Dialoghi – Il sogno cinese è di tutti, anche delle persone con disabilità
La situazione delle persone con disabilità in Cina è progressivamente migliorata negli ultimi trent’anni, ma restano ampi margini per una maggiore inclusione, soprattutto a livello sociale.
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In Cina e Asia – Gaza, la Cina pubblica documento per raggiungere una "pace duratura”
I titoli di oggi: Gaza, la Cina pubblica documento per raggiungere una “pace duratura” La Cina rilascia le prime immagini della stazione spaziale Tiangong Governatore banca centrale cinese: “Slegare la crescita dagli investimenti” Hong Kong: 47 attivisti rischiano l’ergastolo Gli Usa accusano un funzionario indiano per il tentato omicidio di un leader sikh La Corea del Nord rilancia il commercio ...
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Attacco a Gerusalemme, uccisi 2 israeliani. In Cisgiordania spari dell’esercito uccidono un giovane palestinese
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della redazione
Pagine Esteri, 30 novembre 2023 – Due israeliani, un uomo di 73 anni e una donna di 24, sono stati uccisi in un attacco compiuto oggi da due uomini armati ad una fermata d’autobus all’ingresso di Gerusalemme. Altri quattro sono stati feriti. I due palestinesi, di Gerusalemme Est, che hanno fatto fuoco sono stati uccisi pochi secondi dopo dagli spari della polizia e di soldato. Nei mesi scorsi era avvenuto un attentato con un ordigno (due morti) ad un’altra fermata d’autobus di Gerusalemme Ovest non lontana da quella dell’attacco di questa mattina.
Ore prima, colpi sparati da soldati israeliani avevano ucciso un palestinese, Fuad Badran, 21 anni, a Beitunia (Ramallah). Il giovane stava aspettando, riferiscono i media palestinesi, l’arrivo dei prigionieri politici scarcerati da Israele nell’ambito degli accordi di cessate il fuoco con Hamas a Gaza. Nei giorni scorsi un altro palestinese era stato ucciso da forze israeliane mentre era in attesa dei detenuti rilasciati. Con la morte di Fadi Badran, il bilancio di vittime palestinesi in Cisgiordania è salito a 455 dall’inizio dell’anno, di cui 247 dal 7 ottobre.
In queste ore è in corso un’altra incursione di reparti militari israeliani nella città di Tulkarem e nel suo campo profughi, in Cisgiordania. Ieri a Jenin erano stati uccisi, in un altro raid, 4 palestinesi tra cui un 15enne e un bambino di 9 anni.
Oggi Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo dell’ultimo minuto per estendere di un giorno il cessate il fuoco a Gaza in modo da consentire ai negoziatori di continuare a lavorare per lo scambio di ostaggi con prigionieri palestinesi. La tregua nei passati sei giorni ha permesso l’arrivo degli aiuti umanitari fondamentali a Gaza dopo che gran parte del territorio palestinese costiero, popolato da 2,3 milioni di persone, è stato trasformato in una terra desolata dai bombardamenti israeliani.
“A Israele è stata consegnata una lista di donne e bambini secondo i termini dell’accordo, e quindi la tregua continuerà”, ha dichiarato in un comunicato l’ufficio del primo ministro israeliano proprio alla scadenza della tregua. Il movimento islamico aveva precedentemente sostenuto che Israele si era rifiutato di ricevere altre sette donne e bambini e i corpi di tre ostaggi morti in cambio del prolungamento della tregua. Hamas non ha fatto i nomi delle persone morte ma ieri aveva detto che una famiglia di tre ostaggi, incluso Kfir Bibas di 10 mesi, era morta durante un bombardamento israeliano su Gaza.
Hamas ieri ha liberato 16 ostaggi – 12 donne e bambini israeliani e 4 lavoratori tailandesi – in cambio del ritorno casa di 30 prigionieri palestinesi. Le condizioni del cessate il fuoco, compresa la fine dei combattimenti e l’ingresso di aiuti umanitari, rimangono le stesse, secondo un portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, mediatore chiave tra le parti in guerra insieme all’Egitto e agli Stati Uniti.
Prima della tregua, Israele ha bombardato Gaza per sette settimane uccidendo più di 15.000 palestinesi e ferendone altri 35mila come rappresaglia all’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre in cui sono morti 1200 israeliani, in prevalenza civili.
Oggi il segretario di Stato americano Antony Blinken è arrivato a Tel Aviv, il suo terzo viaggio nella regione nelle ultime settimane per discutere l’estensione della pausa nei combattimenti, gli aiuti umanitari e lo scambio di altri ostaggi. Sempre oggi la Giordania ospita una conferenza a cui parteciperanno le principali agenzie umanitarie delle Nazioni Unite, regionali e internazionali per coordinare gli aiuti a Gaza. La Cina intanto invita il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a formulare un calendario e una tabella di marcia “concreti” per attuare la soluzione a Due Stati (Israele e Palestina). Pagine Esteri
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Cooperazione. Un po' di storia. La seconda parte. Dal white slave traffic al Primo congresso.
(Locandina di un film sul white slave traffic)
Nella parte precedente abbiamo raccontato degli albori della cooperazione internazionale di polizia.
Un altro focus delle attività di polizia internazionale a conclusione dell’Ottocento – allorquando il tema esordisce con grande forza nel dibattito pubblico – fu posto sulla prostituzione internazionale, definita inizialmente “commercio delle schiave bianche” (white slavery, immagine precedente).
Si trattava di un fenomeno criminale piuttosto esteso, coinvolgente donne maggiorenni ed anche minorenni, che necessitava di una risposta a livello internazionale. Furono soprattutto inchieste giornalistiche ad evidenziare episodi di vendita da parte delle famiglie o di rapimenti di giovani costrette a prostituirsi, in Inghilterra, Francia, Stati Uniti, tanto da divenire argomento di rilievo, che suscitava notevole interesse nei lettori.
Un primo International Congress on the White Slave Trade si tenne a Londra il 21, 22 e 23 giugno del 1899, con la partecipazione di delegati provenienti da Austria, Danimarca, Francia, Germania, Norvegia, Russia, Svezia, Svizzera, la stessa Gran Bretagna e Stati Uniti, su iniziativa della National Vigilance Association, una “association of men and women to enforce and improve the laws for the repression of criminal vice and public immorality, to check the causes of vice, and to protect minors”, considerata l'organizzazione più importante per la lotta contro il traffico sessuale nella Gran Bretagna di fine secolo.
Una più rilevante conferenza internazionale sulla tratta di prostitute fu organizzata dalle autorità francesi a Parigi il 15 luglio 1902. In un successivo incontro sempre nella capitale francese nel 1904, fu firmato l’“Accordo internazionale per la soppressione del traffico di schiave bianche” dai Governi di 12 Paesi europei. Ancora a Parigi il 4 maggio 1910, la “Convenzione internazionale per la soppressione del traffico di schiave bianche” fu firmata da 13 nazioni, tra cui la maggior parte dei Paesi che avevano sottoscritto sei anni prima. La “Convenzione internazionale per la repressione della tratta delle donne e dei fanciulli”, firmata a Ginevra nel 1921, auspicava un coordinamento internazionale ed accordi per le estradizioni degli imputati. Ratificata dall'Italia nel 1923, la Convenzione porterà alla costituzione dell’Ufficio Centrale per la repressione della tratta delle donne e dei fanciulli presso la Direzione Generale della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno.
(Alberto I di Monaco)
La prima iniziativa del XX secolo per istituire formalmente una organizzazione internazionale di polizia su questioni di natura non politica fu presa al Primo Congresso della Polizia Criminale Internazionale a Monaco, dal 14 al 18 aprile 1914. Aderirono 24 Paesi, su convocazione del Principe Alberto I di Monaco (Immagine precedente[i][/i]).
L’incontro si concentrò sulla applicazione della legge penale. Le discussioni al Congresso si svolsero esclusivamente all’interno di un quadro giuridico, compresi i dibattiti su accordi di diritto internazionale, come le procedure di estradizione, il perfezionamento dei metodi di identificazione e la costituzione di uno schedario centrale nazionale.
Le proposte che riguardavano misure di polizia furono discusse quindi solo in funzione di principi giuridici.
Il Congresso non portò ad istituire un’organizzazione di polizia internazionale, soprattutto perché l’incontro non era stato organizzato da dirigenti di polizia, ma da politici e da funzionari legali. Rimase comunque il corpus delle intenzioni dei partecipanti, definito come “le 12 volontà”, un lascito che servirà da base per la successiva iniziativa di Vienna, di cui parleremo nella parte successiva.
Si parte dal migliorare i contatti diretti tra le forze di polizia dei diversi Paesi, mediante speditezza tecnica di comunicazione e la scelta di un linguaggio comune per armonizzare gli scambi di informazione. Il francese fu designato come lingua internazionale, seppure l’esperanto sia menzionato come una possibilità per il futuro, se fosse diventato sufficientemente diffuso: cosa che – come sappiamo – non avverrà.
La formazione è considerata vitale, sia in termini di studio di scienze forensi per gli studenti di giurisprudenza, sia in termini di pratica investigativa per gli agenti di polizia. Tra le “volontà”, la necessità di creare un sistema internazionale, standardizzato e centralizzato di schedatura dei criminali. Infine, l’estradizione è un punto chiave di discussione al Congresso, con quattro “desideri” relativi a questo argomento: i partecipanti riconoscono la necessità di un trattato di estradizione modello e la trasmissione rapida delle richieste, che devono fungere da base per l’arresto provvisorio.
… continua …
Ucraina. La controffensiva è fallita, la Nato ha un “piano B”
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di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 30 novembre 2023 – L’inverno è arrivato con le sue tempeste di neve e le sue gelate, ed ormai nessuno può più nascondere che la controffensiva ucraina contro i russi, bloccata dai campi minati e dalle fortificazioni erette dalle truppe di Mosca, sia sostanzialmente fallita.
Neanche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che in una lunga dichiarazione dai toni pure trionfalistici – «Kiev ha riconquistato il 50% del territorio occupato da Mosca, l’Ucraina ha prevalso come nazione indipendente e sovrana: questa è una grande vittoria» – non ha potuto non inserire un passaggio incontrovertibile, riconoscendo che «un sostanzioso sostegno militare da parte degli alleati Nato non è riuscito» a permettere agli ucraini di «spostare la linea del fronte: non dovremmo mai sottovalutare la Russia».
Secondo molti osservatori e diplomatici la situazione di stallo che dura ormai da parecchi mesi, con la linea del fronte che non si è sostanzialmente mossa, potrebbe lasciare spazio ad una nuova avanzata delle truppe di Mosca. Ad Avdiivka (nel Donbass), ad esempio – una delle poche località dove si combatte sul terreno una battaglia lunga e feroce – i militari di Mosca starebbero avanzando da tre direzioni, col rischio che le truppe ucraine rimangano chiuse in un cul de sac.
A Kiev servono più truppe
Quella in corso da quasi due anni si è ormai trasformata in una guerra di logoramento, che avvantaggia la Russia, dotata di un apparato militare-industriale in parte obsoleto ma molto più consistente di quello ucraino.
Il timore dei governi occidentali – scrive il Wall Street Journal – è che «la posizione dell’Ucraina sul campo di battaglia possa crollare già quest’inverno» a causa del fatto che l’esercito di Kiev «soffre una carenza della fanteria a causa delle pesanti perdite subite».
Per rimpinguare i ranghi Kiev sta preparando una nuova legge sulla mobilitazione militare generale che estenderebbe il reclutamento a fasce della popolazione finora esentate. D’altronde da quando le truppe russe hanno invaso l’Ucraina, si calcola che circa 600 mila uomini in età di leva abbiano abbandonato il paese per sfuggire all’arruolamento, mentre alcune categorie di cittadini sono state graziate suscitando il risentimento dei soldati impantanati al fronte. Per questo il governo ha intensificato ora la caccia ai renitenti e ai disertori, imponendo multe e pene detentive.
La nuova legge – che stando al presidente della “Commissione per la sicurezza e la difesa nazionale” Oleksandr Zavitnevych sarebbe in via di approvazione – dovrebbe prevedere il reclutamento anche di chi è stato condannato per reati di vario genere, degli studenti universitari finora esentati e dei cittadini ucraini che hanno prestato servizio militare in altri Paesi prima di ottenere la cittadinanza ucraina. Inoltre dovrebbe essere incrementato il reclutamento delle donne nei ranghi dell’esercito.
Soldati ucraini al fronte
Le munizioni arrivano con il contagocce
Ma a Kiev non mancano solo gli uomini; i suoi reparti, soprattutto d’artiglieria, sono a corto di munizioni. L’Unione Europea finora è riuscita a spedire a Kiev neanche un terzo del milione di proiettili che aveva promesso entro il marzo prossimo. Anche le consegne di armi e munizioni provenienti dagli Stati Uniti sono diminuite da quando Washington ha deciso di dirottare verso Israele alcuni stock destinati a Kiev, circostanza segnalata con preoccupazione dallo stesso Volodymyr Zelensky.
Come se non bastasse, ora anche gli aiuti finanziari annunciati da Biden sono in ritardo, anche a causa dell’ostruzionismo dei repubblicani che controllano il senato di Washington.
Il “piano segreto” di Usa e Germania
Alle crescenti difficoltà materiali si sommerebbe però anche un mutamento di strategia da parte degli “alleati” di Kiev. Mentre Zelensky continua a perseguire pubblicamente la riconquista di tutti i territori annessi da Mosca, Crimea compresa, i suoi sostenitori della Nato nutrono ora seri dubbi su una linea intransigente quanto irrealistica, dopo aver lungamente spinto Kiev contro Mosca ed aver chiuso ad ogni seria trattativa nelle fasi iniziali del conflitto.
Per convincere Zelensky alla moderazione e ad un negoziato disponibile anche a “brutali compromessi”, secondo un articolo pubblicato dal quotidiano tedesco Bild che cita alcuni funzionari del governo Scholz, Washington e Berlino avrebbero messo a punto un piano diretto a ridurre gli aiuti militari e finanziari all’Ucraina, fornendo solo quelli sufficienti a evitare una Caporetto. Secondo la fonte citata da Bild, «il piano tedesco-americano è fornire a Kiev il tipo di armi e la giusta quantità per consentire all’esercito ucraino di mantenere l’attuale linea del fronte, ma non di riconquistare territori». Se Zelensky dovesse mettersi di traverso rispetto alla trattativa, il “piano segreto” di Joe Biden e Olaf Scholz (che però vedrebbe la contrarietà del suo ministro della Difesa, Boris Pistorius) prevederebbe un congelamento di fatto del conflitto senza il raggiungimento di un cessate il fuoco, così come era avvenuto in Donbass dopo le fasi più cruente del 2014.
Per ora la posizione ufficiale dei governi di Germania e Stati Uniti non è mutata e prevede il “sostegno totale all’Ucraina fino alla sconfitta della Russia”, ma nella grande stampa occidentale i difensori della trattativa, non fosse altro che per motivi di necessità, prendono sempre più piede. Occorre smetterla col «pensiero magico della sconfitta russa» e cominciare a ragionare su una strategia di contenimento di Mosca, ha avvertito nei giorni scorsi il Wall Street Journal, mentre il francese Le Figaro ricordava che «si è dissipata la speranza» di un «collasso dell’esercito russo nel medio termine».
La Russia regge
Anche la Russia ha problemi non indifferenti a mantenere lo sforzo bellico, ma finora ha dimostrato di resistere meglio del previsto. E comunque, “è condannata a vincere”. Le sanzioni occidentali non hanno causato il previsto tracollo del suo Pil e anzi Mosca ha rapidamente riorientato gli scambi commerciali e la vendita dei suoi idrocarburi verso partner asiatici, africani e latino-americani, riuscendo a evitare l’isolamento. Anche la ribellione della Wagner è stata rapidamente assorbita e le falle create al fronte dallo smantellamento della compagnia mercenaria sono state tappate senza grandi problemi. Ora probabilmente Putin spera che la probabile vittoria di Donald Trump alle prossime presidenziali alleggerisca ulteriormente il sostegno statunitense a Kiev, e a quel punto diminuirebbe anche quello europeo spesso frutto proprio delle pressioni (e dei condizionamenti) di Washington.
Cresce la sfiducia in Zelensky
L’andamento non proprio trionfale della guerra nell’ultimo anno continua invece a provocare tensioni e spaccature all’interno dell’establishment ucraino e tra questo e le truppe.
I militari denunciano – racconta ancora Bild in un lungo reportage – le inefficienze della macchina statale e in particolare del governo, che li costringerebbe a combattere in condizioni insostenibili a causa della mancanza di armi ed equipaggiamenti, di assistenza e di una strategia bellica razionale.
Da parte loro, invece, i più stretti collaboratori di Zelensky e i dirigenti del suo partito – “Servitore del popolo” – accusano alcuni generali e soprattutto il capo di Stato Maggiore Valeriy Zaluzhny per il fallimento di una controffensiva che pure, per il presidente, procede a gonfie vele. Il generale è ancora molto popolare e secondo vari analisti potrebbe catalizzare lo scontento elettorale nei confronti dell’ex attore al comando dal 2019, anche se il diretto interessato nega ogni interesse per la politica. Nel dubbio, Zelensky ha rimandato a data da destinarsi le elezioni previste nel marzo del 2024. Secondo i risultati di un sondaggio riportato dall’Economist, la fiducia dei cittadini ucraini nei confronti di Zelensky, anche a causa dei numerosi scandali per corruzione che hanno interessato il suo entourage, è scesa al 32%, mentre il generale Zaluzhny godrebbe del sostegno del 70% del campione. Anche il direttore dell’intelligence militare ucraina, Kyrylo Budanov – la cui moglie sarebbe stata recentemente avvelenata – potrebbe contare su un 45% di opinioni positive.
Dopo aver rimosso vari stretti collaboratori di Zaluzhny, colpevole di aver confessato in un’intervista all’Economist le difficoltà di Kiev, Zelensky avrebbe ora ordinato ai governatori regionali di «interrompere ogni comunicazione» con il capo di Stato Maggiore, per evitare che “le élite regionali creino entusiasmo” intorno alla figura di Zaluzhny. Almeno così scrive il giornale online ucraino “Strana”, considerato un media dell’opposizione e filorusso (anche se è stato bandito anche da Mosca per le sue critiche nei confronti del Cremlino) e per questo teoricamente chiuso dal governo di Kiev già nel 2021. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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JENIN. Due bambini palestinesi uccisi dal fuoco di precisione dei cecchini israeliani
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Pagine Esteri, 29 novembre 2023. Due bambini di 8 e 15 anni sono stati uccisi dall’esercito israeliano durante il raid, durato più di 12 ore, all’interno del campo profughi palestinese di Jenin, nella Cisgiordania occupata. L’attacco israeliano è stato descritto dai residenti come il più violento dal 7 ottobre, giorno dal quale le incursioni israeliane sono avvenute a cadenza quasi quotidiana.
Adam Samer al-Ghoul di 8 anni e Basil Suleiman Abu al-Wafa di 15 anni sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco che i tiratori scelti hanno sparato dalla distanza contro di loro, mentre camminavano in strada. I due bambini hanno tentato invano di cercare riparo ma non hanno avuto scampo. Fonti israeliane hanno dichiarato che si stavano preparando a “lanciare ordigni”. I video di entrambe le uccisioni, riprese da telecamere di sicurezza, hanno fatto il giro del web.
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L’esercito israeliano ha dichiarato che durante il raid sono stati uccisi altri due uomini, uno dei quali avrebbe avuto un importante ruolo di collegamento tra i gruppi armati palestinesi. La casa in cui si trovava è stata bombardata e distrutta da un drone. I mezzi israeliani hanno distrutto le strade del campo profughi, come è ormai tradizione durante i raid in Cisgiordania.
Nelle ultime 24 ore 35 palestinesi sono stati arrestati in Cisgiordania, tra i quali un bambino di 12 anni. Il numero totale degli arresti nella West Bank dal 7 ottobre supera i 3.300.
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Mafia in Procura
In attesa della pagella dei magistrati, il voto in Storia resta molto basso per giustizia e politica perché si continua a ignorare una insuperabile ingiustizia, cancellata dal dibattito pubblico. Mario Mori ha messo in fila i fatti che dimostrano come il lavoro del Ros dei Carabinieri, l’inchiesta mafia-appalti, sia stato destrutturato e seppellito dopo la morte di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Rincara la dose in un libro con Giuseppe De Donno, altro Carabiniere del Ros.
I due Carabinieri non soltanto documentano con precisione gli ostacoli che incontrarono –posti sia dal capo della Procura di Catania che da quello della Procura di Palermo – ma raccontano anche che il loro lavoro segreto era già conosciuto dai mafiosi, disvelato per mano di quegli uffici. Reclamano che sia fatta piena luce giudiziaria, ricordando Procure che lavorarono contro Borsellino e il Ros.
Mitomani? Può essere. Ma le pagelle sarebbero da bocciatura, anzi da espulsione, se non si aprisse una specifica inchiesta.
La Ragione
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Soloo un marziano può pensare che Crosetto l’abbia fatta fuori dal vaso
Ancora ricordo l’impressione che mi fece leggere, nel 2006, “L’uso politico della giustizia”, scritto da Fabrizio Cicchitto. Un saggio documentatissimo che ricostruisce il rapporto malato tra giustizia e politica sin dal primo dopoguerra, in un crescendo che raggiunse il suo acme nel 1993 con Mani Pulite. Casi su casi di, come recita il titolo, uso politico delle vicende giudiziarie, ma soprattutto interviste, appelli, documento, stralci di relazioni congressuali da cui emerge la tendenza di alcune correnti della magistratura, con Md in testa, a farsi soggetto politico e ad abusare della propria funzione giurisdizionale per realizzare disegni e imporre originali forme di etica pubblica. Altro che separazione dei poteri: roba da giunta militare sudamericana.
Recentemente, ho letto il libro intervista all’ex potente capo dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, firmato da Alessandro Sallusti. Ne risulta con forza incontrovertibile lo spirito di cosca che governa il Csm, la bramosia di potere di molti giudici e pm, l’avvio di indagini pretestuose nate solo per stroncare la carriera di politici considerati avversari della casta giudiziaria o semplicemente portatori di idee non condivise. Da brividi.
Stamattina ho letto l’editoriale del direttore del Foglio, Claudio Cerasa, da cui risulta l’esplicita mobilitazione delle toghe contro la riforma costituzionale cara a Giorgia Meloni. Nulla che incida sul rapporto tra potere esecutivo e potere giudiziario, eppure… Quelle che seguono sono le parole di Cerasa.
“Il primo episodio è legato alla discesa in campo di Giuseppe Santalucia, numero uno dell’Anm, l’Associazione nazionale dei magistrati, contro la riforma costituzionale progettata dal governo: ‘Si tratta – ha detto il 7 novembre – di uno sbilanciamento e uno squilibrio a favore del potere esecutivo’. Alla riunione della corrente Area a Palermo, sempre il segretario dell’Anm, a ottobre, ha spiegato anche che rischi correrebbe il governo, nelle aule giudiziarie, portando avanti la sua riforma plebiscitaria. ‘Se le minoranze vengono escluse dal circuito della partecipazione decisionale è logico e inevitabile che cerchino nelle aule di giustizia quella voce che non hanno avuto nella fase della formazione della volontà generale, quindi aumenteranno i conflitti’. L’8 novembre, il segretario di Magistratura democratica, Stefano Musolino, aggiunge un carico ulteriore, sempre sul tema: ‘La riforma costituzionale? Si tratta di una truffa delle etichette, giacché l’esito dei proponenti è quello di sconvolgere l’equilibrio tra i poteri dello stato, riducendo l’autonomia e l’indipendenza della magistratura tutta’.
Passano pochi giorni e alla riunione di Md a Napoli, il 12 novembre, i magistrati della corrente più a sinistra della magistratura aggiungono elementi in più, sempre sul tema riforme. Giuseppe Borriello, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Potenza, dice che la magistratura deve denunciare ‘la deriva burocratica del nostro lavoro’, afferma che ‘il compito dei magistrati è di tutelare gli interessi della collettività’ e ribadisce il fatto che le funzioni giudiziarie ‘non possano non essere ispirate da contenuti valoriali per non utilizzare un termine pericoloso che è quello ideologico’. Valerio Savio, giudice del tribunale di Roma, dice che Md deve difendere ‘con forza’ le sue posizioni contro la riforma, suggerisce di portare avanti questa ‘battaglia’ anche all’interno degli uffici e invita a mandare ‘forte e chiaro all’esterno questo messaggio’ costruendo rapporti con i comitati che si creeranno”.
Ecco, forte di queste tre letture, mi chiedo: ma c’è davvero qualcuno, in questo sciagurato Paese, convinto che Guido Crosetto l’abbia fatta fuori dal vaso?
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Carri, corazzati e difesa aerea. Perché Ercolani promuove il Dpp
La componente militare terrestre è quella in cui l’Italia appare maggiormente indietro, ed è per questo che l’inversione di tendenza inserita nell’ultimo Documento programmatico pluriennale della Difesa è una notizia positiva, soprattutto per quanto riguarda i programmi di prossimo avvio, capaci di generare un impatto positivo sia a livello capacitivo che economico. Questo il cuore dell’intervento di Alessandro Ercolani, amministratore delegato di Rheinmetall Italia, ascoltato dalla commissione Difesa della Camera dei deputati nell’ambito delle audizioni relative al Dpp. “La nostra analisi del documento è positiva, dal momento che traguarda esigenze, bilancia in modo lungimirante il contributo tra programmi correnti e di nuovo avvio, e inquadra l’indirizzo politico di voler rendere l’Italia protagonista nel contesto delle alleanze”. Nel dettaglio, il Dpp “va a compensare quello che è un deficit capacitivo italiano sulla parte terrestre, causato non da carenze di personale o di qualifica, ma da tecnologie degli assetti datati e che vanno rinnovati” ha sottolineato Ercolani, che ha anche aggiunto come, per questo, “il dialogo tra industria e istituzioni è fondamentale”.
Un nuovo contesto
Come registrato dal manager, “un piano non è mai giusto o sbagliato, ma deve essere letto in relazione al contesto nel quale viene presentato”, e il contesto attuale è molto cambiato, deteriorato rispetto agli anni scorsi a causa dei cambiamenti geopolitici in atto. Anche dal punto di vista tecnologico, ha detto Ercolani, è in atto un cambiamento “che impatta gli aspetti tecnologici, visto il recente impiego di tecnologie ibride sui campi di battaglia, per esempio i droni o i satelliti civili, Starlink”. Addirittura, ha segnalato l’amministratore delegato, “la produzione di approvvigionamento delle filiere russe si basa sull’uso dei microchip che vengono dagli elettrodomestici”. Per il comparto industriale, questo significa che c’è una ibridazione civile militare, un vero e proprio cambio di paradigma: “Oggi – ha proseguito Ercolani – c’è la richiesta di tecnologie che siano combat proven; sono finiti i tempi della tanta teoria e tante riflessioni, servono tecnologie pronte per essere usate sul campo di battaglia”.
L’importanza della produzione
Questi elementi chiamano in causa l’aspetto cruciale dei tempi di produzione. “Il mondo della difesa italiano era abituato a ragionare su tempi di consegna di 24 o 54 mesi, rispettivamente per equipaggiamenti di media o elevata complessità”, ha detto Ercolani, aggiungendo come oggi questi tempi siano impensabili: “Per i tempo di consegna oggi si parla di uno o due anni, e questo ha un grande impatto sull’industria, e il Dpp ne prende atto”. Una delle lezioni arrivate dalla guerra in Ucraina è invece l’importanza della produzione: “Prima della guerra – ha spiegato Ercolani – gli Stati Uniti producevano 250mila colpi di artiglieria l’anno, l’Europa 300mila”, per la sua difesa, invece, Kiev “ne richiede due milioni l’anno”. Sforzi sono stati fatti, in particolare con i fondi europei dell’Edf per incentivare la produzione di munizioni. “Il Dpp rafforza la produzione italiana di alcune munizioni, essenziali e vitali per il mantenimento operativo degli assetti”.
Il ruolo del terrestre
Altra lezione della guerra ucraina, ha registrato ancora l’ad, è l’importanza della guerra terrestre: “La dottrina recente si concentrava maggiormente sulla superiorità navale e aerea, meno su quella terrestre; ora si passa a una superiorità veramente sul campo di battaglia, fatta di veicoli terrestri”. Il Dpp in questo senso è molto attento, dal momento che dei circa novanta miliardi messi a disposizione dal documento, di cui cinque dedicati ai progetti di previsto avvio, il 91% dei quali dedicato alla componente Esercito: “È un grande cambio, perché l’Italia negli anni precedenti ha investito molto nel settore navale e nell’ammodernamento dell’Aeronautica”. Se si guarda agli investimenti operanti complessivi per programmi in corso o nuovi (dodici miliardi) ben il 35% è dedicato a progetti nuovi, “un conto è mantenere le flotte esistenti, ma bisogna guardare alle nuove esigenze, e in questo l’Esercito ha un ruolo importante” anche perché “gli assetti terrestri saranno sempre più importanti per mantenere la leadership sui campi di battaglia”.
I programmi del Dpp
In particolare, sono due i programmi per la dimensione terrestre sottolineati da Ercolani presenti del Dpp, quello per il carro armato da battaglia Mbt, e in particolare del Leopard che, come ha spiegato il manager “da dichiarazioni fatte dagli organi competenti” è quello “che oggi incontra i requisiti operativi dell’Italia”, e quello per i veicoli da combattimento per la fanteria Aics (Armored infantry combat system), che dovranno sostituire “un equipaggiamento datato, di oltre quarant’anni, cioè il Dardo, con unità di fanteria corazzata di nuova generazione”. Tutto questo, ha sottolineato Ercolani, “sempre valorizzando le tecnologie, il comparto e i territori italiani in una cornice europea, dentro la volontà italiana di assumere e mantenere un ruolo di leader nelle alleanze Ue e Nato”. In totale, ha registrato ancora il manager, l’insieme dei due programmi vale circa dieci miliardi di euro “e si prefigura come una vera e propria legge terrestre, che permette all’Italia di raggiungere lo stesso livello che ha oggi sul marittimo e sull’aereo anche per il terrestre”. Un altro elemento importante è l’attenzione rivolta alla difesa aerea, contro i droni e i missili, i cui sistemi sono gli unici “in grado di proteggere cittadini, città e assetti strategici”. Non è un caso che “la percentuale di spesa ucraina per gli armamenti sia al 60% per le munizioni e il 25/30% nella difesa aerea”, e il Dpp ha tra i suoi elementi più importanti proprio il rafforzamento dei sistemi contraerei.
INTERPOL 100 anni. Facciamo un po' di storia della cooperazione internazionale.
Nei giorni in cui l’INTERPOL (abbreviazione di "Organizzazione Internazionale di Polizia Criminale"), ovvero la più importante organizzazione internazionale che facilita la cooperazione tra le forze di polizia di diversi paesi, celebra a Vienna i suoi 100 anni di vita (nell'immagine il segretario generale Jürgen Stock tiene il discorso d'apertura della 91a Assemblea Generale), ripercorriamo a tappe la storia della mutua assistenza tra Nazioni nel settore del contrasto alla criminalità globale, cominciando dall’inizio …
Luigi Lucheni uccide l’imperatrice Elisabetta d’Austria
Siamo nel 1898. Il Governo italiano convoca a Roma una “Conferenza Internazionale per la difesa sociale contro gli anarchici” che si tiene dal 24 novembre al 21 dicembre. Il 10 settembre precedente, sulla passeggiata del Lago di Ginevra, in attuazione della dottrina anarchica della propaganda del fatto che prevede di colpire i simboli del potere, Luigi Lucheni aveva assassinato l’imperatrice Elisabetta d’Austria, popolarmente nota come Sissi (immagine precedente). L’ attentato si inserisce in quella che viene definita la “Decade del Regicidio”. Nel corso del decennio, attentati riconducibili agli anarchici hanno registrato 60 omicidi ed il ferimento di circa 200 persone.
Una settimana dopo l’assassinio di Sissi, il ministro degli esteri austriaco propone al suo collega svizzero di formare una “Lega internazionale di polizia” anti–anarchica. Il piano austro–svizzero rimane inattuato, ma il 29 settembre successivo il governo italiano indìce la conferenza internazionale che si terrà a Roma per organizzare la lotta all’anarchismo.
Partecipano 54 delegati provenienti da 21 Paesi europei, inclusi Gran Bretagna, l’Impero Germanico, Francia ed Austria–Ungheria. Nel protocollo finale sono individuate tre direttrici: monitoraggio del fenomeno anarchico – che utilizzava “mezzi violenti per distruggere l’organizzazione della società” –, creazione di agenzie specializzate e scambio di informazioni.
Alphonse Bertillon e le misurazioni antropometriche
Ciò anche con riguardo alla identificazione attraverso il metodo del portrait parlé, sviluppato dal sistema di bertillonage inventato da Alphonse Bertillon, che prevedeva la classificazione dei sospetti criminali sulla base di misurazioni antropometriche (immagine precedente). Anche l'identificazione attraverso l'utilizzo delle impronte digitali (tuttora utilizzata) farà ingresso nell’ambito della polizia criminale-scientifica verso la fine dell’Ottocento.
Nel novembre di due anni dopo, sono le autorità russe a prendere a monito l’assassinio del Presidente degli Stati Uniti McKinley (immagine sopra) per mano dell’anarchico di origini polacche Leon Czolgosz, quale occasione per implementare il Protocollo di Roma. La Conferenza si tiene nel marzo del 1904, a San Pietroburgo, allora capitale della Russia. Ad incontrarsi stavolta dieci delegazioni, che raggiungono un accordo su un Protocollo Segreto per una “guerra internazionale all’Anarchismo”.
In realtà, le pratiche di polizia internazionale dalla metà del XIX secolo in poi erano organizzate su base limitata. La maggior parte della cooperazione di polizia europea fino all’inizio del XX secolo come abbiamo visto riguardava per lo più compiti politici, relativi alla protezione del governo e mirati a contrastare attività sovversive.
Un esempio ci viene dalla Unione di polizia degli Stati tedeschi, un'organizzazione di polizia internazionale attiva dal 1851 al 1866 per sopprimere l'opposizione politica di liberali, democratici e socialisti. L'Unione di polizia coinvolgeva sette nazioni di lingua tedesca, che erano ideologicamente affini e politicamente federate.
Gli stessi Protocolli di Roma e San Pietroburgo non assumono la veste di Trattati da ratificare, e pochi Paesi introducono nella propria legislazione i suggerimenti provenienti dalle Conferenze.
Insomma, per il momento la Cooperazione rimane materia da trattarsi in via amministrativa a livello di Forze di Polizia.
… continua …
Il valore imprescindibile di carta e penna nei processi di apprendimento – Liceo “G.B. Grassi” di Latina
7 dicembre 2023, ore 9:00 presso l’Aula Magna del Liceo Scientifico “G.B. Grassi” di Latina, in Via Padre Sant’Agostino, 8.
Saluti introduttivi
VINCENZO LIFRANCHI, Dirigente Scolastico Liceo .B. Grassi
Intervengono
AVV. GIAN MARCO BOVENZI, Project Manager della Fondazione Luigi Einaudi
PROF.SSA LARA BONADIA, Docente Liceo G.B. Grassi
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Più Libri Più Liberi 2023 – Presentazione dell’Osservatorio Carta, Penna & Digitale
7 dicembre 2023, ore 15:30 – La Nuvola, Stand Regione Lazio, Via Asia 40 – Roma
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Appalti pubblici: lavoro e sviluppo territoriale
1 dicembre 2023, ore 15:00, Sala Tessitori – Piazza Oberdan, 5 – Trieste
Saluti introduttivi
GIAN PIERO GOGLIETTINO, Referente Fondazione Luigi Einaudi Friuli Venezia Giulia
ROBERTO DIPIAZZA, Sindaco di Trieste
EMANUELA PESEL, Presidente sez. controllo Corte de Conti Friuli Venezia Giulia
MAURO SAVIANO, Direttore regionale INPS Friuli Venezia Giulia
Relatori
LAURA IMOVILLI, Commercialista in Trieste
GABRIELE ALLIERI, Giudice del lavoro presso Tribunale di Gorizia
FEDERICO DECLI, Dirigente affidamenti e servizi ASP Mare Adriatico Orientale
MARCO PADRINI, Direttore centrale FVG, patrimonio, demanio, servizi generali e sistemi informativi
Interverranno
MICHELANGELO AGRUSTI, President Confindustria Alto Adriatico*
DORINO FAVOT, Presidente Anci Friuli Venezia Giulia
ANTONIO PAOLETTI, Presidente C.C.IA.A. Venezia Giulia
Modera
FRANCESCO DE FILIPPO, Direttore Ansa Friuli Venezia Giulia
Conclude
MASSIMILIANO FEDRIGA, Presidente Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
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Bangladesh. Migliaia di arresti e morti prima delle elezioni
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di RedazionePagine Esteri, 27 novembre 2023 – Numerose associazioni per i diritti umani locali e internazionali, compresa “Human Rights Watch”, hanno denunciato l’arresto di oltre 10 mila oppositori da parte delle forze di sicurezza del Bangladesh, nell’ambito di una “violenta repressione autocratica” diretta a indebolire l’opposizione in vista delle elezioni generali previste a gennaio. Secondo HRW, il governo della prima ministra Sheikh Hasina, che punta a ottenere un quarto mandato consecutivo, ha avviato una vasta e violenta repressione delle opposizioni per “eliminare la concorrenza”. Gran parte degli oppositori arrestati sarebbero attivisti del Partito nazionalista del Bangladesh (Bnp), protagonista della grande manifestazione del 28 ottobre scorso. In un comunicato il BNP ha dichiarato che da ottobre sono stati arrestati almeno 16.625 membri della formazione. Altre decine di migliaia di persone sarebbero state denunciate – e subiranno quindi un processo – o multate; molti dirigenti e attivisti politici e sindacalisi sarebbero dati alla macchia per evitare l’arresto. Secondo l’ong, nelle violenze che hanno caratterizzato le proteste delle settimane scorse hanno perso la vita 16 persone, inclusi 2 agenti di polizia, e 5.500 persone sono rimaste ferite. «Il governo (del Bangladesh) professa di impegnarsi per elezioni libere ed eque con i partner diplomatici, mentre al contempo le autorità statali stanno riempiendo le prigioni con gli avversari politici della Lega Awami al governo» ha dichiarato Julia Bleckner, ricercatrice senior per l’Asia di HRW. Sulla base di interviste ai testimoni, dell’analisi di video e dei rapporti della polizia, l’ong afferma di aver trovato «prove che le forze di sicurezza sono responsabili dell’uso eccessivo della forza, di arresti arbitrari di massa, sparizioni forzate, torture e esecuzioni extragiudiziali».La Commissione elettorale è aperta alla possibilità di riprogrammare le elezioni se il Partito nazionalista del Bangladesh (Bnp) e altre forze politiche decidessero di parteciparvi, ha detto la commissaria elettorale Rashida Sultana in una conferenza stampa tenuta il 20 novembre a Dacca. Le dodicesime elezioni per il rinnovo della Casa della Nazione, il parlamento unicamerale del paese asiatico che conta ormai 170 milioni di abitanti, si dovrebbero tenere il prossimo 7 gennaio; si voterà per eleggere 300 parlamentari in altrettanti collegi (altri 50 sono di nomina e riservati a donne). Ma il Partito nazionalista, la principale forza di opposizione nel Paese, ha contestato il calendario elettorale e si è mobilitato con manifestazioni e scioperi. L’ultimo ciclo di proteste, di 48 ore, è iniziato il 26 novembre e il prossimo, della stessa durata, è stato annunciato a partire da mercoledì. Il Bnp chiede da mesi le dimissioni del governo in carica e l’insediamento di un esecutivo ad interim fino alle elezioni. Il Partito nazionalista ha boicottato le elezioni del 2014 e perso nettamente quelle del 2018 alle quali si è presentato senza la sua presidente, l’ex premier Khaleda Zia, condannata pochi mesi prima a cinque anni di reclusione per appropriazione indebita e a sette anni per abuso di potere. Il Bnp ritiene le condanne politicamente motivate e ne chiede l’annullamento. Il 28 ottobre a Dacca si sono scontrati manifestanti e forze dell’ordine. Negli scontri sono morti un agente e un attivista. Il giorno seguente il segretario generale del Bnp, Mirza Fakhrul Islam Alamgir, 75 anni, è stato arrestato nell’ambito di un’ondata di centinaia di arresti. Il 30 ottobre le ambasciate in Bangladesh di sette Paesi – Australia, Canada, Corea del Sud, Giappone, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti – a nome dei rispettivi governi hanno fatto “appello alla moderazione”. In risposta al comunicato il ministro degli Esteri bengalese, Abul Kalam Abdul Momen, ha però imputato le violenze e il tentativo di “fuorviare gli amici stranieri del paese” al Bnp. Pagine Esteri
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Weekly Chronicles #56
Questo è il numero #56 delle Cronache settimanali di Privacy Chronicles, la newsletter che parla di sorveglianza di massa, crypto-anarchia, privacy e sicurezza dei dati.
Nelle Cronache della settimana:
- Catholic Laity and Clergy for Renewal, l’organizzazione cattolica che spia i preti gay
- In UE arriva il Data Act: aprirà le porte al “data-communism”
- I passaggi di stato dell’informazione
Nelle Lettere Libertarie: La strisciante minaccia delle leggi contro l’hate speech
Rubrica OpSec: una guida dettagliata per (provare a) rimanere anonimi online
Catholic Laity and Clergy for Renewal, l’organizzazione cattolica che spia i preti gay
Un’organizzazione “noprofit” cattolica ha investito più di 4 milioni di dollari per spiare ed esporre i preti gay. È la Catholic Laity and Clergy for Renewal e ha una missione: assicurarsi che i preti rispettino il voto di castità.
Per farlo non hanno assoldato oscuri hacker col cappuccio ricercati dall’INTERPOL, ma si sono limitati a comprare dataset aggregati da alcuni dei numerosi data broker che lavorano con il sistema RTB (Real-Time Bidding) — una pietra miliare della pubblicità online.
Il sistema RTB è la tecnologia che oggi permette di mettere all’asta spazi pubblicitari online in tempo reale, ad esempio mentre un utente cerca una pagina web o utilizza un’app sul telefono. Poiché gli spazi pubblicitari sono profilati, per funzionare ha bisogno di enormi quantità di dati aggregati, come:
- Dati demografici: informazioni che riguardano l’età, il sesso, l’educazione e l’ambito lavorativo e famigliare delle persone
- Abitudini: dati legati alle abitudini online, come ricerche, click, e così via
- Uso di app: le app raccolgono enormi quantità di dati di utilizzo che poi sono usati per profilare ulteriormente le persone
- Geolocalizzazione: informazioni che riguardano la posizione del dispositivo usato per navigare o per usare l’app, in un determinato momento
- Informazioni sul dispositivo: dettagli tecnici sul dispositivo usato per navigare o per usare l’app
Questi possono essere facilmente acquistati da aziende di data brokering il cui business model è raccogliere e rivendere tutte o alcune categorie di questi dati. Un mercato molto florido è quello dei dati di geolocalizzazione dei dispositivi. Una volta ottenuti, non serve altro che qualche capacità tecnica di analisi per intrecciare e correlare i dataset e cercare di identificare le persone a cui si riferiscono. È un po’ come costruire un puzzle.
In questo caso, l’organizzazione ha comprato alcuni database specifici per le app di dating gay per cercare di identificare i membri del clero che ne fanno uso. Il caso più noto è quello di Jeffrey Burril, segretario generale dell’American Bishops’ Conference, che è stato esposto e costretto poi a dimettersi.
Il lavoro di Catholic Laity and Clergy for Renewal ci insegna che contro un attaccante con sufficienti risorse e tempo a disposizione non c’è privacy o anonimato che tengano. Neanche gli amici più cypherpunk potrebbero dirsi al riparo da attacchi di re-identificazione mirati di questo tipo. Se agli enormi dataset oggi facilmente disponibili aggiungiamo anche le potenzialità OSINT dell’intelligenza artificiale… la frittata è fatta e le agenzie di intelligence banchettano.
In UE arriva il Data Act: aprirà le porte al “data-communism”
In UE è stato da poco approvato il testo del nuovo regolamento chiamato Data Act. Se avete l’impressione che esca un regolamento sui “dati” ogni due settimane, è perché più o meno è così. Da circa 3 anni l’UE è impegnata in una forsennata corsa verso la regolamentazione del cosiddetto “mercato digitale”, di cui i dati sono la prima risorsa.
Torna in gioco il gas al largo di Gaza negato ai palestinesi.
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di Michele Giorgio
(questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre dal quotidiano Il Manifesto)
Pagine Esteri, 29 novembre 2023 – Davanti alle rovine e ai lutti di Gaza e al rilascio di sequestrati israeliani e prigionieri palestinesi avvenuto durante i quattro giorni di tregua, la visita in Israele di Amos Hockstein è passata inevitabilmente in secondo piano. Ufficialmente volto ad evitare una escalation al confine tra Libano e Israele, il viaggio dell’inviato speciale della Casa Bianca per le risorse energetiche – un anno fa Hockstein ha mediato l’accordo sul gas tra Tel Aviv e Beirut – rientra nelle manovre che Usa, Europa e Israele, con l’apporto del Qatar, stanno avendo dietro le quinte per definire il «futuro di Gaza» nel «dopo Hamas». Sebbene la fine politica e sociale auspicata in Occidente del movimento islamico a Gaza resti un obiettivo a dir poco irrealistico.
Hochstein nel suo tour mediorientale in più occasioni ha parlato delle riserve di gas offshore a Gaza come di una fonte di reddito e di indipendenza energetica per i palestinesi. «Mentre marciamo verso un futuro di Gaza che non sia controllato da un’organizzazione terroristica, ma dal popolo palestinese, dobbiamo guardare all’attività economica», ha detto l’inviato Usa in una intervista. «Qui c’è l’opportunità di sviluppare i giacimenti di gas al largo di Gaza (il Gaza Marine, ndr) per conto dei palestinesi», ha detto, aggiungendo che di aver lavorato sulla questione con l’Autorità nazionale palestinese a Ramallah nell’ultimo anno e mezzo. Quindi è arrivato a prevedere che «ci saranno aziende disposte a sviluppare quei giacimenti» e si è detto sicuro «al 100%» che Israele non avrà rivendicazioni «perché quel gas appartiene al popolo palestinese». Tuttavia, le parole di Hockstein vanno interpretate con grande cautela, specie quando si parla della posizione di Israele sul giacimento di gas al largo di Gaza.
Il «Dono di Allah» come definì il giacimento lo scomparso leader palestinese Yasser Arafat potrebbe contenere 32 miliardi di metri cubi di gas e garantire 15 anni di energia a Gaza e Cisgiordania e favorire la costruzione di impianti per la produzione di elettricità senza dover ricorrere a forniture israeliane ed egiziane. Ma dopo oltre due decenni le popolazioni di Gaza e Cisgiordania non hanno potuto beneficiare del Gaza Marine. Il giacimento scoperto nel 2000 dalla British Gas che nel 1999 aveva firmato un accordo di esplorazione di 25 anni con l’Anp che conferiva ai palestinesi la giurisdizione marittima sulle acque che si estendevano a 20 miglia dalla costa di Gaza. All’epoca il governo israeliano approvò la perforazione e la British Gas scavò due pozzi. Poi, con l’inizio della seconda Intifada palestinese, l’apparente atteggiamento conciliante di Israele ebbe fine e i vari governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni hanno condizionato lo sfruttamento del gas di Gaza a un ruolo di primo piano delle compagnie israeliane e alla esclusione totale di Hamas.
Le pressioni occidentali sull’Anp si sono fatte crescenti – in particolare negli anni in cui l’ex primo ministro laburista Tony Blair è stato il rappresentante del Quartetto in Medio oriente – tanto che, nel 2020, a margine della riunione al Cairo dell’East Mediterranean Gas Forum, il governo di Ramallah si è piegato accettando che l’estrazione e la commercializzazione del gas del Gaza Marine passi per le compagnie israeliane. Una fonte dell’Anp ha spiegato al manifesto che la decisione di cedere fu dettata anche dalla necessità di garantire l’ingresso nelle casse del governo palestinese guidato da Mohammed Shttayeh, notoriamente vuote, di centinaia di milioni di dollari in royalties.
Ora, dopo anni, giungono le dichiarazioni di Hochstein. Se da un lato dicono gli Stati uniti riconoscono che il Gaza Marine è palestinese, dall’altro continuano a contenere condizioni, come l’uscita di scena completa di Hamas che, ripetono gli analisti, è una illusione dei governi occidentali.
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Guarda “Il cielo di Sabra e Chatila” – documentario di Pagine Esteri
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Il documentario, a 40 anni dal massacro dei campi profughi palestinesi di Beirut, Sabra e Chatila, raccoglie testimonianze dei sopravvissuti e storie dei più giovani. Oltre a realizzare una ricostruzione storica delle fasi che portarono al massacro di centinaia, forse migliaia di palestinesi, soprattutto donne anziani e bambini, il lavoro pone uno sguardo sulla condizione dei profughi palestinesi oggi in Libano, sulle loro aspirazioni, raccontando come il sogno del rientro nella loro terra di origine si scontri con la difficile realtà libanese e la netta chiusura di Israele al “diritto al ritorno”.
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In Cina e Asia – Xi torna a Shanghai per fiume Azzurro e fiducia alle imprese
I titoli di oggi:
Lituania, rimossi i blocchi commerciali voluti da Pechino
Cina, al via la prima fiera dedicata alla supply chain
Cyberbullismo, arriva la prima sentenza in Cina
Cina, pronto il primo forum dedicato al delta dello Yangtze
I ricchi cinesi spostano sempre più soldi all'estero
Vietnam, il Parlamento approva un aumento delle tasse per le multinazionali
Filippine, pronto il ban a Tik Tok?
Malaysia Airlines, un nuovo appello per le vittime del volo scomparso nel 2014
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Segnaliamo a tutto il fediverso italiano l'apertura di una nuova istanza Writefreely: sharedblog.it
Sharedblog.it è offerto dai gestori dell'istanza bologna.one ed è totalmente gratuito.
La nuova istanza naturalmente è amministrata da @Victor Van Dort già admin dell'istanza mastodon bologna.one
L'accesso è a invito, basta scrivere una mail a support@sharedblog.it per avere a disposizione fino a 5 blog per utente.
Auto economiche, jet supersonici e centrali elettriche galleggianti: sotto copertura nel programma segreto dell'Arabia Saudita per continuare a bruciare petrolio nel mondo
@Politica interna, europea e internazionale
Cheap cars, supersonic jets and floating power plants: Undercover in Saudi Arabia’s secretive program to keep the world burning oil – Centre for Climate Reporting
Speaking to undercover reporters, Saudi energy officials disclosed ambitious plans to undo progress on phasing out oil by financing high carbon infrastructure across Africa and Asia.Lawrence (Centre for Climate Reporting)
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SaràToga
Gli “attacchi giudiziari” non li ha subiti o subisce soltanto la destra, come suoi esponenti vanno dicendo. Per quelle ragioni sono caduti governi di sinistra. Il che rende ancor più stupefacente che non imparino mai e cadano sempre negli stessi errori. Le parole del ministro Guido Crosetto pongono problemi circa la tempistica, la politica, la cultura e le istituzioni.
Quando Crosetto paventa l’ipotesi – lui dice fondata su credibili voci che gli sono giunte – che una parte della magistratura si sta organizzando per fare il mestiere dell’opposizione, ovvero colpire il governo, non fa che rilanciare quel che la presidente del Consiglio aveva già detto nel luglio scorso. Sanno qualcosa che gli altri non sanno? Sarebbe anche normale, visti i loro ruoli. Ma se le loro parole fossero una strategia preventiva, appare loffia in partenza. Crosetto, però, aggiunge un concetto passato inosservato: da un parte afferma che il governo può cadere <<solo>> per un attacco giudiziario, dall’altra avverte che la Lega sta facendo inghiottire a Meloni rospi, come ieri li inghiottì Berlusconi. La tempistica apparentemente intempestiva, insomma, ha forse una radice in casa loro. Ma ha ragione o no?
Dice il vero, nel senso che il campo giudiziario è già stato causa d’inciampo per diversi governi. Però, che diamine, avrebbero dovuto capirlo che non serve a niente difendere sé stessi, mentre è preziosa la difesa dell’avversario. Non posso affermare che il Tizio sia onesto e innocente, ma devo ritenerlo tale e non speculare, finché non lo condannano. Purtroppo il buon senso non fa breccia nella faziosità politica.
Il che porta al tema culturale. Non si può certo impedire a una procura di aprire un’inchiesta sol perché potrebbe lambire il governo o la politica in generale. Quel che si può fare è ricordare costantemente che la presunzione di colpevolezza è incivile e la presunzione d’innocenza, oltre che costituzionale, è baluardo di civiltà. Se ci abituassimo a questo, informazione compresa, gran parte del problema sarebbe risolto. Ma è difficile accada se poi il medesimo governo che teme l’assalto delle accuse non fa che varare (inutili) aumenti di reati e pene, nonché allargare le maglie delle custodie cautelari. Che riguardano presunti innocenti. La contraddizione è evidente.
E si arriva alle istituzioni e alle riforme. Non è che perché un amico mi ha detto che ci sono magistrati che complottano allora facciamo la separazione delle carriere. Così è persa in partenza. Anche la faccia. La separazione delle carriere è uno dei pezzi che rende funzionante la giustizia, sicché più veloci i procedimenti, quindi meno devastanti le accuse campate in aria. Le accuse fondate si spera arrivino a condanna. E se metti in cantiere quella che viene chiamata la “pagella dei magistrati”, ovvero la costante valutazione del lavoro di ciascuno, abbi cura di avvertire che ogni potere comporta una responsabilità e ogni lavoro una valutazione, mentre l’indipendenza della magistratura è garantita dal fatto che i parametri del giudizio sono oggettivi: i tempi dei procedimenti e la revisione delle sentenze (operate da altri magistrati). Avverti i cittadini che arrestare innocenti non è un danno collaterale, ma devastante. Mentre è ridicolo che le autovalutazioni dei magistrati siano il trionfo dell’autopromozione di massa. Altro che 6 politico, qui si pratica il 10 giudiziario.
Sul tema giustizia il governo Meloni è partito bene, con Carlo Nordio. Ha proseguito in direzione opposta, ergo ha posposto la separazione delle carriere al bislacco e falso premierato. Occhio a non cercare di coprire l’incapacità e lo sbandare con lo scontro e il polemizzare. Di tutto abbiamo bisogno, meno che di personale politico che all’opposizione fa il giustizialista, al governo l’innocentista e in Parlamento mai il riformista. Una cosa è affrontare una battaglia alla Saratoga, di reciproca indipendenza fra politico e giudiziario, altra regalarci un’altra stagione in cui sarà la toga a menare la danza.
La Ragione
L'articolo SaràToga proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
A Roma il primo seminario della Fondazione Einaudi per le alte burocrazie comunali
Si è svolto oggi il primo di una serie di seminari realizzati dal Dipartimento digitale della Fondazione Luigi Einaudi per le alte burocrazie dei Comuni, organizzato attraverso IFEL, diretta da Pierciro Galeone. Andrea Cangini, Segretario generale della Fondazione Einaudi, ha introdotto il seminario odierno, “Intelligenza artificiale e la Pubblica amministrazione”, tenuto dall’avvocato Tommaso Mauro a cui è seguita la testimonianza del Direttore Generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), Mario Nobile.
Il secondo seminario si svolgerà il prossimo 20 febbraio e avrà per oggetto: “Dati digitali è interoperabilità delle banche pubbliche”, mentre il terzo è in programma per il 16 aprile 2023 e tratterà di “Design dei siti web delle Pubbliche amministrazioni”. Perché questi seminari? Perché il digitale in generale, e l’intelligenza artificiale in particolare, rappresentano un formidabile strumento per migliorare i servizi al cittadino e rendere più efficienti ed efficaci le amministrazioni comunali e le pubbliche amministrazioni.
L’applicazione di tali tecnologie, nei Comuni, è però ancora molto limitata e decisamente molto frammentata. Nasce da questa constatazione l’esigenza di offrire un’opportunità di approfondimento attraverso esperti qualificati alle alte burocrazie comunali, cioè a coloro che si occupano di far funzionare la macchina pubblica e che, per altro, saranno chiamati a sfruttare l’opportunità del PNRR per realizzare la transizione digitale.
L'articolo A Roma il primo seminario della Fondazione Einaudi per le alte burocrazie comunali proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Un’alleanza per l’underwater. L’idea all’evento Formiche-Fincantieri
La dimensione sottomarina si appresta a diventare il prossimo, grande dominio di sviluppo economico dell’umanità, e in questa prospettiva, assicurare un ambiente libero da minacce è il prerequisito essenziale per permettere all’industria di sviluppare le proprie capacità e soluzioni. Questo il tema centrale che ha visto confrontarsi aziende, istituzioni e Forze armate nel corso dell’evento organizzato da Formiche e Fincantieri “Downside up. Il futuro dell’underwater”, moderato dal direttore di Formiche e Airpress, Flavia Giacobbe. Un’occasione per presentare le tecnologie necessarie ad agire nel mondo subacqueo, le opportunità per il settore, e i rischi e le minacce che dovranno essere affrontate in questo nuovo ambiente. Come registrato dal presidente di Fincantieri, Claudio Graziano, infatti, “la componente sottomarina è essenziale per un Paese che si proietta sul mare” come il nostro, e in questo quadro, il sottomarino stesso diventa “uno strumento tanto di difesa, quanto di deterrenza e per operazioni speciali in scenari sia simmetrici sia asimmetrici”.
L’Italia marittima
Per il ministro per la Protezione civile e le politiche del mare, Nello Musumeci “la sfida è quella di rendere la blue economy una delle più importanti risorse della nostra economia, che già vale il 9% del Pil nazionale”. Le passate legislature hanno lasciato un vuoto normativo riguardo le attività del settore. Oggi, però, tanti attori privati giocano un ruolo decisivo nella partita dell’underwater e per il ministro è stato fondamentale “approvare il Piano per il mare e provare a colmare questa lacuna”, anche perché per far crescere il settore bisogna partire dalla “consapevolezza che serve costruire un piano strategico per il futuro, mettendo insieme più dimensioni come, ad esempio, l’uso delle tecnologie spaziali a sostegno delle attività in mare”. Inoltre, ha sottolineato Musumeci “è importante non guardare al mondo subacqueo solo da un punto di vista economicistico, ma considerare anche la componente della sicurezza”.
La sicurezza dei mari
Garantire la sicurezza del mondo subacqueo è allora fondamentale, ha sottolineato il capo di Stato maggiore della Marina militare, ammiraglio Enrico Credendino, aggiungendo come l’Italia guardi “con attenzione alla stabilità del Mediteranno, ma anche alla sicurezza nel Mar Nero, preoccupata della presenza russa in quelle zone”. Ed è proprio per aumentare la sicurezza dei mari che, secondo l’ammiraglio, c’è bisogno di una maggiore cooperazione a livello anche internazionale. Per questo, ha ricordato Credendino, “stiamo chiedendo alla Nato la creazione di un centro di eccellenza sottomarino”, nel quale l’Italia potrà giocare un ruolo di primo piano grazie alle sue eccellenze.
Le minacce underwater
Come spiegato dall’ammiraglio statunitense James Gordon Foggo III, “rafforzare le sinergie tra enti pubblici e gli attori privati e garantire un quadro normativo”, per gli attori che operano nel subacqueo “è fondamentale per affrontare le nuove minacce”. In questo senso, gli Stati Uniti affrontano le vulnerabilità delle infrastrutture nazionali critiche attraverso la direttiva presidenziale del 1989, completato dal presidente Bush con la creazione del dipartimento per la Sicurezza nazionale. Come sottolineato dall’ammiraglio Usa, la dimensione underwater è importante soprattutto per la sicurezza: “La Russia torna a minacciare i nostri Paesi e lo fa anche nel mondo subacqueo, con mini sottomarini che hanno lo scopo di minacciare le nostre infrastrutture”. Focalizzarsi sulla protezione di questi asset è allora vitale. Per Foggo “l’Italia ha tutte le capacità per farlo, a partire dal ruolo primario svolto da industrie come Fincantieri, pronte a costruire nuovi sottomarini”.
Mondi che si toccano
Sono diverse le sfide associate allo sviluppo del dominio underwater e per accrescere l’utilizzo del settore, “ci sarà bisogno di creare tecnologie abilitate sia all’applicazione securitaria, per proteggere le infrastrutture critiche, sia a quella civile”, ha affermato l’amministratore delegato e direttore generale di Fincantieri, Pierroberto Folgiero. Questo perché, ha spiegato l’ad, “oggi sott’acqua possiamo incontrare un sommergibile, ma anche il mondo dell’energia”, che opera attraverso l’estrazione di gas. Fincantieri, quale player cruciale nel dominio marittimo, “ha la capacità e il know-how per cross-fertilizzare il mondo civile e quello militare”. Diventa quindi essenziale, secondo il manager del gruppo triestino, permettere all’industria di fare sistema, “utilizzando la Marina come front-runner e non immaginandosi in maniera egoistica dal punto di vista industriale. Bisognerà creare sistemi di comando e controllo accentrati e decentrati, sia unmanned che manned, e superare la sfida legata alle telecomunicazioni”.
Le opportunità del futuro
Dalla sensoristica ai droni, passando per i sistemi digitali “sono diverse le tecnologie concepite nel mondo militare e poi trasportate nel mondo civile e Leonardo vanta una lunga esperienza nella cross-fertilizzazione dei due settori”, ha aggiunto il condirettore generale di Leonardo, Lorenzo Mariani. La complessità dello sviluppo del dominio underwater richiede uno sforzo industriale importante e la messa a fattor comune di diverse expertise. In questo senso, la collaborazione marittima con Fincantieri assume un rilievo particolare: “grazie a questa cooperazione, il sommergibile del futuro è possibile – ha segnalato il condirettore – dove le tecnologie quantistiche verranno applicate ai sistemi sommergibili”. Nello sviluppo del settore, ha aggiunto Mariani, un ruolo fondamentale verrà svolto dalle Pmi che “hanno idee buone e pronte per essere messe in promozione”.
Le dorsali oceaniche
Come ricordato dall’amministratore delegato di Sparkle, Enrico Bagnasco, lungo le dorsali sottomarine viaggia il 98% dello scambio dati globale totale, e “ogni due anni, il volume dei dati che viaggiano sotto il mare raddoppia”. Diventa allora essenziale rafforzare la resilienza di queste “dorsali net” a livello mondiale, con l’obiettivo soprattutto di garantire il mantenimento del servizio anche in caso di guasti, magari facendo affidamento su più linee parallele. Infatti, come ha spiegato Bagnasco, i cavi sottomarini sono soggetti, in media, ad un paio di guasti a settimana “con un’ampia preminenza di problematiche indotte dall’uomo e un buon 21% di danni di difficile attribuzione”. Allora, per far fronte alle sfide legate all’infrastruttura, siano quindi necessari “percorsi alternativi, in grado di garantire la capacità di erogare traffico”.
Data center sotto l’acqua
La mole di dati che passa lungo le dorsali oceaniche, dunque, richiederà sempre più sistemi in grado di processare questi byte sottomarini. “Due delle grandi sfide che stiamo affrontando sono quelle della richiesta di sviluppare data center più grandi e di rendere il loro raffreddamento più sostenibile”, ha sottolineato l’amministratore delegato di Microsoft Italia, Vincenzo Esposito, che ha aggiunto come una soluzione potrebbe venire proprio dal mare. Infatti “è all’opera il progetto di ricerca Natick che determinerà la fattibilità di data center sottomarini alimentati da energia rinnovabile offshore”. In aggiunta il progetto sta anche valutando “nuove possibilità di raffreddamento, dato che quelle per i data center terrestri sono molto costose. Invece si potrebbe sfruttare il freddo dell’acqua circostante”.
Droni sottomarini
“La robotica sottomarina è diventata un’area importante per investimenti in ricerca e sviluppo” ha spiegato l’amministratore delegato di Saipem, Alessandro Puliti. “Saipem ha sviluppato dei droni sottomarini, i Flatfish, per esempio, che consentono l’ispezione dei fondali senza la presenza di equipaggio”. Questi servizi innovativi sfruttano anche l’intelligenza artificiale per restare collegati alla nave madre e non perdere le comunicazioni, che “non sarebbero possibili, per come le intendiamo noi, in un ambiente ostile come il subacqueo”. Queste soluzioni nascono per motivi civili, ma Puliti ha confermato che in futuro “non si esclude la loro applicazione in ambito militare per garantire una sorveglianza di sicurezza delle infrastrutture sottomarine”.
Un nuovo approccio economico
Nella Blue economy “serve un approccio proattivo al settore, attraverso azioni concrete, per dare un’impronta circolare” alla prossima economia del mare. A dirlo è stato il responsabile della divisione IMI Corporate investment banking di Intesa Sanpaolo, Mauro Micillo, secondo le due direttrici principali economica e ambientale. In questo senso, la banca torinese “ha sviluppato il primo indice per la blue economy essenziale per attrarre nuovi capitali”, finanziando inoltre “una revolving trading facility per produrre navi con specifici indicatori di sostenibilità”. L’idea è quella di utilizzare questo metodo più frequentemente, così da ridurre il costo di creazione di soluzioni sostenibili.
Torino guarda alla Luna. Al via la Città dell’aerospazio
Ha preso il via questa mattina la Città dell’aerospazio di Torino con la posa della prima pietra per i laboratori del Politecnico in corso Marche. L’investimento di partenza sarà di 42 milioni di euro finanziati attraverso fondi interni dell’Ateneo, risorse della Regione Piemonte, Camera di commercio e il Comune di Torino. Proprio a Torino dovrebbe tenersi l’anno prossimo un G7 dedicato all’Intelligenza artificiale, all’economia digitale e allo Spazio, come aveva annunciato un mese e mezzo fa Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, durante l’intervento all’inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico di Torino. Domenica, intervistato dal quotidiano La Stampa, il ministro aveva spiegato che “dopo il futuro dei lanciatori europei, ci dedicheremo ad altri settori, come il controllo dei detriti spaziali fino al ritorno umano sulla Luna” ipotizzato per il 2030.
Il progetto
Si tratta di 12.000 metri quadrati nel Fabbricato 37, destinati ad ospitare laboratori per le attività di ricerca dell’Ateneo e collaborazioni con aziende nel settore aerospaziale. I filoni principali di ricerca riguarderanno la propulsione ibrido-elettrica e generazione e la space exploration. Ma l’obiettivo finale molto più ambizioso: la creazione di un vero e proprio ecosistema dell’aerospazio all’interno del quale possano fondersi sinergicamente i temi della formazione, della ricerca, dell’innovazione e dell’impresa lungo l’intera catena del valore che caratterizza questo settore. In tutto il cantiere darà lavoro a 14.000 persone, 7.000 per due anni, con 700 milioni di investimento iniziale, con un impatto sul Pil superiore ai 750 milioni. Una volta conclusi i cantieri, nel nuovo centro lavoreranno 5.000 persone.
Le aziende coinvolte
Da qui al 2028 è stata istituita una roadmap che coinvolgerà le aziende attive negli spazi di corso Marche – ovvero Leonardo, Avio Aero, Thales Alenia Space e Altec. Per esempio, Leonardo svilupperà gli hub Innovation, Digital e Gcap technology. Thales Alenia, che nell’area di corso Marche lavora al prossimo sbarco sulla Luna e alle missioni su Marte, ha in mente un Centro di integrazione e test grandi elementi. Avio Aero lavorerà sui futuri sistemi di propulsione (Clean Aviation). Infine, Altec creerà il National Space Center. L’investimento complessivo di tutte le azioni previste nella Città dell’aerospazio dovrebbe ammontare a circa 1 miliardo di euro.
Le dichiarazioni del ministro Pichetto Fratin
“La Città dell’aerospazio è davvero qualcosa di importante, un passo avanti nella centralità del settore”, ha dichiarato Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica e piemontese Doc. “Vedere questo sviluppo che riguarda sia la parte satellitare sia quella aeronautica mi riempie di soddisfazione”, ha spiegato ancora. “Questa è una realtà torinese, piemontese e nazionale, significa anche che Leonardo cresce e si afferma a livello mondiale come avanguardia tecnologica. È proiettata nel futuro perché è un settore che avrà grandissima espansione”, ha aggiunto.
Le parole del governatore Cirio
“Si passa dalle parole ai fatti”, festeggia Alberto Cirio, presidente della Regione Piemonte. “Grazie al lavoro con il Politecnico, con i privati, con Leonardo e con tutta l’industria aerospaziale e al contributo economico della Regione Piemonte, vediamo una ruspa al lavoro”, ha aggiunto “Qui il Politecnico formerà giovani, gli ingegneri aerospaziali che avranno un luogo di crescita anche professionale, perché ci saranno grandi aziende del settore. La Città dell’aerospazio ha anche una parte turistica, qui c’è una pista di atterraggio e decollo per testare tutte le innovazioni. Il lavoro che si fa porta i frutti, solo la scorsa settimana Mirafiori è ripartita con l’hub del riciclo e qui oggi nasce la Città dell’aerospazio”, ha concluso. “Le ricadute riguarderanno non solo il rafforzamento del settore aerospaziale in senso stretto, ma anche di tutta quella parte del comparto manifatturiero composto da imprese (diverse e molto innovative) con produzioni e servizi caratterizzati da forte contaminazione tecnologica tra il settore aerospaziale ed altri più o meno contigui”, aveva spiegato il governatore a Formiche.net nelle scorse settimane.
Il rapporto pubblico-privato visto dal sindaco Lo Russo
Per il sindaco Stefano Lo Russo è “un grande giorno per Torino, un giorno storico”. La Città dell’aerospazio, ha spiegato il primo cittadino, “è la città del domani, del futuro, ma è una città fatta di presente, una grande vocazione industriale del nostro territorio”. È “un esempio incredibile di cooperazione e sinergia tra pubblico e privato, un luogo della formazione, della ricerca, del trasferimento tecnologico e della costruzione di un futuro che davvero può identificarsi con Torino”, ha proseguito. “Un polo nazionale ma anche e soprattutto un polo internazionale che davvero rappresenta il presente e il futuro della nostra comunità”, ha detto ancora.
Un impegno per il futuro, dice Riccardi
Luisa Riccardi, vicesegretario generale della Difesa, ha definito quella odierna “una data importante” per “un progetto di rilevanza nazionale, un ecosistema in cui sono coinvolte tutte le istituzioni chiave, le start up, le piccole imprese e le grandi imprese. Non solo un luogo fisico, ma una sfida e un impegno per il futuro. Torino, il Piemonte e l’Italia saranno sempre più un centro di riferimento globale nell’economia spaziale”, ha aggiunto. “Le tecnologie spaziali sono uno strumento essenziale per la soluzione di tematiche sensibili come l’ambiente, il clima. Tutti vogliono collaborare con l’Italia nel settore dello spazio. La ricerca spaziale è un investimento essenziale per la sicurezza nazionale”, ha aggiunto.
Le prospettive di Leonardo spiegate dall’ad Cingolani
“Leonardo sta per lanciare il suo nuovo piano industriale che verrà presentato a febbraio 2024 dove la componente spazio giocherà un ruolo senza precedenti con un grande potenziamento delle attività, una grande razionalizzazione di tutte le linee di prodotto e di tutte le strategie”, ha dichiarato Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo, intervenuto alla cerimonia in collegamento. “Sono molto contento che oggi si proceda all’inaugurazione”, ha sottolineato, “e all’avvio dei lavori dell’edificio 37. Ricordo che, fra il 2019 e il 2020, con il rettore del Politecnico e con i colleghi di Leonardo e della Regione parlavamo di questa grande iniziativa, sembra tanto tempo fa, è molto importante che si dia inizio. La divisione velivoli realizzerà quattro laboratori di ricerca nel campus e ci sarà senz’altro un’ulteriore evoluzione nei prossimi anni. Sicuramente Leonardo sarà un partner forte, affidabile e convinto di questa grande iniziativa”, ha aggiunto.
Secondo Valente (Asi) è un volano per la città
La Città dell’aerospazio di Torino “sarà un hub internazionale per attrarre talenti, per lo sviluppo di tecnologie di frontiera e di start up e per il consolidamento del patrimonio industriale italiano nell’ambito dello spazio”, ha commentato Teodoro Valente, presidente dell’Agenzia spaziale italiana. “Nei prossimi anni l’economia dello spazio sarà uno dei più importanti volani e questo territorio saprà cogliere le opportunità”, ha aggiunto ricordando che “a livello italiano ci sono 300 aziende operanti nel settore, 7.000 persone impiegate, un fatturato annuo che eccede i due miliardi di euro. Abbiamo 12 distretti tecnologici, più di 70 nodi di ricerca e sviluppo tra Università ed enti di ricerca, dunque un bell’ecosistema”. C’è “una grandissima tradizione sull’aerospazio” a Torino e in Piemonte, “che richiama anche la tradizione manifatturiera”, ha concluso Valente evidenziando che il progetto “sarà un’opportunità per tutte le aziende del sistema Paese e i risultati certamente non mancheranno”.
Gli altri eventi
Nel pomeriggio all’Oval ha preso il via la nona edizione di di Aerospace & Defense Meetings, nel segno della Luna e del ritorno dell’uomo sull’unico satellite naturale della Terra. È l’unica business convention internazionale per il settore aerospaziale organizzata in Italia. L’evento, che durerà fino a giovedì 30, porta a Torino 400 espositori da oltre 30 Paesi e grandi player internazionali. Giovedì si svolgerà per la prima volta il Lunar Economy Summit, e sarà questa l’occasione per approfondire le sfide del comparto nei prossimi 50 anni. Inoltre, per la prima volta all’Oval sarà presente anche l’Anfia (l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica) insieme ad alcune aziende associate del gruppo Componenti e del gruppo Car Design & Engineering.
Una missione Onu a Gaza. L’ipotesi di Crosetto al Palazzo di Vetro
È necessario riflettere sulla possibilità di una presenza dell’Onu a Gaza. Così si è espresso il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in visita al quartier generale delle Nazioni Unite a New York, a margine dell’incontro con il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Secondo quanto riferito dallo stesso ministro, al centro del colloquio la possibilità, appunto, di “pensare a un futuro a Gaza anche attraverso l’Onu, magari attraverso una sua presenza, sarebbe fondamentale”. Per Crosetto è importante che l’organizzazione internazionale “assuma un ruolo maggiore in tempi difficili come questi”. Il ministro ha anche sottolineato come l’Italia sia tra i maggiori fornitori tra le missioni di peacekeeping dell’Onu, confermando la volontà del Paese “di continuare a partecipare, anzi di sviluppare un ruolo maggiore”. La visita, inoltre, è servita al ministro per ribadire l forte sostegno dell’Italia alla Ministeriale di Accra, finalizzata a rafforzare e modernizzare il Peacekeeping delle Nazioni Unite, prevista per il 5 e 6 dicembre prossimi.
Il caso di Unifil
In generale, il ministro ha sottolineato come il ruolo delle Nazioni Unite debba aumentare nel mondo: “Se abbiamo una speranza di pace – ha detto Crosetto – è quella di utilizzare tutti i consessi multilaterali come questo, dove ci sono tutte le nazioni del mondo, e cercare percorsi che in qualche modo possono far finire le situazioni di conflitto che abbiamo ancora aperte”. Il colloquio, del resto, si è concentrato anche sul ruolo di Unifil e delle possibili evoluzioni o escalation che potrebbero esserci al confine tra Libano e Israele. Già nel corso della sua visita in Israele la settimana scorsa, Crosetto aveva indicato come al centro del proprio viaggio a New York ci sarebbe stata la missione Onu in Libano, per affrontare il tema del mantenimento e delle modifiche necessarie alla missione Unifil. La postura dello schieramento presente, le regole di ingaggio, e il futuro stesso della missione. L’Italia, del resto, è il primo Paese contributore di truppe, con circa 1200 militari presenti. “Occorre che le Nazioni Unite decidano: o la missione Unifil ha ancora un senso, oppure bisogna chiedersi se ha senso mantenerla”, aveva detto il ministro a Tel Aviv.
La missione
La preoccupazione è che terminato il periodo di tregua il conflitto possa riprendere, e con esso il timore di spillover regionali. In questa prospettiva, naturalmente il confine con il Libano, dov’è presente il contingente di Caschi blu, è quello per il quale si teme maggiormente. Per la sicurezza dei militari, allora, è forse arrivato il tempo di rivedere il modo con cui i soldati internazionali agiscono nella regione, prevedendo un rafforzamento delle misure di sicurezza e auto-protezione. A fine ottobre Crosetto aveva visitato il contingente italiano dell’operazione Leonte XXXIV, poco dopo che un missile, deviato, aveva colpito senza nessuna conseguenza il quartier generale della missione Unifil a Naqoura, undici chilometri più a sud rispetto alla base italiana. Attualmente, i militari italiani, strutturati sulla base della brigata meccanizzata Granatieri di Sardegna, sono presenti nella base militare di Shama, nel sud del Libano, parte dello sforzo Onu per assicurare la stabilità del volatile confine con Israele.
Il contesto
Proprio commentando il suo viaggio in Israele, Corsetto si è detto contento della tregua e del rilascio degli ostaggi, aggiungendo come l’Italia abbia avuto “una parte importante su questa linea, si è fatta promotrice di un dialogo attraverso il Qatar che portasse alla liberazione degli ostaggi”. Un segnale positivo per Crosetto, che ha auspicato possa proseguire nelle prossime settimane. La situazione sul campo, però, resta molto fragile, e il ministro ha voluto sottolineare la necessità di fare “la differenza tra gli Stati democratici e di diritto e le organizzazioni terroristiche anche nel combattere le guerre” e che la popolazione civile va lasciata fuori. Una posizione mantenuta dal governo fin dall’inizio: “Un conto è Hamas – ha ribadito Crosetto – un altro è il popolo palestinese che ha il diritto di vivere”.
Gli aiuti italiani
In questo contesto, Crosetto ha ribadito la possibilità di aprire ospedali mobili a Gaza, annunciando come siano in corso dei sopralluoghi per verificare “la fattibilità tecnica nella zona assegnata”. Inoltre, nelle prossime settimane del personale sanitario militare imbarcato su nave Vulcano, della Marina militare, di stanza di fronte alla Striscia, scenderà a terra per fornire aiuti alla popolazione. L’Italia si sta prodigando attivamente attraverso l’invio di aiuti umanitari, in particolare attraverso la presenza del Vulcano, con a bordo 170 militari, e trenta membri del personale sanitario della Marina. A questi si aggiungerà una ulteriore trentina tra medici e infermieri delle altre Forze armate. La nave è attrezzata per svolgere ogni tipo di attività medica, dalle operazioni alla diagnostica. A bordo, inoltre, saranno trasportati medicinai e aiuti destinati alla popolazione civile. L’intenzione italiana è quella di far seguire alla nave anche un ospedale da campo a terra. Il prossimo obiettivo della Difesa italiana è dunque l’invio di una struttura ospedaliera a terra, in accordo con i palestinesi, da impiantare sul terreno di Gaza.
La guerra in Ucraina
Con Guterres si è parlato in generale di tutte quelle zone che preoccupano per la stabilità e la pace, e in particolare di Ucraina. Su questo punto, il ministro ha ribadito la sua convinzione che “questo sia il momento di incentivare le risposte diplomatiche”, annunciando inoltre l’approvazione a breve dell’ottavo pacchetto di aiuti. “L’aiuto principale che possiamo dare all’Ucraina – ha detto Crosetto – è costruire un tavolo per arrivare ad una soluzione diplomatica che possa portare alla pace su quel territorio e ripristinare le regole del diritto che sono state travolte dall’esercito russo. Intervenendo sulla preoccupazione che l’opinione pubblica occidentale possa soffrire di una sorta di stanchezza della guerra, il ministro ha ribadito che “la prima stanchezza è quella del popolo ucraino che da quasi due anni subisce attacchi che non finiscono; ogni giorno centinaia di migliaia di pallottole vengono sparate e cadono centinaia di bombe”.
European Health Data Space: EU committees vote in favour of mandatory interconnected electronic patient records for all citizens
The lead committees of the European Parliament, LIBE and ENVI, have today voted in favour of the creation of a “European Health Data Space” (EHDS), which will bring together information on all medical treatments received by citizens. Specifically, the bill will oblige doctors to upload a summary of each patient’s treatment to the new data space (Article 7). Exceptions or a right to object are not provided for, even when it comes to particularly sensitive diseases and therapies such as mental disorders, sexual diseases and disorders such as impotence or infertility, HIV or drug abuse therapies. Patients would be able to restrict access to their health records, but not their creation.
“The EU’s plan to collect and interconnect records on all medical therapies entails irresponsible risks of data theft, hacking or loss. Even the most delicate therapies can no longer be administered off record in the future,” criticises Patrick Breyer, Pirate Party MEP and co-lead negotiator for the Greens/European Free Alliance in the EU Parliament’s Committee on Home Affairs. “This is nothing other than the end of medical confidentiality. Have we learnt nothing from the international hacker attacks on hospitals and other health data? If every mental illness, addiction therapy, every erectile dysfunction and all abortions are registered, concerned patients risk being deterred from seeking urgent medical treatment – this can make them ill and put a strain on their families. This digital disempowerment of patients needs to be put to a vote in plenary in December!”
Breyer, who voted against the bill today, also criticises the fact that patients would need to actively object to prevent healthcare providers and industry from using their data. “For many patients who have little time, limited language skills or education, or who are elderly, having to actively object with a certain authority or via a digital tool is too complicated in practice to give them a real choice. International standards such as the World Medical Association’s International Code of Medical Ethics or the Helsinki declaration on Ethical Principles for Medical Research require seeking patients consent before disclosing their medical information. A public opinion poll we commissioned confirms that citizens expect to be asked for their consent before their health records are being shared. Every website asks for our permission before setting a cookie, but we are not even asked before our health records are shared? This system deprives patients of real control over their data and does not deserve our trust.“
The European Parliament’s plenary is due to vote in December and can make final amendments. A survey by the European Consumer Organisation (BEUC) has shown that 44% of citizens are worried about their health data being stolen; 40% fear unauthorised access to their data.
According to the latest state of negotiations, the EU governments also want to introduce a compulsory interconnected electronic health record for everyone without any right of objection. This could be decided as early as 6 December in the so-called COREPER Committee. Trilogue negotiations between the institutions will ensue with a view of finding an agreement early next year.
È uscita oggi la versione 6 di PeerTube, la piattaforma video sviluppata da Framasoft come alternativa libera a Youtube e Twitch.
Ecco la presentazione in francese, segnalato qui da @nilocram@framapiaf.orghttps://framablog.org/2023/11/28/peertube-v6-est-publie-et-concu-grace-a-vos-idees/
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Fallito golpe in Sierra Leone, ora è caccia ai responsabili
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della redazione
Pagine Esteri, 28 novembre 2023 – Continuano le operazioni delle forze di sicurezza della Serra Leone contro i responsabili dell’attacco alla capitale Freetown avvenuto domenica scorsa in cui sono morte venti persone, 13 delle quali militari. Nelle ultime ore almeno quattro presunti aggressori e due civili sono stati uccisi in relazione ai fatti di due giorni fa, quando uomini armati hanno fatto irruzione in una caserma e in penitenziari della capitale favorendo la fuga di quasi duemila detenuti. Quindi hanno attaccato installazioni di massima sicurezza fuori da Freetown facendo pensare all’inizio di un colpo di stato, simile a quelli avvenuti in tempi recenti in Mali, Burkina Faso, Guinea, Niger e Gabon.
Secondo un resoconto ufficiale, domenica alle prime ore del giorno un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione nella caserma Willbeforce per appropriarsi di armi. L’attacco però è fallito. I responsabili sono stati respinti alla periferia di Freetowm ed i loro leader arrestati. Inoltre, i principali centri di detenzione, tra cui il carcere centrale di Pademba Road, sono stati attaccati permettendo la fuga di circa 2000 prigionieri. Solo dopo diverse ore le forze sicurezza avrebbero avuto il sopravvento sui “rivoltosi” che continuano a restare avvolti nel mistero. Sui social circola l’immagine di un ex membro della Guardia dell’ex presidente Ernest Bai Koroma (2007-2018), descritto come uno dei partecipanti all’attacco.
Il presidente Julius Maada Bio parla di un tentativo di “sovvertire l’ordine costituzionale e di minare la pace e la stabilità per cui stiamo lavorando così duramente”. Ma è proprio Bio, autoritario e attaccato al potere, il motivo di tensioni politiche che si trascinano da tempo nel Paese africano. Ad agosto del 2022 nelle proteste scoppiate contro la sua ricandidatura sono morte non meno di 31 persone. Lo scorso giugno, Bio è stato ufficialmente rieletto con il 56 per cento dei voti, vincendo per un pugno di schede – come nelle precedenti elezioni del 2018 – contro il leader dell’opposizione, l’ex ministro degli Esteri Samura Kamara. Il fatto che abbia superato di un soffio la soglia del 55 per cento di preferenze necessarie per essere dichiarato presidente, ha generato polemiche e sospetti.
La Sierra Leone è uscita solo pochi anni fa da una sanguinosa guerra civile che ha fatto 50 mila morti. Pagine Esteri
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Alla FLE confronto sull’evoluzione del mondo del lavoro con Sbarra e il ministro Abodi. Presentato il libro di Delzio
“Un patto per il lavoro passa inevitabilmente per il rispetto dei ruoli e per la percezione dello scopo, che deve essere la creazione di valore comune, che non è solo valore economico. Mi sono accorto che, al di là dei centri per l’impiego, manca un luogo dove un giovane può sviluppare le proprie capacità. I giovani sono il nostro futuro e devono essere coinvolti. Sono molto contento che il collega Ministro Valditara mi abbia manifestato l’esigenza di aprire, per la prima volta, la relazione tra la scuola e l’impresa. Non in modo sporadico, ma in modo strutturale. E ne sono felice perché avverto un impianto novecentesco. Purtroppo siamo novecenteschi nei luoghi che dovrebbero raccontare il futuro, ma che sono ancorati al passato. Anche io, come ministro, mi auguro di riuscire a smarcarmi dalla configurazione classica”. Lo ha detto il Ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, nel corso della presentazione del libro “L’era del lavoro libero” di Francesco Delzio, che si è svolta questo pomeriggio nella sede della Fondazione Luigi Einaudi.
All’incontro, aperto dal Segretario generale della Fondazione Einaudi, Andrea Cangini, ha preso parte anche Luigi Sbarra, Segretario generale della CISL, con la presenza del vicedirettore del Corriere della Sera, Federico Fubini, in veste di moderatore. Un confronto tra istituzioni, rappresentanti dei lavoratori ed esperti del settore che ha prodotto un dibattito interessante su come sta rapidamente cambiando il mondo del lavoro e in che modo il governo intende gestire la transizione, per accrescere la competitività della nostra economia.
Andrea Cangini, nel suo intervento, ha sottolineato come oggi occorra “una piccola rivoluzione culturale di cui ancora non si vede traccia. Il fatto che siano notevolmente mutate le aspettative personali nei giovani che approcciano al mondo del lavoro, fa si che a un nuovo tipo di domanda, il mercato dia adeguata risposta. Considero interessante”, ha detto, “il tema della spersonalizzazione nei processi decisionali, mi colpisce che due grandi aziende come Amazon e Glovo decidano chi assumere, licenziare, promuovere, come promuovere, sulla base di un curriculum”. Mai come in questo caso, ha aggiunto, “questo tema richiede un metodo, e il metodo è quello einaudiano: conoscere per poi dibattere per, infine, deliberare. Bisogna avere la forza e il coraggio di confrontarsi con chi la pensa diversamente da noi e bisogna avere una visione, altrimenti rischiamo di danneggiare clamorosamente non solo il nostro presente ma anche il futuro dei nostri giovani e quindi del nostro Paese”.
Il leader della Cisl, Sbarra, ha ringraziato “la Fondazione Einaudi per questa bella iniziativa e a Francesco Delzio per questo libro”, sottolineando che “mai come in questo momento c’è la necessita di aprire una fase nuova, di rigenerazione del rapporto tra capitale e lavoro, tra impresa e lavoratori”. Come? “Cercando di lasciarci definitivamente alle spalle una logica novecentesca che vede al centro del rapporto tra imprese e lavoratori il conflitto, la contrapposizione. Pensiamo che il tempo sia maturo per dare una forte accelerazione alla attuazione dell’art. 46 della Carta costituzionale, che i nostri padri costituenti vollero per garantire ai lavoratori di concorrere alla gestione e agli utili delle aziende. Oggi quando le cose vanno bene nelle aziende utili e profitti vengono spalmati sulla testa di pochi, mentre quando le cose vanno male si procede con i licenziamenti. Apriamo una discussione”, ha detto Sbarra. “Questo è il senso della nostra proposta di iniziativa popolare, una raccolta firme, circa 400mila, partita a giugno e approdata questa mattina negli uffici della Camera”. C’è da prendere atto, ha aggiunto, “che in questo Paese ci sono due modelli di sindacato: uno legato al novecento, fatto di massimalismo, di ideologia e di vicinanza alla politica e c’è il sindacato che guido che tende a svolgere la sua funzione con responsabilità, autonomia dalla politica e valorizzazione della contrattazione collettiva”.
Per Francesco Delzio “abbiamo due rivoluzioni in corso e non c’è piena e adeguata consapevolezza di questo: la prima è la rivoluzione della domanda, la seconda rivoluzione è quella dell’offerta. È abbastanza inusuale che vi siano in atto due rivoluzioni che in gran parte si sovrappongono. Inoltre c’è una novità importante, il fatto che i lavoratori abbiano cambiato la loro visione del lavoro. Soprattutto i giovani. Una immagine forte che mi ha guidato nella scrittura del libro – ha detto – è quella rappresentata dalla famosa frase: ‘Le farò sapere’. Per decenni questa frase è stata usata dai datori di lavoro, mentre oggi, al termine di un colloquio di lavoro, viene spesso utilizzata dai giovani talenti, perché magari l’azienda a cui si sono proposti non li ha convinti, perché non è stata in grado di adottare i nuovi modelli di life balance. Oggi i giovani cercano una crescita personale oltre che professionale. Nei prossimi anni vedremo una netta trasformazione del lavoro. La politica ha bisogno di inventarsi strumenti nuovi che possano tutelare coloro che, arrivando impreparati al cambiamento, saranno le prime vittime di questa rivoluzione”.
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Prigionieri palestinesi, il sistema giudiziario parallelo di Israele
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di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 28 novembre 2023. Un sistema giudiziario parallelo, speciale e riservato ai palestinesi sotto occupazione imprigiona e trattiene con o senza accuse in media 16.000 persone ogni anno.
Sono più o meno 1 milione i palestinesi dei Territori arrestati dal 1967 (800.000 fino al 2006), anno in cui Israele ha occupato la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, incluse almeno 23.000 donne e 25.000 minori.
Esiste una giustizia gestita dall’Autorità Nazionale Palestinese ed è quella che giudica i reati che Israele non ritiene ledano se stesso: furti, violenza domestica, risse, piccola criminalità organizzata, omicidi tra palestinesi.
Tutto ciò che viene considerato una violazione alla sicurezza dello stato occupante è giudicato, invece, dinanzi alla corte militare israeliana. Tali violazioni includono certe forme di espressione culturale e politica, di associazione, movimento e protesta non violenta, anche alcuni reati stradali, la stampa e la distribuzione di materiali politici, sventolare la bandiera palestinese o simboli di organizzazioni giudicate da Israele illegali. Un palestinese condannato per omicidio dalla corte militare riceve una sentenza più severa rispetto a un israeliano condannato per lo stesso reato da una corte civile. Secondo il codice penale israeliano, i prigionieri possono essere rilasciati dopo aver scontato metà della pena mentre i prigionieri palestinesi possono fare richiesta di libertà vigilata solamente dopo i due terzi.
Al momento sono circa 7.000 i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, tra cui 200 minori. Secondo le leggi israeliane la responsabilità penale inizia a 12 anni di età. Tuttavia, mentre gli israeliani vengono giudicati come maggiorenni al compimento dei 18 anni, i palestinesi vengono processati come adulti già dall’età di 16 anni e per loro non è prevista la rieducazione né l’obbligo di essere interrogati, come invece accade per i propri coetanei israeliani, da agenti appositamente addestrati.
Sono 46 i giornalisti incarcerati, 29 dei quali sono stati arrestati dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso.
I giornalisti soprattutto, ma anche gli studenti, i lavoratori e persone comuni, possono essere fermati per un post pubblicato sui social network. Come è capitato a Sumayya Jawabreh, reporter di 30 anni al settimo mese di gravidanza. È stata messa in prigione con l’accusa di incitamento sui social media. Dopo il pagamento di una cauzione di 10.000 shekel (circa 2.500,00 euro), è stata poi rilasciata agli arresti domiciliari per un tempo indefinito, con il divieto di utilizzare qualsiasi piattaforma social. La maggior parte dei giornalisti è sotto detenzione amministrativa. Si tratta di una pratica estremamente diffusa in Israele, grazie alla quale i prigionieri palestinesi possono essere tenuti in carcere senza accusa, senza processo e a tempo indeterminato. Tutto sulla base di ciò che i militari scrivono all’interno di un file segreto, inaccessibile al detenuto e ai suoi legali.
Sono 2.070 i palestinesi trattenuti con la formula della detenzione amministrativa, soprattutto attivisti per i diritti umani, studenti universitari, avvocati, madri o mogli di detenuti o ricercati da Israele. Capita, soprattutto dopo il 7 ottobre, che vengano arrestati membri della famiglia di palestinesi indagati, come forma di pressione: il rilascio avviene dopo che il ricercato si consegna spontaneamente alle forze di sicurezza.
Sumayya Jawabreh, reporter palestinese
Spesso le due giustizie, quella delle autorità palestinesi e quella di Israele, lavorano insieme, determinando una lunghissima e viziosa catena di arresti, interrogatori, accuse, trasferimenti, tribunali. Questo è possibile grazie alla collaborazione di sicurezza tra l’ANP e Israele, sancita dagli accordi di Oslo. Secondo le Nazioni Unite e molte realtà locali e internazionali che si occupano di diritti umani e di diritti dei detenuti, questo doppio sistema non ha fatto altro che peggiorare l’asfissiante regime punitivo al quale vengono sottoposti i cittadini della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme est. Ma la privazione della libertà comincia già fuori dal carcere: la limitazione dei movimenti, la sorveglianza continua, i raid militari, il muro, i checkpoint, l’allargamento delle colonie israeliane illegali e delle infrastrutture solo ad esse destinate, rendono i Territori “una prigione all’aperto”. Lo stato occupante, in poche parole, tratta ogni palestinese come una possibile minaccia alla propria sicurezza.
Solitamente gli arresti avvengono ai checkpoint o durante le manifestazioni, quando i palestinesi sono in auto, in strada, oppure nelle loro case. Spesso accade durante i raid dell’esercito nei villaggi, città e campi profughi delle Cisgiordania. L’associazione per i diritti umani Addameer ha registrato, ad esempio, numerosi e massicci arresti compiuti all’interno dei villaggi della Cisgiordania, specialmente quelli nelle cui vicinanze sono state fondate colonie israeliane illegali, descrivendo le azioni militari come una forma di intimidazione e punizione collettiva: l’esercito israeliano arriva con numerosi uomini e mezzi per arrestare decine di abitanti che vengono poi quasi tutti rilasciati dopo qualche ora.
Durante gli interrogatori, soprattutto nel periodo di indagine in detenzione amministrativa, quando i militari sono alla ricerca di prove e/o confessioni da parte del detenuto, vengono utilizzati metodi di pressione fisica e psicologica come la privazione del sonno, con lunghe e ininterrotte sessioni di interrogatori. I prigionieri vengono legati e tenuti per molte ore in posizioni innaturali, scomode e dolorose, sotto minaccia di arresto dei membri della propria famiglia o di demolizione della propria abitazione (punizione, anche quest’ultima, molto diffusa). Dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, Israele ha portato avanti una campagna di arresti senza precedenti e varie forme di tortura, umiliazione e punizione dei detenuti in fase di fermo e di arresto sono state diffusamente documentate. Anche dagli stessi soldati israeliani, che hanno pubblicato sui social network, specialmente TikTok, video in cui i palestinesi, bendati e legati, vengono picchiati e umiliati in vari modi.
L’isolamento è uno strumento largamente utilizzato da Israele, anch’esso, all’occorrenza, come punizione collettiva. L’utilizzo di questa modalità detentiva è aumentato negli ultimi anni, in particolare dal 2021, dopo la fuga di alcuni detenuti palestinesi dal carcere di Gilboa attraverso un piccolo tunnel. Altre forme di punizione collettiva sono l’interruzione delle visite familiari, le incursioni continue nelle celle e il rifiuto al rilascio dei corpi dei detenuti morti in prigione, che sono 242 dal 1967, di cui 6 dal 7 ottobre di quest’anno.
Nelle carceri sono documentati sistematici casi di negligenza medica. A metà 2023 erano almeno 700 i prigionieri politici palestinesi malati, di cui 200 affetti da malattie croniche. Due di loro sono morti. L’articolo 40A della legge antiterrorismo del 2016 impedisce il rilascio anticipato dei detenuti di sicurezza condannati per reati legati all’omicidio, considerati atto terroristico. Finora, questo articolo è stato applicato solo contro i palestinesi, compresi quelli con malattie terminali. Come Walid Daqqa, detenuto da 38 anni, afflitto da un raro cancro al midollo osseo a causa del quale ha subito numerose operazioni, compresa l’esportazione di gran parte del polmone destro. Secondo Amnesty International la prigione di Ayalon, nella quale è detenuto, non è in grado di fornire cure adeguate. Daqqa è in fin di vita e la sua famiglia richiede che venga rilasciato prima della sua morte.
Il
Il detenuto politico palestinese Walid Daqqa
Numerosi detenuti palestinesi hanno intrapreso più o meno lunghi scioperi della fame come forma di protesta per le condizioni all’interno delle carceri israeliane e contro la detenzione amministrativa. Da quando si è insediato l’attuale governo di estrema destra guidato da Benjamin Nethanyahu, i detenuti hanno scioperato contro l’attuazione di alcune delle misure restrittive più estreme annunciate a marzo dal ministro suprematista israeliano Ben Gvir. Scioperi della fame si tengono quasi ogni anno. Una campagna di solidarietà internazionale a sostegno del detenuto palestinese Samer Issawi, in sciopero della fame controllato per 266 giorni, portò nel 2013 a un accordo sulla sua scarcerazione. Non ha avuto, purtroppo, lo stesso esito la protesta di Khader Adnan, arrestato 12 volte, che è morto a maggio di quest’anno per lo sciopero della fame, che portava avanti da 87 giorni, contro la sua detenzione amministrativa. Nel 2017 una campagna di protesta che ha ottenuto un’eco internazionale ha unito 1.500 prigionieri palestinesi nello sciopero della fame.
Il prigioniero palestinese Khader Adnan, morto nelle carceri israeliane di sciopero della fame
Secondo le Nazioni Unite la maggior parte delle condanne che Israele infligge ai palestinesi sono arbitrarie, perché risultato di una molteplicità di violazioni del diritto internazionale, come la mancata garanzia del giusto processo, che contaminano la legittimità dell’amministrazione della giustizia da parte della potenza occupante. Pagine Esteri
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Mandatory digitalisation in the healthcare sector: EU Parliament and EU governments plan compulsory electronic patient record for all
In the upcoming Committee vote on creating a European Health Data Space (EHDS) on 28 November, the European Parliament wants to support the mandatory registration of every treatment of a patient in a remotely accessible Electronic Health Record. EU governments also want to endorse a compulsory Electronic Health Record for everyone, possibly as early as 6 December in the so-called COREPER Committee. Patients would be able to restrict data access, but not the electronic collection of summaries of all medical treatments.
“The EU’s planned mandatory electronic patient file with Europe-wide access entails irresponsible risks of theft or loss of the most personal therapeutical data and threatens to deprive patients of any control over the digitisation of their health data,” criticises Patrick Breyer, Pirate Party MEP and chief negotiator for the Greens/European Free Alliance group in the EU Parliament’s Committee on Home Affairs (LIBE). “Have we learnt nothing from the international hacker attacks on hospitals and other health data? If every mental illness, substance abuse therapy, every potency weakness and all abortions are compulsorily recorded, concerned patients may be deterred from seeking urgent medical treatment altogether – this can make people ill. This legislation has been designed for health industry, not to empower citizens.”
The plenary of the European Parliament is due to vote on the Committee recommendation in December and can make final amendments. A survey by the European Consumer Organisation (BEUC) has shown that 44% of citizens are concerned about the risk of health data theft; 40% fear unauthorised access to their data.
Xi chiede nuovi strumenti legali contro i rischi esterni” Per ridurre le emissioni di carbonio la Cina si rivolge alle famiglie
Pronta la più grande centrale solare al mondo in vista della Cop28 Cina, la competitività nel settore IA lascia indietro i lavoratori del “data labeling” nelle aree rurali La Corea del Nord sta militarizzando il confine con il ...
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noyb presenta un reclamo GDPR contro Meta per "Pay or Okay" Meta addebita fino a 251,88 euro per rispettare il diritto fondamentale alla privacy degli utenti dell'UE. Si tratta di una violazione del GDPR
FPF and The Dialogue Release Collaboration on a Catalog of Measures for “Verifiably safe” Processing of Children’s Personal Data under India’s DPDPA 2023
Today, the Future of Privacy Forum (FPF) and The Dialogue released a Brief containing a Catalog of Measures for “Verifiably Safe” Processing of Children’s Personal Data Under India’s Digital Personal Data Protection Act (DPDPA) 2023.
When India’s DPDPA passed in August, it created heightened protections for the processing of personal data of children up to 18. When the law goes into effect, entities who determine the purpose and means of processing data, known as “data fiduciaries,” will need to apply these heightened protections to children’s data. Under the DPDPA, there is no further distinguishing between age groups of children, and all protections, such as obtaining parental consent before processing a child’s data, will apply to all children up to 18. However, the DPDPA stipulates that if the processing of personal data of children is done “in a manner that is verifiably safe,” the Indian government has the competence to lower the age above which data fiduciaries may be exempt from certain obligations.
In partnership with The Dialogue, an emerging research and public-policy think-tank based in New Delhi with a vision to drive a progressive narrative in India’s policy discourse, FPF prepared a Brief compiling a catalog of measures that may be deemed “verifiably safe” when processing children’s personal data. The Brief was informed by best practices and accepted approaches from key jurisdictions with experience in implementing data protection legal obligations geared towards children. Not all of these measures may immediately apply to all industry stakeholders.
While the concept of “verifiably safe” processing of children’s personal data is unique to the DPDPA and not found in other data protection regimes, the Brief’s catalog of measures can aid practitioners and policymakers across the globe.
The Brief outlines the following measures that can amount to “verifiably safe” processing of personal data of children, proposing additional context and actionable criteria for each item:
1. Ensure enhanced transparency and digital literacy for children.
2. Ensure enhanced transparency and digital literacy for parents and lawful guardians of very young users.
3. Opt for informative push notifications and provide tools for children concerning privacy settings and reporting mechanisms.
4. Provide parents or lawful guardians with tools to view, and in some cases set, children’s privacy settings and exercise privacy rights.
5. Set account settings as “privacy friendly” by default.
6. Limit advertising to children.
7. Maintain the functionality of a service at all times, considering the best interests of children.
8. Adopt policies to limit the collection and sharing of children’s data.
9. Consider all risks of processing their personal data for children and their best interests via thorough assessments.
10. Ensure the accuracy of the personal data of children held.
11. Use and retain personal data of children considering their best interests.
12. Adopt policies regarding how children’s data may be safely shared.
13. Give children options in an objective and neutral way, avoiding deceptive language or design.
14. Put in place robust internal policies and procedures for processing personal data of children and prioritize staff training.
15. Enhance accountability for data breaches through notifying the parents or lawful guardians and adopting internal policies such as Voluntary Undertaking if a data breach occurs.
16. Conduct specific due diligence with regard to children’s personal data when engaging processors.
We encourage further conversation between government, industry, privacy experts, and representatives of children, parents, and lawful guardians to identify which practices and measures may suit specific types of services and industries, or specific categories of data fiduciaries.
informapirata ⁂
in reply to Andrea Russo • • •eh già... questi principi rinascimentali non hanno proprio nulla da invidiare ai farabutti del nostro quindicesimo e sedicesimo secolo
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in reply to Andrea Russo • • •chiamali scemi...
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lgsp@feddit.it
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