oggi, 21 ottobre, allo studio campo boario (roma): “fausto battelli, pittore paparazzo” – esposizione nel contesto della mostra “aria di famiglia”
In occasione di RAW – Rome Art Week, 2025 – e nel
contesto della mostra “Aria di famiglia”
allo Studio Campo Boario
(Roma, viale del Campo Boario 4/a)
Fausto Battelli, pittore paparazzo
vernissage oggi, martedì21 ottobre, h. 17:00-20:00
romeartweek.com/it/eventi/?cod…
La mostra “Fausto Battelli, pittore paparazzo” ripercorre il percorso artistico di un autore italiano che ha attraversato molteplici stagioni creative, muovendosi con libertà tra linguaggi e discipline. Dagli esordi come ceramista, Battelli approda negli anni della dolce vita alla fotografia, intraprendendo la carriera di fotoreporter e documentando volti e atmosfere di un’epoca irripetibile.
Negli anni successivi, torna alla pittura, sua prima passione, sviluppando una ricerca personale che oscilla tra figurazione e astrazione, tra arte e artigianato. Le sue opere polimateriche più recenti testimoniano una continua sperimentazione, in bilico tra gesto artistico e pratica manuale.
Un percorso irregolare e indipendente, che non ha trovato pieno riconoscimento nella storia dell’arte ufficiale, ma che solleva una domanda cruciale: come guardiamo oggi ai cosiddetti “minori”?
In mostra, una selezione di opere rappresentative di questa ricerca complessa e sfaccettata, capace di toccare i confini dell’arte “alta” per immergersi, senza pregiudizi, in una produzione ibrida e commerciale, che pure ha incontrato il favore del pubblico.
*
Aria di famiglia — Rome Art Week 2025
“Aria di famiglia evoca la nozione wittgensteiniana di somiglianze di famiglia: non un marchio identico che uniforma, ma una costellazione di segni che si richiamano l’un l’altro, come echi che risuonano nello spazio tra le opere e le persone. È in questa trama di rimandi sottili, di affinità impreviste e di differenze che si sfiorano, che prende forma il senso della mostra”
In questo caso il nucleo è quello di una famiglia romana che, nel corso di tre generazioni, ha intrecciato vite e linguaggi artistici diversi, passando dalla pittura alla ceramica, dal design tecnico alla scrittura, dalla fotografia alla musica.
- Fausto Battelli (1934–2018)
Pittore e fotografo, fratello maggiore, ha attraversato l’arte italiana dal dopoguerra in poi, oscillando tra fotografia di cronaca e di costume e una pittura che spazia dall’astratto materico alle periferie urbane. La sua produzione riflette tensioni, ossessioni e cambiamenti di un’epoca. - Dora Battelli (1931 – 1981)
Sorella di Fausto, madre di Alberto e Stefano. Ceramista dalla mano sensibile, ha unito gesto artigianale e spirito creativo, lasciando una traccia personale e intima nella tradizione familiare. - Antonio D’Amico (1926 – 1996)
Marito di Dora, padre di Alberto e Stefano. Pur lavorando al di fuori del campo artistico, ha coltivato con passione le sue ossessioni meccaniche: radio, orologi, schemi tecnici. Oggetti e invenzioni che testimoniano un modo diverso di fare arte, a cavallo tra mestiere, tempo e immaginazione, con rare ma significative incursioni artistiche. - Alberto D’Amico (1962)
Artista dal percorso accidentato, tra cinema e arti figurative, con un gusto per l’ibridazione e la contaminazione. Espone le sue false copertine di Urania, che reinventano il linguaggio della fantascienza popolare e dell’editoria di massa. Autore anche del libro Aenigma, in cui scrittura e immagine si intrecciano. - Stefano D’Amico (1966)
Diplomato in scultura all’Accademia di Belle Arti, si esprime con disegni e acquerelli di grande sensibilità. Accanto alla pratica visiva coltiva la passione per il canto e per il pianoforte, che suona “a orecchio” con dedizione, rivelando un’altra sfumatura della creatività familiare.
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Fausto Battelli, pittore paparazzo | 21-25 Ott 2025 | Rome Art Week
La mostra ripercorre il percorso di Fausto Battelli, tra ceramica, fotografia e pittura, in un continuo dialogo tra arte e artigianato, figurazione e astrazione, successo popolare e ricerca personale.Rome Art Week
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oggi, 21 ottobre, venti anni fa, iniziava l’edizione 2005 di romapoesia
Nel 2005 un evento, Poesia ultima / L’esperienza-divenire delle arti, organizzato da RomaPoesia (Luigi Cinque e Nanni Balestrini) e in parte curato da me, univa – in una serie di giornate e incontri principalmente all’Auditorium e presso la Fondazione Baruchello – autori molto diversi tra loro, poeti, artisti, musicisti, performer, e videomaker, in un tentativo di dare un quadro di alcune linee di ricerca (o non di ricerca) contemporanee.
Il sottotitolo diceva, anche: “generazione ’68-’78”.
Qui il programma completo: slowforward.net/2006/08/12/ott…
E qui una – direi tutt’ora attuale – scheda di descrizione e dichiarazione di intenti, non firmata ma mia: slowforward.net/2006/08/12/ott…
(leggibile anche qui, o su archive.org, e su Academia)
(N.b.: Entrambi i post sono stati importati su WordPress nel 2006, essendo usciti in origine su slow-forward.splinder.com e in varie altre sedi ‘ufficiali’ della manifestazione).
Come è ovvio, la cosa nel suo complesso fu da alcuni versanti fortemente e pressoché ciecamente osteggiata (soprattutto da parte del sottobosco poetico, che infatti – in virtù della sua ostilità alla sperimentazione – sarebbe stato debitamente ascensorizzato nell’arco del quindicennio successivo). Stessi oppositori e stessa veemenza disordinata avrebbero accolto prima gammm alla sua nascita a fine giugno 2006 e poi Prosa in prosa nel 2009. (Tutto è registrato e fortunatamente immortalato da memorabili thread di commenti su vari blog, soprattutto Nazione indiana e Absolute poetry: chi vuole può divertirsi a compulsare).
Qui di séguito ripropongo una parte credo significativa della scheda descrittiva (cfr. il secondo link sopra riportato), con elementi, suggestioni e interrogativi che periodicamente riemergono nel sempiterno dibattito italiano sulla poesia, che specie da un decennio a questa parte sembra ogni volta ripartire beato e beota da zero senza interrogarsi su quello che l’ha preceduto, pur essendoci infiniti stimoli proprio nel passato recente e meno recente (ma studiabile, rintracciabile, si pensi solo ad alfabeta2, EX.IT – Materiali fuori contesto, Poeti degli anni zero, o appunto a Prosa in prosa, gammm, RomaPoesia, RicercaBO, e poi a Parola plurale, slowforward, La camera verde, Biagio Cepollaro E-dizioni, Ákusma, “Baldus”, Poesia italiana della contraddizione, MilanoPoesia, “Altri termini” eccetera).
(In realtà il problema è duplice: da una parte c’è la sostanziale e a volte intenzionale mancanza di riferimenti e conoscenza da parte dei giovani poeti, dall’altra la loro indisponibilità a riconoscere che le questioni che dibattono e in cui si dibattono sono state già affrontate, ma da autori della ricerca letteraria, quindi da gente e strutture e testi di cui – per via della medesima ignoranza – non vogliono avere contezza. Anche perché dialogare con la ricerca letteraria vuol dire ipso facto inimicarsi a sangue e per sempre i federali e i capibastone del mainstream).
Ecco un estratto dalla scheda, appunto:
Le questioni e gli interrogativi che la poesia rivolge a sé e al contesto sociale (e che quest’ultimo riformula in ulteriori domande) possono riguardare:
– la situazione della scrittura di ricerca, nella sua interazione con altre arti, lingue e culture;
– i rapporti complessi di legame/indipendenza che la poesia (di ricerca e non) intrattiene oggi con i propri ‘padri’, con i molti valori stilistici portati dal Novecento;
– la dicibilità del mondocome resistenza di una poesia civile, e dell’io ‘lirico’ affermato o negato in questa
– l’occorrenza di motivi costanti (il corpo in immagine distante, la vita degli oggetti) in libri e autori nati negli anni Sessanta e Settanta: che configurano una sorta di scrittura insieme antirealistica e fredda.
Questi nuclei, individuati ‘scansionando’ per letture parallele siti e sedi e libri recenti di poesia, sono ripartiti nelle due giornate di incontro a Roma, 21-22 ottobre 2005, in modo tale che alcuni degli autori più significativi appartenenti alle generazioni dei nati nel decennio 1968-1978 si trovino a conversare e dibattere tra loro, e soprattutto a porre in parallelo il discorso critico e la lettura, teoria e voce. È la sfida e l’ipotesi in gioco. Ogni nucleo tematico raggruppa autori che intervengono sull’argomento e portano testi (propri e altrui) a sostegno di quanto affermano. I testi – non polemiche e poetiche pre/testuali – sono al centro delle argomentazioni. O anche: i testi narrano se stessi, senza argomentazioni affatto.
Volume con materiali, testi e documentazione del lavoro svolto nel 2005 da artisti e poeti @ RomaPoesia e Fondazione Baruchello (ulteriori dati: slowforward.net/2006/10/31/esp…)
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Una scheda per "Poesia ultima" / "L'esperienza-divenire delle arti"
Una scheda per "Poesia Ultima" / "L’esperienza-divenire delle arti" (Generazione ’68-’78): 21-22 ottobre, Auditorium parco della musica e 23 ottobre, Fondazione Baruchello. L’idea viene dalla necessità di offrire una visioneMarco Giovenale (www.academia.edu)
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L’uomo in spats (senza pantaloncini) e il confine tra libertà e buon gusto sul tatami
youtube.com/watch?v=kg_JwQVQyN…
Quando Brianna Ste-Marie — argento ADCC e una delle figure più rispettate del grappling moderno — parla, di solito lo fa con equilibrio. Ma sul tema “uomini in spats senza pantaloncini” ha deciso di mollare il freno a mano.
Durante un’intervista al podcast Jits and Giggles, la canadese ha raccontato un episodio avvenuto in un camp in Colombia: un atleta si presenta alla sessione serale indossando solo le sue spats. Nessun pantaloncino, nessuna remora.
“L’ho guardato e gli ho detto: ‘Scendi subito dal tappeto e vai a cambiarti.’ Non è accettabile,” racconta.
“Vedevo letteralmente il contorno del pacco. Non capisco come abbiamo potuto perdere la bussola al punto da pensare che vada bene così.”
Non è solo una questione estetica: è questione di ambiente, di rispetto, di limiti. E Ste-Marie lo dice senza giri di parole — come dovrebbe fare chiunque abbia abbastanza esperienza da sapere che il tatami non è una zona franca del buon senso.
Il dress code del grappler moderno
Il dibattito non è nuovo. Gordon Ryan ha persino inserito nel suo famoso (e controverso) dress code la regola esplicita: shorts sopra le spats.
E se conosci Gordon, sai che non è uno particolarmente ossessionato dalle convenzioni. Eppure anche lui ha capito che certe regole servono: non per moralismo, ma per ordine.
Siamo in uno sport dove ci si strozza, si suda addosso, si finisce incastrati in posizioni che con un minimo di fantasia potrebbero far arrossire chiunque.
Proprio per questo l’equilibrio tra libertà e decenza è più che un tema di “stile”: è un patto sociale.
L’approccio “primitivo” (che rispetto)
Io l’ho sempre detto, anche commentando il caso Gordon Ryan e il dress code: per quanto mi riguarda puoi rollare anche in mutande.
Ho lottato spesso a torso nudo, Brazilian Style, e mi piace quel ritorno primitivo al corpo, al contatto, alla semplicità del gesto. È quasi un richiamo alle origini: due esseri umani, uno cerca di strangolare l’altro, niente orpelli.
C’è qualcosa di autentico, persino poetico, in quella nudità agonistica.
Ma — e qui viene il punto — se la tua libertà diventa una distrazione per chi ti sta intorno, o peggio una barriera per chi vorrebbe iniziare ma si sente a disagio… forse non è più libertà, è solo mancanza di attenzione.
Il problema non è la pelle, ma il contesto
La scena descritta da Ste-Marie è un perfetto esempio di questo slittamento.
Non è scandalosa in sé, ma rompe la sintonia collettiva.
In un camp internazionale, con atleti di vari livelli e culture diverse, la vista di un “pacco in HD” a un metro di distanza può essere un po’ troppo.
E non serve un master in antropologia per capire che certe cose — pur naturali — non aiutano la coesione del gruppo.
Poi certo, se ti piace sentire il tessuto tecnico aderire come una seconda pelle, nessuno ti giudica.
Ma se proprio hai le gambe delicate e vuoi metterti gli yoga pants, mettiti dei cazzo di pantaloncini sopra.
Non per pudore, ma per rispetto di chi condivide lo spazio.
La questione invisibile: le donne sul tatami
C’è anche un altro tema, meno detto: le ragazze.
Ste-Marie lo tocca indirettamente quando parla di “ambienti in cui le persone non si sentano a disagio”.
Il BJJ ha ancora un problema di proporzioni — in molte palestre le donne sono una minoranza — e creare un contesto sicuro è una responsabilità comune.
Non servono crociate sul dress code: basta un po’ di empatia.
Perché se un gesto semplice come infilare un paio di shorts può far sentire qualcun altro più a suo agio, è un piccolo prezzo da pagare.
La forza del jiu-jitsu è nella fiducia reciproca: ti lascio mettermi in strangolamento solo se so che rispetterai il mio limite.
Vale anche per l’abbigliamento.
Il valore del confine
Il messaggio di Ste-Marie non è moralista, anzi.
È una lezione su come i confini servano a proteggere, non a limitare.
Quando dice “i principianti faticano a mettere limiti” sta parlando anche di questo: di quella educazione implicita che i veterani dovrebbero trasmettere.
Saper dire “questo non va bene qui dentro” è un atto di leadership, non di censura.
E chi si allena da anni sa che il tatami è una società in miniatura.
Ci sono regole non scritte che tengono tutto insieme: si saluta, si pulisce, si rispetta la distanza.
Il dress code non è diverso — è un segno di cura.
L’ironia della libertà
Il paradosso è che chi difende l’“autenticità” del roll in spats integrali spesso finisce per trasformarlo in una provocazione.
E allora la libertà perde la sua innocenza e diventa posa.
Quella sì, da evitare.
Personalmente resto dell’idea che il BJJ sia un linguaggio corporeo: puoi comunicare intensità, rispetto, gioco, persino ironia.
Ma non serve farlo con l’anatomia in primo piano.
C’è già abbastanza ego nei tornei, nelle storie Instagram, nei post “war ready”.
Conclusione: un po’ di buon senso (e pantaloncini)
In fondo la regola è semplice:
allenati come vuoi, ma senza dimenticare che condividi uno spazio con altri esseri umani.
Il tatami è un luogo sacro e imperfetto, dove convivono culture, pudori e manie.
Non serve vestirsi da monaco shaolin, ma nemmeno trasformare la lezione serale in una replica di Magic Mike.
Puoi rollare a torso nudo, puoi preferire le spats sotto, puoi farlo per comodità o per stile.
Ma se vuoi davvero essere un grappler maturo, mettiti quei pantaloncini sopra e risparmia al mondo il tuo pacco in 4K.
È una forma di rispetto, non di censura.
E in un’epoca in cui tutti vogliono “essere se stessi”, ricordarsi anche degli altri è ancora la forma più elegante di libertà.
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Dress code alla Kingsway di Gordon Ryan.
Premessa scomoda. Tendenzialmente sono un cazzone e se uno si presenta col kimono di Naruto a me va bene (Jacopo, sto parlando di te). Tollero persino gli spezzati. Ma capisco benissimo Gordon Ryan e chiunque scelga regole chiare. Anzi: quando devo scegliere dove allenarmi, tendo a preferire palestre con regole più rigide. È dai dettagli che si costruisce una comunità attenta a quello che fa.
Cosa ha deciso Gordon Ryan
Gordon Ryan ha introdotto un dress code netto nella sua nuova Kingsway Headquarters. Obiettivo dichiarato: look pulito e professionale, dentro e fuori dal tatami, con uniformità soprattutto per ciò che finisce sui social.
- No-gi: rash guard e shorts neri o bianchi, almeno per l’80% della superficie. Loghi ok, ma base rigorosa.
- Gi: solo bianco per tutti fino alla cintura nera. Nero consentito ai black belt e oltre. Vietati capi larghi, tasche, zip e t-shirt. Obbligatori rash guard sotto il gi e, per gli uomini, shorts sopra spats o compressioni.
Nota curiosa: niente blu. Sorprende, visto che il blu è spesso più diffuso del nero.
Perché farlo
La motivazione è semplice e operativa: uniformità visiva e professionalità. Serve nelle classi, nelle foto, nei video, nei reel. Ryan sottolinea che non vuole costringere nessuno a comprare il suo merch. In accademia ci sono capi neutri per chi dimentica qualcosa, ma il principio non cambia: allinearsi a una cornice comune.
Qui si innesta la lettura più ampia. Nel jiu-jitsu convivono tradizione e modernità. Relson Gracie, per dirne uno, ha sempre difeso il gi bianco perché rende chiarola cintura dell’avversario. È una logica funzionale, non nostalgica. E, paradossalmente, la scelta di Ryan, pur venendo dal no-gi, dialoga con quella linea.
La tensione identità vs. regole
Il primo contraccolpo è prevedibile: addio espressione personale. Niente gi rosa shocking, niente palette custom. Ryan non la prende larga: se non ti piace, non venire. È un posizionamento. E ogni posizionamento, per definizione, esclude qualcosa.
C’è poi un tema di coerenza apparente. Ryan, atleta no-gi, ha vestito rash di mille colori nel corso degli anni. Perché ora il bianco e nero? Risposta pratica: un conto è il tuo percorso da atleta, un altro è la coerenza visiva di un luogo. Se alleni persone, vuoi un ambiente leggibile a colpo d’occhio, in presenza e online.
Sulle compressioni lo scetticismo resta. Nell’MMA e nel grappling la compressione totale evita grip indesiderati sugli shorts. L’obbligo di shorts sopra spats è una scelta di decoro e riconoscibilità. Non massimizza sempre la performance micro, ma aumenta l’ordine macro.
L’argomento che conta davvero: comunità
Torniamo ai dettagli. Una palestra è un’istituzione culturale, non solo quattro materassine. Le regole visive fanno tre cose utili:
- Abbassano l’attrito decisionale. Ti vesti così. Fine.
- Rendono il gruppo riconoscibile. Dentro e fuori dall’accademia.
- Trasmettono attenzione. Se curi il colore dei capi, tenderai a curare anche igiene, puntualità, modo di stare sul tatami.
È il motivo per cui, pur essendo indulgente con Naruto e con gli spezzati, tendo a scegliere scuole che impostano una grammatica chiara. Le piccole prescrizioni educano il comportamento. Allenano il senso del contesto. Fanno crescere meglio i nuovi.
Non è un culto, è un confine
Il confronto con altre realtà aiuta. AOJ ha uno standard severo e ha costruito un’estetica riconoscibile a livello mondiale. Gracie Barra, invece, viene spesso criticata per l’obbligo di brand proprietario, percepito come costoso e identitario in modo forzato. Ryan si colloca in mezzo: rigore sì, obbligo di logo no. È un confine, non un recinto.
Obiezione: si perde “divertimento”
Vero a metà. L’auto-espressione nel BJJ vive in mille altri punti: scelta dei corsi, stile tecnico, attitudine nelle ronde, obiettivi agonistici o ricreativi. La divisa influisce meno di quanto pensiamo. E in cambio hai foto e video ordinati, minor rumore visivo, più concentrazione.
Se poi la tua identità passa dal gi mimetico o dalla rash neon, forse stai delegando alla stoffa la narrazione che dovresti fare con il gioco a terra.
Impatto pratico per le accademie
Se dirigi una palestra e stai ragionando sul tuo standard:
- Definisci palette e capi base. Due colori, max tre. Tutti gli altri su richiesta.
- Motiva la regola. Non perché “si è sempre fatto”, ma per igiene, ordine, media, riconoscibilità.
- Gestisci le eccezioni. Visitor kit in spogliatoio. Prima volta, si chiude un occhio. Dalla seconda, si allinea.
- Allinea staff e agonisti. Lo standard parte dall’insegnante.
- Comunicalo bene. Una pagina chiara sul sito, un post fissato in bacheca, una FAQ essenziale.
Il punto di equilibrio
Il dress code di Ryan non è un vezzo. È una scelta manageriale e culturale. Serve a dare forma all’esperienza e a renderla scalabile. Non tutti lo ameranno. Ma una palestra senza confini chiari spesso diventa un posto dove ognuno fa come gli pare e l’energia si disperde.
Io continuerò a sorridere se entra uno col kimono cammo. Ma se devo scegliere dove passare il mio tempo, preferisco un tatami con regole esplicite. È lì che impari a rispettare il contesto, non solo l’avversario. E alla lunga, sono questi dettagli a tenere insieme le persone.
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Si dice che una immagine valga più di mille parole e questo è particolarmente vero in una società nella quale siamo quotidianamente sommersi da foto e video. Sappiamo che queste e questi sono in grado di ispirarci sentimenti ed emozioni che si distribuiscono in uno spettro che va dal disgusto al piacere e comprendono tutto quello che c’è nel mezzo. I sentimenti e le emozioni sono […]
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Torna l’Italian Teacher Programme “Galileo” alle Canarie
edu.inaf.it/news/per-la-scuola…
Torna l’Italian Teacher Programme Galieo, corso di formazione per docenti incentrato sull’astronomia organizzato da INAF, Fundación Galileo Galilei e CERN.
#CERN #INAF #italianTeacherProgramme #OAECenterItaly #TNG
Torna l’Italian Teacher Programme “Galileo” alle Canarie
Torna l'Italian Teacher Programme Galieo, corso di formazione per docenti incentrato sull'astronomia organizzato da INAF, Fundación Galileo Galilei e CERN.Federica Duras (EduINAF)
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note251019 / miron tee. 2025
#abstract #abstrasemic #art #arte #asemic #asemicWriting #MironTee #scritturaAsemica
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in partenza domani i primi corsi centroscritture della nuova stagione 2025-26: iscrizioni ancora aperte
centroscritture.it/corsi
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Corsi | CentroScritture
Conosci la storia, gli autori, i testi, gli stili e le idee della poesia contemporanea con corsi aperti e accessibili a tutti.CentroScritture
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Space Walk, quattro passi e milioni di chilometri nel Sistema Solare
Fino a ieri passeggiare tra i pianeti del Sistema Solare sembrava impossibile. Oggi grazie alla webapp Space Walk puoi farlo davvero!Guest Author (EduINAF)
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22 ottobre, roma, palazzo delle esposizioni: quel che non puoi vedere // tentativi di visione
posti limitati: a questo indirizzo è possibile prenotarsi
Incontro con:
Ivana Della Portella – Vicepresidente dell’Azienda Speciale Palaexpo
Federica Luzzi– artista visiva
Naoya Takahara– artista visivo
Maria Pia D’Orazi – storica del teatro e giornalista
Giuseppe Garrera – storico dell’arte e collezionista
Il cofanetto “Quel che non puoi vedere / Tentativi di visione 試行、イメージへ” è la restituzione in forma cartacea di quanto emerso grazie all’omonima performance ideata da Federica Luzzi e Naoya Takahara (Roma 2022, AOC F58) al cui centro c’è il particolare acustico del pavimento in legno di AOC, che ricorda “uguisubari”, il pavimento dell’usignolo, presente in molti antichi templi e residenze nobili giapponesi: grazie a un sistema di morsetti e chiodi, ogni volta che le travi vengono calpestate producono un suono simile al canto di questo volatile, avvisando i residenti che qualcuno è entrato. Un’immersione inedita nella cultura giapponese in dialogo con quella occidentale.
Il cofanetto invita il lettore ad associare liberamente i vari materiali: oltre al libro (che raccoglie i contributi di Flavio Arcangeli, Gabriella Dalesio, Giuseppe Garrera, Alex Kerr, Melissa Lohman, Federica Luzzi, Pasquale Polidori, Marcello Sambati, Naoya Takahara, Monica Vacca), 22 foto, 3 haiku e 3 racconti tradizionali giapponesi.
Cambiaunavirgola Edizioni
Sarà proiettato il video della performance “Quel che non puoi vedere/Tentativi di visione試行、イメージへ” (durata: 00:24:59 minuti) ideata da Federica Luzzi e Naoya Takahara con Flavio Arcangeli, Melissa Lohman, Simone Pappalardo, Pasquale Polidori, Marcello Sambati.
Patrocinio di Istituto di Giapponese di Cultura di Roma, Fondazione Italia – Giappone, 2022.
Informazioni
Ingresso libero fino a esaurimento posti con possibilità di prenotazione
Sala Auditorium – Palazzo Esposizioni Roma
Scalinata di via Milano 9 a
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Quel che non puoi vedere / Tentativi di visione 試行、イメージへ | Palazzo Esposizioni Roma
Palazzo Esposizioni Roma è il più grande spazio espositivo nel centro della città di Roma. Produce e ospita mostre d’arte e scienza, rassegne cinematografiche, teatro, fotografia, musica, presentazione di libri e laboratori per grandi e bambini.www.palazzoesposizioniroma.it
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da oggi, 20 ottobre, e fino al 25, a roma, studio campo boario: “aria di famiglia” – una costellazione di rimandi e affinità
In occasione di RAW – Rome Art Week, 2025
allo Studio Campo Boario
(Roma, viale del Campo Boario 4/a)
Aria di famiglia
mostra a cura di
Alberto D’Amico e Roberta Melasecca
inaugurazione oggi lunedì 20 ottobre, h. 17:00-19:30
romeartweek.com/it/eventi/?cod…
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Aria di famiglia — Rome Art Week 2025
“Aria di famiglia evoca la nozione wittgensteiniana di somiglianze di famiglia: non un marchio identico che uniforma, ma una costellazione di segni che si richiamano l’un l’altro, come echi che risuonano nello spazio tra le opere e le persone. È in questa trama di rimandi sottili, di affinità impreviste e di differenze che si sfiorano, che prende forma il senso della mostra”
In questo caso il nucleo è quello di una famiglia romana che, nel corso di tre generazioni, ha intrecciato vite e linguaggi artistici diversi, passando dalla pittura alla ceramica, dal design tecnico alla scrittura, dalla fotografia alla musica.
- Fausto Battelli (1934–2018)
Pittore e fotografo, fratello maggiore, ha attraversato l’arte italiana dal dopoguerra in poi, oscillando tra fotografia di cronaca e di costume e una pittura che spazia dall’astratto materico alle periferie urbane. La sua produzione riflette tensioni, ossessioni e cambiamenti di un’epoca. - Dora Battelli (1931 – 1981)
Sorella di Fausto, madre di Alberto e Stefano. Ceramista dalla mano sensibile, ha unito gesto artigianale e spirito creativo, lasciando una traccia personale e intima nella tradizione familiare. - Antonio D’Amico (1926 – 1996)
Marito di Dora, padre di Alberto e Stefano. Pur lavorando al di fuori del campo artistico, ha coltivato con passione le sue ossessioni meccaniche: radio, orologi, schemi tecnici. Oggetti e invenzioni che testimoniano un modo diverso di fare arte, a cavallo tra mestiere, tempo e immaginazione, con rare ma significative incursioni artistiche. - Alberto D’Amico (1962)
Artista dal percorso accidentato, tra cinema e arti figurative, con un gusto per l’ibridazione e la contaminazione. Espone le sue false copertine di Urania, che reinventano il linguaggio della fantascienza popolare e dell’editoria di massa. Autore anche del libro Aenigma, in cui scrittura e immagine si intrecciano. - Stefano D’Amico (1966)
Diplomato in scultura all’Accademia di Belle Arti, si esprime con disegni e acquerelli di grande sensibilità. Accanto alla pratica visiva coltiva la passione per il canto e per il pianoforte, che suona “a orecchio” con dedizione, rivelando un’altra sfumatura della creatività familiare.
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Aria di Famiglia | 20-25 Ott 2025 | Rome Art Week
La mostra Aria di famiglia prende il titolo dal concetto di “somiglianze di famiglia” formulato da Ludwig Wittgenstein: non un tratto unico e identico, ma una costellazione di rimandi, di affinità, di echi che collegano individui e opere di una famig…Rome Art Week
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25 ottobre, roma, studio campo boario: “80 fiori”, di louis zukofsky
Sabato 25 ottobre 2025, alle ore 18:00,
presso lo Studio Campo Boario
(Roma, viale del Campo Boario 4a)
80 FIORI
LOUIS ZUKOFSKY E L’OGGETTIVISMO AMERICANO
Per il ciclo “Retrospettive” – del CentroScritture – presentazione del libro
80 fiori, di Louis Zukofsky (Benway Series, 2024)
centroscritture.it/event-detai…
con Giulio Marzaioli, Paul Vangelisti, e la traduttrice, Rita Florit
coordinamento di Valerio Massaroni
benwayseries.wordpress.com/202…
Il lettore parte […] per un’avventura in miniatura e meravigliosamente divertente, che corrisponde alla moltitudine in fiore evocata dal poeta. Gran parte dell’impresa dell’affrontare questo testo sta nel dover seguire le improvvisazioni di Zukofsky sulla tradizione floreale e sul linguaggio. Nonostante le osservazioni, anche da parte di commentatori favorevoli, sull’impossibile densità o sull’impenetrabilità di 80 Flowers, penso sia meglio cercare di assecondare la passione del poeta per le fonti classiche e shakespeariane e per il gioco numerico, e lasciarsi guidare dal suo orecchio inesauribilmente attento alla sinergia del linguaggio. Florit cita spesso il fondamentale studio di Michele Joy Leggott, Reading Zukofsky’s 80 Flowers (1989), che interpreta le fitte interazioni linguistiche del poeta come un viaggio contemplativo, o come uno splendido erbario. Come Zukofsky ha scritto nel suo taccuino, le poesie o i fiori «avrebbero avuto origine dai miei libri precedenti, dei quali sarebbero una sintesi». […]
— dalla postfazione di Paul Vangelisti
#80Flowers #AlbertoDAmico #BenwaySeries #GiulioMarzaioli #lettura #LouisZukofsky #MicheleJoyLeggott #objectivism #oggettivismo #oggettivismoAmericano #PaulVangelisti #poesia #poesie #presentazione #reading #ReadingZukofskyS80Flowers #RitaFlorit #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca #StudioCampoBoario #ValerioMassaroni
Louis Zukofsky, 80 fiori / 80 Flowers, Benway Series 16
Louis Zukofsky,80 fiori = 80 Flowers.Traduzione: Rita Florit.Postfazione: Paul Vangelisti.Colorno : Tielleci, 2024. – 198 p. ; 19,5 cm.(Benway Series ; 16).978-88-98222-49-0 : 20€ ORDINA Preview / …Benway Series
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tanto programming con poi il malo svegling causa la quasi gran morte dell’octt… (stavo per svenire alzandomi troppo veloce stamattina)
A causa del mio terribile ma solito infognamento di fine settimana, stavo per scherzare sul fatto che troppo programming, con poco gaming e soprattutto niente reading e writing, fa male alla salute… Perché si sta ore fissi davanti al PC, a fare i conti con testi bizzarri in linguaggi decisamente poco umani, per poi andare a dormire incazzati pensando ancora a quella roba (o meglio, quello che non si è fatto), e poi la mattina dopo, ancora prima di riprendere conoscenza (!!!), si pensa automaticamente a quello, e quindi ci si sveglia subito con un bel mal di testa, solo per poi (dopo colazione eh, ma comunque) andare ad incollarsi di nuovo davanti al PC per continuare l’effettivo programming… 😭
Tuttavia, ecco, non immaginavo affatto che il lievissimo mal di testa di 1 o 2 minuti ieri fosse solo il tutorial, mentre l’effettivo momento non epico fosse un ben più lungo (5 minuti???) calo di energia vitale (di pressione, probabilmente, dato che all’effettivo la sensazione è simile a se mi rubano il sangue… tanto sangue) che boh, non mi spiego!!! O meglio, me lo spiego nel fatto che è colpa del programming, per cui scrivere tutti quegli incantesimi così forte assorbe una quantità assurda di energia magica, e quindi succede questo… anche perché, sennò, davvero non si capisce come mai io abbia percepito questo genere di scherzetti solo in queste ultime due mattine, quando guarda caso solo in questo fine settimana ho fatto granché programming, i giorni prima no. Ho già pure dimenticato metà dei sintomi, ma è veramente una cosa assurda, ad un certo punto mi si sono pure ammosciati i 5 sensi, mentre stavo sul divano sperando di non cadere all’aldilà proprio oggi… 🤢
A parte gli scherzi, probabilmente è solo che mi sono alzata troppo di botto dal letto, senza nemmeno accorgermene, e dunque sarà accaduto appunto un calo di pressione… ma il punto è che non me lo spiego così forte, al punto che stavo quasi per cadere per terra ad ogni passo, ad un certo punto dal bagno al divano. Vero è che stanotte ho dormito solo 4 ore circa, perché come ho detto il programming fa male anche solo nella misura in cui offusca la mente di pensieri — riguardo la cosa stessa, o che portano la mente a vagare su altre cose, spesso non buone, come il dolore esistenziale di sottofondo — impedendo di addormentarsi serenamente ed efficientemente, e quando mi sono alzata è stato avendo notato che avevo ignorato la sveglia per 20 minuti e quindi ero in ritardo, però insomma… 😵💫
A me comunque pare di non essermi alzata in modo fisicamente meno calmo di altre mattine, ma a questo punto mi viene il dubbio… E se normalmente io mi alzassi con abbastanza calma, ma proprio ieri matttina il programming mind virus mi ha fatta uscire dal letto di fretta per via delle cose da continuare (e non ho avvertito gravi effetti solo perché avevo dormito 9 ore buone), mentre stamattina ci si è messo il tempo tiranno a mettermi fretta? Però, mannaggia a quel gran zio delle pere fritte… se il mio corpo è in uno stato tale che poco mi manca per svenire se mi alzo troppo velocemente, per quale cazzo di motivo le mie gambe me lo permettono??? Con lo stato mentale in cui sto la mattina presto, io certamente non mi posso ricordare di alzarmi piano piano sennò muoio, quindi preferirei che ci fosse un meccanismo di sicurezza automatico… (Anche se, qualora ci fosse, probabilmente pure me ne lamenterei, perché “come è possibile che non riesco a muovere le gambe? e se arrivano le bombe israeliane anche nella mia città e devo scappare come faccio???“… vabbuò.) 🐥pignio.octt.eu.org/item/105934…
#mattina
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oggi, 20 ottobre, a roma, libreria tomo: i nuovi ‘domani’ di aragno – e… il domani dei domani
a Roma, alla libreria Tomo (via degli Etruschi 4), lunedì 20 ottobre alle 18:30, incontro sui nuovi tre libri della collana ‘i domani‘ (Aragno): saranno presenti gli autori, Mariano Bàino, Antonia Paolini, Lidia Riviello.
interventi di Andrea Cortellessa, Maria Grazia Calandrone, Carmen Gallo e Laura Pugno
i libri:
Mariano Baino, Pinocchio (moviole)
Antonella Antonia Paolini, Il macello moderno)
Lidia Riviello, Stati di salute
#AndreaCortellessa #AntoniaPaolini #Aragno #CarmenGallo #iDomani #LauraPugno #libreriaTomo #LidiaRiviello #MariaGraziaCalandrone #MarianoBaino #poesia #Tomo
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Nazra 2025, il festival di corti sulla Palestina. Due appuntamenti a Catania
Dal 2017 il Nazra Palestine Short Film Festival contribuisce a farci conoscere e capire meglio la Palestina. Si tratta di un progetto di cinema itinerante che raccoglie, e mette a concorso, cortometraggi dalla e sulla Palestina promuovendo lavori di cineasti palestinesi contemporanei, ma aprendo anche a registi di varie nazionalità, che diffondono voci e visioni indipendenti.
I cortometraggi […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/10/20/nazr…
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“Vedo gente con piumino e canottiera – SOLO in Italia?!”
Fa sempre ridere vedere le persone di origini straniere che, nonostante vivono da anni o decenni in Italia, e hanno assorbito gran parte della cultura italiana, ancora non riescono a capire certe specifiche cose che accadono nel nostro paese, perché… queste particolari cose sono in realtà oggettivamente assurde, e a dirla tutta non comprensibili nemmeno per la maggioranza degli italiani di nascita. Il punto è che almeno loro ne discutono sui propri [video]blog, mentre normalmente per tutti gli altri queste cose sono lasciate passare in sordina, e quindi grazie a loro possiamo riflettere un po’, come piace a me… 😘
youtube.com/watch?v=SxaMVxbXmJ…
Stavolta allora Erikottero solleva un dubbio interessante: in Italia fa caldo o fa freddo? Direi che fa sia caldo che freddo contemporaneamente — o meglio, il clima cambia così repentinamente, svariate volte al giorno ogni giorno, che all’atto pratico per semplificare si può dire che ci sono più climi allo stesso momento — ma in realtà non è questo il punto, quanto più che altro che, allo stesso momento, per certa gente sembra far freddo, e per altre sembra far caldo… e come ogni autunno questo dibattito ritorni più o meno puntuale. E quindi, nelle stesse vie, si trova gente che pare stia per scalare l’Everest accanto a gente che ha boh, il 35% di pelle scoperta. 😶
Lei dice che in Giappone non c’è questo caos come invece si vede in Italia, e che lì in genere, quando iniziano le giornate fredde, si cambia vestiario anche solo per allineare le proprie vibe a quelle della stagione, che in effetti è spiritualmente carino come concetto; quindi, anche se si potrebbe stare a maniche, corte non lo si fa più… Ma poi dice anche che gli adolescenti (o forse perlopiù le adolescenti) giapponesi praticamente hanno la stessa abitudine di totale contrasto al clima che fin troppo spesso si vede qui da noi, quindi questo cercare una differenza tra le due culture mi sa che lascia un po’ il tempo che trova (…perdonatemi per questa freddura); o, forse, una cultura diversa lì c’è davvero, ma le nuovissime generazioni non la seguono. 🤥
Io a mia volta non capisco tutto questo fatto, ed è per ciò che ne approfitto per parlarne… ma non perché non riesco a comprendere il processo che ci sta dietro, per cui magari si, senti freddo, però vuoi comunque vestirti in un certo modo, perché wow e viva lo stile, e allora ti fai coraggio e sopporti il freddo… Io lo riesco anche a sopportare mentalmente il freddo, se sono fuori, ma il problema è che mi basta prendere freddo una volta e mezza per così finire, dal giorno dopo fino a intere settimane a seguire, col raffreddore, la sinusite, poco ci manca per la bronchite, e la cosa è talmente grave che i miei genitori dicono che nella mia infanzia sarei non ironicamente morta per queste schifezze, se non fosse esistita la medicina moderna!!! Il problema allora è semplicemente che gli altri non hanno questa cosa che io ho, o che? 💔
A parte che viene a questo punto da chiedermi se esista solo in casa mia il concetto di cambio di stagione dell’armadio — per cui si toglie di mezzo la roba fresca e si mette in mezzo quella calda, o viceversa in primavera, visto che l’armadio è diviso in parti facilmente accessibili e parti di archiviazione — e quindi comunque, anche se il clima permettesse, un giorno a caso di dicembre non mi vestirei in modo corto, perché la roba corta è messa via… Ma come cazzo è possibile essere in molte cose una ragazza magica, per poi avere una debolezza letteralmente così mortale al freddo… mentre le ragazze non-magiche no??? Se fossi un Pokémon, tenuto conto delle mie caratteristiche principali, ancora non ho capito se sarei di tipo psico o folletto, ma nessuno di questi è particolarmente vulnerabile al tipo ghiaccio, quindi davvero… non capisco come mai in forma umana ho proprio anche questo punto debole, tra i tanti. 😫
#autunno #Erikottero #freddo #inverno
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Copertine belle: Tropical Fuck Storm – Fairyland Codex [Fire, 2025]
Artwork by Joe Becker
Copertina bella, disco fantastico.
#albumCovers #copertineBelle #FairylandCodex #JoeBecker #TropicalFuckStorm
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Con Raimbaut a Dronero
Eccomi qui, sono arrivato a Dronero giovedì scorso, fin da subito sono partiti gli incontri con l’Istituto Musicale Donadio e con alcune classi delle scuole medie del paese e di Stroppo (un convitto dove i ragazzi anche vivono durante la settimana), in alto nella bellissima val Maira: ero con Andrea Giraudo, un filologo appassionato, e speri di essere riusciti a comunicare ai ragazzi un po’ della bellezza dell’opera di Raimbaut.
Mi sento un ospite di riguardo: Espaci Occitan mi ha accolto con grande gentilezza e calore, affidandomi la sala dove sabato 25 si terrà conferenza e spettacolo: ho le chiavi, posso lavorare qui senza disturbo quanto voglio.
Ho iniziato ad allestire lo spazio, il marchese Bonifacio che mi sorveglia sempre sotto il suo mantello blu, Beatrice di là che mi aspetta, lo schermo che conterrà tutte le traduzioni, perché lo spettacolo è interamente in provenzale.
È il mio lavoro di questi giorni: cantare e recitare in quella bellissima lingua, che ho dovuto imparare a padroneggiare e a capire fino in fondo per poterla rendere in tutti i suoi colori; e poi ci sono le canzoni di Raimbaut, sono sette, ho dovuto purtroppo tagliare alcune cobla, strofe, per poter farcele stare tutte in 70 minuti di spettacolo.
Ho passato tre giorni da solo, da domani lavoro con Paola Tortora, di Vintulera Teatro, che ha curato la regia, e perfezionerà il lavoro. Mi aspetta pronto su un tavolo il costume di Raimbaut, rosso come nella miniatura che lo ritrae e che uso spesso, disegnato e realizzato da Gaetano Miglioranzi con lo studio Caprara.
Sono contento. Non so come andrà lo spettacolo, può darsi che abbia un black out totale all’inizio e non riesca più a biascicare suono per tutto il tempo, non lo so l’emozione cosa potrebbe combinarmi.
Raimbaut mi suggerisce di compiere avventure, di esfortzar mi de far ben, de dir e de valer, e lo seguo volentieri.
Per cui proseguo, nei prossimi giorni ci sono porte aperte durante le prove, un incontro con musicisti occitani per lavorare insieme su un pezzo di Raimbaut, ancora con le scuole, una conferenza con i filologi Andrea Giraudo e Francesco Carapezza. E si finisce con lo spettacolo, Raimbaut, vida e cansos.
Anem, andiamo!
E poi, vedendo la bellezza di questi luoghi, mi è tornata la voglia di camminare trobadoricamente.Mancherebbe il tragitto da Vaqeyras a qui, son circa 300 km, ma un pensiero ce lo faccio 🙂
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Frank Dux contro 7 cinture nere
Partiamo con un’immagine che vale mille parole: Il tizio con occhiali, braccialetto e kimono con spalline rinforzate anni 80 è Frank Dux.
Frank Dux è il tizio da cui le fantasiose memorie hanno tratto il fil Kickboxer (1989 film) con Van Damme.
Ho scoperto per caso questo video, in cui suo allievo non solo spergiura che tutto quello che c’è scritto nel libro è vero, ma mostra alcuni filmati del Maestro dei Maestri.
al minuto 21:57 parla anche di come abbia sfidato 10 cinture nere Gracie Jiu-jitsu. solo 7 si sono palesate e nonostante ogni tipo di finalizzazione, Dux è uscito da tutte indenne.
Vabbe volevo iniziare la settimana facendovi fare un sorriso.
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23 ottobre, roma: “la preistoria acustica della poesia”, di brunella antomarini
A Roma, giovedì 23 ottobre, alle ore 18:30
presso la Libreria Altroquando
via del Governo Vecchio 82-83
Presentazione del libro
La preistoria acustica della poesia
di Brunella Antomarini
Edizioni Metilene, 2024
Con l’autrice interviene Rosaria Lo Russo
::: Un incontro dedicato alle origini sonore e rituali della poesia :::
In La preistoria acustica della poesia – Per uno studio antropologico del fenomeno poetico. (Edizioni Metilene, 2024), Brunella Antomarini indaga la nascita della parola poetica come forma primordiale di conoscenza e memoria, in epoche nelle quali ritmo, voce e canto erano ancora inseparabili. Il volume – parte della collana Interstizi curata da Matteo Moca – analizza attraverso i secoli e le tecnologie il legame profondo tra voce e pensiero, tra oralità e scrittura, interrogando la natura stessa dell’esperienza poetica.
#Altroquando #BrunellaAntomarini #EdizioniMetilene #LaPreistoriaAcusticaDellaPoesia #LibreriaAltroquando #Metilene #presentazione #RosariaLoRusso
La preistoria acustica della poesia | metilene edizioni
Si può provare a carpire il segreto dell’esistenza della poesia? La necessità, che abita gli esseri umani sin dalla notte dei tempi, di raccontare le loro storie attraverso questa eccezionale […]metilene edizioni
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Nel corso dell’anno si ristabilirono i contatti con tutto il Sud-Est della Francia
Da parte francese si mise in atto una politica ambigua nei riguardi degli italiani, potenziali collaboratori e nemici sul proprio territorio, seppure ancora neutrali sulla scena internazionale all’epoca dell’istituzione della Cori: nella primavera del 1939 il Garde des Sceaux ordinò di procedere con le pratiche italiane di naturalizzazione, per fare degli immigrati dei veri cittadini francesi; l’acquisizione della cittadinanza implicava anche l’assunzione degli stessi obblighi militari dei francesi, che fu estesa ai rifugiati e agli apolidi, mentre si concedeva agli stranieri stessi di ingaggiarsi nella Légion étrangère, ed essi accettavano spesso nella speranza di accelerare la naturalizzazione.
Rimaneva tuttavia nell’opinione pubblica una diffidenza diffusa, un clima di ostilità generale nei confronti dei transalpini, che vivevano quotidianamente le inquietudini di una situazione internazionale sempre più instabile. Inoltre gli antifascisti, che desideravano collaborare al fianco dei francesi nella guerra contro i regimi fascisti, facendo dell’arruolamento un gesto politico, erano oggetto di vessazioni da parte della polizia francese, che dimostrava ancora una volta l’ambiguità e l’opportunismo delle politiche immigratorie del governo Daladier.
[…] Gli immigrati politicizzati vivevano un momento di disillusione profonda, dopo la sconfitta del Fronte popolare, la ricaduta nella crisi e infine il fatale avvento della guerra. Gli antifascisti più impegnati avvertirono una rottura insanabile con la Francia, sottoposti a una vigilanza costante che li costringeva alla precarietà e all’insicurezza quotidiana. La loro risoluzione di rientrare in Italia, come vedremo, fu ferma, volta a porre fine alla sterile lotta condotta sino ad allora in esilio, per riprendere le file della cospirazione nella patria d’origine.
Per tutti gli altri transalpini il ritorno sembra essere stato perlopiù motivato da ragioni di sicurezza, avendo ormai assunto la Francia posizioni nazionaliste ed essendo contemporaneamente risorto in alcuni, per conseguenza, un certo sentimento di attaccamento alla madrepatria <60.
L’agevolazione ai rientri pianificata dalla Commissione Ciano fu sfruttata dai dirigenti del partito comunista per far entrare in Italia i cosiddetti “legali” e riallacciare i contatti con l’organizzazione clandestina in madrepatria. Inoltre, mentre il settore militare combatteva al fianco dei partisans nella Resistenza francese, l’Ufficio estero comunista si occupava di rimpatriare gli elementi più sperimentati per organizzare la Resistenza armata in Italia. Come ha studiato Gianni Perona, il Pcd’I approfittò infatti dei flussi di ritorno, più o meno spontanei, per preparare politicamente il rientro degli italiani. Una circolare della direzione ordinava infatti ai militanti di rimpatriare a qualsiasi condizione, vedendo il ritorno come il minor male di fronte alla “guerra imperialista” scatenata da Mussolini e dai suoi alleati. Si trattava principalmente di una congiuntura favorevole al rientro date le circostanze di ostilità del Paese d’accoglienza, e nel documento stesso del Pcd’I si prendevano in considerazione le ragioni economiche e sociali che motivavano il rimpatrio di lavoratori precari, privi di tutele e isolati dalle reti di sostegno costruite negli anni dell’esilio <61.
Il rientro fu pianificato da un’équipe di dirigenti sperimentati del Pcd’I. Ne erano a capo Agostino Novella, Umberto Massola e Antonio Roasio, designati a partire dal 1940, con il compito preciso di ricostituire la rete in Italia e rovesciare il regime dall’interno. Con l’occupazione tedesca e la divisione della Francia nella zona occupata al Nord e lo Stato collaborazionista di Vichy, il Centro estero si installò per ragioni di sicurezza al Sud, a Marsiglia. Da lì il Centro poté ristabilire i contatti interrotti con l’Italia e ripristinare l’invio di materiali bellici, propagandistici e informativi attraverso corrieri. Stefano Schiapparelli ricorda che i funzionari del Pcd’I rifugiati a Marsiglia dovettero affrontare una viscerale xenofobia da parte della popolazione e che persino all’interno dell’Unione popolare italiana dilagava l’anticomunismo, e gli iscritti collaboravano con la polizia francese per denunciare i comunisti transalpini <62.
Furono gli anni dell’amore tra Novella ed Egle Gualdi, compagni nella militanza a Parigi, Marsiglia e Nizza per conto del Centro estero, che poterono ritrovarsi in Italia all’indomani del conflitto, nella federazione del partito <63. Giovanni Battista Canepa, che era rimasto nel Marsigliese, a Estaque, metteva a disposizione il suo appartamento come punto di appoggio e di collegamento per i dirigenti.
Nel corso dell’anno si ristabilirono i contatti con tutto il Sud-Est della Francia, da Tolosa a Nizza e fino a Lione, e si riuscirono a raggiungere i compagni internati nel Vernet, mobilitando tutta un’importante base operativa rimasta fedele al partito <64. Giuliano Pajetta ricorda nel suo diario che dopo la sua evasione dal campo francese dei Milles, il Centro estero fu spostato prima nel Var e poi nelle Alpi Marittime, dove egli si occupava della formazione dei giovani militanti comunisti cresciuti in Francia, che dovevano essere “italianizzati”, acculturati alla causa della liberazione del popolo italiano dalla dittatura fascista <65.
Nel 1942 il Centro estero riuscì ad aprire la ricercata via clandestina per l’Italia attraverso le Alpi, il “passaggio tutto nostro” <66 attraverso il quale stabilirono un primo recapito del partito a Milano. Mazzetti si occupò di reclutare i cosiddetti “legali”, ovvero giovani leve educate all’antifascismo in terra di Francia, che potevano essere rimpatriati per riallacciare i contatti con l’organizzazione interna, andandone e costituire i nuovi quadri; erano cosiddetti “legali” poiché potevano varcare la frontiera legalmente, dal momento che non erano stati schedati quando emigrarono per la prima volta in Francia, o perché erano nati all’estero da genitori antifascisti e quindi erano ancora incensurati in Italia.
Fu Amerigo Clocchiatti <67 a tracciare la strada del ritorno dei “politici” nell’ottobre del ‘42, un passaggio a più di 3000 m di altitudine, che partiva da Roquebillière e giungeva attraverso le Alpi a Vernante, nel Cuneese; questa via impervia fu scoperta da Domenico Tomat, un militante che avrebbe giocato un ruolo di rilievo nella Resistenza italiana per poi ritornare in Francia dopo la guerra, seguendo un iter percorso da pochi antifascisti, soprattutto comunisti. Il varco fra le Alpi avrebbe ricondotto uno ad uno i dirigenti del Centro estero del Pcd’I in patria, pronti ad essere operativi all’alba del 25 luglio.
Nell’organizzazione dei rientri era stata coinvolta dal Centro estero anche un’altra emigrata ligure, Emilia Belviso, che durante l’occupazione era stata inviata da Parigi a Marsiglia per assicurare il passaggio dei “legali” da Vernante. Accogliendo i compagni di partito nella propria casa, la Belviso offriva loro un alloggio sicuro per affrontare l’ultima tappa prima del rimpatrio clandestino. Nel ’43 fu mandata a Nizza e inserita nel “Comitato di Liberazione Nazionale delle Alpi Marittime”; sarebbe rientrata tra gli ultimi in Italia, per integrarsi nel movimento femminile <68.
[NOTE]60 Blanc-Chaléard, «Les Mouvements d’Italiens entre la France et l’étranger», in Exils et migrations cit., pp. 71-75.
61 Foutrier, 1940-1943… cit., pp. 98-99.
62 Cfr. Schiapparelli, Ricordi di un fuoriuscito cit.
63 Simonelli, Agostino Novella cit., pp. 74-79.
64 Fg: fondo biografie, memorie, testimonianze: b. Stefano Schiapparelli: f. anni Quaranta.
65 Cfr. Pajetta, Douce France cit.; Foutrier, 1940-1943: Retours volontaires et/ou forcés cit., p. 79.
66 Fg: fondo biografie, memorie, testimonianze: b. Stefano Schiapparelli: f. anni Quaranta
67 Amerigo Clocchiatti, Cammina frut, Vangelista, Milano 1972.
68 Martini, Il sindaco cit., p. 46. Cfr. Schiapparelli, Ricordi di un fuoriuscito cit.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, Anno accademico 2014-2015
#1939 #1940 #1942 #AgostinoNovella #AmerigoClocchiatti #AntonioRoasio #clandestini #comunista #EmanuelaMiniati #emigrazione #EmiliaBelviso #fascismo #Francia #GiovanniBattistaCanepa #guerra #Italia #legali #Liguria #Marsiglia #Nizza #Parigi #partito #PcdI #rientri #UmbertoMassola
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22-23 ottobre, roma, fiap: “la ri/nascita dell’associazionismo partigiano e democratico”
FIAP – Federazione Italiana Associazioni Partigiane
Mercoledì 22 e giovedì 23 ottobre 2025
Casa della Memoria e della Storia
Via San Francesco di Sales, 5 – Roma
Convegno di studi:
LA RI/NASCITA DELL’ASSOCIAZIONISMO PARTIGIANO E DEMOCRATICO: RIFLESSIONI TRA PASSATO E PRESENTE (1945 – 2025)
Iniziativa promossa da ANVRG in collaborazione
con le ASSOCIAZIONI DELLA CASA DELLA MEMORIA E DELLA STORIA
#associazionismo #CasaDellaMemoriaEDellaStoria #FederazioneItalianaAssociazioniPartigiane #Fiap #FIAPFederazioneItalianaAssociazioniPartigiane
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bell hooks: La volontà di cambiare. Uomini, amore e la via d’uscita dal patriarcato.
La volontà di cambiare. Mascolinità e amore
bell hooks
saggio
Il Saggiatore
2022
200
ilsaggiatore.com/libro/la-volo…
Un testo cruciale che affronta il paradosso della lotta femminista: come coinvolgere gli uomini nel loro processo di liberazione emotiva dal patriarcato. bell hooks svela il prezzo del potere maschile – la disconnessione dall’amore e da sé – e offre un potente antidoto basato sull’autostima sana e sulla vulnerabilità come vera forza.
bell hooks non si smentisce mai. La caratteristica di bell hooks è la capacità di integrare l’indignazione, la rabbia, gli stati di ingustizia, alchemizzarli, e sintetizzarli in una pratica di liberazione fondata sull’amore nel senso più concreto del termine.
La volontà di cambiare affronta uno dei punti ciechi di gran parte del pensiero e della letteratura femminista, ossia: la realtà del cambiamento emotivo maschile nel superamento di un sistema di relazioni patriarcale. Il femminismo, bell hooks ci dice, ha creato forze essenziali di denuncia, rivendicazione e cambiamento, e spazi di supporto per la liberazione femminile. Quello che ha faticato, e fatica tuttora a creare, è lo spazio per il processo di cambiamento dell’identità maschile, che paradossalmente è il suo obiettivo principale. Trovo che 20 anni dopo, pur con cambiamenti, questo paradosso resti ancora attuale.
La liberazione dal patriarcato, bell hooks ci dice, deve necessariamente essere un processo di liberazione anche per gli uomini. Il prezzo di appartenenza al patriarcato, il prezzo dei suoi (molto reali) vantaggi di potere, è per gli uomini una rottura nel rapporto con se stessi, la possibilità di amare e ricevere amore, e di vivere in relazione. È questa negazione, bell hooks ci dice, che sta alla radice di gran parte della rabbia e violenza maschile che è così endemica nella nostra società. Il patriarcato grantisce immunità in questa espressione perversa del bisogno di connessione e autostima, mentre con l’altra mano punisce le sue espressioni più autentiche.
L’antidoto alla logica della dominazione, bell hooks ci dice, oltre e al di là della lotta rivendicativa, è quindi che ci sia la possibilità culturale e relazionale di sviluppare un’autostima sana, per gli uomini che cercano, più o meno consciamente, di liberarsi dal terrore patriarcale della vulnerabilità (e dalla conseguente falsa equazione di forza con invulnerabilità). Questa liberazione a sua volta diventa una liberazione dai meccanismi comportamentali patriarcali di soddisfazione surrogata del bisogno umano di connessione, come il sesso oggettificato, il lavoro come unica fonte di autostima, la disconnessione relazionale attraverso la divisione del lavoro domestico, la prevaricazione, l’uso del femminile per la propria sublimazione emotiva, le dipendenze, la disconnessione dalla propria capacità di creare, sentire, curarsi di se stessi. Bell hooks non lo menziona, ma generalmente parlando, tra le persone cisgenere neurotipiche si stima che a livello globale gli uomini si tolgano la vita circa 1.8 volte più spesso delle donne. Questo fatto, di suo, è un sintomo del patriarcato, ma anche del vuoto di supporto per gli uomini che ne hanno bisogno.
Parte di questo processo, per il lato femminile, è a sua volta liberarsi dal dogma patriarcale dell’invulnerabilità maschile, e sviluppare la capacità di accogliere l’espressione emotiva maschile, pur senza ricadere in asimmetrie relazionali patriarcali. Ancora una volta, bell hooks fa luce sulle contraddizioni tra il livello politico e il livello emotivo che ancora spesso persistono nel femminismo: spesso il messaggio per gli uomini diventa, “cambia, ma arrangiati”, o “cambia, ma resta l’uomo forte, invulnerabile e indipendente”, o “cambia, ma senza spazi di supporto collettivo”. Per le donne, accettare la possibilità questo cambiamento, ci dice bell hooks, è anche potenzialmente dover ammettere la ferita lasciata da un bisogno di amare ed essere amate dagli uomini, che il patriarcato ha deluso.
Questo libro apre molte possibilità di riflessione, tra cui, per esempio, come coniugare la necessità di supporto emotivo maschile con la necessità di parità emotiva nelle relazioni, l’esplorazione del ruolo dell’omofobia nel mantenimento dell’identità maschile patriarcale, ed esempi attuali di mascolinità non patriarcali, ad esempio nella comunità transgenere, o in altri contesti. Resta un libro eccellente che articola realtà e possibilità emotive che permettono di vedere oltre la critica politica per sviluppare una visione concreta di un mondo alternativo.
bell hooks
bell hooks (Gloria Jean Watkins, 1952-2021) è stata una delle voci più influenti della critica culturale e del femminismo radicale. Scrittrice prolifica, attivista e accademica, il suo lavoro ha analizzato in profondità le intersezioni tra razza, classe e genere. La sua teoria si fonda sull’etica dell’amore e della comunità come pratica di liberazione e resistenza al sistema di dominazione, rendendola una figura fondamentale non solo per il pensiero femminista, ma per l’attivismo sociale globale.
#BellHooks #femminismo #ilSaggiatore #saggio
Girls will be girls di Emer O'toole
Girls will be girls di Emer O'toole - Gender gap - Il Mago di OzAlice Mammola (Magozine.it)
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domani, 20 ottobre, a roma, galleria erica ravenna: performance “tra me e te l’alfabeto inesistente”
TRA ME E TE L’ALFABETO INESISTENTE
Una performance a più voci
Mocellin/Pellegrini, Michele Pardo Pauli, il NEG di Vincenzo Agnetti
@ Galleria Erica Ravenna, via della Reginella 3, Roma
Lunedì 20 ottobre alle ore 18:30 il terzo evento parte del ciclo di incontri dedicati all’arte relazionale, nell’ambito della mostra in corso: Tutta l’arte è relazionale: ? | Vincenzo Agnetti, Gianfranco Baruchello, Tomaso Binga, Alighiero Boetti, Céline Condorelli, Mike Kelley & Paul McCarthy, Mocellin Pellegrini, Rirkrit Tiravanija.
Dopo la performance interverranno gli artisti, Germana Agnetti, Gianlorenzo Chiaraluce e il pubblico
Ottonella Mocellin (Milano, 1966) e Nicola Pellegrini (Milano, 1962) sono un duo artistico italiano attivo dal 1993, con base a Berlino. La loro pratica artistica, di natura multidisciplinare, comprende installazioni, fotografia, video, performance e scrittura, ed è guidata da un interesse profondo per le relazioni umane, i processi identitari, la memoria collettiva e le dinamiche del linguaggio e del potere. Il loro lavoro assume spesso una forma narrativa ed è fortemente legato all’esperienza personale, intrecciando autobiografia e riflessione sociale in un costante dialogo tra individuo e collettività.
Dopo aver studiato entrambi alla Chelsea School of Art e alla Architectural Association School of Architecture di Londra, hanno avviato una collaborazione artistica che li ha portati a esporre in importanti istituzioni in Italia e all’estero. Tra le tappe fondamentali del loro percorso vi è la partecipazione al PS1 International Studio Program del MoMA di New York nel 2001–2002, dove hanno rappresentato l’Italia in uno dei contesti internazionali più rilevanti della scena contemporanea. Tra le numerose sedi espositive che hanno accolto i loro lavori figurano XIV Quadriennale di Roma, Manifesta 12 a Palermo, dove hanno presentato il progetto “Blind Walk”, la Biennale di Valencia, il MUAR di Mosca, Mambo Bologna, la Triennale di Milano.
Tra i lavori più significativi del duo si annovera The Wall Between Us (2020), vincitore dell’ottava edizione dell’Italian Council promosso dal Ministero della Cultura, in cui riflettono sulle eredità della Guerra Fredda, sull’identità diasporica e sulla nozione di confine, attraverso il coinvolgimento della comunità vietnamita di Berlino. L’opera, composta da un video e da una barca a vela utilizzata come dispositivo narrativo e simbolico, è stata presentata per la prima volta al Museo MA*GA di Gallarate nel 2021. Un altro lavoro emblematico è Non si corre nei chiostri (2005), una fotografia con installazione sonora in cui gli artisti impersonano due amanti travestiti da suora e prete, che corrono sotto le arcate del Broletto di Gallarate, ponendo una riflessione sull’amore, la libertà e i codici imposti dalla società.
Negli ultimi anni, Mocellin/Pellegrini hanno continuato a produrre lavori che dialogano con le urgenze del presente. Nel 2023 sono stati selezionati per rappresentare l’Italia nel progetto Artists’ Film International #15, promosso dalla GAMeC di Bergamo, con il video Alphabet, centrato sui temi della diaspora e della costruzione dell’identità attraverso il linguaggio. Nell’aprile 2024, nell’ambito della Milan Art Week, hanno presentato presso l’Archivio Vincenzo Agnetti di Milano l’installazione Tra me e l’alfabeto inesistente, un’opera che mette in relazione la voce, la pittura e la scrittura simbolica.
Tra le altre esposizioni collettive e personali, e iniziative culturali si segnalano: Videorom, a cura di Cristiana Perella, Biennale di Valencia, Valencia (2001); QUI. New release, a cura di Synapser, GAMEC, Bergamo (2004); Video Village, a cura di I. Galli, M. Turco, Triennale di Milano, Milano (2004); XIV Quadriennale di Roma, sez. a cura di Giorgio Verzotti e Giacinto Di Pietrantonio, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, (2005); La parola nell’arte, a cura di Gabriella Belli, Achille Bonito Oliva, Giorgio Zanchetti e altri, MART, Rovereto (2007); An incongruous beam of beauty over the gaza strip, a cura di Lovett/Codagnone, Participant Inc, New York (2009); forse potremmo anche fare una mappa per perdersi, installazione pubblica, Twister, Lissone, Italy (2009); Love Letters: ampliamento e allestimento della nuova collezione del MACRO, a cura di Luca Massimo Barbero, MACRO, Roma (2009); Messico famigliare, a cura di Francesca Pasini, Fondazione Merz, Torino (2010); Da zero a cento, le nuove età della vita, a cura di Cristiana Perrella, progetto di Fondazione Golinelli, Triennale di Milano, Milano (2012); Autoritratti, a cura di Uliana Zanetti , MAMbo, Bologna (2013); Embodied Resilience, a cura di Nico Lippolis e Eleonora Farina, Ambasciata d’Italia, Berlino (2015); The planetary Garden. Cultivating Coexistence, Eventi Collaterali, Manifesta 12, Palermo (2018); The wall Between Us, (Be)Longing, Repair and Its Politics Of Affects, a cura di Elena Agudio, MA*GA, Gallarate (2021); Artists Film International #15, a cura di Sara Fumagalli, GAMeC, Bergamo (2023) Tra me e te l’alfabeto inesistente, Archivio Vincenzo Agnetti, Milano (2024)
Michele Pauli, in arte Pardo (Milano, 1965) è un chitarrista e produttore discografico italiano. È fra i membri fondatori di Casino Royale e del progetto drum and bass Royalize. Ha collaborato con musicisti e produttori come Howie B, Tim Holmes di Death in Vegas, Ben Young, Mickey Dread. Attualmente dirige OOH-sounds, etichetta indipendente che pubblica musica elettronica e sperimentale.
NEG (1970) costruito in collaborazione con la nota azienda di elettronica Brionvega su brevetto di Vincenzo Agnetti. E’ un pausometro: un giradischi manipolato in modo da poter ascoltare i microintervalli fra suono e suono. Il Neg virtualizza quindi il negativo di un discorso o di un brano musicale, dando quindi voce al silenzio
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Stavolta è toccato a noi
Anche tu (voi), come tutti gli iscritti alla newsletter di Argo, avrai ricevuto ieri un messaggio pubblicitario relativo al gioco d’azzardo, proveniente dal nostro blog.
Non ne siamo autori e ci scusiamo dell’inconveniente, generato da un ingresso abusivo nell’aministrazione del sito, a cui abbiamo già posto rimedio.
Dalle origini, il nostro blog ha scelto di non inserire, al proprio […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/10/19/stav…
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Il vescovo di Trieste e la strage tedesca di Opicina
La rappresaglia messa in atto il 3 aprile fu effettuata il giorno successivo all’attentato del pomeriggio del 2 aprile. La lista dei destinati alla fucilazione doveva quindi essere già pronta nella notte tra il 2 e il 3 aprile visto che all’alba del 3 fu fatto, in carcere, l’appello dei condannati.
Tra le poche informazioni raccolte attorno alla fucilazione interessante è la reazione del Vescovo di Trieste Antonio Santin. Avuta notizia della condanna a morte degli ostaggi per l’attentato al cinema di Opicina, il vescovo, alle 5 del mattino, tentò di raggiunge l’altopiano in macchina, sperando di arrivare prima dell’esecuzione. Arrivato a Opicina si fece guidare dal parroco don Andrea Zini sino al poligono di tiro. Giunse, però, troppo tardi, quando la condanna era già stata eseguita e i cadaveri erano stati già portati via dal luogo dell’eccidio. <93 Tra le carte dell’Archivio della Diocesi di Trieste è stato ritrovato un fascicolo su Opicina <94 che ci può aiutare a fare chiarezza su quali furono le reazioni da parte degli organi ufficiali tedeschi e italiani all’attentato. Il 4 aprile l’Ortskommandantur <95 di Villa Opicina emise il seguente comunicato alla popolazione della frazione triestina: “Per ordine delle autorità militari tedesche, la popolazione di Opicina deve fare luce entro 8 giorni sull’attentato. Tutte le indicazioni devono essere presentate per iscritto o personalmente alla Ortskommandantur. E’ assicurata la più totale discrezione da parte delle autorità militari tedesche. E’ nell’interesse della stessa popolazione contribuire all’accertamento del colpevole. Il termine è fissato per il 12.4.44. Il presente ordine dovrà essere comunicato immediatamente attraverso le autorità Comunali (Consiglio Comunale) e le autorità religiose”. <96
L’ordine delle autorità militari di Opicina era chiaro, ma tardivo rispetto alla punizione dell’attentato. La reazione del vescovo Santin non si fece certo attendere: egli scrisse subito una lettera all’Ortskommandantur di Opicina, una al Comando della Wehrmacht nell’OZAK ed infine una terza al Podestà Cesare Pagnini. “Prego cortesemente codesto Ortskommandantur di disporre che l’ordine dato alla popolazione per le ricerche intorno all’attentato nel cinematografo sia comunicato in altro modo non potendo codesto parroco eseguire personalmente quanto viene disposto sulla lettera di questi (lettera del 4 aprile 44). La ragione è la seguente. Fino ad oggi nella nostra regione furono uccisi ben tredici
sacerdoti, ed anche recentemente i partigiani hanno portato via un parroco. Essi sono continuamente minacciati di morte. Sono diligentemente controllati in tutto quello che fanno e dicono, e tutto ciò che sembrare ostile a loro è motivo per decidere della loro sorte. Quanto viene chiesto al vecchio parroco di Opicina sarebbe interpretato certamente in questo senso e ne potrebbe andare della sua vita. Ecco perché io stesso ho disposto che in Chiesa non avvenga la chiesta pubblicazione” <97. La paura del vescovo di non compromettere il suo parroco non era giustificata, in quanto il vecchio don Zini era ben voluto dalla popolazione locale. È chiaro che si tratta di un tentativo di evitare di compromettere l’autorità religiosa, facendosi da tramite tra la popolazione e le autorità tedesche in questo particolare momento di violenza. Le parole scritte per il Comando della Wehrmacht sembrano più interessate alle sorti della popolazione di Opicina: “[…] Come vescovo della Diocesi, mentre deploro nel modo più deciso il proditorio attentato di Villa Opicina, non posso non esprimere il mio dolore per l’uccisione di tanti miei diocesani che certamente, se erano in carcere, non avevano commesso il fatto. Tanto più viva è la mia sofferenza in quanto, come promesso, non fu accordata loro l’assistenza religiosa, diritto sacro del quale nessuno può essere privato. La popolazione fu invitata a fornire indicazioni sopra gli autori dell’attentato, minacciando severe misure militari se entro 8 giorni non fosse fatta luce sullo stesso. Pesa così su quella povera gente un incubo proprio durante questi giorni santi. E siccome gli autori si saranno
probabilmente eclissati, e, sia la mancata conoscenza degli stessi, sia il terrore largamente diffuso dai partigiani, impediranno che vi siano rivelazioni di qualche importanza, così si teme il peggio per la povera popolazione. […] io chiedo vivamente a codesto Comando di voler desistere da simili misure. La punizione già data è tale, che ulteriori provvedimenti, salvo che non si raggiungano i veri autori, desterebbero oltre che immensa pena anche l’indignazione di tutta la regione” <98.
La popolazione aveva già subito una punizione dura ed esemplare, non si doveva andare oltre. Il vescovo chiude la lettera con un’ultima analisi dei fatti accaduti: “E’ solo la giustizia che viene accettata da ognuno, comunque egli senta, e placa gli animi; ed è essa il segno chiaro della grandezza di un popolo. Il terrore, anche come reazione, ottiene solo effetti molto effimeri e spinge ancor di più gli animi alla disperazione e quindi verso la zona della violenza”. <99
Santin vuole cercare di bloccare un’escalation di violenza all’interno della zona cittadina, per evitare gli orrori che ben conosce nel resto del territorio della sua Diocesi (vedi l’Istria soprattutto). Sullo stesso tono la lettera al podestà: «non posso non deplorare una reazione che colpisce un tale numero di innocenti di quel delitto. Tali sistemi introdotti non so come e non so da chi negli usi di questa guerra gettano una luce ben fusca sopra la nostra generazione». <100 Quali dovessero essere le severe misure militari nei riguardi della borgata nessuno lo sapeva con precisione, si temeva la distruzione delle case e la deportazione in Germania, stessa sorte accaduta ai paesi di Comeno e Rifembergo qualche mese prima (fatti ben conosciuti da Santin). Alla richiesta di un intervento deciso presso le autorità tedesche per impedire ulteriori violenze, rispose il podestà alla vigilia del termine dell’ultimatum: “Ho fatto quanto stava in me per evitare ulteriori dolori alla gente di Poggioreale del Carso. Ho scritto una lettera al Comandante di Brigata delle SS barone von Malsen-Pockau esprimendo che le rappresaglie si fermassero alle 70 fucilazioni e dicendomi convinto che il rispetto alle leggi e agli ordini delle superiori Autorità troverà sempre conferma in questa zona e che un atto di clemenza potrà avere gli stessi o migliori risultati di un atti di repressione sulla popolazione, poiché ritengo che il pericolo sia esterno e che queste popolazioni debbano essere considerate vittime e non complici degli atti di terrore”.
[…] Scaduto l’ultimatum tedesco non ci furono altre rappresaglie nella borgata di Opicina anche se, come conferma il 21 aprile il Prefetto di Trieste in un comunicato al Ministero degli Interni della Repubblica di Salò, i colpevoli non furono individuati: “Si comunica [che] le locali autorità germaniche, in seguito all’attentato terroristico compiuto nel cinematografo di Poggioreale del Carso che provocava la morte di alcuni militari germanici, ha proceduto, per rappresaglia, all’esecuzione di 70 banditi comunisti, già detenuti. I responsabili dell’attentato finora non risulta siano stati identificati. Inoltre il Supremo Commissario per la Zona d’Operazioni Litorale Adriatico, con ordinanza del 2 corr., ha ordinato lo “stato di guerra” per la frazione di Poggioreale del Carso” <104.
Due giorni dopo però, un’altra esplosione sconvolse la città di Trieste e i suoi cittadini.
[NOTE]93 G. Botteri, Antonio Santin Trieste 1943-45, Udine 1963, p. 41. Si tratta del giorno 4 aprile sicuramente.
94 ADTS, fasc. 317/1944 Opicina.
95 L’Ortskommandantur era il Comando di presidio locale della Wehrmacht.
96 ivi, Ortskommandantur Villa Opicina den, 4. April 1944.
97 ivi, minuta della lettera del vescovo Santin indirizzata alla Ortskommandantur di Opicina, del 4 aprile 1944.
98 ivi, minuta della lettera del vescovo Santin indirizzata al Comando della Wehrmacht della Zona d’operazione Litorale Adriatico, del 5 aprile 1944.
99 ivi.
100 ivi, minuta della lettera del vescovo Santin al Podestà di Trieste, del 5 aprile 1944.
104 ARS, AS 1829, dok. 1016. Per «stato di guerra» si intendeva una situazione di controllo totale della borgata e sui suoi cittadini. Una situazione che poteva portare ad arresti preventivi indiscriminati, alla requisizione di intere zone ritenute importanti ai fini della difesa delle forze di occupazione. Secondo il racconto del Prefetto Coceani, fu grazie al suo intervento presso il Comandante di Brigata, il barone von Mahlzen (comandante della Polizia per la Provincia di Trieste) che furono scongiurate altre rappresaglie nella frazione. Cfr: B. Coceani, Mussolini, Hitler, Tito cit., p.116
Giorgio Liuzzi, La politica di repressione tedesca nel Litorale Adriatico (1943-1945), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, 2004
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oggi, 18 ottobre, a roma, presso i folderol studios: presentazione di “audio doc sound title”, di pietro d’agostino
A Roma, oggi, sabato 18 ottobre, alle ore 18:00
presso Folderol Studios
c/o Kappabit – Via Sgurgola 7
Presentazione del cofanetto di
Audio Doc Sound Title
di
Pietro D’Agostino
dialogano con l’autore
Giuseppe Garrera e Marco Contini
Audio Doc Sound Title vuole partecipare e farsi espressione del dialogo e delle relazioni. Trentuno personaggi sonori, tra scrittori e musicisti, hanno collaborato alla realizzazione degli audio documenti. Partire da una sceneggiatura visiva per approdare a un documento sonoro. Il visivo scompare per lasciare spazio all’uditivo. O, forse, a un altro vedere e sentire. Una pratica e un’esperienza dell’ascolto, iniziando dai titoli sonori del cofanetto e delle cinque composizioni relative al progetto. Questo percorso è il tentativo di intraprendere una ricerca inerente ad alcuni processi di produzione di senso. Ma è anche quella di
sperimentare meticciati, ibridazioni linguistiche trasversali nell’uso di termini specifici all’interno di discipline espressive diverse.
comunicato stampa: qui
*
Personaggi sonori, per i testi: Mariangela Guatteri, Giulio Marzaioli, Simona Menicocci, Fabio Teti, Marcello Sambati, Marco Giovenale, Maria Grazia Calandrone, Lidia Riviello, Alessandra Greco, Giorgiomaria Cornelio, Fabio Orecchini, Naoya Takahara, Steven Seidenberg, Prisca Agustoni, Edimilson de Almeida Pereira, Alessandro De Francesco, Francesca Marica, Michele Zaffarano.
Personaggi sonori, per i suoni: Marco Ariano, Luca Venitucci, Alipio Carvalho Neto, Elio Martusciello, Mike Cooper, Stefano Cogolo, Luca Tilli, Marta Raviglia, Christian Muela, Simone Pappalardo, Barbara De Dominicis, Roberto Bellatalla, Katia Pesti, Steven Seidenberg.
Ideazione, regia e montaggio audio: Pietro D’Agostino
Sceneggiature visive: Pietro D’Agostino; Marco Giovenale, Alberto D’Amico
Post-produzione e missaggio audio: Marco Resovaglio – Pesci Rossi Studios
Prodotto da Pietro D’Agostino e Marco Contini
Produzione esecutiva: Marco Contini per Kappabit
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FOLDEROL
Fin dalla sua nascita Folderol è un hub per musicisti della scena contemporanea nazionale e internazionale, che incoraggia originalità e autenticitàfol.adm (FOLDEROL)
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oggi, 18 ottobre, a parma: la repubblica dei poeti, omaggio a corrado costa e patrizia vicinelli
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L’8 settembre 1943 e i prigionieri alleati in Italia
Il testo dell’armistizio “breve” fu firmato il 3 settembre a Cassibile, nei pressi di Siracusa, dal generale Giuseppe Castellano e dal generale statunitense Walter Bedell Smith, a nome rispettivamente di Badoglio e di Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo.
[…] Il «Promemoria n. 1», nonostante il totale silenzio che avvolgeva tutto quanto riguardasse la firma dell’armistizio, al punto e) recitava: «Prigionieri britannici. Impedire che cadano in mano tedesca. Poiché non è possibile difendere efficacemente tutti i campi, si potranno anche lasciare in libertà i prigionieri bianchi, trattenendo in ogni modo quelli di colore. Potrà anche essere facilitato l’esodo in Svizzera, o verso l’Italia meridionale, per la costiera adriatica. I prigionieri addetti a lavori potranno anche essere trattenuti, con abito borghese, purché fuori della linea di ritirata dei tedeschi. Ai prigionieri liberati dovranno, a momento opportuno, essere distribuiti viveri di riserva e date indicazioni sulla direzione da prendere».
[…] In questo contesto, maturava in Italia quella che lo storico Carlo Spartaco Capogreco avrebbe chiamato l’epopea dei POWs [militari alleati prigionieri di guerra]. Quanto le disposizioni previste dal «Promemoria 1» avessero raggiunto i campi di prigionia «è impossibile sapere, ma certamente, se li raggiunsero, furono ampiamente ignorate», osserva Adrian Gilbert. Col senno di poi, possiamo affermare che difficilmente il promemoria fu trasmesso lungo tutta la catena dei comandi.
[…] Con l’annuncio dell’armistizio, molti campi vennero abbandonati dagli ufficiali di guardia abbastanza rapidamente, senza lasciare disposizioni sul destino dei loro prigionieri: «Dopo l’8 settembre – avrebbe raccontato anni dopo il sergente maggiore Renato Moro, interprete dei prigionieri greci al PG 62 di Grumello del Piano (Bergamo) – mi alzo alla mattina, guardo fuori dalla finestra e vedo che non c’era più nessun ufficiale. Erano tutti scappati. Ho fatto aprire i cancelli del campo e i prigionieri se ne sono andati dirigendosi verso Como»
[…] In altri campi, dove c’erano comandanti fascisti, questi cercarono di ritardare la liberazione; i campi PG 5 di Gavi e PG 52 di Chiavari, ad esempio, rimasero chiusi per volere dei comandanti italiani fino all’arrivo dei tedeschi, che ne deportarono i POWs. Ci furono invece campi in cui il responsabile italiano stesso organizzò la fuga dei prigionieri e li sostenne, come ad esempio il PG 120 di Cetona, il PG 107 di Torvisosa, il PG 78/1 di Acquafredda.
Quanto stava avvenendo andava a intrecciarsi e veniva complicato anche dalla direttiva trasmessa qualche mese prima (ufficialmente al 7 giugno 1943) da Londra, in previsione di una resa italiana senza occupazione tedesca: “Stay put and keep fit – state fermi e tenetevi in forma”. Era lo “Stay put Order” (P/W 87190), che stabiliva espressamente: «Nell’eventualità di un’invasione alleata dell’Italia, gli ufficiali in comando dei campi di concentramento si assicureranno che i prigionieri di guerra rimangano dentro il campo. È concessa autorità a tutti gli ufficiali in comando di adottare le necessarie sanzioni disciplinari al fine di impedire ai singoli prigionieri di guerra di tentare di ricongiungersi con le proprie unità». Messo a punto dal MI9, forse su suggerimento del generale Bernard Law Montgomery (ma non è stato dimostrato), l’ordine era stato diramato tra giugno e luglio dalla BBC, criptato nel codice UK, attraverso il popolare programma “Radio Padre” del reverendo Ronnie Wright. Era convenuto che, quando le trasmissioni iniziavano col saluto “Good evening, Forces”, esse celassero comunicazioni importanti; i prigionieri le captavano con i rudimentali apparecchi radio autocostruiti. L’ordine era sconosciuto allo stesso War Cabinet britannico e a Winston Churchill, il quale, in prossimità dell’invasione della Penisola, aveva ordinato al generale Harold Alexander di salvare i prigionieri. Lo Stay put Order non venne mai abrogato, neppure di fronte al disastro seguito alla resa italiana, e di fatto contribuì a consegnare ai tedeschi migliaia di POWs i cui SBO (Senior British Officers) o SBNCO (Senior British Non Commissioned Officers) si rifiutarono di disattenderlo. Gli Alleati non si aspettavano in Italia una crisi quale quella che si verificò con l’armistizio, né l’occupazione repentina e violenta del territorio da parte dei tedeschi. Era inoltre forte la loro preoccupazione per un’eventuale immediata liberazione di quasi 80.000 prigionieri, di cui non conoscevano esattamente la collocazione e che avrebbero potuto rallentare la loro avanzata, fungere da scudi umani per i tedeschi durante gli attacchi, complicare ulteriormente le operazioni d’artiglieria in direzione di villaggi, case, stalle e campagne che sarebbero state disseminate di uomini delle Allied Forces. Dell’ordine non si trova traccia negli archivi del War Office «forse distrutto da qualcuno che non voleva essere collegato all’errore. Non si potrà mai conoscere la verità su chi sia stato responsabile della creazione di uno degli indicibili scandali della seconda guerra mondiale». Certo è che lo “Stay put Order” andò ad aggiungersi alla mancanza di disposizioni adeguate da parte delle autorità italiane e accrebbe rischi e incertezza per i POWs distribuiti nei campi. Ci fu anche il caso di prigionieri che, pur potendolo fare, non fuggirono a causa del fenomeno della gefangenitis, la debilitazione psicologica dovuta al doppio trauma della cattura e della prolungata detenzione, che li ridusse all’inerzia e alla catatonia.
Il 21 settembre, illustrando alla camera dei Comuni la situazione sui vari fronti della guerra, Churchill spiegava: “C’erano quasi 70.000 prigionieri di guerra britannici e oltre 25.000 prigionieri greci e jugoslavi in mani italiane. Fin dal primissimo momento della caduta di Mussolini, abbiamo detto chiaramente al Governo italiano e al Re che noi consideravamo la liberazione di questi prigionieri e il loro ritorno a casa prima e indispensabile condizione per qualsiasi relazione tra noi e qualsivoglia Governo italiano e questo, naturalmente, è pienamente indicato nei termini della resa. Tuttavia, molti di questi prigionieri nel nord Italia e altri nell’Italia centro-meridionale potrebbero essere caduti in mano ai tedeschi. Vista la confusione esistente in Italia, che soltanto i nostri eserciti potranno chiarire, non dispongo di informazioni precise da fornire oggi all’Assemblea. Il Governo italiano, tuttavia, ha ordinato la liberazione di tutti i prigionieri alleati sotto il proprio controllo e non dubito che questi verranno soccorsi dalla popolazione in mezzo alla quale si stanno disperdendo, a dispetto delle minacce tedesche di punizioni rivolte a tutti gli italiani che mostrassero questo tipo di comune umanità. In tutte queste questioni stiamo agendo con la massima attenzione e serietà e tutto ciò che è in potere umano verrà fatto. Tutto, però, dipende dal movimento degli eserciti nelle prossime settimane.”
Su 80.000 uomini prigionieri nei campi italiani , dati attendibili permettono di stabilire che circa 50.000 furono presi dai tedeschi (o nei campi da cui essi non si mossero o in cui vennero trattenuti, oppure ricatturati durante la loro fuga) entro il dicembre 1943 e inviati negli Stalag in Germania o in Polonia; circa 30.000 rimasero in libertà e si dispersero sul territorio dove, in moltissimi, vennero aiutati spontaneamente dalla popolazione, dalle prime forme di organizzazione che si andavano formando tra la gente, quando non addirittura dai proprietari delle aziende per cui lavoravano prima dell’armistizio. Osserva Absalom: «La società italiana, nonostante i vent’anni di ‘stato totalitario’, si dimostrò una fonte prolifica di uomini e donne pronti ad affrontare i rischi di un comportamento anticonformista». Entro la fine del 1943, di fatto, qualche migliaio di POWs (soprattutto di quelli in prigionia a sud del Po, che venne rapidamente presidiato dai nazifascisti) riuscì a raggiungere il fronte Sud e a riunirsi ai propri comandi, mentre molti altri riuscirono, attraverso i passaggi più disparati, a guadagnare la Svizzera, dove vennero internati. Sottolinea Adriano Bazzocco: «Questa categoria di profughi beneficiò di un trattamento di favore perché ammessa da subito senza riserve. Già pochi giorni dopo l’armistizio, l’ambasciata britannica aveva ricevuto dal ministro degli esteri elvetico Pilet-Golaz rassicurazioni sull’accoglienza dei militari inglesi in fuga. Al di là delle considerazioni legate allo statuto del prigioniero di guerra in base al diritto internazionale vigente, l’ammissione senza riserve degli ex prigionieri alleati va inquadrata anche nell’ambito delle forti pressioni politiche ed economiche esercitate in quel momento dagli Alleati sulla Svizzera per sottrarla alla sfera d’influenza nazista». Poiché tutte le frontiere erano controllate dai tedeschi e il governo svizzero non consentiva l’uscita dal paese in aereo neppure agli ufficiali di grado superiore, gli ex POWs poterono tornare in patria soltanto quando furono liberati i territori francesi confinanti, nell’estate 1944.
In Italia, il sostegno fornito da tante persone fu incredibile ed encomiabile: «Si poteva fare affidamento sugli italiani per ottenere aiuto, non in cambio di denaro o perché sperassero di ottenere prestigio, – dichiarò l’ambasciatore britannico, Sir Noel Charles, a fine conflitto – ma per pura solidarietà e, ben presto, amicizia». Nessuno se l’aspettava.
Claretta Coda, A strange alliance. L’inattesa alleanza della gente di Castiglione Torinese con 126 prigionieri di guerra inglesi del campo PG 112/4 di Gassino, Città metropolitana di Torino, 2021
All’armistizio, ciò che accadde nei campi italiani dipese da una serie di fattori, a partire dalla loro collocazione geografica, ma anche dall’atteggiamento di detentori e detenuti. <73 Il forte di Gavi venne occupato dai tedeschi già il 9 settembre; a quanto pare, tre sentinelle italiane vennero uccise, mentre il comandante, il col. Moscatelli, e il resto del suo personale furono fatti prigionieri e deportati (qualcuno, forse, riuscì a scappare). I prigionieri finirono quasi tutti in Germania. <74 Il campo di lavoro di Novara fu abbandonato dalle sentinelle italiane l’11 settembre. Diversi prigionieri riuscirono a raggiungere la Svizzera. <75 Absalom attesta numerose fughe anche dal campo di lavoro di Vercelli e dai suoi numerosi distaccamenti. In uno di questi, il 106/2 di Tronzano Vercellese, «il sottufficiale italiano in comando disse che avrebbe sparato a tutti coloro che avessero tentato la fuga», e allora «i prigionieri minacciarono di “catturare tutte le guardie” e poi abbatterono la recinzione e si dispersero». <76 Fughe si verificarono anche dal campo e dai distaccamenti di Torino, ma pure in questo caso in maniera non sistematica e non sempre coronate da successo, anche per mancanza di aiuti locali. <77 Le guardie permisero ai prigionieri di allontanarsi dal campo lombardo di Grumello del Piano e dai suoi distaccamenti. <78 Tuttavia, la gran parte dei fuggitivi fu ripresa dai tedeschi nel giro di poche ore. Il vicino ospedale di Bergamo visse, invece, una situazione particolare, dato che all’armistizio ospitava solo soldati in partenza per il rimpatrio.
[NOTE]73 Nell’analisi che segue mancano, a causa del silenzio delle fonti in merito, informazioni sui campi di Avio, Bologna OARE e Prato Isarco e sull’ospedale di Lucca.
74 TNA, WO 224/106, Capt. Trippi, «Report no. 5 on Prisoners of War Camp no. 5», 16 settembre 1943, p. 6. Secondo Jack Tooes, che riuscì a scappare, Gavi fu occupata dai tedeschi il 12 settembre, dopo che il comandante italiano «aveva consegnat[o i prigionieri] ai tedeschi che li caricarono su camion e poi su carri bestiame, dai quali molti riuscirono a fuggire prima di raggiungere il Passo del Brennero» (Absalom, L’alleanza inattesa, p. 139). Secondo Tenconi il campo fu occupato, «con, tra l’altro, il concorso determinante degli italiani», il 10 settembre: Tenconi, Nelle mani di Mussolini, p. 61. Lo studioso scrive che la maggior parte degli ex prigionieri di Gavi finì poi a Colditz.
75 TNA, WO 224/179, DPW, «Summary of present information concerning prisoners of war in Italy», 7 ottobre 1943.
76 Absalom, L’alleanza inattesa, p. 140. V. anche le pp. 75 e 156.
77 Ivi, pp. 112, 122 n. 29, 125.
78 TNA, WO 224/179, DPW, «Summary of present information concerning prisoners of war in Italy», 7 ottobre 1943. Cfr. di nuovo anche Absalom, L’alleanza inattesa, pp. 99, 133 e 136.
Isabella Insolvibile, I prigionieri alleati in Italia. 1940-1943, Tesi di dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno accademico 2019-2020
#1943 #alleati #armistizio #campi #ClarettaCoda #ex #fascisti #guerra #IsabellaInsolvibile #Italia #Liguria #Piemonte #POWs #prigionieri #settembre #tedeschi
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oggi e il 25 ottobre, al cipm: corsi di … “écriredessiner” (o, come neologizzavo io, “drawriting”)
les samedis 18 et 25 octobre 2025, de 10h à 13h,
Bibliothèque de poésie contemporaine du Cipm
Cycle de 2 séances de 3 heures
L’écriredessiner
Fabienne Yvert
“Mina Loy”, Liliane Giraudon
Travailler le voisinage entre le dessin et l’écriture ; ou comment l’écriture est/fait geste.
Avec, entre autre, pour guide les œuvres de Liliane Giraudon exposées au Cipm, et cette phrase de Myriam Suchet dans Sismographies du manque : Traduire, c’est mener la même exploration à travers un milieu différent. Les lignes s’agencent en lettres, les traces forment des mots. Ne pas prétendre réduire l’incompréhension ni franchir la barre de l’illisible. Plutôt cheminer avec, c’est-à-dire tout contre : […]
Inscriptions:
04 91 91 26 45 / steffen@cipmarseille.fr
#asemia #asemic #asemicWriting #écrireDessiner #écriredessiner #écriture #cipM #dessin #drawriting #exploration #FabienneYvert #illisible #lIllisible #LilianeGiraudon #presqueAsémique #scrittura #scritturaAsemica #traduire
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orrori del picci che fa rumore di volo in corso dalla ventola non identificata
Ah, dolce… orrori oltre ogni umana comprensione!!! Questa è la mia onestissima reazione a quando poco fa, a caso, ho sentito la ventola del PC fisso (e non mi è chiaro se quella del case, o quella della CPU) diventare inspiegabilmente un elicottero dopo aver risvegliato la tale maledetta macchina dallo sleep… e la cosa assurda è che questa non è la prima volta che capita, ma solo la prima che riesco a registrare (un grande classico con me). (…Credo sia accaduto appena 2 volte con inclusa questa, eh, non pensate chissà cosa.) 💀
Sarebbe fin troppo facile, a questo punto, fare una battuta su come questi sono semplicemente gli hacker cinorussi che stanno minando criptovalute col mio PC, che ha ancora Windows 10 dopo la data di fine vita (!!!), e quindi è matematicamente stracolmo di malware, perché le persone che non hanno idea di come funzionano i malware dicono hanno deciso che è così… ma no, la volta scorsa è stata quasi 2 mesi fa, quindi non c’entra. E, in generale, dubito c’entri in qualsiasi misura il software, visto che stavolta lo ha fatto dopo qualche ora di riposo in sleep mode, ma l’altra lo ha fatto dopo una notte di riposo da spento… 😷
Per fortuna, se lo fa una volta ogni tanto a piacere, e poi puntualmente si sistema da solo — almeno, la prima volta ha smesso di colpo nel giro di un paio di minuti, mentre stavolta ha rallentato un pochino (dopo aver fermato il video), ma non si fermava, quindi ho rimesso il PC in sleep, e dopo averlo subito risvegliato non si è lamentato più — allora non è affatto un problema… però boh, è certamente un mistero. Credo che gli spiriti delle mie pareti si siano lievemente insinuati dentro il PC, e questo è il risultato… e lo dico non a caso come invece è mio solito, ma perché, proprio qualche giorno prima che capitasse la prima volta, abbiamo riverniciato in casa, e quindi gli spiriti possono essere stati destabilizzati… e ok, ma stasera a cosa sarà mai dovuto? Nessuna teoria immaginabile regge. 🙀
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21 ottobre, milano: proiezione di “processo politico”, di francesco leonetti e arnaldo pomodoro (1971, rest. 2024)
Martedì 21 ottobre @ Iulm Università e con la collaborazione di Fondazione Arnaldo Pomodoro e Home Movies – Archivio Nazionale dei Film di Famiglia, sarà proiettato Processo politico, un film del 1971 (ma restaurato nel 2024) di Francesco Leonetti e Arnaldo Pomodoro.
È un lavoro fuori dagli schemi, radicale e oggi impensabile, che mescola documentario e finzione per raccontare gli eventi successivi alla morte di Giuseppe Pinelli, in particolare il processo Calabresi-“Lotta Continua”.
L’ingresso è libero. Dopo la proiezione ci sarà una tavola rotonda con Paolo Giovannetti, Guido Formigoni, Gianni Canova, Federico Giani, Jennifer Malvezzi, Marco Rustioni, Mirco Santi.
#ArnaldoPomodoro #FedericoGiani #FondazioneArnaldoPomodoro #FrancescoLeonetti #GianniCanova #GiuseppePinelli #GuidoFormigoni #HomeMoviesArchivioNazionaleDeiFilmDiFamiglia #IULM #IulmUniversità #JenniferMalvezzi #LottaContinua #MarcoRustioni #MircoSanti #PaoloGiovannetti #processoCalabresiLottaContinua_ #ProcessoPolitico #tavolaRotonda
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open day della nuova stagione di corsi del centroscritture online ora
open day del CentroScritture ORA in diretta qui:
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un saggio di antonio devicienti su “nz”, di antonio syxty: sul sito ‘via lepsius’
vialepsius.wordpress.com/2025/…
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NZ di Antonio Syxty
È una vera e propria contraddizione (una provocazione?) pubblicare in forma di elegante volumetto, stretto e leggermente allungato, dalla copertina giocata tra il bianco e il grigio tenue…Via Lepsius
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Treno Merci “Il Biancone” con E652.123 + G2000.02 in transito a Bolgheri (18/03/2024)
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minioctt
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