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Tecnocina: Il capo dei nerd


Tecnocina: Il capo dei nerd nerd
Per gentile concessione di add editore riproponiamo un estratto di Tecnocina, il libro in cui Simone Pieranni ripercorre la storia della Repubblica popolare dal 1949 fino ai giorni nostri, attraverso un intreccio di vicende affascinanti mai narrate prima al cui centro spiccano le storie di donne e uomini finora ignoti.

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In Cina e Asia – Cina, l’Oms osserva casi di polmonite batterica tra i bambini


In Cina e Asia – Cina, l’Oms osserva casi di polmonite batterica tra i bambini polmonite
I titoli di oggi:

Cina, picco di casi di polmonite batterica tra i bambini
Mar cinese meridionale: fregata cinese osserva le esercitazioni di Filippine e Usa
Pentagono: Usa ritardo di 4 anni sulla Cina
Il tribunale della Corea del Sud ordina al Giappone di risarcire le "comfort women”
Nepal: scontri tra polizia e manifestanti pro-ripristino della democrazia
Sri Lanka: sempre più famiglie sotto la soglia di povertà

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VERSIONE ITALIANA UK, L’ICO AVVERTE I PRINCIPALI SITI WEB DEL REGNO UNITO DI APPORTARE MODIFICHE AI COOKIEIn UK il Commissario per l’informazione ha avvertito i principali gestori di sit web che potrebbero subire una serie di controlli relativamente alle loro policy riguardo i cookie perché gli utenti devono poter rifiutare il tracciamento con la stessa …


GAZA. Cominciata la tregua. Israele ordina ai palestinesi di non tornare al Nord


Sembra tenere il cessate di quattro giorni tra Israele e Hamas, la prima pausa in una guerra che dura da 48 giorni e che ha devastato Gaza e ucciso oltre 14mila palestinesi. Ma prima della tregua Israele ha bombardato senza sosta. L'articolo GAZA. Cominc

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della redazione

Pagine Esteri, 24 novembre 2023Non ci sono notizie di bombardamenti, colpi di artiglieria e di lanci di razzi. Sembra tenere il cessate di quattro giorni tra Israele e Hamas, la prima pausa in una guerra che dura da 48 giorni e che ha devastato la Striscia di Gaza e ucciso oltre 14mila palestinesi.

La tregua è iniziata alle 7 del mattino (le 6 in Italia) e questo pomeriggio alle 16 (le 15 italiane) dovrebbe esserci il rilascio di 13 donne e bambini israeliani nelle mani di Hamas e l’afflusso di aiuti a Gaza. In cambio 40 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane saranno stati liberati, si tratta in prevalenza di donne e adolescenti.

Nelle ore precedenti alla tregua, Israele ha bombardato senza sosta Gaza. Soldati inoltre hanno effettuato una incursione nell’ospedale Indonesiano dove, secondo testimoni, hanno ucciso una donna e arrestato tre palestinesi. L’Esercito israeliano intanto ha intimato alla popolazione di non tornare al Nord di Gaza e a Gaza city – come molti sfollati palestinesi intendevano fare – perché sarebbero ancora un “territorio di guerra”. Pagine Esteri

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Pubblichiamo l’intervento di Raniero La Valle al convegno “CESSATE IL FUOCO Giustizia per la Palestina” tenutosi a Roma, alla Casa Internazionale delle Do


Nuova scissione, Syriza è allo sbando


Nuova scissione contro il segretario Kasselakis e la svolta a destra del partito. Syriza perde 11 deputati e tre europarlamentari e crolla nei sondaggi L'articolo Nuova scissione, Syriza è allo sbando proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2

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di Redazione

Pagine Esteri, 23 novembre 2023 – Il finora principale partito di opposizione greco, Syriza, continua a perdere militanti e dirigenti che accusano la nuova leadership di “comportamento autoritario” e di snaturare la formazione.

Oggi nove parlamentari aderenti alla corrente denominata “6+6”, tra cui alcuni ex ministri e dirigenti del partito, hanno annunciato l’abbandono di Syriza che rimane così con soli 36 parlamentari sui 300 totali, appena quattro in più rispetto al terzo partito, il socialista Pasok.

La “coalizione della sinistra radicale” sembrava aver retto bene alla gestione della crisi del 2015 quando, giunta al potere con la promessa di mettere fine all’austerità e di respingere i piani “lacrime e sangue” della Troika, aveva invece capitolato ai diktat di Bruxelles e delle istituzioni finanziarie internazionali nonostante la vittoria del ‘no’ nel referendum convocato dal premier Tsipras per respingere il Terzo Memorandum, cioè l’elenco di tagli e privatizzazioni imposto dall’UE e dal FMI in cambio di nuovi prestiti.

Ma la crisi di fiducia nel partito è arrivata con alcuni anni di ritardo quando, alle ultime doppie elezioni della scorsa primavera, Syriza ha perso una quota molto consistente di consensi, attirati a destra dai presunti ottimi risultati economici del premier di Nea Dimokratia, Kiriakos Mitsotakis, verso sinistra a beneficio di alcune formazioni più o meno radicali e dissidenti, e verso l’astensionismo e la disillusione.

La schiacciante sconfitta elettorale di giugno ha portato alle dimissioni di Alexis Tsipras dopo 15 anni alla guida del partito e all’elezione, a sorpresa, di Stefanos Kasselakis, figlio di armatori, poi funzionario della banca d’affari Goldman Sachs e infine armatore egli stesso. Catapultato alla leadership di Syriza da primarie condizionate dai media conservatori greci, “l’americano” Kasselakis ha promesso di trasformare il partito in una formazione liberal ed ha escluso la vecchia guardia dalla gestione.

La nuova impronta imposta da Kasselakis alla formazione, oltretutto, non ha oltretutto convinto l’elettorato, con i sondaggi che danno Syriza addirittura al terzo posto alla pari col Partito Comunista (KKE).

«Stefanos Kasselakis è stato eletto democraticamente, ma procede in modo non democratico» hanno dichiarato in un comunicato i deputati fuoriusciti insieme ad altri 48 membri del partito. «Smantella Syriza e lo trasforma in un partito amorfo, e manifesta un mix di opinioni e messaggi contraddittori e superficiali» hanno aggiunto.
Intervenendo recentemente ad una conferenza degli industriali greci, il 35enne uomo d’affari ha assicurato che Syriza non “demonizzerà” più il capitale privato, definendo il capitale «uno strumento di prosperità».

L’esodo di massa è iniziato il 12 novembre, quando la fazione più a sinistra (sopravvissuta alla fuoriuscita delle correnti radicali e marxiste che hanno abbandonato Syriza già nel 2015 per formare tre diverse formazioni) chiamata “Umbrella”, guidata dall’ex ministro delle Finanze Euclid Tsakalotos, ha annunciato che si sarebbe staccata, accusando Kasselakis di «pratiche trumpiane, populismo di destra, fanatismo e odio per il percorso storico della sinistra». Ieri, poi, altri 90 militanti e dirigenti intermedi avevano annunciato la loro fuoriuscita dalla formazione.
I fuoriusciti di “Umbrella”, tra cui due deputati, hanno espresso l’intenzione di ricongiungersi ad altri gruppi che hanno abbandonato Syriza in passato per formare un nuovo partito della sinistra radicale che recuperi i valori e le proposte politiche proprie del partito prima dell’avvento di Kasselakis.

I deputati già fuoriusciti e quelli che oggi hanno annunciato l’abbandono – 11 in totale – hanno i numeri per formare un nuovo gruppo parlamentare guidato dall’ex ministro dell’Economia e degli Interni Alexis Charitsis e forse un partito di stampo socialdemocratico ed ecologista pronto a competere alle prossime elezioni europee.
Tra loro c’è anche l’ex ministra del Lavoro Effie Achtsioglu che aveva sfidato Kasselakis alle primarie di settembre.
Anche il vicepresidente di Syriza, Dimitrios Papadimoulis, ha annunciato oggi il suo abbandono, diventando il terzo eurodeputato a dimettersi da quando è stato eletto Kasselakis.

In un comunicato i protagonisti della scissione affermano che «La Grecia è a un punto critico… l’estrema destra e le percezioni reazionarie stanno guadagnando terreno… Di fronte a questo sviluppo, le forze dell’opposizione progressista appaiono distanti dalle ansie e dai problemi dei cittadini». «Manca un progetto politico e sociale moderno che ci convinca, non retoricamente, ma nei fatti, che possiamo sconfiggere il dominio della destra» si legge nella dichiarazione, secondo la quale «milioni di greci» attendono un partito di sinistra che possa produrre soluzioni progressiste ai problemi del paese mentre «SYRIZA sta sprofondando nel discredito». Pagine Esteri

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Perché a Meloni non conviene candidarsi alle europee


Ma siamo sicuri che a Giorgia Meloni converrebbe candidarsi alle elezioni europee del prossimo giugno? Ad oggi, il presidente del Consiglio non ha sciolto la riserva. Chi, tra i suoi fedelissimi, la invita a gettarsi nella mischia elettorale lo fa spinto

Ma siamo sicuri che a Giorgia Meloni converrebbe candidarsi alle elezioni europee del prossimo giugno? Ad oggi, il presidente del Consiglio non ha sciolto la riserva. Chi, tra i suoi fedelissimi, la invita a gettarsi nella mischia elettorale lo fa spinto dall’interesse di partito: con il premier capolista in tutte le circoscrizioni, Fratelli d’Italia confermerebbe la propria posizione egemonica nella coalizione e raffredderebbe di conseguenza i bollenti spiriti di Matteo Salvini.

Due obiezioni. La prima è che tutti i sondaggi dicono che Fratelli d’Italia stacca la Lega di circa 20 punti percentuali: un distacco tale da non rendere necessario l’impegno in prima persona del leader. La seconda obiezione è di natura politico-diplomatica. C’è da credere che Matteo Salvini imposterà la campagna elettorale della Lega sui canoni identitari di destra e su quelli di un antieuropeismo di maniera. Difficile pensare che Giorgia Meloni avrebbe il coraggio di suonare uno spartito radicalmente diverso. Per un pugno di voti tutt’altro che necessari, perderebbe così l’autorevolezza che si è concretamente guadagnata agli occhi dei partner e delle istituzioni europee e correrebbe il rischio di alimentare la sfiducia dei mercati finanziari.

In campagna elettorale, si sa, ci si fa prendere la mano. Si tende ad esagerare, si strilla, si denuncia. La necessità di competere con gli alleati e di mobilitare la propria base elettorale sospingerebbe fatalmente Giorgia Meloni verso i temi e i toni degli anni trascorsi all’opposizione. Temi e toni opportunamente accantonati con l’assunzione delle responsabilità di governo. Sarebbe un balzo all’indietro, con evidenti ricadute negative sulla credibilità internazionale del presidente del Consiglio italiano e di conseguenza sull’interesse nazionale. Sarebbe un peccato. Di più, sarebbe un errore. E Giorgia Meloni dovrebbe saperlo bene. Gli basterebbe ricordare quello che è stato il suo principale passo falso sulla scena internazionale. Ovvero il suo esplicito sostegno al leader di Vox, Santiago Abascal, uscito a testa bassa dalla recenti elezioni spagnole.

No, a Giorgia Meloni non conviene affatto candidarsi alle elezioni europee. Le conviene volare alto e coltivare un sano aplomb istituzionale. Il premier spagnolo Sanchez è in grave difficoltà, il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Sholz attraversano una fase di instabilità politica in patria e usciranno indeboliti dalle elezioni: a Giorgia Maloni basterà evitare passi falsi per accreditarsi come uno dei capi di governo più solidi dell’intera Unione Europea.

Formiche.net

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Tecnologia e nuovi modelli, ecco la via polacca allo spazio


La guerra in Ucraina ha imposto nell’agenda europea la questione dell’integrazione dei sistemi di difesa ed una sempre maggiore attenzione anche a domini in espansione, come quello spaziale, dove il blocco occidentale deve affrontare la sfida che gli vien

La guerra in Ucraina ha imposto nell’agenda europea la questione dell’integrazione dei sistemi di difesa ed una sempre maggiore attenzione anche a domini in espansione, come quello spaziale, dove il blocco occidentale deve affrontare la sfida che gli viene posta tanto dalla Repubblica Popolare Cinese, quanto dalla Russia.

Nell’impalcatura di difesa collettiva a giocare un ruolo essenziale è la Polonia. Posta alla frontiera sia con la Russia che con l’Ucraina e storicamente soggetta a spinte e controspinte dell’equilibrio tra potenze continentali, Varsavia è l’elemento di punta della cosiddetta “Nato dell’est”, cioè di quel blocco di Paesi dell’Europa orientale ostile alla politica espansionista russa e sul quale gli Stati Uniti, ormai sempre più indirizzati verso l’Indo-Pacifico ed il confronto con la Cina, intendono costruire il perno della nuova difesa euro-atlantica.

L’ultimo Forum italo-polacco dell’Aerospazio (organizzato da Ice Agenzia, insieme all’Ambasciata d’Italia a Varsavia, alla Camera di Commercio e dell’Industria Italiana in Polonia e in partenariato strategico con “Leonardo”), tenutosi il 23 novembre, è stato solo l’ultimo degli eventi che hanno confermato la propensione dei polacchi a svolgere quella funzione di “scudo dell’Occidente” che da più parti gli viene affibbiata.

Non a caso, anche nel settore aerospaziale la Polonia sta affrontando una fase di importante trasformazione e modernizzazione, chiaramente improntata al miglioramento del proprio sistema di difesa nazionale. Uno degli obiettivi a medio termine del governo di Varsavia è quello di modernizzare la propria aeronautica militare, la Siły Powietrzne, e le proprie componenti spaziali, puntando all’introduzione di nuove tecnologie, procedure e strutture organizzative. Lo scopo dichiarato è quello di elevare le Forze Armate polacche (Siły Zbrojne Rzeczypospolitej Polskiej) tra le forze di combattimento più moderne a livello globale.

Per la Polonia il settore spaziale è diventato una delle leve più importanti per rafforzare il proprio ruolo geostrategico in Europa. Nell’arco dell’ultimo decennio, la Polonia è stata una di quelle nazioni che ha fatto passi letteralmente da gigante nella propria politica spaziale, con importanti investimenti – condotti in particolare dalle Forze Armate, mentre ancora risulta scarno il contributo polacco all’sa – e la ricerca di nuove collaborazioni ed integrazioni tra sistemi industriali. Si tratta di una politica spaziale che, come ha ben sintetizzato Marcello Spagnulo, “punta allo Spazio per contare in Terra”.

Le aspettative connesse alla politica aerospaziale polacca sono legate ad un vero e proprio “salto generazionale” che sta avvenendo a Varsavia, che porta con sé anche un cambiamento di visione sull’importanza del dominio spaziale per l’ammodernamento e l’efficienza operativa delle proprie Forze Armate. I panel del Forum italo-polacco sono andati proprio in questa direzione, da un lato analizzando le concrete possibilità di incrementare la cooperazione industriale tra Italia e Polonia, con uno sguardo specifico al comparto della difesa polacco, e, dall’altro, valutando l’impatto che lo sviluppo dell’industria aerospaziale può generare sull’innovazione e la competitività di un Paese che ha convintamente sposato la sfida tecnologica e vuole rivestire un importante ruolo in un settore ad alta competitività globale.

Ad emergere è la politica industriale e militare-spaziale polacca come un percorso ormai incasellato nelle dinamiche strategiche di questo Paese posto alla frontiera dell’Europa “atlantica”, che procede indipendentemente da chi effettivamente sieda al Palazzo della Cancelleria di Varsavia ed individuato, ormai, come una priorità.

Una breve nota a margine: la crescita dell’aerospazio-difesa polacco non può che attirare l’interesse per il comparto industriale e gli investitori italiani del settore, che da anni svolgono un importante ruolo nel Paese e che sono riferimenti fondamentali per Varsavia. Non a caso la Farnesina dedica ampio spazio all’aerospazio polacco nei suoi programmi di “diplomazia economica”, la quale molto spesso funge da apripista o è parte integrante della diplomazia “politica” vera e propria.


formiche.net/2023/11/tecnologi…



L’inquietante industria dell’aldilà digitale | Guerre di Rete

"A dieci anni esatti dalla puntata di Black Mirror che per prima ha immaginato il nostro aldilà digitale, sta però rapidamente diventando realtà qualcosa che ancora solo pochi anni fa sarebbe stato considerato impossibile: creare un simulacro potenzialmente immortale di noi stessi."

guerredirete.it/linquietante-i…



Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione della prof.ssa Annamaria Anselmo sul tema “La servitù delle donne”


Ottavo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredi

Ottavo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.

La ottava lezione si svolgerà giovedì 23 novembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, presso l’Aula n. 6 del Dipartimento “COSPECS” (ex Magistero) dell’Università di Messina (sito in via Concezione n. 6, Messina); dell’incontro sarà altresì realizzata una diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.

La lezione sarà tenuta dalla prof.ssa Annamaria Anselmo (Ordinario di Storia della Filosofia presso l’Università di Messina), che relazionerà sull’opera “La servitù delle donne” di John Stuart Mill. La lezione sarà dedicata alla memoria di Giulia Cecchettin (ragazza 22enne di Vigonovo, barbaramente assassinata qualche giorno fa dal suo ex fidanzato) e, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre, sarà introdotta da un breve video di riflessione e sensibilizzazione sul tema, con la presenza del regista ing. Giovanni De Pasquale.

La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.

Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.

Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM

Pippo Rao, Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina

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Gaza. Il Qatar annuncia: domani mattina inizia la tregua


Doha ha annunciato che il cessate il fuoco di quattro giorni avrà inizio domani alle ore 7 (le 6 in Italia) e di aver ricevuto da Hamas l'elenco degli ostaggi israeliani che saranno liberati alle ore 16. L'articolo Gaza. Il Qatar annuncia: domani matti

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AGGIORNAMENTI

ORE 15

Il Qatar ha annunciato che il cessate il fuoco di quattro giorni avrà inizio domani alle ore 7 (le 6 in Italia) e di aver ricevuto da Hamas l’elenco degli ostaggi israeliani che saranno liberati alle ore 16.

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della redazione

Pagine Esteri, 23 novembre 2023 – Il rilascio degli ostaggi israeliani nell’ambito di un cessate il fuoco temporaneo tra Israele e militanti palestinesi di Hamas non avverrà prima di domani. L’hanno detto qualche ora fa il consigliere per la sicurezza nazionale di Israele e gli Stati Uniti.

Israele sostiene che Hamas non ha ancora firmato le intese e comunicato la lista con i nomi dei 50 ostaggi che libererà in cambio di almeno 150 palestinesi – in prevalenza donne e adolescenti – incarcerati in Israele.

Non ci sarà neanche la tregua di quattro giorni che Israele e Hamas avevano concordato. La guerra che sta devastando Gaza continuerà anche oggi. I media palestinesi riferiscono che aerei e artiglieria israeliani hanno colpito la città di Khan Younis, nel sud di Gaza, in almeno due ondate e 15 persone sono state uccise. Sono stati segnalati attacchi anche in diverse altre parti di Gaza, compresi i campi di Jabalia e Nuseirat. Gaza è il “posto più pericoloso al mondo per essere un bambino”, ha detto ieri al Consiglio di sicurezza dell’Obu Catherine Russell, capo dell’Unicef, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia. Più di 5.300 bambini palestinesi sono stati uccisi dal 7 ottobre, ha detto Russell.

In Israele, le sirene che avvisano del lancio di razzi in arrivo da Gaza hanno riecheggiato nelle comunità vicino alla Striscia.

I 50 ostaggi saranno rilasciati nell’arco di quattro giorni al ritmo di almeno 10 al giorno, se l’accordo sarà confermato. La tregua potrebbe essere prolungata purché ogni giorno vengano liberati altri ostaggi. Il ministero della Giustizia israeliano ha pubblicato un elenco di 300 nomi di prigionieri palestinesi che potrebbero essere liberati. Inoltre Centinaia di camion di aiuti umanitari, medicine e carburante dovrebbero entrare a Gaza. Israele dovrà interrompere tutte le incursioni aeree sul sud di Gaza.

L’accordo di tregua, il primo di una guerra durata quasi sette settimane, è stato raggiunto dopo la mediazione del Qatar. Pagine Esteri

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Aderiamo e invitiamo a partecipare alle due manifestazioni nazionali del 25 novembre, TRANSFEMMINISTƎ INGOVERNABILI CONTRO LA VIOLENZA PATRIARCALE, a Roma e a


Il 26 novembre alle 16:30 presso il circolo del Partito di Rifondazione Comunista “Tina Costa”, quartiere Torpignattara, Roma, si terrà l’incontro di dib


La base siciliana di Sigonella spicca il volo verso le guerre stellari


Aumentano gli affari per le holding del complesso militare-industriale. Nella stazione aeronavale siciliana si inaugura il distaccamento delle forze spaziali USA L'articolo La base siciliana di Sigonella spicca il volo verso le guerre stellari proviene d

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di Antonio Mazzeo –

Pagine Esteri, 23 novembre 2023. La base siciliana di Sigonella spicca il volo verso le guerre stellari. L’ufficio stampa di U.S. Space Force, la divisione delle forze armate degli Stati Uniti d’America responsabile di tutte le operazioni spaziali, ha reso nota l’attivazione nella stazione aeronavale siciliana del 5th Space Warning Squadron Detachment 1 (5SWS/Det-1), distaccamento del 5° Squadrone di “pronto allarme” delle unità preposte alle Star Wars. La cerimonia di inaugurazione del centro di comando si è tenuta a Sigonella il 30 ottobre 2023.

“La posizione strategica della Naval Air Station di Sigonella consente alle forze armate USA, a quelle alleate e dei Paesi partner di dispiegarsi e rispondere secondo le necessità, assicurando sicurezza e stabilità in Europa, Africa ed in tutte le aree sotto la giurisdizione di CENTCOM, il Comando Centrale delle forze armate USA”, spiega l’U.S. Space Force. “La missione del distaccamento è quella di operare nello spazio di battaglia attenzionando gli allarmi missilistici attraverso una stazione interforze terrestre tattica (Joint Tactical Ground Station o JTAGS). Ciò è vitale per la difesa attiva e passiva e per le operazioni di attacco in Europa”.

Il nuovo distaccamento di Sigonella opererà a fianco delle altre unità delle forze spaziali USA attivate in altri quattro paesi: nella base aerea di Misawa in Giappone, ad Al Udeid in Qatar e ad Osan in Corea del Sud. “La Space Force conduce le operazioni di allarme missilistico in tutto il mondo”, ha dichiarato il comandante di U.S. Space Force, Dan Sutton, responsabile del nuovo comando di Sigonella. Tutti e quattro i distaccamenti JTAGS con le apparecchiature di allarme missilistico e i sistemi satellitari preposti sono stati ufficialmente trasferiti da U.S. Army alla U.S. Space Force il 1° ottobre 2023. Il Pentagono ha così concluso l’iter di unificazione-integrazione delle costellazioni satellitari delle forze armate USA. Nel giugno 2022 era stata la Marina militare USA a trasferire all’U.S. Space Force il controllo del Naval Satellite Operations Center e di 13 satelliti, seguita tre mesi dopo da US Army. (1)

Il coordinamento delle operazioni di pronto allarme missilistico e delle telecomunicazioni satellitari è stato assunto dal 5th Space Warning Squadron riattivato nella base spaziale di Buckley (Colorado) il 13 ottobre 2023. A capo del 5° Squadrone è stato chiamato il colonnello Michael A. Provencher, con una lunga esperienza nel settore delle guerre missilistiche con l’Aeronautica e l’Esercito USA. Il 5SWS era stato costituito nel 1992 in Australia per contribuire al “pronto allarme” globale contro i missili balistici lanciati nell’emisfero orientale per essere poi disattivato nel 1999. (2) Le sue funzioni furono assunte dalla 1st Space Brigade dell’U.S. Army Space and Missile Defense Command, attiva dal 1992 presso il quartier generale di Colorado Springs (Colorado). Ad una compagnia ultraspecializzata del Comando della 1^ brigata spaziale fu affidato il coordinamento delle attività delle stazioni terrestri interforze JTAG, dispiegate al di fuori degli Stati Uniti d’America per fornire in tempo reale informazioni di avvertimento e segnalazione sull’eventuale lancio di missili balistici con testate nucleari, chimiche, biologiche o convenzionali. (3)

“JTAGS è il principale sistema di U.S. Army per integrare ed espandere le capacità di allarme, attenzione e pronta informazione sui Missili Balistici da Teatro (TBM – quelli con gittata compresa tra i 300 e i 3.500 km, nda) ed altri eventi tattici che interessano il teatro operativo”, spiega il Dipartimento dell’Esercito USA. “Esso è in grado di ricevere e processare tutti i dati trasmessi a banda larga dai sensori della costellazione satellitare del Defense Support Program. JTAGS determina la fonte TBM identificando il punto e il momento di lancio del missile, la sua traiettoria e il punto e il momento dell’impatto. Nel momento in cui è installata nel teatro di guerra, riduce la possibilità di singole interruzioni nei sistemi di comunicazione dei rispettivi Comandi. I benefici operativi includono anche quello di poter dare i segnali d’attacco agli assetti operativi per individuare e distruggere le capacità di lancio del nemico (…) JTAGS supporta i tre pilastri che sostengono la cosiddetta Difesa dai missili di teatro, cioè la difesa passiva, la difesa attiva e le operazioni di attacco, nonché la gestione del campo di battaglia, delle comunicazioni e delle strutture informatiche e d’intelligence”.

Più specificatamente la cosiddetta difesa attiva del sistema JTAGS punta alla “distruzione della minaccia” con gli intercettori della difesa anti-missile e all’“azione in profondità” contro tutti i sistemi missilistici del “nemico”. “Gli attacchi puntano alla distruzione, disgregazione o neutralizzazione delle piattaforme di lancio dei TBM e dei loro centri di comando, controllo e comunicazione; delle infrastrutture logistiche; dei sistemi di riconoscimento, intelligence, sorveglianza, ecc.”, conclude il manuale operativo di U.S. Army. “I comandi e i centri di controllo preposti alle operazioni d’attacco riceveranno da JTAGS le informazioni sui punti e i tempi di lancio in modo da facilitare la pianificazione e l’esecuzione delle missioni di fuoco e di altre missioni offensive (strike aerei o da parte delle forze operative)”. (4)

Per anni l’unica stazione terrestre del sistema JTAGS presente nel teatro europeo ha operato dalla base USA “Kelley Barracks” di Stoccarda (Germania); a fine 2018 essa è stata trasferita a Sigonella “per accrescere le capacità di pronto allarme missilistico”, come ha sottolineato il generale Daniel L. Karbler, comandante delle forze spaziali di U.S. Army, nel corso di un’audizione al Congresso degli Stati Uniti d’America. (5) Secondo quanto dichiarato dall’allora Comandante generale per la difesa missilistica strategica e spaziale, il generale David L. Mann, per “ricollocare” a NAS Sigonella la stazione JTAGS, le autorità militari USA “hanno ottenuto nel 2016 il sostegno del Governo d’Italia”. Come è quasi sempre accaduto nelle relazioni militari tra Roma e Washington, non c’è però traccia nel nostro Paese delle autorizzazioni al trasferimento in Sicilia del sistema di “allerta missilistica” e di “difesa attiva” delle forze spaziali USA. Nel 2016 presidente del Consiglio era Mattero Renzi (Pd, poi Italia Viva), ministra della difesa Roberta Pinotti (Pd). (6)

L’installazione JTAGS all’interno della grande stazione navale siciliana è costata 1.850.000 dollari (un centro di comando, controllo e processamento delle informazioni ospitato in un nuovo edificio con una superficie di 500 metri quadri e un’area recintata con tre antenne di telecomunicazione satellitare del diametro di 4,5 metri). La cerimonia di attivazione del Joint Tactical Ground Station (JTAGS) Alpha Detachment, 1st Space Company, 1st Space Battalion si è svolta a Sigonella il 6 febbraio 2020 alla presenza del colonnello Eric Little, comandante della 1st Space Brigade. “La ricollocazione della stazione JTAGS è stata dettata dalla necessità di avvantaggiarsi delle nuove tecnologie acquisite fornendo un’efficacia vitale e operativa nelle capacità di pronto allarme missilistico ad EUCOM, il Comando delle forze armate USA in Europa”, dichiarava per l’occasione il capitano Dustin Mondloch, comandante del Distaccamento Alfa. “Gli operatori della JTAGS elaborano i dati ricevuti da diversi satelliti a raggi infrarossi (Overhead Persistent Infrared o OPIR) e diffondono avvisi di allerta missilistica o messaggi d’intelligence ai soldati, fornendo supporto ai comandanti regionali nell’ambito di più sistemi di comunicazione operativi. Con la nuova stazione a Sigonella si ottimizza il funzionamento e la missione del network satellitare a raggi infrarossi (…) La nuova facility utilizza il sistema JTAGS Block II che ha aumentato la capacità di rilevare e segnalare l’attività dei satelliti OPIR”. (7)

Intanto le Star Wars sono tornate ad essere al centro delle strategie di supremazia bellica del Pentagono nel confronto-scontro con Russia e Cina. Il 2 maggio 2023, incontrando i membri delle commissioni Difesa del Congresso, il vicesegretario di U.S. Air Force, Frank Calvelli (con delega alle acquisizioni dei nuovi programmi spaziali) e il generale David D. Thompson (vicecapo per le Operazioni spaziali USA), hanno spiegato le ragioni e le finalità della corsa al riarmo stellare. “Il nostro ambiente spaziale continua a divenire sempre più contrastato, congestionato e competitivo”, hanno esordito Calvelli e Thompson. “Abbiamo assistito ad una crescita esponenziale nelle attività spaziali, incluse le minacce contro-spaziali (counter-space threats) da parte dei nostri competitori strategici, specificatamente Cina e Russia, che continuano ad ottenere significativi vantaggi in ambito spaziale minacciando la nostra libertà di movimento e rendendo sempre più critica la nostra capacità di mantenere il vantaggio strategico”.

“La crescita dei test distruttivi antisatellite, le dimostrazioni di missili ipersonici e manovrabili e una serie di comportamenti pericolosi da parte dei nostri competitori strategici richiedono che il Dipartimento delle forze aeree e spaziali USA si prepari a proteggere e difendere i nostri interessi di sicurezza nazionale nello spazio attraverso un insieme di capacità spaziali resilienti, affidabili e capaci”, hanno aggiunto il vicesegretario Frank Calvelli e il generale David D. Thompson. Per contrastare le “minacce spaziali” russo-cinesi, nell’ultimo triennio il Pentagono ha puntato alla radicale trasformazione dei reparti preposti alle Star Wars, potenziando le attività addestrative delle “forze spaziali di pronto intervento”, acquisendo nuove attrezzature “per prevalere in una guerra” e ampliando le opportunità di cooperazione della Space Force con alcuni partner internazionali. (8)

Il 25 aprile 2023 il presidente Biden ha approvato in via definitiva l’Unified Command Plan predisposto dal Dipartimento della difesa con cui sono state trasferite tutte le responsabilità della “difesa missilistica” dall’U.S. Strategic Command all’U.S. Space Command. (9) Enormi risorse finanziarie del bilancio di spesa 2024 sono state destinate al settore spaziale militare: 33,3 miliardi di dollari con una crescita del +15% rispetto all’anno precedente. In particolare il budget predisposto dall’amministrazione USA include 5 miliardi di dollari per l’acquisto di ulteriori sistemi di “allarme” e “tracciamento” missilistico; 1,3 miliardi per lo sviluppo di una nuova generazione di sistemi di controllo operativo per GPS; 3 miliardi per 15 velivoli di lancio; 4,7 miliardi per un nuovo sistema di comunicazioni satellitari “protette e resistenti ai blocchi”. (10)

Ancora una volta grandissimi affari per le holding del complesso militare-industriale (Lockheed Martin e Northrop Grumman in testa) mentre l’umanità fa un ulteriore passo in avanti verso il baratro dell’apocalisse atomica. Pagine Esteri

Note:

1) dvidshub.net/news/457523/us-sp…

2) airandspaceforces.com/space-fo….

3) buckley.spaceforce.mil/News/Ar…

4) everyspec.com/ARMY/FM-Field-Ma…

5) armed-services.senate.gov/imo/…

6) antoniomazzeoblog.blogspot.com…

7) issuu.com/nas_sigonella/docs/7…

8) armed-services.senate.gov/imo/…

9) spacecom.mil/Newsroom/News/Art…

10) defense.gov/News/News-Stories/…

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Alla seconda giornata del JOB&Orienta vi aspettiamo con tante novità e con gli altri tre...

Alla seconda giornata del JOB&Orienta vi aspettiamo con tante novità e con gli altri tre eventi del MIM in programma:
📌 La nuova filiera tecnico-professionale. Qui la diretta dalle ore 11 ▶️ joborienta.



Rafforzare l’industria ucraina della difesa. L’iniziativa della Casa Bianca


Il governo degli Stati Uniti ospiterà una conferenza dedicata al potenziamento dell’industria della difesa ucraina e all’impegno Usa verso il suo potenziamento ulteriore. La due-giorni, definita Ukraine defense industrial base conference, si terrà tra il

Il governo degli Stati Uniti ospiterà una conferenza dedicata al potenziamento dell’industria della difesa ucraina e all’impegno Usa verso il suo potenziamento ulteriore. La due-giorni, definita Ukraine defense industrial base conference, si terrà tra il 6 e 7 dicembre, e riunirà i rappresentanti dell’industria e del governo statunitensi e ucraini al fine di esplorare le opportunità di partnership e altre forme di cooperazione industriale in Ucraina. A darne notizia è stata la portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Adrienne Watson, che ha presentato l’iniziativa come parte degli sforzi del governo statunitense per aumentare in modo significativo la produzione di armi per sostenere lo sforzo ucraino di difesa contro l’aggressione russa.

Ukraine defense industrial base conference

La conferenza ospiterà i rappresentanti del Consiglio di sicurezza nazionale e dei dipartimenti del Commercio, della Difesa e di Stato degli Stati Uniti, nonché le controparti ucraine dell’ufficio del presidente e dei ministeri della Difesa, dell’Industria strategica e degli Affari esteri. Con questa iniziativa Washington intende rafforzare l’impegno a lungo termine degli Stati Uniti nei confronti della base industriale della difesa ucraina e della ripresa economica di Kiev. Sarà anche un modo per dimostrare l’impegno congiunto degli Stati Uniti a rafforzare la cooperazione industriale, degli armamenti e della sicurezza tra le due nazioni. Andriy Yermak, capo di gabinetto del presidente ucraino, ha descritto la conferenza come un “evento molto importante” a cui parteciperanno i principali operatori del settore della difesa. Anche lo stesso Volodymyr Zelenskiy ha commentato positivamente l’iniziativa, sottolineando come qualsiasi progetto che lavori per una produzione industriale congiunta “rafforzerebbe senza dubbio sia gli americani che gli ucraini, così come gli altri nostri partner”.

La posizione di Kyiv

L’iniziativa fa seguito al Forum internazionale delle industrie della Difesa ospitato dall’Ucraina il 29 settembre scorso, quando Kyiv invitò sul suo territorio le aziende straniere. Uno degli obiettivi ucraini è infatti garantirsi un adeguato livello industriale nazionale che possa far fronte alle proprie necessità, senza per forza doversi basare sugli aiuti stranieri, bypassando in particolare l’intermediazione necessaria con i governi esteri e le rigidità legali che caratterizzano tutti i regimi di esportazione di materiale d’armamento. Un modo per velocizzare il processo di procurement degli strumenti necessari per le proprie Forze armate e diventando, contemporaneamente, anche meno suscettibili da potenziali cambi di idea da parte dei governi stranieri. Una misura di prudenza necessaria per un Paesi la cui sopravvivenza è garantita da un adeguato livello di sistemi d’arma a disposizione.

Rafforzare la base industriale

In generale, Kyiv sta intensificando i propri sforzi per produrre da sola le sue armi, decisione che fa seguito alle preoccupazioni che le forniture dall’Occidente possano vacillare o sospendersi. Non è solo una questione di relazioni tra i vari Paesi e Kiev, ma anche il riconoscimento che i Paesi europei devono far fronte essi stessi alla propria difesa, e potrebbero essere riluttanti a cedere ulteriore materiale qualora venisse raggiunta una quota critica minima per la propria architettura difensiva. L’Ucraina, inoltre, spera che potenziali joint venture con i produttori internazionali di armamenti possano contribuire a rilanciare la propria industria nazionale.


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Difesa. Mariani promuove il Dpp, ma attenzione a tempi e investimenti


Industria e Forze armate devono essere sempre più un sistema finalizzato a soddisfare le necessità di difesa del Paese e anche ad avare un impatto positivo in termini di economici, di occupazione e di sviluppo tecnologico. Questo il tema centrale dell’int

Industria e Forze armate devono essere sempre più un sistema finalizzato a soddisfare le necessità di difesa del Paese e anche ad avare un impatto positivo in termini di economici, di occupazione e di sviluppo tecnologico. Questo il tema centrale dell’intervento del condirettore generale di Leonardo, Lorenzo Mariani, fatto nel corso dell’audizione in commissione Difesa della Camera dei deputati nell’ambito dell’esame del Documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2023-2025. “I contenuti del Documento – ha detto Mariani – sono del tutto coerenti con i nostri intenti strategici”. In particolare, il manager del gruppo di piazza Monte Grappa ha registrato con soddisfazione l’aumento di disponibilità di cassa di quasi il 50% rispetto ai Dpp precedenti “È un’ottima notizia, una presa di coscienza comune che i programmi che partono vanno avanti”. La preoccupazione, infatti, deriva dal fatto che negli anni passati si erano messi in discussione la continuazione di programmi già lanciati.

Il nuovo Dpp

Altro elemento positivo rimarcato da Mariani è la garanzia di stabilità per la programmazione dovuto alla pianificazione per tutto il periodo. Nei precedenti Dpp, infatti, dopo un incremento di risorse per il primo e il secondo anno, era mancata una pianificazione per il terzo. Nel 2022 questa mancanza aveva riguardato già il secondo anno. “Invece – ha detto il manager – in questo caso c’è un incremento di livello dagli otto miliardi che cresce fino a 8,7 nell’arco del triennio fino al 2025”. Più in generale, ha riscontrato il condirettore generale, il Dpp vede un incremento importante di finanziamento per quanto riguarda la funzione Difesa, che passa da 13,8 miliardi a 19,6. A interessare in particolare Mariani è, però, come questi fondi andranno spesi, tra personale, esercizio e investimenti, con piani precedenti “fortemente sbilanciati sul personale con un sottofinanziamento della parte investimento ed esercizio”. Con questo nuovo Dpp, invece, “l’esercizio aumenta del 50% e l’investimento aumenta quasi del 300%” raggiungendo quella ripartizione 50:25:25 nei tre settori auspicata da tempo.

Tempi, budget ed export

Ma oltre ai fondi è importante porre attenzione ai tempi nei quali approvare il Documento. Al suo interno, infatti, sono presenti anche i programmi di previsto avvio, per i quali c’è la possibilità di farli partire entro l’anno: “Se il documento arriva a giugno i programmi dell’anno partono – ha sottolineato Mariani – con il risultato che dall’anno successivo cominciano a fatturare e incassare”. Quando, invece, arriva a novembre “di fatto si perde un anno sul lancio dei nuovi programmi”. Per il manager, dunque, il Dpp dovrebbe servire “ad alimentare la legge di Bilancio; farlo in parallelo potrebbe creare anche qualche problema”. Una questione che si lega fortemente anche all’aspetto delle esportazioni. “Nel settore della difesa ci sono chiari segnali di una nuova stagione di consolidamento industriale a livello europeo” ha sottolineato Mariani, aggiungendo come, se l’Italia intende partecipare a questi nuovi trend da protagonista, sia necessario avere da parte una “dote di programmi industriali”.

Programmi aeronautici

Tra questi, spiccano in particolare i programmi aeronautici, sia in corso che futuri, che avranno e hanno bisogno di sforzi per essere avviati e mantenuti. Tra questi, Mariani ha citato come vitale per l’industria nazionale quello dell’Eurofighter: “Ci sono aree che senza l’Eurofighter avrebbero una crisi importante a livello industriale. È, inoltre, un sistema che ha dato soddisfazioni enormi all’estero”. Tra quelli futuri, invece, spicca ovviamente il sistema aereo di sesta generazione portato avanti da Italia, Regno Unito e Giappone, il Global combact air programme (Gcap). “I primi contratti già stanno fluendo e questo finanziamento ulteriore previsto dal dpp metterebbe al sicuro la prima fase di sviluppo del programma”, ha commentato Mariani, sottolineando come “nessuna delle tre Nazioni è in grado di farcela da sola, e quindi è importantissimo che venga finanziato ed importante dimostrare che possiamo essere paritetici”.

Equilibrio import-export

Tra le criticità ravvisate dal condirettore generale di Leonardo, tuttavia, spicca il fatto che ancora una quota consistente dei fondi è spesa all’estero. “Non c’è nulla di male nell’acquistare del materiale in particolare dagli Usa – ha detto Mariani – l’unica cosa è che con un’attenta pianificazione, associata a una politica industriale che oggi esiste, ci si può pensare prima e si può arrivare con qualche anno di anticipo a definire che serve qualcosa che oggi l’industria non ha”. Una soluzione proposta dal manager è quella di stabilire se l’industria nazionale sia in grado di sviluppare, e in che modi e tempi. Altrimenti se “non la possiamo sviluppare da soli, ma serve una collaborazione, si può andare a un ritorno di offset o si può anche arrivare a decidere di comprare all’estero”. Il punto ha però sottolineato Mariani, è che comprare all’estero “non si può pensare che non abbia conseguenze” fosse anche solo perché “le Forze armate si ritrovano un sistema che hanno difficoltà a manutenere”.


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In Cina e Asia – Coree, salta l’accordo militare del 2018


In Cina e Asia – Coree, salta l’accordo militare del 2018 coree
I titoli di oggi:

Coree, salta l'accordo militare del 2018
Delegazione russa in Cina, Xi: "continuare le eterne relazioni di vicinato"
Pechino celebra i migliori giornalisti dell'anno sotto l'egida del pensiero di Xi Jinping
Cina, raro arresto nel mondo tech
Cina, morto il giornalista dissidente Sun Lin
Uruguay e Cina siglano patti di collaborazione in vista di un potenziale accordo di libero scambio
L'intelligence Usa sventa attentato a separatista Sikh

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News da Marte #23 | Coelum Astronomia

"Ricapitoliamo le esplorazioni che Curiosity, Perseverance e Ingenuity hanno svolto in quest’ultimo mese. C’è poi una significativa interferenza nelle attività dovuta all’attuale posizione di Marte in cielo. Si parte!"

coelum.com/news/news-da-marte-…

#23


Giuliano Guzzo: maschio, bianco, etero & cattolico colpevole di tutto



Questo è il giovane vicentino Giuliano Guzzo, travestito da promotore finanziario di successo con tanto di orologione regalato per la cresima o, più, probabilmente, preso in prestito da qualche parente ricco sul serio visto che lui "lavora" come vicegazzettiere a "La Verità" dove non è detto gli emolumenti siano principeschi.
Prima però si è laureato con una tesi in filosofia del diritto, materia frequentatissima dagli spiriti ingegnosi.
Così conciato, Giuliano ha pubblicato un libro sulla cui copertina si è fatto previdentemente ritrarre già in manette.

A metà novembre 2023 nel paese di Vigonovo -in una zona non nuova ad episodi efferati- si è consumato un delitto piuttosto odioso. In poche ore sono comparsi sul web molti e ingegnosi contenuti diversivi, soprattutto ad opera del milieu di micropolitici "occidentalisti" e relative gazzettine e di account più o meno anonimi che sporcano ovunque con l'agenda politica "occidentalista".
Solo che stavolta il colpevole è venuto su a bigoli e sarde in saor e ha condotto un'esistenza da perfetto rappresentante dei "valori" occidentali.
Difficile pensare di poter ribaltare il tavolo.


Spagna: l’estrema destra esulta per Milei e tenta la spallata di piazza


Contro la rielezione di Sánchez e l'amnistia agli indipendentisti catalani l'estrema destra spagnola scatena le piazze. Neofascisti, integralisti cattolici e complottisti uniti da una strategia trumpiana che premia Vox L'articolo Spagna: l’estrema destra

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 23 novembre 2023 – Lo spoglio per le presidenziali argentine non si era ancora concluso che il leader dell’estrema destra spagnola Santiago Abascal è corso a complimentarsi con il leader de “La Libertad Avanza”, il turbocapitalista argentino Javier Milei. «Oggi si apre un cammino di futuro e speranza per gli argentini e per tutta l’Iberoamerica e noi in Spagna esultiamo con particolare allegria» ha scritto su X il presidente di Vox, aggiungendo «Viva la Spagna e viva l’Argentina libere dal socialismo e sovrane!».

Da tempo Vox ha intessuto relazioni privilegiate con l’estrema destra latinoamericana, in nome dell’anticomunismo e del contrasto alle forze popolari che negli ultimi anni hanno riconquistato il potere in alcuni paesi del Cono Sur.Ora Abascal spera che il trionfo del “loco” a Buenos Aires si trasformi in un’onda in grado di attraversare presto l’Atlantico per spazzare via il governo di Pedro Sánchez, appena confermato primo ministro dopo trattative durate 171 giorni.

«Sánchez dittatore»
Giunto secondo alle elezioni del 23 luglio, il leader socialista è riuscito a comporre una maggioranza in parlamento – 179 voti contro i 171 raggranellati dalle destre – ottenendo il sostegno dei nazionalisti baschi, catalani e galiziani. Per conquistare gli indispensabili voti degli indipendentisti di Esquerra Republicana e di Junts, il leader socialista ha dovuto promettere una legge per amnistiare circa 400 tra dirigenti politici e attivisti processati per il loro ruolo nella celebrazione del referendum per l’autodeterminazione della Catalogna del 2017. Poco importa che grazie al provvedimento cadranno le accuse anche nei confronti di decine di poliziotti sotto inchiesta per le violenze nei confronti degli elettori e dei manifestanti catalani. Per le destre spagnole quella di Sánchez è una duplice colpa intollerabile: governare nonostante la sconfitta alle elezioni nelle quali il PP è arrivato in testa, e grazie all’amnistia concessa ai “separatisti” che attenterebbe all’unità della patria e legittimerebbe nuove spinte indipendentiste.

E così contro Sánchez – che slogan, striscioni e cartelli definiscono “usurpatore”, “dittatore” e “vendipatria” – le piazze hanno cominciato a ribollire mesi fa, quando le trattative per la formazione del nuovo esecutivo erano ancora agli inizi e la legge per l’amnistia solo una bozza.

Quando il Partito Popolare e Vox hanno capito che in Parlamento non avrebbero trovato appoggi sufficienti a governare – dopo i no dei nazionalisti di centro-destra baschi e delle Canarie – hanno fatto appello alla spallata dalla piazza e hanno mobilitato i governi locali e i loro addentellati nello “stato profondo”.

Le piazze e le strade hanno cominciato a riempirsi molto gradualmente – con numeri a lungo non proprio esaltanti per due formazioni che insieme sommano il 45% dei voti – e man mano che si avvicinava il 16 novembre, quando Sánchez ha incassato la fiducia, la tensione è salita a livelli parossistici.

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L’assedio alla sede del Psoe di Madrid

L’assedio ai socialisti
A farne le spese è stato anche il sovrano, Filippo VI, accusato di passività se non di complicità con i misfatti in corso alla Moncloa; per questo molti manifestanti hanno sventolato bandiere spagnole dalle quali era stato asportato, lasciando un consistente buco, lo stemma che raffigura i regni di Castiglia, Aragona, León, Navarra e Granada riuniti sotto il dominio spagnolo a partire dal XV secolo. I più fiduciosi, invece, si aspettano che il re non firmi la legge di amnistia nel caso dovesse passare l’esame delle camere.

Da quasi tre settimane migliaia di militanti delle formazioni di destra ed estrema destra, circondati da “elettori indignati” e da un’umanità quanto mai varia, assediano la sede statale del Partito Socialista a Madrid. In Calle Ferraz ogni sera va in scena un folkloristico ma non meno inquietante mix di complottismo, neofascismo, nostalgie franchiste, fondamentalismo cattolico e suggestioni trumpiane.

Nell’assedio convivono spezzoni diversi non sempre tra loro amichevoli. Si sono visti capannelli recitare “rosari per la salvezza della Spagna”; giovani palestrati scagliarsi contro i cordoni di polizia colpevoli di non unirsi alla sacra lotta contro i “nemici della Spagna”; pensionate in ghingheri inveire al grido di «Puigdemont (l’ex leader catalano attualmente in esilio) in prigione»; cinquantenni illustrare strampalate teorie negazioniste sul Covid e sul cambiamento climatico o denunciare i piani del governo per la sostituzione etnica.

Il fronte reazionario ha convocato molte altre manifestazioni, sia locali che nazionali. L’ultima e più numerosa ha riunito a Madrid, sabato scorso, più di 200 mila persone. Ma sono soprattutto gli assedi alle sedi socialiste, soprattutto a quella madrilena, a rappresentare il palcoscenico e la palestra dove le varie anime organizzate della protesta mostrano i muscoli e tentano di accrescere credibilità e consensi.

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Santiago Abascal e Tucker Carlson a calle Ferraz

La regia di Vox
A mettersi abilmente in mostra è stato soprattutto Vox, presente in forze sia con i propri dirigenti nazionali e locali, sia con decine di sigle – a volte reali, spesso fantasma – utili a pescare in ambiti diversi e a dare la sensazione dell’espansione del partito in tutti i settori indignati dal ritorno dei “rossi” a braccetto con i “separatisti”. Seppure a malincuore e in netto ritardo, il leader dei Popolari Núñez Feijóo ha dovuto ad un certo punto prendere le distanze dalle intemperanze violente di parte della piazza, perdendo appeal e lasciando campo libero alla sua destra. E così Vox – pure indebolito dalle lotte intestine tra le diverse correnti – ha conquistato il proscenio, utilizzando abilmente alcune sue emanazioni per dare la sensazione di un partito che si mette a disposizione, al servizio di una protesta corale e spontanea della società civile e delle associazioni degli “spagnoli per bene” contro il «colpo di stato ordito da Sánchez».

Questa strategia ha quindi proiettato in primo piano “Revuelta”, che si definisce “movimento giovanile contro il separatismo, la corruzione, le politiche contro la famiglia”. Si tratta di una sigla finora sconosciuta e fantasma, che non è però difficile ricondurre proprio a Vox e ad altri soggetti dell’arcipelago reazionario interni o orbitanti attorno al partito di Abascal. Tra questi c’è “Plataforma 711” (dall’anno della conquista araba e islamica della penisola iberica), dedita prima alla vendita di merchandising identitario e poi ad animare un’associazione universitaria di ultradestra “vicina” a Vox. Altre sigle utilizzate, come la Fundación Disenso e la Fundación Danaes, invece, sono riconducibili direttamente ad Abascal, come d’altronde il sindacato “Solidaridad” che per il 24 novembre ha indetto nientemeno che uno “sciopero generale”, forte del suo 0,1% di rappresentatività tra i delegati dei lavoratori.

Neonazisti, franchisti, integralisti cattolici e complottisti
Attorno e dentro la rete intessuta da Vox si muovono, come detto, i membri dei circoli fondamentalisti cattolici ed evangelici e soprattutto i militanti dei gruppi e dei partiti esplicitamente neofascisti e neonazisti, a capo spesso delle curve calcistiche più violente e addestrati a menare le mani. Sono loro – insieme ai militanti più scalmanati di Vox – ad animare le serate in calle Ferraz innalzando bambole gonfiabili, cantando inni franchisti – il “Cara al sol” è il più gettonato – e inveendo contro “i froci” e i “traditori” al governo.

L’elenco di sigle, alcune delle possono contare su migliaia di militanti e su finanziatori generosi, è lunga. La più consistente è forse “Democracia Nacional”, che si ispira a Roberto Fiore e alla sua Forza Nuova ed ha velleità elettorali. Poi ci sono Hogar Social, che invece scimmiotta Casapound; i tradizionalisti cattolici omofobi e transfobici di Hazte Oír; i nostalgici delle varie Falangi; gli xenofobi di “España 2000″, esperti nel conquistare i finanziamenti pubblici; gli escursionisti di “FACTA”, ammiratori del Terzo Reich e di Alba Dorata; i suprematisti islamofobi di “Hacer Nación”. Tutti giocano le loro carte per emergere come forza egemone della “riscossa nazionale”, e alcuni di strappare a Vox consensi elettorali tali da permettergli di accedere alle istituzioni.

Non mancano, in piazza, militari e agenti di polizia. D’altronde subito dopo la fiducia accordata dalle Cortes a Sánchez, 51 ufficiali in congedo delle forze armate hanno esplicitamente invitato l’esercito spagnolo a destituire l’esecutivo per ristabilire la legalità; giorni prima non erano mancati i pronunciamenti contro il nuovo governo da parte di associazioni di magistrati e di agenti della Guardia Civil (la polizia militarizzata).

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Santiago Abascal insieme a Javier Milei

La strategia trumpiana
A unificare e ad amplificare il caotico magma all’interno del quale si muovono le varie sigle e le varie correnti ideologiche, una strategia politica e comunicativa apertamente “trumpiana” (o “bolsonariana”) che descrive gli avversari di centro-sinistra e sinistra come nemici interni che si sarebbero impossessati illegittimamente del potere. Di qui i continui appelli a trasformare l’indignazione in mobilitazione, a cacciare gli usurpatori e ad occupare le sedi istituzionali.
Non a caso ai movimentati happening di calle Ferraz è stato invitato a partecipare anche l’ex anchorman di Fox News Tucker Carlson, grande amico di Abascal e tra i principali diffusori di fake news sui presunti brogli dei Democratici alle elezioni statunitensi del 2020.

Finora in Spagna non si è concretizzata la replica dell’occupazione del Campidoglio di Washington del 6 gennaio 2021 da parte della alt-right americana o del più recente assalto al Congresso nazionale di Brasilia. Eppure, per quanto la situazione politica e sociale spagnola differisca da quella di oltreoceano, il rischio di un’esplosione di violenza anche a Madrid non è trascurabile, al di là delle intenzioni dei principali organizzatori del “Noviembre Nacional”, come alcuni tra i promotori hanno definito il lungo assedio alla sede statale del PSOE. Pagine Esteri

10548518* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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GAZA. 12 uccisi nell’ospedale indonesiano, morti e feriti a Jabaliya


Almeno 12 palestinesi sono stati uccisi e decine feriti nelle ultime ore da spari contro l'ospedale Indonesiano circondato dai carri armati israeliani. Nell'ospedale si trovano 700 pazienti insieme al personale medico e centinaia di sfollati. L'articolo

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della redazione

Pagine Esteri, 20 novembre 2023 – Almeno 12 palestinesi sono stati uccisi e decine feriti nelle ultime ore da spari contro l’ospedale Indonesiano circondato dai carri armati israeliani. Lo denunciano fonti della struttura sanitaria situata nel nord della Striscia di Gaza. Non ci sono stati commenti sino ad ora da parte dell’esercito israeliano sui colpi contro l’ospedale dove si trovano ancora 700 pazienti insieme al personale medico.

L’agenzia di stampa palestinese WAFA riferisce che la struttura nella città di Beit Lahia è stata colpita da colpi di artiglieria e che ci sono stati sforzi frenetici per evacuare i civili in pericolo. Il personale ospedaliero ha negato la presenza di militanti armati nei locali. Come tutte le altre strutture sanitarie nella metà settentrionale di Gaza, l’ospedale indonesiano ha in gran parte cessato le attività, ma continua a ospitare pazienti, personale e residenti sfollati.

L’Indonesia ha condannato “l’attacco di Israele all’ospedale” istituito con suoi finanziamenti, aggoiungendo che lo Stato ebraico ha violato le leggi umanitarie internazionali. Israele sostiene che le sue forze a Gaza attaccano “infrastrutture terroristiche” e ha ordinato l’evacuazione totale del nord, dove però rimangono ancora migliaia di civili, molti dei quali si rifugiano negli ospedali.

Israele non cessa la sua offensiva di terra.

Violenti scontri a fuoco tra militanti armati di Hamas e forze israeliane sono in corso anche nel campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza, in cui vivono 100.000 rifugiati palestinesi. Israele lo considera “un’importante roccaforte militante”. I ripetuti bombardamenti israeliani di Jabalia hanno ucciso molte decine di civili nelle ultime settimane. Video mostrano attacchi aerei e truppe che vanno casa per casa.

Intanto cibo, carburante, medicine e acqua potabile stanno finendo in tutta Gaza sotto l’assedio israeliano che dura da sei settimane. Nel sud, dove si stanno rifugiando centinaia di migliaia di sfollati dal nord, almeno 14 palestinesi sono stati uccisi in due attacchi israeliani contro case a Rafah, secondo le autorità sanitarie di Gaza.

Oggi un gruppo di 28 neonati prematuri evacuati dallo Shifa, il più grande ospedale di Gaza, sono stati portati in Egitto per cure urgenti. Altri neonati sono morti dopo che le loro incubatrici erano state messe fuori uso a causa del collasso dei servizi medici durante l’assalto militare israeliano a Gaza City.

Le forze israeliane hanno sequestrato lo Shifa la settimana scorsa per cercare “una rete di tunnel di Hamas” sotto l’ospedale. Centinaia di pazienti, personale medico e sfollati lo hanno lasciato nel fine settimana. I medici hanno denunciato di essere stati espulsi dalle truppe. Secondo Israele le partenze sono state volontarie. Pagine esteri

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VERSIONE ITALIANA USA, DIMINUISCONO LE CLASS ACTION VERSO LE AZIENDE PER AVER DIVULGATO LA CRONOLOGIA DELLE VISUALIZZAZIONI VIDEO DI PERSONE SENZA CONSENSOSecondo una analisi condotta da Bloomberg Law un gran numero di aziende, a partire dal 2022, si sono viste raggiungere da querela perché molti avvocati, interpretando un vecchio statuto, le hanno ritenute responsabili di …


GAZA. Oggi niente tregua, rinviata liberazione ostaggi e prigionieri palestinesi


La guerra che sta devastando Gaza andrà avanti. Usa e Qatar affermano che il cessate il fuoco entrerà in vigore domani L'articolo GAZA. Oggi niente tregua, rinviata liberazione ostaggi e prigionieri palestinesi proviene da Pagine Esteri. https://paginee

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della redazione

Pagine Esteri, 23 novembre 2023 – Il rilascio degli ostaggi israeliani nell’ambito di un cessate il fuoco temporaneo tra Israele e militanti palestinesi di Hamas non avverrà prima di domani. L’hanno detto qualche ora fa il consigliere per la sicurezza nazionale di Israele e gli Stati Uniti.

Israele sostiene che Hamas non ha ancora firmato le intese e comunicato la lista con i nomi dei 50 ostaggi che libererà in cambio di almeno 150 palestinesi – in prevalenza donne e adolescenti – incarcerati in Israele.

Non ci sarà neanche la tregua di quattro giorni che Israele e Hamas avevano concordato . La guerra che sta devastando Gaza continuerà anche oggi. Pagine Esteri

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Una guerra, lunga, a bassa intensità


Dopo aver pianificato molto abilmente l’assalto del 7 ottobre, Hamas non aveva evidentemente adottato alcuna contromisura per l’inevitabile controffensiva israeliana. Non ha previsto l’interruzione dell’elettricità e dell’acqua fornite da Israele a Gaza,

Dopo aver pianificato molto abilmente l’assalto del 7 ottobre, Hamas non aveva evidentemente adottato alcuna contromisura per l’inevitabile controffensiva israeliana. Non ha previsto l’interruzione dell’elettricità e dell’acqua fornite da Israele a Gaza, né ha predisposto misure per i civili che vivevano sopra o nelle vicinanze di strutture note di Hamas che sarebbero state bombardate. Non ha nemmeno preparato le sue milizie, i cui missili anticarro non erano all’altezza della rivoluzionaria difesa attiva «Trophy», dei carri armati «Merkava» di Israele e degli enormi veicoli da combattimento per la fanteria «Namer» da 65 tonnellate.

Quando sono iniziati i bombardamenti di Israele, i civili non potevano entrare nei tunnel di Hamas: uno dei suoi leader ha candidamente spiegato a un intervistatore della tv araba che i rifugi erano esclusivamente per loro, i miliziani, aggiungendo ipocritamente che la protezione dei civili era responsabilità delle sole Nazioni Unite, come se l’Onu avesse rifugi o armi antiaeree.

Nelle guerre passate, le offensive israeliane sono state sempre molto rapide: in parte perché puntualmente le Nazioni Unite iniziano a dettare i cessate il fuoco non appena Israele comincia ad avere successo sul campo, e in parte perché la velocità nel decidere, muoversi e combattere è il vantaggio più evidente dell’esercito israeliano in combattimento. Ma a Gaza, come previsto, la velocità è stata la prima cosa a cui gli israeliani hanno dovuto rinunciare. L’irruzione nei tunnel non avrebbe spinto il nemico a fuggire nel panico, come in tante offensive israeliane del passato. Al contrario, i sensori nascosti avrebbero innescato cariche di demolizione, destinate a esplodere dopo che i soldati fossero avanzati oltre, intrappolando le truppe nel sottosuolo.

Nelle ultime settimane, i soldati in avanscoperta sono stati quindi costretti a seguire pazientemente gli esploratori di tunnel, gli ingegneri da combattimento specializzati dell’«Unità Yahalom», che a loro volta si sono affidati ai loro radar a bassissima frequenza per scovare i tunnel attraverso la sabbia e la roccia e a cani appositamente addestrati per trovare la strada da percorrere. Per questo motivo, il numero di caduti israeliani è stato relativamente basso, mentre gran parte della rete di tunnel del Nord di Gaza è stata distrutta, centinaia di combattenti di Hamas sono stati uccisi, e circa cento di loro sono stati catturati per essere interrogati in Israele.

Fin dall’inizio, sarebbe stato impossibile trovare ostaggi o catturare i principali leader di Hamas, poiché entrambi i gruppi sono stati portati nel Sud di Gaza dopo che l’esercito israeliano aveva chiesto l’evacuazione del settore settentrionale. Ciò significa che la guerra non è ancora a metà strada: sono stati attaccati solo i tunnel settentrionali, mentre i razzi vengono ancora assemblati e lanciati ogni giorno dai tunnel meridionali. Tuttavia, da un punto di vista strettamente militare, le prime fasi della guerra si sono svolte con un successo superiore alle attese iniziali, considerando il vantaggio intrinseco dei difensori nella guerra urbana e le ampie opportunità di imboscata offerte dai tunnel.

Ma la strategia accorta e prudente che ha permesso a Israele di spazzare via il settore settentrionale con un numero minimo di vittime ha un alto prezzo politico: prolunga la guerra. Questo è un problema per il presidente Usa Joe Biden, che deve tenere sotto controllo i piccoli ma rumorosi progressisti filo-palestinesi del suo Partito Democratico, mentre la sua squadra diplomatica deve occuparsi degli alleati e degli amici dell’America nel mondo musulmano.

Al tempo stesso, però, su un altro tavolo la partita si sta evolvendo molto favorevolmente per la squadra di politica estera di Biden: non deve confrontarsi con gli alleati europei che si oppongono al sostegno degli Stati Uniti a Israele, come hanno dovuto fare i suoi predecessori nelle guerre precedenti. Nel 1967, ad esempio, il governo italiano si rifiutò di consentire l’invio di maschere antigas a Israele per fare fronte alla guerra chimica egiziana. Sei anni dopo, per paura dell’embargo petrolifero arabo, i governi europei non permisero agli aerei statunitensi che trasportavano rifornimenti a Israele di entrare nel loro spazio aereo. Ora le cose sono completamente diverse, perché tutti i governi europei che contano sostengono la politica statunitense a favore di Israele e Israele stesso, così come l’Unione Europea, la cui presidente Ursula von der Leyen è volata in Israele per dirlo chiaramente fin da subito.

Sebbene questo riduca notevolmente i problemi per il team di Biden, una grave ripercussione è inevitabile: la guerra di Israele è una terribile distrazione dalla guerra in Ucraina, che a sua volta è un’enorme distrazione dal confronto che conta davvero, quello con la Repubblica Popolare Cinese. Il fatto che Biden abbia incontrato Xi Jinping a San Francisco la scorsa settimana, senza che i due venissero alle mani, può essere un buon segno, ma non risolve il problema che deriva dalla bellicosità di Xi.

La quale si manifesta ogni giorno e in molti modi, con l’aggressivo pattugliamento di aerei e navi da guerra cinesi intorno a Taiwan, al largo delle Filippine, tra le isole del Vietnam e gli isolotti Senkaku del Giappone, nonché con le potenti forze di terra dispiegate costosamente alle altitudini estreme del Tibet per minacciare la frontiera indiana del Ladakh. L’India non è un alleato, ma le forze aeree, navali e terrestri statunitensi e indiane si addestrano insieme e il Pentagono deve pianificare il supporto aereo che gli Stati Uniti non negherebbero se fosse necessario.

Tutto ciò significa che, mentre la coalizione di governo israeliana si sta preparando a un altro mese di guerra, Biden e il suo team vorrebbero che i combattimenti fossero terminati ieri, o almeno non appena gli israeliani tenuti in ostaggio nella Striscia di Gaza potranno essere recuperati. Anche Hamas, nel frattempo, è alla disperata ricerca di un cessate il fuoco; solo il suo massimo leader vive nel lusso del Qatar, mentre tutti gli altri in fuga a Gaza sono in pericolo di vita.

Nei negoziati che si stanno tenendo in queste ore, la strategia di Hamas consiste nello scambiare il minor numero possibile di ostaggi con il cessate il fuoco più lungo possibile, esattamente il contrario di quanto chiede la coalizione israeliana, mentre i qatarioti pendono una volta da una parte e una dall’altra per trovare un compromesso.

Nell’attesa, i funzionari americani e israeliani si trovano su lati opposti della questione del cessate il fuoco, ma senza alcuna acrimonia percepibile. È una questione di fiducia reciproca. Gli israeliani non si sono mai fidati pienamente di Obama, che anzi ha ordinato un cambio di politica dannoso alle Nazioni Unite proprio negli ultimi giorni del suo mandato, ma si fidano di Biden. Sono anche impressionati dalla mano ferma del Segretario di Stato Antony Blinken e dalla competenza professionale del Segretario alla Difesa Lloyd Austin, già noto per il suo precedente ruolo di comandante di tutte le forze statunitensi in Medio Oriente.

Queste basi non assicurano che le due parti siano d’accordo su tutto, ma certamente su ciò che conta davvero: gli Stati Uniti accettano che Hamas, con la sua dittatura oppressiva su Gaza e la sua dichiarata politica genocida, non possa essere un partner negoziale e debba essere distrutto, proprio come è stato distrutto lo «Stato Islamico» dell’Isis.

Allo stesso modo, il nuovo governo di coalizione israeliano, a differenza di Netanyahu quando aveva ancora il controllo esclusivo, accetta che la diplomazia statunitense riprenda la ricerca di rimedi pacifici al conflitto.

La condotta esemplare dei cittadini arabi di Israele – molti dei quali, dai neurochirurghi ai meccanici, stanno facendo gli straordinari per sostituire i riservisti – e l’empatia dimostrata dai loro leader eletti sulla scia dell’assalto omicida del 7 ottobre, hanno insegnato anche agli israeliani scettici che la realtà della coesistenza all’interno di Israele potrebbe essere estesa ai territori palestinesi con un accordo politico.

Il Giornale

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ProMossi


A forza di vivere tutto, eduardianamente, come un esame che non finisce mai, a forza di alternare la ripulsa per i giudizi negativi e la prosopopea per quelli positivi, si finisce con il fraintendere il significato delle cose e dei numeri. Dallo spread al

A forza di vivere tutto, eduardianamente, come un esame che non finisce mai, a forza di alternare la ripulsa per i giudizi negativi e la prosopopea per quelli positivi, si finisce con il fraintendere il significato delle cose e dei numeri. Dallo spread alle osservazioni della Commissione europea sul bilancio pubblico.

Quando lo spread italiano (la distanza fra il tasso d’interesse più basso per avere soldi in prestito e quello praticato a un determinato Paese) divenne enorme, la causa permanente era l’enorme debito pubblico. Se non ci fosse stato non sarebbe mai successo. Se un soggetto è troppo indebitato i prestatori faranno attenzione a dove mette i soldi e all’eventuale crescita del suo debito, talché aumenterà il rischio che i propri quattrini corrono e, quindi, il tasso d’interesse richiesto per prestarli. Fin qui siamo nell’ovvio, ma quel debito pubblico enorme c’era anche prima che lo spread esplodesse e, purtroppo, c’è ancora adesso che è basso. E allora? Era cambiato il contesto ed era stato commesso un grave errore, ma non dall’Italia: tentennando nell’affrontare il falso in bilancio dei greci, si era lasciato intendere (colpa di Merkel e Sarkozy) che un Paese dell’euro potesse andare in bancarotta. A quel punto gli occhi si girarono verso l’Italia. Che aveva e ha la responsabilità di un debito eccessivo, ma non aveva fatto niente di male.

Soltanto l’ottusa faziosità politica può far credere che il mondo dei soldi e degli interessi spenda la propria solidità per togliersi lo sfizio di ‘bocciare’ questo o quel governo. Quel mondo non fa questioni di parte, perché sta dalla propria parte. Che non si colloca né a destra né a sinistra, ma nel portafoglio. Ed è bene sia così. Ora che lo spread è basso, però, non significa che si ‘promuove’ l’Italia o il governo, ma che non si vedono pericoli imminenti. Quindi quelli che misurano lo spread in ragione dei governi o che ne rifiutano la misura perché i loro beniamini stanno governando, non sanno di che parlano.

Attenzione, però: non ho mai creduto che l’Italia fosse o sia a rischio di bancarotta, di default, ma non significa mica che non ci siano rischi. Anzi, c’è la certezza che ne viviamo uno assai grave, giacché lo spread è basso ma il nostro è più alto di quello greco di 40-50 punti, a seconda dei giorni. Significa che si considera più sicuro un soldo prestato ai greci che agli italiani o, se preferite, che per prestare soldi alla Grecia si chiede un tasso d’interesse inferiore a quello che si chiede all’Italia. E questo non è neanche un rischio, ma una certezza di svenamento. La cui responsabilità non va cercata nelle mani adunche dei mercanti, ma nel debito altissimo e nell’incapacità di farlo scendere (al contrario di quel che accade in Grecia e che è accaduto in Portogallo, che oggi ha un rating A, mentre noi navighiamo ai bordi della spazzatura).

Questa condizione si riflette pari pari nelle raccomandazioni della Commissione europea. Che non sono un giudizio sul governo. Il problema non è essere promossi, ma muoversi. Perché per uscire dallo svenamento del debito si deve non lasciarlo crescere in peso percentuale sul Prodotto interno lordo, il che si ottiene non certo pagando i debiti, ma fermandoli e producendo più ricchezza. Muoversi significa rendere reali le riforme che favoriscano la concorrenza, la formazione che aumenti la produttività del lavoro, il taglio delle spese correnti che favorisca la discesa della pressione fiscale e via andando in un elenco tanto ripetuto quanto trascurato. Se vendi il Monte dei Paschi di Siena (a proposito di “Prima l’Italia”: singolare che il collocamento sia a cura di operatori tutti stranieri) pensando di pagarci le pensioni che non riesci a limitare, stai dismettendo patrimonio per alimentare spesa corrente. E finisce male.

Passi per la propaganda un tanto al chilo, ma poi va dato il giusto peso alle cose, ricordando le crisi passate e che la protezione europea è fondamentale per non ritrovarsi in Argentina. Con o senza motosega.

La Ragione

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Germania e Italia insieme rafforzano la difesa europea. Parola dell’amb. Lucas


Gentili Ospiti, sono lieto che siate venuti in tanti al nostro ricevimento per celebrare l’anniversario della fondazione della Bundeswehr. La giornata di oggi è un’ottima opportunità prima di tutto per ringraziare l’Italia, questo splendido Paese, per la

Gentili Ospiti,

sono lieto che siate venuti in tanti al nostro ricevimento per celebrare l’anniversario della fondazione della Bundeswehr.

La giornata di oggi è un’ottima opportunità prima di tutto per ringraziare l’Italia, questo splendido Paese, per la sua straordinaria ospitalità. Le forze armate tedesche hanno oggi almeno 350 soldati di stanza in Italia, sia nelle missioni Nato che nell’ambito della nostra cooperazione bilaterale.

Questi militari e le loro famiglie, molti dei quali vivono nelle zone di Napoli, Catania o Ferrara, si sentono veramente a loro agio nella “bella Italia”. Si trovano così bene che molti tornano più volte per ulteriori missioni in Italia o rimangono nel Bel Paese anche dopo la fine del servizio.

Questi soldati e queste soldatesse, insieme alle loro famiglie, avvicinano i nostri due Paesi. L’ospitalità dei nostri amici e commilitoni italiani vi contribuisce in modo significativo.

Grazie Italia, grazie Forze armate italiane!

Cari ospiti,

il 12 novembre 1955 segna la nascita della Bundeswehr. Da allora, milioni di uomini – e migliaia di donne – hanno dato il loro contributo al mantenimento della pace. In questi decenni, la Bundeswehr ha vissuto una storia densa di eventi: dalla guerra fredda alla riunificazione, poi le missioni all’estero dalla Bosnia all’Afghanistan e al Mali, fino al nuovo orientamento verso la difesa collettiva e nazionale.

La Bundeswehr è figlia della guerra fredda. La sua fondazione è indissolubilmente legata all’adesione della Repubblica federale di Germania nella Nato. Questo mondo, segnato dalla contrapposizione fra est e ovest, appartiene ormai al passato.

A distanza di 68 anni il compito principale delle nostre forze armate rimane il mantenimento della pace – ma le sfide e i pericoli che affrontiamo oggi sono molto diversi da quelli della guerra fredda. Oggi stiamo assistendo a una “svolta epocale”, come l’ha definita il cancelliere Scholz, con una contemporaneità di grandi crisi, come la guerra russa contro l’Ucraina e la recente guerra in Medio Oriente, con nuovi pericoli per la nostra sicurezza – provenienti dallo spazio e dal cyber-spazio.

Noi tutti dobbiamo, pertanto, farci carico di maggiori responsabilità in materia di politica di sicurezza. La Germania non si tira indietro. Le nuove Direttive per la politica di sicurezza, pubblicate pochi giorni fa, parlano una lingua chiara. La Germania accetta la sua responsabilità che le deriva quale uno dei principali garanti della sicurezza europea. Ciò richiede considerevoli aumenti degli investimenti nelle nostre forze armate.

Spenderemo, quindi, nei prossimi anni per la difesa almeno il 2% del Prodotto interno lordo, in linea con le indicazioni della Nato.

Il Fondo speciale per la Bundeswehr di cento miliardi di euro, introdotto dal Cancelliere federale Scholz per migliorare le dotazioni della Bundeswehr, dà un importante contributo in questo senso. Da solo, però, non sarà sufficiente, il cancelliere federale ha annunciato, inoltre, aumenti sostanziali e duraturi del bilancio della difesa.

Anche il fatto che la Germania fornisca per la prima volta armi a un Paese in guerra al di fuori dell’Ue e della Nato fa parte di questa “svolta epocale”. Dopo gli Stati Uniti, la Germania è oggi il maggiore fornitore di armi all’Ucraina, solo quest’anno per un ammontare di 5,4 miliardi di euro.

Nel quadro della difesa collettiva e a prova della nostra solidarietà verso i nostri alleati ad est, la Germania stazionerà permanentemente in Lituania una brigata da combattimento della Bundeswehr con 4.000 effettivi – una novità nella politica di sicurezza tedesca dopo il 1945.

L’attacco terroristico di Hamas contro Israele e la guerra di aggressione russa contro l’Ucraina ci ricordano che la pace e la stabilità non possono essere date per scontate. Come comunità internazionale è essenziale essere coesi e adoperarsi per il rispetto della sovranità e del diritto internazionale nonché per la risoluzione pacifica dei conflitti.

Per superare le sfide che ci troviamo ad affrontare puntiamo sulla cooperazione nelle Nazioni Unite, nell’Alleanza nordatlantica e nell’Unione europea.

Nessuno Stato e nessuna organizzazione possiedono da soli le competenze e capacità necessarie per poter far fronte efficacemente alle sfide descritte. Solo attraverso l’unione e l’interazione di tutti i mezzi si può avere successo.

Pertanto, anche la stretta e consolidata cooperazione tra Germania e Italia riveste particolare importanza, ad esempio nelle esercitazioni e nelle operazioni: Germania e Italia collaborano intensamente nelle missioni all’estero, tra cui quelle di Kfor, Unifil, Enhance air policing in Romania, Capability Building in Iraq ed Eunavformed Irini. Il dispiegamento di parti essenziali della brigata tedesca Panzergrenadierbrigade 37 in Sardegna, svolto in modo impeccabile nel corso di un’esercitazione, ha messo in evidenza l’alto livello della cooperazione italo-tedesca.

Ma possiamo e vogliamo fare di più. Il Piano d’azione bilaterale che il presidente del Consiglio Meloni e il cancelliere federale Scholz sottoscriveranno la settimana prossima a Berlino offre a tal fine l’adeguata cornice, prevede come priorità una più stretta concertazione sulla politica militare.

Ciò include anche un potenziamento della nostra cooperazione nel settore dell’industria della difesa. Con le loro performanti imprese Germania e Italia possono dare un sostanziale contributo al rafforzamento delle capacità europee.

Stimati ospiti,

Gli insegnamenti tratti dalla nostra storia ci mostrano che soltanto in un’Europa unita e in grado di agire possiamo garantire un buon futuro alle generazioni che verranno dopo di noi.

Forze armate operative, ben addestrate e attrezzate sono un presupposto irrinunciabile a tal fine. Viviamo in tempi densi di sfide. Il ministro federale della Difesa, Pistorius, recentemente ha affermato che la Bundeswehr deve essere in grado di condurre una guerra di difesa. Questo è un obiettivo molto ambizioso.

I militari stanziati in Italia insieme alle loro famiglie nel quadro della cooperazione Nato e bilaterale forniscono un contributo al raggiungimento di quest’obiettivo – grazie al vostro sostegno, stimati amici italiani, che da decenni ci riservate un’ospitalità senza eguali.

Vi ringrazio.


formiche.net/2023/11/germania-…



La legge di bilancio non è stata ancora varata che il governo ha già avviato le privatizzazioni  di asset pubblici con le quali   prova a far quadrare dei


La monocommittenza degli avvocati


Introduzione e presentazione dello studio Giuseppe Benedetto, Presidente della Fondazione Luigi Einaudi Valter Militi, Presidente Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense Interverranno avv. Ricardo Fratini, PhD Università degli Studi di Roma Tor

Introduzione e presentazione dello studio

Giuseppe Benedetto, Presidente della Fondazione Luigi Einaudi
Valter Militi, Presidente Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense

Interverranno

avv. Ricardo Fratini, PhD Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Francesco Greco, Presidente Consiglio Nazionale Forense
Mario Scilla, Coordinatore dell’Organismo Congressuale Forense

Modera
Giovanna Pancheri, Giornalista Sky TG24

Parteciperà all’evento il Ministro Carlo Nordio

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Summit Roma-Israele sull’antisemitismo globale


Apertura SEN. GIULIO MARIA TERZI DI SANTAGATA, Presidente Commission Politiche dell’Unione Europea del Senato della Repubblica DAN DIKER. Presidente del Jerusalem Center For Public Affairs ANDREA CANGINI, Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi

Apertura
SEN. GIULIO MARIA TERZI DI SANTAGATA, Presidente Commission Politiche dell’Unione Europea del Senato della Repubblica
DAN DIKER. Presidente del Jerusalem Center For Public Affairs
ANDREA CANGINI, Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi

Saluti Introduttivi
DR. GIUSEPPE PECORARO, Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo
HON. MICHAL COTLER-WUNSH, Inviato speciale israeliano per la lotta all’antisemitismo

Primo Panel – L’antisemitismo in ambito politico

Il nuovo antisemitismo genocida, Fiamma Nirenstein, Jerusalem Center for Public Affairs (CPA), giornalista de Il Giornale

La convergenza tra antisionismo e antisemitismo, Dan Diker, President Jerusalem Center for Public Affairs

Incitamento, finanziamento del terrorismo e discorso sull’antisemitismo nell’Autorità Palestines e in Hamas, Khaled Abu Toameh, giornalista arabo-israeliano del ‘”Jerusalem Post” e Senior Fellow del Jerusalem Center for Public Affairs e del Gatestone Institute.

Second Panel – Geopolitica dell’antisemitismo

Antisemitismo islamico, Gen. Yossi Kuper wasser, già capo della division di ricerca dell’intelligence militare dell’IDF e direttore del progetto sugli sviluppi regionali del Medio Oriente presso il Centro di Gerusalemme e direttore del Progetto sugli sviluppi regionali del Medio Oriente presso il Centro di Gerusalemme per gli Affari Pubblici.

Antisemitismo e Occidente, David Wurmser, consigliere per il Medio Orient dell’ex vicepresidente americano Dick Cheney

Islamismo ed estrema destra: uniti dall’odio per gli ebrei, Michele Groppi, Docente King’s College di Londra, presidente di ITSS Verona

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La legge di bilancio non è stata ancora varata che il governo ha già avviato le privatizzazioni di asset pubblici con le quali prova a far quadrare dei bilanc


IRAN. Le donne baha’ai che fanno paura alla Repubblica islamica


Beni confiscati, terre espropriate, case incendiate, cimiteri profanati, arresti arbitrari, torture, oltre 200 «giustiziati» dal 1979, tutto per annientare la pacifica minoranza religiosa L'articolo IRAN. Le donne baha’ai che fanno paura alla Repubblica

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di Antonella Tarquini –

Pagine Esteri, 22 novembre 2023.

Gli ayatollah hanno paura delle donne.

Non solo di quelle che continuano a sfidarli scendendo quasi quotidianamente in piazza e si tolgono il velo da quando Masha Amini, la 22enne arrestata il 13 settembre 2022 dalla «polizia morale» perché il suo velo non copriva bene i capelli è morta in prigione per le violenze dei carcerieri. Ma anche di quelle colpevoli di seguire la religione monoteista bah’ai, proibita dalla Tehran sciita che la considera eretica. Anch’esse, come Masha e le tante ragazze che hanno subito la stessa sorte, sono ormai simbolo della violenza contro le donne sotto la Repubblica islamica. Le donne sono infatti al centro dell’ennesima campagna di repressione dei bah’ai d’Iran. Nei giorni scorsi cinque anziane tra i 70 e i 90 anni di Hamadan sono finite in carcere malgrado una sia affetta da Alzheimer, altre diciannove sono state arrestate a Isfahan, Karaj, Yazd. “Una campagna al femminile” marcata da arresti e interrogatori di una violenza molto più forte che in passato, afferma Hamdam Nadafi, portavoce dei bah’ai di Francia. Alcune sono malate, private delle visite dei familiari come altre decine di bah’ai che scontano lunghe pene nella sinistra prigione di Evin.

Sono davvero le donne che possono mettere a rischio il regime totalitario dell’ayatollah Khamenei, Guida suprema della rivoluzione? O più semplicemente il clero sciita vuole combattere quel che la fede bah’ai veicola: la parità uomo-donna? Non é superfluo ricordare come alla nascita della religione, a metà dell’800, contribuì una donna, una dei 18 adepti del dignitario religioso, il Bab: la poetessa Tahirih. Di lei si dice che rifiutò di sposare lo Scià dell’epoca, si sa che fece scandalo togliendosi ostentatamente il velo in pubblico, proclamando ia libertà e parità dei sessi.

Una persecuzione ininterrotta fin dalla sua nascita

L’arrivo di Khomeini e della sua rivoluzione islamica ha inasprito il calvario della comunità bah’ai, già in atto sotto il regno dei Pahlavi, Reza Scià e Mohammed Reza Scià. Beni confiscati, terre espropriate, case incendiate, cimiteri profanati, arresti arbitrari, torture, oltre 200 «giustiziati» dal 1979, decine gli scomparsi, tra cui nel 1980 i nove membri dell’assemblea collegiale dirigente. E poi il divieto di assumere un bah’ai, il blocco delle pensioni e delle eredità, l’accesso vietato agli studi superiori a meno che nei formulari di ammissione i candidati non si dichiarino musulmani, abiura rifiiutata in blocco. Neppure i bambini si salvano: alle elementari (scuola d’obbligo dalla quale non possono essere esclusi) gli insegnanti cercano di far loro rinnegare la religione dei genitori con angherie e umiliazioni di ogni genere. Le incitazioni all’odio sulla stampa e nelle prediche dei mullah in moschea sono all’ordine del giorno, manifesti invitano a boicottare gli «apostati». Risale a Reza Scià il divieto di registrazione dei matrimoni tra bah’ai che per la legge sono concubini, i loro figli illegittimi.

Gli ayatollah fanno di tutto per annientare la pacifica minoranza religiosa, circa 300.000 persone, e indurre all’esilio. Obiettivo confermato dal memorandum scoperto nel 1993 redatto dal Consiglio culturale rivoluzionario e firmato prima di morire (1989) dall’ayatollah Khomeini, in cui si legge che lo sviluppo e l’evoluzione della comunità bah’ai devono essere bloccati. Nel frattempo pero’ la fede bah’ai ha conquistato piu’ di sei milioni di seguaci in 233 paesi, da 400.000 che erano agli inizi degli anni ’60: dopo il cristianesimo é la religione geograficamente più diffusa ed é riconosciuta dal Vaticano. Il sogno di Khomeini di un mondo interamente musulmano, che continua a nutrire la jihad, sembra in pericolo. Tanto piu’ che la campagna mondiale «OurStoryIsOne» lanciata a luglio per commemorare l’esecuzione di dieci donne bah’ai nel 1983 ha suscitato livelli senza precedenti di solidarietà

nella società iraniana, all’interno e nella diaspora. Gli iraniani di tutte le comunità religiose ed etniche si sono uniti per reclamare una società che sia per tutti fondata sull’uguaglianza , la comprensione, la giustizia, proprio mentre gli occhi del mondo sono puntati su Tehran e il suo appoggio ai terroristi di Hamas che hanno attaccato l’odiato stato di Israele.

Le accuse per giustificare gli arresti sono incesto, pedofilia, prostituzione, e spionaggio a favore di Israele (ridicolo per donne anziane malate o affette da Alzheimer) e attentato alla sicurezza dello stato. Si basano sul fatto che é in Israele, ad Haifa, che sorge il Centro mondiale bah’ai, la sede spirituale ed amministrativa della fede bah’ai. Lo decise il fondatore Baha’u’llah durante i suoi spostamenti in esilio ed oggi il giardino a terrazze é meta di pellegrinaggio dei bah’ai di tutto il mondo.

La nascita della nuova dottrina

Come abbia potuto nascere a metà dell’800, in una Persia sciita e integralista, una dottrina progressista che abolisce il clero, sostiene la giustizia sociale, la parità tra uomo e donna, la tolleranza, la ricerca indipendente della verità anche religiosa, l’esistenza di un solo Dio per tutte le religioni, é tuttora inspiegabile. Inevitabile fu la reazione alla scissione e alla nascita di una fede umanistica cosi rivoluzionaria agli antipodi del fanatismo, ma nulla puo’ giustificare la violenza della repressione odierna. Culla ne fu la città di Shiraz dove nel 1844 Ali Muhammad Shirazi detto il Bab (la porta, cioé la porta aperta su una nuova era) annuncio’ l’arrivo imminente del nuovo profeta inviato da Dio in terra, scandalizzando l’islam sciita per il quale l’ultimo profeta é Maometto. Appoggiando il clamoroso gesto della poetessa Tahirih il Bab colpi’ al cuore l’integralismo religioso, pagando con la vita: venne fucilato, i seguaci massacrati, Tahirih strangolata. Morendo, l’ultimo messaggio: «la mia morte non porrà fine alla liberazione delle donne nel mondo, ma ne sarà l’inizio».

Tra scissioni e persecuzioni e con la morte del Bab il movimento ando’ spegnendosi finche’ Baha’u’llah, (la gloria di Dioi), un nobile di Tehran, raccolse il testimone e si presento’ come l’atteso profeta. Fini’ i suoi giorni in esilio ad Acri in Israele, raccomandando al figlio di far erigere il Centro dei bah’ai ad Haifa, e la tomba del Bab sulle pendici del Monte Carmelo, allora in Palestina. Entrambi parte della lista del patrimonio mondiale dell’Unesco. Lascio’ centinaia di testi in cui promuove la piena parità dei sessi, l’istruzione come bene universale, l’armonia tra religione e scienza, una società senza barriere di razza, credo, classe. Testi che si oppongono ad ogni assolutismo e integralismo religioso, messaggi moderni che cozzano con l’Islam e sono condannati anche in altri paesi come il Qatar e lo Yemen dove le persecuzioni dei bah’ai sono all’ordine del giorno.

«Un genocidio culturale perpetrato nell’indifferenza generale», dichiarava anni fa l’avvocatessa Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace che pur non essendo bah’ai accetto’ di difendere alcuni dirigenti di questa fede «perché nessuno vuole farlo, per paura di rappresaglie». Ancora una donna a sfidare il clero, che ha portato i riflettori sulla causa bah’ai, contribuendo anche ad indurre molti atenei stranieri a riconoscere i diplomi rilasciati dall’Istituto di insegnamento superiore, organismo creato dai bah’ai per formare i giovani esclusi dalle università iraniane, via internet. Chiuso dalle autorità nel 1998.

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Inizia il Job&Orienta! Vi aspettiamo allo stand e agli eventi culturali, ai convegni, ai seminari formativi e ai laboratori.
Oggi si svolgerà il primo dei 5 grandi eventi del MIM, UNICA, la nuova piattaforma per famiglie, studentesse e studenti.


Il quartetto di giganti dagli anelli | Cosmo

"Se chiedessi quanti pianeti del Sistema solare hanno gli anelli, pochissimi mi risponderebbero quattro: Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Ma in effetti è proprio la risposta giusta."

bfcspace.com/2023/11/22/il-qua…



Il #22novembre ricorre la Giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole, istituita dal Parlamento italiano il 13 luglio 2015.


In Cina e in Asia – Oltre il 75% dei fondi esteri arrivati in Cina nel 2023 sono andati via


In Cina e in Asia – Oltre il 75% dei fondi esteri arrivati in Cina nel 2023 sono andati via xi jinping
I titoli di oggi:

Oltre il 75% dei fondi esteri arrivati in Cina nel 2023 sono andati via
Gli uomini di Xi diventano sempre più importanti
La Corea del Nord lancia un satellite spia
Il “Double Eleven non ha più senso di esistere”
Cina e Russia vogliono rafforzare gli investimenti reciproci
La Cina ha costruito il primo "comando near-space" al mondo

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GAZA. Approvato l’accordo per il rilascio di ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi.


L'intesa dovrebbe partire domani. Prevede la liberazione di 50 donne e bambini israeliani e la scarcerazione di 150 detenuti palestinesi in prevalenza donne e ragazzi. E quattro giorni di tregua nei bombardamenti israeliani su Gaza. Netanyahu: la guerra r

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della redazione

(foto Wafa news agency- commons.wikimedia)

Pagine Esteri, 22 novembre 2023 – Dopo Hamas anche il governo Netanyahu ha approvato l’accordo mediato dal Qatar, assieme ad Egitto e Usa, per garantire il rilascio di circa 50 ostaggi israeliani a Gaza – 30 bambini, otto madri e 12 donne in gruppi di 12-13 persone al giorno – in cambio per la prima volta dal 7 ottobre di un cessate il fuoco di quattro giorni e della scarcerazione di 150 prigionieri politici palestinesi, in maggioranza donne e adolescenti della Cisgiordania e Gerusalemme Est detenuti in Israele. Inoltre, il rilascio futuro di ogni dieci ostaggi aggiuntivi comporterà un ulteriore giorno di tregua.

Questa mattina Israele ha pubblicato una lista con i nomi di 300 prigionieri politici palestinesi che potrebbero essere liberati in questi giorni e in futuro, per dare ai suoi cittadini l’opportunità, per 24 ore, di presentare ricorso alla Corte Suprema contro la loro scarcerazione. Pertanto, l’accordo raggiunto dovrebbe entrare in vigore a partire da domani.

Tutti i particolari delle intese mediate dal Qatar si conosceranno nelle prossime ore. Tuttavia è già noto che Israele consentirà l’ingresso di ulteriore carburante a Gaza nonché di maggiori quantità di aiuti umanitari per i civili palestinesi in condizioni di vita disastrose a causa della devastante offensiva militare israeliana in corso da quasi 50 giorni. Secondo Hamas, Israele fermerà i voli di droni sul sud di Gaza e li effettuerà solo nel nord per sei ore al giorno, dalle 10:00 alle 16:00.

Durante la tregua Hamas dovrebbe localizzare altre 30 altre madri e bambini israeliani, oltre ai 50 iniziali, che sono nelle mani di altre organizzazioni palestinesi, tra cui il Jihad islami. Hamas sostiene di aver 210 dei circa 240 ostaggi, decine dei quali sono stranieri. Parte dell’accordo prevederebbe che la Croce Rossa abbia accesso ai rapiti che rimarranno come ostaggi a Gaza.

Non è chiaro quali intese siano state o saranno raggiunte per gli ostaggi stranieri. Israele afferma che l’accordo appena raggiunto non ha nulla a che fare con gli ostaggi che non sono israeliani e che altri governi dovranno lavorare ad accordi separati. Da parte sua Hamas ha detto che non rilascerà alcun soldato israeliano e consegnerà gli ostaggi alla Croce Rossa e poi li trasferirà all’esercito israeliano. Gli ostaggi verranno quindi sottoposti a un primo controllo medico, quindi saranno portati in uno dei cinque centri medici isolati in tutto Israele per incontrare le loro famiglie.

Il voto finale dell’esecutivo politico-militare israeliano è stato 35-3. I tre ministri di Otzma Yehudit (estrema destra) sono stati gli unici a votare contro l’accordo. Il ministro della Sicurezza e leader di Otzma Yehudit, Itamar Ben Gvir si è opposto con forza all’accordo descrivendolo una “capitolazione” che, tra le altre cose, porterà all’aumento della pressione internazionale su Israele affinché non riprenda i combattimenti dopo la scadenza del cessate il fuoco.

Il gabinetto di guerra israeliano ribadisce che riprenderà la guerra contro Gaza con tutta la forza necessaria. Nel frattempo, l’esercito attacca in Cisgiordania. Almeno sei palestinesi sono stati uccisi a Tulkarem da un drone israeliano durante un’incursione dell’esercito nella città palestinese. Pagine Esteri

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L'articolo GAZA. Approvato l’accordo per il rilascio di ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi. proviene da Pagine Esteri.



Weekly Chronicles #55


Tra nuove minacce per la privacy e qualche buona notizia.

Questo è il numero #55 delle Cronache settimanali di Privacy Chronicles, la newsletter che parla di sorveglianza di massa, crypto-anarchia, privacy e sicurezza dei dati.

Nelle Cronache della settimana:

  • Dimmi cosa scrivi…chatGPT ti dirà chi sei e dove sei
  • Una telecamera nel bagno dell’autogrill
  • L’Unione Europea fa dietrofront sul Chatcontrol

Nelle Lettere Libertarie: Viva la libertad, carajo!

Rubrica OpSec - Scenario della settimana: Marta è una giornalista politica. Vuole iniziare a scrivere pubblicamente le sue critiche e opinioni su governo e alcuni movimenti politici, sia sui social network che sul suo blog personale. Marta teme che qualcuno possa segnalare i suoi contenuti o riconoscerla e minacciarla. Teme anche che in caso di segnalazioni il suo account PayPal possa essere bloccato.

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Dimmi cosa scrivi…chatGPT ti dirà chi sei e dove sei


L’intelligenza artificiale generativa è molto bella. Ci semplifica il lavoro, ogni tanto ci ispira, qualche volta ci stupisce. E a stupire stavolta è una ricerca che parla di Large Language Models e privacy.

Secondo questa ricerca parrebbe che i modelli LLM come chatGPT siano in grado di inferire caratteristiche uniche sulle persone e perfino determinare il luogo in cui si trovano, in base a ciò che scrivono. Non ci credi? Facciamo un esempio.

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Qui una persona racconta brevemente di essere arrivata in un luogo da cui si vedono le alpi, inserendo alcune informazioni generiche in merito al trasporto pubblico, a un’arena e circa un famoso evento sul formaggio. A partire da queste poche righe, saresti in grado di capire la città esatta in cui si trova questa persona?

Magari sì, ma ti richiederebbe diverse ore di lavoro e la conoscenza di qualche tecnica di OSINT. Un motore come chatGPT impiega invece circa 240 volte in meno rispetto a un essere umano per capire che quella persona si trova a a Zurigo, nel quartiere Oerlikon.

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Il patrimonio informativo a disposizione di questi motori LLM è talmente vasto che permette di inferire con una precisione sbalorditiva informazioni che richiederebbero a un’analista parecchio lavoro. Purtroppo, neanche l’anonimizzazione degli elementi direttamente identificativi è utile a limitare l’inferenza, come mostra il prossimo esempio:

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llm-privacy.org

Immaginate cosa saranno in grado di fare (e probabilmente già fanno) le agenzie di intelligence con uno strumento del genere. Cari lettori, è forse ora di iniziare a imparare qualcosa di OSINT e cercare di limitare il più possibile l’esposizione online.

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Una telecamera nel bagno dell’autogrill


Giovedì ero in viaggio per una trasferta di lavoro che mi ha portato verso il Veneto. Verso le 11:30 decido di fermarmi per una pausa caffè e per fare un salto in bagno. In prossimità di Verona vedo il cartello che indicava l’uscita per il prossimo autogrill e una grande insegna con scritto Bauli.

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#55


VERSIONE ITALIANA UE PROSEGUONO I NEGOZIATI SULL’ AI ACT L’AI Act è la normativa che nasce per regolamentare l’intelligenza artificiale. Il dossier attualmente è nell’ultima fase del processo legislativo quella nella quale la Commissione europea, il Consiglio e il Parlamento si riuniscono in “triloghi” per definire le disposizioni finali della legge. Francia, la Germania e …