di potenze straniere, rendono la Libia uno “stato fallito” ormai da più di un decennio. Se queste divisioni e le costanti tensioni politiche e militari hanno impedito che si potesse evitare la tragedia, ora stanno avendo ripercussioni negative sulle operazioni di salvataggio dei superstiti e sull’accertamento delle responsabilità.

Dopo la rivolta contro il regime di Muammar Gheddafi del 2011 e l’intervento militare di vari paesi aderenti all’Alleanza Atlantica – in particolare Francia e Stati Uniti, ma anche l’Italia – e la deflagrazione del paese, la città di Derna è stata a lungo in preda al caos. Nel 2015 venne occupata da milizie jihadiste in guerra tra loro e con quelle di altre regioni; ad un certo punto ad affermarsi furono i miliziani dello Stato Islamico, che avevano a lungo combattuto sia in Siria sia in Iraq prima di tornare in patria accompagnati da commilitoni di vari paesi in cerca di gloria e bottino. Nel 2018 il cosiddetto governo della Cirenaica, diretto dal generale Khalifa Haftar, decise di prendere il controllo sulla zona, obiettivo che raggiunse solo dopo lunghi e aspri combattimenti contro le milizie del cosiddetto Califfato insediato proprio a Derna.

Secondo varie denunce alcune ore prima del disastro l’amministrazione locale avrebbe richiesto l’evaquazione della popolazione alle autorità.
Il giorno prima che arrivasse la tempesta Daniel, l’ufficio del capo del governo della Cirenaica, Osama Hamad, avrebbe emesso un’allerta rivolta ai cittadini di Derna e delle città vicine, cosa che aveva già fatto anche il ministero dell’Interno del governo di unità nazionale di Tripoli.

Ma l’uomo forte della Cirenaica Haftar e il suo “Libyan Nation Army” avrebbero invitato la popolazione a restare in casa, amplificando la tragedia. Ma il portavoce dell’Esercito nazionale libico, il generale Ahmed al-Mismari, respinge ogni accusa di negligenza, affermando di aver fatto tutto quanto in suo potere per limitare i danni.
Ad Al Jazeera, intanto, il vicesindaco di Derna Ahmed Madroud ha denunciato che le due dighe crollate non erano oggetto di lavori di manutenzione ormai dal 2002.

Ovviamente il cosiddetto Governo di Unità Nazionale che regna a Tripoli ma è riconosciuto (e puntellato) da varie potenze occidentali, arabe e dalla Turchia, guidato dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibah, cercherà di sfruttare la tragedia per screditare i rivali della Cirenaica, sostenuti invece dall’Egitto e dalla Russia che nella regione ha inviato ormai alcuni anni fa i mercenari della compagnia militare privata “Wagner”.

Le colpe della Nato e della competizione globale tra potenze
Ma le responsabilità per il crollo della struttura statale libica, oltre che per la tragedia di Derna, vanno equamente distribuite tra i signori della guerra locali e le diplomazie che dal 2011 si spartiscono le spoglie di un paese ricco di petrolio e di gas ma che si è trasformato in una trappola mortale per i suoi 7 milioni di abitanti residui, in preda agli scontri etnici e religiosi, alla corruzione, all’arbitrio del più forte, alla devastazione del territorio e ora anche del cambiamento climatico.

L’intervento della Nato e gli appetiti delle potenze in competizione hanno letteralmente demolito uno dei paesi che, retto sì da un regime autoritario e repressivo, nel 2010 manteneva secondo la Banca Mondiale «alti livelli di crescita economica» e vantava «alti indicatori di sviluppo umano».
Oggi i regimi repressivi si sono moltiplicati almeno per tre – quanti sono i governi che si contendono il paese – senza contare le centinaia di milizie che a livello locale fanno il bello e il cattivo tempo, al servizio delle compagnie petrolifere e dei governi stranieri che alle popolazioni locali regalano solo insicurezza e rovine. – Pagine Esteri

9285034* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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PRIVACYDAILY


N. 161/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Più di 100 professori universitari da tutta Europa e non solo, chiedono alle istituzioni europee di inserire nel futuro regolamento sull’Intelligenza artificiale (AI Act) l’obbligo di valutare l’impatto sui diritti fondamentali (FRIA). La proposta del Parlamento europeo va già in questa direzione ma rischia di uscire indebolita dal... Continue reading →


Idee draghiane di competitivà


Ieri, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel corso della relazione sullo stato dell’Unione del 2023, ha comunicato di aver chiesto all’ex presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, un report sulla competitività. “Tre sfid

Ieri, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel corso della relazione sullo stato dell’Unione del 2023, ha comunicato di aver chiesto all’ex presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, un report sulla competitività. “Tre sfide – lavoro, inflazione e ambiente commerciale – arrivano in un momento in cui chiediamo anche all’industria di guidare la transizione pulita. Dobbiamo quindi guardare avanti e stabilire come rimanere competitivi mentre lo facciamo. Per questo motivo – ha detto Ursula – ho chiesto a Mario Draghi, una delle grandi menti economiche europee, di preparare un rapporto sul futuro della competitività europea”. Qui di seguito alcune chicche del pensiero draghiano sulla competitività. E su cosa significhi, per la politica, lavorare per avere un mondo dominato da più innovazione, più integrazione europea e più concorrenza.

L’area dell’euro si è basata fortemente sull’idea che il processo di integrazione stesso avrebbe creato gli incentivi per perseguire politiche solide. In presenza di una maggiore concorrenza attraverso il mercato unico e dell’impossibilità di svalutazioni, i governi sarebbero stati costretti ad affrontare i problemi strutturali di lungo periodo e ad assicurare la sostenibilità del bilancio. Se questo non è avvenuto è in parte perché il processo di realizzazione del mercato unico si è arrestato. Ma anche perché mancavano istituzioni fondamentali a livello di area dell’euro. Non avevamo un sistema comune di vigilanza bancaria per monitorare i flussi finanziari, situazione che in alcuni paesi ha consentito di celare le sempre maggiori perdite di competitività con una crescita non sostenibile trainata dal settore finanziario. E per le politiche economiche e di bilancio avevamo solo un processo decisionale comune debole. Sono stati compiuti molti passi importanti per porre rimedio a queste difficoltà, in particolare la realizzazione dell’unione bancaria”.

“Il mercato unico è visto non di rado come una semplice trasposizione del processo di globalizzazione a cui nel tempo è stata tolta persino la flessibilità dei cambi. Non è così. La globalizzazione ha complessivamente accresciuto il benessere in tutte le economie, soprattutto di quelle emergenti, ma è oggi chiaro che le regole che ne hanno accompagnato la diffusione non sono state sufficienti a impedirne profonde distorsioni”.

“L’apertura dei mercati, senza regole, ha accresciuto la percezione di insicurezza delle persone particolarmente esposte alla più forte concorrenza, ha accentuato in esse il senso di essere state lasciate indietro in un mondo in cui le grandi ricchezze prodotte si concentravano in poche mani. Il mercato interno, invece, sin dall’inizio è stato concepito come un progetto in cui l’obiettivo di cogliere i frutti dell’apertura delle economie era strettamente legato a quello di attutirne i costi per i più deboli, di promuovere la crescita, ma proteggendo i cittadini europei dalle ingiustizie del libero mercato. Questa era senza dubbio anche la visione di Delors, l’architetto del mercato interno”.

“Gli ostacoli agli investimenti in Italia risiedono anche nella complessità e nella lentezza della Giustizia. Quest’ultimo aspetto mina la competitività delle imprese e la propensione a investire nel paese: il suo superamento impone azioni decise per aumentare la trasparenza e la prevedibilità della durata dei procedimenti civili e penali. La lentezza dei processi, seppur ridottasi, è ancora eccessiva e deve essere maggiormente contenuta con interventi di riforma processuale e ordinamentale. A questi fini è necessario anche potenziare le risorse umane e le dotazioni strumentali e tecnologiche dell’intero sistema giudiziario”.

“Basso numero di ricercatori e perdita di talenti. Una barriera importante allo sviluppo e alla competitività del sistema economico è rappresentata dalla limitata disponibilità di competenze, con un numero di ricercatori pubblici e privati più basso rispetto alla media degli altri paesi avanzati (il numero di ricercatori per persone attive occupate dalle imprese è pari solo alla metà della media Ue: 2,3 per cento contro 4,3 per cento nel 2017). Diventa, pertanto, necessario frenare la perdita, consistente e duratura, di talento scientifico tecnico, soprattutto giovani, recuperando il ritardo rispetto alle performance di altri paesi”.

“Un fattore essenziale per la crescita economica e l’equità è la promozione e la tutela della concorrenza. La concorrenza non risponde solo alla logica del mercato, ma può anche contribuire ad una maggiore giustizia sociale. La Commissione europea e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella loro indipendenza istituzionale, svolgono un ruolo efficace nell’accertare e nel sanzionare cartelli tra imprese, abusi di posizione dominante e fusioni o acquisizioni di controllo che ostacolano sensibilmente il gioco competitivo. Il governo s’impegna a presentare in Parlamento il disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza e ad approvare norme che possano agevolare l’attività d’impresa in settori strategici, come le reti digitali, l’energia e i porti. Il governo si impegna inoltre a mitigare gli effetti negativi prodotti da queste misure e a rafforzare i meccanismi di regolamentazione. Quanto più si incoraggia la concorrenza, tanto più occorre rafforzare la protezione sociale”.

“La tutela e la promozione della concorrenza – principi-cardine dell’ordinamento dell’Unione europea – sono fattori essenziali per favorire l’efficienza e la crescita economica e per garantire la ripresa dopo la pandemia. Possono anche contribuire a una maggiore giustizia sociale. La concorrenza è idonea ad abbassare i prezzi e ad aumentare la qualità dei beni e dei servizi: quando interviene in mercati come quelli dei farmaci o dei trasporti pubblici, i suoi effetti sono idonei a favorire una più consistente eguaglianza sostanziale e una più solida coesione sociale”.

“Protagonisti della tutela e della promozione della concorrenza sono la Commissione europea e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Ma la concorrenza si tutela e si promuove anche con la revisione di norme di legge o di regolamento che ostacolano il gioco competitivo. Sotto quest’ultimo profilo, si rende necessaria una continuativa e sistematica opera di abrogazione e/o modifica di norme anticoncorrenziali. Questo è il fine della legge annuale per il mercato e la concorrenza”.

“Le misure che accrescono il grado di concorrenza nei mercati favoriscono maggiori investimenti e maggiore competitività tra le imprese. Attrarre investimenti e rendere i mercati più concorrenziali significa innanzitutto mettere le imprese in condizione di competere in termini di qualità dei prodotti, ma anche in termini di costi, spesso motivo rilevante di delocalizzazione. Un secondo effetto è incentivare la creazione di nuove imprese grazie ad un ambiente economico più attrattivo. Il grado di concorrenza può essere sinteticamente misurato dell’Indice di regolamentazione del mercato dei prodotti (Pmr) sviluppato dall’Ocse47. Sulla base di questo indicatore, l’Italia ha una qualità della regolamentazione in linea con la media dei Paesi Ocse, ma risulta meno competitiva se confrontata con Spagna e Germania, due dei principali concorrenti del paese sui mercati. Miglioramenti del Pmr, quindi maggiori livelli di concorrenza, sono correlati ad una più efficiente allocazione delle risorse, minori margini di profitto (quindi prezzi più bassi per i prodotti consumati dalle famiglie) e maggiori investimenti”.

“In Italia, la riforma della concorrenza serve a promuovere la crescita, ridurre le rendite, favorire investimenti e occupazione. Con questo spirito abbiamo approvato norme per rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati, alla tutela dei consumatori. La riforma tocca i servizi pubblici locali, inclusi i taxi, e le concessioni di beni e servizi, comprese le concessioni balneari. Il disegno di legge deve essere approvato prima della pausa estiva, per consentire entro la fine dell’anno l’ulteriore approvazione dei decreti delegati, come previsto dal Pnrr. Ora c’è bisogno di un sostegno convinto all’azione dell’esecutivo – non di un sostegno a proteste non autorizzate, e talvolta violente, contro la maggioranza di governo”.

“Il progresso dell’efficienza è ostacolato da una struttura sbilanciata nella dimensione d’impresa, poco compatibile con i nuovi paradigmi tecnologici e competitivi. Vi si associa una specializzazione settoriale ancora eccessivamente orientata alle produzioni più tradizionali. Rimuovere gli ostacoli alla crescita delle imprese è condizione necessaria per cogliere le occasioni offerte dalla globalizzazione dei mercati e per stimolare una diffusione ampia e sistematica di innovazioni nell’organizzazione aziendale, nei processi produttivi, nella gamma dei prodotti. E’ questa la via per recuperare competitività internazionale e rilanciare lo sviluppo”.

“La difesa della competitività, in Europa, attraverso la svalutazione del cambio, che peraltro alleviava solo temporaneamente gli effetti di un differenziale di produttività, è divenuta impossibile. Non vi è alternativa se non tra l’incremento del prodotto per ora lavorata e il contenimento dei redditi nominali. Alla lunga solo il progresso della produttività genera benessere economico”.

“Dalla metà dello scorso decennio la produttività del lavoro aumenta in Italia di un punto percentuale l’anno meno che nella media dei paesi dell’Ocse. Questo fenomeno è alla radice della crisi di crescita e di competitività che il paese vive. Il rapido aumento dell’occupazione degli ultimi anni, favorito dalla moderazione salariale, dalla legalizzazione di parte dell’immigrazione, dalle riforme del mercato del lavoro, ha portato a un fisiologico e atteso rallentamento nella dinamica della produttività”.

“L’intensificazione della concorrenza, l’ampliamento dello spazio per l’esplicarsi dei meccanismi di mercato sono necessari al rilancio produttivo e complementari a scelte di equità. La concorrenza costituisce il miglior agente di giustizia sociale in un’economia, in una società, come quella italiana, nella cui storia è ricorrente il privilegio di pochi fondato sulla protezione dello stato”.

Il Foglio

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New EU-US data transfer deal also faces criticism in Germany


French lawmaker Philippe Latombe's latest lawsuit at the EU's top court, which could derail the new EU-US data transfer deal, has found support in Germany, where the two-month-old agreement is already facing widespread criticism.


euractiv.com/section/data-prot…




Israele prolunga ancora l’arresto di Khaled El Qaisi


Il giovane stava attraversando il valico di Allenby con moglie e figlio dopo aver trascorso le vacanze a Betlemme. La procura continua a non formalizzare alcuna accusa L'articolo Israele prolunga ancora l’arresto di Khaled El Qaisi proviene da Pagine Est

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AGGIORNAMENTO 14 settembre ore 16

Si è conclusa la udienza prevista oggi 14 settembre. I giudici israeliani hanno prolugato la custodia cautelare per altri 7 giorni accogliendo solo in parte la richiesta di 11 giorni fatta dalla procura che non ha ancora avanzato alcuna accusa. Lo riferisce Francesca Antinucci, moglie di Khaled El Qaisi. A quanto si apprende oggi il giovane ricercatore universitario italo-palestinese ha potuto finalmente parlare al suo avvocato. Al termine dell’udienza è stato portato al Centro di detenzione di Petah Tikva.

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CONFERMATO L’ARRESTO DI KHALED EL QAISI

Pagine Esteri, 8 settembre 2023 – Khaled El Qaisi sta “abbastanza bene”. Così le poche persone autorizzate ad assistere all’udienza ieri al tribunale di Rishon Lezion hanno descritto le condizioni del ricercatore italo-palestinese arrestato il 31 agosto dalla polizia di frontiera israeliana al valico di Allenby mentre era con la moglie e il figlio. I giudici hanno prolungato l’arresto di Khaled fino al 14 settembre ma i motivi del fermo restano oscuri e tenuti sotto uno stretto riserbo, come ha spiegato l’avvocato del giovane.

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della redazione

Pagine Esteri, 3 settembre 2023 – Lo scorso 31 agosto il giovane ricercatore italo-palestinese Khaled El Qaisi è stato arrestato dalle autorità israeliane al valico di Allenby, tra Cisgiordania e Giordania. Ne danno notizia la moglie del ricercatore Francesca Antinucci e la madre Lucia Marchetti.

El Qaisi, di doppia nazionalità, italiana e palestinese, la scorsa settimana, diretto ad Amman, stava attraversando il valico di Allenby con moglie e figlio dopo aver trascorso le vacanze con la propria famiglia a Betlemme. Al controllo dei bagagli e dei documenti è stato ammanettato sotto lo sguardo del figlio di 4 anni, e della moglie.

Antinucci spiega che alle richieste di delucidazioni sui motivi del fermo, non è seguita risposta alcuna da parte degli agenti di frontiera israeliani. Invece le sono state sottoposte domande per poi essere allontanata col figlio verso il territorio giordano, senza telefono, senza contanti né contatti, in un paese straniero. Solo nel tardo pomeriggio la moglie e il bambino sono riusciti a raggiungere l’Ambasciata italiana ad Amman grazie all’aiuto di alcune persone.

Khaled El Qaisi, aggiungono la madre e la moglie, ancora non ha potuto incontrare il suo avvocato. Si è solo saputo che affronterà un’udienza davanti a giudici israeliani domani, 7 settembre, presso il tribunale di Rishon Lezion.

Traduttore e studente di Lingue e Civiltà Orientali all’Università La Sapienza di Roma, stimato per il suo impegno nella raccolta, divulgazione e traduzione di materiale storico, è tra i fondatori del Centro Documentazione Palestinese, associazione che mira a promuovere la cultura palestinese in Italia.

A sostegno di Khaled El Qaisi, l’intergruppo parlamentare per la Pace tra Palestina e Israele ha inviato una lettera-appello al ministro degli esteri Antonio Tajani, per sollecitare un intervento delle autorità di governo italiane su quelle israeliane.

«In quella che ancora viene spacciata come la ‘sola democrazia mediorientale’ è detenuto dal 31 agosto scorso un cittadino italo palestinese, stimato ricercatore universitario in Italia, colpevole di sostenere i diritti del suo popolo» denuncia Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista, coordinamento di Unione Popolare, che a nome della sua formazione politica chiede che «L’Italia ritiri l’ambasciatore se il governo israeliano non rilascerà il nostro connazionale. Così come ci siamo mobilitati – aggiunge – per la liberazione dello studente Patrick Zaki con la stessa determinazione bisogna farlo perché Khaled possa tornare presto al proprio lavoro e dai propri cari». Pagine Esteri

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Loredana Fraleone*   Sta iniziando un nuovo anno scolastico e il termine “nuovo” ha solo un portato negativo. Niente risorse destinate ai bisogni


Il caso Ustica tra politica, giustizia e verità. L’opinione del gen. Tricarico


Nel calvario di Enzo Tortora i magistrati che ne chiesero la condanna si chiamavano Lucio Di Pietro e Felice Di Persia, nella tragedia di Ustica Rosario Priore. Nel caso di Tortora – lo ricordiamo tutti – l’impianto accusatorio si liquefece impietosamente

Nel calvario di Enzo Tortora i magistrati che ne chiesero la condanna si chiamavano Lucio Di Pietro e Felice Di Persia, nella tragedia di Ustica Rosario Priore.

Nel caso di Tortora – lo ricordiamo tutti – l’impianto accusatorio si liquefece impietosamente al primo serio vaglio, non resse al confronto in aula e dopo quattro anni di gogna Tortora fu assolto.

Nella vicenda giudiziaria di Ustica è successa la stessa cosa: le tesi precostituite di Priore vennero in evidenza come tali e, seppur più faticosamente, furono demolite in giudizio dopo 272 udienze e con l’escussione di circa 4mila testimoni. In una ineccepibile sentenza della Corte di Assise di Appello di Roma, poi confermata nel 2007 in Cassazione.
Mentre però Tortora, dopo essere stato gettato in pasto ai media e umiliato in manette a reti unificate, venne assolto con pari – semmai maggior evidenza – anche agli occhi dell’opinione pubblica, nel caso Ustica si continua ancora oggi, a distanza di 18 anni dalla sentenza assolutoria, a spacciare come buone le ipotesi infondate di Priore. E, continuando nel calzante parallelo, è come se ancora oggi venissero spacciate e prese per buone le accuse infamanti dei due camorristi Pasquale Barra e Giovanni Pandico.

Oggi in altre parole, in una pertinente trasposizione concettuale, chi afferma che quel DC9 fu abbattuto da un missile, continuerebbe a tenere Tortora in carcere fino all’estinzione della pena, indossando senza vergogna i panni degli irriducibili Barra e Pandico.

Ma allora, come mai due casi pienamente sovrapponibili nell’iter giudiziario hanno subito una sorte così divaricata nel sentire comune? Assolti dalla legge, assolti anche dal cittadino nel caso Tortora, lapidati senza sosta e motivo nella vicenda di Ustica.

La risposta è semplice. La differenza la ha fatta la politica, quella con la “p” minuscola, quella collocata in un ben definito perimetro, in un campo veramente largo, accompagnata passo passo da una stampa asservita a più padroni: alla parte politica di riferimento, ad interessi personali, all’accattonaggio delle copie da vendere. E a distanza di anni, se si dovesse individuare un portabandiera di questo vero e proprio disfacimento del sistema, non vi è dubbio che Giuliano Amato svetterebbe senza rivali.

Un personaggio a cui lo Stato non ha lesinato alcunché, gratificandolo con incarichi prestigiosi e ricambiato da comportamenti incomprensibili, di cui si fa fatica a capire la vera ragione.
Possibile che un giurista, presidente emerito della Corte costituzionale, si getti senza paracadute nella mischia mediatica senza aver letto le carte del processo e in particolare la sentenza penale, confermata in Cassazione? O peggio ancora, se la sentenza l’avesse letta o ne conoscesse i contenuti, perché divulgare tante falsità, tutte – veramente tutte – confutate nelle lunghe e numerose udienze dibattimentali e ivi bollate come “fantascienza”?

Confesso che molti di noi si sono chiesti, a ragion veduta, se Amato non stesse accusando l’incalzare degli anni, ma dopo averlo ascoltato in conferenza stampa l’ipotesi è venuta meno. Il quesito quindi rimane, così come rimangono le perplessità sui motivi dello tsunami mediatico totalmente inaspettato ed immotivato. E per Amato con l’aggravante, collaterale ma forse addirittura centrale, che il suo unirsi al coro dei depistatori darà un contributo non da poco a rendere ancora più difficoltosa l’affermazione della verità su una tragedia italiana rimasta senza colpevoli.

In questo marasma, così come spesso accade in Italia, la Giustizia resta l’ultimo baluardo. La sola Procura di Roma, formalmente chiamata in causa anche dalla nostra Associazione (Associazione per la Verità sul disastro aereo di Ustica – Avdau) potrebbe, ascoltando Amato, chiarire il perché della sua tardiva, estemporanea e inusitatamente grave sortita.

Ponendogli naturalmente le giuste domande, a cominciare dal disallineamento delle dichiarazioni pubbliche di oggi rispetto a quelle da lui rilasciate sotto giuramento nel dicembre del 2001. Se questo non accadrà, allora anche l’ultimo baluardo comincerà a scricchiolare e le speranze per venire a capo dell’attentato di Ustica si affievoliranno ulteriormente.


formiche.net/2023/09/tragedia-…



Si apre domani a Cuba il G77 + la Cina, il vertice dei Paesi del sud del mondo


L'impegno sarà rafforzare la solidarietà tra le nazioni del Sud e facilitare risposte adeguate alle sfide che il mondo in via di sviluppo deve affrontare. L'articolo Si apre domani a Cuba il G77 + la Cina, il vertice dei Paesi del sud del mondo proviene

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della redazione

Pagine Esteri, 14 Settembre 2023 – Il vertice del Gruppo dei 77 + la Cina che si apre domani all’Avana intende rafforzare la solidarietà tra le nazioni del Sud e a facilitare risposte adeguate alle sfide che il mondo in via di sviluppo deve affrontare. Sono queste le intenzioni annunciate dagli Stati che prenderanno parte al summit a Cuba, il 15 e 16 settembre, e al quale parteciperà anche l’alto funzionario cinese Li Xi, rappresentante speciale del presidente Xi Jinping e capo della struttura anti-corruzione della Cina.

Il presidente cubano Miguel Díaz-Canel Bermúdez, nella sua qualità di presidente pro tempore del G-77 + Cina, e il primo ministro Manuel Marrero Cruz si preparano ad accogliere all’ “Aeroporto Internazionale José Martí” il segretario generale dell’Onu, Antonio Gutterres, i presidenti Luiz Inácio Lula da Silva del Brasile, Alberto Fernández dell’Argentina, Xiomara Castro dell’Honduras, Luis Arce della Bolivia, Gustavo Petro della Colombia e leader e rappresentanti dell’Iran, dell’Iraq e di molti altri Stati.

La partecipazione ad alto livello della Cina – scrivono i media del colosso asiatico – sottolinea l’importanza che Pechino assegna a una diplomazia internazionale che rifiuti gli scontri tra blocchi e la mentalità da Guerra fredda.

Fondato nel 1964, il Gruppo dei 77 include oggi oltre 130 paesi in via di sviluppo di Asia, Africa e America centrale e meridionale. Tra i punti del suo storico programma c’è la richiesta che gli Stati ricchi cedano lo 0,75% del loro Pil ad un fondo per aiutare le economie dei Paesi in via di sviluppo. Pagine Esteri

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Il numero di persone approdate a Lampedusa, in fuga soprattutto dal regime tunisino, con cui l'UE e l'Italia hanno stretto accordi scellerati, ha abbondantement


Lisa Beat and the Liars - Sheena Is A Beat Rocker


Fate vostro questo disco e suonatelo quando - disgraziatamente - cambieranno l'ora, farà freddo ed alle cinque del pomeriggio sarà buio, chissà forse potrebbe farvi tornare ai fasti dell'estate o quantomeno mettervi allegria facendovi intravvedere un raggio di sole. @Musica Agorà

iyezine.com/lisa-beat-and-the-…

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India, Medio oriente, Europa. Un “corridoio economico” poco economico e molto geopolitico


Il progetto esclude Iran, Iraq, Egitto, Turchia e il Nordafrica e punta con più decisione alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e una serie di Paesi e a ridimensionare i BRICS. L'articolo India, Medio oriente, Europa. Un “corridoio economico”

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di Abdelbari AtwanRaialyoum.com

Pagine Esteri, 14 settembre 2023 – Il più grande successo del vertice del G20 dello scorso fine settimana nella capitale indiana, guidato dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden e dal primo ministro indiano Narendra Modi, è stato l’annuncio di un progetto di “Corridoio economico” che collegherà l’India con il Medio Oriente e l’Europa. Questo progetto è il seme di una nuova alleanza economica che mira a uccidere i BRICS nella loro culla, cementare la normalizzazione tra Israele e gli stati del Golfo (o la maggior parte di essi), marginalizzare il Canale di Suez come rotta commerciale globale tra l’Est e l’Ovest e potenzialmente compromettere la Via della Seta cinese (nota come Belt and Road Initiative).

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Abdelbari Atwan

Queste enormi conseguenze economiche e politiche sono premeditate dal presidente degli Stati Uniti e dai suoi vecchi e nuovi alleati per servire gli interessi degli Stati Uniti e per cercare di salvare o arrestare il declino delle sue prospettive di leadership globale, frenare l’ascesa della Cina su tutti i fronti e mobilitare un fronte allargato contro la Russia nel conflitto in Ucraina.

L’assenza del presidente cinese Xi Jinping e del presidente russo Vladimir Putin dal vertice è stata una mossa calcolata. Se avessero partecipato, ciò avrebbe significato incoronare Biden presidente per un secondo mandato alle prossime elezioni presidenziali e rafforzare la leadership statunitense dell’ordine mondiale unipolare, che si è eroso negli ultimi anni a favore del duo cinese/russo.

Escludere Iraq, Siria, Egitto, Turchia e Iran dai paesi attraversati dal corridoio economico non è stata una decisione arbitraria. Sono stati omessi intenzionalmente perché la maggior parte di loro è più strettamente allineata con l’asse cinese/russo e ha una profonda storia di avversione verso l’Occidente a causa della religione musulmana e di un’esperienza secolare con le eredità imperiali. È logico escludere tutti questi paesi dal corridoio economico e includere Israele che non è più grande di una provincia dell’Egitto, della Turchia o dell’Iraq? Soprattutto in un momento in cui è governato dal governo più intransigente e razzista del mondo?

Il presidente Biden aveva ragione nel definire l’accordo per costruire questo corridoio un punto di svolta perché creerà linee ferroviarie, collegherà i porti marittimi per rafforzare il commercio, faciliterà la circolazione delle merci e sosterrà gli sforzi di sviluppo dell’energia pulita. Ma ciò che Biden non ha detto è che incoronerà Israele come leader del Medio Oriente e lo districherà da tutte le sue crisi attuali e future.

Benyamin Netanyahu non ha nascosto la sua gioia per questo grande risultato che Biden gli ha assicurato. Ha postato su X (ex Twitter): “Sono lieto di annunciare la buona notizia ai cittadini dello Stato di Israele che il nostro Paese sarà uno snodo centrale in questo corridoio economico. Le ferrovie e i porti israeliani apriranno una nuova porta dall’India attraverso il Medio Oriente fino all’Europa, e ritorno, cambiando il volto del Medio Oriente. Questo è il più grande progetto di cooperazione nella storia di Israele”.

A nostro avviso, l’India diventerà ora lo strumento più potente degli Stati Uniti contro le superpotenze russa e cinese. Nei prossimi anni, potremmo vederlo incoronato leader del Golfo e del Medio Oriente insieme a Israele, con la benedizione degli Stati Uniti e dell’Europa, e minare i BRIC dall’interno.

Questo progetto statunitense presentato al recente vertice del G20 cambierà davvero le regole del gioco e il volto del mondo? La sua intenzione implicita è quella di espandere ulteriormente la NATO sul fronte politico, economico e forse anche militare. Il volume degli scambi tra India ed Europa, che questo corridoio è apparentemente destinato a servire, ammonta a 88 miliardi di dollari. Vale la pena spendere centinaia, se non migliaia, di miliardi di dollari per costruire un corridoio?

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, messo da parte al recente vertice del G20, al suo ritorno ha dichiarato: “La Turchia è la rotta più adatta da est a ovest per un progetto di corridoio economico che colleghi l’India con il Medio Oriente e l’Europa”. Questo tardivo riconoscimento del pericolo di questo progetto potrebbe spiegare il suo caloroso incontro con il presidente egiziano Abdelfattah as-Sisi a margine del vertice.

L’Egitto e la maggior parte dei paesi del Medio Oriente e dell’Unione del Maghreb, e in particolare l’Algeria, per non parlare del popolo palestinese, subiranno i maggiori danni da questo nuovo blocco politico/economico guidato dagli Stati Uniti in coordinamento con Israele.

Il Canale di Suez, che genera più di 10 miliardi di dollari all’anno per il tesoro egiziano, sarà la vittima più grande, perdendo il 22% del suo volume commerciale dal giorno del lancio del progetto, che correrà a nord verso il porto di Haifa.

Sebbene alcuni abbiano riserve sulla sua presidenza, il defunto presidente egiziano Gamal Abdel Nasser aveva la visione giusta quando fece dell’India un alleato arabo strategico nella lotta contro il colonialismo occidentale prima che i suoi alleati la respingessero, trasformandola in uno stato amico di Israele, sia attraverso gli Accordi di Camp David o i traditori Accordi di Oslo, il cui trentesimo anniversario sembra che sarà domani, 13 settembre.

Non crediamo che la Cina, la Russia e tutti i paesi presi di mira da questo nuovo progetto statunitense rimarranno a guardare mentre procede, ma questa è un’altra questione. Solo il tempo lo dirà. Pagine Esteru

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Oggi, giovedì 14 settembre, presso la Sala “Aldo Moro” del Ministero dell’Istruzione e del Merito, si terrà la presentazione del Programma Nazionale 2021-2027 Scuola e Competenze.

Potete seguire la diretta qui dalle 10.45 ▶ youtube.



La Difesa polacca punta al 4%. Opportunità da Varsavia per Perego di Cremnago


La Polonia è avviata in un processo di robusto rafforzamento della propria componente militare. Il Paese è indirizzato convintamente all’aumento dei budget da destinare alla Difesa, con l’obiettivo di fondo di arrivare al 4% del Pil, il doppio di quanto p

La Polonia è avviata in un processo di robusto rafforzamento della propria componente militare. Il Paese è indirizzato convintamente all’aumento dei budget da destinare alla Difesa, con l’obiettivo di fondo di arrivare al 4% del Pil, il doppio di quanto previsto in sede dell’Alleanza Atlantica. In questo quadro, l’Italia può fornire il suo supporto, come già dimostrato dalle collaborazioni con Leonardo, dall’addestratore M-346, agli elicotteri AW101 e AW149, fino alle opportunità per l’Eurofighter Typhoon. Ne abbiamo parlato con Matteo Perego di Cremnago, sottosegretario alla Difesa, tornato di recente dalla visita in Poloni alla International Defence Industry Exhibition, la principale fiera del settore dell’Europa centrale. Il nostro Paese è stato protagonista, con Leonardo e MBDA Italia in prima linea.

Che tipo di collaborazioni industriali auspica possano evolversi tra il nostro Paese e Varsavia?

La Polonia rappresenta un Paese strategico per l’industria nazionale ed in particolare per Leonardo, considerati gli importanti investimenti effettuati recentemente dall’Azienda nel Paese, tra cui l’acquisizione della compagnia elicotteristica PZL Swidnik e la costituzione della società Leonardo Polonia. Ci sono già numerosi contratti acquisiti da Leonardo in Polonia negli ultimi anni, tra cui velivoli M-346 per l’Aeronautica Militare; elicotteri AW101 per la Marina Militare; elicotteri multiruolo AW149. E altre opportunità commerciali che riguardano gli aerei Eurofighter Typhoon, ad esempio, in relazione alla sempre più pressante necessità della Polonia di acquisire velivoli per l’Air Superiority, Elicotteri da addestramento: l’Aeronautica Militare polacca deve sostituire i suoi vecchi elicotteri da addestramento SW-4 e Mi-2. Incontrando le autorità locali, su delega del ministro Crosetto, ho avuto modo di esprimere la volontà italiana di una più stretta collaborazione con la Polonia nel settore della difesa, sicurezza e aerospazio, confermando il supporto alle esigenze di rinnovamento delle Forze armate polacche, attraverso attività di collaborazione con trasferimenti tecnologici e ricadute occupazionali nel Paese.

La Polonia sta rafforzando significativamente il proprio strumento militare, un’esigenza resa più urgente dall’invasione russa dell’Ucraina. In che modo l’Italia può supportare questo potenziamento, sia dal punto di vista industriale che operativo?

Come ho detto prima il supporto di natura industriale è di mutuo interesse per lo sviluppo capacitivo polacco e per le nostre aziende nazionali della Difesa. Operativamente lo Stato Maggiore della Difesa Italiano sta concludendo la preparazione operativa per l’impiego di velivoli F-35A per il rafforzamento della difesa aerea della Polonia durante il periodo della campagna elettorale e delle elezioni, tra settembre e ottobre. E dal mese di dicembre e per i successivi otto mesi l’Aeronautica Militare italiana svolgerà attività di Air Policing nei cieli della Polonia, sia con F-35A che con Eurofighter F2000. Vi è anche la possibilità di incrementare le attività addestrative congiunte tra le rispettive Forze Armate con l’impiego del poligono di Drawsko per le forze terrestri; la possibilità di nostra presenza navale strutturata nel Baltico e anche la possibilità addestramento congiunto per i piloti degli F35.

Varsavia ha aumentato del 16% il proprio budget per la Difesa, raggiungendo il 3% del Pil. Un punto in più rispetto a quanto chiesto dalla Nato. In Italia, intanto, ancora si dibatte sulla necessità di raggiungere il 2%, perché?

Sono undici i Paesi che raggiungeranno la soglia del 2% del Pil quest’anno, e diventeranno diciannove nel 2024, l’Italia, al momento, è 24esima tra i Paesi Nato in una ipotetica graduatoria, può però ascriversi il merito di aver impedito la richiesta di molti alleati della Nato di porre la spesa del 2% del Pil come un obbligo, infatti nel comunicato finale del vertice di Vilnius, di qualche mese fa, si parla di impegno a spendere il 2%, senza obblighi temporali che per l’Italia potrebbe essere il 2028. Vi è, ovviamente, il timore che il nostro Paese possa essere l’ultimo a raggiungere l’obiettivo, ma la composizione della spesa nel bilancio non è di diretta influenza del dicastero Difesa che può proporre, ma non decide. L’obiettivo non va assolutamente accantonato in quanto importante per la difesa dell’Italia stessa oltre che degli alleati, dei livelli adeguati nella capacità di difesa nazionale verranno raggiunti proprio attraverso il perseguimento degli standard Nato al di là di quelli decisi internamente. La libertà del Paese, la sua sicurezza, la sua Difesa hanno un costo, quello che si investe in questo settore torna in modo esponenziale in termini di difesa dei nostri interessi nazionali, l’impegno del 2% di spesa dedicata alla Difesa in rapporto al Pil va mantenuto seriamente, in un percorso certo graduale e senza ipotecare scelte di finanza pubblica nell’immediato futuro, deve essere un obiettivo del nostro governo per il bene del Paese.

La necessità di modernizzare le proprie Forze armate sta spingendo la Polonia a preferire mezzi già disponibili off-the-shelf. È il caso dei carri armati Abrams e dei 96 elicotteri Apache, questi ultimi parte dell’accordo più consistente dell’export Usa per il 2023. Questo trend non rischia di essere un problema per la progettata industria europea della Difesa?

La Defence security cooperation agency (Dsca) degli Stati Uniti ha reso noto che il dipartimento di Stato ha approvato e notificato al Congresso la vendita di 96 elicotteri da combattimento Boeing AH-64E Apache alla Polonia al costo di circa dodici miliardi di dollari. Gli Apache, prodotti finora in 2.700 esemplari, sono stati chiesti da Varsavia per rimpiazzare la flotta di elicotteri da attacco di tipo russo/sovietico Mil Mi-24 composta da 18 esemplari di cui almeno dodici già ceduti all’Ucraina. La componente elicotteristica da combattimento polacca verrà quindi non solo ammodernata ma ampliata di cinque volte. Si percepisce inoltre come la Polonia punti al 4% del Pil (il doppio di quanto richiesto dalla Nato) entro breve tempo. Varsavia punta su un rafforzamento dei legami industriali con gli Stati Uniti e con la Corea del Sud, a breve però si terranno le elezioni politiche che definiranno il futuro orientamento della Polonia verso il progetto europeo, anche nei suoi aspetti di difesa.


formiche.net/2023/09/difesa-po…



InPremier


I dati che abbiamo esaminato ieri non sono allarmanti in sé, ma hanno un aspetto sinistro: l’economia europea rallenta il ritmo di crescita, ma è previsto che l’anno prossimo torni ad accelerare, mentre l’Italia rallenta e c’è il timore che l’anno prossim

I dati che abbiamo esaminato ieri non sono allarmanti in sé, ma hanno un aspetto sinistro: l’economia europea rallenta il ritmo di crescita, ma è previsto che l’anno prossimo torni ad accelerare, mentre l’Italia rallenta e c’è il timore che l’anno prossimo continui a rallentare. Spiegare la diminuita produzione industriale con la recessione in cui ora si trova la Germania – che influisce – toglie argomenti per spiegare perché l’economia tedesca si prevede corra nel 2024, mentre la nostra assai meno. Le cause sono interne e riguardano il mercato, la concorrenza, l’amministrazione pubblica, la giustizia, la scuola… Per fare le riforme e adottare i provvedimenti utili è necessario che il presidente del Consiglio abbia maggiori poteri o che sia eletto direttamente e indipendentemente dai partiti?

È fondato il timore che sia una discussione inutile, una perdita di tempo. La questione non è – come s’è singolarmente sostenuto – tenere in equilibrio i poteri del Presidente della Repubblica: al Quirinale abitava il papa, che era anche re, poi ha preso dimora il re e ora è la sede della nostra Presidenza. L’istituzione non appartiene a nessuno e il palazzo alla Repubblica. La questione è che il rafforzamento illusorio di un potere genera una pericolosissima fragilità, che anziché consolidarlo lo sbriciola.

Meloni non ha i pieni poteri – che nessuno ha mai, in uno Stato di diritto – ma è nella pienezza del suo potere: ha una maggioranza parlamentare assoluta in entrambi i rami del Parlamento e guida il partito che ha preso più del doppio dei voti degli alleati. Per giunta, complice l’ignoranza e la solo sventolata anglofobia, hanno preso tutti a chiamarla “premier”, che dà il segno della cecità istituzionale e il comico di volere introdurre il premierato in un Paese ove ci sarebbe già un premier. La vulnerabilità di Meloni – e non soltanto sua – non è nel dettato costituzionale, ma nel costume politico: chiamiamo maggioranza la somma delle minoranze che si alleano, salvo poi avere ciascuna il potere di distruggere la maggioranza. Se si cementificasse il capo del governo avremmo queste conseguenze: a. ai livelli attuali il maggiore potere sarebbe in capo a chi prende meno di un terzo dei voti espressi (che già sono pochi); b. poi, per governare veramente, o diventa trasformista il presidente o lo diventa chi lo sostiene o lo divengono entrambi. Sempre la solita zuppa.

Non è un caso che il capo del potere esecutivo non si elegga direttamente in nessuna democrazia, salvo Israele. Dove funziona male. Gli Usa sono uno Stato federale, in Francia si elegge il Presidente della Repubblica, in nessuna democrazia europea il capo del governo. Non si fa perché non funziona. Non consolida, irrigidisce. E le cose rigide si spezzano. La Repubblica è nata dopo una guerra civile, la cui radiazione fossile non è estinta e ancora inquina la vita collettiva.

La smania premierista nasce da una falsificazione storica, ovvero l’essersi raccontati che i governi italiani sono sempre stati tutti instabili e brevi. Falso. Dal 1948 al 1992 abbiamo avuto, nella sostanza, quattro governi: centrismo, centrosinistra, solidarietà nazionale e pentapartito. E i partiti di governo hanno sempre vinto le elezioni, senza trasformismo. Dal 1994 chi governa non vince mai le elezioni e impera il trasformismo. Vero che taluni governi duravano pochi mesi, ma in quello successivo tornavano gli stessi partiti e anche le stesse persone. Quel che conta è il costume: in Germania chi cambia idee e casacca è un inaffidabile, in Italia un furbo.

Eppure dei rafforzamenti sarebbero utili. Ad esempio: la possibilità di revocare i ministri, sottoponendo al voto di fiducia soltanto il neonominato; la non emendabilità dei decreti legge (così si eviterebbe l’imbarazzante sceneggiata del decreto sulle banche); la sfiducia costruttiva, ovvero dover indicare il nuovo esecutivo per far cadere il vecchio. Nulla a che vedere con quello che si chiama grossolanamente “premierato” o con la smargiassata impotente dell’elezione diretta.

La Ragione

L'articolo InPremier proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



In Cina e in Asia – La Cina primo Paese a nominare un ambasciatore in Afghanistan


In Cina e in Asia – La Cina primo Paese a nominare un ambasciatore in Afghanistan afghanistan
I titoli di oggi:

La Cina primo Paese a nominare un ambasciatore in Afghanistan
La Cina presenta la sua proposta per regolare l’AI a livello internazionale
Pechino risponde all'indagine dell'Ue sui veicoli elettrici
La Cina svela un piano di integrazione con Taiwan
Hong Kong ha il sostegno di Pechino per un ambiente imprenditoriale libero
Innalzate le relazioni tra Cina e Venezuela
Il cardinale Zuppi a Pechino vedrà l’inviato speciale cinese per gli affari eurasiatici
Squadra del governo rinnovata per il premier giapponese Kishida

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Kim in Russia, Zuppi a Pechino: tra "guerra santa” e vie di pace cresce il grano


Kim in Russia, Zuppi a Pechino: tra 9253079
Mentre il leader supremo della Corea del nord incontra Putin, a Pechino arriva l'inviato di Papa Francesco. A Vladivostok accordo sul grano tra Cina e Russia

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“STATI GENERALI DELLA COMUNICAZIONE PER LA SALUTE”


A partite dalle ore 10.00 avrò il piacere di partecipare agli STATI GENERALI DELLA COMUNICAZIONE PER LA SALUTE organizzati da Federsanità per parlare di storytelling ed uso dei testimonial Qui il programma completo federsanita.it/2023/08/05/pnrr…


guidoscorza.it/stati-generali-…



PRIVACYDAILY


N. 160/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: L’allenatore dei Columbus Blue Jackets Mike Babcock e il capitano Boone Jenner negano le accuse secondo cui Babcock avrebbe agito in modo inappropriato e violato la privacy dei giocatori chiedendo di vedere le foto sui loro cellulari.L’ex giocatore della NHL Paul Bissonnette ha dichiarato nell’edizione di martedì del... Continue reading →


Come le app mobili condividono illegalmente i vostri dati personali Alcune app mobili condividono i vostri dati personali subito dopo l'apertura. Questo non è conforme alle leggi sulla privacy dell'UE Mobile Apps Header


noyb.eu/it/how-mobile-apps-ill…



Navigating Cross-Border Data Transfers in the Asia-Pacific region (APAC): Analyzing Legal Developments from 2021 to 2023


Today, the Future of Privacy Forum (FPF) published an Issue Brief comparatively analyzing cross-border data transfer provisions in new data protection laws in the Asia-Pacific. Titled Navigating Cross-Border Data Transfers in the Asia-Pacific region (APAC

Today, the Future of Privacy Forum (FPF) published an Issue Brief comparatively analyzing cross-border data transfer provisions in new data protection laws in the Asia-Pacific. Titled Navigating Cross-Border Data Transfers in the Asia-Pacific region (APAC): Analyzing Legal Developments from 2021 to 2023, the Issue Brief outlines key developments in cross-border data transfers in the Asia-Pacific in the last few years, and explores the potential impact on businesses operating in the APAC region.

DOWNLOAD THE ISSUE BRIEF

Today, cross-border data transfers are pivotal in enabling the global digital economy and facilitating digital trade. These transfers allow businesses to provide services globally, while allowing individuals access to a wide range of digital services and platforms. Yet, cross-border data transfers also raise legitimate concerns regarding the protection of individuals’ privacy and security.

Amidst this tension, data protection laws attempt to strike a balance by requiring organizations to satisfy certain conditions to ensure that personal data is appropriately protected when it is transferred out of jurisdiction, absent special circumstances. Common conditions include:

  • Assessment of the level of personal data protection in the destination jurisdiction (also known as “adequacy”);
  • Adoption of safeguards, such as legally binding agreements or certifications or rules approved by a regulator;
  • Consent from data subjects; and
  • Necessity for various, specifically defined purposes.

The APAC region has seen a significant acceleration in data protection regulatory activity in recent years, including the enactment of new data protection laws. In particular, since 2021, China, Indonesia, Japan, South Korea, Thailand, and Vietnam have newly enacted or amended their data protection laws and regulations.

An analysis of the data protection laws and regulations in these six jurisdictions indicates that there is a degree of alignment between Indonesia, Japan, South Korea, and Thailand regarding legal bases for cross-border data transfers, but China and Vietnam appear to be outliers with their own unique requirements. Notably:

  • Indonesia, Japan, South Korea, and Thailand all recognize adequacy and consent as valid legal bases for cross-border data transfers. There is also some alignment on the recognition of certification schemes.
  • However, given that these laws were enacted or amended recently, there remains uncertainty on which jurisdictions might be recognized as mutually adequate, or which certification schemes will be ultimately recognized.
  • China and Vietnam differ substantially from the other jurisdictions studied. Both jurisdictions impose unique conditions for transferring personal data, such as requiring transferring organizations to file detailed assessments with the relevant regulator.
  • Vietnam also only recognizes a single legal basis for transferring personal data abroad, while China recognizes three.

These divergences to regulating cross-border data transfers likely reflect the different policy considerations in every jurisdiction, the tension between enabling cross-border data transfers to facilitate digital trade, and national considerations, such as protecting national security and sovereignty. These divergences could complicate efforts by organizations operating in multiple jurisdictions to align their regional compliance programs. Nonetheless, there are promising avenues for increasing interoperability in the region, such as standardized or model contractual clauses, the growing recognition of regional certification schemes such as the APEC Cross Border Privacy Rules and Privacy Recognition for Processors systems, and to a more limited extent, the possibility that some jurisdictions may obtain adequacy decisions from the European Union in future.

For deeper analysis of these points and of the cross-border data transfer provisions for each of the six jurisdictions covered, download the Issue Brief here.

For inquiries about this Issue Brief, please contact Josh Lee Kok Thong, Managing Director (APAC), at jlee@fpf.org, or Dominic Paulger, Policy Manager (APAC), at dpaulger@fpf.org.

FPF is grateful to the following contributors for their assistance in ensuring the accuracy of this report:

  • Kemeng Cai (In-house Privacy Counsel, China)
  • Iqsan Sirie (Partner, TMT, Assegaf Hamzah & Partners) and Daniar Supriyadi (Associate, Capital Markets, M&A, Assegaf Hamzah & Partners)
  • Takeshige Sugimoto (Managing Director and Partner, S&K Brussels LPC; Senior Fellow, Future of Privacy Forum)
  • Thitirat Thipsamritkul (Lecturer, Faculty of Law, Thammasat University)
  • Kwang Bae Park (Partner, Head of TMT, Lee & Ko)
  • Kat MH Hille (General Counsel, OceanCDR.Tech)

Please note that nothing in this Issue Brief should be construed as legal advice.
Further reading: In November 2022, FPF’s APAC office concluded a year-long project on consent and alternative legal bases for processing data in APAC that culminated in a reportcomparing relevant requirements in 14 APAC jurisdictions.


fpf.org/blog/navigating-cross-…



La notizia di un nuovo incidente alla Sabino Esplodenti con tre morti mi riempie di indignazione e rabbia. Dopo circa un mese dall’esplosione del 21 dicembre


Elogio del capitalismo


L’intellettuale americano Noam Chomsky, uno dei maggiori critici del capitalismo, ha scritto che «la vera concentrazione di potere sta nelle mani dell’un per cento più ricco» della popolazione: «Ottengono quello che vogliono, perché in pratica gestiscono

L’intellettuale americano Noam Chomsky, uno dei maggiori critici del capitalismo, ha scritto che «la vera concentrazione di potere sta nelle mani dell’un per cento più ricco» della popolazione: «Ottengono quello che vogliono, perché in pratica gestiscono tutto loro». Secondo un sondaggio internazionale compiuto in 34 paesi da Ipsos MORI, i cui risultati sono stati illustrati nel mio libro Elogio del capitalismo, la maggior parte delle persone ritiene che i ricchi, all’interno di un sistema capitalista, detengono il potere.

Vorrei controbattere a questa percezione con tre argomenti. Primo: i ricchi esercitano effettivamente un potere di natura politica, ma non del tipo che viene rappresentato dai media, dai film hollywoodiani e da alcuni intellettuali anticapitalisti. Secondo: il fatto che i ricchi concorrano nel definire l’agenda politica, ad esempio attraverso pratiche lobbistiche, non è solo legittimo in una democrazia pluralistica, ma è anche importante. Inoltre, quelle leggi che attirano l’attenzione dei ricchi, spesso arrecano benefici anche i membri più poveri della società (ad esempio, tagli fiscali e deregolamentazione). Terzo: chiunque pensi che i ricchi esercitino troppa influenza sulla politica, dovrebbe essere a favore di meno intervento pubblico, ovvero più capitalismo. Dopotutto, più lo Stato interviene nell’economia (mediante investimenti, sussidi e regolamentazioni), più influenza può essere esercitata dai lobbisti.

Gli Stati Uniti sono generalmente considerati un paese in cui i ricchi esercitano un’influenza particolarmente rilevante sugli sviluppi politici. Nonostante ciò, non è solo il denaro lo strumento atto a comprare il potere politico, altrimenti Donald Trump non avrebbe mai vinto la candidatura repubblicana per le elezioni presidenziali del 2016. Avrebbe invece vinto Jeb Bush, che aveva raccolto molte più donazioni. Perfino Benjamin I. Page e Martin Giles, due scienziati politici e fra i più importanti sostenitori della tesi secondo cui la politica degli Stati Uniti sia trainata dai ricchi, hanno riconosciuto che «la maggior parte dei grandi donatori e la maggior parte dei think-tank, così come il vertice del partito repubblicano supportavano altri candidati». Inoltre: «Le posizioni di Trump andavano direttamente contro le opinioni dei donatori e degli americani ricchi».

Oltretutto, se i soldi determinassero i risultati politici, Trump non avrebbe vinto le elezioni del 2016. Secondo la Commissione elettorale federale, Hilary Clinton, il Partito Democratico e i comitati che la sostenevano, hanno raccolto più di 1,2 miliardi di dollari per l’intero ciclo elettorale. Trump e i suoi alleati ne hanno raccolti seicento milioni. E se solo i soldi potessero comprare il potere politico, neanche Joe Biden avrebbe potuto diventare presidente. Invece, la Casa Bianca sarebbe stata affidata al ricco imprenditore Michael Bloomberg, che ai tempi della sua candidatura per i democratici era l’ottavo uomo più ricco al mondo, con un patrimonio stimato di 61,9 miliardi di dollari. Molto probabilmente, nessuno ha mai speso più soldi di lui, e in così poco tempo, per una campagna elettorale, ovvero 1 miliardo di dollari in neanche tre mesi.

Lo scienziato politico americano Larry M. Bartels ha analizzato l’effetto delle spese elettorali dei singoli candidati in 16 elezioni presidenziali degli Stati Uniti, dal 1952 al 2012. Per Bartels, solo in due elezioni, cioè quelle vinte da Richard Nixon nel 1968 e da George W. Bush nel 2000, i candidati repubblicani hanno riportato la vittoria grazie al maggior denaro speso.

Cosa dire poi del fatto che la maggior parte dei membri del Congresso statunitense sia composto da persone facoltose? Martin Gilens, che in generale critica l’influenza dei ricchi sulla politica degli Stati Uniti, ha ammesso che non c’è nessuna prova che collega la ricchezza personale con le decisioni politiche dei membri del Congresso.

Molte persone associano il concetto di “capitalismo” con quello di “corruzione”. La visione secondo la quale la corruzione sia particolarmente diffusa nei paesi capitalisti è sbagliata; ciò è stato confermato confrontando l’Indice di percezione della corruzione (CPI) di Transparency International con l’Indice della libertà economica. I paesi con i livelli di corruzione più bassi sono gli stessi paesi che hanno i livelli di libertà economica più alti. E più i governi intervengono nella vita economica, più opportunità ci saranno per corrompere politici o dipendenti pubblici. Quindi, chiunque voglia limitare l’influenza immorale o criminale dei cittadini ricchi sulla politica, dovrebbe essere a favore di una limitazione del ruolo dello Stato.

Linkiesta.it

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di Ezio Locatelli* - Prepariamoci ad un autunno militante. Salario minimo a 10 euro, no alla cancellazione del reddito di cittadinanza, contrarietà ad ogni


Tutti i passi avanti fatti sul Gcap alla fiera di Londra


“Un programma industriale e tecnologico, ma soprattutto una scelta politica per la sicurezza dell’area che va dall’Atlantico all’Indo-Pacifico”. Così Guido Crosetto, ministro della Difesa, ha definito oggi il Global Combat Air Programme, progetto lanciato

“Un programma industriale e tecnologico, ma soprattutto una scelta politica per la sicurezza dell’area che va dall’Atlantico all’Indo-Pacifico”. Così Guido Crosetto, ministro della Difesa, ha definito oggi il Global Combat Air Programme, progetto lanciato da Italia, Regno Unito e Giappone per lo sviluppo dell’aereo da caccia di nuova generazione entro il 2035, al termine di un incontro trilaterale a Londra a cui hanno preso parte anche James Roger Cartlidge, minister (sottosegretario) con delega al procurement della Difesa del Regno Unito, e Kiyoshi Serizawa, viceministro della Difesa del Giappone. L’incontro a Lancaster House ha rappresentato l’occasione per fare il punto della situazione e decidere i nuovi passi da intraprendere per l’attuazione del progetto stesso. Vanno “definiti gli accordi che riescano a far ottenere a tutti e tre i Paesi lo stesso ritorno in termini di crescita tecnologica e di impatto sulla produzione industriale”, ha commento Crosetto.

Ieri, primo giorno della fiera Dsei a Londra, Leonardo, Bae Systems e Mitsubishi Heavy Industries avevano annunciato la definizione dei termini della collaborazione trilaterale per soddisfare i requisiti della fase concettuale del sistema di difesa aerea di nuova generazione nell’ambito del Global Combat Air Programme. Oggi, invece, al salone londinese è stata l’occasione della firma dell’accordo di collaborazione sottoscritto da Mbda Italia ed Mbda UK per lavorare sul dominio effetti, come parte del programma, insieme a Mitsubishi Electric Corporation. “Sfruttando logiche di combattimento innovative, in contesti multi-dominio, dove la digitalizzazione, l’integrazione e l’interoperabilità tra i vari sistemi sarà un must, Mbda è pronta a mettere in campo tutte le sue risorse più avanzate per sviluppare e integrare sistemi di armamento evoluti e sistemi per la gestione degli effectors che rispondano a questi requisiti, anche in un’ottica di efficientamento di tempi e costi”, ha spiegato Giovanni Soccodato, executive group director sales and business development di Mbda e managing director di Mbda Italia a margine della cerimonia.

A ciò si aggiunge l’annuncio di un assetto congiunto tra Leonardo UK per il Regno Unito, Mitsubishi Electric per il Giappone e Leonardo ed Elt Group in rappresentanza dell’Italia per la realizzazione del progetto Gcap nel settore Isanke & Ics (Integrated sensing and non-kinetic effects & integrated communications systems), cioè l’elettronica avanzata a bordo del velivolo da combattimento.

Il ministro Crosetto non ha incontrato il nuovo omologo, Grant Shapps. Il successore di Ben Wallace ha subito un grave lutto familiare che l’ha costretto a cancellare il bilaterale e la sua partecipazione alla trilaterale.


formiche.net/2023/09/gcap-tril…



Laura Tussi Giochi Preziosi ha lanciato una linea di zaini scolastici con il brand dell'esercito e accompagnata da una serie di claim ispirati alla cultura b



Invece di mandare portaerei nel Mare della Cina e armi all'Ucraina dovremmo essere in prima fila nei soccorsi alle popolazioni in Marocco e Libia per costruire


Questa mattina il Ministro Giuseppe Valditara, in raccordo con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), ha inaugurato una targa in memoria degli espulsi dalla scuola italiana vittime della persecuzione antiebraica e dell’applicazione delle l…


ResoConto


Dall’ordine pubblico alle riforme costituzionali s’usa dire che il governo spara annunci allo scopo di distrarre dall’importante, vale a dire l’economia. Non condivido questa osservazione. Si può – come qui cerchiamo di fare – discutere nel merito le misu

Dall’ordine pubblico alle riforme costituzionali s’usa dire che il governo spara annunci allo scopo di distrarre dall’importante, vale a dire l’economia. Non condivido questa osservazione. Si può – come qui cerchiamo di fare – discutere nel merito le misure proposte e le intenzioni annunciate, ma non è vero che l’importanza di un problema cancelli gli altri.

I governanti odierni – che già ripetutamente e lungamente governarono in passato – al loro debutto, in consonanza con gli odierni oppositori, usano il tema economico dando per scontata la drammaticità del presente. Sbagliano. L’Italia viene da un triennio di crescita imponente, quanta non se ne vedeva da lustri. Quest’idea che il solo modo per dimostrarsi consci della situazione consista nel descriverla come catastrofica è fuori dalla realtà e non tiene in alcun conto la crescita della ricchezza, delle esportazioni e anche dell’occupazione.

Le previsioni della Commissione europea, rese note ieri, mettono in conto un rallentamento della crescita, ma non una recessione. Il Prodotto interno lordo Ue dovrebbe crescere dello 0.8% (rispetto all’1% prima previsto), per poi accelerare all’1.4% nel 2024. Il Pil dell’area dell’euro è previsto in crescita di un eguale 0.8% (rispetto all’1.1%). L’Italia, prevede la stessa fonte, anche quest’anno crescerà (poco) più della media, con uno 0.9% (rispetto all’1.2%). Andiamo negativamente in controtendenza nel 2024, crescendo dello 0.8%, quindi rallentando ulteriormente. Sempre ieri sono arrivati i dati Istat che segnalano, dopo il calo dell’occupazione, un decremento della produzione industriale pari a -2.1% su base annua. Il problema non è quel che si è trovato, ma quel che è maturato. Non sono i fatti a tradire il governo Meloni, sono le parole della propaganda di ieri a tradire la realtà. E vince la realtà.

Possiamo pure fare finta che tutto dipenda dall’umore di Paolo Gentiloni, ma per crederci si deve essere o molto ignoranti o molto sciocchi. Se taluni governanti (Salvini) lo attaccano è per rendere più difficile il lavoro di Meloni e Giorgetti. Se Meloni si allinea a quegli attacchi (in realtà ha provato ad annacquarli, senza riuscirci, poi rincarando con Ita, che c’entra nulla e le cose stanno diversamente) significa una cosa temibile: non quadrano i conti e ci si arrende alla verità del resoconto.

Si deve uscire dalla lagna perpetua dei mantenuti che reclamano sostegni e ristori e prendere ad occuparsi dell’Italia produttiva. Che c’è e regge la baracca. Dice il ministro dell’Economia, Giorgetti: <<Se badiamo solo alla domanda e insistiamo a far fare allo Stato la parte del Re Sole che distribuisce prebende, sussidi e sovvenzioni, non andiamo lontani>>. Esatto, ma diverso da quanto promesso. La non-novità è che sfondare deficit e debito ci costerebbe più di quel che se ne potrebbe elargire.

Condizione drammatica? No. Perché se ragionassimo degli interessi italiani e non dei governanti che aspirano ai voti corresponsabili degli italiani, il debito pubblico dovremmo provare a farlo calare il doppio e il triplo di quel che la Commissione europea (senza troppo crederci) indica. Avremmo interesse ad essere digitalizzati il quadruplo, a far funzionare la giustizia il quintuplo, ad avere una scuola formativa e selettiva il decuplo. Che non significa buttare i soldi pubblici nella ditta che fa il sito governativo ridicolo e non funzionante. Appaltiamo ai gestori dei siti porno. Non significa pagare di più senza cambiare nulla, ma cambiare il necessario affinché si possa pagare meno ed ottenere di più. E questa non è una condizione deprecabile, ma uno sforzo auspicabile.

Solo che comporta la capacità di reinterpretare le forze politiche non come i colori cangianti della rancida zuppa sempre uguale, fatta di elemosine, risarcimenti, condoni e protezioni delle rendite parassitarie, ma come la tavolozza da usarsi per dipingere un futuro prossimo in cui il più popolare non sia quello che usa meglio il nero per promettere a tutti il soldo.

La Ragione

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