In difesa della Relatrice delle Nazioni Unite Francesca Albanese contro menzogne e diffamazioni
Al Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Via Sommacampagna 19, Roma
All’Ordine dei giornalisti del Lazio, Piazza della Torretta, 36
Ai media
All’opinione pubblica
Abbiamo assistito, con crescenti sconcerto ed indignazione, a un’intervista rilasciata dall’ex direttore di Repubblica Maurizio Molinari, che attacca la Relatrice speciale sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, con argomentazioni di stampo nettamente diffamatorio, quali il preteso finanziamento da parte di Hamas, il presunto “antisemitismo”, accusa oramai mossa senza misura e vergogna a chiunque osi criticare il governo israeliano, e perfino l’insinuazione di gravi e ipotetiche divergenze, mai in realtà emerse, tra Francesca Albanese e il Segretario delle Nazioni Unite Guterres, peraltro a sua volta vittima di accuse e attacchi di questo genere.
Siamo con ogni evidenza di fronte a un tentativo, sia pure maldestro, di vera e propria “moral assassination” che si accompagna alle misure coercitive unilaterali recentemente decretate nei confronti di Francesca Albanese da parte del governo statunitense. La Relatrice Speciale viene attaccata per aver rivelato, in modo coraggioso e scientificamente inappuntabile, le molteplici responsabilità, sia di governi, a partire ovviamente da quello israeliano, che di imprese multinazionali, che sono dietro all’attuale massacro del popolo palestinese a Gaza, che va più propriamente definito “genocidio” ai sensi della Convenzione del 1948 delle Nazioni Unite in materia. Francesca Albanese ha diritto ad affermare la sua onorabilità di fronte a tali intollerabili attacchi e ha diritto a continuare e completare il suo lavoro, nell’interesse della comunità internazionale a contrastare le violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani che da molto tempo avvengono in Palestina.
Per tali motivi dichiariamo la nostra piena disponibilità ad appoggiare Francesca Albanese in tutte le azioni di ordine politico, informativo e giudiziario che riterrà opportuno intraprendere, approfondendo in particolare i modi e le forme attraverso cui un alto funzionario delle Nazioni Unite possa tutelare giudizialmente in Italia la propria onorabilità e quella della sua istituzione contro questo attacco da parte di quanti nell’ informazione operano nell’interesse di poteri economici e politici coinvolti negli scandali che il suo rapporto denuncia.
La divulgazione di affermazioni false e prive di ogni riscontro con il chiaro intento di diffamare una persona e far partire la macchina del fango al fine di negare la veridicità delle sue affermazioni, peraltro ormai universalmente evidenti è un atto grave e chiediamo espressamente all’Ordine dei giornalisti di intervenire.
14 luglio 2025
Aderiscono
Avv. Ileana Alesso, avv. Cesare Antetomaso, avv. Michela Arricale, copresidente Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia (CRED), avv. Martina Bianchi, avv. Angela Maria Bitonti, avv. Nadia Buso, avv. Vincenzo Caponera, avv. Carlo Cappellari, avv. Matteo Carbonelli, già docente di diritto internazionale, avv. Annalisa Carli, avv. Marco Cavallone, avv. Lorenza Cescatti, avv. Kiran Chaudhuri , avv. Elisa Costanzo, avv. Simonetta Crisci, avv. Aurora D’Agostino, copresidente Associazione nazionale giuristi democratici (GD), avv. Maurizio de Stefano, già Segretario della Consulta per la Giustizia Europea dei Diritti dell’Uomo, avv. Matilde Di Giovanni, avv. Roberto Di Giovanni, avv. Veronica Dini, avv. Attilio Doria, avv. Francesca Doria, avv. Giuliana Doria, avv. Maria Esposito, avv. Giorgio Fontana, professore ordinario di diritto del lavoro , avv. Andrea Matteo Forte, avv. Fausto Gianelli, avv. Claudio Giangiacomo, avv. Ugo Giannangeli, avv. Nicola Giudice, avv. Marzia Guadagni, avv. Luca Guerra, avv. Alessandro Iannelli, avv. Roberto Lamacchia, copresidente Associazione nazionale giuristi democratici (GD), avv. Enrico Lattanzi , avv. Aaron Lau, avv. Joachim Lau, avv. Valerio Maione, avv. Fabio Marcelli, ricercatore senior presso l’Istituto di studi giuridici internazionali del CNR e copresidente Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia (CRED), avv. Marco Melano, avv. Paolo Mauriello, avv. Carlo Augusto Melis-Costa, avv. Ezio Menzione, avv. Alberta Milone, avv. Liana Nesta, avv. Gilberto Pagani, avv. Valentina Pieri, avv. Roberta Pierobon, avv. Barbara Porta, avv. Paola Regina, avv. Emanuele Ricchetti, avv. Antonietta Ricci, avv. Francesco Romito, avv. Dario Rossi, avv. Flavio Rossi Albertini, avv. Elisabetta Rubini, Libertà e Giustizia, avv. Arturo Salerni, avv. Luca Saltalamacchia, avv. Paolo Solimeno, avv. Sonia Sommacal, avv. Armando Sorrentino, avv. Barbara Spinelli, copresidente dell’Associazione europea dei giuristi e delle giuriste per la democrazia e i diritti umani nel mondo, avv. Salvatore Tesoriero, avv. Enrico Tònolo, avv. Francesca Trasatti, avv. Walter Tucci, avv. Agnese Usai, avv. Maria Teresa Vallefuoco, avv. Francesca Venditti, avv. Gianluca Vitale, avv. Luca Vuolo, avv. Nazzarena Zorzella, Alessandra Algostino, professoressa ordinaria di diritto costituzionale presso l’Università di Torino, Paola Altrui, giurista, Margherita Cantelli, giurista, Riccardo Cardilli, professore ordinario di diritto romano all’Università di Roma Due, Fabrizio Clementi, già dirigente ANCI, Luigi Daniele, professore associato di diritto internazionale Università del Molise, Micaela Frulli, professoressa ordinaria di diritto Internazionale all’Università di Firenze, Domenico Gallo, già senatore e già magistrato, Teresa Lapis, giurista, Samuele Marcucci, giurista, Triestino Mariniello, professore ordinario di diritto penale internazionale presso la Liverpool John Moores University, Ugo Mattei, professore di diritto civile all’Università di Torino e di diritto internazionale e comparato all’Università della California, Chantal Meloni, professoressa associata di diritto penale all’Università di Milano, Gianluca Schiavon, giurista, Eugenio Zaniboni, professore associato di diritto internazionale presso l’Università di Foggia, Maurizio Acerbo, già deputato, Stefania Ascari, deputata, Michela Becchis, professoressa associata di Storia dell’arte medievale all’Università di Chieti, Sandra Bonsanti, presidente emerita di Libertà e giustizia, Giuseppe De Cristofaro, senatore, Roberta De Monticelli, già professoressa ordinaria di Filosofia della persona presso l’Università San Raffaele di Milano, Emilio De’ Capitàni, già segretario Commissione Libertà Civili (LIBE) del Parlamento Europeo, Francesca Ghirra, deputata, Luisa Morgantini, già vicepresidente del Parlamento europeo, Daniela Padoan, scrittrice e presidente di Libertà e giustizia, Silvia Petrucci, architetta, Widad Timimi, scrittrice, Presidente dell’Associazione “Che io possa andare oltre”
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procrastinanza sisamministrativa: aggiungere le righe è roba di notte…
Se qualcuno mai stesse cercando prove della mia assoluta pigrizia, o comunque della mia ormai sempre incontrastata procrastinazione, sicuramente non avrebbe molta difficoltà a trovarne… tra le volte che non rifaccio il letto o che non spolvero la stanza, o come mi riduco sempre letteralmente al giorno prima per studiare (cioè proprio oggi 14 luglio, ma questa è un’altra storia), o alle 23:55 per fare Duolingo, o come ci sono tanti miei post che durante la giornata ritardano e spesse volte addirittura spariscono, o tranquillamente come finisco sempre a letto 2 ore più tardi del normale, insomma… 💀
Eppure, nonostante la mia esistenza altro non è che una sfilza di fallimenti, certi sbagli sono più sbagliati di altri, come si suol dire… Quella che penso sia la dimostrazione più semplice e lampante della mia incapacità di fare, infatti, si è vista ieri sera, quando finalmente mi sono decisa a sistemare una fonte di disperazione che parzialmente mi attanagliava: ho aggiunto un WebManifest alla mia istanza di Shiori, così che il sito possa essere da me installato come PWA su Android anche da Chromium, e non solo da Firefox (dove invece ho il mio userscript marcio per forzare qualsiasi sito come PWA)… vabbé, e quindi? 😴
Beh, questa era una cosa che banalmente andava fatta da secoli… non solo perché la app nativa di Shiori fa cadere i maroni (e quindi non la uso), e la webapp in Firefox altrettanto (visto che Firefox di per sé li fa cadere, essendo che ci mette tipo il triplo del tempo di Chromium a partire e poi lagga pure)… ma perché bastava aggiungere una (1) riga nella mia configurazione di nginx. sub_filter '</head>' '<link rel=\'manifest\' href=\'data:application/json;utf8,{ ... malloppone di roba tra nome ed icone ... }\' /></head>';
. Basta, (almeno nel suo modo più semplice) era solo questo. 😐
…Cioè, rendiamoci un attimino conto della situazione. Io ho procrastinato per anni — non ricordo più quanti anni ormai, ma decisamente troppi, considerato che quando ho iniziato ad usare questo software ero ancora al liceo e hostavo ancora sul Raspino — una procedura che ammontava a spendere 5 minuti di tempo per copiare i link alle icone dal sorgente della pagina HTML, incollarle in una singola fottuta riga così, e buttare tutto in un file di configurazione già esistente. Tutte cose che ho già fatto in tanti altri casi eh, che quindi non mi hanno richiesto di scervellarmi neanche un po’, ma, per qualche motivo, porca di quella puttana, quando c’avevo voglia non mi ricordavo e quando invece serviva mi seccavo. 😭
La beffa (la cui presenza, come dico ogni volta, con me è la costante di autenticità delle mie storie disperate) stavolta è che ho fatto questa semplice operazione, che avrei dovuto fare letterali anni fa, praticamente giusto il giorno dopo quello in cui ho rilasciato Pignio… software che di per sé non centra niente ma che, con i prossimi aggiornamenti, potrebbe potenzialmente inglobare tutte le funzioni [che mi servono] di Shiori, e in tal caso sarebbe per me assolutamente ovvio togliere di mezzo un software che si rivelerebbe completamente ridondante. (C’è in realtà un motivo per questa coincidenza, stavolta non sono stati gli spiriti a dirmi di fare così… c’è una sequenza più logica che, nel caso, approfondirò.) 😾
Giusto per chiarezza, comunque: in realtà Shiori include un WebManifest, ma solo da 4-5 mesi, stando a quanto vedo dai commit; pochissimo tempo rispetto a quello in cui ho avuto questa maledetta applicazione… e stavo per dire che allora avrei in teoria dovuto avere la funzione a quest’ora, ma invece no, perché anche i manutentori di questo progetto sono grandi procrastinatori, e non fanno uscire una release precompilata da gennaio, e io ovviamente non mi sbatterò per compilare da sorgente. Meglio così, dai… altrimenti avrei dovuto ammettere che sono talmente pigra che non aggiorno il software dal giorno in cui lo installai sul nuovo server, ~2 anni fa! (Ok, no, scherzi a parte, non sono così pigra… bensì è anche peggio: non aggiorno da quando l’ho installato per la prima volta, perché se lo facessi non avrei più accesso ad una vulnerabilità che io stessa scoprii e riportai agli sviluppatori, ma di cui faccio uso… se fosse patchata sulla mia istanza, uno script che feci all’epoca non funzionerebbe più bene e, neanche a dirlo, dover sistemare pure quello mi seccherebbe tremendamente… Sono veramente irrecuperabile!!!)
#nginx #pigrizia #procrastinazione #sysadmin #webapps
[Security] Thumbnails of private bookmarks are accessible without authentication
Data Shiori version: v1.5.4 (latest release) Database Engine: SQLite Operating system: Raspbian GNU/Linux 11 (bullseye), Linux raspberrypi 5.15.84-v7+ #1613 SMP Thu Jan 5 11:59:48 GMT 2023 armv7l G...andrigamerita (GitHub)
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Da Siracusa parte una nuova nave umanitaria verso Gaza
Handala è un personaggio dei fumetti. Un bambino palestinese, rifugiato e a piedi nudi, che volta le spalle all’ingiustizia e che ha giurato di non voltarsi finché la Palestina non sarà libera.
Handala è, anche, il nome della nave che è partita la scorsa domenica dal porto di Siracusa e che, dopo una sosta in Puglia (la prima regione italiana ad avere interrotto i rapporti con […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/07/14/da-s…
#Cisgiordania #FreedomFlotilla #Gaza #Israele #Palestina #Siracusa
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Una prospettiva diversa
Per raggiungere Luxor dal resort in cui io e Claudia stiamo trascorrendo la luna di miele, abbiamo percorso 5 ore di macchina nel deserto. Guardare fuori dal finestrino unaa realtà così diversa in un pese così diverso dal nostro mi ha fatto riflettere sulle mie abitudini di vita.
L’Egitto, lo sappiamo, non è esattamente un paese ricco. Lo è dal punto di vista storico-culturale, certamente, ma dal punto di vista economico è piuttosto arretrato. Ne consegue che la vita degli egiziani sia profondamente diversa dalla nostra. Noi siamo abituati ad avere tanto e a volere troppo: se abbiamo una casa, vorremmo una villetta indipendente, poi la piscina, poi una piscina più grande… Ma vale anche per le piccole cose: il telefono potente, gli abbonamenti ai vari servizi in streaming, o, banalmente, un account sui social per mostrare agli altri come è la nostra vita (o, perlomeno, mostrare quella parte di vita che vogliamo che gli altri vedano, che è sempre e solo una minima parte di quello che viviamo).
Questo mi ha fatto pensare che io, che per i loro standard potrei tranquillamente essere benestante, forse anche quasi ricco, sono qui a fare nulla perché posso permettermelo, mentre loro hanno poco o nulla e vivono in casette mezze diroccate o ancora in costruzione. E, anzi, Claudia mi ha fatto notare come buona parte di quello che hanno, che siano abiti, automobili o mezzi di lavoro, a volte sono scarti dei paesi occidentali (ho visto un ragazzo con una logora maglia di Winnie Pooh, un’automobile con un adesivo dei Paesi Bassi, di quelli ovali che andavano tanto di moda negli anni 80/90, macchine da movimento terra talmente vecchie da non aver nemmeno più la vernice in alcuni punti).
Ma l’apice della perplessità l’ho avuto a Luxor. Luxor è una città turistica, ma apparentemente non molto ricca. È servita da un aeroporto internazionale che permette ai turisti di raggiungere la città in pochi minuti tramite una bella strada asfaltata nuova nuova. E proprio su questa strada ci sono le pubblicità per il Luxor Resort, un albergo/parco acquatico. Nelle pubblicità c’erano due bambini, entrambi dalle fattezze caucasiche. È quindi chiaro che il target di questa pubblicità non siano certamente i bambini locali, ma quelli stranieri. E mi ha rattristato molto vedere a un semaforo, a fianco di queste pubblicità, una bambina egiziana in sella alla moto del suo papà. Bambina che, magari, sarà contentissima di quello che ha, di essere sulla moto e di andare chissà dove a fare cosa, perché quella è la sua realtà. E non ne ha mai vista una diversa, perché non l’ha mai potuta sperimentare.
Quando vedo queste cose non posso fare altro che vergognarmi un po’, perché anche io faccio parte di quella schiera di persone che ha abbastanza, ma vorrebbe di più. E forse, arrivato a quest’età, è arrivato il momento di cambiare un po’ mentalità, imparare ad accontentarmi di quello che ho, farmi bastare quello che ho, perché, in fondo, se chi ha molto meno di me riesce a vivere senza troppe premure, perché io, che non mi manca nulla, ho sempre bisogno di avere di più?
Addendum triste: oggi pomeriggio ai semafori della città i bambini pulivano i vetri chiedendo soldi per il cibo. La tristezza a vederli è salita vertiginosamente.
#Blog
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audio visual rain / endre tót. 1973
cliccare per ingrandire / click to enlarge
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#art #arte #audioVisualRain #EndreTót #macchinaDaScrivere #poesiaConcreta #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca #typewriter #vispo #visualRain
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domani, 15 luglio, roma: “l’italia e la bomba” / “italian literature in the nuclear age”
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#AccentStudyCenter #AnnaMariaMariani #IlMulino #MariaTeresaCarbone
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Mali, i giochi di prestigio di Goita.
Con un colpo da maestro degno del mago David Copperfield, il generale Assimi Goita ha appena tirato fuori dal cilindro un nuovo trucco: un mandato presidenziale di cinque anni, rinnovabile “quante volte è necessario”. E chi ha bisogno di elezioni quando hai una bacchetta magica, o meglio, un decreto firmato martedì? Bravo Goita, stai finalmente diventando un dittatore serio, di quelli che una volta arrivati al potere non se ne vanno più, e poi trasmettono la carica a qualche parente, se proprio deve morire. Cosa che nelle dittature militari non è sempre scontata, c’è sempre un possibile decreto dietro l’angolo per vietare la morte del leader al potere…
Ma non finisce qui! Questo colpo di scena è il risultato delle “raccomandazioni” di un dialogo nazionale che, a quanto pare, ha visto più boicottatori che partecipanti. I partiti politici, stanchi di essere invitati a una festa dove il DJ suona solo canzoni militari, hanno deciso di restare a casa. Che cosa si fa quando non hai ospiti? Si… sciolgono le feste! Anzi, le politiche. A maggio, Goita ha proibito tutte le feste, ehm, le associazioni di partiti politici. Chi ha bisogno di opposizione quando puoi semplicemente eliminarla? Magari nel suo prossimo decreto scioglierà tutte le compagini del locale campionato di calcio tranne una per cui tutti dovranno tifare; oppure si proclamerà leader della Chiesa Univoca Unificatrice del Mali!
È sotto gli occhi di tutti il fatto che la vita sociale a Bamako sia diventata, diciamo così, piuttosto movimentata… Con il tasso di rapimenti di attivisti pro-democrazia in aumento, sembra che gli imbucati alle feste ora siano delle vere e proprie bande di pirati del XXI secolo, pronte a rovinare la giornata a chiunque osi alzare la voce. Che bel clima! E non per colpa del cambiamento climatico!
Ora, non dimentichiamoci del contesto: il Mali sta vivendo una sorta di reality show politico, dove le regole cambiano ogni giorno e i colpi di scena sono all’ordine del giorno. Goita, il nostro eroe con due colpi di stato nel curriculum, è come il concorrente di un talent show che continua a vincere grazie a lampi di genio e colpi di scena. Ciò nonostante i “piccoli” problemi come l’insurrezione di jihadisti e Tuareg che, nonostante l’appoggio dei mercenari russi ed i continui proclami di successi militari sul campo, non accenna a diminuire.
Insomma, il futuro di Mali sembra promettere un lungo cammino verso il 2030! Chissà cosa ci riserverà il prossimo episodio di questa soap opera politica, dove il protagonista ha già deciso che le elezioni non fanno parte della trama. Per ora, però, preparatevi a ridere (o piangere) mentre il sipario si alza su un’altra stagione di governabilità… senza consultazioni!
Ma state tranquilli, Goita non lo fa perché attaccato alla poltrona: glielo chiede il popolo!
Quanto scommettiamo che Burkina Faso e Niger seguiranno a ruota? Sempre per volere del popolo eh…
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Pagare per recensioni libri: guida completa per autori
Indice dei contenuti
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- Recensioni di libri: quanto costa e quanto vale davvero?
- Perché una recensione vale più di un’opinione
- Il fattore fiducia: la psicologia dietro le recensioni
- Valori aggiunti delle recensioni
- Differenza tra recensioni gratuite e recensioni a pagamento
- Recensioni gratuite: credibilità e autenticità
- Recensioni a pagamento: servizi professionali
- Etica e credibilità: i rischi delle recensioni false di libri
- Recensione, segnalazione o comunicato stampa?
- A chi inviare davvero il tuo libro? Cerca blog e redazioni coerenti con il tuo messaggio
- Come scrivere un messaggio che non venga ignorato (né odiato)
- Gli errori da evitare se non vuoi finire nel cestino (o nella lista nera)
- Come distinguersi: la proposta che nessuno può ignorare
- Non solo promozione: creare relazioni durature
- Strategie per ottenere recensioni
- Vuoi scoprire come recensiamo i libri?
Recensioni di libri: quanto costa e quanto vale davvero?
Immagina di aver appena pubblicato il tuo libro. Dopo mesi, forse anni, di scrittura, revisione e correzioni, finalmente è disponibile online o sugli scaffali. Ma c’è un problema: nessuno lo conosce. In un mercato editoriale sempre più affollato, il tuo libro rischia di perdersi tra migliaia di nuovi titoli. È qui che entrano in gioco le recensioni di libri: un ponte tra te e i lettori, un possibile trampolino per la visibilità. Ma nasce subito una domanda cruciale: quanto vale una recensione? Vale la pena pagarla? E, se sì, quanto costa davvero una recensione onesta e utile?
Oggi molti autori, soprattutto indipendenti, si trovano a valutare se pagare per recensioni di libri sia una strategia efficace o una trappola. In questo articolo analizzeremo il valore economico, etico e strategico delle recensioni, distinguendo tra quelle spontanee e quelle a pagamento, fornendo criteri chiari per capire quando l’investimento può fare la differenza. Potrai capire come ottenere recensioni affidabili senza compromettere la tua credibilità.
Le recensioni dei libri non sono opinioni
Le recensioni libri, oggi, non sono più semplici opinioni: sono strumenti decisivi di visibilità, credibilità e persuasione. Per un autore, ricevere una recensione onesta può significare la differenza tra rimanere invisibile e farsi notare da nuovi lettori. Ma non tutte le recensioni hanno lo stesso peso. Alcune sono scritte da veri appassionati, altre sono offerte come servizi professionali a pagamento, altre ancora – purtroppo – sono finte, costruite solo per gonfiare valutazioni su Amazon o Goodreads. Capire la differenza tra recensione gratuita e a pagamento, tra valore reale e marketing forzato, è oggi fondamentale per chi pubblica un libro.
In questa guida per recensioni di libri completa parleremo di quanto costa una recensione, dei prezzi delle recensioni libri a seconda del tipo di recensore, dei rischi delle recensioni false e di come calcolare un vero ritorno sull’investimento (ROI). Ti aiuteremo a valutare con lucidità se pagare per una recensione sia una scelta utile o superflua, e soprattutto come ottenere recensioni affidabili che parlino davvero al tuo pubblico. Perché una recensione autentica per promuovere un libro può non solo vendere copie, ma accendere il passaparola più potente: quello emotivo e sincero.
Calcolare il ROI delle recensioni: quando conviene pagare?
Ecco un esempio per aiutarti a visualizzare il ROI, considerando anche il valore nel tempo di una recensione ben indicizzata:
Voce | Esempio di Calcolo Iniziale (Impatto Immediato) | Proiezione a Lungo Termine (Recensione Indicizzata) | Note |
Costo della Recensione | 50€ (costo una tantum) | 50€ | |
Visualizzazioni Stimate | 1.000 (immediato, da post/storie) | +200/mese (da ricerca organica Google/Amazon) | Traffico continuo senza costi extra |
Click-Through Rate (CTR) | 5% (50 clic sul link del libro) | 3% (6 clic/mese aggiuntivi) | Dipende dall’indicizzazione |
Conversion Rate (Acquisto) | 10% (5 copie vendute) | 10% (0.6 copie/mese) | |
Guadagno per Copia (Netto Autore) | 3€ | 3€ | |
Guadagno Diretto (Immediato) | 15€ | 1,8€/mese (dalle conversioni continue) | Rendita passiva dalla recensione |
Perché una recensione vale più di un’opinione
Chi scrive un libro ci mette dentro mesi, a volte anni, di dedizione. Eppure, una volta pubblicato, può bastare un pugno di recensioni oneste per far emergere quell’opera tra migliaia. Una recensione libro onesta e ben fatta non è solo una valutazione: è una lente attraverso cui il lettore vede il tuo libro per la prima volta, è la voce di chi lo ha già letto e ne racconta l’impatto, è un atto di mediazione culturale. Non si tratta solo di avere “5 stelle”, ma di costruire fiducia, stimolare la curiosità e creare connessioni reali con il pubblico.
Ecco perché parlare del valore delle recensioni libri significa anche riconoscerne il potere: possono influenzare l’acquisto, migliorare la reputazione dell’autore, spingere le classifiche algoritmiche (come quelle di Amazon) e, soprattutto, prolungare la vita di un libro oltre il fugace entusiasmo del lancio iniziale. Le recensioni, quando autentiche, lavorano nel tempo, accompagnando il libro nel suo cammino e raggiungendo lettori che non si fermano solo alla copertina; contribuendo così a costruire un sistema di recensioni libri affidabili che il lettore percepisce come garanzia.
Il fattore fiducia: la psicologia dietro le recensioni
Sapevi che l’88% dei consumatori si fida delle recensioni online quanto dei consigli personali? È il fenomeno della ‘prova sociale’. Una recensione non è solo un’opinione, ma una ‘garanzia’ percepita che riduce il rischio d’acquisto. In un mercato saturo, questa fiducia è valuta preziosa.
Valori aggiunti delle recensioni
Ogni recensione ben scritta è un seme che può far germogliare nuove letture, nuove connessioni, nuove riflessioni. Ma quali sono, concretamente, i valori aggiunti di una recensione rispetto a un semplice commento sui social o a una valutazione numerica? Qui entriamo nel cuore della questione: perché una recensione, anche se breve, arricchisce il dialogo culturale, genera fiducia e aumenta la visibilità del libro online, specialmente se è pubblicata su blog, riviste di settore o piattaforme strutturate.
Non si tratta solo di esprimere un giudizio, ma di contribuire attivamente a costruire un ponte tra l’autore e i lettori, tra un’opera e il suo potenziale pubblico. Ecco allora un elenco chiaro e diretto di ciò che una buona recensione può offrire, sia dal punto di vista relazionale, sia in termini di impatto SEO e marketing:
Caratteristica della Recensione | Beneficio per l’Autore |
Visibilità Organica | Aumenta la scoperta su Amazon e Google |
Credibilità & Fiducia | Rassicura i lettori, fungendo da prova sociale affidabile |
Feedback Costruttivo | Offre spunti per migliorare scrittura e strategie di marketing |
Longevità del Libro | Contribuisce a un passaparola duraturo e alla vita dell’opera |
Differenza tra recensioni gratuite e recensioni a pagamento
A questo punto, però, emerge una domanda cruciale: meglio puntare su recensioni gratuite o su recensioni a pagamento? La risposta, come spesso accade, non è netta. Entrambe le opzioni possono essere valide, ma vanno scelte con consapevolezza, conoscendone le dinamiche, i vantaggi e i possibili limiti. Le recensioni gratuite sono spesso mosse da passione, da un genuino entusiasmo per la lettura; quelle a pagamento possono invece offrire tempistiche certe, maggiore visibilità e professionalità, ma sollevano anche interrogativi sull’etica e sull’autenticità.
Per prendere una decisione informata, è fondamentale conoscere a fondo le differenze tra queste due modalità e valutare quale si adatta meglio al proprio percorso da autore o editore. Nei paragrafi successivi, analizzeremo con cura entrambi gli approcci, in modo da aiutarti a capire quando vale davvero la pena pagare per una recensione — e quando, invece, è meglio coltivare relazioni autentiche, gratuite e durature.
Recensioni gratuite: credibilità e autenticità
Le recensioni gratuite sono spesso il frutto di una connessione autentica tra chi scrive e chi legge. Blogger, appassionati, gruppi di lettura e lettori comuni che decidono di recensire un libro lo fanno per passione, non per contratto. Questo le rende, agli occhi del pubblico, altamente credibili: una recensione spontanea comunica sincerità e non dà l’impressione di essere una pubblicità mascherata.
Ma attenzione:ottenere recensioni gratuite non è affatto semplice né immediato. Per chi si chiede come ottenere recensioni libro senza costi diretti, è fondamentale capire che non è un processo semplice né immediato. Spesso si tratta di offrire una copia omaggio in cambio della lettura, partecipare attivamente a community di lettori (come Goodreads, gruppi Facebook, forum specializzati) o coltivare connessioni con blog letterari che trattano il tuo genere. Anche gli scambi tra autori possono essere utili, purché siano trasparenti e rispettosi.
Non si paga in denaro, ma si investe in presenza, attenzione e dialogo umano. Eppure, questo tipo di recensione può avere un impatto di lungo periodo, costruendo un piccolo ecosistema attorno al libro fatto di fiducia, passaparola e autenticità.
Recensioni a pagamento: servizi professionali
Quando si parla di recensioni a pagamento, il terreno si fa scivoloso. Da un lato, può sembrare una scorciatoia efficace: si paga un servizio e si ottiene una recensione, spesso entro tempi rapidi. Alcuni portali o agenzie recensioni libri offrono pacchetti professionali con articoli ben scritti, diffusi su siti strutturati e con una discreta visibilità SEO. In questi casi, la spesa può trasformarsi in un investimento promozionale consapevole e i loro prezzi per recensioni libri variano in base al servizio e al recensore.
Prezzi stimati:
Tipo di Recensore | Prezzo Stimato | Cosa Include |
Blogger indipendente | 0 – 30€ | Recensione base, visibilità limitata |
Influencer letterario | 50 – 150€ | Recensione + visibilità social |
Agenzia/Servizio ed. | 100 – 300€+ | Recensione professionale, promozione extra, analisi |
Etica e credibilità: i rischi delle recensioni false di libri
Tuttavia, la linea tra una recensione retribuita e una recensione finta (recensioni false libri) può diventare pericolosamente sottile. Il rischio? Perdere credibilità. I lettori sono molto più attenti di quanto si creda, e un contenuto forzatamente positivo, senza una reale analisi, suona falso. Ancora peggio se il sito che ospita la recensione è palesemente pieno di testi promozionali e privi di identità editoriale.
Pagare per una recensione non è, di per sé, una pratica da demonizzare: ma va fatto con etica, chiarezza e trasparenza. Il lettore ha diritto di sapere se quella recensione è frutto di una collaborazione commerciale. Inoltre, è bene valutare chi scrive la recensione: ha competenza? Legge davvero il libro o si limita a un comunicato stampa?
Recensione, segnalazione o comunicato stampa?
Nel mondo dell’informazione culturale e letteraria, i termini spesso si confondono, ma è essenziale riconoscerne le differenze. Una recensione è un testo critico: analizza il contenuto di un libro, ne valuta i pregi e i limiti, lo inserisce in un contesto più ampio, lo confronta con altri titoli o temi affini. Può essere entusiasta o severa, ma ciò che la caratterizza è l’onestà intellettuale e l’elaborazione soggettiva dell’autore o della redazione che la firma.
Una segnalazione, invece, è più neutra: serve a informare dell’uscita di un libro, spesso con una breve descrizione, i dati dell’editore e poche righe sul contenuto. Non c’è una vera analisi o giudizio. È utile come vetrina, ma non pretende di entrare nel merito del testo.
Il comunicato stampa è ancora un’altra cosa: è il messaggio scritto da chi pubblica o promuove il libro (editore, ufficio stampa, autore). Serve a presentare l’opera in modo accattivante, ma è un testo promozionale a tutti gli effetti. È pensato per essere diffuso rapidamente, magari adattato da chi lo riceve, ma di per sé non è informazione giornalistica.
Per il lettore (e anche per l’autore), comprendere queste differenze è cruciale: sapere cosa si sta leggendo — e cosa si sta cercando — aiuta a muoversi con più consapevolezza nel mare della promozione editoriale.
A chi inviare davvero il tuo libro? Cerca blog e redazioni coerenti con il tuo messaggio
Tra le più efficaci strategie marketing libri per ottenere visibilità, la prima regola è semplice, ma spesso dimenticata: non sparare nel mucchio. Inviare un libro a chiunque, senza tener conto delle tematiche che tratta, del target a cui si rivolge o del tipo di approccio che caratterizza il blog o la redazione, è controproducente. Peggio ancora è pretendere una recensione da chi non condivide affatto i presupposti del tuo lavoro. Risultato? Nessuna risposta, oppure — peggio — una recensione negativa e fuori contesto.
Fermati un attimo: qual è il cuore del tuo libro? Quali tematiche affronta? A chi potrebbe davvero interessare? Una volta individuato questo, cerca siti, riviste, blog e canali YouTube che parlino proprio di quegli argomenti. Se hai scritto un romanzo sperimentale, invialo a chi si occupa di letteratura innovativa, non al sito generalista che pubblica solo bestseller. Se hai scritto saggistica sociale, punta su blog indipendenti o militanti, non su chi recensisce solo manuali di self-help.
Questa fase richiede tempo, attenzione e rispetto per il lavoro altrui. Ma è il primo passo per entrare in relazione con interlocutori sinceramente interessati e potenzialmente pronti a leggere davvero il tuo testo. La qualità della rete che costruisci oggi può determinare la longevità del tuo libro domani.
Come scrivere un messaggio che non venga ignorato (né odiato)
Hai trovato il blog giusto, hai letto i suoi articoli, hai capito che tratta temi simili a quelli del tuo libro. E ora? Il messaggio di presentazione è il primo vero contatto, e spesso anche l’ultimo, se non curato. Non basta scrivere “Ciao, ti invio il mio libro, fammi sapere se ti interessa”. È impersonale, generico, e comunica una cosa sola: non hai dedicato neppure cinque minuti a chi ti stai rivolgendo.
Un buon messaggio deve essere sincero, mirato e rispettoso. Dimostra che conosci chi hai di fronte: cita un articolo, un video o una recensione che ti ha colpito. Spiega in poche righe di cosa parla il tuo libro, qual è il suo punto di forza, e perché pensi che possa interessare a chi legge quel blog o quella rivista. Non servono toni altisonanti o promesse esagerate: serve connessione.
E non allegare subito file pesanti o link multipli. Chiedi prima se può interessare una copia da valutare. Mostrare rispetto per i tempi e lo spazio dell’altro è il modo più diretto per ottenere attenzione e disponibilità.
Gli errori da evitare se non vuoi finire nel cestino (o nella lista nera)
Molti autori, spesso in buona fede, commettono errori che li rendono indesiderati ancor prima di essere letti. Il più comune? L’invio massivo e impersonale dello stesso messaggio a decine di contatti. Quando un blogger riceve un’email che inizia con “Salve redazione” o “Gentile amministratore del sito”, capisce subito di essere uno dei tanti. E nessuno ama sentirsi “uno dei tanti”.
Altri errori gravi: allegare il libro completo senza che sia stato richiesto, usare toni arroganti o insistenti (“Spero che pubblicherete la recensione entro la prossima settimana”), non inserire alcuna presentazione, scrivere senza oggetto, dimenticare i contatti, o peggio ancora, mentire sul numero di copie vendute o sui premi ricevuti.
E poi c’è l’errore più sottile ma più letale: ignorare il contesto. Se proponi un romanzo rosa a un blog che recensisce solo saggistica sociale, è evidente che non hai letto neanche una riga del sito. Risultato: bruci un’opportunità e probabilmente verrai ignorato anche in futuro, anche se un giorno avrai un libro adatto.
Ricorda: chi riceve la tua richiesta non ti conosce. Prima ancora del tuo libro, giudicherà il tuo approccio. E un approccio sbagliato è un’occasione persa.
Come distinguersi: la proposta che nessuno può ignorare
In un mondo in cui ogni giorno arrivano decine di segnalazioni, non basta avere un buon libro. Serve una proposta che colpisca, che faccia alzare gli occhi dallo schermo, che lasci il segno. Ma come si fa?
La chiave è costruire un messaggio su misura, che non sia solo educato, ma anche interessante per chi lo riceve. Mostra di conoscere il blog o il canale: cita un articolo, un video, un tema trattato di recente che ti ha colpito, e spiega perché pensi che il tuo libro possa essere rilevante per il pubblico di quel sito.
Poi, offri un contenuto utile. Non dire solo “ecco il mio libro”, ma proponi un punto di vista, un’idea per un approfondimento, una domanda provocatoria, o un collegamento a un tema attuale. Questo trasforma la tua proposta da promozione a collaborazione. Chi riceve capirà che hai qualcosa da offrire, non solo da chiedere.
Infine, cura ogni dettaglio: scrivi in italiano corretto, scegli un oggetto accattivante per l’email, allega la copertina in buona qualità, e prepara una scheda libro ben fatta (una sinossi chiara, informazioni sull’autore, dati tecnici, link utili). Una buona presentazione comunica serietà e professionalità, e fa pensare: “Se il libro è curato come la mail, vale la pena leggerlo”.
Non solo promozione: creare relazioni durature
Tra le strategie marketing libri più efficaci a lungo termine, la creazione di relazioni durature è forse la più potente. Inviare una segnalazione non è solo un’azione puntuale, ma può essere l’inizio di una relazione. I blog, i canali YouTube e i siti culturali non sono entità impersonali: dietro ci sono persone. Persone che ogni giorno ricevono decine di comunicati, ma che si ricordano di chi ha saputo distinguersi con gentilezza, coerenza e attenzione.
Per questo, la promozione migliore è quella che crea un legame. Dopo aver inviato una proposta, non sparire. Ringrazia chi ti ha risposto, anche se ha detto di no. Condividi i loro contenuti quando li apprezzi davvero. Partecipa alle discussioni, commenta, sostieni il lavoro altrui. In questo modo, la prossima volta il tuo nome non sarà uno tra tanti, ma uno che si riconosce.
Questo atteggiamento ha valore anche sul lungo periodo: non tutte le proposte vanno a buon fine subito, ma chi lavora in modo autentico e professionale lascia un’impressione positiva che può portare a future collaborazioni, interviste, recensioni o inviti.
Costruire una rete reale, fatta di fiducia e scambio reciproco, è la vera strategia per non essere dimenticati.
Strategie per ottenere recensioni
– Coltiva relazioni: invia il libro a blogger, booktuber o lettori in linea con i tuoi temi, accompagnando ogni invio con un messaggio personale e genuino.
– Sfrutta le community: partecipa attivamente a gruppi di lettura su Telegram, Facebook o forum tematici, contribuendo senza spingere in modo aggressivo il tuo libro.
– Valuta i servizi professionali: se scegli servizi a pagamento (influencer, blog, uffici stampa, promozione, pubblicità), orientati su realtà serie, con recensioni verificabili, che dichiarano chiaramente cosa offrono e a quali costi, evitando promesse vaghe o troppo allettanti.
– Richiedi feedback: chiedi ai lettori di lasciare una recensione sincera. Ogni parola scritta da chi ha letto il tuo libro può fare la differenza.
– Pazienza e costanza: costruire una buona reputazione richiede tempo.
Mettersi in gioco con passione e consapevolezza
Promuovere un libro oggi non significa solo “farsi vedere”, ma mettersi in relazione, entrare nel mondo, con tutte le sue complessità e potenzialità. È un percorso che richiede tempo, cura, ascolto e la volontà di non cercare scorciatoie. Ma è anche un’occasione per scoprire altri mondi, confrontarsi, crescere, portando la propria voce là dove può incontrare altre voci.
Ogni libro è un ponte. E ogni messaggio che invii, ogni proposta che scrivi, ogni relazione che coltivi può diventare una possibilità per il tuo libro di camminare lontano da te, di incontrare lettori inaspettati, di lasciare un segno.
Non si tratta di vendere, ma di comunicare qualcosa che conta. E, se ci credi davvero, questa è la parte più bella del viaggio.
Hai scritto un libro e pensi possa interessarci? Scrivici e raccontaci la tua opera: valutiamo con attenzione ogni proposta di recensione.
Vuoi scoprire come recensiamo i libri?
Se hai scritto un libro e vorresti vederlo recensito sul nostro blog, puoi inviarci la tua proposta: la giriamo alla nostra redazione, che valuterà se è in linea con il nostro progetto editoriale.
🔹 Non garantiamo l’accettazione: ogni proposta viene letta con attenzione, ma selezioniamo solo ciò che riteniamo adatto alla nostra linea e ai nostri lettori.
🔹 Ogni recensione è autentica: leggiamo davvero i libri che recensiamo, e il nostro intento è sempre quello di valorizzare i contenuti in modo sincero, senza promozioni forzate.
🔹 Ottimizziamo i testi per la SEO, per dare massima visibilità alla recensione nei motori di ricerca.
🔹 In redazione ci sono più lettori, con gusti e sensibilità diverse: non abbiamo richieste fisse di genere, e spaziamo tra narrativa, saggistica, letteratura per ragazzi, temi sociali e molto altro.
📌 Ecco i due criteri principali che guidano le nostre scelte:
Contenuto significativo: valutiamo se il libro ha una tematica interessante o trattata con profondità, se stimola riflessione o emozione, e se possiede un’identità chiara.
Cura e stile: prestiamo attenzione alla qualità della scrittura e alla cura editoriale, anche nei casi di autopubblicazione (che non escludiamo a priori).
💡 Se ci scrivi, raccontaci qualcosa di te e del tuo libro. Ci piace conoscere l’autore oltre la copertina.
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Hai scritto un libro e vuoi farlo conoscere? Scopri strategie, consigli pratici e suggerimenti per promuovere il tuo libro anche senza budget.Francesco Scatigno (Magozine.it)
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Craig Jones si ritira, lascia il B team che troverà un altro nome.
Arriva a ciel sereno la notizia che Craig Jones lascia il BTeam, anzi l’america, Il BTeam avrà un rebranding e Nicky Ryan sarà l’headcoach del team.
La notizia ci ha preso in contro piede, lo ammetto è vero che se avessimo guardato gli indizi era tutto abbastanza chiaro – Mettiamo in fila un po di informazioni:
- Craig Jones è uno youtube a tutti gli effetti
- Il nome B-Team non è apprezzato da tutti membri del B Team (nicky Rod in testa)
- CJ non è praticamente mai presente in palestra
- Il canale di youtube del Bteam è diventato il canale di Craig jones, mentre il B team ha un secondo canale da diversi mesi, focalizzato sul jiu-jitsu
- Jay Rod (fratello di Nicky Rod, uno dei fondatori) è stato allontanato dal team (giustamente) e cancellato dalla memoria (cosa che mi perplime)
- Craig Jones è diventato un Coach di alto profilo di fighter UFC
- CJ è anche un promoter (CJI, e recentemente FloGrappling)
- Sempre CJ ha problemi di salute (e chi lo avrebbe detto che Steroidi e cocaina facessero questo effetto)
In tempi non sospetti Jones diceva questo.
Gordon Ryan sa qualcosa
Gordon Ryan, come fa notare, non sbaglia MAI e dice di sapere qualcosa ma non può parlare. dice anche cose che hanno senso in
Di sicuro non accetta il fatto che Craig sia più amato e di sicuro commette l’errore di prendersela coi Reddit Dorks
il video di saluti
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Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo.
Ampia inchiesta sulle fondazioni dei ricchissimi del mondo che, dietro al filantropismo, mascherano un turbocapitalismo che non fa che rafforzare l’accentramento delle ricchezze nelle loro mani. Ogni capitolo entra nei dettagli di come i ricchi della terra stiano entrando nei settori della sanità, dell’educazione e delle organizzazioni internazionali, senza migliorare le condizioni dei più poveri ed egemonizzando sistemi di produzione e di formazione.
Scrive Nicoletta Dentico:
«Siamo proprio sicuri che la magnanimità dei coniugi Gates, o dei coniugi Clinton, o di Ted Turner e Mark Zuckerberg sia “pura”? »
«Il filantrocapitalismo olia le ruote delle imprese. Gli emarginati della Terra non vogliono carità, vogliono giustizia»
Il G8 del 2001 non va ricordato solo per le violenze a Genova. Durante quell’evento veniva lanciato il «Fondo Globale per la lotta all’aids, alla tubercolosi e alla malaria» voluto da Bill Gates. Una cosa buona, che però ha messo alle corde Oms e Unaids, le agenzie Onu sulla salute. Nel 1997 Ted Turner, il fondatore della Cnn, erogò la maggior donazione di sempre all’Onu. Nella corsa al vaccino anti-covid spicca la Bill & Melinda Gates Foundation. Solo un caso? Non proprio. Sono esempi dello svuotamento, operato da privati, delle più alte istanze internazionali pubbliche. Questo libro mostra come le visioni «umanitarie» delle fondazioni dei ricchissimi e generosissimi, da John Rockefeller a Bill Clinton e Mark Zuckerberg, sono potenti strumenti di controllo planetario. A colpi di donazioni, con ovvi benefici, i filantrocapitalisti si assicurano che il turbocapitalismo non venga messo in discussione. Primo obiettivo, la salute: «Bill Gates ha puntato a comprarsi un’intera agenzia Onu, l’Oms. La cosa gli sta riuscendo; è grave che la comunità internazionale glielo permetta». Altro campo di battaglia, l’agricoltura: la «Rivoluzione verde» in Africa funge da battistrada agli Ogm. Dopotutto, una mano lava l’altra. La ricchezza delle aziende permette la filantropia, la filantropia apre nuovi mercati alle aziende. Il filantrocapitalismo non ci rimette mai. La democrazia, sì.
Indice:
Filantrocapitalismo come ricolonizzazione (Prefazione di Vandana Shiva). Prologo emotivo.
I parte. Ricchezze e pulsioni filantropiche. 1. Filantropia: generosità calcolatrice, più che amore per l’umanità. 2. Economia politica della filantropia del XXI secolo.
II parte. L’Olimpo della generosità ingannevole. 1. Fondazioni, lotta alla povertà e governance globale. 2. Il monopolio filantropico di Bill e Melinda Gates. 3. La speciale relazione di Ted Turner con le Nazioni Untie. 4. Il rovescio del ricamo: il sistema filantropico di Bill e Hillary Clinton. 5. Paperoni di tutti il mondo unitevi. Il Giving Pledge.
Conclusioni. Oltre i filantroprofitti.
Dal libro
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Creatività al planetario: un binomio di successo
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Questo mese andiamo in Colombia, dove l’astronoma e divulgatrice Michelle Mora presenta un progetto innovativo per coinvolgere il pubblico tra scienza e ricamo
#colombia #divulgazione #outreach #planetario #ricamo #venezuela
Creatività al planetario: un binomio di successo
Questo mese andiamo in Colombia, dove l'astronoma e divulgatrice Michelle Mora presenta un progetto innovativo per coinvolgere il pubblico tra scienza e ricamoClaudia Mignone (EduINAF)
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Creativity at the planetarium: recipe for success
edu.inaf.it/in-english/univers…
This month we visit Colombia, where astronomy communicator Michelle Mora presents an innovative project engaging the public with science and embroidery
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‘la parola, il fatto’: “anarchia” (1975), regia di giuliana berlinguer
youtu.be/ar_wqeNvDDE?si=QeHr1B…
#1975 #anarchia #GiulianaBerlinguer #PierCarloMasini #Rai #TullioDeMauro
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Come è il jiu-jitsu di Danaher
Sulla capacità di insegnare e sistemare i pensieri credo che non ci siano dubbi. La domande che molti hanno è come ma come è il bjj di John Danaher? Lo vediamo in questo rarissimo video di rolling tra i due.
Mi sembrano entrambi determinati. Si vede nello sfondo il logo della Renzo Gracie, quindi diciamo che il periodo è pre-2020.
Per i più distratti John Danaher ha fatto un incidente che lo ho messo fuori dai giochi, ma prima di allora faceva parte dell’inner circle dei grappler più forti di new york: oltre a Renzo Gracie, c’era George Saint Pierre, Roger Gracie, Renzo, Ricardo Almeida, Matt Serra, Rodrigo Gracie, Shawn Williams e chissà quanti altri visitatori.
L’incidente gli ha impedito di spingere e questo lo ha aiutato a focalizzarsi prima sulla tecnica e poi nell’insegnamento. Coi risultati che sappiamo.
Il video è molto bello da vedere.
youtube.com/watch?v=0_cduGGmXz…
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du-champ updated
beh, “updated” è un po’ una parola grossa, ma diciamo che ho aggiunto siti e blog che proprio non c’erano, quando du-champ si è inabissato per (circa) 10 anni (per vari motivi).
comunque – sì – ora ci trovate blog e siti che prima non c’erano, ecco.
e insomma: ho dato uno sguardo in giro, e ho anche usato come strumento l’impareggiabile ELIRIO, che di blog e siti ne scheda qualche centinaio.
ebbene, anche gli spazi in rete più gggiovani, quelli appena nati, o nati da pochi mesi o anni, hanno un grande affanno nel seguire cosa? l’editoria come è.
oppure il romanzo, o il racconto. molti si interessano di?
poesia.
cioè.
ragazzi, su.
la situazione è palesemente e pazzescamente simile ai primi anni Duemila, quando con un gruppo di scervellati ci siamo inventati gammm.org proprio perché la situazione era questa.
GIOVANI GENERAZIONI (ma direi generazioni in generale) DATEVI UNA SVEGLIATA
fate qualcosa, ****o
#aggiornamento #bastaPoesia #blog #duChamp #Elirio #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca #siti #updated
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Scuola demolita e ricostruita a 40 metri, una vergogna da 10 milioni di euro
Sembra una barzelletta. Di quelle surreali, che fanno ridere per non piangere. Ma è tutto vero, documentato e persino finanziato: a Catania, con i fondi del Decreto Caivano e si spenderanno 10 milioni di euro per demolire una scuola e ricostruirla a 40 metri di distanza. Quaranta metri. Praticamente il salto in lungo dell’assurdo.
Di chi è il capolavoro? Impossibile dirlo. Sindaco, […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/07/13/scuo…
#ComuneDiCatania #DecretoCaivano #GiuntaTrantino #SanCristoforo
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du-champ reactivated
du-champ is back online. no change at all.
it still echoes almost 2400 blogs & allows you to simply peruse lots of stuff.
du-champ.blogspot.com/
ENJOY !
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new 1
July 13, 2025 — take a look at
→→→→→→→ 🌐 okok / differx. 2025
#differx #experimentalWriting #link #prose
🌐 okok / differx. 2025
pharmacovigila sat low doses of lithium in a context of addiction impact treatment carbonate lithium senior synthesis recipe | dot wants sw...differx.blogspot.com
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Cavillare sulla strage di Piazza Fontana
Il terrorismo italiano, come sottolineato in precedenza, è peculiare rispetto ad altre forme terroristiche contemporanee. Lo scontro invase la scena politica, sociale privata e pubblica, dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta. Nei primi anni Settanta, la debolezza dell’esecutivo di fronte alle tensioni della società apparve in tutta la sua chiarezza ed evidenza non solo nelle frequenti crisi di governo, ma anche nel modo in cui fu affrontato il primo manifestarsi del terrorismo politico <98.
Il primo atto terroristico, che mise in luce l’incapacità di risolvere il caso, fu l’attentato del 12 Dicembre del 1969: gli apparati dello Stato fornirono prova della loro incertezza e inconcludenza che furono messe sotto accusa dall’opinione pubblica e dalla stampa di sinistra, la quale individuò nell’estrema destra fascista la matrice politica dell’attentato e denunciò le pesanti responsabilità dei servizi di sicurezza nel deviare le indagini verso un’improbabile pista anarchica. La pista “imboccata” dagli inquirenti all’indomani degli attentati fu quella appunto quela anarchica: le prime indicazioni vennero dagli apparati statali, i governanti le recepirono, gran parte della stampa e della televisione le rilanciarono, amplificandole, verso l’opinione pubblica che in maggioranza ci credette, almeno agli inizi <99.
Con il tempo la pista anarchica si rivelò fallace e si affermò la pista neofascista. La svolta in tal senso è collocabile nel 1972, tre anni dopo la strage. Tra le tante ipotesi giudiziarie, giornalistiche e storiografiche ventilate intorno all’impostazione delle indagini su Piazza Fontana, la sussistenza di un presunto patto segreto e inconfessabile tra due “cordate” capeggiate rispettivamente dal Presidente della Repubblica Saragat e dal Ministro degli Esteri Moro “è quella che più concerne le altre sfere politico-istituzionali e che al contempo, sarebbe anche il fondamentale motivo dell’impunità dei responsabili della strage”. <100
In un volume uscito nell’Ottobre del ’78, intitolato “Il segreto della Repubblica”, fu esposta per la prima volta l’idea che la verità su Piazza Fontana, prima manifestazione di terrorismo, sia stata celata mediante un “informale ma ferreo patto del silenzio tra le massime istituzioni, concordato il 23 Dicembre del 1969”. <101 L’opera in questione fu riscoperta negli anni Novanta dal giudice istruttore Guido Salvini e da allora ha riscosso maggiore interesse e veri e propri consensi. Il “Segreto della Repubblica” consisterebbe in un compromesso tra due ampie aree politiche, una autoritaria e quasi filo-golpista e una più cauta e non disponibile a ridurre gli spazi di democrazia <102.
La prima aerea faceva capo a Saragat mentre la seconda a Moro e l’accordo tra i due avrebbe previsto elezioni anticipate che avrebbero dovuto propiziare la fine del centro sinistra e i ritorno al centrismo e, in cambio Moro avrebbe rinunciato a dirottare le indagini relative alla Strage di Piazza Fontana dalla pista anarchica alla pista fascista. In questa maniera, la verità sulla strage fu sacrificata <103.
Il volume “Il segreto della Repubblica” fu pubblicato dopo il 1978 e riguardo al cruciale colloqui tra Saragat e Moro nel Dicembre del 1969 non vi era nessun documento. “Nessuno è tanto pazzo da rimproverare il presidente Saragat degli attentati, ma l’intera sinistra italiana sostiene che la sua strategia della tensione ha indirettamente incoraggiato l’estrema destra ad andare verso il terrorismo. È stato nel Luglio del 1969 che Saragat ha provocato la scissione dei socialisti italiani: la famosa coalizione di centro-sinistra crollò, lasciando la Dc di Rumor sola, in un governo di minoranza nel bel mezzo dell’uragano dell’autunno caldo. Le motivazioni di Saragat nel causare la scissione erano sottili: per risolvere la crisi si sarebbero indette nel nuovo anno le elezioni durante le quali la paura del comunismo avrebbe spazzato via la forte sinistra della Dc distruggendo le ipotesi di una coalizione con il Pci. La previsione non funzionò poiché il Pci emerse come il partito dell’ordine, lungi dall’incoraggiare il caos”. <104
Le forze politiche, all’indomani dell’attentato si espressero a caldo sull’accaduto e le opinioni furono discordanti, come era prevedibile. Nelle prime ventiquattro ore, a livello nazionale, quasi tutti si astennero da prese di posizione sull’identità degli stragisti a Milano. La sera del 12 dicembre del 1969, il consiglio provinciale approvò a maggioranza un documento che perentoriamente definiva “nazifascista” la matrice degli attentati <105. La direzione nazionale della Dc dichiarò che gli attentati esplosivi furono “il risultato di una predicazione della violenza come metodo e come fine nei rapporti sociali”. <106 Alla sorpresa per l’inaudita gravità dell’episodio si accompagnava un’ammissione di
disorientamento: “Nessuno riesce a trovare una qualche spiegazione che abbia un minimo sentore di logica, anche di logica aberrante e distorta”. <107 A Montecitorio, i liberali non formularono sospetti in alcuna direzione e puntualizzarono che “troppo a lungo si era tollerata in Italia non tanto una predica teorica della violenza, quanto l’educazione concreta alla violenza”. <108 Altrettanto agnostici furono i repubblicani, secondo i quali le bombe costituirono “l’allargamento di una situazione” <109 sempre più problematica. “Per i socialdemocratici, gli atti proditori scaturivano dall’intendimento di turbare un’evoluzione civile e sociale meritoria: la lotta di classe era un atto di civiltà e andava mantenuta nell’ambito del sistema democratico”. <110 Le immediate reazioni dimostrarono che esse non furono affatto un segnale convenuto tra politici e assassini per poi procedere alla repressione della protesta sociale. Da destra, missini e monarchici sostennero che il governo non tutelava il paese dalla dilagante sovversione di sinistra e che “a debolezza segue violenza e strage”. <111
Dopo ripetute indagini e ripetute ipotesi, il giudicato definitivo addossò la strage di Piazza Fontana agli ordinovisti padovani, tuttavia, la strage, non è mai stata rivendicata da Ordine Nuovo.
L’intuizione giusta della sinistra che la strage fosse stata eseguita dalla destra era guastata dalla visione semplicistica che si aveva di quest’ultima. La sinistra era convinta che tutti i fascisti fossero “servi dei padroni” e agissero come loro braccio armato. Essa ignorava l’esistenza di un fascismo anticapitalistico, antiborghese, antioccidentale e indisponibile al compromesso con le potenze che avevano debellato l’Italia. Tradizionalmente, il problema di come fosse considerata dall’opinione pubblica la condotta degli apparati statali, è stato trattato dagli storici con riferimento alla sinistra e, in particolare, a quella parte di essa che giustificò le proprie violenze presentandole alla stregua di risposte a uno Stato stragista <112. Mentre l’opinione pubblica, nei primi tempi, poteva solo supporre che fossero scattate protezioni nei confronti degli anarchici, i veri stragisti sapevano che la strage non era attribuibile a essi. Tra le varie ipotesi, i sostenitori della teoria di una “strage di Stato” non furono innocui e contribuirono a creare una risposta terroristica e violenta in quanto: “Coperture e apparati deviati sono cose gravissime, ma per parlare di terrorismo di Stato bisognerebbe dimostrare o almeno ipotizzare che un ceto dirigente di governo o una sua parte significativa abbiano pianificato stragi e assassinii. Terrorismo di stato è il nazismo, naturalmente. Sono Stalin, il regime militare argentino, i colonnelli greci. Ma deve avere una regia politica, istituzionale. E invece in Italia la formula è ripetuta con disinvoltura. Non ha senso rifletterci ora”. <113
Se lo Stato è un assassino e addirittura pianifica stragi, ne segue che la risposta violenta è legittima. L’erronea percezione dei sostenitori della teoria della strage di Stato va attribuita essenzialmente a loro stessi. L’idea che lo Stato fosse complice dello stragismo influì finanche su quei terroristi neofascisti i quali si batterono contro di essa, come dimostrano il caso di Vinciguerra e della coppia formata da Fioravanti e Mambro (appartenenti ai Nar). Quest’ultima ammetterà: “Eravamo cresciuti con l’idea, anzi con la paranoia, che a destra ci fossero infiltrazioni e addirittura agenti provocatori, proprio perché eravamo stanchi di sentir dire che i fascisti erano in combutta con i poliziotti, che erano il braccio armato del potere, abbiamo fatto tutto l’opposto, abbiamo risposto a modo nostro a quelle teorie che erano solo teorie tra l’altro, ci siamo cascati in pieno”. <114
Pertanto la percezione di uno Stato che non facesse giustizia, produsse all’estrema destra effetti non meno perniciosi di quelli prodotti a sinistra, con l’unica differenza che per quanto concerne la destra, il discorso era strettamente legato al comportamento degli apparati statali dopo la strage di Piazza Fontana e non alla progettazione ed esecuzione di essa. Su questo terreno “del dopo strage”, lo Stato ha di che rimproverare se stesso, quindi entro questi limiti, è parzialmente responsabile dell’immagine che diede <115.
Tra i disordini e le violenze, attentati dinamitardi, larghi margini d’impunità per gli autori dei reati, ripetute crisi di governo e peggioramento della situazione economica, all’inizio degli anni Settanta l’Italia diede “l’impressione di una società che fosse sul punto di crollare”. <116
[NOTE]98 G. Sabatucci, V. Vidotto, Storia contemporanea. Il Novecento, Laterza, Roma-Bari, 2011, p. 341.
99 V. Satta, I nemici della Repubblica: storia degli anni di piombo, Rizzoli, Milano, 2016, p. 179.
100 Ivi, p.
180.
101 Ibidem.
102 Ivi, p. 160.
103 W. Rubini, Il segreto della Repubblica, Selone, Milano, 2005, p. 119.
104 V. Satta, I nemici della Repubblica: storia degli anni di piombo, Rizzoli, Milano, 2016, p. 204.
105 Rea, Le bombe di Milano, Rizzoli, Milano p. 69.
106 V. Satta, I nemici della Repubblica: storia degli anni di piombo, Rizzoli, Milano, 2016, p. 204.
107 Ibidem.
108 Ibidem.
109 Ibidem.
110 Ivi, p. 205.
111 Ibidem.
112 Ivi, p. 268.
113 Intervista rilasciata a Gian Guido Vecchi e pubblicata con il titolo Strage di Stato? Corriere della Sera, 2008.
114 Intervista rilasciata a Zavoli per il programma La notte della Repubblica.
115 V. Satta, I nemici della Repubblica: storia degli anni di piombo, Rizzoli, Milano, 2016, p.265.
116 S. Tarrow, Democrazia e disordine, Laterza, Roma-Bari, 1990, p. 269.
Benedetta Lorenzale, L’impatto delle forze antisistema sul sistema politico italiano negli anni di piombo, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2017-2018
Solo durante i processi svoltisi a partire dagli anni Novanta venne fuori che l’iniziale incriminazione degli anarchici altro non fu che una mossa strategica; comunque, negli anni immediatamente successivi alla strage, niente poté provarlo. Nelle settimane successive, le frange estremiste di destra, attraverso Mario Tedeschi, direttore neofascista del settimanale “Il Borghese”, iniziarono a scagliarsi contro socialisti e democristiani aperti a dialogare con i comunisti, accusandoli come garanti dell’impunità dei veri colpevoli degli attentati del 12 dicembre; egli accusò i comunisti di essere passati «dalla agitazione di piazza al terrorismo <53», attuando, alla luce dei fatti emersi successivamente, una vera e propria azione di depistaggio. Allo stesso tempo, però, mentre le autorità italiane erano impegnate sulla pista anarchica, vari quotidiani britannici parlarono già apertamente della matrice nera all’origine dell’attentato, probabilmente nel tentativo di evitare qualsiasi iniziativa possibilmente dannosa per l’assetto democratico italiano, ma certamente seguendo una strategia precisa: confondere le acque avrebbe potuto spingere l’opinione pubblica ad estraniarsi dalle frange estreme (sia di destra che di sinistra), avvicinandosi ai moderati e allo stato, realizzando quindi l’obiettivo di sostituire il centro sinistra. D’altro canto, nel 1970 alcuni giovani anonimi militanti di Lotta Continua pubblicarono un libretto titolato “La strage di Stato”, secondo il quale la strage non ebbe matrice fascista, ma di Stato: i partiti di governo (esclusi i socialisti e la sinistra DC) e i poteri forti nazionali, sicuri anche del sostegno statunitense, avrebbero commissionato ai fascisti il compimento della strage non per abbattere il sistema, ma al contrario per rafforzarlo attraverso l’isolamento politico della sinistra, sulla quale sarebbero state addossate le responsabilità del fatto. Il pamphlet “La strage di Stato” offrì (e offre tutt’ora) una chiave di lettura molto distante da quella ufficiale del periodo – la pista anarchica – ritenendo che l’attentato di Stato mettesse nelle mani della sinistra un forte strumento di mobilitazione di massa in difesa dell’antifascismo, dei valori repubblicani e della costituzione: la mobilitazione popolare che ne uscì fu il primo ostacolo per gli eversori, i quali allo stesso tempo attendevano una violenta reazione del PCI, che al contrario delle aspettative cercò immediatamente di calmare la piazza per evitare di offrire pretesti per l’intervento delle forze armate. La pubblicazione modificò radicalmente l’idea del progetto eversivo sottostante la strage: sembrò emergere la strategia che avrebbe dovuto zittire l’ondata di contestazione giovanile e lotta operaia del ’68 e del ’69, tenendo al contempo il PCI lontano dal governo <54.
[NOTE]53 Tedeschi M, 28 dicembre 1969, “Terrorismo e Comunismo” in Il Borghese, p.1088
54 Ventrone A., 2019, “La strage di Piazza Fontana” da Il Politico, Università di Pavia, pp. 110-112
Lidia Puppa, La violenza politica degli anni di piombo: un confronto tra terrorismo rosso e terrorismo nero, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2022-2023
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Vinciguerra fu condannato all’ergastolo | Collasgarba
La vicenda di Vinciguerra è un unicum nella storia dell’eversione nera in Italia. Autodefinitosi fascista fin dalla giovane etàcollasgarba2 (Collasgarba)
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Non aver colto la «talpa dell’individualismo»
I partiti italiani erano strutturati secondo il modello organizzativo dei partiti di massa. Essi esprimevano appieno la loro identità politica, avevano un reclutamento e un insediamento territoriale, sezioni locali e coordinamenti regionali cui spettava il compito, oltre che di garantire radicamento e dibattito, di proporre formazione politica interna <17. Ma, pur essendo all’apparenza macchine perfettamente funzionanti, anche al loro interno si è cominciato a paventare un rischio anacronismo rispetto alle trasformazioni che interessano una società moderna e sempre più opulenta <18.
È quindi difficile ignorare o minimizzare eventuali problemi nella relazione con la società, che si affacciano sotto molteplici forme. Le macchine politiche cercano di andare incontro alla modernizzazione nell’intento di capire quale risposta offrire di fronte al crescente sviluppo in termini di individualismo e materialismo. In questa fase storica, che segna il passaggio dal tradizionale modello partitocratico alla personalizzazione politica, la concezione del conflitto è divergente rispetto ai paradigmi del passato <19.
Il compromesso storico è un fenomeno differente, perché pone al centro la sfida tra una nuova visione liberale (nonostante l’incertezza per la crisi economica) e quella classica organicista <20. Enrico Berlinguer e Aldo Moro, in tale ottica, sono protagonisti di un approccio meno legato agli apparati e più incline a prese di posizione in quanto singoli leader. Il conflitto regolato <21, ossia quello che si instaura tra Dc e Pci nel tentativo di fornire sbocco al rapporto, appartiene in linea teorica alla cultura politica liberale, che si affaccia dunque prepotentemente nel dibattito, avversando la logica in vigore fino a quel momento della contrapposizione a tutti i costi.
Questa nuova forma di relazione politica è un inaspettato mutamento di sostanza nel rapporto tra partiti e controllo del potere; da un punto di vista ideologico si rompe, quale prima conseguenza, lo schema della sinistra saldamente unita contro le forze governative, perché tale posizione, seppur portata avanti da Berlinguer nella veste di segretario, non trova tutti d’accordo, andando anzi incontro a critiche sia ai vertici che tra i militanti. La stessa strada di cambiamento è inseguita sul fronte opposto proprio da Moro, che destreggiandosi tra le correnti della Dc promuove con forza l’accettazione di un’idea caldeggiata in prima persona, apparendo quindi come un leader promotore di una posizione slegata dal partito stesso. Eppure, non si può ancora fare a meno di un’approvazione interna unanime, e la linea di massimo coinvolgimento di tutte le anime Dc <22 diviene possibile solo grazie alla sconfitta fanfaniana nel referendum sul divorzio del 1974.
C’è quindi una “scossa” nei rapporti tra i partiti che impatta sull’arena politica tradizionale, poiché emergono figure che in tal senso potrebbero risultare “scomode”, ma che di fatto aprono al decisionismo individuale come mai era realmente accaduto.
La solidarietà nazionale <23, non rispecchia però una solidarietà reale del Paese, che vive invece un periodo di spaccature, incertezze e dissenso verso le scelte dei partiti. Questi ultimi non sembrano capaci di orientarsi e reagire di fronte a un contesto che sta mutando radicalmente e a grande velocità, complice tra l’altro l’insicurezza generata dalla crisi economica e l’avvio di una progressiva spinta individualista e liberale. In altre parole, tali anni di solidarietà fanno cogliere i segni manifesti di una crisi profonda delle ideologie, legata in ogni caso ai processi di secolarizzazione <24.
A questa crisi vanno associati alcuni eventi che meglio definiscono i contorni dell’allontanamento sociale dalla sfera politica. In primo luogo, il referendum sul divorzio, nel 1974. In tale occasione la Democrazia Cristiana è costretta a fare i conti con un responso delle urne diametralmente opposto al suo orientamento. E si tratta di un primo segnale inviato al sistema partitico tradizionale, di cui lo Scudo crociato è il fulcro. Il clima diventa ancora più incandescente quando emergono i primi scandali sulla corruzione, quella che viene definita «la prima Tangentopoli» <25. Sono l’affare petroli e quello sulle forniture militari Lockheed, e con quest’ultimo si è già visto mettere alle strette persino il presidente della Repubblica Giovanni Leone. Sono inchieste di malaffare che mostrano agli occhi dell’opinione pubblica come in un sistema di tangenti siano implicati manager, dirigenti e persino ministri democristiani e socialdemocratici <26. Ma più in generale nei due scandali vengono coinvolti esponenti di tutti i partiti governativi, tra cui spicca la condanna e incarcerazione del segretario Psdi e Ministro della Difesa Mario Tarnassi (vicenda Lockheed). Nell’affare petroli vengono accusati i segretari dei partiti di governo di aver ricevuto fondi dall’Enel per condurre una politica energetica contraria alle centrali nucleari. Conseguenza sono le dimissioni da presidente del Consiglio, sempre nel 1974, di Mariano Rumor. La vicenda Lockheed, con le forniture militari della società statunitense e il primo caso nella storia della Repubblica di un Ministro incarcerato, si rivela ancora più travolgente per la scena politica. Entrambe sono però sintomatiche di una situazione estesa: i fenomeni corruttivi dilagano, l’economia mostra come si passi, nell’incrocio tra settore privato e pubblica amministrazione, sempre più dai tornaconti di politici, la cui immagine viene associata direttamente ai partiti di riferimento, costruendo un circuito di interessi personali <27. I settori dello Stato appaiono occupati dai partiti stessi, che si spartiscono presidenze e poltrone, una sorta di lottizzazione <28. Si ottiene in cambio la fedeltà delle persone designate, che garantiscono all’interno fonte di entrate con un finanziamento occulto e stabilità, ma che all’esterno acuiscono un calo di militanza attiva.
Lo scollamento tra i partiti e la realtà sociale è ben sintetizzato da Simona Colarizi: «Sono proprio le ideologie a cementare il legame di appartenenza ai partiti, che si traduce in fiducia fideistica […]. Un approccio più laico alla politica e uno sguardo più disincantato verso i partiti cominciano a emergere con la maturazione democratica e civile della popolazione, conseguenza dell’istruzione di massa e dell’omologazione agli standard dell’Occidente avanzato. Ma la realtà che i cittadini hanno di fronte è troppo lontana dall’immagine introiettata per tanti anni» <29.
In tutto ciò, il cambiamento della società favorisce una nuova instabilità politica e fa emergere problemi mai affrontati in concreto: si riaffaccia ad esempio la «questione meridionale» <30. Il tessuto civile del Mezzogiorno appare fortemente degradato, provocando situazioni di collusione tra fenomeni criminali e la politica stessa <31. Nel Sud Italia non mancano infatti i casi in cui il “voto di scambio” si rivela determinante ai fini dell’acquisizione di potere nelle amministrazioni locali o addirittura con riferimento ai seggi parlamentari. E di conseguenza si allargano le maglie della rete affaristica e criminale negli stessi settori pubblici. Un legame, quest’ultimo, che sfalda ancora di più quello tra politica e territorio, accrescendo il fenomeno dell’elettorato “volatile” o indirizzato dal “miglior offerente”.
I cittadini, nel frattempo, si predispongono alle nuove sfide del decennio e si apprestano ad affrontare con spirito diverso l’ondata di un secondo boom economico. L’Ego sta per diventare imperante in una società in procinto di subire una trasformazione radicale in termini culturali. La cosiddetta «doppia decostruzione sociale», il nuovo popolo di consumatori <32, comincia a svilupparsi proprio sganciandosi dalla realtà della politica, osservata in maniera meno partecipativa. I partiti appaiono distanti, si guarda con astio crescente il loro trentennale tentativo di accaparrare potere e poltrone, il peso invasivo delle loro strutture sulle istituzioni. La mancata presa di coscienza della nuova realtà sociale da parte delle organizzazioni partitiche, il non aver colto la «talpa dell’individualismo» ❤❤ che cominciava a scavare in profondità, fa perdere più di una corsa al treno del cambiamento.
I cittadini mutano prospettiva e interessi, cercano di farsi arbitri delle proprie scelte, rompono i legami di appartenenza con le grandi organizzazioni di partito creando le condizioni affinché possa ampliarsi l’area dell’elettorato di opinione <34. A emergere è la tendenza a valutare l’offerta politica in base ai propri interessi, soprattutto cercando la figura del politico decisore, colui che possa incarnare richieste, desideri e rispondere alle domande formulate con particolare enfasi dal nuovo e variegato ceto medio. La prontezza del leader è una caratteristica nuova nella Repubblica italiana, che comincia a essere ricercata proprio sul finire degli anni ’70, trascinandosi nel corso del decennio successivo. Gli italiani non accettano più quei politici abituati a rimandare all’infinito la soluzione di qualsiasi controversia <35. Il termine “risolutezza” <36 entra nel vocabolario comune, perché l’elettore è intenzionato ad affidarsi a qualcuno «in grado di parlare chiaro, forte, anche in maniera provocatoria, che mostri grinta e spessore, caratteristiche che la classe politica aveva poco coltivato» <37. Gli elettori sentono più che mai il bisogno di un leader. E qui la partitocrazia si divide tra una parte di apparati, maggioritaria, che affonda le gambe nella palude, mostrandosi incapace di dare una risposta immediata (non avendo spesso a disposizione una classe dirigente spendibile in tal senso), e chi invece a sorpresa, come il Partito socialista, anche in virtù della personalità del nuovo segretario Bettino Craxi, coglie l’opportunità di un rilancio <38. Ci si apre a un ritorno del concetto di leadership, quale rapporto di preminenza dell’individuo nei partiti politici, non subalterno o dipendente dalle decisioni degli altri dirigenti, bensì solido e rivolto direttamente all’elettorato di opinione.
Questo fenomeno, definito di “personalizzazione della politica”, è inevitabilmente collegato alla progressione di un’altra dinamica, ossia la crescita della leadership a scapito del regime partitico imperante fino a quel momento.
[NOTE]17 P. Ignazi, Il potere dei partiti, Laterza, Roma-Bari 2002, p.11.
18 Ibidem.
19 Ivi, p. 46.
20 Ibidem.
21 Ivi, p.47.
22 Ivi, p.59.
23 Ivi, p.80.
24 P. Scoppola, La Repubblica dei partiti, Il Mulino, Bologna 2000, p. 379.
25 S. Colarizi, Storia politica della Repubblica, cit., pp. 122-123.
26 Ibidem.
27 Ibidem.
28 Ibidem.
29 Ibidem., cit.
30 Ibidem.
31 Ivi, p. 124.
32 M. Gervasoni, Storia d’Italia degli anni ottanta, cit., p. 13.
33 M. Gervasoni, Storia d’Italia degli anni ottanta, cit., p. 14.
34 S.Colarizi, Storia politica della repubblica, cit., p. 134
35 M.Gervasoni, Storia d’Italia degli anni ottanta, cit., p.39.
36 Ibidem.
37 Ibidem.
38 S. Colarizi, Storia politica della Repubblica, cit., p.134.
Umberto Scifoni, L’evoluzione della leadership in Italia tra Craxi e Berlusconi, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2017-2018
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Pignio pignatico si rende superpignastico per pignare cose e cosine
L’altro giorno mi è venuta l’idea pazza che più pazza non si può etc etc… solito andazzo. Ma, per quanto l’andazzo sia sempre lo stesso del cazzo, il risultato delle mie macchinazioni è anche stavolta originale, e la primissima versione utilizzabile di esso è già in produzione da ieri sera. Occhi aperti sul nuovissimo gnammifico pezzo di software che è Pignio.octt.eu.org!!! (Che per poco non rischiava di chiamarsi Octterest…) 💣💫💥
Questo coso spunta fuori dal fatto che, negli ultimi tempi, stava uscendo sempre più la necessità per me di avere un merdino per salvare ed organizzare elementi come link singoli o file multimediali, anche e soprattutto al volo, e potenzialmente renderli accessibili al pubblico… non so: memini, reference, cose da stampare, forse roba PDF file, tutto sotto il mio controllo a prova di sparizione. Ovviamente, una cartella con varie sottocartelle (magari sincronizzata su una repo Git pubblica), che in altri casi sarebbe l’opzione più ovvia, nel complesso qui non va bene, perché l’agilità va a farsi benedire… ma, io sono pur sempre una ragazza magica, dunque non devo accontentarmi delle soluzioni esistenti!!! 😍
In effetti, di software specializzati per salvare cose ce ne sono a bizzeffe… ne hosto io stessa da anni uno per link e articoli dal web, Shiori… però, non so, manca in tutti quella cosa in più per questo caso d’uso… Tra cui, il fatto che è bello facile a salvare elementi singoli dentro tutti quei robi, ma se io ipoteticamente (…e praticamente) avessi cartelle già piene di roba sul PC, che stracavolo dovrei fare? Quindi, beh, semplicemente ho progettato Pignio per operare direttamente sul file system, pescando e salvando sia file che metadati da e su file nella cartella del server, e ho fuso insieme quei due universi che mai devono toccarsi, rispettivamente della banalità informatica e dell’alta informatica… in altre parole, è flat-file, e sono negativamente stupita del fatto che non esista alcun altro software lato server per questo scopo qui ma con questa caratteristica. 🤥
Ora è davvero nelle fasi iniziali, e funziona bene… bisognerà vedere poi quanto regge, soprattutto con decine o centinaia di migliaia di file multimediali da trovare sul disco, con altrettanti file INI messi affianco da cui vengono letti i metadati (e quanto sarà l’overhead sul disco avendo tutti questi file da poche centinaia di byte ciascuno), ma la struttura del file system (per gli elementi creati dalla app stessa, identificati da un ID Snowflake, non i file tirati da fuori) penso di averla architettata bene. Sarà davvero la prova definitiva per l’architettura flat-file, se davvero finisco per riempire il sistema con questo passo… ma, in compenso, una repo Git sarà perfetta per fare il backup di tali questi miei preziosi dati (cosiddetto “mio tessoro“), non avendo blob di database. 🤤
Lo stile dell’interfaccia, e a breve anche il sistema di raggruppamento di elementi in collezioni, vabbé, l’ho copiato spudoratamente da Pinterest, e mi sembra ben ovvio… ma, differenza di Pinterest, Pignio ha vantaggi molto tosti… in primis è mio, quindi posso sistemarlo per non avere tutti i bug di merda (Pinterest ne ha infiniti!), poi è self-hostabile, quindi i dati sono già sempre fisicamente in mano a me; e, in più, funziona senza JavaScript, e quindi anche su browser vecchi (pur se con un layout mezzo rotto su quelli, per via del framework che ho usato, UIKit)… figurarsi se io trascuravo proprio una cosa del genere. 😤
Il lavoro da fare è ancora tantino però (e te pareva), perché, a parte le collezioni, ci sono cose solo da sistemare. Cose piccole, come l’importazione automatica di elementi da feed RSS esterni (…ed implementare i feed della roba dalla app stessa)… ma poi anche cose grosse ma assolutamente necessarie, come avere un OCR automatico sulle immagini, o più in generale il riconoscimento dei contenuti per fare tagging automatico, così da ottimizzare la ricerca e potenzialmente avere un algoritmo di suggerimento utile in un’istanza con più utenti. A proposito… ancora non ho nemmeno finito di implementare i permessi per gli utenti, quindi non posso invitare ancora nessuno a provare la mia istanza… però, ho reso pubblico il codice già da ieri (nonostante inizialmente pensavo di aspettare un po’, perché potrei cambiare alcune cose della struttura dati… ma francamente non freca): gitlab.com/octospacc/Pignio. GODETE!!! 😈😳
#Dev #FlatFile #media #Pignio #Pinterest #selfhost #sviluppo #webapp #webdev
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dip 055
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Risulati UFC on ESPN 70: Lewis vs. Teixeira
UFC on ESPN: Lewis vs. Teixeira, conosciuto anche come UFC on ESPN 70, è un evento di arti marziali miste organizzato da UFC il 12 luglio 2025 presso la Bridgestone Arena di Nashville, Tennessee, Stati Uniti. Si tratta della settima visita della promozione a Nashville, la prima dal UFC on ESPN: Sandhagen vs. Font nell’agosto 2023.
L’evento ha come main event l’incontro tra il veterano e contendente al titolo dei pesi massimi Derrick Lewis e l’imbattuto brasiliano Tallison Teixeira.
Main card
- Derrick Lewis vince su Tallison Teixeira per TKO (pugni) al minuto 0:35 del Round 1 — incontro pesi massimi
- Gabriel Bonfim vince su Stephen Thompson per decisione divisa (28–29, 29–28, 29–28) — incontro pesi welter
- Steve Garcia vince su Calvin Kattar per decisione unanime (30–27, 30–27, 30–27) — incontro pesi piuma
- Morgan Charrière vince su Nate Landwehr per KO (pugni) al minuto 0:27 del Round 3 — incontro pesi piuma
- Vitor Petrino finalizza Austen Lane al minuto 4:16 del Round 1 — incontro pesi massimi
- Tuco Tokkos finalizza Junior Tafa al minuto 4:25 del Round 2 — incontro pesi mediomassimi
Preliminary card
- Chris Curtis vince su Max Griffin per decisione divisa (28–29, 29–28, 29–28) — incontro pesi welter
- Jake Matthews finalizza Chidi Njokuani al minuto 1:09 del Round 1 — incontro pesi welter
- Eduarda Moura vince su Lauren Murphy per decisione unanime (29–28, 29–28, 29–28) — incontro pesi mosca femminili
- Valter Walker finalizza Kennedy Nzechukwu al minuto 0:54 del Round 1 — incontro pesi massimi
- Mike Davis vince su Mitch Ramirez per TKO (ginocchiata volante e pugni) al minuto 4:08 del Round 2 — incontro pesi leggeri
- Fatima Kline vince su Melissa Martinez per TKO (calcio alla testa e pugni) al minuto 2:36 del Round 3 — incontro pesi paglia femminili
UFC on ESPN: Lewis vs. Teixeira in numeri
Bonus serata
- Performance della serata: Valter Walker, Fatima Kline
- Fight of the Night: Morgan Charrière vs. Nate Landwehr
Spettatori live
Dati su pubblico e incasso non resi noti ufficialmente.
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Senza confronto, senza trasparenza, senza donne – Appello per dare il via alla mobilitazione sul Piano Strategico del Governo
Giuristi Democratici sono tra i primi firmatari dell’appello proposto da “D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza” sul nuovo Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne del Governo Meloni. I temi dell’appello sono stati al centro dell’incontro on line di oltre 200 attiviste svoltosi l’11 luglio 2025 che hanno discusso le preoccupazioni per i rischi che porta con sè il Piano del Governo e lanciato le iniziative per il prossimo autunno in vista della manifestazione nazionale del 25 novembre.
Appello e mobilitazione per Piano Strategico Nazionale e Intesa Stato-Regioni – Il nuovo Piano Strategico del Governo: senza confronto, senza trasparenza, senza donne.
Chiediamo alle associazioni femministe e alla società civile tutta di condividere questo nostro appello per costruire un argine collettivo alle preoccupanti derive di questo governo.
Facciamoci protagoniste di una mobilitazione comune, forte e determinata: una risposta collettiva per il cambiamento culturale necessario alla libertà di tutte e tutti.
Una modalità unidirezionale, opaca, che ignora il valore della co-progettazione.
Il sistema antiviolenza e la definizione delle politiche e delle azioni di contrasto alla violenza sulle donne e di genere necessitano della visione e dell’esperienza delle associazioni femministe, da decenni presidio indispensabile nella protezione di donne e minori e nella prevenzione del fenomeno.
Il 17 aprile 2025 il Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio ha presentato il quadro operativo delle azioni programmate nel 2025-2026 alle organizzazioni e agli organismi pubblici senza, di fatto, coinvolgere i Centri antiviolenza nella sua progettazione.
Molti gli aspetti che preoccupano le tante organizzazioni che si occupano quotidianamente di contrastare e prevenire la violenza sulle donne in Italia.
Denunciamo la mancata coerenza nella definizione e nell’implementazione di politiche adeguate che partano da una corretta lettura e interpretazione delle radici patriarcali del fenomeno. A fronte del riconoscimento formale da parte di questo governo e della sua maggioranza di essere in prima linea contro la violenza, rivendichiamo l’importanza del riconoscimento dell’operato dei Centri antiviolenza con approccio di genere.
In particolare:
Nessun documento è stato condiviso prima. Alcun documento è stato mai condiviso, in contraddizione con i principi di trasparenza e responsabilità riconosciuti nell’ordinamento italiano (D.lgs. 33/2013): questa modalità unidirezionale e direttiva ha segnato tutti gli incontri svolti.
Il Piano ripete gli stessi errori già denunciati negli anni precedenti: Il quadro operativo presentato è in continuità con il piano 2021-2023 e ripropone le stesse criticità già rilevate dalle associazioni di donne e dalla valutazione effettuata da organismi indipendenti, incaricati e finanziati dallo stesso DPO per il precedente piano (progetto ViVa realizzato da CNR-IRPSS):
a) il numero di proposte di intervento è così elevato da non consentirne la messa in opera nel tempo di un triennio, anche presupponendo il contributo di diverse amministrazioni e/o soggetti alla loro attuazione;
b) un’articolazione imprecisa del quadro logico che rende molto complessa la costruzione di un sistema di monitoraggio e valutazione dell’efficacia degli interventi previsti, volta a verificare i cambiamenti auspicati;
c) la legge di bilancio 2022 (art. 1, comma 149, legge n. 234/2021), ha soppresso l’obbligo di trasmissione annuale alle Camere di una relazione sull’attuazione del Piano da parte del Ministro delegato per le Pari Opportunità.
Nessun confronto con chi ha esperienza diretta nel contrasto alla violenza maschile sulle donne Non è rispettato il modello di governance nazionale e territoriale indicato dalla Convenzione di Istanbul e con forza raccomandato dal GREVIO (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence), gruppo di esperte indipendenti del Consiglio d’Europa, che attribuisce un ruolo centrale alle organizzazioni femministe che si occupano in maniera esclusiva del contrasto della violenza maschile di genere che è ritenuto necessario per realizzare le adeguate politiche integrate e coordinate. Il non rispetto di queste indicazioni comporta l’esclusione di fatto dei centri antiviolenza dagli organi decisionali, l’emarginazione dei servizi specialistici per le donne (centri antiviolenza e case rifugio) che pongono l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne al centro del loro lavoro, oltre a determinare il rischio di adottare un approccio neutrale rispetto alla violenza di genere in violazione della Convenzione di Istanbul.
Senza trasparenza e verifica, le politiche restano sulla carta. Mancano misure di sistema valutabili nella loro applicazione ed efficacia nel breve, medio e lungo periodo. Una pianificazione efficace ed efficiente di azioni, infatti, può derivare esclusivamente da una solida base conoscitiva su cui si individuino le sfide, gli obiettivi, i tempi, le risorse, le responsabilità per colmare gap e intraprendere azioni innovative a completamento del quadro di sistema in cui deve intervenire un Piano strategico e coniugare in azioni un Piano operativo.
Le modifiche all’Intesa Stato-Regioni sui requisiti minimi dei Centri antiviolenza indeboliscono l’intero sistema di protezione: Allargare la platea dei soggetti finanziabili cancella la specificità dei Centri con approccio femminista. Si annulla l’autonomia delle donne come principio guida. Si apre la porta a interventi neutri, non specialistici, in contrasto con la Convenzione di Istanbul. Il rischio è che il contrasto alla violenza diventi un’azione generica, svuotata del suo senso politico e trasformativo.
Con queste premesse è urgente rivendicare:
Il diritto delle donne a vivere una vita libera dalla violenza. La garanzia dei tempi di elaborazione di politiche integrate. L’esecuzione puntuale di programmi. Co-costruzione di un documento politico e programmatico.
Il tutto non deve tradursi, come di fatto sta avvenendo, in un mero esercizio formale da assolvere senza alcun processo partecipato e condiviso.
Oltre alle organizzazioni socie della Rete D.i.Re, all’appello hanno già aderito:
- ActionAid Italia
- AIDOS
- Be Free
- CGIL
- Chayn Italia
- Cismai
- Giuristi Democratici
- Coordinamento Italiano della Lobby Europea delle Donne/LEF Italia
- NUDM – Non Una Di Meno
- Period Think Tank
- Udi, Unione Donne Italiane
- UIL
- Una Nessuna Centomila
Qui il modulo di adesione all’appello di D.i.Re
D.i.Re - Donne in rete contro la violenza
INSIEME A OGNI DONNA Trova il centro più vicino D.i.Re - DONNE IN RETE CONTRO LA VIOLENZA La Rete nazionale antiviolenza gestita da organizzazioni di donne Organizzazioni 89 Centri antiviolenza …D.i.Re - Donne in Rete Contro la Violenza
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16 lezioni di deleuze
radiofrance.fr/franceculture/p…
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Deleuze retrouvé : 16 leçons de philosophie
De l'idée du cri à sa réflexion sur le cinéma, Kant ou Spinoza, 16 leçons de philosophie de Gilles Deleuze, enregistrées à l'Université Paris 8 -Vincennes-Saint-Denis par ses propres étudiants entre 1979 et 1987.France Culture
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Palestina: la morte dell’Onu e del diritto internazionale
Il contributo apparso su Volere la luna del Co-Presidente Giuristi Democratici, Avvocato Roberto Lamacchia si interroga su quale potrebbe essere la risposta internazionale all’altezza della drammatica situazione in cui siamo immersi. Partendo dalla constatazione che la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale di Giustizia, pensate per garantire la possibilità di intervenire per affiancare all’ONU paralizzata dal diritto di veto, sono istituzioni monche, l’articolo analizza nel concreto la situazione in Palestina e si conclude affermando: “Non so quali soluzioni concrete siano immaginabili, ma credo che almeno un tentativo da parte dell’Onu di organizzare due, se non tre conferenze internazionali tenendo conto del conflitto Israele-Usa-Iran (una per ciascun conflitto) accompagnate da serie e decise prese di posizione delle Corti Internazionali, dovrebbe essere tentato: in caso contrario, si dovrà decretare la morte dell’Onu, delle sue Corti e del diritto internazionale.”
Palestina: la morte dell’Onu e del diritto internazionale
La drammatica situazione internazionale che stiamo vivendo – dall’aggressione russa all’Ucraina, che sta producendo almeno un milione di morti, tra militari e civili, al folle attacco di Hamas del 7 ottobre, che ha coinvolto oltre mille civili, uccisi o sequestrati, alla risposta sempre più genocidaria di Israele, che sta azzerando la popolazione palestinese di Gaza con bombardamenti e privazioni di cibo e di acqua, agli attacchi omicidiari di Israele nei confronti dei generali iraniani, all’attacco di Trump ai siti nucleari iraniani, senza nemmeno aver dichiarato una guerra, alla risposta iraniana che colpisce una base statunitense in territorio di altro Stato (e potrei continuare con Libano e Yemen) – richiederebbe ovviamente una risposta internazionale.
Proprio in previsione di simili situazioni, le nazioni si erano munite di una serie di istituti che garantissero la possibilità di intervenire (quanto meno per limitare, e poi sanzionare violazioni del diritto internazionale) da affiancare all’ONU, istituzione paralizzata dal diritto di veto che impedisce l’assunzione di decisioni cruciali per il mantenimento della pace. Sono nate, così, la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale, oltre che la Cedu per l’Europa e i Tribunali ad hoc per singole guerre. Purtroppo, questi organismi sono nati monchi.
Alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) non aderiscono tre dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu: Cina, Russia e Stati Uniti. Non aderiscono, inoltre, Israele, India, Iran, Egitto, Arabia Saudita, Turchia, Pakistan, Iraq, Libia e Sudan. La CIG è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite. Si occupa di risolvere controversie legali tra Stati membri e di fornire pareri consultivi su questioni giuridiche sottoposte da organi e agenzie specializzate delle Nazioni Unite. La sua funzione principale è applicare e interpretare il diritto internazionale.
Per quanto riguarda la Corte Penale Internazionale, la situazione circa le mancate adesioni è identica. Essa, infatti, conta 125 Stati membri, ma Stati Uniti, Russia e Cina (tre dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU) non hanno aderito, così come Israele, India, Iran, Egitto, Arabia Saudita, Turchia, Pakistan, Iraq, Libia e Sudan. La competenza della CPI è limitata ai crimini più seri che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme: genocidio, i crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimine di aggressione commessi da individui, a differenza, dunque, della competenza della Corte di Giustizia che giudica e sanziona gli Stati. La sua istituzione ha rappresentato un passo importante nella creazione di un diritto internazionale teoricamente estensibile a tutti i 192 Stati membri dell’ONU; in realtà, come detto, solo 125 Stati hanno sottoscritto lo Statuto di Roma che al suo articolo 8 sancisce la nascita della CPI, mentre altri 32 Stati hanno firmato il trattato di Roma, ma poi non lo hanno mai ratificato. A differenza della Corte Internazionale di Giustizia, la CPI non è un organo delle Nazioni Unite, pur se vi sono rapporti tra le due istituzioni relativi alla attivazione e sospensione temporanea dell’attività investigativa della Corte. Inoltre, i singoli Stati possono segnalare alla CPI casi che possono costituire crimini di guerra o contro l’umanità.
Ricostruito, così sommariamente, il quadro delle istituzioni che si occupano del diritto internazionale, vediamo qual è l’attuale situazione nel concreto, con particolare riferimento alla Palestina.
La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha affrontato diverse questioni relative a Israele: ha dichiarato illegale la presenza di Israele nei territori palestinesi occupati, ritenendo che quest’ultimo non abbia diritto alla sovranità su tali territori a causa della loro occupazione e sta valutando le accuse di genocidio mosse dal Sudafrica contro Israele nell’ambito della guerra a Gaza. La CIG ha emesso, in particolare, due ordinanze. Con la prima del 26 gennaio 2024 ha deciso di respingere la richiesta di archiviazione dell’esposto presentato dal Sudafrica e di procedere nell’esame del rischio di genocidio nei confronti di Israele per le operazioni a Gaza. Con una seconda ordinanza, del 24 maggio 2024, il Governo israeliano è stato accusato di aver violato gli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948 e, nello specifico, la Corte ha statuito che «lo Stato di Israele, in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, e in considerazione del peggioramento delle condizioni di vita dei civili nel governatorato di Rafah, dovrà: […] fermare immediatamente la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah che possa infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita che potrebbero portare alla sua distruzione fisica, totale o parziale; […] mantenere aperto il valico di Rafah per la fornitura senza ostacoli di servizi di base e assistenza umanitaria urgentemente necessari; […] adottare misure efficaci per garantire l’accesso senza ostacoli alla Striscia di Gaza di qualsiasi commissione d’inchiesta, missione d’indagine o altro organo investigativo incaricato dagli organi competenti delle Nazioni Unite di indagare sulle accuse di genocidio». Inoltre, lo Stato di Israele dovrà presentare alla Corte una relazione su tutte le misure adottate per dare attuazione all’ordinanza in parola, entro un mese dalla data della sua emissione, ovvero entro il 24 giugno 2024. Non è nemmeno il caso di ricordare come Israele non abbia tenuto in alcun conto le prescrizioni della Corte. Il successivo 19 luglio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha emesso un parere consultivo che ha avuto implicazioni significative per la situazione nei territori palestinesi occupati. La Corte ha affermato che gli Stati non devono riconoscere, sostenere o assistere la situazione illegale derivante dall’occupazione israeliana. Nello specifico, la Corte ha stabilito che gli Stati hanno l’obbligo di astenersi da qualsiasi attività economica o commerciale che possa consolidare la presenza illegale di Israele nei territori palestinesi occupati.
Quanto alla CPI, il 21 novembre 2024, la Camera preliminare I ha emesso due decisioni cruciali per la situazione nello Stato di Palestina. All’unanimità, la Camera ha respinto le richieste presentate da Israele ai sensi degli articoli 18 e 19 dello Statuto di Roma e ha emesso mandati di arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant. Israele aveva contestato la giurisdizione della Corte sulla situazione in Palestina e sui cittadini israeliani. Tuttavia, la Camera ha stabilito che la giurisdizione territoriale della Corte si estende alla Palestina, come precedentemente deciso. I mandati di arresto emessi riguardano presunti crimini commessi dai due esponenti politici israeliani, tra l’8 ottobre 2023 e il 20 maggio 2024, durante il conflitto in Gaza. La Camera preliminare ha riscontrato fondati motivi per accusare Netanyahu e Gallant di crimini contro l’umanità e crimine di guerra. Secondo la Corte, Netanyahu e Gallant hanno agito consapevolmente per impedire aiuti umanitari, violando il diritto internazionale umanitario. Tali azioni avrebbero causato malnutrizione, disidratazione e sofferenze gravi alla popolazione civile, con un impatto devastante su ospedali e infrastrutture essenziali. La Camera ha sottolineato che le restrizioni erano motivate politicamente e non da necessità militari. Le indagini stanno andando avanti. Sono fermi i mandati d’arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant, viste l’impossibilità di eseguirli e le dichiarazioni preoccupanti di molti paesi, tra cui l’Italia, che hanno reso noto di non volerli eseguire laddove ce ne fosse la possibilità. Non v’è dubbio che l’inerzia e, a volte, la contrarietà di alcuni Stati verso le iniziative delle Corti internazionali, potrebbero incidere negativamente sull’immagine di quelle Corti come strumento di regolazione e di tutela dei diritti dell’uomo. Non va dimenticato che le statuizioni della CPI, che riguardano, come è noto, i singoli responsabili dei crimini, possono avere piena valenza anche nel procedimento avanti la Corte di Giustizia, perché le motivazioni contenute nella decisione del 21 novembre 2024, che attribuiscono dolosamente a quei soggetti, responsabili della politica di Israele, lo stato di grave sofferenza per la popolazione palestinese che subisce malnutrizione e disidratazione, ben possono costituire motivazioni a sostegno dell’accusa di genocidio che la Corte di Giustizia aveva intravisto come rischio, per evitare il quale aveva espressamente imposto che Israele non mettesse in atto comportamenti tali da mettere in pericolo la sopravvivenza della popolazione, esattamente il contrario di quanto in concreto attuato da Israele.
Non v’è dubbio che l’attuale situazione bellica necessiterebbe di un intervento diplomatico, politico e giudiziario ed invece, nulla o poco più di nulla avviene. Nonostante la condanna dei comportamenti di Israele da parte della CGJ, la situazione non è affatto migliorata, anzi, i continui bombardamenti, l’ultimo dei quali su un Internet Café che sembra difficile collegare a una postazione di Hamas, e le restrizioni alla distribuzione di cibi e medicinali alla popolazione hanno ulteriormente aggravato la situazione. Ma come è possibile che, ad oggi, la CIG non abbia preso la decisione definitiva circa la sussistenza del genocidio di cui aveva segnalato il rischio nelle precedenti ordinanze? Una decisione sul tema della CIG non riuscirebbe a costringere Israele a cessare dai suoi comportamenti, ma sarebbe, dal punto di vista del diritto internazionale, un punto fondamentale. Analogo discorso può valere per la CPI pur se numerosi Stati hanno già dichiarato che non eseguirebbero i mandati di cattura qualora Netanyahu e Gallant si trovassero sul loro territorio. Si ripete, in definitiva, quanto avvenuto in relazione ai mandati di cattura nei confronti di Putin emessi dalla CPI sin dal 17 marzo 2023 e mai eseguiti.
Eppure, sia pure solo sul piano giudiziario, il diritto internazionale offre diversi strumenti per porre fine ai conflitti a partire dalla Carta delle Nazioni Unite che proibisce l’uso della forza, salvo il caso della legittima difesa, per dirimere le controversie internazionali. Il Diritto Internazionale Umanitario, le Convenzioni di Ginevra, il Consiglio di Sicurezza potrebbero costituire strumenti utili ai fini di mantenere la pace e la sicurezza internazionale. In caso di minaccia alla pace, violazione della pace o atto di aggressione. A questi strumenti si devono aggiungeregli strumenti diplomatici che cerchino di individuare soluzioni di mediazione tra i diversi interessi in campo. Il diritto internazionale offre un vasto arsenale di strumenti per prevenire e risolvere i conflitti, proteggere i civili e promuovere la pace e la sicurezza internazionale. L’efficacia di questi strumenti dipende dalla volontà degli Stati di rispettare le norme internazionali e di cooperare per il raggiungimento di obiettivi comuni. Ma il vero problema, oggi, è la totale irrilevanza dell’ONU, non in grado di assumere decisioni concrete per porre fine ai conflitti armati in atto; le sue appendici, CIG e, in parte CPI, hanno qualche margine di manovra in più, ma non riescono, poi, a concretizzare le loro prese di posizione. E tutto ciò porta a dover assistere impotenti a palesi violazioni dei diritti umani: dai civili ucraini uccisi nel corso dei bombardamenti russi, alla strage senza fine della popolazione di Gaza, agli omicidi telecomandati tramite droni da parte di Israele, agli attacchi da parte USA a uno Stato con cui non è formalmente in guerra.
E la soluzione, unica possibile in questa fase, sembra essere una pace tra Russia e Ucraina decisa tra Putin e Trump e, per quanto riguarda Gaza, la deportazione dei palestinesi in qualche ancora oscuro luogo e l’acquisizione di tutta la striscia da parte di Israele. Entrambe queste ipotesi di soluzione delle crisi sarebbero devastanti per i diritti umani: imporre ai cittadini ucraini una riduzione del loro territorio senza il loro consenso, e senza passare, quanto meno, da un referendum popolare, oltre ad essere inaccettabile per quelle popolazioni, sarebbe creare un gravissimo precedente che aprirebbe la strada a conflitti potenzialmente devastanti. Quanto a Gaza, è tale il ribrezzo davanti al programmato sterminio della popolazione civile da parte di Israele che mancano le parole per esprimere lo sdegno per quanto sta accadendo e per la malafede di chi lo giustifica in nome di una presunta difesa legittima o comunque rifiuta di esprimere una chiara condanna in nome di un presunto rischio di antisemitismo: condannare il genocidio (bisogna chiamare le cose con il loro nome) di Gaza non c’entra nulla con l’antisemitismo, è una condanna totale al comportamento del Governo israeliano.
Non so quali soluzioni concrete siano immaginabili, ma credo che almeno un tentativo da parte dell’Onu di organizzare due, se non tre conferenze internazionali tenendo conto del conflitto Israele-Usa-Iran (una per ciascun conflitto) accompagnate da serie e decise prese di posizione delle Corti Internazionali, dovrebbe essere tentato: in caso contrario, si dovrà decretare la morte dell’Onu, delle sue Corti e del diritto internazionale.
Roberto Lamacchia
Pubblicato in Volere la luna
Palestina: la morte dell’Onu e del diritto internazionale
di Roberto Lamacchia -- Le risoluzioni dell’Onu e i provvedimenti delle Corti internazionali sulla Palestina sono totalmente disattesi.Roberto Lamacchia (volere la luna)
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dip 054
penso abbia senso continuare a rivendicare la differenza/alterità – rispetto al mainstream o alle alternative ‘controllate’ al mainstream – della scrittura di ricerca.
penso cioè non siano assimilabili ad altro che a un discorso di ricerca e sperimentazione i materiali, p. es., che si trovano in NZ, di Antonio Syxty, o il lavoro di Rosa Menkman, quello di Miron Tee, Luca Zanini, Roberto Cavallera, Michele Marinelli, Mariangela Guatteri.
sono solo pochi nomi, ma individuano qualcosa di non riconducibile a norma, tante sono le differenze fra le varie ricerche (letterarie, artistiche, segniche eccetera). né si può dire che a loro volta intendano normare alcunché.
(anche) questo mi sembra il bello della ricerca, detto in poche parole.
#AntonioSyxty #dip #dip054 #dip054 #LucaZanini #mainstream #MariangelaGuatteri #MicheleMarinelli #MironTee #ricercaLetteraria #RobertoCavallera #RosaMenkman #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca #sperimentazione
Risultati della ricerca per “miron tee” – slowforward
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Salvate il soldato Jay Rod
Sono passati un po’ di mesi da quando Jacob Rodriguez fratello del più famoso Nicky Rod è stato beccato ad avere foto di porno star simili a delle compagne di allenamento.
E’ stato giustamente allontanato, e poco dopo ha anche postato un video di spiegazione dove diceva che doveva cercare supporto psicologico per questa dipendenza.
Nel frattempo sono passati mesi Jay Rod è stato silenzioso, nessuno ne parla più… è stato a tutti gli effetti Cancellato.
A me questa cosa mi fa torcere un po’ il naso. Se trovo corretto allontanare una persona da una palestra se è motivo di squilibrio trovo anche giusto mettere nel contesto più corretto.
Iniziamo dicendo che a esporlo è stata la ex-ragazza. Disinteressata o vendetta?
Chiediamoci poi è vietato masturbarsi? un ragazzo di 22 anni probabilmente con un piccolo aiutino di Testo è una bomba ormonale. Sarebbe strano il contrario.
La scena del BJJ è così sana e pulita tanto da usare Jay Rod come esempio negativo? Nemmeno! Abbiamo rapinatori, stupratori, picchiatori…
E’ corretto chiudere la carriera di un atleta, un po pirla di sicuro, ma dedito alla disciplina per una cosa del genere? Cosa succede a un uomo quando gli togli da sotto i piedi il suo hobby, la sua ossessione e il suo lavoro?
Quanto tempo può starne lontano?
Update: abbiamo scritto all’interessato e ci ha detto che la vita va bene.
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Astrocampania organizza una visita guidata su prenotazione presso l’Osservatorio Astronomico S. Di Giacomo in Agerola, un viaggio tra le nebulose della nostra Galassia nel cielo dell’alta costiera amalfitana.
Un coinvolgente spettacolo al Planetario per scoprire i segreti delle stelle, emozionanti osservazioni delle zone di formazione stellare della Via Lattea con l’ausilio di un potente telescopio da campo, il tutto sotto la guida esperta dei divulgatori di Astrocampania.
[…]
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Dissidenza di sinistra durante la lotta di Liberazione
A Torino, nel 1943, molto attivo nelle fabbriche, con un’adesione quasi pari a quella del PCI (duemila militanti) operava il Partito Comunista Integrale. A partire dal nome stesso, questo gruppo si considerava il depositario del vero marxismo, distinguendosi dal PCI, che sarebbe invece venuto meno ai compiti che si era proposto al momento della sua fondazione. Il Partito Comunista Integrale lavorava per la costituzione di un vero partito “leninista”, formato da quadri educati al rigore ed alla disciplina della lotta. Gli esponenti di spicco del gruppo erano Pasquale Rainone, operaio Fiat, licenziato dalle Ferrovie per la sua attività politica, molto conosciuto nelle fabbriche e nella Barriera Torinese per la sua presenza attiva nelle lotte. Insieme a lui operava Temistocle Vaccarella, di professione cappellaio, originario di Avellino. Essi non condividevano appieno le analisi della situazione (Vaccarella era molto più critico verso il PCI, più intransigente), ma erano accomunati dal medesimo impegno politico nelle fabbriche. Il gruppo pubblicava il giornale Stella Rossa, e i suoi militanti furono i primi a formare, dopo l’8 settembre, le bande armate contro i nazifascisti, rivendicando un antifascismo rivoluzionario, al di fuori di ogni alleanza con le forze borghesi. Nelle fabbriche avevano anche organizzato i loro GAP, distinti da quelli del PCI. Fra i gruppi dissidenti erano i soli a tentare una distinzione di classe tra nazisti e proletari tedeschi, anche se questa differenziazione era sostenuta solo a livello teorico. La critica, dai toni anche molto duri, che rivolgevano al PCI, definito “centrista”, era di partecipare al tentativo borghese di cloroformizzare le masse, attraverso la democrazia, che non era altro che la maschera borghese del capitalismo, allo stesso modo del fascismo. La contraddizione di fondo della loro impostazione politica, che caratterizzava tutti i gruppi dissidenti con l’unica eccezione del PCint., era il giudizio sull’URSS. Il PC integrale si riteneva il rappresentante del socialismo sovietico in Italia: nessuna critica era mossa allo stalinismo e all’URSS, anzi, gli attacchi portati al PCI erano condotti in nome del “paese del socialismo”, del quale offrivano un’immagine creata da loro stessi. Di conseguenza, la critica al PCI investiva l’operato del partito dalla caduta del fascismo in poi. A Stella Rossa non furono risparmiati gli attacchi diffamatori del PCI. Il grosso seguito che il gruppo aveva nella situazione operaia torinese lo rendeva pericoloso agli occhi dei dirigenti del PCI. Al PC integrale erano rivolte le solite accuse di attendismo. Le invettive erano rivolte prevalentemente contro il “sinistro” Vaccarella, ma nei suoi confronti si andò oltre gli attacchi verbali.
[…] Un altro gruppo di dissidenti era quello riunito attorno al giornale Il Lavoratore di Legnano. Legnano era una città a forte tradizione operaia, c’erano nuclei attivi di operai comunisti, che dopo la caduta del fascismo si trovarono su posizioni più a sinistra del PCI. Il gruppo de Il Lavoratore criticava l’accordo politico del PCI con le forze borghesi, ma non metteva in discussione il suo ruolo e accettava la coalizione dei CLN. Essi ritenevano che la lotta del proletariato contro il nazifascismo, dovesse avere un carattere essenzialmente anticapitalistico e non propugnavano alcuna “democrazia progressiva” o “popolare”, ma la lotta prima contro il nazifascismo e poi contro il capitalismo. Rispetto agli altri gruppi, non esaltavano l’URSS. I personaggi più rilevanti dell’organizzazione erano i fratelli Venegoni; Carlo era stato fra i costitutori del Comitato d’Intesa ed in seguito si era schierato con Gramsci. <23 Nel 1942 aveva avuto, al momento della formazione del PCint., dei contatti con Maffi, il quale gli aveva proposto di entrare nel partito, ma egli aveva rifiutato. Il gruppo era vicino al PCI ma era da esso attaccato al pari degli altri dissidenti, in particolare per i contatti avuti con Prometeo e Stella Rossa. Esso fu riassorbito nel partito nel luglio 1944. Molto vicino al gruppo de Il Lavoratore, con il quale intratteneva anche rapporti di collaborazione, c’era un gruppo di esponenti della sinistra del PCd’I formato da vecchi militanti del partito, Repossi, Fortichiari, Mario Lanfranchi, Della Lucia. <24 Essi si incontravano già negli anni ’30 e avevano stilato documenti a volte firmati a nome di un “Gruppo comunista” o “Sinistra comunista”. Essi lavoravano parallelamente agli altri gruppi, con i quali concordavano su molti aspetti. Nel 1943, Fortichiari aveva chiesto di entrare nel PCI dove fu ammesso solo dopo il 25 luglio, insieme a Repossi era stato contattato da Damen e anche da Maffi per un confronto su alcune questioni politiche. Egli non credeva nella politica del PCI, ed era molto critico sull’URSS, ma riteneva possibile cambiare qualcosa solo agendo all’interno del partito.
[NOTE]23 Ibid., p. 205 e sgg.
24 Mario LANFRANCHI fu in un certo senso il finanziatore della Frazione, possedeva una azienda concessionaria di macchinari agricoli tedeschi esclusiva per la Francia. Nella stessa fabbrica lavorava Della Stella e suo figlio. Egli permise alla figlia di Damen di proseguire i propri studi. (Testimonianza di Piero Corradi).
25 B. FORTICHIARI, cit., pp. 170-176.
Angela Ottaviani, La sinistra comunista dai Fronti Popolari alla Resistenza, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Anno Accademico 1990-1991
A livello ufficiale, il Partito comunista tacciava con un termine dall’odore di anatema tutti coloro che si ponevano alla sua sinistra: ‘sinistrismo’, variabile di ‘estremismo’ e, ancora più antico, ‘trotzkismo’. Famoso resta l’infelice articolo di Pietro Secchia dal titolo “Sinistrismo maschera della Gestapo” <296, con il quale alcuni storici hanno ipotizzato si era giustificata dalle pagine de l’Unità la condanna a morte di alcuni leader partigiani di gruppi trotzkisti o antisovietici, ma non solo: il dubbio di una simile condanna pesa anche sulla figura di Lelio Basso, socialista rivoluzionario, tra i più agguerriti oppositori alla politica di unità ciellenista a tutti i costi <297. Scritto peraltro da un esponente di primo piano del PCI sospettato più avanti egli stesso di estremismo interno, esso sembra rivolto anche a un certo sinistrismo proprio di quadri e militanti del partito; in questo caso il termine utilizzato è ‘settarismo’, per indicare un senso di appartenenza tale al partito e alla classe operaia da incrinare la linea stessa del partito. Infatti “L’estremismo entrava più nel merito e proponeva contenuti diversi e tempi veloci facendo coincidere la grandiosità dell’obiettivo con l’immediata possibilità di realizzarlo. Non si trattava tanto di malattia infantile, quanto di intensità della richiesta. Nella realtà avveniva un complicato gioco di relazioni fra settarismo ed estremismo, che dava vita a forme varie di ‘sinistrismo’ “. <298 Significativo, da questo punto di vista, il gruppo milanese riunito attorno ai fratelli Venegoni e al giornale “Il Lavoratore”: “La sola formazione esterna al Pci presente con solidi legami di massa è quella che si esprime attraverso ‘Il Lavoratore’: è un gruppo locale, ed opera nel circondario di Legnano dove il suo ascendente è molto forte. Dal giornale emergono molto forti le riserve sullo stalinismo del Pci, e dai rapporti conservati nell’archivio del Pci si desume anche che un’aspra polemica lo contrapponeva al partito perché quest’ultimo sarebbe stato presente troppo debolmente negli scioperi di marzo [1943, nda]”. <299
Anche se, nel giudizio espresso da Luigi Longo a Roma, il gruppo è orientato in senso estremista, ma non antipartito. <300 E ancora più importante risulta il gruppo bassiano del Movimento di unità proletaria fondato il 10 gennaio 1943 e che per lungo tempo, dopo il rientro di Basso nel PSI (nel settembre ’43), rappresentò l’unica formazione antiattendista in campo socialista <301. La figura di Basso è piuttosto particolare: esponente di un socialismo operaista dichiaratamente rivoluzionario, favorevole all’unità di intenti con il PCI e al tempo stesso critico da sinistra sulle posizioni di compromesso che la dirigenza comunista assume dopo la svolta di Salerno.
[NOTE]296 Ricordiamo, per correttezza, nonostante la palese asimmetria organizzativa, che anche nel fronte estremista ci sono state prese di posizione radicalmente antagoniste, come quella comparsa il 1° marzo 1945 nell’articolo ‘Sulla guerra’ sul giornale bordighista Prometeo in cui si affermava che ‘alle tre maschere del nemico di classe (democrazia, fascismo, sovietismo), il proletariato risponde trasformando la guerra in rivoluzione’.
297 Cfr. G. Monina, Il Movimento di Unità Proletaria (1943-1945), Carocci Editore 2005
298 C. Pavone, Una guerra civile, op. cit., p. 367
299 L. Ganapini, op. cit., p. 67
300 Lettera del 6 dicembre 1943, in C. Pavone, Una guerra civile, op. cit., pp. 370-71
301 Se consideriamo che le Brigate Matteotti, legate appunto al PSI, furono fondate solo dopo la metà del 1944.
Elio Catania, Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016-2017
«Le formazioni che si svilupparono alla sinistra del Pci e del Partito socialista, oltre a contrastare i due partiti sul piano politico, riuscirono a conquistarsi un seguito alquanto notevole, anche se solo per alcuni mesi. La “dissidenza” di sinistra, se così si può definire, non era tipica di alcune zone d’Italia ma si estendeva su tutto il territorio occupato e travalicava i confini militari per ripresentarsi nell’Italia liberata dalle truppe alleate» <26.
Queste parole aiutano a comprendere quale sia stata l’effettiva espansione e l’incidenza di questo fenomeno, i cui strascichi possono essere individuati a fasi alterne anche per un lungo periodo del dopoguerra.
La nascita di queste esperienze può essere collocata nel periodo compreso tra l’8 settembre e l’effettiva occupazione del territorio italiano dalle truppe tedesche, quando il governo monarchico di Badoglio rese esplicita, ancora una volta, la volontà di proseguire la guerra, questa volta schierato al fianco dell’esercito alleato.
Le agitazioni e gli scioperi che si susseguirono in questo momento di transizione costrinsero le autorità centrali a coinvolgere nell’azione di governo i partiti antifascisti appena usciti da una clandestinità durata vent’anni. L’azione di quest’ultimi, se in qualche modo fornì maggiore legittimità alle istituzioni, venne vista da sinistra come un tradimento rispetto alle aspettative rivoluzionarie delle classi lavoratrici e come un modo per inserire la guerra di liberazione entro gli argini di una non meglio identificata lotta democratica.
«Per il Pci e il Psi non si trattava infatti di mettere in discussione il potere di quella borghesia che aveva convissuto col fascismo nel ventennio appena trascorso, ma di allearsi con quei settori che ne accettavano la guerra democratica. Era in pratica la riproposizione delle guerre risorgimentali per riconquistare l’unità del territorio nazionale, con una differenza sostanziale: questa volta la classe operaia, ormai diventata “classe nazionale”, doveva porsi come forza d’avanguardia e d’esempio alle altre classi» <27.
In questo contesto ebbero dunque gioco facile i proclami oltranzisti che avevano caratterizzato la componente massimalista del PSI e quella bordighista del PCI in seguito al congresso di Livorno nel 1921. Branditi con entusiasmo dalle generazioni più anziane di militanti, queste dichiarazioni ebbero l’effetto di una calamita per quei tanti che non avevano soppresso i propri ideali durante i lunghi anni di dittatura fascista.
Al settarismo di questa componente, che legava alla militanza un forte richiamo simbolico alla tradizione <28, si affiancò un estremismo dettato dalla volontà di fare tutto e subito, di segno differente rispetto alle velleità dei
vecchi militanti. Era la spinta in avanti di quei giovani che intravedevano nella guerra partigiana un’occasione di riscatto, un afflato rivoluzionario che andava colto nella sua interezza prima di essere soffocato dalla reazione delle forze borghesi.
«Dell’aspettativa che la caduta del fascismo travolgesse con sé anche il capitalismo non esisteva soltanto una versione dotta, catastrofica e terzinternazionalista […]. Esisteva anche una versione vissuta attraverso l’immediata identificazione del fascista con il padrone e l’aspettativa di un mondo nuovo, del socialismo o del comunismo (la distinzione fra i due termini, nettissima sul piano pragmatico e di partito, sul piano dei principi ideali sfumava fino a dissolversi)» <29.
L’alternanza tra queste due anime, il cui contrasto non è così netto come potrebbe sembrare, si aggregò nei gruppi dissidenti, pur formando elaborazioni ideologiche differenti: secondo Pavone <30 ci fu infatti chi si attestò su posizioni di attendismo messianico in nome della purezza della lotta di classe, e chi si lasciò trasportare da una sorta di “settarismo militare”.
Nessuna di queste posizioni, d’altronde, era estranea all’humus militante del PCI, ma creò un precedente allarmante nel momento in cui diede origine alla nascita di organizzazioni dissidenti.
Questa “area grigia” della dissidenza faceva capo a una moltitudine di riferimenti ideologici, che passavano dal sindacalismo anarchico al cosiddetto “bordighismo” (i cui confini teorici rimangono molto sfocati) per approdare allo scissionismo trockista. Il “sinistrismo”, come verrà definito dai vertici del PCI, comprendeva vaste aree di delusi dalla politica centrista, e venne pesantemente attaccato dagli organi ufficiali del CLN e dei partiti che vi facevano parte.
La sua presenza e la sua intensità furono tanto maggiori in quelle aree in cui il radicamento dei partiti ufficiali era più difficoltoso, soprattutto nelle grandi metropoli industriali come Torino e Milano. Nel sud Italia prese forma soprattutto tramite la ricostituzione della Confederazione Generale del Lavoro e scontò una forte avversione anche da parte del governo badogliano, laddove la presenza degli alleati avrebbe dovuto garantire un “ritorno alla normalità” tramite una spietata repressione nei confronti dei moti popolari.
Nel Nord, infatti, la contiguità tra le lotte operaie e la guerriglia partigiana aiutò in qualche modo a saldare il mito della liberazione nazionale con quello del “balzo in avanti” delle classi lavoratrici, accentuando anche le aspettative nei confronti di quella che si andava prospettando come “insurrezione finale”; nel Sud, partendo da Roma, l’insofferenza per la monarchia e il nuovo fascismo “mascherato” rinsaldarono la consapevolezza di dover superare le ambiguità della politica di unità nazionale e pretendere da subito alcune priorità: risoluzione delle urgenze economiche dei braccianti agricoli, maggiori agevolazioni in campo politico e smantellamento del vecchio ordinamento fascista.
In certi casi, le parole d’ordine altisonanti e la condotta meno politica e più spontanea di alcuni gruppi dissidenti può sembrare anacronistica o improduttiva ai fini del nuovo orizzonte politico che andava delineandosi in Italia, ma non va dimenticato come questi atteggiamenti fossero sicuramente condivisi da buona parte di quel segmento di popolazione che aveva intravisto nel PCI e nel PSI una concreta prospettiva di rinascita rivoluzionaria a guerra conclusa.
«E’ la voce di piccole sette, di gruppi già “dormienti” e che ora, illudendosi che stia per scoccare l’ora suprema dei conti con la borghesia, esprimono tutto il loro estremismo infantile? E’ un’azione di provocatori più o meno inconsci? E’, se non proprio una maschera della Gestapo <31, almeno una maschera dell’opportunismo attendista? Anche se esistono questi connotati, compresa la provocazione, il fenomeno indica piuttosto che all’inizio della lotta di liberazione emerge uno stato d’animo, tornano alla luce convinzioni dottrinali, tradizioni, impulsi di radicalismo classista, che sono più generalizzabili. Li troveremo per esempio nel Sud nelle file del Partito comunista e del Partito socialista, difesi dai quadri oltre che dalla base, li avvertiamo in nuclei operativi del Nord, tra gli intellettuali, i giovani, li sentiamo trapelare nei dibattiti dei gruppi dirigenti. E non è qui che sia dato di vedere una forte differenza tra Milano e Roma» <32.
E’ più che verosimile che queste dissidenze non costituirono mai una reale alternativa ai partiti di sinistra, soprattutto a causa della loro forte repulsione verso le politiche centriste del CLN, così come è un dato che, allo stesso tempo, esse «non furono in grado di recidere fino in fondo il cordone ombelicale che le legava alle ideologie della sinistra istituzionale» ❤❤. E’ però vero che esercitarono un’effettiva influenza sulle masse più politicizzate della penisola, e il loro contributo di elaborazione teorica fu a sua volta riutilizzato dal PCI per assorbire il dissenso e mantenere una certa credibilità anche sul fronte delle aspettative rivoluzionarie.
I tentativi di questi gruppi di andare verso una piattaforma allargata e condivisa che si ponesse come un reale contraltare alla sinistra del CLN furono per lo più infruttuosi e scontarono, oltre alle divergenze ideologiche, anche una ferma opposizione sia da parte del governo centrale che dai militanti del “centro”.
E non sono ormai più un mistero nemmeno i tentativi (spesso riusciti) da parte del PCI di mettere a tacere una volta per tutte queste voci scomode tramite agguati e omicidi, per lungo tempo attribuiti alla rappresaglia fascista.
L’indebolimento che ne conseguì, unito all’assottigliamento delle divergenze teoriche tra le dissidenze e i partiti ufficiali della sinistra, convinse buona parte dei militanti che un “fronte unico” durante la guerra avrebbe favorito in larga parte una riorganizzazione della società in senso comunista a guerra terminata. L’assimilazione dei gruppi dissidenti divenne realtà anche prima dell’aprile 1945, ad esclusione di quei movimenti, decisamente minoritari, già precedentemente organizzati in partiti e le cui strutture potevano vantare una certa organicità. Il loro contributo subì una rimozione forzata all’interno dell’immaginario collettivo, per poi manifestarsi ciclicamente sotto nuove forme per un lungo periodo del dopoguerra, a dimostrazione del fatto che, se alcune voci erano state poste sotto silenzio, non valeva il medesimo discorso per i tanti militanti di base ancora illusi che l’alba nuova del socialismo non avrebbe tardato ad arrivare anche in Italia, magari accompagnata dalle divisioni dell’Armata Rossa sovietica.
[NOTE]26 PEREGALLI A., La sinistra dissidente in Italia nel periodo della Resistenza, cit., p.63
27 Ibidem, p.61
28 «Settarismo, superiorità, saluto con il pugno chiuso, stella rossa, politica integrale, sfiducia e critica a tutto e tutti […]». PAVONE C., Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, cit., p.366
29 Ibidem, p.351
30 Ibidem, pp.366-370
31 Il sinistrismo e la maschera della Gestapo, in “La nostra lotta”, a.I, n.6, dicembre 1943, pp.16-19 è un articolo quasi sicuramente redatto da Pietro Secchia in cui vengono attaccati i più famosi gruppi dissidenti del nord Italia con l’accusa di essere agenti provocatori al soldo dei nazifascisti. Tornerò ad occuparmi più approfonditamente di questo articolo nel secondo capitolo.
32 SPRIANO P., Storia del Partito comunista italiano, cit., p.102
33 PEREGALLI A., L’altra Resistenza. Il Pci e le opposizioni di Sinistra, Graphos, 1991, cit., p.11
Tommaso Rebora, Oltre il PCI: “Stella Rossa” e i gruppi dissidenti nella Resistenza italiana, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Anno Accademico 2012-2013
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Gruppi comunisti dissidenti nella Resistenza italiana | Storia minuta
Quello del radicalismo classista è un aspetto del movimento resistenziale italiano ancora oggi affrontato con superficialità all'interno del dibattitostoriaminuta (Storia minuta)
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Parcheggio Sanzio, un’occasione sprecata per il verde cittadino
Nessuno ricorda più l’intervento dell’allora sindaco Raffaele Stancanelli alla conferenza finale del progetto europeo GRABS (acronimo di Green and Blue Space Adaptation for Urban Areas and Eco Towns) sulle strategie di adattamento delle città al cambiamento climatico.
A proposito di questo intervento, scrivemmo allora su Argo che Stancanelli, con sussiego accademico, “come fosse […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/07/12/parc…
#GiuntaTrantino #parcheggioSanzio #RaffaeleStancanelli #SinistraItalianaCatania #verdeUrbano
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Aldo Moro lasciò la corrente dorotea della Dc
L’Autunno caldo era solo la miccia della bomba presente nella polveriera italiana. Il resto dell’ordigno, che avrebbe dato il via ad anni di terrore, scoppiò poco dopo. Il 12 dicembre del 1969 all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in Piazza Fontana a Milano, si verificò un attentato nel quale rimasero uccise 16 persone e ferite oltre ottantotto. Del fatto furono frettolosamente incolpati gli anarchici, quando in realtà si scoprì seppur con ritardo che la mano dietro il detonatore era quella dei neofascisti e delle forze reazionarie del paese. La strage di Piazza Fontana, come scrive Salvadori, “aprì un capitolo tragico della storia italiana, segnato dal gonfiarsi sia di gruppi terroristici di destra sia di quelle extraparlamentari di sinistra votatisi entrambi all’eversione delle istituzioni” <196. Due movimenti anti-stato <197 presentatisi con ambizioni diverse, uno mirante all’instaurazione di uno stato autoritario e l’altro alla rivoluzione del proletariato, ma che finirono entrambi a condividere l’attacco al cuore dello stato, che avrebbe dovuto mettere al bando un sistema politico e partitico che non aveva saputo più rispondere all’esigenze di un paese insofferente sotto il profilo sociale ed economico.
Il secondo governo Rumor chiuse la sua esperienza nel febbraio del ‘70 circa due mesi dopo la strage di Milano. Il democristiano fu però reincaricato di formare un terzo esecutivo che guidò il paese fino al luglio dello stesso anno: vi parteciparono democristiani, repubblicani, socialisti e socialdemocratici. Le quattro forze politiche sottoscrissero in quei mesi una sorta di preambolo <198, redatto dal nuovo segretario Dc Forlani, che prevedeva l’allargamento della formula del centrosinistra anche alle amministrazioni locali. Una linea che ribadiva come obiettivo delle alleanze del centro-sinistra l’esclusione dal dialogo politico del Pci. Una scelta quella di escludere i comunisti che non apparve più accettabile agli occhi di Aldo Moro. L’ex segretario democristiano lasciò la corrente dorotea parlando di “tempi nuovi” <199 che dovevano mirare ad affrontare i problemi che avevano condotto operai e studenti a non sentirsi più veramente partecipi nella società. E fu su questa scia che Moro varò la “strategia dell’attenzione” <200 verso i comunisti al fine di aprire “un impegnativo confronto con il Partito comunista in ordine ai problemi vitali della società” <201.
Dopo Piazza Fontana, primo atto della “strategia della tensione”, una serie di azioni eversive iniziarono a farsi largo nel paese complici anche le incapacità di intervento dei governi. Nel dicembre del 1970, Junio Valerio Borghese già comandante della X Mas nella Repubblica di Salò insieme ad alcuni neofascisti, guardie forestali e con la complicità dei servizi segreti tentò l’occupazione del Viminale per dare luogo ad un golpe che però non riuscì. L’eversione della destra si fece ulteriormente sentire nelle rivolte di Reggio Calabria e dell’Aquila tra l’estate del 1970 e gli inizi del 1971 e al contempo andava sempre più rafforzandosi l’arcipelago di organizzazioni <202 della sinistra extraparlamentare che, complice anche l’erronea valutazione della loro pericolosità da parte dei vertici comunisti e socialisti, finirono ben presto per divenire un vero e proprio partito armato <203 che iniziò a macchiarsi di rapimenti e omicidi.
Nell’estate del 1970 a Rumor successe, alla guida di Palazzo Chigi, Emilio Colombo che diete vita a una “versione sempre più stanca del centro sinistra”204 che riuscì, nonostante le fortissime ostilità delle gerarchie democristiane, ad approvare la legge sul divorzio che era stata proposta dal socialista Fortuna e dal liberale Baslini e sostenuta da Pri, Psi, Psiup e Pci. L’approvazione della sola legge sul divorzio non appariva comunque sufficiente per valutare positivamente le esperienze dei governi di centro-sinistra succedutisi a partire dal 1968. A non sostenere affatto gli esecutivi furono anche i partiti che al loro interno, dopo l’avvio della V legislatura, registrarono scontri e situazioni difficili. Primi tra tutti i socialisti i quali dopo la sconfitta del Psu e la mancata partecipazione al governo di Giovanni Leone tornarono a sciogliere il partito ricostituendo il Psi e Psdi. La faticosa tela <205
intessuta da Nenni e Saragat iniziò a lacerarsi dopo meno di un anno proprio perché i socialisti e i socialdemocratici avevano voglia di tornare di nuovo alle urne – le amministrative e le regionali del 1970 – con i vecchi simboli e assetti politici. “Non è però possibile cancellare con un tratto di penna un percorso politico e fingere che nulla sia successo” <206 scrive la Colarizi a proposito del ritorno alle vecchie bandiere del Psi e Psdi. I socialdemocratici decisero di virare verso “destra” convinti che fosse giunto il momento di frenare la corsa delle sinistre più radicali e di ricostruire un argine al comunismo con un percorso diametralmente opposto alla nuova “strategia dell’attenzione” <207 varata da Moro e sposata dal Psi. Ovviamente lo scontro tra socialdemocratici e socialisti si consumava all’interno del governo determinando così “l’instabilità permanente della coalizione” <208.
Nel Psi l’uscita di scena di Nenni lascerà spazio a due nuovi leder: Mancini e De Martino i quali ritenevano necessario un nuovo percorso per far ripartire il partito senza però uscire dalla dimensione del governo che assicurava posizioni di potere <209 anche se queste non si rivelarono fruttuose al livello di voti. Per quanto concerneva l’area nella quale rintracciare nuovi consensi le idee di Mancini e De Martino sembrarono distanziarsi seppur mai entrare in contraddizione. Il primo riteneva che si dovesse guardare alle spinte moderne che arrivavano per lo più dall’elettorato giovanile, mentre il secondo guardava ai settori “più marcatamente politicizzati della sinistra” <210. Mancini e De Martino erano infatti convinti di riuscire a ottenere vantaggi politici ed elettorali dagli umori trasgressivi delle piazze con l’obbiettivo di “abbattere la barriera del centro-sinistra delimitato e apre il dialogo con il Pci” <211. La “strategia dell’attenzione” non sembrava lasciar dubbi sul fatto che l’isolamento del Partito comunista fosse ormai destinato a concludersi.
Il ritrovato spirito di collaborazione tra socialisti e comunisti giunse in un momento davvero cruciale per le vicende del partito-chiesa comunista il quale si trovava a dover fronteggiare la sempre più ampia radicalizzazione violenta della sinistra extraparlamentare che lo gettò, per tutta la V legislatura, nell’occhio del ciclone <212. Le scomuniche <213 non apparvero sufficienti a bloccare e riassorbire i fronti deviazionisti interni alla sinistra e per questo il riavvicinamento del Psi e la sempre più vicina fine dell’isolamento, dettata anche dall’inizio del dialogo con la sinistra cattolica, apparvero di fondamentale importanza per i vertici di via delle Botteghe Oscure che erano forti anche della costante crescita elettorale che gli proponeva come interlocutori ideali <214 seppur impossibilitati dal sedersi tra i banchi dell’esecutivo.
Simona Colarizi a questo proposito scrive: “La conventio ad excludendum resta insormontabile per i comunisti legati a Mosca […]. È però possibile ricercare intese sul programma, come sembra suggerire Moro con la fumosa formula della strategia dell’attenzione; governare attraverso preventivi accordi con l’opposizione che garantiscono alle leggi e ai provvedimenti varati dal centrosinistra un consenso o quanto meno un gradimento di quel 27% della popolazione controllato dal Pci <”215. Un’idea quella di Moro che troverà sponda nel mondo comunista dopo il 1972 quando, al XIII Congresso del Pci, venne eletto segretario Enrico Berlinguer che si presentò al mondo politico affermando: “In un paese come l’Italia una prospettiva nuova può essere realizzata solo con la collaborazione tra le grandi correnti popolari: comunista, socialista, cattolica. Di questa collaborazione l’unità di sinistra è condizione necessaria ma non sufficiente. […] Noi siamo disposti ad assumerci le nostre responsabilità” <216.
La Dc riteneva ben accetti <217 i voti comunisti seppur non tutti i vertici del partito condividessero la linea della sinistra cattolica e questo perché era sempre più evidente e forte la preoccupazione per i fermenti che si registravano all’interno del paese e la tensione crescente anche nell’estrema destra interna ed esterna al partito cattolico. Nel 1971 la Democrazia Cristiana aveva portato a casa l’importante risultato dell’elezione al Quirinale di Giovanni Leone che, scrive Gervasoni, “non era mai stato un grande sostenitore del centro-sinistra” <218. Leone introdusse nel dibattito politico temi importanti come quello della “saldatura tra coscienza morale e istituzioni” <219 ma la sua ascesa al Colle non diede nuova linfa né una ritrovata stabilità al governo Colombo. Proprio per queste ragioni nel febbraio del 1972 Giulio Andreotti venne chiamato a formare un nuovo governo che però non ottenne la maggioranza al Senato e costrinse Leone a sciogliere le camere e indire elezioni anticipate “diventando il primo presidente a far terminare una legislatura prematuramente” <220.
La fine non naturale della V legislatura, unitamente alle proteste sempre più violente e incontrollate interne al Paese, mise in evidenza la crisi di un sistema politico incapace, nonostante i reiterati tentativi del centro-sinistra, di dare risposte ad una società in continuo mutamento. Il terrore degli anni di piombo e gli eventi internazionali, verificatesi in luoghi molto lontani dalla penisola durante gli anni ‘70, posero i partiti dinanzi alla necessità, non più procrastinabile, di dare una svolta politica in grado di rinvigorire la democrazia italiana e mettere al riparo il sistema dal terrorismo nero e rosso.
[NOTE]196 M. L. SALVADORI, Storia d’Italia, cit., p. 402.
197 Ibidem.
198 M. L. SALVADORI, Storia d’Italia, cit., p. 415.
199 Ibidem.
200 Ibidem.
201 Ibidem.
202 Ivi, p. 417.
203 Ibidem.
204 Ivi, p. 418.
205 S. COLARIZI, Storia politica, cit., p. 99.
206 Ibidem.
207 Ivi, p. 100.
208 Ibidem.
209 Ibidem.
210 Ibidem.
211 Ivi, p. 101.
212 S. COLARIZI, Storia politica, cit., p. 103.
213 Ibidem.
214 M. L. SALVADORI, Storia d’Italia, cit., p. 103.
215 Ibidem.
216 II testo della relazione in D. e O. PUGLIESE (a cura di), Da Gramsci a Berlinguer. La via italiana al socialismo attraverso i congressi del Partito Comunista Italiano, Edizioni del Calendario-Marsilio, Venezia, 1985, pp. 275-314.
217 S. COLARIZI, Storia politica, cit., p. 104.
218 M. GERVASONI, op. cit., p. 85
219 Ivi, p. 84.
220 Ibidem.
Marco Martino, Italia, Cile: destini politici e percorsi partitici alla base del Compromesso Storico tra PCI e DC, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno accademico 2019-2020
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d e s – p a r o l e s – q u i – c o m p t e n t / gabriel hibert. 2025
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from “canti illuminati” / alvin curran. 1982
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lo zaino cannibale tagliato e poi buttato (pulizie estive?)
Tra le mani ad oggi ho solo spaccamenti, e quindi non ho davvero molto da dire senza sembrare ancora più fuori di testa del solito… Ma, senza finire per divagare già al primo periodo di questo post, ecco una cosa che ho fatto l’altro giorno che boh, è divertente… ma chissà quanto utile. (Sospetto poco, a causa di problemi di skill che subito diventano evidenti, ma la mia vita è per legge questo.) 🙏
Mio padre doveva buttare un trolley della spesa vecchio l’altro giorno, perché consumato e spacc… ordinaria amministrazione, nella corrente economia, in cui i prodotti puntualmente si rovinano se semplicemente vengono usati, vabbè. Ne ha approfittato per prendere e levare di mezzo anche un altro trolley mezzo scassato, che invece usavo io a scuola, alle elementari (tempi duri, a portare a giro tutti i cazzo di libri, e poi i quaderni pure, noo madonna ragazzi che ne parliamo a fare)… e quello principalmente aveva il manico allungabile rotto, incastrato, che non scendeva più completamente; rumenta a tutti gli effetti. 💩
Per giorni, pur avendo notato lo spostamento dell’oggetto, non ci ho pensato molto… Però, giusto un giorno prima che fossero effettivamente gettati (e se qui non devo ringraziare gli spiriti che mi hanno infuso il giusto pensiero nel giusto momento, davvero non so quando dovrei), mi è salita in mente un’idea: e se cannibalizzassi le ruote, che potrebbero fare sempre comode in magici progetti futuri??? (Tipo, esempio stupido, bombe autocomandate???) E sarebbe stata un’idea perfetta, se all’atto pratico non si fosse rivelata impossibile (almeno, impossibile nella misura di volerlo fare così, per sfizio, per perdere un po’ di tempo prima di cena). Purtroppo, lo zainetto era così cucinato dal tempo che le viti esagonali che tenevano a posto le ruote non volevano saperne di svitarsi con un cacciavite (e io non possiedo le chiavi orizzontali magiche), quelle dell’altro carrello erano molto grandi e fissate non so come, e visto ciò avevo esaurito le opzioni. 😿
Eppure… qualcosa comunque me la dovevo rubare e conservare, da quella carcassa così insensibilmente condannata alla discarica… quindi ho optato per le zip!!! (Zorp!!!) Ho preso inizialmente le forbici, perché sono scema… poi ho visto che non sarei andata da nessuna parte in quel modo, quindi ho preso il taglierino. In qualche minuto quindi, e con non poca fatica, le ben due cerniere le ho staccate… evidentemente non con grandissimo successo, ma sono comunque utilizzabili, ci si può cucire filo filo sul bordo (…o, almeno, alla peggio la più grande dovrebbe essere utilizzabile, e che cazzo…)! Non ricordavo neanche se fosse di buona o cattiva qualità questo zaino, però, a giudicare dal come il tessuto è stato fisicamente molto tosto a tagliarsi, direi non male. 🔪
Comunque, assurdo… Lo zaino Invicta blu con dettagli neri e verdi, e fa questa fine…? Mai capirò come mai in questa casa viene sempre la voglia di buttare via la robba… Mio padre dice sempre che bisogna buttare un sacco di cose, perché non ci sarebbe spazio in camera mia, ma è da ormai quasi un quarto di secolo che sento sempre dire questa cosa… eppure, tutti i suoi libri dall’aspetto semi-costoso sono ancora lì al loro posto sulle mie mensole. Ok, in parte sto scherzando, perché oggettivamente non c’è spazio… basta guardare come sono costretta a conservare i miei manga per avere un’idea… però non capisco perché mai ripetere questa cosa svariate volte all’anno, e in alcuni periodi pure svariate volte al mese… 🥴
…Questo zaino che è stato coattamente eliminato dalla mia stanza e piazzato vicino alla mondezza, però, in effetti forse era da buttare, gli darò vinta questa. Era così pieno di polvere, ma veramente così impregnato di marciume arioso, che mentre facevo queste procedure di cannibalizzazione (avendole fatte tutte a pezzetti, una alla volta, 3 in totale) mi sono dovuta lavare le mani ogni volta, per quanto diventavano di quel classico secco scomodo della polvere… nonostante ad occhio tutto sommato non sembri (perché, appunto, sarà proprio il tessuto impregnato, e non solo coperto), se non per il fatto che ha una specie di alone come se fosse renderizzato con della nebbia attorno. Però uffa, il bilancio ottenuto alla fine fa schifo, ho potuto riciclare poca roba! 🤥
#buttare #pulizie #spazzatura #trolley #zaino
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dialogo d’amore per cento voci / rossella or. 1983
youtube.com/embed/VVQ-cdOXp2g?…
da Radio Pomona, di Claudio Orlandi:
Dialogo d`amore per cento voci, di Rossella Or (audiobox 1983)
Voci recitanti: Leonardo Castellani, Mario Prosperi, Betti Valgiusti, J. Wright, e Rossella Or
Consulenza musicale di Alvin Curran
Organizzazione di Elena De Agostini
Assistenza alla regia di Sergio Pistolini
Realizzazione tecnica di Valerio Rivelli
Foto in copertina – Rossella Or, di Claudio Abate.
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ritrovo e volentieri segnalo…
…questo intervento (che devo alla gentile richiesta e ospitalità di Gianluca D’Andrea e Gabriel Del Sarto) su ‘L’EstroVerso’, che prende le mosse da Strettoie (Arcipelago Itaca, 2017):
lestroverso.it/dallinizio-marc…
di cui ho fatto anche pdf, rintracciabile & scaricabile qui:
slowforward.net/wp-content/upl…
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Dall’inizio (Marco Giovenale) - L'EstroVerso
Marco Giovenale, ph Angelo ZanecchiaGianluca D'Andrea e Gabriel Del Sarto (L\'EstroVerso)
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