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Questa mattina... sempre per la serie del "piccolo naviglio"


Nizza, Alpi Marittime: tra il 1929 ed il 1930 il caso dell'antifascista italiano Cassani


Uno dei casi maggiormente documentati per questo periodo è quello di Giovanni Antonio Cassani, oggetto di una richiesta di estradizione avanzata dall’Italia nel 1929. La Francia decise di rifiutarla, poiché considerava i crimini per i quali era stato condannato il Cassani di natura politica [...] In un rapporto del mese di dicembre del medesimo anno il Console Generale italiano a Nizza riferiva al Ministero della Giustizia che la Lega dei Diritti dell’Uomo stava
esercitando una forte pressione sul governo francese affinché Cassani non fosse
consegnato all’Italia. Il Console rimarcava che il Cassani veniva «presentato come un
perseguitato politico del fascismo». Mentre tra i Ministeri ci si occupava della questione, il caso usciva dalla tribuna prettamente istituzionale per raggiungere i mezzi di comunicazione. Il 5 ottobre il giornale «Le Populaire» dava spazio alla notizia nei seguenti termini: "Mussolini réclame encore l’extradition des proscrits italiens. “Continuant ses poursuites contre les réfugiés politiques, le gouvernement italien demande aujourd’hui l’extradition de Jean Cassani". Le autorità italiane non approvavano quanto stava accadendo oltrefrontiera intorno al caso del «delinquente Cassani, ricercato dalle autorità italiane per delitto comune». La Divisione Polizia Politica riportava l’attenzione della Direzione Affari Generali e Riservati sul fatto che la liberazione del detenuto era stata operata grazie all’intervento del deputato Henri Guernut - segretario della Lega francese dei diritti dell’Uomo - che «sta facendo sforzi sovrumani per salvare dalla giusta estradizione l’assassino di Biagi». Agli occhi della Lega e della società civile ad essa vicina, gli immigrati italiani al centro di tali affaires non erano affatto delinquenti comuni, quanto piuttosto rifugiati politici. Come scriveva Giuseppe Nitti in un articolo pubblicato nel 1930 sui «Cahiers de la Ligue» era facile che uno straniero, «dans son pays soit considéré comme un criminel politique, tandis qu’ailleurs il peut etre regardé comme un martyr de la liberté ou d’un idéal».
Costanza Di Ciommo Laurora, L’asilo politico nelle relazioni franco-italiane. I signori nessuno e l’impossibile status dell’opposizione italiana all’estero (1920-1986), Tesi di dottorato, Università Ca' Foscari Venezia, 2014


Combattenti repubblicani di Spagna


Di Cesare Menarini * e della sua militanza come volontario delle Brigate Internazionali a difesa della Repubblica Spagnola mi è venuto solo casualmente di fare cenno a Sergio, l'anno scorso, mentre mi raccontava di risvolti inediti del Gruppo Partigiano Sbarchi di Vallecrosia.
Sergio che, a suo tempo aveva conosciuto e frequentato pure lui Menarini, non ne conosceva - o non ne ricordava - questa esperienza. Neppure quella di comandante partigiano durante la Resistenza nel Modenese.


A Vallecrosia, dove Menarini aveva abitato in precedenza per breve tempo, mi sembrava avesse ormai stabile dimora un altro combattente di Spagna, Giuseppe Mosca **, di cui, invece, Sergio aveva contezza.

Non rammentavo, tuttavia, che Mosca era tornato a Biella.

Mi viene da dire che io e tanti altri amici e conoscenti non abbiamo onorato come si doveva questi due uomini coraggiosi. Anche se io in quegli anni avevo già trovato citati Mosca e Menarini per la loro partecipazione alla guerra civile di Spagna in libri di Giorgio Amendola e di Luigi Longo.

Posso ora solo tentare di sopperire parzialmente, molto parzialmente, con qualche fotografia e qualche cenno informativo, reperiti sul Web.

E di Menarini ho trovato più immagini.

* Menarini Cesare di Pietro e Malagoli Maria, 5/10/1907, Città del Lussemburgo. Autista, comunista. Cittadino italiano nato in Lussemburgo, nel 1915 rientra a San Felice sul Panaro insieme alla famiglia, originaria del Modenese. Il 13 gennaio 1923 espatria con regolare passaporto in Francia, raggiungendo il padre, emigrato per lavoro l'anno precedente. Si stabilisce prima a Homécourt, nel dipartimento della Meurthe e Mosella, fino al 1926, poi a Le Plessis-Trévise, nel dipartimento della Valle della Marna, nella regione dell'Ile-de-France, dove nel 1926 entra nella Federazione giovanile del Partito comunista francese e poco dopo nei Gruppi di lingua italiana del PCF. Nel 1928 si trasferisce a Le Blanc-Mesnil, nel dipartimento della Senna-Saint-Denis, sempre nella regione dell'Ile-de-France, dove svolge un'intensa attività antifascista tra l'emigrazione italiana fino all'ottobre 1936, quando decide di partire per difendere la Spagna repubblicana e si imbarca dal porto di Marsiglia sulla nave "Ciudad de Barcelona”. Sbarcato ad Alicante, raggiunge in treno Albacete, dove è arruolato nel battaglione Garibaldi, 1. compagnia, per poi passare alla 2. e alla 3. compagnia. A novembre combatte a Cerro de los Angeles e a Casa de Campo, dove il 20 novembre è ferito da una pallottola alla spalla sinistra. Dopo il ricovero negli ospedali di Madrid e di Valencia, nel gennaio 1937 torna al fronte e combatte alla Città Universitaria, a Puente de Segovia, a Carabanchel, ad Arganda, sul Jarama, a Morata de Tajuna e a Guadalajara. Passato alla Brigata Garibaldi, il 31 maggio 1937 è promosso sergente e combatte a Huesca, a Brunete e in Catalogna. In seguito è al servizio della Delegazione della Brigate Internazionali a Valencia e poi, dal settembre 1937 al giugno 1938, alla Censura militare delle Brigate Internazionali, a Godella, in provincia di Valencia, e a Barcellona, nel quartiere di Sarrià. Il 10 novembre 1937 è promosso tenente e si reca alla base di Quintanar de la Republica, che lascia il 19 novembre per tornare in servizio. Nel febbraio 1938 è ferito al lato destro della testa da una scheggia durante un bombardamento aereo su Valencia ed è ricoverato all'ospedale militare cittadino. Il 4 aprile 1938 è promosso ancora e raggiunge il grado di capitano. In agosto si frattura il piede destro a causa di un bombardamento aereo su Barcellona ed è ricoverato in ospedale. Il 20 agosto 1938 esce dalla Spagna per infermità e rientra nella sua abitazione a Le Blanc-Mesnil. Il 24 agosto gli viene tolto il gesso al piede all'ospedale di Versailles. Guarito, riprende il lavoro di operaio edile. Nel 1940 è responsabile del Partito comunista per il settore Parigi-Nord (Le Bourget, Le Blanc-Mesnil, Aubervilliers, Drouot, Bobignye e altri comuni) e durante il periodo dell'occupazione tedesca organizza un gruppo antinazista clandestino che distribuisce il bollettino ciclostilato "La Voce degli Italiani" e materiale di propaganda francese. Nel settembre 1940, la sua casa è perquisita dalla polizia, ma riesce a sfuggire l'arresto e viene ospitato per alcuni mesi da compagni di partito. Nell'agosto 1941 il Centro estero del Pcd'I lo invia in Italia con materiale di propaganda comunista nascosto in un baule con doppio fondo. Dopo un primo periodo presso dei parenti a Mirandola, il 7 marzo 1942 sposa Anna Polloni e si trasferisce a San Felice, dove lavora nel magazzino per l'ammasso della canapa, da dove diffonde materiale di propaganda comunista. Entrato nella Resistenza con il nome di battaglia "Andrea", è commissario politico di brigata della Divisione Modena Armando. Riconosciuto partigiano combattente dal 1 ottobre 1943 al 31 maggio 1945 (dal 1 ottobre 1943 al 24 febbraio 1944 con il grado di sergente maggiore, dal 16 marzo 1944 al 31 maggio 1945 con il grado di maggiore). Dal 1945 al 1948 è sindaco di San Felice sul Panaro. Successivamente impiegato comunale all'ufficio delle imposte di consumo, nel 1956 è licenziato per attività sindacale e decide di tornare a lavorare all'estero, in Svizzera, Germania e Francia. Nel 1962 si stabilisce a Sanremo, poi si sposta a Vallecrosia e infine a Ventimiglia, dove muore l'11 aprile 2002.
Eventi a cui ha preso parte [nella guerra civile spagnola]:
Battaglia di Cerro de los angeles (Cerro Rojo)
Battaglia di Casa de campo
Battaglia della Città universitaria di Madrid
Battaglia di Arganda del Rey
Battaglia del Jarama
Battaglia di Morata de Tajuña
Battaglia di Guadalajara
Battaglia di Huesca
Battaglia di Brunete
Annotazioni: Secondo il "Dizionario storico dell'antifascismo modenese", vol. 2: "Biografie", nell'estate 1941 il gruppo antinazista organizzato da Menarini in Francia fu incorporato nel Front National clandestino.
da Istituto Nazionale Ferruccio Parri

** Mosca, Giuseppe
Di Giovanni e di Aurelia Cristianelli. Nato l'11 gennaio 1903 a Cossato, residente a Chiavazza (Biella) fin dall'infanzia, fonditore. Iscrittosi alla Camera del lavoro e successivamente alla gioventù comunista, fu un militante molto attivo. Costretto, dopo ripetuti scontri con i fascisti, alla vita clandestina, il 27 novembre 1927 fu arrestato a Torino con l'accusa di appartenenza al Partito comunista e diffusione di stampa sovversiva nelle fabbriche della città: deferito al Tribunale speciale, fu assolto in istruttoria il 6 luglio 1928 per insufficienza di prove. In seguito resse l'organizzazione del partito nel Biellese. In procinto d'essere arrestato, in seguito alla scoperta di un gruppo clandestino operante nel basso Biellese e nel Vercellese, cui aveva fornito materiale e direttive, nel novembre 1932 riuscì ad espatriare illegalmente in Francia, dove si stabilì a Villeurbanne. Fu iscritto nella "Rubrica di frontiera". Nel marzo 1934, in seguito ad indagini dell'Ovra che portarono all'arresto, in Piemonte e Lombardia, di ventisei comunisti, tra cui alcuni biellesi, fu denunciato al Tribunale speciale, in stato di latitanza, per attività comunista. Il 19 novembre 1936 si arruolò nel battaglione "Garibaldi". Combatté a Boadilla del Monte, Mirabueno, Arganda, Guadalajara, dove rimase ferito. Rientrato nella formazione, nel frattempo trasformatasi in brigata, fu inquadrato nella 2a compagnia del 2o battaglione, con il grado di sergente. Combatté ancora a Huesca, Brunete, Farlete, Belchite, Fuentes de Ebro, Caspe e, promosso tenente nell'aprile del 1938, in Estremadura e sul fronte dell'Ebro. Tornato in Francia nel febbraio del 1939, fu internato a Saint Cyprien, Gurs e Vernet d'Ariège. Rimpatriato il 23 settembre 1941 e tradotto, in stato di arresto, a Vercelli, il 19 novembre fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato dopo la caduta del fascismo. Partecipò alla Resistenza nella brigata Sap biellese "Graziola" come commissario di battaglione. Riportò una ferita. Dopo la Liberazione svolse attività sindacale nella Fiom e politica nella Federazione comunista di Biella. Morì il 18 luglio 1992 a Biella.
Fonti: Acs, Cpc, fascicolo personale; Acs, Confinati politici, fascicolo personale; Acs, Ps aaggrr, cat. K1b-45; Apci, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; Anello Poma, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Biografato anche nell'Enciclopedia dell'Antifascismo e della Resistenza e citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; Giacomo Calandrone, La Spagna brucia; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Si veda inoltre Autobiografia di una guerra civile.
da Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli

Adriano Maini


Il rischio è che il mito continui a lungo ad imprimere il suo segno - non importa se in chiave positiva o negativa - sulla memoria pubblica del Sessantotto


Il 1968 come oggetto storiografico è ben lontano dall'aver acquisito contorni condivisi nel panorama scientifico della ricostruzione storica. Probabilmente la fortuna di un'espressione tanto precisa quanto generica nasconde in parte - inquadrando nella cifra '1968' un coacervo di eventi anche profondamente diversi - le difficoltà della storiografia di fronte ai nodi e alle contraddizioni di una memoria pubblica di quegli stessi eventi.
Risolvendo la pluralità di problemi posti da quella crisi attraverso un artificio che sembra essere in grado di evocare un 'oggetto storico univoco'. Un momento storico che appare racchiuso e delimitabile solo attraverso la sua connotazione cronologica più evidente, insomma, ma che sembra altrimenti privo di confini e connotati riconosciuti.
Questo approccio colpisce in modo particolare l'abbondante produzione memorialistica, anche a ben quaranta anni di distanza dai fatti.
In questo senso l'uso pubblico della memoria ha certamente contribuito a questa cristallizzazione: le celebrazioni decennali dei movimenti studenteschi del 1968 hanno di volta in volta rievocato un frangente storico che si dimostra ancora capace di canalizzare interesse da parte dell'opinione pubblica, in effetti.
Ma questo discorso pubblico sembra essere veicolato, prevalentemente, attraverso ricostruzioni incapaci di appianare e descrivere quei contorni soggettivi che solitamente vengono associati alla cifra '68'.
Due fattori contribuiscono in particolare al successo di questa distorta prospettiva, in chiave di rappresentazione pubblica del Sessantotto.
Da una parte 'l'anno degli studenti' <1 viene ancora utilizzato nelle polemiche politico-ideologiche del presente come icona e simbolo di una crisi più generale, una rottura degli equilibri che a partire dalla fine degli anni sessanta avrebbe portato alla ridefinizione di alcuni importanti parametri delle culture politiche nazionali di appartenenza, agendo come innesco e catalizzatore di processi di lunga durata capaci di incidere effettivamente - molto spesso in accezione negativa - sulle attuali società politiche.
"[...] Nel dibattito pubblico il '68 è ormai diventato qualcosa di altro e di oltre rispetto all'esperienza storicamente identificabile riguardo a quell'anno. Ciò che colpisce è la sua sempre più radicale trasformazione in un luogo
discorsivo su cui costruire legittimità e autorevolezze presenti, su cui fondare distinzioni e separazioni. [...] In Italia, e non solo, il '68 è ormai matrice di tutte le nequizie contemporanee: relativismo intellettuale e morale, cinismo, culto del denaro, crisi della cultura e dell'identità occidentale, politicismo privo di finalità e contenuti. Da Nicolas Sarkozy che lo giudica responsabile dei malesseri economici e sociali contemporanei perché origine di un
lassismo svincolato da morale e merito, a Giorgio Napolitano che gli attribuisce schematismi e radicalismi ormai da superare, per arrivare a papa Ratzinger, che lo considera l'inizio della crisi identitaria occidentale, causata dall'aver criticato l'esperienza storica del cristianesimo aprendo quindi leporte a un cinismo iscritto nel relativismo morale più assoluto." <2
D'altra parte la stessa memorialistica sembra voler confermare la valenza iconica del Sessantotto attraverso quelle pubblicazioni che, prodotte da protagonisti e comparse di allora, tendono naturalmente a sovraccaricare di significati quello scorcio storico-esistenziale. La produzione memorialistica sul quel periodo non è certo avara e sicuramente si compone di contributi non privi di qualche interesse, anche dal punto di vista storiografico. Non di meno sembra evidente il ricorso a categorie di analisi che sussumono insieme gli aspetti mitopoietici della narrazione con gli intenti evidentemente interpretativi (e molto spesso politici e politico-ideologici) del racconto stesso.
Per quanto questo aspetto sia del tutto naturale, trattandosi di memorialistica, appare necessario sottolineare quanto la dimensione incredibilmente plurale delle memorie sul Sessantotto non sfugga in nessun caso - nemmeno nei tentativi
più riusciti - dalla tentazione di ipostatizzare e dilatare gli eventi di allora a beneficio di processi e avvenimenti immediatamente precedenti o successivi a quel famigerato, quanto indeterminato, 'anno degli studenti'. Nelle memorie soggettive dei protagonisti la cifra '1968' sembra esser capace di travalicare i rigidi confini cronologici imposti dal calendario per fluire indistintamente attraverso i tempi lunghi dell'esperienza e della memoria personale, caricandosi anche in questo caso di una valenza storico-simbolica che funga da grimaldello per un confronto attivo con il presente, e inserire dunque il narratore - al di là della valenza soggettiva di questi racconti - nel dibattito politico contemporaneo.
In poche parole tanto la pubblicistica quanto la memorialistica hanno contribuito alla costruzione di quel 'mito' che rappresenta uno dei primi problemi per chiunque abbia intenzione di rivolgersi storicamente al Sessantotto: espresso attraverso celebrazioni o denigrazioni pubbliche, questo mito sopravvive e si alimenta nel corso delle ricorrenze decennali. Rendendo sempre più evidente, a mio avviso, la necessità di una sua pronta decostruzione, se non sul piano della memoria pubblica o soggettiva almeno sul fronte della ricerca propriamente storica.
Così viene posto il problema ancora nella recentissima ricostruzione di Marica Tolomelli (2008): "Nel corso delle mie esperienze di insegnamento universitario ho potuto constatare un grande interesse da parte degli studenti per i movimenti collettivi degli anni sessanta e settanta, e per il Sessantotto in maniera particolare. Un interesse che tuttavia solo raramente consente loro di pervenire a una comprensione approfondita e sufficientemente nitida di ciò che gli storici e la ricerca sociale intendono con la cifra Sessantotto. Molto più spesso il livello di comprensione non oltrepassa una visione del tutto vaga e approssimativa del movimento, il quale viene colto essenzialmente nelle sue caratteristiche di fluidità o inafferrabilità, o come una sorta di black box in cui confluisce tutto ciò che è associabile agli anni sessanta: la baby-boom generation, la musica beat,i capelloni, la controcultura, la contraccezione, la
protesta, la rivoluzione, l'antiautoritarismo, la guerra del Vietnam, l'antimperialismo ecc. Una successione di idee costruita più su libere associazioni e luoghi comuni piuttosto che su un ragionamento informato, consapevole, preciso e differenziato. Un livello così insoddisfacente di comprensione [...] non dipende unicamente dallo scarso background di conoscenze storiche con cui gli studenti mediamente giungono all'università o dalla loro scarsa applicazione. Il problema esiste anche sul piano della trasmissione del sapere storico." [3
Come se la frattura generazionale messa in scena dal Sessantotto sia destinata a ripercuotersi disgraziatamente sui produttori e sui fruitori dell'attuale ragionamento storico su quello stesso evento.
"La storiografia italiana sul Sessantotto risulta scritta ancora prevalentemente dai testimoni o protagonisti di allora, i quali, pur se con ammirevoli sforzi di approccio scientifico, difficilmente riescono a porsi in maniera
completamente esterna all'oggetto dei loro studi. Ma anche nei casi di distanza critica e rigore scientifico brillantemente riusciti, si ha l'impressione che esista anche un problema di crescente scarto culturale fra gli autori e la
fascia più giovane dei lettori. Mentre i primi si muovono con grande disinvoltura tra la nascita di subculture e controculture, le prime manifestazioni contro la guerra del Vietnam, le occupazioni delle università, gli slogan contro l'autoritarismo accademico, l'organizzazione di controcorsi e le quotidiane attività di assemblee, commissioni, redazione di volantini e striscioni ecc., i secondi rimangono spesso disorientati e confusi di fronte a scenari così effervescenti e complessi, con grandi difficoltà di comprensione profonda dei nessi esistenti tra i diversi fenomeni." <4
A mio avviso è impossibile eludere le preoccupazioni di Tolomelli: uno dei motivi che mi ha spinto verso l'indagine del Sessantotto italiano risiede proprio nella constatazione di quello iato descritto nelle sue note, e in questo senso non posso che concordare con alcune delle sue considerazioni.
Se la proiezione mitica di un evento storico è disdicevole sul piano della pubblicistica e della polemica politica, questa stessa operazione può apparire ancora più rischiosa sul terreno della ricostruzione e della trasmissione del sapere storico. Uno dei paradossi cui potrebbe altrimenti giungere la storiografia italiana è di trovarsi sempre alla 'distanza sbagliata' rispetto all'evento Sessantotto: troppo vicini per poterne parlare senza cadere nelle trappole dell'interpretazione soggettiva e troppo lontani per coglierne appieno i presupposti storici, soprattutto ora che i connotati culturali e politici della società italiana sono profondamente mutati rispetto a quelli in cui era immersa
l'Italia, e non solo, alla fine degli anni sessanta.
Insomma il rischio è che il mito, che si è andato costruendo fin da subito e che poi è stato alimentato attraverso le polemiche pubbliche nel corso dei decenni, dando vita e spazio a memorie ovviamente soggettive e 'divise' <5, continui a lungo ad imprimere il suo segno - non importa se in chiave positiva o negativa - sulla memoria pubblica del Sessantotto. Rendendo sempre più faticose le indagini puntuali che proprio ora si potrebbero fare sulla crisi italiana della fine degli anni sessanta, considerando che anche gli archivi diventano sempre più accessibili e le fonti a disposizione iniziano ad assumere una consistenza sicuramente interessante.
Contemporaneamente credo che si possa guardare alla preoccupata e preoccupante affermazione di Tolomelli con il dovuto ottimismo: oltre al mito più o meno diffuso a livello di memoria pubblica - a parte la memorialistica e la pubblicistica, insomma - possiamo contare su una tradizione storiografica che sicuramente ha proposto ricostruzioni e saggi di grande interesse, ponendo problemi e suggerendo interpretazioni tutt'altro che fuorvianti, in certi casi.
Mi sembra se non altro possibile e opportuno prendere in considerazione alcuni dei principali nodi storiografici finora emersi dalla letteratura scientifica sul Sessantotto. In questi quarant'anni i primi lavori di ricostruzione storica hanno evidenziato problemi tutt'altro che risolti, mentre d'altra parte hanno contribuito ad illuminare nessi e circostanze tutt'altro che secondarie.

[NOTE]1 La fortunata espressione fu coniata dalla giornalista comunista Rossana Rossanda già nel giugno 1968, con la pubblicazione di uno dei primi volumi dedicati alla riflessione intellettuale e politica sugli eventi della contestazione
universitaria. R. Rossanda, L’anno degli studenti, De Donato, Bari 1968.
2 La citazione è tratta dai Contrappunti di Emmanuel Betta ed Enrica Capussotti che corredano la seconda edizione del fortunato contributo editoriale di Luisa Passerini, Autoritratto di gruppo, edito già nel 1988. Vedi E. Betta e E. Capussotti, Contrappunti, in L. Paaserini, Autoritratto di gruppo, Giunti, Firenze 2008, pp. 290-291. Nel seguito del testo si farà comunque riferimento all'edizione originale del volume, vale a dire L. Passerini, Autoritratto di gruppo, Giunti, Firenze 1988.
3 Da M. Tolomelli, Il Sessantotto. Una breve storia, Carocci, Roma 2008, pp. 10-11.
4 Ivi, p. 11.
5 Le diversificate memorie del Sessantotto meriterebbero sicuramente un'analisi approfondita. Per il momento, sul tema dell'asimmetria delle memorie soggettive nella storia contemporanea, sono debitore nei confonti della ricerca di storia orale di Giovanni Contini. Vedi G. Contini, La memoria divisa, Rizzoli, Milano 1997.
Fabio Papalia, Il Sessantotto italiano nella dinamica delle occupazioni e dei cortei. Un confronto tra i movimenti studenteschi di Torino, Milano e Roma, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, Anno accademico 2010/2011


Se a Roma piove


E l'alberghetto scalcagnato davanti al quale i miei due accompagnatori mi lasciarono, ormai nel cuore della notte, fu un po' come un tocco finale. A me sembra ancora adesso, per farla breve, tratto di peso da un qualche romanzo dove compare Maigret, con la differenza che io mi trovavo a Marsiglia e non a Parigi. Solita tappezzeria un po'... trasandata, solito rubinetto che sgocciolava, solita persiana che cigolava al vento, solite voci di donne e uomini: queste cose, nonostante il... mal di testa me le ricordo, così come mi ricordo di avere dormito ben poco. Il mio... autista, dalla guida invero spericolata, sì che per tutto il viaggio di andata e ritorno per e da Aubagne - altra vicenda! - mi ritrovai ad essere teso come poche volte nelle mie esperienze, ed il suo... secondo di bordo mi avevano - oltre a giocarmi lo scherzetto della "mamma dei legionari" - sommerso di gustosi aneddoti riferiti a Gaston Deferre, che stava per diventare in quel momento - primavera 1982 - ministro, ma già storico sindaco della città dei Focesi d'Occidente e di Pitea il Navigatore. E la statua di Pitea in quella che era stata la polis dell'uomo che per primo aveva visto l'ultima Thule - narra la leggenda! - l'avrei rivista con maggior comodo una decina di anni dopo.

Circa Marsiglia non posso, poi, trascurare almeno un accenno a Jean-Claude Izzo, un uomo impegnato sul fronte sociale ed antirazzista, che da scrittore trasfigurava i suoi valori in cupe storie noir: nei suoi libri quella città e i suoi dintorni, non molto lontani da questa riviera, assumono contorni quasi magici: si sentono l'odore del mare, i profumi dei fiori e delle erbe mediterranei, i sapori di cibi cosmopoliti. E si palpita per personaggi che sembrano usciti da una canzone di Francesco De Gregori, nel contempo in cui certi "cattivi" sembrano (almeno a me) un po' esagerati, anche se fanno rinviare con il pensiero a tante trame criminali realmente esistenti...

La prima volta che venni portato a Milano avevo poco più di due anni, come testimoniato da una fotografia di famiglia, scattata in Piazza Duomo con l'immancabile cornice di piccioni, uno in mano a mio padre, ma non posso certo ricordarne nulla.
Ricordo bene, invece, che, prima dell'età scolastica, dalla finestra di un piano ben alto posizionato in Via Santa Radegonda mi sembrava di toccare con una mano quel Duomo che mi affascinava tanto.
Quella casa non c'é più, sostituita da un orrendo silo-parcheggio, quasi adiacente alla Galleria. Ed il Duomo non mi appare oggi poi così vicino.

N., d'immigrazione dal Polesine (e al secondo matrimonio di Silvano Z. mi raccontò di sue ricerche storiche locali), faceva il bracciante nella campagna epicentro de "La curva del Latte" di Nico Orengo. Ma alle due di notte teneva testa a Francesco Biamonti in quelle lunghe discussioni nelle quali il romanziere di San Biagio della Cima, che non aveva ancora esordito come tale, dimostrava una sua grande dote, mai appieno oggi rammentata: la sua grande signorilità. N., dalla grande dialettica e dalla grande erudizione da autodidatta, conobbe una graziosa insegnante di Milano. Ne conseguirono l'amore e il trasferimento a Milano. In una di queste tappe, forse quella definitiva, lo accompagnammo io e Silvano. Gustoso l'episodio delle strelitzie, dimenticate a mollo, che stavano per trasbordare dalla vasca da bagno.

A Roma. Quasi una gag. Il collega, che senza chiedermi nulla mentre ne ero un po' consapevole, interpella in quella notte di inizio primavera un passante circa Fontana di Trevi, salvo accorgersi (su questo, invece, io ero out!) un attimo dopo che era un noto attore. Indicazioni vaghe come risposta. Che era dietro l'angolo, praticamente!
Camminate, tante camminate. Non solo alle manifestazioni. D'altronde, per fare i turisti per caso non si può agire diversamente. Altri colleghi, in queste peregrinazioni molto post-lucane, a dirmi che conoscevo bene storia e monumenti. Di lì, forse, personali intensi ripasso e studio di tante cronache passate e di tante guide recenti. Ma, più si sa, più ci si accorge di sapere poco!
A Trastevere case che negli interni ricordano quelle quasi turrite dei borghi liguri. E locali pubblici dove gli avventori discutendo bonariamente, ma in modo colorito, forse (anzi, penso che vada tolto questo condizionale, se rifletto su cronache relative a parole, motti, suggestioni carpiti per strada da soggettisti e sceneggiatori di capolavori della "commedia all'italiana) forniscono tanti spunti ad artisti che vanno per la maggiore.
Se a Roma piove, le cose vengono fatte per bene. Memorie di fortunate fughe in taxi sotto l'infuriare degli elementi.

Se distrattamente penso a Genova inopinatamente rivedo uno scorcio del Porto Antico prima che l'ultima galleria in prossimità della Stazione Principe accolga il mio convoglio.

Il mio cognome viene da case sparse su collinette non lontane da Fornovo Taro, in provincia di Parma. Anche la famiglia della nonna del lato paterno aveva radici nel comune di Medesano, ché di questo si tratta. Insomma, da quelle parti i miei antenati ci stavano da secoli: qualche storia forse interessante me la ricordo ancora. C'é anche una singolare assonanza tra il nostro cognome e il nome di quella frazioncina, che curiosamente coincide con quello di un sobborgo di Napoli: Miano. Indubbiamente film come "Novecento" di Bertolucci, ma ancor più "Questa specie di amore" di Bevilacqua, alla loro uscita mi fecero d'improvviso ripensare con intensità a queste mie origini che ormai, preso dal mio pieno ingresso nell'età adulta, stavo discretamente trascurando. Questi film, non altri, non altre opere letterarie, per diverse motivazioni, alcune proprio d'impatto con una mia personale rivisitazione della nostra saga familiare: da cui adesso estrapolo tuttavia solo il forte messaggio sociale, democratico ed antifascista contenuto in quelle pellicole, perché mi sembra di forte, stringente, amara attualità.

Quella volta a Bologna in Piazza Maggiore mi sembrò di sentire odore di buona cera nell'aria, ma forse era solo la suggestione causatami da quella magnifica quinta teatrale che facendo principio anche da Palazzo di Re Enzo, continuando per la Basilica, termina con Palazzo d'Accursio. E i crocchi improvvisati di persone che discutevano civilmente, soprattutto di politica, li ho visti forse prima che qualcuno li consegnasse alla pagina scritta, memoria di nobile costumanza ampiamente decaduta.

Su quel trenino con motore diesel, che da Imperia Oneglia faceva la spola due volte al giorno con Cuneo (o Torino? oggi è abolito) quando facevo il pendolare ancorché di breve tragitto, ero infine, dai tempi in cui da bambino mi era già capitato, tornato a fianco di un macchinista per guardarmi con angolo visuale diverso i pochi scorci panoramici che rimangono dopo l'avvenuto spostamento a monte della ferrovia tra San Lorenzo al Mare ed Ospedaletti...

Adriano Maini