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Treno Merci “Il Biancone” con E652.123 + G2000.02 in transito a Bolgheri (18/03/2024)


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Google e AI Mode: la colonizzazione linguistica dell’inglese in Italia


Di Antonio Zoppetti

Dopo i primi esperimenti con cui Google ha introdotto nella ricerca un servizio basato sull’intelligenza artificiale – denominato in inglese: AI Overwiew – da qualche giorno è spuntata una nuova funzione su cui il motore di ricerca spinge, e questa volta si chiama AI Mode.

Perché i colossi statunitensi continuano a diffondere la terminologia in inglese, invece che tradurla? Perché ci riempiono di bottoni e funzioni chiamati timeline, widget, follower e via anglicizzando? Perché parlano di AI invece di IA (Intelligenza artificiale) e usano la parola “mode”?

La risposta è semplice, e la denuncio ormai da dieci anni: perché le multinazionali hanno tutto l’interesse a imporre la propria lingua a tutto il mondo. Per loro le lingue locali sono un ostacolo alla lingua unica che vogliono imporre nei mercati, e questa lingua unica è la propria lingua naturale.

Questo progetto è una forma di neocolonialismo culturale che dovrebbe essere evidente a tutti, anche se i linguisti non sembrano in grado di coglierla e di elevarsi dal particolare al generale. Si limitano ad analizzare le singole parole indipendentemente dai contesti sociali che le diffondono. Eppure, per capire come stanno le cose non ci vuole granché: basta usare AI Mode come un cavallo di Troia e rivolgere una domanda molto semplice: perché il servizio si chiama con un nome in inglese?

Perché AI MODE è in inglese?

In un primo tempo lo strumento non ha capito che mi riferivo al servizio “Ai Mode” nel quale scrivevo (mea culpa), dunque la risposta è stata che (grassetti miei):

Per comprendere il motivo per cui un servizio specifico ha un nome in inglese, è necessario conoscere il servizio in questione. Tuttavia, in generale, ci sono diverse ragioni per cui si utilizzano nomi in inglese, specialmente nel mondo tecnologico e commerciale:
– Identificazione internazionale: Un nome in inglese può essere riconoscibile a livello globale, facilitando la sua diffusione in diversi mercati.
– Percezione di innovazione: L’uso di termini inglesi può dare l’idea che un prodotto o servizio sia all’avanguardia o legato a una cultura di business moderna e internazionale.
– Terminologia specifica: Molti settori, in particolare quello tecnologico, hanno una terminologia che si è sviluppata principalmente in inglese. Utilizzare questi termini può essere più efficiente e preciso.
– Marketing e branding: Un nome in inglese può suonare più accattivante o memorabile per il pubblico di destinazione, a seconda del contesto e del mercato.
– Tendenze del settore: In certi ambiti, come quello delle startup o dei servizi digitali, l’uso dell’inglese è diventato una prassi diffusa, a volte per emulare aziende di successo nate in Paesi anglofoni.

Per un’analisi più dettagliata, potresti fornire il nome del servizio specifico a cui ti riferisci.

In sintesi, la tesi è che l’inglese facilita i mercati, è presentato come una scelta all’avanguardia, moderna e internazionale, è una prassi diffusa… e tutta una serie di luoghi comuni che dimostrano tutto l’intento colonizzatore che sta sotto queste scelte comunicative. L’inglese sarebbe dunque “più efficiente e preciso” (per chi è anglofono, di certo). Non c’è alcuna considerazione sulla trasparenza, sui destinatari, sul rispetto per le lingue e culture locali… tutto si basa sugli interessi del marketing e del branding delle multinazionali.

Ho provato allora a riformulare la domanda in modo più preciso:
Perché AI MODE si chiama con un nome in inglese?

Risposta: “Le ragioni per cui il servizio di ricerca di Google si chiama ‘AI Mode’ con un nome in inglese sono principalmente legate a considerazioni di branding, internazionalità e terminologia tecnologica.
Le motivazioni più specifiche includono:

– Terminologia del settore: Il termine ‘AI’ è l’abbreviazione riconosciuta a livello globale per Artificial Intelligence, cioè ‘intelligenza artificiale’. Nel campo della tecnologia, l’inglese è la lingua dominante, quindi usare questa sigla rende il servizio immediatamente identificabile in tutto il mondo.
– Internazionalizzazione: Un nome in inglese rende il servizio comprensibile in un vasto numero di paesi, semplificando la sua introduzione in diversi mercati. AI Mode, ad esempio, è stato lanciato in diversi paesi e in più lingue, ma il nome rimane coerente per un riconoscimento immediato.
– Posizionamento e marketing: Utilizzare un nome come ‘AI Mode? rafforza l’idea che il prodotto sia all’avanguardia, innovativo e parte integrante dell’esperienza di ricerca. Il termine ‘Mode’ (modalità) indica chiaramente che si tratta di una specifica funzione o versione della ricerca.
Coerenza del marchio: Per un’azienda globale come Google, mantenere una certa coerenza nei nomi dei prodotti è fondamentale. Molti dei suoi servizi e strumenti tecnologici utilizzano terminologia inglese, anche quando vengono introdotti in mercati non anglofoni. Questo fa parte di una strategia di branding consolidata.
Evoluzione del prodotto: Inizialmente, Google aveva lanciato le “AI Overviews” (riepiloghi con intelligenza artificiale). Il passaggio a “AI Mode” rappresenta un’espansione e un’evoluzione della funzionalità, rendendola una vera e propria modalità di ricerca conversazionale e multimodale, e il nome inglese comunica bene questo cambiamento di passo.

Di nuovo, le ragioni della mancata traduzione stanno negli interessi delle multinazionali, mica di quelli dei Paesi da colonizzare. E quindi il sistema spiega che “AI” sarebbe un internazionalismo (invece che un anglicismo), e “mode” esprimerebbe “chiaramente” la sua funzione (chiaramente per chi? Per gli anglofoni, of course). Ma a parte questi ossimori, l’IA getta la maschera dietro la quale certi addetti ai lavori si nascondono: per Google la coerenza del marchio è fondamentale e il ricorso alla terminologia inglese è una strategia di branding consolidata. Dunque gli utenti sono sudditi delle strategie neocoloniali imposte dai marchi e dai mercati. E poco importa che in italiano ci sia l’IA al posto dell’AI e la “modalità” al posto di “mode”, almeno da noi…

AI Mode” in Francia, Spagna e Portogallo

Mentre i nostri “intellettuali” e la nostra intera classe dirigente dalla mente colonizzata hanno introiettato e ha fatto loro l’idea che essere internazionali coincida con il pensare e parlare in angloamericano come ci spiega Ai Mode, per essere davvero internazionali basta guardare cosa succede nei Paesi a noi vicini, come la Francia, la Spagna o il Portogallo.

In questi Paesi – udite, udite! – sui giornali non si parla di AI come prevale da noi, ma di IA (il che vale un po’ per tutte le altre sigle, a partire dall’Aids che si chiama Sida) e in Francia ci sono stati problemi legali davanti all’introduzione sia di AI Overwiew sia del nuovo servizio – al momento bloccato – che da loro si chiama Mode IA (come riporta Le monde), cioè in francese e con la collocazione delle parole alla francese.

Si potrebbe pensare che la tutela del francese sia imposta dalla legge Toubon che obbliga le multinazionali a tradurre la terminologia, ma non c’è solo questo aspetto; altrove, a prevalere c’è semplicemente il buon senso, e infatti anche nelle altre lingue romanze (dove non ci sono simili leggi) questa funzione è tradotta: nel caso dello spagnolo e del portoghese la traduzione MODO IA si ritrova sia nella terminologia di Google sia negli articoli di giornale (cfr. El Pais e Correio), e solo in Romania il servizio è stato riproposto in inglese come da noi.

A questo punto sorge spontanea la domanda: perché queste differenze? L’inglese internazionale moderno ed efficiente esportato dalle multinazionali è allora venduto a questo modo solo nell’italietta colonizzata? Certo che sì. E ancora una volta la risposta di AI Mode è brutalmente sincera e illuminante, alla faccia di tutte le idiozie sparate da certi addetti ai lavori che giustificano il ricorso all’inglese agendo da veri e propri collaborazionisti.

Ho perciò domandato: “Perché AI MODE in Italia non è stato tradotto ma in Spagna, Portogallo e Francia è tradotto?

Risposta: Le motivazioni dietro le scelte di traduzione e localizzazione di Google, compresa la decisione di mantenere il nome ‘AI Mode’ in Italia mentre in altri paesi come Spagna, Portogallo e Francia si è optato per una traduzione, non sono sempre rese pubbliche in dettaglio. Tuttavia, si possono ipotizzare diverse ragioni:

– Strategia di mercato e target audience: Google potrebbe aver valutato che il pubblico italiano, rispetto a quello di altri paesi, sia già più familiare o incline ad accettare la terminologia inglese nel campo della tecnologia, in particolare con abbreviazioni come ‘AI’.
– Percezione del marchio: L’uso di un nome inglese può essere associato a un’immagine più moderna e innovativa in alcuni mercati.
– Coerenza interna: Mantenere un nome uniforme a livello globale può semplificare il branding e le operazioni di marketing, specialmente per prodotti tecnologici complessi.
– Differenze linguistiche e culturali: La traduzione in altre lingue può essere stata considerata più efficace per raggiungere un pubblico più ampio, forse meno esposto alla terminologia tecnica inglese.
Test e feedback: È possibile che Google abbia condotto test o analisi di mercato in Italia che suggerissero che la traduzione del nome non fosse necessaria o addirittura controproducente.

Se si mettono in fila tutte queste cose emerge perfettamente ciò che i linguisti non vedono (o fanno finta di non vedere) e soprattutto non dicono: l’Italia è un Paese più facilmente colonizzabile (e colonizzato) per ragioni sociali. Da noi manca ogni resistenza – culturale prima che politica – davanti all’anglicizzazione. La nostra classe dirigente preferisce ostentare l’inglese e l’itanglese e ha ormai rinunciato a esprimersi in italiano. Basta scorrere i titoli dei giornali per rendersene conto.

Secondo il Corriere, cosa caratterizza la Torino storica delle tradizioni, insieme alla bagna cauda? Ma il layering è ovvio!

E passando a un tema etichettato come “life”, che dire della Cocktail Week di Taormina, in un articolo che parla di mixology, drink e street bar?

L’itanglese è la lingua dei giornalisti colonizzati e allo stesso tempo colonizzatori, che seguono le stesse logiche di Google e delle multinazionali e vendono l’inglese come internazionale, moderno, efficiente… senza essere consapevoli della distruzione dell’italiano che mettono in atto.

L’intelligenza artificiale lo sa benissimo – al contrario dei linguisti – e ci colonizza giorno dopo giorno con la lingua delle multinazionali perché sa benissimo che glielo lasciamo fare e che siamo una massa di idioti da manipolare, e non una cultura da rispettare.

#anglicismiInformatici #anglicismiNellItaliano #inglese #interferenzaLinguistica #itanglese #linguaItaliana #multilinguismo #paroleInglesiNellItaliano #rassegnaStampa #tradurre

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in reply to Giuseppe Leanza

@jerrymassloII Il napoletano — ma anche il siciliano, il veneziano e vari vernacoli che nella storia hanno prodotto una propria interesantissima letteratura — sono stati sconfitti dal toscano che è diventato lingua nazionale a partire dal ‘500 e ha fatto regredire gli altri volgari al rango inferiore di dialetti. Davanti all’inglese globale le lingue locali rischiano di fare la stessa fine e di retrocedere a dialetti di un mondo che pensa e parla in inglese. In questo processo gli anglicismi (come le toscanizzazioni antiche del lessico regionale) sono solo la spia di questo fenomeno. Per fare bella figura con gli alieni ci sarebbe la soluzione dell’esperanto, che proprio perché artificiale è pensato per essere lingua neutrale (come il latino medievale, non è lingua madre di una cultura che può permettersi il lusso di non studare altre lingue preferendo che l’intera umanità studi la propria). Ma questa è un’altra faccenda e un’altra proposta da sempre osteggiata, anche se sul piano etico andrebbe riconsiderata.
in reply to Diciamolo in italiano

non sono d'accordo
l'italiano è dimostrazione che una lingua si può scegliere
infatti il fiorentino fu scelto e non imposto
semmai fu imposto dopo con l'unificazione
lo stesso dovremmo fare per la lingua universale
e votarla
io voto napoletano

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oggi, 17 ottobre: open day per i nuovi corsi 2025-26 del centroscritture


OGGI, venerdì 17 ottobre, alle ore 18:30 | Evento online:
Presentazione dei corsi e delle attività della nuova stagione 2025-2026 del CentroScritture

locandina Open Day di centroscritture.it - corsi / eventi / edizioni _ 17 ottobre 2025 locandina Open Day di centroscritture.it - corsi / eventi / edizioni _ 17 ottobre 2025

centroscritture.it/event-detai…

Presentazione della quinta stagione 2025-2026 di corsi e attività del CentroScritture in un evento online aperto a tutti trasmesso in diretta sul canale YouTube del CentroScritture.

Sarà ripercorsa la storia del Centro, attivo dal 2018 e nella nuova, attuale veste dal 2021, la filosofia che guida le sue iniziative, e verranno chiarite le modalità di partecipazione. Un’occasione per avvicinarsi al primo centro culturale interamente dedicato alle scritture poetiche contemporanee, di cui si impegna a fornire gli strumenti – dagli autori alle opere, dalle idee agli stili e alle tecniche – per orientarsi al meglio nel vasto e complesso panorama della poesia di oggi.

Sarà illustrata la programmazione didattica, 10 nuovi corsi da ottobre 2025 a giugno 2026, insieme ai seminari, gli eventi, le edizioni ECS e i progetti in partnership.

Interverranno:
Valerio Massaroni – Direzione generale
Marco Giovenale – Coordinazione didattica
Emanuele Franceschetti – Eventi e progetti

Parteciperanno inoltre alcuni iscritti che presenteranno le loro recenti pubblicazioni:
Giancarlo Busso, Campagne (Fallone Editore, 2025)
Paola Parolin, Necessità e grazia (Arcipelago Itaca, 2024)
Cristian Ponsillo, RAL 9005 (Puntoacapo, 2025)
Giorgio Rafaelli, Il colore basso di un saluto (Arcipelago Itaca, 2024)

VENERDÌ 17 OTTOBRE 2025
ORE 18:30
Diretta online sul canale YouTube del CentroScritture

→ Vai al canale YouTube

→ Vai alla nuova programmazione 2025-2026

#CentroScritture #centroscrittureIt #corsi #CristianPonsillo #EmanueleFranceschetti #GiancarloBusso #GiorgioRafaelli #MarcoGiovenale #MG #openDay #PaolaParolin #poesia #poesie_ #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca #ValerioMassaroni

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L’INAF atterra a Didacta, edizione Trentino

edu.inaf.it/news/per-la-scuola…

Astronomia, giochi, e realtà aumentata per la scuola del futuro: dal 22 al 24 Ottobre, INAF è a Riva del Garda, nella versione Trentino di Didacta, la fiera dell’editoria didattica.

#coding #Didacta #didattica #gioco #MartinaTremenda #podcast #scuola

Didacta2025 Trentino Evidenza
Questa voce è stata modificata (1 settimana fa)

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Palestina, la finta pace di Trump


Pochi movimenti, come quello solidale con il popolo Palestinese, hanno dimostrato, negli ultimi anni, una così significativa capacità di mobilitazione in tutto il mondo. Non è né retorico, né enfatico, affermare che la condanna del genocidio di Gaza sia stata condivisa dalla maggioranza della popolazione in tutti i continenti.

Una condanna ancor più significativa se confrontata con le […]

Leggi il resto: argocatania.it/2025/10/17/pale…

#Cisgiordania #Gaza #Israele #Palestina #Trump

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21 ottobre, studio campo boario (roma): talk su “le dicotomie dell’arte”, in occasione delle mostre “fausto battelli, pittore paparazzo” e “aria di famiglia”


Nel contesto di RAW – Rome Art Week, 2025 –
e parallelamente alle mostre
“Aria di famiglia” e “Fausto Battelli, pittore paparazzo” –

allo Studio Campo Boario
(Roma, viale del Campo Boario 4/a)

Martedì 21 ottobre, h. 17:30-19:30

Talk: LE DICOTOMIE DELL’ARTE


a cura di
Alberto D’Amico e Roberta Melasecca

intervengono
Maurizio G. De Bonis, Giuseppe Garrera, Pericle Guaglianone

romeartweek.com/it/eventi/?cod…

opera di Fausto Battelli, 1972

Il talk prenderà in esame cinque contrapposizioni che, nel corso del tempo, hanno definito e trasformato la ricerca artistica:

– Pittura e fotografia : due linguaggi che si osservano, si contaminano e si ridefiniscono a vicenda.
– Astrazione e figurazione : tensione costante tra dimensione espressiva metaforica e rappresentazione del reale.
– Arti maggiori e minori : una distinzione oggi sempre più fragile, che invita a rivalutare pratiche considerate “marginali”.
– Notorietà e anonimato : due destini che spesso si alternano nella vita degli artisti, tra riconoscimento e oblio.
– Arte e artigianato : un confine mobile in cui si incontrano manualità, riflessione estetica e concetto di riproducibilità.

Verrà presa come punto di partenza la figura di Fausto Battelli, fotoreporter e pittore, ma anche ceramista e autore di manufatti polimaterici, la cui opera riflette molte di queste tensioni: tra arte “alta” e produzione artigianale, tra linguaggio visivo e vita vissuta.
Sarà un’occasione per interrogarsi su come le contrapposizioni, più che dividere, possano diventare motore di creatività e dialogo tra generazioni, linguaggi e sensibilità diverse.

#abstractArt #AlbertoDAmico #AntonioDAmico #AriaDiFamiglia #art #arte #arteAstratta #arteEArtigianato #artiMaggioriEArtiMinori #artiMaggioriEMinori #artigianato #astrazione #astrazioneEFigurazione #confronto #dialogo #FaustoBattelli #FaustoBattelliPittorePaparazzo #GiuseppeGarrera #LeDicotomieDellArte #MaurizioGDeBonis #mostra #notorietàEAnonimato #oblio #paparazzi #paparazzo #PericleGuaglianone #pittura #pitturaEFotografia #RAW #RAWRomeArtWeek #RobertaMelasecca #RomeArtWeek #successo #successoEOblio #talk

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margo, 002: affannarsi


youtube.com/shorts/pn-Moc4gEVo…

#002 #affannarsi #margine #margini #margo #margo002 #margo002 #poesia

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“LEGGENDE POKEMON Z-A: GIOCATO SU SWITCH 2 ED È PESSIMO ANCHE LÌ”


Spero di non fare le palle troppo quadrate a tutti con questo nuovo gioco dei Pochemo, e vedrò di non esagerare con il postaggio a riguardo, perché so che magari ad alcuni può non fregare… probabilmente io sarei la prima a cui non fregherebbe, se non mi fosse venuta l’idea stavolta di dare una chance a questo pezzo di intrattenimento videoludico che, per abitudine, presumevo marcio. Ma… in realtà, sotto sotto, marcio questo Leggende Z-A lo è comunque, e a ‘sto giro sto vedendo tante persone in giro che si lamentano… addirittura più del passato, se è possibile. 😳

Nonostante, dopo ormai tipo 4-5 ore di gameplay lasco, il gioco rimane per me ancora bellissimo e fighissimo, ho guardato le impressioni a caldo che i Playerinside hanno caricato oggi (minchia, li ho battuti malamente sul tempo scrivendo le mie qui ieri, grazie al potere del torrente!!!), che credo facciano un po’ il sunto, per mezzo della loro esperienza diretta (oddio, direi di Raiden, visto che Midna sta lì ferma praticamente; a lei non piace giocare ai Pochemo), di queste lagne che si stanno diffondendo, e… Porca miseria, hanno ragione, è tutto giusto; la situazione è oggettivamente gravissima! 💀

youtube.com/watch?v=uHhIGXzPT8…

Sorvolando su come i commenti facciano assolutamente pisciare, essendo tutti molto oggettivamente condivisibili, per quanto tristi nella loro ironia… È incredibile quanto sono stata in pochi attimi rapita da questo gioco a tal punto che, se ero partita già gustando tutti i difetti di design, poi ho dimenticato tutto, ed in effetti è seccante. In live avevo fatto anche un commento sulle finestre che mi sembravano del Nintendo 64, ma non avevo guardato bene tutte quelle che c’erano in giro e, dopo essere stata stregata, ecco che non ho proprio fatto più caso alle finestre totalmente 2D ovunque con una texture di ringhiera compenetrata (mamma mia…), alla distanza di rendering penosa, ai palazzi che tutt’ora mi sembrano “spenti”, o che altro. 🤥

Non lo definirei un vero problema per me questo, perché comunque io racconto le mie cose, incluse le mie esperienze coi videogiochi, come mi va, e mai mi sono pretesa come capacissima nelle recensioni… però, fa pensare. E, ora che ci ho pensato, temo di capire come mai il brand Pokémon va ancora avanti nonostante tutti si lamentino… è perché alla fine i giochi vendono sempre milioni di copie in un colpo, ma ciò succede non per caso; è perché i fan sono abituati alla sloppa, quindi o non riescono a vedere i difetti tecnici oggettivi in questi prodotti, perché semplicemente non hanno grandi paragoni da fare in mente, oppure copano e vanno avanti con false giustificazioni, cose di questo tipo. 💩

In effetti io, a questo giro, rientro nella prima categoria… Lo sanno soprattutto le pareti che, tutto sommato, sono tremendamente casual gamer io, e quindi ecco che magicamente in questi affari riesco a dimenticarmi di ogni cosa brutta marginale — inclusa una grafica che, va detto, è malfatta; non in termini di fedeltà visiva e basta, ma proprio come direzione artistica e coerenza interna, ed è da anni che Pokémon sta messo così — se il gaming in qualche modo mi prende. Da un lato è una benedizione, perché evvivaa, il divertimentoo… ma, dall’altro, è un ennesimo problema di skill della mia persona. 😰

La vera differenza tra questo e gli altri ultimi Pokémon per Switch, in effetti, è che questo ha un sistema di combattimento nuovo che sto amando, e una struttura progressiva che, seppur guidata, non ostacola la libera esplorazione… Dal lato della fattura tecnica, invece, rimane una mezza schifezza come i precedenti, eppure questo mi va bene. E si, da un lato centrerà il fatto che io questo gioco non l’ho pagato, bensì l’ho ricevuto in dono dai russi tramite il torrente dietro casa, e quindi è chiaro che a caval piratato non mi viene proprio l’istinto di guardare in bocca, mentre con caval comprato basta giustamente un pelo fuori posto per sentirsi fregati, ma… sono invero assuefatta dalla sloppa, non c’è niente da fare. 🥰


Il gioco include comunque molte meccaniche secondarie epiche. Scopri la funzionalità anti-suicidio dello Smart Rotom nel nuovo articolo su stuffoctt: Il magico sistema anti-caduta in Leggende Pokémon: Z-A. (Messaggio promocttionale.)

#LeggendePokemonZA #Pokémon #Pokemon #PokemonZA


pokemonica godurianza ancora prima dell’uscita del domani! (impressioni a caldo Leggende Pokémon: Z-A al day -1)


Oggi pomeriggio, davvero a casissimo, perché l’idea mi è salita veramente in un lampo senza preciso motivo, ho deciso di sfruttare i miei privilegi da navigatrice consumata dei sette mari digitali, come in realtà non facevo da un po’… Quindi, sono uscita dalle mie pareti per installare e provare il nuovo giochino Leggende Pokémon: Z-A, che ufficialmente esce domani, ma io appunto sono speciale e magica, e quindi ci gioco in anticipo… nonché una blogger, quindi una giornalista semplicemente non riconosciuta, e quindi ecco qui le mie impressioni a caldo! 👌

Confesso che il gioco precedente, Leggende Arceus, non l’ho nemmeno mai provato… quindi non so precisamente, a livello di meccaniche, cosa è una novità del nuovo titolo, e cosa invece è una novità della saga, quindi già vista con il precedente, però… questo coso è fighissimo, veramente. Dato ciò, e il fatto che di questo gioco non mi sono spoilerata letteralmente niente — perché, a dire il vero, ho scoperto appena l’altro giorno che sta per uscire… e sul momento non mi sono nemmeno posta alcuna curiosità, perché è da un decennio che Pokémon mi delude, e quindi è da un lustro che lo snobbo — è stata tutta una grossa sospesa… e praticamente solo in positivo, per il momento. 🤯

La storia si svolge (o almeno inizia, poi chissà), a Luminopoli… che per me è una cosa assurda, perché la regione di Kalos fu la regione della fine della mia infanzia, ai tempi, e… non starò qui a spiegare tutto di ciò, per ora. È una Luminopoli che però non riconosco per niente, se non per sommi capi, perché è stata modificata un sacco per adattarla alla struttura di Leggende… però caspita se è goduriosa, perché ora sembra effettivamente una vera città, grande quanto una vera città del suo calibro, interamente navigabile in ogni sua parte… inclusi i fottuti tetti! E ci sono vari elementi con cui interagire, e oggetti da raccogliere… Per dirla in breve, me di 9 anni esploderebbe a vedere a confronto la Luminopoli di X/Y e questa nuova!!! 🔥

Ciò che sul momento mi ha completamente spiazzata — ma che, a pensarci bene, potrei di gran lunga preferire rispetto al classico RPG a turni, che fa fin troppo anni ’90 ma non in senso buono — è la meccanica delle lotte; che inizialmente è stata introdotta da Leggende Arceus ma, per l’appunto, non so se ci sia del nuovo in Leggende Z-A, e quanto. Sia gli scontri con gli allenatori, che gli incontri coi Pokémon selvatici (che, a quanto pare, qui attaccano anche gli umani, non solo i loro Pokémon… spaventoso), sono completamente dinamici, e avvengono lì, nell’ambiente, in tempo reale… e i magari hanno la classica cutscene di inizio e fine (ma dipende in realtà dal tipo di lotta), mentre con i secondi è tutto sempre così fluido che sembra davvero di stare lì in mezzo alle bestie. Servirà comunque tempo per abituarsi a questa roba, per me che ho problemi di skill, ma prende così tanto… 🥰

La città è tecnicamente tutta sbloccata quasi da subito, anche se nella pratica il gioco va avanti a missioni, e il sistema non permette di muoversi liberamente al 100%… non lascia andare troppo fuori dal tracciato stabilito in un dato momento per raggiungere l’obiettivo stabilito. Dà un po’ fastidio che, nonostante ci sia una buona mappa che già da sola dovrebbe permettere a chiunque di capire dove andare senza problemi, se si prova a muoversi troppo fuori dal tracciato non si incontrano solo muri invisibili, ma c’è pure il tizio che, da lontano o attraverso il telefono, richiama per ricordare dove si deve andare… uffa. E, nonostante la natura dinamica e diretta del cuore del gameplay, ci sono a mio parere troppe cutscene da o verso nero anche per semplici dialoghi, e questa cosa per me rompe l’immersione. Meno male che non è open-world, però. 👍

Nonostante i difettucci, il gioco non è “lento” e palloso come invece i classici Pokémon sono stati per me ultimamente, e anzi, ho veramente voglia di continuare a giocarci… caspita! Non mi aspettavo che sarebbe stato particolarmente divertente, e invece in circa 3 ore mi ha fatto addirittura letteralmente luccicare gli occhi. Tra l’altro, all’inizio era partito male anche dal lato software, perché mi sembrava tirasse laggate (giocando ovviamente su Switch 1, in dock), e invece devo dire che poi mi è parso stabile, tranquillo… ovviamente non gira a 60 FPS, ma ormai da Nintendo questo non si può mai più sperare. Non ho visto neanche bug, credo, c’è giusto qualche animazione che mi è sembrata legnosa, ma la goduria non viene intaccata. 🙌

Visto che non c’erano potenziali fonti di disturbo in casa, ho anche fatto una diretta streaming, per le prime 2 ore di gameplay, giusto per non marcire troppo nel giocare… su PeerTube, visto che ho paura che su YouTube Nintendo possa fare la sua classica mossa, dato che ho giocato con un giorno di anticipo; però tutto OK, trasmissione perfetta, grazie ai Devol. Per chi ha visto un pochino, grazie… mentre, per la maggior parte che non ha visto, pazienza! Però, il VOD (diviso in 2 video perché il coso ha deciso così) rimane disponibile, per chi vuole visionare le mie figuracce… peertube.uno/w/tXhxfxmFJ9mJfHB… e peertube.uno/w/sYXTLBSZnZKypcg…. (Forse li caricherò anche su YouTube, dopo l’uscita ufficiale del gioco, boh.) 🧨
Autoscatto largo su un tetto di Luminopoli con sullo sfondo la torre e vari altri palazzi.Il gioco ha anche una funzione di fotocamera, simile ad Animal Crossing per Switch… ci si può mettere in posa e fare le foto stile turisti, che in effetti è il motivo per cui nella storia si finisce qui a Luminopoli, bello.
#impressioni #Pokémon #Pokemon


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installance #0195: train ticket + asemics / differx. 2025


installance 0195
installance n. : # 0195type : train ticket & asemicssize : ---record : lowres shotadditional notes : abandoneddate : Sep 26th, 2025time : 3:27pmplace : Rome, via Bartolomeo Bossi footnote : ---copyright : (CC) 2025 differx
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#art #arte #asemic #asemicWriting #i0195 #i0195 #installance #scritturaAsemica #trainTicket

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Il coinvolgimento della Rosa dei Venti nella realizzazione della strage alla Questura di Milano appare dunque evidente


La strage, che costituisce uno degli episodi più oscuri della strategia della tensione, giunse al termine di una lunga serie di attentati che avevano insanguinato il paese a partire dal ‘69 di cui i più rilevanti, oltre naturalmente a piazza Fontana, furono la strage di Gioia Tauro del 22 luglio del ‘70 e quella di Peteano del 31 maggio del ‘72. L’attentato avvenne giovedì 17 maggio 1973, alle ore 10:55, presso la Questura di via Fatebenefratelli quando Gianfranco Bertoli lanciò una bomba contro il portone d’ingresso del palazzo. Il bilancio fu di quattro morti e cinquantatré feriti. Quella mattina si era da poco conclusa la commemorazione del primo anniversario dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi. Dopo l’arresto Bertoli si professò anarchico sostenendo di aver compiuto l’attentato per vendicare Pinelli; le sue dichiarazioni, a cui si sarebbe sempre attenuto, seguivano alla lettera le istruzioni che gli erano state impartite nei mesi antecedenti da alcuni dei più importanti membri di Ordine Nuovo durante i giorni di indottrinamento trascorsi a Verona dove l’uomo, in vista dell’imminente attentato, era stato tenuto sotto stretta osservazione. Il coinvolgimento della figura di Calabresi naturalmente serviva ad occultare meglio la mano degli ideatori rendendo più credibile la paternità anarchica della strage. L’obbiettivo dell’attacco, poi mancato, era il ministro dell’interno Mariano Rumor colpevole, secondo gli ordinovisti, di non aver proclamato lo stato di emergenza dopo la bomba del 12 dicembre del ‘69. L’eliminazione del ministro, nei piani degli ideatori della strage, avrebbe dovuto servire anche ad evitare una riedizione del centro-sinistra che si stava profilando come altamente probabile sulla base degli equilibri politici interni alla DC.
[…] I principali attentati che precedettero l’attacco alla Questura di Milano furono, come sopra ricordato, essenzialmente due. In primo luogo si ricorda il fallito attentato del 7 aprile del 1973 sul direttissimo Torino-Genova-Roma ad opera del gruppo La Fenice. <32 L’esecutore materiale, Nico Azzi, giovane missino, nel tentativo di controllare l’ordigno, temendo che questo non fosse stato impostato correttamente, aveva fatto scoppiare inavvertitamente un detonatore tra le sue gambe, rendendo impraticabile l’innesco dell’ordigno. Nell’ipotesi iniziale all’attentato avrebbe dovuto seguire la solita operazione di attribuzione della paternità a sinistra. In quell’occasione si era deciso di far
ricadere la responsabilità del gesto sul gruppo genovese “XXII ottobre”, collegato significativamente all’editore Giangiacomo Feltrinelli. Secondo il progetto iniziale, a questa strage doveva far seguito una seconda sul treno Monaco-Roma che poi non venne attuata a causa del fallito attentato sul primo treno, considerato che Azzi, colto in flagrante, era chiaramente di destra, per cui la messa in scena non poteva più essere orchestrata.
Un secondo snodo significativo nella strategia perseguita prima dell’attentato a Rumor fu il cosiddetto “giovedì nero di Milano”. Il 12 aprile 1973 era stata indetta dall’MSI e dal Fronte della gioventù, l’organizzazione giovanile del partito, una manifestazione di protesta che, a causa dei fatti dei giorni precedenti, era stata limitata dal prefetto Libero Mazza al solo comizio. Nonostante ciò, centinaia di militanti del Movimento Sociale Italiano e delle principali organizzazioni dell’estrema destra scesero in piazza e si scontrarono con le forze dell’ordine. Nel corso della manifestazione rimase ucciso l’agente di polizia Antonio Marino, in seguito all’esplosione di una bomba a mano lanciata da Vittorio Loi, giovane missino che venne immediatamente identificato. Dalle testimonianze di Loi, che sentendosi abbandonato dal suo partito cominciò a parlare, si comprese che i disordini erano stati volontariamente provocati dalla dirigenza missina. ❤❤
Al di sopra degli attentatori, come è stato ormai accertato dalla Magistratura, operava il già citato gruppo golpista la Rosa dei Venti che svolgeva una funzione di coordinamento tra i diversi gruppi eversivi. <34 Si trattava di un’organizzazione atlantica intersecata con gli apparati dello stato, il cui nome conteneva un chiaro richiamo al simbolo della NATO, oltre ad evocare il numero dei gruppi di estrema destra associati alla stessa organizzazione. <35 Facevano parte dell’organizzazione diversi militari, quali ad esempio il maggiore Amos Spiazzi e il generale Francesco Nardella, oltre ad estremisti neri: tra i nomi più rilevanti ricordiamo il principale promotore del gruppo Dario Zagolin – informatore degli americani e del SID -, Eugenio Rizzato, Sandro Sedona e Sandro Rampazzo. Tra i membri risultavano anche diversi industriali ed esponenti del Fronte nazionale che avevano preso parte al golpe Borghese, tra cui occorre ricordare l’avvocato Giancarlo De Marchi, che come noto aveva già giocato un ruolo rilevante in qualità di collettore dei finanziamenti per il progetto golpista del principe Borghese.
La figura di De Marchi ricompare proprio nel marzo 1973 quando, nell’ambito della riproposizione di un piano eversivo, venne contattato dal maggiore Amos Spiazzi, su indicazione di un agente del SID. Il compito era quello di valutare affidabilità e la serietà dell’avvocato genovese, che si era dichiarato disponibile a reperire fondi a sostegno della strategia stragista, rassicurandolo al contempo sulla concretezza e fattibilità del disegno golpista, stante l’esistenza di un rilevante numero di militari disposti a proseguire il fallito golpe Borghese.
L’esistenza di un nuovo progetto golpista è stata confermata d’altra parte anche dalle indagini del giudice Giovanni Tamburino, dalle quali si evince chiaramente che la Rosa dei Venti nel 1973 aveva come obbiettivo quello di promuovere interventi tesi all’istaurazione di un regime autoritario in Italia attraverso la realizzazione di un colpo di stato. Secondo le dichiarazioni di Remo Orlandini, uomo di fiducia del principe Borghese, ai già citati eventi dell’aprile-maggio 1973 – l’attentato al treno Torino-Roma, la manifestazione del 12 aprile e la bomba alla Questura – doveva seguire, l’instaurazione di un clima di forte tensione sociale in Valtellina alla cui direzione avrebbe dovuto esserci il leader del Movimento di azione rivoluzionaria (MAR) Carlo Fumagalli, altro nome di fondamentale importanza nel mondo dell’estrema destra in quella stagione. Altro passaggio teso a creare un clima adatto ad un colpo di stato.
Nell’aprile del 1973 l’attività della Rosa Dei Venti era strettamente connessa alle attività di Ordine Nuovo. Da fonti provenienti dai carabinieri e dal SID risulta infatti che il giorno della strage Bertoli era atteso da Sandro Rampazzo fuori dalla questura, che come abbiamo già sottolineato avrebbe dovuto farlo scappare a bordo della sua auto. <36 Il coinvolgimento della Rosa dei Venti nella realizzazione della strage alla Questura di Milano appare dunque evidente e questo conferma il fatto che la strage di Bertoli si inserisse in un disegno di ben più ampia portata di quanto per lungo tempo abbiano voluto far credere sia parte dei Servizi Segreti sia una parte della stampa. Come avvenuto con il golpe Borghese, l’opinione pubblica sarebbe però venuta a conoscenza del progetto ordito dalla Rosa dei Venti, peraltro in modo parziale, solo nell’autunno del 1974 grazie all’evoluzione dell’inchiesta condotta dal giudice Tamburino.
Al compimento dell’attentato avrebbe dovuto seguire l’intervento delle Forze Armate, in modo analogo a quanto era stato previsto dopo la strage alla Banca dell’Agricoltura di Milano. Nonostante l’atto stragista non avesse raggiunto gli obbiettivi che si era prefissato, – Rumor rimase illeso – la Rosa dei Venti avrebbe comunque allertato le strutture civili e militari per passare all’azione il 2 giugno del 1973. Anche in questa occasione l’esecuzione del golpe rientrò soltanto a causa di un intervento esterno.
Contrariamente a quel che sperava la destra, la bomba alla questura non determinò comunque uno spostamento a destra del governo, ma finì anzi per rafforzare all’interno della DC la linea favorevole ad una riedizione del centro-sinistra.
Rispetto alle altre stragi che hanno insanguinato il nostro paese, l’attentato alla questura costituisce uno snodo rilevante nella storia della strategia della tensione. Come ha sottolineato in modo chiaro Dondi, esso costituì «l’ultima strage costruita cercando di attuare il meccanismo di provocazione con lo scambio di attribuzione». <37
Contrariamente a quanto avevano sperato gli ordinovisti e diversamente da quanto era accaduto con la strage di Piazza Fontana, gran parte dell’opinione pubblica diffidò da subito della paternità anarchica dell’attentato. Probabilmente la lunga scia di sangue che aveva attraversato il Paese e l’attività sempre più incisiva della controinformazione avevano cambiato in modo profondo la sensibilità degli italiani. D’altro canto anche la stampa d’opinione, sia pure con le dovute eccezioni, non poté non ravvisare le evidenti incongruenze di una riconduzione della strage alla pista anarchica. Troppi erano gli elementi che non tornavano. Innanzitutto il profilo biografico-politico dell’attentatore, le cui frequentazioni di uomini e organizzazioni della destra eversiva erano difficilmente occultabili. «L’Unità» e «Paese Sera» già dal 18 maggio avevano rilevato i legami del Bertoli con Pace e Libertà, l’organizzazione finanziata dalla Cia.
In secondo luogo, non si capiva come Bertoli avesse potuto sapere della commemorazione di Calabresi con una settimana di anticipo, cioè al momento di lasciare Israele, quando invece la cerimonia era stata resa pubblica soltanto il 15 maggio. Era evidente che ci doveva essere un coinvolgimento di qualcuno all’interno delle istituzioni. Risultava infine decisamente poco credibile non ipotizzare una trama internazionale alla luce dei numerosi spostamenti di Bertoli. Come era stato possibile infatti che il Mossad non fosse stato in grado di identificare un pregiudicato che operava sul suo territorio, che intratteneva rapporti con uomini dell’estrema desta francese e che andava e veniva dallo stato ebraico con un passaporto falso?
Insomma, troppi elementi non quadravano nella strage di via Fatebenefratelli. Proprio per questo si può dire che l’attentato costituisce in senso tecnico la fine della strategia della tensione, almeno come era stata delineata nell’ambito del convegno dell’Istituto Pollio tenuto all’hotel Parco dei Principi di Roma del maggio 1965.

[NOTE]32 A. Giannuli, E. Rosati, Storia di ordine nuovo. La più pericolosa organizzazione neo-fascista degli anni settanta, cit., p. 162. La Fenice fu un’organizzazione dell’estrema destra milanese fondata da Giancarlo Rognoni nel 1971. Il gruppo nel febbraio 1973, rientrò sotto l’ombrello del MSI, grazie all’accordo con Franco Servello, cosa avvenuta anche per Ordine Nuovo alla vigilia della strage di Piazza Fontana. Ai membri de La Fenice erano state infatti promesse alcune cariche all’interno del partito. Tra i principali militanti ricordiamo Nico Azzi, Francesco De Min e Mauro Marzorati. Il gruppo godeva della protezione di Pino Rauti.
33 M. Dondi, op. cit., p.308-309.
34 G. Tamburino, La Rosa dei Venti nel quadro dell’eversione stabilizzante, memoria.cultura.gov.it (consultato il 20 novembre 2024).
35 M. Dondi, op. cit., p. 330. Le organizzazioni legate alla Rosa dei Venti, inizialmente venti, divennero poi ventitré. Tra queste ricordiamo Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo, Fronte nazionale, Mar.
36 Cfr. S. Ferrari, Le stragi di stato. Piccola enciclopedia del terrorismo nero da piazza Fontana alla stazione di Bologna, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2006, p. 95.
37 M. Dondi, op. cit., p. 327.
Marta Cicchinelli, Stampa e strategia della tensione: la strage alla Questura di Milano sui settimanali italiani, Tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2023-2024

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Elena Guicciardi si concentra sull’«intermezzo marsigliese» di Bertoli


Fonte: Marta Cicchinelli, Op. cit. infra

La strage, che costituisce uno degli episodi più oscuri della strategia della tensione, giunse al termine di una lunga serie di attentati che avevano insanguinato il paese a partire dal ‘69 di cui i più rilevanti, oltre naturalmente a piazza Fontana, furono la strage di Gioia Tauro del 22 luglio del ‘70 e quella di Peteano del 31 maggio del ‘72. L’attentato avvenne giovedì 17 maggio 1973, alle ore 10:55, presso la Questura di via Fatebenefratelli quando Gianfranco Bertoli lanciò una bomba contro il portone d’ingresso del palazzo. Il bilancio fu di quattro morti e cinquantatré feriti. Quella mattina si era da poco conclusa la commemorazione del primo anniversario dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi. Dopo l’arresto Bertoli si professò anarchico sostenendo di aver compiuto l’attentato per vendicare Pinelli; le sue dichiarazioni, a cui si sarebbe sempre attenuto, seguivano alla lettera le istruzioni che gli erano state impartite nei mesi antecedenti da alcuni dei più importanti membri di Ordine Nuovo durante i giorni di indottrinamento trascorsi a Verona dove l’uomo, in vista dell’imminente attentato, era stato tenuto sotto stretta osservazione. Il coinvolgimento della figura di Calabresi naturalmente serviva ad occultare meglio la mano degli ideatori rendendo più credibile la paternità anarchica della strage. L’obbiettivo dell’attacco, poi mancato, era il ministro dell’interno Mariano Rumor colpevole, secondo gli ordinovisti, di non aver proclamato lo stato di emergenza dopo la bomba del 12 dicembre del ‘69. L’eliminazione del ministro, nei piani degli ideatori della strage, avrebbe dovuto servire anche ad evitare una riedizione del centro-sinistra che si stava profilando come altamente probabile sulla base degli equilibri politici interni alla DC.
[…] A chiudere “La radiografia di un terrorista” l’inchiesta di Mario Scialoja “E ora parliamo di soldi”, che prova a ricostruire da dove provengano i finanziamenti alla rete eversiva neofascista che opera in Italia. Il giornalista identifica due fonti che rimandano entrambe a Junio Valerio Borghese. Alla prima, Scialoja giunge analizzando il processo tenuto dal sostituto procuratore Claudio Vitalone che si era aperto a Roma per il fallimento, avvenuto nel ’68, della Banca del Credito Commerciale Industriale (Credilcomin), il cui presidente era proprio il principe Valerio Borghese. Il processo si sarebbe concluso nel luglio del 1973, a due mesi dall’uscita dell’articolo, con la condanna di tutti gli imputati davanti alla prima sezione penale del Tribunale di Roma. A quel che era emerso nel corso delle indagini, nella Credilcomin erano confluiti, attraverso Gil Robles e Julio Munoz, entrambi legati all’Opus Dei spagnola, i dieci miliardi di lire trafugati dal figlio dell’ex dittatore di Santo Domingo, Rafael Trujllo, portati al momento della fuga nella Spagna franchista. I miliardi, poi spariti nel nulla, erano stati utilizzati per finanziare i piani eversivi dell’ex capo della X Mas. La seconda fonte di finanziamento viene individuata da Scialoja a partire da un breve rapporto del SID, emerso durante il processo, che risaliva al 1969 e sul quale, in quei giorni, aveva presentato un’interrogazione parlamentare il deputato socialista Giuseppe Machiavelli. Le tre cartelle dattiloscritte contenevano il resoconto di tre riunioni che avevano avuto luogo a Genova nella villa dell’industriale Guido Canale tra l’aprile e il maggio del 1969. Alle riunioni avevano partecipato circa una ventina di persone, tra cui, oltre a diversi industriali e armatori genovesi, l’avvocato Gianni Meneghini, difensore di Nico Azzi, e Giancarlo de Marchi, tesoriere della Rosa dei Venti. Lo scopo delle riunioni era, oltre a costituire una sezione provinciale del Fronte Nazionale, quello di reperire finanziamenti a sostegno delle trame eversive, in funzione anticomunista. In quelle occasioni erano stati raccolti 100 milioni di lire. Singolare è che il rapporto del SID non faccia menzione di quanto dichiarato dal fondatore del Fronte Nazionale nel corso della prima riunione, la sola alla quale aveva partecipato. A quanto sarebbe emerso dalle dichiarazioni di uno dei presenti, Borghese parlò dell’esistenza di «un’organizzazione militare di professionisti che era pronta ad agire per impedire con la forza l’avvento al potere dei comunisti e per instaurare un regime di tipo gollista». <110 Che l’obbiettivo di queste riunioni fosse la raccolta di fondi a sostegno di un colpo di stato è dimostrato dalle parole dell’ingegner Fedelini, delegato provinciale del Fronte, il quale aveva precisato nel corso della terza riunione, che l’organizzazione era articolata in due settori specializzati: «quello militare, con il compito di occupare e presidiare le città principali e gli uffici pubblici più importanti e quello civile, con la funzione di orientare l’opinione pubblica, di fare proselitismo e di reperire sovvenzioni». <111
Il 3 giugno «L’Espresso» ritorna sulla strage di via Fatebenefratelli con due articoli d’inchiesta, uno di Mario Scialoja, “Passeggiando per le fogne di Padova”, l’altro di Elena Guicciardi, “Se Pussy Cat si decide a cantare”. Al centro della pagina, nella metà superiore la foto di Franco Freda dietro le sbarre durante il processo per il libretto rosso <112, in alto a destra, accanto al titolo, un primo piano di Pasquale Juliano che indossa una coppola bianca. Si tratta di due interventi che cercano di ricostruire i legami di Bertoli con l’ambiente eversivo della destra padovana e con le organizzazioni neofasciste francesi presenti in Provenza, alle quali secondo la redazione del settimanale occorre guardare per comprendere «chi ha mosso il braccio assassino di Bertoli». <113 Secondo Scialoja l’elemento di connessione tra Bertoli e Ordine Nuovo sarebbe proprio Tommasoni, la cui amicizia con l’autore della strage costituisce a suo giudizio la chiave per la comprensione del retroterra criminale a cui va ricondotto l’attentato di via Fatebenefratelli. Tommasoni come sappiamo era finito sotto i riflettori per l’affare Juliano, il capo della squadra mobile a cui aveva fatto i nomi di Fachini, Freda e Ventura, indicandoli come responsabili della lunga catena di attentati del ’69. Pasquale Juliano, com’è noto, a causa della successiva ritrattazione di Tommasoni e di altri suoi confidenti, dietro ai quali stava la regia dell’Ufficio Affari Riservati, era finito sul banco degli imputati per abuso di mezzi investigativi, venendo alla fine messo in congedo e sospeso dal servizio. Servendosi del memoriale difensivo scritto dal commissario nel settembre 1969, Scialoja ricostruisce in modo puntuale l’intera vicenda: il Tommasoni era stato presentato al capo della mobile da un altro giovane neofascista padovano, Nicolò Pezzato, da tempo confidente della polizia, che glielo aveva indicato come un uomo disposto a parlare in cambio di denaro. Questo aspetto, sottolineava Juliano, era stato confermato dal loro primo incontro durante il quale Tommasoni aveva chiesto al commissario il pagamento di una cambiale da 10.000 lire e, successivamente, dalla denuncia contro lo zio per detenzioni d’armi, fatta per intascare un premio di 5.000 lire. Oltre ad essere «un infido mercenario», Tommasoni – osserva Scialoja – era anche un fascista vicino a uomini chiave dell’eversione nera veneta, finiti tutti «in prigione o gravemente compromessi nelle indagini condotte da giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio e dal Procuratore della Repubblica di Padova Aldo Fais». <114 L’uomo infatti era legato a Franco Freda, che era stato arrestato per la prima volta nel 1971 su mandato di Giancarlo Stiz, e a Massimiliano Fachini, luogotenente di Freda, ex consigliere comunale del MSI e presidente del FUAN. Questi dopo essere stato arrestato per gli attentati del 1969 proprio da Juliano ed essere stato prosciolto, era stato oggetto di un procedimento giudiziario da parte di D’Ambrosio per concorso in omicidio volontario di Alberto Muraro, il portiere dello stabile di Piazza Insurrezione dove abitava Fachini, che era il solo a poter testimoniare a favore del commissario in relazione al procedimento avviato contro di lui per irregolarità nelle indagini, e che era singolarmente volato dalla tromba delle scale, dopo aver ricevuto un colpo in testa. Proprio una settimana prima dell’uscita dell’articolo di Scialoja, Fachini era finito nuovamente sotto indagine per la strage di piazza Fontana. <115 Secondo il giornalista è proprio a questo «torbido sottobosco nero padovano» <116 che ruota intorno ad Ordine nuovo che bisogna guardare per chiarire i mandanti che stanno dietro la strage alla Questura. Il legame con ON, spiega al temine dell’articolo Scialoja, consentirebbe inoltre di comprendere gli agganci di Bertoli con l’estrema destra francese, visti gli stretti rapporti della formazione padovana con le organizzazioni neofasciste e paramilitari europee, specie con ex esponenti dell’OAS. Ancora una volta desta una certa impressione rileggere oggi questo intervento di Scialoja che, sulla scorta di pochi indizi e basandosi sull’intuizione della buona fede del capo della mobile, era riuscito a giungere alle medesime conclusioni cui sarebbe pervenuta molti anni dopo, con non poche difficoltà, la magistratura.
L’intervento di Elena Guicciardi si concentra sull’«intermezzo marsigliese» <117 di Bertoli, che costituiva per gli inquirenti uno dei principali nodi da sciogliere per provare a dare una spiegazione a quanto era accaduto il 17 maggio a Milano. Il titolo del pezzo allude al clima di intimidazione che si era diffuso nei mesi antecedenti alla strage nei confronti dei proprietari di caffè e locali notturni situati tra Nizza e Marsiglia, che erano stati fatti saltare in aria o incendiati. Il Pussy cat era proprio un locale situato sul vecchio porto di Marsiglia, che era stato oggetto di un attentato dinamitardo, la cui padrona probabilmente era a conoscenza delle frequentazioni di Bertoli. L’autrice ritiene che i contatti marsigliesi dell’attentatore di via Fatebenefratelli vadano ricercati nell’ambiente eversivo della destra francese costituito prevalentemente dai nazionalisti rimpatriati dall’Algeria dopo l’indipendenza, molti dei quali erano rientrati in Francia, dopo aver trovato rifugio nei regimi fascisti della penisola iberica, a seguito dell’amnistia concessa nel 1968 dal generale De Gaulle. La pista indicata dalla Guicciardi è decisamente interessante se si pensa che erano stati proprio gli ex militari francesi fuggiti dall’Algeria e riparati in Portogallo a fondare nel 1966 l’agenzia di stampa internazionale Aginter Press, implicata nelle manovre delle destre eversive di tutta Europa e, come sarebbe emerso dalle indagini della magistratura, anche nella strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Tra le figure alle quali bisognava guardare, la Guicciardi cita in particolare due noti esponenti dell’OAS, Joseph Ortiz e Jean Marie Susini. Truculento protagonista della lotta per l’Algeria francese, implicato nella vicenda della Villa Sources, dove venivano torturati i militanti del FLN, prima di essere sciolti nell’acido solforico, Ortiz era stato uno degli ideatori, insieme al deputato Pierre Lagaillarde, della “rivolta delle barricate” che si era consumata ad Algeri nel gennaio del 1960. Condannato a morte in contumacia, nel 1968 Ortiz era rientrato in Francia dove, a Tolone, aveva fondato, insieme all’ex-capo del servizio stampa dell’OAS, André Seguin, il “Club dei nazionalisti rimpatriati”, punto d’incontro per la destra fascista francese. L’altra figura su cui si sofferma la giornalista è Susini. Fondatore dell’OAS (Organisation de l’Armée Secrète), un’organizzazione clandestina, composta da civili e militari, che intendeva continuare con metodi terroristici la lotta per l’Algeria francese, Susini era stato condannato a morte in contumacia oltre che per l’appartenenza all’organizzazione, anche per essere stato l’ideatore del fallito attentato contro il presidente De Gaulle nel 1964. Rifugiatosi prima in Spagna, poi in Italia, dove aveva vissuto per ben cinque anni sotto falsa identità, Susini era ritornato in Francia grazie all’amnistia del ’68. Qui aveva stretto rapporti oltre che con i vecchi commilitoni di destra, anche con la malavita marsigliese, con la quale aveva organizzato numerose rapine ai danni delle banche della Costa Azzurra. Nell’ottobre del 1972, infine, era stato nuovamente arrestato con l’accusa di aver organizzato il rapimento e la scomparsa del tenente colonnello Raymond Gorel, l’ex-tesoriere dell’OAS che si era appropriato del tesoro dell’armata segreta, mettendolo al sicuro in Svizzera. Con parole simili a quelle utilizzate da Scialoja, l’autrice concludeva sottolineando che il misterioso interlocutore marsigliese con cui i fratelli Yemmi, appartenenti a Jeune Revolution – gruppo legato all’organizzazione di estrema destra Ordre Nouveau -, avevano messo in contatto Bertoli andava cercato proprio in questa giungla popolata da fascisti, criminali senza scrupoli, sopravvissuti ai conflitti coloniali. Solo riuscendo a fare luce su quei tre giorni di buio tra l’approdo di Bertoli a Marsiglia e l’arrivo a Milano, sarebbe stato possibile arrivare ad una ricostruzione plausibile della strage alla Questura.

[NOTE]110 M. Scialoja, E ora parliamo di soldi, in «L’Espresso», a. XIX, n. 21, 27 maggio 1973, p. 5.
111 Ibid.
112 Del libretto rosso e della strategia della cellula padovana di Ordine Nuovo ne parla Gianni Casalini in un colloquio riportato da Guido Salvini sul suo sito. Il libretto era stato scritto interamente da Franco Freda mentre Giovanni Ventura ne aveva curato la stampa. Cfr. Il libretto rosso di Freda e Ventura, guidosalvini.it/libro-nel-cinq… (consultato il 18 febbraio 2024).
113 M. Scialoja, Passeggiando per le fogne di Padova, in «L’Espresso», a. XIX, n. 22, 3 giugno 1973, p. 9.
114 Ibid.
115 Durante una perquisizione a casa di Fachini era stata trovata una chiave che si adattava perfettamente alla serratura della cassetta metallica che conteneva la bomba fatta esplodere il 12 dicembre in piazza Fontana. Al momento in cui Scialoja scriveva l’articolo era in corso una perizia per accertare la che la chiave corrispondesse effettivamente al blocco serratura della cassetta metallica. Ibid.
116 Ibid.
117 E. Guicciardi, Se pussy cat si decide a cantare, in «L’Espresso», a. XIX, n. 22, 3 giugno 1973, p. 9.
Marta Cicchinelli, Stampa e strategia della tensione: la strage alla Questura di Milano sui settimanali italiani, Tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2023-2024

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le #edizionivolatili sono un progetto
di Giuditta Chiaraluce
e Giorgiomaria Cornelio

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Siamo tornati su Pikmin Bloom, in cui abbiamo ora la frutta sospesa in aria!


Siamo tornati su Pikmin Bloom, in cui abbiamo ora la frutta sospesa in aria!
Oppure saranno Pikmin invisibili come nel video di Nintendo “Close to you”?

#pikminbloom #bug

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“Una vita di inganni”: il thriller di Maurizio Mos

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Una vita di Inganni

Thriller

Maurizio Mos

Independently published

4.08.2025

307 pagine

amazon.it/Una-vita-inganni-Mau…

Un uomo trovato morto nella sua villa. Una scena che sembra una rapina finita male. Ma qualcosa non torna.

Il vicequestore Tiburzi lo capisce subito: la vittima, rivela il medico legale, prima di essere uccisa è stata drogata con un insolito cocktail di medicinali. Perché? Se doveva essere uccisa perché complicarsi la vita drogandolo e in modo così raffinato? E la rapina come si inserisce nel delitto?

La vittima è un noto commercialista. Ricco, affermato, ma anche pieno di nemici. Una moglie elegante e distante. Un figliastro pieno d’odio. Un passato costruito su segreti e compromessi.

Mentre la città soffoca nel caldo estivo, le indagini fanno emergere le contraddizioni. Una relazione ambigua. Una vita doppia. Un piano studiato nei dettagli. O forse solo una tragica coincidenza?

“Una vita di inganni” è un giallo raffinato e avvolgente, dove ogni personaggio ha qualcosa da nascondere. E dove la verità si nasconde dietro le maschere quotidiane.

Un’indagine che scava a fondo nei legami familiari, nelle ambizioni, nei rimpianti. Perché, a volte, il movente non è solo l’odio o l’avidità. È anche l’amore tradito.

Come tutto ha inizio


Tutto ha inizio in una villa. Una rapina finita male, un uomo trovato morto. Eppure, come spesso accade, ciò che appare agli occhi non sempre corrisponde alla realtà.

Il vicequestore Tiburzi si troverà coinvolto in un’indagine tanto complessa quanto affascinante. Perché un noto commercialista è stato ucciso? Cosa lega davvero la rapina all’omicidio? Sono solo alcune delle domande a cui dovrà cercare una risposta.

In un intreccio carico di suspense, Maurizio Mos, con la sua penna calibrata e uno stile limpido, ci trascina nel cuore di un romanzo in cui nulla è come sembra in questo thriller. Un giallo elegante, raffinato, dove ogni personaggio ha qualcosa da nascondere e dietro ogni angolo si celano maschere e finzioni.

Le maschere: Pirandello e il doppio volto dei personaggi


Uno degli aspetti più apprezzabili del romanzo è il modo in cui Mos affronta – con delicatezza e raffinatezza – il tema della maschera, concetto caro alla tradizione letteraria italiana e in particolare a Pirandello.

“Uno, nessuno e centomila”

Così scriveva il grande autore siciliano, e così appaiono anche i personaggi del libro di Mos: dietro le loro quotidianità si celano inganni, sotterfugi, avidità, gelosie, amori traditi e sogni spezzati, che danno vita a un sottile gioco di parole e azioni. Il vicequestore Tiburzi si muove in questo scenario con l’abilità di un danzatore, un ballerino che riesce a destreggiarsi su fili sottili intrecciati con le trame nascoste della vita di tutti i giorni. “Una vita di inganni” è un giallo raffinato e avvolgente, dove ogni personaggio ha qualcosa da nascondere. E dove la verità si nasconde dietro le maschere quotidiane. Anche nella presentazione ufficiale si sottolinea la centralità del tema delle maschere, simbolo di finzioni, segreti e apparenze. Ma, si sa, le maschere prima o poi cadono, frantumandosi davanti allo specchio della verità.Tiburzi riuscirà a smascherare ciò che si cela dietro le apparenze? A sciogliere i nodi del dubbio e della finzione? Questo lo scoprirete solo leggendo il thriller di Maurizio Mos.

Un pensiero sulla scrittura


Non è il primo libro che leggo di Maurizio Mos e, come le volte precedenti, posso dirmi soddisfatta. Ho particolarmente apprezzato la scelta del formato: caratteri grandi e chiari, ideali anche per chi ha difficoltà nella lettura. Una soluzione che rende il testo più fruibile e migliora la scorrevolezza generale.

Questa volta, però, ho percepito qualcosa in più. La scrittura di Mos sta maturando, diventando sempre più sicura e incisiva, capace di coinvolgere il lettore pagina dopo pagina.

Estratto dal romanzo


“… Erano alla fine della settimana, le indagini non avevano fatto un passo in avanti… Intanto già ai telegiornali e sui giornali erano comparsi i primi resoconti vagamente critici sulle indagini. C’era da temere un insuccesso.”

Questo estratto mi ha colpita particolarmente. Spesso diamo per scontato che ciò che non si risolve subito sia destinato a fallire. Ma la verità è che occorre dare tempo alle azioni perché maturino. E questo è proprio ciò che Mos riesce a fare con il suo thriller: costruire con pazienza una tensione crescente, fino al disvelamento finale.

Chi è Maurizio Mos


Maurizio Mos nasce a La Spezia il 16 novembre 1951. È in pensione dal 2013, dopo aver lavorato per anni in diversi enti pubblici. Ha una figlia trentenne, laureata in Filosofia.

Amante della campagna, vive in solitudine nella casa di famiglia, dove si dedica a lunghe passeggiate. È anche un grande appassionato di auto d’epoca (soprattutto quelle dei suoi vent’anni, seppur platonicamente, come lui stesso racconta) e di letteratura gialla: la sua collezione supera i 200 titoli.

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Flash: Un effetto tunnel da Premio Nobel

edu.inaf.it/approfondimenti/sc…

Un nuovo approfondimento sulla scienza dietro i fumetti di supereroi: in questa occasione cerchiamo di capire come le scoperte premiate con il Premio Nobel per la Fisica 2025 possono aiutare Flash ad attraversare i muri!

#DCComics #effettoTunnel #effettoTunnell #ErwinSchrödinger #Flash #GeorgeGamow #JohnClarke #JohnMartinis #meccanicaQuantistica #MichelDevoret #PremiNobel #supereroi

Flash Effetto Tunnell Premio Nobel 2025 Evidenza

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distinguere i paradigmi


Per carità, la mia è solo un’opinione, ma credo anche, onestamente / fenomenologicamente, di esprimerla a ragion veduta: e insomma sono ormai assai persuaso del fatto che la poesia (anche quella apprezzabile, di valore) possa essere definita pressoché un sinonimo di assertività, in Italia.

Di qui la necessità sempre più stringente di distinguere la ricerca letteraria, e considerarla cosa a sé, staccata. Un distacco innocente, non aggressivo o dotato di una qualche albagia o prescrittività. Semplice differenza, insomma? Sì ma proprio abissale.

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21 ottobre, studio campo boario (roma): “fausto battelli, pittore paparazzo” – esposizione nel contesto della mostra “aria di famiglia”


In occasione di RAW – Rome Art Week, 2025 – e nel
contesto della mostra “Aria di famiglia”

allo Studio Campo Boario
(Roma, viale del Campo Boario 4/a)

Fausto Battelli, pittore paparazzo


vernissage martedì21 ottobre, h. 17:00-20:00

romeartweek.com/it/eventi/?cod…

Un'opera di Fausto Battelli in mostra allo Studio Campo Boario

La mostra “Fausto Battelli, pittore paparazzo” ripercorre il percorso artistico di un autore italiano che ha attraversato molteplici stagioni creative, muovendosi con libertà tra linguaggi e discipline. Dagli esordi come ceramista, Battelli approda negli anni della dolce vita alla fotografia, intraprendendo la carriera di fotoreporter e documentando volti e atmosfere di un’epoca irripetibile.

Negli anni successivi, torna alla pittura, sua prima passione, sviluppando una ricerca personale che oscilla tra figurazione e astrazione, tra arte e artigianato. Le sue opere polimateriche più recenti testimoniano una continua sperimentazione, in bilico tra gesto artistico e pratica manuale.

Un percorso irregolare e indipendente, che non ha trovato pieno riconoscimento nella storia dell’arte ufficiale, ma che solleva una domanda cruciale: come guardiamo oggi ai cosiddetti “minori”?

In mostra, una selezione di opere rappresentative di questa ricerca complessa e sfaccettata, capace di toccare i confini dell’arte “alta” per immergersi, senza pregiudizi, in una produzione ibrida e commerciale, che pure ha incontrato il favore del pubblico.

*

Aria di famiglia — Rome Art Week 2025


Aria di famiglia evoca la nozione wittgensteiniana di somiglianze di famiglia: non un marchio identico che uniforma, ma una costellazione di segni che si richiamano l’un l’altro, come echi che risuonano nello spazio tra le opere e le persone. È in questa trama di rimandi sottili, di affinità impreviste e di differenze che si sfiorano, che prende forma il senso della mostra”

In questo caso il nucleo è quello di una famiglia romana che, nel corso di tre generazioni, ha intrecciato vite e linguaggi artistici diversi, passando dalla pittura alla ceramica, dal design tecnico alla scrittura, dalla fotografia alla musica.

  • Fausto Battelli (1934–2018)
    Pittore e fotografo, fratello maggiore, ha attraversato l’arte italiana dal dopoguerra in poi, oscillando tra fotografia di cronaca e di costume e una pittura che spazia dall’astratto materico alle periferie urbane. La sua produzione riflette tensioni, ossessioni e cambiamenti di un’epoca.
  • Dora Battelli (1931 – 1981)
    Sorella di Fausto, madre di Alberto e Stefano. Ceramista dalla mano sensibile, ha unito gesto artigianale e spirito creativo, lasciando una traccia personale e intima nella tradizione familiare.
  • Antonio D’Amico (1926 – 1996)
    Marito di Dora, padre di Alberto e Stefano. Pur lavorando al di fuori del campo artistico, ha coltivato con passione le sue ossessioni meccaniche: radio, orologi, schemi tecnici. Oggetti e invenzioni che testimoniano un modo diverso di fare arte, a cavallo tra mestiere, tempo e immaginazione, con rare ma significative incursioni artistiche.
  • Alberto D’Amico (1962)
    Artista dal percorso accidentato, tra cinema e arti figurative, con un gusto per l’ibridazione e la contaminazione. Espone le sue false copertine di Urania, che reinventano il linguaggio della fantascienza popolare e dell’editoria di massa. Autore anche del libro Aenigma, in cui scrittura e immagine si intrecciano.
  • Stefano D’Amico (1966)
    Diplomato in scultura all’Accademia di Belle Arti, si esprime con disegni e acquerelli di grande sensibilità. Accanto alla pratica visiva coltiva la passione per il canto e per il pianoforte, che suona “a orecchio” con dedizione, rivelando un’altra sfumatura della creatività familiare.

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pokemonica godurianza ancora prima dell’uscita del domani! (impressioni a caldo Leggende Pokémon: Z-A al day -1)


Oggi pomeriggio, davvero a casissimo, perché l’idea mi è salita veramente in un lampo senza preciso motivo, ho deciso di sfruttare i miei privilegi da navigatrice consumata dei sette mari digitali, come in realtà non facevo da un po’… Quindi, sono uscita dalle mie pareti per installare e provare il nuovo giochino Leggende Pokémon: Z-A, che ufficialmente esce domani, ma io appunto sono speciale e magica, e quindi ci gioco in anticipo… nonché una blogger, quindi una giornalista semplicemente non riconosciuta, e quindi ecco qui le mie impressioni a caldo! 👌

Confesso che il gioco precedente, Leggende Arceus, non l’ho nemmeno mai provato… quindi non so precisamente, a livello di meccaniche, cosa è una novità del nuovo titolo, e cosa invece è una novità della saga, quindi già vista con il precedente, però… questo coso è fighissimo, veramente. Dato ciò, e il fatto che di questo gioco non mi sono spoilerata letteralmente niente — perché, a dire il vero, ho scoperto appena l’altro giorno che sta per uscire… e sul momento non mi sono nemmeno posta alcuna curiosità, perché è da un decennio che Pokémon mi delude, e quindi è da un lustro che lo snobbo — è stata tutta una grossa sospesa… e praticamente solo in positivo, per il momento. 🤯

La storia si svolge (o almeno inizia, poi chissà), a Luminopoli… che per me è una cosa assurda, perché la regione di Kalos fu la regione della fine della mia infanzia, ai tempi, e… non starò qui a spiegare tutto di ciò, per ora. È una Luminopoli che però non riconosco per niente, se non per sommi capi, perché è stata modificata un sacco per adattarla alla struttura di Leggende… però caspita se è goduriosa, perché ora sembra effettivamente una vera città, grande quanto una vera città del suo calibro, interamente navigabile in ogni sua parte… inclusi i fottuti tetti! E ci sono vari elementi con cui interagire, e oggetti da raccogliere… Per dirla in breve, me di 9 anni esploderebbe a vedere a confronto la Luminopoli di X/Y e questa nuova!!! 🔥

Ciò che sul momento mi ha completamente spiazzata — ma che, a pensarci bene, potrei di gran lunga preferire rispetto al classico RPG a turni, che fa fin troppo anni ’90 ma non in senso buono — è la meccanica delle lotte; che inizialmente è stata introdotta da Leggende Arceus ma, per l’appunto, non so se ci sia del nuovo in Leggende Z-A, e quanto. Sia gli scontri con gli allenatori, che gli incontri coi Pokémon selvatici (che, a quanto pare, qui attaccano anche gli umani, non solo i loro Pokémon… spaventoso), sono completamente dinamici, e avvengono lì, nell’ambiente, in tempo reale… e i magari hanno la classica cutscene di inizio e fine (ma dipende in realtà dal tipo di lotta), mentre con i secondi è tutto sempre così fluido che sembra davvero di stare lì in mezzo alle bestie. Servirà comunque tempo per abituarsi a questa roba, per me che ho problemi di skill, ma prende così tanto… 🥰

La città è tecnicamente tutta sbloccata quasi da subito, anche se nella pratica il gioco va avanti a missioni, e il sistema non permette di muoversi liberamente al 100%… non lascia andare troppo fuori dal tracciato stabilito in un dato momento per raggiungere l’obiettivo stabilito. Dà un po’ fastidio che, nonostante ci sia una buona mappa che già da sola dovrebbe permettere a chiunque di capire dove andare senza problemi, se si prova a muoversi troppo fuori dal tracciato non si incontrano solo muri invisibili, ma c’è pure il tizio che, da lontano o attraverso il telefono, richiama per ricordare dove si deve andare… uffa. E, nonostante la natura dinamica e diretta del cuore del gameplay, ci sono a mio parere troppe cutscene da o verso nero anche per semplici dialoghi, e questa cosa per me rompe l’immersione. Meno male che non è open-world, però. 👍

Nonostante i difettucci, il gioco non è “lento” e palloso come invece i classici Pokémon sono stati per me ultimamente, e anzi, ho veramente voglia di continuare a giocarci… caspita! Non mi aspettavo che sarebbe stato particolarmente divertente, e invece in circa 3 ore mi ha fatto addirittura letteralmente luccicare gli occhi. Tra l’altro, all’inizio era partito male anche dal lato software, perché mi sembrava tirasse laggate (giocando ovviamente su Switch 1, in dock), e invece devo dire che poi mi è parso stabile, tranquillo… ovviamente non gira a 60 FPS, ma ormai da Nintendo questo non si può mai più sperare. Non ho visto neanche bug, credo, c’è giusto qualche animazione che mi è sembrata legnosa, ma la goduria non viene intaccata. 🙌

Visto che non c’erano potenziali fonti di disturbo in casa, ho anche fatto una diretta streaming, per le prime 2 ore di gameplay, giusto per non marcire troppo nel giocare… su PeerTube, visto che ho paura che su YouTube Nintendo possa fare la sua classica mossa, dato che ho giocato con un giorno di anticipo; però tutto OK, trasmissione perfetta, grazie ai Devol. Per chi ha visto un pochino, grazie… mentre, per la maggior parte che non ha visto, pazienza! Però, il VOD (diviso in 2 video perché il coso ha deciso così) rimane disponibile, per chi vuole visionare le mie figuracce… peertube.uno/w/tXhxfxmFJ9mJfHB… e peertube.uno/w/sYXTLBSZnZKypcg…. (Forse li caricherò anche su YouTube, dopo l’uscita ufficiale del gioco, boh.) 🧨
Autoscatto largo su un tetto di Luminopoli con sullo sfondo la torre e vari altri palazzi.Il gioco ha anche una funzione di fotocamera, simile ad Animal Crossing per Switch… ci si può mettere in posa e fare le foto stile turisti, che in effetti è il motivo per cui nella storia si finisce qui a Luminopoli, bello.
#impressioni #Pokémon #Pokemon

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🔴 In diretta ora! La si torna a giocare online! – Super Mario Party Jamboree ITA #12 📺 Guarda ora su you

🔴 In diretta ora![/b]
La si torna a giocare online! – Super Mario Party Jamboree ITA #12

📺 Guarda ora su https://www.youtube.com/watch?v=X892Gh_HykU oppure https://www.creeperiano99.it/u/youtubeLive

#live #livestream

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news.creeperiano99.it/2025/10/…

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[film] Tre ciotole


Titolo: Tre ciotole
Regista: Isabel Coixet
Soggetto: Michela Murgia
Sceneggiatura: Enrico Audenino, Isabel Coixet
Fotografia: Guido Michelotti
Altro: anno 2025; genere: drammatico; paese di produzione: Italia e Spagna; durata: 120 minuti.

Personaggi e interpreti:

Alba Rohrwacher: Marta
Elio Germano: Antonio
Sarita Choudhury: gastroenterologa
Silvia D’Amico: sorella di Marta

Voto: 7/10

Come forse sapete, Michela Murgia è deceduta prematuramente nel 2023 a soli 51 anni, a causa di un tumore andato in metastasi. Questo film è la trasposizione cinematografica dell’ultimo romanzo pubblicato in vita dalla Murgia. Non avendolo letto prima, non posso dirvi il classico “era meglio il libro”, ma sono ragionevolmente certo, pur nella mia ignoranza, che il film ne coglie lo spirito.

Marta, insegnante di educazione motoria in un liceo scientifico, e Antonio, chef, stanno assieme e vivono a Roma. L’inizio è già subito difficile, con Antonio che lascia Marta. Ma per lei, nella tragedia di una separazione dopo una lunga relazione, si innesta la scoperta di un tumore incurabile. Le priorità nella vita cambiano e le riflessioni sulle relazioni, sul nostro stare al mondo, sul gestire la nostra fine, diventano il tema centrale del film. Il tutto è trattato con estrema delicatezza, senza indugiare nello spettacolo della sofferenza e con un finale a suo modo pieno di speranza e giocoso. (Per questo dovete sorbirvi quasi tutti i titoli di coda.)

Mi ha colpito molto Alba Rohrwacher nel ruolo di Marta. Una interpretazione secondo me perfetta.

Buona visione!

#film #IsabelCoixet #michelaMurgia #recensione #treCiotole


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18 ottobre, roma, folderol: presentazione di “audio doc sound title”, di pietro d’agostino


A Roma, sabato 18 ottobre, alle ore 18:00
presso Folderol Studios
c/o Kappabit – Via Sgurgola 7

Presentazione del cofanetto di

Audio Doc Sound Title
di
Pietro D’Agostino


dialogano con l’autore
Giuseppe Garrera e Marco Contini

Audio Doc Sound Title vuole partecipare e farsi espressione del dialogo e delle relazioni. Trentuno personaggi sonori, tra scrittori e musicisti, hanno collaborato alla realizzazione degli audio documenti. Partire da una sceneggiatura visiva per approdare a un documento sonoro. Il visivo scompare per lasciare spazio all’uditivo. O, forse, a un altro vedere e sentire. Una pratica e un’esperienza dell’ascolto, iniziando dai titoli sonori del cofanetto e delle cinque composizioni relative al progetto. Questo percorso è il tentativo di intraprendere una ricerca inerente ad alcuni processi di produzione di senso. Ma è anche quella di
sperimentare meticciati, ibridazioni linguistiche trasversali nell’uso di termini specifici all’interno di discipline espressive diverse.

comunicato stampa: qui

*


folderol.it

dati di audio doc

Personaggi sonori, per i testi: Mariangela Guatteri, Giulio Marzaioli, Simona Menicocci, Fabio Teti, Marcello Sambati, Marco Giovenale, Maria Grazia Calandrone, Lidia Riviello, Alessandra Greco, Giorgiomaria Cornelio, Fabio Orecchini, Naoya Takahara, Steven Seidenberg, Prisca Agustoni, Edimilson de Almeida Pereira, Alessandro De Francesco, Francesca Marica, Michele Zaffarano.

Personaggi sonori, per i suoni: Marco Ariano, Luca Venitucci, Alipio Carvalho Neto, Elio Martusciello, Mike Cooper, Stefano Cogolo, Luca Tilli, Marta Raviglia, Christian Muela, Simone Pappalardo, Barbara De Dominicis, Roberto Bellatalla, Katia Pesti, Steven Seidenberg.

Ideazione, regia e montaggio audio: Pietro D’Agostino
Sceneggiature visive: Pietro D’Agostino; Marco Giovenale, Alberto D’Amico
Post-produzione e missaggio audio: Marco Resovaglio – Pesci Rossi Studios
Prodotto da Pietro D’Agostino e Marco Contini
Produzione esecutiva: Marco Contini per Kappabit

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1 novembre, roma, palazzo delle esposizioni: “pier paolo pasolini 1975-2025 s’infutura” + “ascolto di porno-teo-kolossal”

Pier Paolo Pasolini 1975-2025 s’infutura / Ascolto di Porno-Teo-Kolossal

1 novembre 2025 ore 18:30
PPP Visionario

Pier Paolo Pasolini 1975-2025 s’infutura + Ascolto di Porno-Teo-Kolossal | Palazzo Esposizioni Roma – Sala Auditorium – Scalinata di via Milano 9a
posti esauriti, non più disponibili
palazzoesposizioniroma.it/even…

ppp crocifissione

Pier Paolo Pasolini 1975-2025 s’infutura
conversazione tra Giuseppe Garrera e Silvia De Laude

a seguire
Ascolto di Porno-Teo-Kolossal
audio registrazione del trattamento del film con la voce originale di Pier Paolo Pasolini introduce Giuseppe Pollicelli

Giuseppe Garrera – tra i curatori della grande mostra Pier Paolo Pasolini. TUTTO È SANTO. Il corpo poetico prodotta da Azienda Speciale Palaexpo nel 2022 – dialoga con Silvia De Laude, tra le maggiori studiose dell’autore che, tra le varie pubblicazioni, ha curato, con Walter Siti, i Meridiani delle opere complete di Pier Paolo Pasolini. Insieme passeranno in rassegna gli innumerevoli progetti, opere, carte, immagini, pensieri e futuri orizzonti di creazione di Pasolini, restati in sospeso, interrotti per sempre dall’improvvisa tragica morte, in uno dei momenti, il 1975, più fertili, entusiasmanti e febbrili della sua vita.

A seguire, un’esperienza unica per consentire al pubblico in sala di immergersi direttamente nella fucina creativa del regista, attraverso un reperto rarissimo: la registrazione integrale della voce di Pasolini che racconta Porno-Teo-Kolossal, l’immenso progetto cinematografico che non potrà mai realizzare.

Pier Paolo Pasolini registra al magnetofono, scena per scena, il film che programma di iniziare a girare il prima possibile con protagonisti Eduardo De Filippo e Ninetto Davoli: il viaggio apocalittico di un re magio e del suo servo dietro la Stella Cometa, attraverso tutta la nostra storia e la cronaca d‘Italia, la dolcezza e la catastrofe delle ideologie, l’orrore della Storia, per giungere, in ritardo, nella desolazione di un tempo dove Cristo è già morto. Raccontato dalla sua viva voce, con l’entusiasmo e la gioia di una nuova creazione in atto che sta prendendo forma e luce, che già può immaginarsi per intero come visione.

È l’ultimo progetto cinematografico di Pier Paolo Pasolini, a breve distanza da Salò o le 120 giornate di Sodoma. Il ritrovamento da lì a pochi giorni del suo corpo ammazzato metterà fine alla realizzazione. Di questo immenso progetto rimangono solamente i nastri audio originali.

Un ringraziamento speciale a Graziella Chiarcossi e Matteo Cerami, Eredi Pasolini, per aver messo a disposizione questo preziosissimo materiale e aver reso possibile l’evento, collegato alla rassegna Maratona Pasolini. Ascolto e visione, a cura di Giuseppe Garrera, Marco Berti, Francesca Pappalardo.

Le iniziative di PPP VISIONARIO – 50° Anniversario dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini sono promosse da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, con il coordinamento del Dipartimento Attività Culturali, in collaborazione con l’Istituzione Biblioteche di Roma, Fondazione Cinema per Roma, Fondazione Musica per Roma, Azienda Speciale Palaexpo, Teatro dell’Opera di Roma, Fondazione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, TiC – Teatri in Comune. E poi, ancora, associazioni, operatrici e operatori culturali, artiste e artisti. Con il supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura.

Il programma dell’intera rassegna, suscettibile di variazioni, è disponibile su www.culture.roma.it.

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20-25 ottobre, roma, studio campo boario: “aria di famiglia” – una costellazione di rimandi e affinità


In occasione di RAW – Rome Art Week, 2025
allo Studio Campo Boario
(Roma, viale del Campo Boario 4/a)

Aria di famiglia


mostra a cura di
Alberto D’Amico e Roberta Melasecca

inaugurazione lunedì 20 ottobre, h. 17:00-19:30

romeartweek.com/it/eventi/?cod…

un'opera in mostra

*

Aria di famiglia — Rome Art Week 2025


Aria di famiglia evoca la nozione wittgensteiniana di somiglianze di famiglia: non un marchio identico che uniforma, ma una costellazione di segni che si richiamano l’un l’altro, come echi che risuonano nello spazio tra le opere e le persone. È in questa trama di rimandi sottili, di affinità impreviste e di differenze che si sfiorano, che prende forma il senso della mostra”

In questo caso il nucleo è quello di una famiglia romana che, nel corso di tre generazioni, ha intrecciato vite e linguaggi artistici diversi, passando dalla pittura alla ceramica, dal design tecnico alla scrittura, dalla fotografia alla musica.

  • Fausto Battelli (1934–2018)
    Pittore e fotografo, fratello maggiore, ha attraversato l’arte italiana dal dopoguerra in poi, oscillando tra fotografia di cronaca e di costume e una pittura che spazia dall’astratto materico alle periferie urbane. La sua produzione riflette tensioni, ossessioni e cambiamenti di un’epoca.
  • Dora Battelli (1931 – 1981)
    Sorella di Fausto, madre di Alberto e Stefano. Ceramista dalla mano sensibile, ha unito gesto artigianale e spirito creativo, lasciando una traccia personale e intima nella tradizione familiare.
  • Antonio D’Amico (1926 – 1996)
    Marito di Dora, padre di Alberto e Stefano. Pur lavorando al di fuori del campo artistico, ha coltivato con passione le sue ossessioni meccaniche: radio, orologi, schemi tecnici. Oggetti e invenzioni che testimoniano un modo diverso di fare arte, a cavallo tra mestiere, tempo e immaginazione, con rare ma significative incursioni artistiche.
  • Alberto D’Amico (1962)
    Artista dal percorso accidentato, tra cinema e arti figurative, con un gusto per l’ibridazione e la contaminazione. Espone le sue false copertine di Urania, che reinventano il linguaggio della fantascienza popolare e dell’editoria di massa. Autore anche del libro Aenigma, in cui scrittura e immagine si intrecciano.
  • Stefano D’Amico (1966)
    Diplomato in scultura all’Accademia di Belle Arti, si esprime con disegni e acquerelli di grande sensibilità. Accanto alla pratica visiva coltiva la passione per il canto e per il pianoforte, che suona “a orecchio” con dedizione, rivelando un’altra sfumatura della creatività familiare.

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Elena Guicciardi si concentra sull’«intermezzo marsigliese» di Bertoli


Fonte: Marta Cicchinelli, Op. cit. infra

La strage, che costituisce uno degli episodi più oscuri della strategia della tensione, giunse al termine di una lunga serie di attentati che avevano insanguinato il paese a partire dal ‘69 di cui i più rilevanti, oltre naturalmente a piazza Fontana, furono la strage di Gioia Tauro del 22 luglio del ‘70 e quella di Peteano del 31 maggio del ‘72. L’attentato avvenne giovedì 17 maggio 1973, alle ore 10:55, presso la Questura di via Fatebenefratelli quando Gianfranco Bertoli lanciò una bomba contro il portone d’ingresso del palazzo. Il bilancio fu di quattro morti e cinquantatré feriti. Quella mattina si era da poco conclusa la commemorazione del primo anniversario dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi. Dopo l’arresto Bertoli si professò anarchico sostenendo di aver compiuto l’attentato per vendicare Pinelli; le sue dichiarazioni, a cui si sarebbe sempre attenuto, seguivano alla lettera le istruzioni che gli erano state impartite nei mesi antecedenti da alcuni dei più importanti membri di Ordine Nuovo durante i giorni di indottrinamento trascorsi a Verona dove l’uomo, in vista dell’imminente attentato, era stato tenuto sotto stretta osservazione. Il coinvolgimento della figura di Calabresi naturalmente serviva ad occultare meglio la mano degli ideatori rendendo più credibile la paternità anarchica della strage. L’obbiettivo dell’attacco, poi mancato, era il ministro dell’interno Mariano Rumor colpevole, secondo gli ordinovisti, di non aver proclamato lo stato di emergenza dopo la bomba del 12 dicembre del ‘69. L’eliminazione del ministro, nei piani degli ideatori della strage, avrebbe dovuto servire anche ad evitare una riedizione del centro-sinistra che si stava profilando come altamente probabile sulla base degli equilibri politici interni alla DC.
[…] A chiudere “La radiografia di un terrorista” l’inchiesta di Mario Scialoja “E ora parliamo di soldi”, che prova a ricostruire da dove provengano i finanziamenti alla rete eversiva neofascista che opera in Italia. Il giornalista identifica due fonti che rimandano entrambe a Junio Valerio Borghese. Alla prima, Scialoja giunge analizzando il processo tenuto dal sostituto procuratore Claudio Vitalone che si era aperto a Roma per il fallimento, avvenuto nel ’68, della Banca del Credito Commerciale Industriale (Credilcomin), il cui presidente era proprio il principe Valerio Borghese. Il processo si sarebbe concluso nel luglio del 1973, a due mesi dall’uscita dell’articolo, con la condanna di tutti gli imputati davanti alla prima sezione penale del Tribunale di Roma. A quel che era emerso nel corso delle indagini, nella Credilcomin erano confluiti, attraverso Gil Robles e Julio Munoz, entrambi legati all’Opus Dei spagnola, i dieci miliardi di lire trafugati dal figlio dell’ex dittatore di Santo Domingo, Rafael Trujllo, portati al momento della fuga nella Spagna franchista. I miliardi, poi spariti nel nulla, erano stati utilizzati per finanziare i piani eversivi dell’ex capo della X Mas. La seconda fonte di finanziamento viene individuata da Scialoja a partire da un breve rapporto del SID, emerso durante il processo, che risaliva al 1969 e sul quale, in quei giorni, aveva presentato un’interrogazione parlamentare il deputato socialista Giuseppe Machiavelli. Le tre cartelle dattiloscritte contenevano il resoconto di tre riunioni che avevano avuto luogo a Genova nella villa dell’industriale Guido Canale tra l’aprile e il maggio del 1969. Alle riunioni avevano partecipato circa una ventina di persone, tra cui, oltre a diversi industriali e armatori genovesi, l’avvocato Gianni Meneghini, difensore di Nico Azzi, e Giancarlo de Marchi, tesoriere della Rosa dei Venti. Lo scopo delle riunioni era, oltre a costituire una sezione provinciale del Fronte Nazionale, quello di reperire finanziamenti a sostegno delle trame eversive, in funzione anticomunista. In quelle occasioni erano stati raccolti 100 milioni di lire. Singolare è che il rapporto del SID non faccia menzione di quanto dichiarato dal fondatore del Fronte Nazionale nel corso della prima riunione, la sola alla quale aveva partecipato. A quanto sarebbe emerso dalle dichiarazioni di uno dei presenti, Borghese parlò dell’esistenza di «un’organizzazione militare di professionisti che era pronta ad agire per impedire con la forza l’avvento al potere dei comunisti e per instaurare un regime di tipo gollista». <110 Che l’obbiettivo di queste riunioni fosse la raccolta di fondi a sostegno di un colpo di stato è dimostrato dalle parole dell’ingegner Fedelini, delegato provinciale del Fronte, il quale aveva precisato nel corso della terza riunione, che l’organizzazione era articolata in due settori specializzati: «quello militare, con il compito di occupare e presidiare le città principali e gli uffici pubblici più importanti e quello civile, con la funzione di orientare l’opinione pubblica, di fare proselitismo e di reperire sovvenzioni». <111
Il 3 giugno «L’Espresso» ritorna sulla strage di via Fatebenefratelli con due articoli d’inchiesta, uno di Mario Scialoja, “Passeggiando per le fogne di Padova”, l’altro di Elena Guicciardi, “Se Pussy Cat si decide a cantare”. Al centro della pagina, nella metà superiore la foto di Franco Freda dietro le sbarre durante il processo per il libretto rosso <112, in alto a destra, accanto al titolo, un primo piano di Pasquale Juliano che indossa una coppola bianca. Si tratta di due interventi che cercano di ricostruire i legami di Bertoli con l’ambiente eversivo della destra padovana e con le organizzazioni neofasciste francesi presenti in Provenza, alle quali secondo la redazione del settimanale occorre guardare per comprendere «chi ha mosso il braccio assassino di Bertoli». <113 Secondo Scialoja l’elemento di connessione tra Bertoli e Ordine Nuovo sarebbe proprio Tommasoni, la cui amicizia con l’autore della strage costituisce a suo giudizio la chiave per la comprensione del retroterra criminale a cui va ricondotto l’attentato di via Fatebenefratelli. Tommasoni come sappiamo era finito sotto i riflettori per l’affare Juliano, il capo della squadra mobile a cui aveva fatto i nomi di Fachini, Freda e Ventura, indicandoli come responsabili della lunga catena di attentati del ’69. Pasquale Juliano, com’è noto, a causa della successiva ritrattazione di Tommasoni e di altri suoi confidenti, dietro ai quali stava la regia dell’Ufficio Affari Riservati, era finito sul banco degli imputati per abuso di mezzi investigativi, venendo alla fine messo in congedo e sospeso dal servizio. Servendosi del memoriale difensivo scritto dal commissario nel settembre 1969, Scialoja ricostruisce in modo puntuale l’intera vicenda: il Tommasoni era stato presentato al capo della mobile da un altro giovane neofascista padovano, Nicolò Pezzato, da tempo confidente della polizia, che glielo aveva indicato come un uomo disposto a parlare in cambio di denaro. Questo aspetto, sottolineava Juliano, era stato confermato dal loro primo incontro durante il quale Tommasoni aveva chiesto al commissario il pagamento di una cambiale da 10.000 lire e, successivamente, dalla denuncia contro lo zio per detenzioni d’armi, fatta per intascare un premio di 5.000 lire. Oltre ad essere «un infido mercenario», Tommasoni – osserva Scialoja – era anche un fascista vicino a uomini chiave dell’eversione nera veneta, finiti tutti «in prigione o gravemente compromessi nelle indagini condotte da giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio e dal Procuratore della Repubblica di Padova Aldo Fais». <114 L’uomo infatti era legato a Franco Freda, che era stato arrestato per la prima volta nel 1971 su mandato di Giancarlo Stiz, e a Massimiliano Fachini, luogotenente di Freda, ex consigliere comunale del MSI e presidente del FUAN. Questi dopo essere stato arrestato per gli attentati del 1969 proprio da Juliano ed essere stato prosciolto, era stato oggetto di un procedimento giudiziario da parte di D’Ambrosio per concorso in omicidio volontario di Alberto Muraro, il portiere dello stabile di Piazza Insurrezione dove abitava Fachini, che era il solo a poter testimoniare a favore del commissario in relazione al procedimento avviato contro di lui per irregolarità nelle indagini, e che era singolarmente volato dalla tromba delle scale, dopo aver ricevuto un colpo in testa. Proprio una settimana prima dell’uscita dell’articolo di Scialoja, Fachini era finito nuovamente sotto indagine per la strage di piazza Fontana. <115 Secondo il giornalista è proprio a questo «torbido sottobosco nero padovano» <116 che ruota intorno ad Ordine nuovo che bisogna guardare per chiarire i mandanti che stanno dietro la strage alla Questura. Il legame con ON, spiega al temine dell’articolo Scialoja, consentirebbe inoltre di comprendere gli agganci di Bertoli con l’estrema destra francese, visti gli stretti rapporti della formazione padovana con le organizzazioni neofasciste e paramilitari europee, specie con ex esponenti dell’OAS. Ancora una volta desta una certa impressione rileggere oggi questo intervento di Scialoja che, sulla scorta di pochi indizi e basandosi sull’intuizione della buona fede del capo della mobile, era riuscito a giungere alle medesime conclusioni cui sarebbe pervenuta molti anni dopo, con non poche difficoltà, la magistratura.
L’intervento di Elena Guicciardi si concentra sull’«intermezzo marsigliese» <117 di Bertoli, che costituiva per gli inquirenti uno dei principali nodi da sciogliere per provare a dare una spiegazione a quanto era accaduto il 17 maggio a Milano. Il titolo del pezzo allude al clima di intimidazione che si era diffuso nei mesi antecedenti alla strage nei confronti dei proprietari di caffè e locali notturni situati tra Nizza e Marsiglia, che erano stati fatti saltare in aria o incendiati. Il Pussy cat era proprio un locale situato sul vecchio porto di Marsiglia, che era stato oggetto di un attentato dinamitardo, la cui padrona probabilmente era a conoscenza delle frequentazioni di Bertoli. L’autrice ritiene che i contatti marsigliesi dell’attentatore di via Fatebenefratelli vadano ricercati nell’ambiente eversivo della destra francese costituito prevalentemente dai nazionalisti rimpatriati dall’Algeria dopo l’indipendenza, molti dei quali erano rientrati in Francia, dopo aver trovato rifugio nei regimi fascisti della penisola iberica, a seguito dell’amnistia concessa nel 1968 dal generale De Gaulle. La pista indicata dalla Guicciardi è decisamente interessante se si pensa che erano stati proprio gli ex militari francesi fuggiti dall’Algeria e riparati in Portogallo a fondare nel 1966 l’agenzia di stampa internazionale Aginter Press, implicata nelle manovre delle destre eversive di tutta Europa e, come sarebbe emerso dalle indagini della magistratura, anche nella strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Tra le figure alle quali bisognava guardare, la Guicciardi cita in particolare due noti esponenti dell’OAS, Joseph Ortiz e Jean Marie Susini. Truculento protagonista della lotta per l’Algeria francese, implicato nella vicenda della Villa Sources, dove venivano torturati i militanti del FLN, prima di essere sciolti nell’acido solforico, Ortiz era stato uno degli ideatori, insieme al deputato Pierre Lagaillarde, della “rivolta delle barricate” che si era consumata ad Algeri nel gennaio del 1960. Condannato a morte in contumacia, nel 1968 Ortiz era rientrato in Francia dove, a Tolone, aveva fondato, insieme all’ex-capo del servizio stampa dell’OAS, André Seguin, il “Club dei nazionalisti rimpatriati”, punto d’incontro per la destra fascista francese. L’altra figura su cui si sofferma la giornalista è Susini. Fondatore dell’OAS (Organisation de l’Armée Secrète), un’organizzazione clandestina, composta da civili e militari, che intendeva continuare con metodi terroristici la lotta per l’Algeria francese, Susini era stato condannato a morte in contumacia oltre che per l’appartenenza all’organizzazione, anche per essere stato l’ideatore del fallito attentato contro il presidente De Gaulle nel 1964. Rifugiatosi prima in Spagna, poi in Italia, dove aveva vissuto per ben cinque anni sotto falsa identità, Susini era ritornato in Francia grazie all’amnistia del ’68. Qui aveva stretto rapporti oltre che con i vecchi commilitoni di destra, anche con la malavita marsigliese, con la quale aveva organizzato numerose rapine ai danni delle banche della Costa Azzurra. Nell’ottobre del 1972, infine, era stato nuovamente arrestato con l’accusa di aver organizzato il rapimento e la scomparsa del tenente colonnello Raymond Gorel, l’ex-tesoriere dell’OAS che si era appropriato del tesoro dell’armata segreta, mettendolo al sicuro in Svizzera. Con parole simili a quelle utilizzate da Scialoja, l’autrice concludeva sottolineando che il misterioso interlocutore marsigliese con cui i fratelli Yemmi, appartenenti a Jeune Revolution – gruppo legato all’organizzazione di estrema destra Ordre Nouveau -, avevano messo in contatto Bertoli andava cercato proprio in questa giungla popolata da fascisti, criminali senza scrupoli, sopravvissuti ai conflitti coloniali. Solo riuscendo a fare luce su quei tre giorni di buio tra l’approdo di Bertoli a Marsiglia e l’arrivo a Milano, sarebbe stato possibile arrivare ad una ricostruzione plausibile della strage alla Questura.

[NOTE]110 M. Scialoja, E ora parliamo di soldi, in «L’Espresso», a. XIX, n. 21, 27 maggio 1973, p. 5.
111 Ibid.
112 Del libretto rosso e della strategia della cellula padovana di Ordine Nuovo ne parla Gianni Casalini in un colloquio riportato da Guido Salvini sul suo sito. Il libretto era stato scritto interamente da Franco Freda mentre Giovanni Ventura ne aveva curato la stampa. Cfr. Il libretto rosso di Freda e Ventura, guidosalvini.it/libro-nel-cinq… (consultato il 18 febbraio 2024).
113 M. Scialoja, Passeggiando per le fogne di Padova, in «L’Espresso», a. XIX, n. 22, 3 giugno 1973, p. 9.
114 Ibid.
115 Durante una perquisizione a casa di Fachini era stata trovata una chiave che si adattava perfettamente alla serratura della cassetta metallica che conteneva la bomba fatta esplodere il 12 dicembre in piazza Fontana. Al momento in cui Scialoja scriveva l’articolo era in corso una perizia per accertare la che la chiave corrispondesse effettivamente al blocco serratura della cassetta metallica. Ibid.
116 Ibid.
117 E. Guicciardi, Se pussy cat si decide a cantare, in «L’Espresso», a. XIX, n. 22, 3 giugno 1973, p. 9.
Marta Cicchinelli, Stampa e strategia della tensione: la strage alla Questura di Milano sui settimanali italiani, Tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2023-2024

#1969 #1973 #AginterPress #AndréSeguin #anticomunismo #attentati #Credilcomin #destra #ElenaGuicciardi #estrema #ex #Fronte #Genova #GianfrancoBertoli #GilRobles #giornalisti #JunioValerioBorghese #lEspresso #MarioScialoja #marsiglia #MartaCicchinelli #milano #Nazionale #neofascisti #NicolòPezzato #nizza #OAS #OdineNuovo #provenza #PussyCat #questura #rosa #Venti

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Progettare una missione per Saturno in 23 ore e 13 minuti

edu.inaf.it/approfondimenti/cr…

Progettare e raccontare una vera missione spaziale: questo il compito che hanno svolto gli studenti presso la sede di Merate dell’Osservatorio Astronomico di Brera.

#OsservatorioAstronomicoDiBrera #PCTO #Saturno


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Raimbaut, vida e cansos


Concerto recitato, in lingua provenzale con traduzioni proiettate: la vita e le sette canzoni di Raimbaut raccontate e cantate da Matteo Zenatti, da solo in scena con la sua arpa salterio, nel suo castello immaginario di ricordi della vita in Monferrato a

Concerto recitato, in lingua provenzale con traduzioni proiettate: la vita e le sette canzoni di Raimbaut raccontate e cantate da Matteo Zenatti, da solo in scena con la sua arpa salterio, nel suo castello immaginario di ricordi della vita in Monferrato accanto al marchese Bonifacio e la sorella di lui Beatrice – un lungo viaggio, dal paese di origine, al Monferrato, a Costantinopoli, narrato da lui stesso nella sua bella lingua.

Il concerto è la conclusione di una residenza di 10 giorni che si terrà a Dronero, il tempo per la preparazione, due incontri con le scuole, workshop con musicisti locali, una conferenza con i filologi Andrea Giraudo e Francesco Carapezza (come viene spiegato qui[color="#000000"]).[/color]


in scena Matteo Zenatti, canto, recitazione, arpa salterio
regia di Paola Tortora, Vintulera Teatro
consulenza filologica di Andrea Giraudo
luci di Teatro del Vento
costumi di Gaetano Miglioranzi
sartoria Caprara

Questa voce è stata modificata (1 settimana fa)

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oggi, 15 ottobre / today, october 15th : an online meeting about a “wunderkammer” of contemporary italian poetry


casaitaliananyu.org/events/ita…

italian poets in wonderland

Wednesday, October 15, 2025
11:00 am – 1:00 pm (New York) // 17:00 – 19:00 (Italy)

as a part of
Settimana della Lingua Italiana nel Mondo
in collaboration with
Italian Cultural Institute in New York

Zoom Webinar
Italian Poets in Wonderland
Presenting the Digital Wunderkammer of Contemporary Italian Poetry


On Zoom
(register here)

Featuring:
Stefano Albertini, NYU
Luigi Ballerini, UCLA Emeritus
Fabrizio Bondi, Suor Orsola Benincasa University, Naples
Valerio Lo Bello, NetSeven

With the participation of:
Cecilia Bello, Università di Roma La Sapienza
Stefano Colangelo, University of Bologna
Ugo Perolino, University of Chieti
Vincenzo Frungillo, poet
Gianluca Rizzo, Colby College
Beppe Cavatorta, University of Arizona

In ENGLISH and ITALIAN:
casaitaliananyu.org/events/ita…


What if Italian poets were like those animals that, from a distance, seem like flies? Almost invisible at first glance, yet impossible to ignore once you find yourself in the same room with them. From this thought—and from a quotation by Jorge Luis Borges in The Analytical Language of John Wilkins—comes Itpoetry.org, the first digital platform dedicated to contemporary Italian poetry. The site is inspired by the bilingual anthology Those Who from Afar Look Like Flies, edited by Luigi Ballerini and Beppe Cavatorta, whose second volume will be released in November.

On this platform, a variety of voices—academic and beyond—connect online to discuss contemporary poets. The project was launched under the auspices of Casa Italiana Zerilli-Marimò at New York University, on the initiative of Luigi Ballerini and Fabrizio Bondi. Itpoetry.org was developed by the NetSeven studio in Pisa, which translated the structure of Flies into an interactive online experience, giving artistic form and digital animation to the often acrobatic and ironic ideas of Ballerini (UCLA emeritus) and Bondi (Suor Orsola Benincasa University, Naples).

The long flight of the “flies,” carried weightlessly by digital bits, aims to connect not only the two sides of the Atlantic but also the languages of new media with those of poetry—reaching unexpected and diverse audiences. All this stems from the belief that poetry, with its non-instrumental and therefore non-aggressive logic, “takes no prisoners.” Poetry can thus become a vehicle for peace; and it is our ongoing task to translate it—to interpret it, embody it, and carry it forward.

#asAPartOfSettimanaDellaLinguaItalianaNelMondo #BeppeCavatorta #CasaItalianaZerilliMarimò #CeciliaBello #ColbyCollege #contemporaryItalianPoetry #DigitalWunderkammerOfContemporaryItalianPoetry #FabrizioBondi #GianlucaRizzo #ItalianCulturalInstituteInNewYork #ItalianExperimentalism #ItalianPoetry #ItalianPoetsInWonderland #ItpoetryOrg #LaSapienza #letteraturaItaliana #LuigiBallerini #NetSeven #NetSevenStudio #NYU #poems #poesiaItalianaContemporanea #poetry #poets #SapienzaUniversitàDiRoma #SettimanaDellaLinguaItalianaNelMondo #StefanoAlbertini #StefanoColangelo #SuorOrsolaBenincasaUniversity #theDigitalWunderkammerOfContemporaryItalianPoetry #traduzione #traduzioni #translation #translations #UCLA #UgoPerolino #UniversitàDiRomaLaSapienza #UniversityOfArizona #UniversityOfBologna #UniversityOfChieti #ValerioLoBello #VincenzoFrungillo #webinar #wunderkammer #zoom

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E allora è arrivato!


Finalmente: domani parto per Dronero (provincia di Cuneo), 9 giorni di residenza, preparazione, incontri e workshop, e il 25 metto in scena Raimbaut, vida e cansos, concerto in assolo, recitato interamente in provenzale (con traduzioni proiettate), con le

Finalmente: domani parto per Dronero (provincia di Cuneo), 9 giorni di residenza, preparazione, incontri e workshop, e il 25 metto in scena Raimbaut, vida e cansos, concerto in assolo, recitato interamente in provenzale (con traduzioni proiettate), con le canzoni e le vicende di Raimbaut de Vaqeiras, opera che completa il percorso iniziato col [color="#000000"]cammino di Trovatore in transito[/color]: torno da dove ero partito, a Dronero, grazie a Espaci Occitan, che ha deciso di prendersi carico di questa residenza, cui sempre sarò grato.

È il progetto che mi ha impegnato negli ultimi anni, compresa la registrazione delle sue sette canzoni rimaste, che è ancora in preparazione (colpa mia che non mi fido di me), ma entro qualche mese dovrebbe arrivare.

Credo di non essere mai stato tanto compromesso come questa volta: lo vivo come un raggiungimento per me, sperando che sia una bella riuscita: un’avventura per la memoria di così tante pagine in provenzale, per la buona esecuzione delle musiche di Raimbaut, per il tentativo di far passare storie così lontane a un pubblico attuale. Ce la metto tutta.

Paola Tortora mi ha condotto registicamente alla messa in scena.
Gaetano Miglioranzi mi ha disegnato il costume di scena, e la sartoria Caprara lo ha completato

Sulla pagina dedicata di Espaci Occitan [color="#000000"]puoi l[/color]eggere tutti gli appuntamenti di questa residenza, compresa una conferenza con due valenti filologi che son sicuro mi bacchetteranno per le mie scelte linguistiche e tutto quel che ne consegue, Andrea Giraudo e Francesco Carapezza 🙂

Insomma, faccio la valigia (lo spettacolo è progettato per stare tutto intero dentro un contenitore trasportabile anche via aereo, vorrei portarlo davvero dovunque) e parto.

Ci vediamo a Dronero.

matteozenatti.net/wp-content/u…

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in reply to Matteo Zenatti

invidio molto chi potrà esservi. È un progetto estremamente interessante. (ma come farai se qualcuno si presenta al laboratorio musicale aperto a ogni strumento con un PIANOFORTE? :ablobgrimace: )

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Credere, obbedire, combattere. La propaganda della guerra nel 2025


Carri armati, droni, elicotteri da combattimento, veicoli blindati e mezzi storici hanno occupato dal 2 al 5 ottobre l’area attorno al teatro Politeama, cuore di Palermo. Il “Villaggio dell’Esercito”, allestito per volontà del ministro Crosetto con il beneplacito del sindaco Lagalla e la presenza “rassicurante “ del presidente della Regione, è stato presentato sul sito del Comune […]

Leggi il resto: argocatania.it/2025/10/15/cred…

#armiDaGuerra #OsservatorioControLaMilitarizzazioneDelleScuole #Palermo #RegioneSiciliana #RenatoSchifani #UfficioScolasticoRegionale


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gli inutili pensieri personali noiosi sulla discrepanza uniscolastica dell’octo…


Ultimamente stavo pensando (ahia…), quasi rimuginando a riguardo, per qualche motivo, che questo terzo anno di università, in termini di vibe, in alcuni specifici frangenti mi riporta un po’ al liceo… e non so se è una cosa buona. Mi sono tenuta questa pazzia per un po’, ma veramente più ci penso e più mi sembra valida, quindi eccola qui come al solito per chi non ha paura di subirla… 😈

Innanzitutto, l’ambiance. Questa è particolarmente interessante, perché come vibe si divide in più punti, eppure resta consistente con la premessa; tolta l’aula dove si tengono i corsi facoltativi quest’anno, che non mi riporta a nulla di antico:

  • Il lunedì mattina, si va nel laboratorio al primo piano… che, quando le tapparelle sono aperte, ed entra la luce, mi riporta spaventosamente all’ora di informatica al liceo; dove, a dire il vero, si faceva forse anche di più di cosa facciamo in questo laboratorio con le due materie di questa mattina… cioè, io faccio le mie robe come allora, e gli altri perdono tempo col telefono o videogiocano in ogni caso come allora, ma il professore lì a scuola non stava solo a spiegare da delle diapositive come qui all’università. Sarà perché anche al liceo il laboratorio di informatica era al primo piano, e non sotterraneo come gli altri laboratori di PC all’università, e più o meno le dimensioni sono comparabili, anziché esagerate con file lunghissime?
  • Il giovedì e venerdì mattina, invece, si sta nell’aula normale, alquanto ampia ma fredda di inverno… (me ne sono già lamentata abbastanza, non aggiungerò altro…) come al liceo, finché non accendono i termosifoni, lì a dicembre. Però, come al quinto anno di liceo in particolare la mia era una delle poche aule senza termosifoni, qui all’università questa è una delle poche aule dove i condizionatori sembrano non riuscire a fottutamente funzionare… che è quantomeno curiosa, come corrispondenza. Non bella, ma ci sta.
  • Il mercoledì, ad orario di merda purtroppo, come già detto anche questo, ci sono le conferenze delle aziende in un’aula che non è presa a caso, ma è apposta per le conferenze, con una specie di palco seppur non profondo e le sedie a salire… che, con facilità ovvia, riporta subito all’aula magna del liceo, e a tutte le ore felicemente perse (perché erano di mattina, in quel caso) lì dentro nel corso di 5 anni, ad ascoltare la gente yappare per assemblee di istituto o per i soliti eventi con ospiti da fuori. Peccato non abbia lo stesso odore di polvere, e sia molto più piccola, altrimenti le vibe erano veramente spiccicate uguali.


Questa è una foto del laboratorio, comunque… Chi andava al liceo con me E leggerà questo post, cioè nessuno, noterà anche una certa somiglianza per come dalle finestre si vede l’altro fabbricato, con il cortile sotto… che magia… 🤩
Poi, una nota piccola ma importante ci sarebbe da fare sui professori… e questa non è buona, principalmente. Per quanto di personaggioni in questi 2 anni già passati me ne siano capitati, e più volte in passato ho fatto paragoni mentali con alcuni del liceo, con quest’anno siamo veramente ad un bel livello!

  • C’è il professore di Android che si incazza se la gente bisbiglia — e oh, in realtà per questo lo rispetto, tecnicamente ha ragionissima — e, per quanto non urli come a scuola invece è prassi, questo suo lamentarsi continuamente del rumore mi fa per forza pensare alle ore di scuola… con la differenza che lì eravamo tutti obbligati a stare, mentre qui, chi non vuole seguire la lezione se ne può andare fuori a parlare; oltre al fatto che il suo è uno dei corsi a scelta, quindi basta.
  • C’è poi il professore di non dico quale delle due materie obbligatorie (sia mai ‘sto blog giri proprio quando non voglio, poi succede che me lo sogno la notte…) che, vi giuro, è attualmente il nuovo yapping final boss, definitivo. Per carità, l’anno scorso ne ho avuto uno mooolto peggiore sotto questo punto di vista, e del primo anno non parliamo nemmeno, ma questo… mi appare, fisicamente e come attitudine, un misto tra il prof. di chimica e quello di educazione fisica del liceo, e parla e straparla aggiungendo dettagli superflui quando spiega che è un mal di testa…

Ahimè, le similitudini coi vecchi tempi — dove ero allo stesso tempo più tormentata ma più spensierata, nonché c’è da dire che non era ancora arrivato il mio glow-down, seppure il mio glow-up non c’è mai stato prima e sta arrivando solo ora (…lasciate stare, sono normali paranoie da ragazza magica…) — finiscono qui. O quasi: ero tanto socialmente inetta allora come ora, e tutto sommato ugualmente poco cagata, ma ora è per certi versi anche peggio sotto questo aspetto, come tra l’altro sospettavo prima di iniziare l’università… almeno al tempo c’era nella stessa mia classe gente che conoscevo circa bene e con cui scambiare delle parole di vario tipo, mentre ora no… c’è appena qualcuno in altre classi, in alcuni momenti, che non è per niente la stessa cosa. Ah e, letteralmente dimenticavo… al liceo non c’era nessun piano di studi da presentare, mentre qui mi tocca, ed entro questo venerdì… l’altro ieri pensavo fosse inizio ottobre, mentre invece siamo a metà. Il tempo sta proprio volando!!! 😩


Un’altra cosa nata al liceo e poi svanita è, probabilmente, il sitoctt; Scopri come mai è morto, nel nuovo articolo paradossalmente ma piacevolmente pubblicato sullo stesso sitoctt: sitoctt.octt.eu.org/it/blog/20…. (Messaggio promocttionale, leggere attentamente il foglietto illustrocttivo.)

#pensieri #università


giornata cacata per fattori multiuniversali (analisi delle mie ultime paturnie, applicate a oggi ma non solo)


Io, in fondo in fondo un minimo scherzavo, pazziavo, sulla storia per cui sono tremendamente distrutta oltre ogni limite dalle cose susseguentesi… un minimo, perché comunque la storia di base è assolutamente vera… eppure, oggi mi rendo conto che non ero per niente pronta per il momento in cui tutto questo sarebbe diventato reale per davvero, al di là dei miei sottili ma ampi e ben impilati strati di ironia… Ed esattamente come le mie lagne sono un combinarsi di cose per formare il racconto di esperienze assolutamente non invidiabili, questo mio progressivo sfaldamento è da imputare a fin troppi fattori combinati, quindi non c’è una singola particolare cosa che se cambiata risolvererebbe tutto. (No, neanche il dormire 13 ore in un giorno… anche se spero di comunque riuscire a fare proprio questa fine sabato!) 🐭

1, il sempre presente: Il freddo. Ormai lo sto dicendo ad nauseam, ma veramente… mi distrugge tipo da dentro, mi consuma e mi rende una persona più vuota, a fatica permettendomi di finire la giornata!!! Ed è un ciclo continuo e subdolo, seppur con un po’ di variazione da un giorno all’altro, per via di come sono strutturati i miei orari… Esco di casa e, se è mattina presto, tengo freddo (beh, in realtà anche solo a stare in casa a quell’ora fa il freddo, ma quando mai non è stato così in case di letteralmente il secolo scorso… e vaffanculo alla società di 50 anni fa che ignorava totalmente il concetto di efficienza energetica). Bisogna aspettare a più tardi, all’orario comodo di sveglia che io preferisco ma non sempre posso permettermi, per non piangere… e poi sorprendentemente si sta bene, anche fuori; addirittura oggi, non essendoci quel vento bruttissimo di giorni fa, fuori si stava proprio bene, c’era un gustoso tepore… ma anche un’escursione termica da spavento tra l’ombra e il sole, al punto che non ironicamente dovevo prepararmi mentalmente per entrare in un edificio, essendoci il portico. E poi, la sera… giuro, dal momento in cui il sole tramonta, da che sto bene inizio a fottutamente tremare; ma non fuori alla strada eh, dico proprio dentro casa (si torni al punto delle case di merda.)… NON ce la faccio!!! 🥀

Le mattine di giovedì e venerdì, specialmente, sono particolarmente traumatiche, comunque. Questo perché l’aula di merda in cui in quelle mattine ho lezione — che è merda per lo stesso motivo della casa, e infatti mi risulta sia stata costruita circa nello stesso periodo (non so come, visto che l’edificio ha la seconda numerazione più recente, ma così ci disse il prof molto vecchio l’anno scorso, ed è l’unica fonte disponibile, seppur credo una per niente affidabile… quindi non si può fare altro che credergli) — dove, a differenza delle altre aule, i climatizzatori attualmente mi risultano spenti, e l’edificio fa schifo e proprio lo percepisco come se fosse posseduto ed emettesse freddo verso dentro… ma forse sarà solo il vento gelido da fuori che entra pure con tutto chiuso, forse perché essendo per metà finestre sarà fisicamente per metà spifferi. Poi, ovviamente, non aiuta che il professore della seconda materia abbia aperto metà delle imposte per “far cambiare aria“… poi qualche decina di minuti dopo qualcuno ha chiuso almeno quelle che stavano direttamente dietro di me, però intanto il vento è entrato prepotente a rompere ancora di più l’anima; in qualche modo demoniaco e fisicamente incomprensibile riuscendo a soffiarmi pure all’altezza delle caviglie!!! 😭

Tra l’altro, stamattina mi sono pure svegliata con una gola atrocemente secca, non so perché. Durante la giornata poi mi è salito a tutti gli effetti proprio il mal di gola, con ogni tanto pure il coff coff… solo nella sera mi è sembrato un po’ meglio, ma sento comunque la gola fatta di carta vetrata fine (oh, poteva essere molto peggio… a granula grossa…). E durante il pranzo mi è venuto pure il raffreddore, o comunque qualunque cosa porti a far uscire il muco dal naso, e che palle veramente… già in primavera devo stare con questi porca puttana di fazzoletti per l’allergia; se ora a inizio ottobre già riesce fuori la merdata del muco divento una bestia. 🤧

E ok, un (1) fattore quantomeno l’ho decodificato per bene, ma non ci posso fare granché; se mi vestissi invernale già ora, sarebbero problemi. Il resto rimane poco chiaro, invece… Mi distrugge così tanto andare 5 giorni su 7 in culandia a semplicemente sentire sciroccati yappare? Perché stress vero e proprio non ne ho… o almeno, non ho motivi per pensare di starne subendo un’accumulazione; non ho esami di mezzo, sto prendendo tutto per i cazzi miei, alla fine la verità è che comunque ‘sto nel chill. Quindi, 2 e oltre: ancora boh, per ora. 😑

L’unica cosa buona della giornata, almeno, è che ho detto vaffanculo e sono andata al ristorante a pranzare (anche perché oggi in giro a quell’ora non ho intravisto nessuna persona che non mi detesta, quindi sarei stata piantata lì per niente), dunque a pranzo ho certamente goduto, e non indifferentemente… ma l’ho fatto perché già con soli 2 giorni di fila a mangiare solo pane e acqua fino a quando non arriva la cena, che è ben 7-8 ore dopo, finisco a casa che un altro po’ cado per terra — non subito, a dire il vero, ma appena cala il sole e arriva il freddo di cui sopra si — 3 volte una dietro l’altra mi sa mi sa che sono proprio un suicidio, manco fossi detenuta in un campo di lavoro forzato di uno qualsiasi dei tanti famosi paesi poco democratici esistenti nel nostro mondo… quindi bene spendere dei soldini per sopravvivere. 😇

Comunque, anche in questo c’è una cosa bizzarra: bono e saziante il pranzo, con primo e secondo, e ho speso appena 15 euro in totale, quindi non posso proprio lamentarmi… ma comunque dopo un po’ mi è salito quell'”aaaaa” di stanchezza di mezza giornata… no, non è abbiocco post-pranzo, perché quello in genere non mi viene, almeno non quando pranzo per bene. Ho fatto tutto con estrema calma, godendomi i momenti della goduria, quindi ho passato più di 1 ora al ristorante, muovendo i piedini con pazienza nell’andare e tornare, e prendendo il caffè al bar dell’università (e non alle macchinette, stavolta, vaffanculo agli stronzi ladri criminali!!!) pur di perdere altro tempo… però alla fine dei conti mi sono trovata comunque con mezz’ora bucata e nulla di particolarmente infognante da fare sul PC nel restante spicchio di pomeriggio, quindi mi è salito comunque quel sentimento di vuoto di stomaco misto a vuoto dell’anima… 😬

Inspiegabile, tutto ciò, davvero. Almeno, ora che sono a casina (cioè, da ore, come l’altra volta, poi ho avuto altro da fare), comunque la differenza con il fatto che ho pranzato veramente si vede, perché non mi sento sul punto di morte… evviva!? E in realtà, tra scrivere questo stesso post e finirne altri per il blog della stufa, ho smesso di sentirmi cacata come a prima… Aspe… miiinchia… ma vuoi vedere che, sotto sotto, il professore con l’accento siciliano ha ragione, e l’aria dell’università è realmente viziata (in tutte le aule, non solo quella di stamattina) e peggiora magicamente l’umore??? Si vede che sarebbe probabilmente il caso di abbatterli proprio, ‘sti palazzi schifosi, e fare direttamente lezione all’aperto, a questo punto, basta. 👻
Lore update:I have officially lost the plot. Idkwhat's happening anymore…Comunque, questo fatto è sempre più vero!!!
#giornate #paturnie #pensieri #problemi


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Treno Intercity Notte 794 con E464.193 + E464.234 in transito a Castagneto Carducci (30/01/2024)


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17 ottobre: open day per i nuovi corsi 2025-26 del centroscritture


venerdì 17 ottobre, ore 18:30 | Evento online:
Presentazione dei corsi e delle attività della nuova stagione 2025-2026 del CentroScritture

locandina Open Day di centroscritture.it - corsi / eventi / edizioni _ 17 ottobre 2025 locandina Open Day di centroscritture.it - corsi / eventi / edizioni _ 17 ottobre 2025

centroscritture.it/event-detai…

Presentazione della quinta stagione 2025-2026 di corsi e attività del CentroScritture in un evento online aperto a tutti trasmesso in diretta sul canale YouTube del CentroScritture.

Sarà ripercorsa la storia del Centro, attivo dal 2018 e nella nuova, attuale veste dal 2021, la filosofia che guida le sue iniziative, e verranno chiarite le modalità di partecipazione. Un’occasione per avvicinarsi al primo centro culturale interamente dedicato alle scritture poetiche contemporanee, di cui si impegna a fornire gli strumenti – dagli autori alle opere, dalle idee agli stili e alle tecniche – per orientarsi al meglio nel vasto e complesso panorama della poesia di oggi.

Sarà illustrata la programmazione didattica, 10 nuovi corsi da ottobre 2025 a giugno 2026, insieme ai seminari, gli eventi, le edizioni ECS e i progetti in partnership.

Interverranno:
Valerio Massaroni – Direzione generale
Marco Giovenale – Coordinazione didattica
Emanuele Franceschetti – Eventi e progetti

Parteciperanno inoltre alcuni iscritti che presenteranno le loro recenti pubblicazioni:
Giancarlo Busso, Campagne (Fallone Editore, 2025)
Paola Parolin, Necessità e grazia (Arcipelago Itaca, 2024)
Cristian Ponsillo, RAL 9005 (Puntoacapo, 2025)
Giorgio Rafaelli, Il colore basso di un saluto (Arcipelago Itaca, 2024)

VENERDÌ 17 OTTOBRE 2025
ORE 18:30
Diretta online sul canale YouTube del CentroScritture

→ Vai al canale YouTube

→ Vai alla nuova programmazione 2025-2026

#CentroScritture #centroscrittureIt #corsi #CristianPonsillo #EmanueleFranceschetti #GiancarloBusso #GiorgioRafaelli #MarcoGiovenale #MG #openDay #PaolaParolin #poesia #poesie #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca #ValerioMassaroni

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Un paio di cuffie e un podcast per scoprire l’Universo

edu.inaf.it/news/per-la-scuola…

Torna Martina Tremenda, con il suo podcast multimediale di 12 episodi pensato per accompagnare bambini
e bambine dalla Terra ai pianeti più lontani, tra alieni curiosi, alla scoperta dei misteri dell’Universo.

#Astrokids #MartinaTremenda #podcast


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scheletri negli armani


trovo – o meglio trovavo, un mese fa – su fb questa frattaglia tra il servile e l’efferato, che non bisogna essere a sx per giudicare – come minimo – apologetica degli anni più demmerda del Novecento, (in)seminatori dei decenni successivi.

poi io commento, in calce, con Balestrini.
apologia dell'armanismo
“il regno dei sarti” (Nanni Balestrini):

Nel maggio del 1984 si è concluso il processo 7 aprile. Le mie incriminazioni erano state pesantissime: associazione sovversiva, banda armata e 19 omicidi tra cui quelli di Aldo Moro e della sua scorta. L’accusa aveva chiesto per me 10 anni ma la sentenza è stata di assoluzione. Dopo tanti anni sono così potuto rientrare in Italia, ma la mia prima impressione è stata di sgomento. Ritrovavo un paese in piena restaurazione, le vicende del passato più recente erano state ipocritamente rimosse, nessuno parlava più di politica, il consumismo era all’ordine del giorno, Milano da capitale dell’industria e della cultura era diventata il regno dei sarti. La moda dominava, tutti si vestivano di etichette.


(slowforward.net/wp-content/upl… – da slowforward.net/2022/08/23/pos…)


[quello sul giorgio è proprio un trafiletto mortuario: “oggettificazione”? del potere maschile? “fluidificazione della geopolitica”? “capitali liberati”? “La potenza fisica”? “il nuovo Medio Oriente” (!!!) ??? … ma siamo pazzi? ma l’anima de li mejo tatcher vostri…]

[ma quanti morti ci devono essere, di fame, sul lavoro, di perdita del lavoro e della casa, di smantellamento dello stato sociale e della sanità pubblica, per capire da dove viene il presente?]


un addendum:
https://www.facebook.com/share/1D3KATb6PW/

#111 #anni80 #anniDemmerda #anniNovanta #anniOttanta #anniottanta #Balestrini #etichette #GiorgioArmani #ilRegnoDeiSarti #moda #NanniBalestrini #nuoviPoteri #politica #poteri #processo7Aprile #restaurazione #sarti #scheletriNegliArmadi #scheletriNegliArmani #tatcherismo #unPaeseDiSarti #unPaeseInPienaRestaurazione


“inno ai nuovi poteri”


trovo su fb questa frattaglia tra il servile e l’efferato, che non bisogna essere a sx per giudicare – come minimo – apologetica degli anni più demmerda del Novecento, (in)seminatori dei decenni successivi.

poi io commento, in calce, con Balestrini.

“il regno dei sarti” (Nanni Balestrini)
slowforward.net/wp-content/upl…

(da slowforward.net/2022/08/23/pos…)

(“fluidificazione della geopolitica”? “capitali liberati”? ma l’anima de li mejo tatcher vostri)

#anni80 #anniDemmerda #anniNovanta #GiorgioArmani #nuoviPoteri #poteri #sarti


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niente gaming attraverso nintendo se si sta senza la u (non si può giocare quasi a niente su WiiU senza Gamepad)


So che forse non dovrei farmi questo tipo di domande, perché con Nintendo da un lato è inutile, e dall’altro è pericoloso, lo sappiamo, la mafia, i ninja, wewe tu devi solo aggiocare non sia mai che ti preoccupi di qualcosa… però, dall’altra sera questa cosa non la riesco a mandare giù. Per quale cavolo di motivo su Wii U, se non si vuole usare il Gamepad, si può praticamente fare appena un decimo del gaming altrimenti possibile, a giudicare a occhio? 😐

Putiamo il caso, giusto per fare un esempio, che voi siate me… ok, no, non serve andare così in là. Putiamo magari il caso che il Gamepad sia scarico — situazione plausibile, visto che tutti i controller Nintendo wireless drenano malamente da spenti se hanno batterie collegate, e con il Gamepad una carica dura poco gaming, quindi in pochi anni la batteria si degrada parecchio con questo giochetto di scarica e ricarica, finendo per durare sempre di meno — e non si voglia sclerare per ricaricarlo in quel momento. Oppure, ancora, magari si vorrebbe giocare con un comando più compatto e leggero in quel momento, per comodità o quel che è… ma no. 🥱

Oh, io posso accettare che non si possano usare le impostazioni della console, o il browser web, o il che cavolo ne so, senza il Gamepad (nonostante non ci sia alcuna ragione tecnica per cui quei malati di Nintendo non potessero implementare il supporto completo a qualsiasi controller nelle app e nei menu…), ma il punto è che un sacco di giochi sono completamente inagibili! E non solo quei giochi gnammy basati interamente attorno al Gamepad, come per esempio Nintendo Land (che io possiedo in copia fisica, supergnammy), ma anche altri che proprio non capisco perché siano in questa situazione.🎳

Non posso dare troppi esempi specifici, perché non ho provato ogni singolo gioco immaginabile, bensì ho provato giusto ad aprire vari titoli alla bene e meglio, ma di cose assurde ce n’è una varietà infinita. Molti giochi che semplicemente non partono proprio senza il Gamepad collegato, facendo comparire un popup nel menu home… altri che si avviano, ma subito chiedono che sia collegato il Gamepad; giusto qualcuno concede almeno il Pro Controller, ma il Wiimote quasi mai… e altri ancora, principalmente quelli di terze parti (ma non solo eh, anche Nintendo ha cagato qui), che sembrano partire normalmente, ma poi non rispondono a nessun comando; di nuovo, almeno non con i Wiimote, al massimo con il Pro Controller. Poteva andare anche peggio di così, a pensarci, eh… ma ciò non significa che la situazione non sia brutta. 😾
Da qui in poi devi usareil Wii U GamePad.Accendi il GamePad....Per avviare questo gioco,sincronizza un Wii U GamePad,un Wii U Pro controller oun controller tradizionale.Impossibile comunicare conil Wii U GamePad. Controllanelo schermo.Se la batteria del Wii U GamePadè quasi scarica, ricaricala.
La cosa veramente peggiore poi è che, quando una app finisce in questo stato per cui internamente, e non al menu home, chiede che il Gamepad sia collegato per proseguire, oppure semplicemente non dice niente, i controller alternativi non supportati sono spesso disconnessi e non si ricollegano più… quindi, in tal caso, l’unico modo per chiudere cosa si è avviato è spegnere la console col tastino, da vicino (o, se, come nel mio caso, il tastino è stronzino, scollegare e riattaccare il cavo di alimentazione… sigh). Se invece il controller non supportato è il Wiimote, e rimane collegato, collegando il Pro Controller ovviamente questo finirà come G2… ma diversi giochi così non lo leggono, quindi va pure cambiato a mano l’ordine. C’è da impazzire nello sperare di semplicemente giocare alla mordi e fuggi, insomma!!! ☠️

I giochi ufficiali che ho visto sicuramente funzionare almeno col solo Wiimote, per ora, sono meno di 10… wow, che palle. Li metto qui, assieme ad un’altra lista che ho trovato, ed eventualmente quelli che non funzionano che ugualmente segnerò, poi, se non mi secco: memos.octt.eu.org/m/eBqVHkeFgE…. Poi, a intuito, credo ci siano i giochi Virtual Console NES che funzionano, ma non ne ho nessuno, mentre SNES e GBA vogliono almeno il Pro Controller, e quelli DS il Gamepad; e i giochi originali Wii ovviamente fanno testo a parte. 🔪

Vabbè, basta: a questo punto non si gioca, si rotta. Anche perché poi al Wii U piace in generale dare comunque sempre le sue rogne che rubano tempo e fanno incazzare, come tutti i freeze e i softlock che a caso capitano per via di glitch software (anche su console non moddate, figurarsi), e non c’è niente da fare. (Però… semmai questo rottame non mi muore, ed eventualmente non muore neanche il vostro, ricordo che qui ci sono i miei codici amico per fare il gaming attraverso la rete… magari è meno miserabile.) 💥

#gaming #lamentele #Nintendo #problemi #WiiU

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🔴 In diretta ora! Torniamo a giocare Online su Mario Kart World! #16 📺 Guarda ora su youtube.com/watch?v=…

🔴 In diretta ora![/b]
Torniamo a giocare Online su Mario Kart World! #16

📺 Guarda ora su https://www.youtube.com/watch?v=q5P6XOFUpBo oppure https://www.creeperiano99.it/u/youtubeLive

#live #livestream

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La rivoluzione al punto zero

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La rivoluzione al punto zero

Collana Nextopie

Silvia Federici

Saggistica

D Editore

29 maggio 2025

Brossura

460

Il cuore pulsante del capitalismo non batte solo nelle catene di montaggio delle fabbriche o sulle scrivanie degli uffici, ma anche nelle nostre case. Il lavoro domestico e di cura sono il motore di un sistema che ha costruito il proprio dominio sul lavoro invisibile delle donne, appropriandosi del loro tempo, dei loro corpi e delle loro emozioni. Senza salario, senza riconoscimento, senza diritti. Se non quelli “amorevolmente” concessi.
Dopo Oltre la periferia della pelle, Federici torna in Italia, con un’opera fondamentale, finalmente in edizione completa: La rivoluzione al punto zero. In questo libro, sono stati condensati decenni di lotte e analisi su temi che vanno dallo sfruttamento del lavoro riproduttivo, alle conseguenze per le donne del colonialismo, diventando nelle sue varie edizioni un pezzo fondamentale della storia del femminismo e del pensiero radicale contemporanei.
La Rivoluzione al Punto Zero è un’arma teorica per chi vuole comprendere, ma soprattutto trasformare, il presente in cui ci troviamo a lottare. (Dalla pagina di presentazione)

Silvia Federici


Silvia Federici è una saggista di lungo corso, Di impostazione marxista, si è sempre occupata di arricchire la complessità del dibattito anticapitalista dimostrando teoricamente quella che ne è la radice stessa. Lo sfruttamento del lavoro di cura e come questo sia considerato “naturale”. Autrice e docente, da oltre 50 anni attivista nei movimenti femministi (Wages for housework). Nei suoi scritti ha sempre dimostrato come il controllo dei corpi delle donne sia alla base, ancora oggi e anzi oggi forse ancora di più, del sistema di potere capitalista.

La rivoluzione al punto zero


Il libro è una raccolta di testi scritti dall’autrice tra gli anni ’70 e gli anni ’10 del 2000. Personalmente lo ritengo un testo fondamentale che non mi limiterò solo a consigliare ma anche a diffondere. Leggendolo ho potuto riscontrare quanto anche tra i millennial bianchi e di sinistra, siano ancora diffuse convinzioni introiettate dal patriarcato. Il libro ribalta il paradigma secondo cui il lavoro domestico sia da considerarsi “naturale” e riporta al centro del dibattito la necessità di un suo riconoscimento.

Attualità bruciante


Federici analizza e smonta punto per punto tutte le contraddizioni che stanno alla base tra ciò che vogliamo essere e ciò che il sistema e il mercato ci impongono di essere. Esplorando i concetti di maternità, sessualità, riproduzione, migrazione e violenza istituzionale si vedono le radici di queste spinte contraddittorie. Nella nostra quotidianità viviamo sempre più in una tortura psicologica simile allo strappamento medievale. Se all’epoca erano gli arti ad essere tirati in direzioni opposte oggi sono le nostre identità, le emozioni e le volontà e ciò avviene in maniera subdola, costante e impercettibile. Un girone infernale chiamato capitalismo con 8 miliardi di torturati e un torturatore. Uno stile di vita i cui beneficiari sono i produttori di psicofarmaci e di sostanze da dipendenza.

Contro il mito del progresso


Come mi capita spesso di ripetere il capitalismo non potrebbe esistere senza patriarcato, cosi come i fascismi non potrebbero esistere senza capitalismo. Abbattere mattone per mattone il sistema patriarcale significa agire sulle fondamenta di quel millenario controllo dei corpi umani e in particolare dei corpi femminilli (aggiungo io di qualsiasi specie, l’autrice non parla di specismo). In questo modo la cura potrà essere restituita alla comunità e condivisa. Liberata dal dovere e dalle tassonomie di genere. Il capitalismo richiede la distruzione di qualsiasi attività economica non subordinata all’accumulazione e per farlo usa, spesso e volentieri, la guerra. Il libro cita esempi di donne che questo lo hanno compreso e hanno attuato forme di resistenza. Sono raccontati gli esempi delle cucine comuni in Cile e Perù e varie forme di gestione femminile della terra, in ottica anticapitalista, che mi riportano alla mente la poesia di James Connolly; “Vogliamo solo la terra”.

Riflessioni personali


Leggere oggi, nel 2025, di fronte a tutte le lotte sociali necessarie e urgenti non può che spingermi a fare delle considerazioni. Mi sono fermato spesso, durante la lettura, a riflettere su quanto il lavoro di cura (in particolare per sè stessi) e il tempo siano concetti correlati e quanto siano sempre più risicati e rosicati dalla società attuale.

Lavorare per vivere?


Penso a quanto sia sempre più maggiormente e obbligatoriamente delegato il lavoro di cura per i soggetti deboli (bambin*, anzian*, persone con disabilità). Assumere e pagare colf, baby sitter e badanti crea un nuovo soggetto discriminatorio e ovviamente un discriminato. Inoltre il soggetto “curato” diventa spesso un prodotto de-umanizzato. Senza considerare che chi lavora in questi settori finisce per privare se stess* e la propria famiglia dal lavoro di cura o comunque a doverlo fare doppiamente essendo pagat* la metà.

Vivere per lavorare


Tutta la vita è organizzata in maniera funzionale alla società capitalista. Affinchè questo si perpetui è necessario che il lavoro di cura non venga riconosciuto.

“Avere un salario significa far parte di un contratto sociale chiaro: lavori, non perchhè ti piace o perché ti viene naturale, ma perché è l’unica condizione sotto cui ti è permesso vivere”

dal libro


Conclusioni


Una lotta che spinga gli Stati a riconoscere il lavoro di cura (come quella portata avanti dal movimento wages for housework) libererebbe da diverse ipocrisie e potrebbe avere effetti reali positivi sulla cultura e la società. Da uomo ritengo che libererebbe gli uomini dall’essere strumento attivo del potere patriarcale.

Guardiamo all’Italia. Quando i genitori lavorano entrambi fuori ed entrambi a casa (con il lavoro di cura condiviso) fanno la scelta più difficile ed economicamente meno conveniente. Per assurdo converrebbe economicamente, anche per via del gender gap, che l’uomo lavori di più e la donna di meno o che non lavori fuori per lavorare full-time (anzi extra time se consideriamo anche il servizio psicologico, sessuale etc. che serve per far accettare al marito i mali palesi del sistema capitalistico).

Inoltre l’impossibilità di curare se stess*, va a beneficio dello stesso capitalismo. Mangiare male e di fretta cibi pronti – spesso pagati più di quanto il rider che li consegna guadagna in un giorno, o serviti velocemente da camerieri sottopagati – è spesso causa problemi di salute.

Ma si sa, per i problemi causati dal capitalismo la soluzione la offre…il capitalismo. Se infatti la sanità pubblica si indebolisce e viene privata di fondi, riconvertiti al militarismo, ecco pronta per curare i mali di una vita che non è vita, una bella assicurazione sanitaria privata.

#capitalismo #femminismo #patriarcato #rivoluzione #sfruttamento #SilviaFederici


Questo lavoro non è vita

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Questo lavoro non è vita. La lotta di lasse nel XXI secolo. Il caso GKN

Dario Salvetti e Gea Scancarello

Libro intervista

Fuoriscenalibri

15 novembre 2024

Brossura con alette

192

Il 9 luglio 2021, i 422 dipendenti della Gkn di Campi Bisenzio (Firenze), fabbrica che produce semiassi per l’industria automobilistica, ricevono una email con la quale viene comunicato l’avvio della procedura di licenziamento collettivo per cessazione di attività. Lavoratrici e lavoratori non restano immobili nella rassegnazione, reagiscono immediatamente, raggiungono i cancelli dell’azienda, presidiati da guardie private, e riescono a entrare. Non lo fanno per rabbia, ma per difendere un diritto e per proteggere il proprio territorio dalla delocalizzazione e dall’impoverimento.
Comincia così la lotta operaia più lunga e più strutturata degli ultimi decenni. Una lotta allo stesso tempo potente e fragilissima, che va conosciuta e sostenuta perché ci riguarda tutti. La mobilitazione, da un lato, vuole opporsi a un abuso e, dall’altro, avvia un corpo a corpo con il capitale di straordinaria forza e intensità. Un corpo a corpo non isolato ma in convergenza con movimenti e lotte che attraversano tutto il Paese, seppur spesso sottotraccia.
Mentre questo libro va in stampa, lavoratrici e lavoratori sono ancora lì, hanno costituito un Collettivo di fabbrica, hanno allestito un loro piano industriale credibile e hanno avviato la procedura di azionariato popolare per sostenerlo, che si è chiusa con oltre un milione di euro di sottoscrizioni.
In questi ultimi anni sono stati pubblicati molti libri che hanno raccontato la crisi e le falle del modello capitalistico di produzione e sviluppo, mancava però ancora un libro sul lavoro, che raccontasse la lotta di classe nel XXI secolo.
Questo libro non è solo la storia di una singola battaglia, ma un manifesto che parla a ciascuno di noi, trasversalmente al proprio mestiere. Perché il lavoro è vita. Ma questo lavoro, sfruttato, sottopagato, che ammala il corpo e la mente, in cui puoi essere licenziato in tronco con una email, non lo è più. È necessario gridarlo con consapevolezza, e farlo collettivamente. (dalla pagina del libro)

Il collettivo di fabbrica GKN


Questo libro è frutto delle lotte del collettivo di fabbrica GKN. Una sottolineatura fondamentale per cercare di entrare dentro questo modo di pensare un mondo nuovo. Un mondo sbocciato come un fiore ribelle nato dal letame di un capitalismo sempre più arido e avido. Un fiore seminato dalla coscienza di classe e che sta convergendo, con altri semi, nel vento di una nuova umanità sempre più necessaria. Recensendo su questo blog pensatori come Graeber e Chomsky, capita spesso di leggere i loro inviti a immaginare forme alternative di lotta. La storia, il presente e mi auguro il futuro della ex GKN (ora GFF) ci offre spunti pratici in questo senso.

Come scrivo qualche riga sopra, questo è un libro collettivo. Anche se sulla copertina risulta il nome di Dario Salvetti, accompagnato nel dialogo e nelle riflessioni da Gea Scancarello, faremmo un torto e probabilmente un dispiacere a Salvetti stesso cercando in una persona (o peggio in un personaggio) il leader o l’uomo da seguire. Svuoteremmo, abbruttiremmo e impoveriremmo l’essenza stessa, la specificità e la bellezza collettiva di questa lotta. Lotta che ha saputo andare oltre GKN. Grazie anche alla sua convergenza con la fase storica che viviamo ormai da troppo tempo.

Narrazioni nuove, nemici vecchi


Il libro fornisce al lettore, soprattutto a chi meno conosce la vicenda, nuovi punti di vista e inversioni di paradigma. Riappropriarsi della narrazione è tanto più necessario quanto più il capitale, come sta facendo con forza da decenni, svilisce e svuota quelli che sono i concetti chiave della lotta di classe. Un pensiero che abbraccia ogni aspetto della vita quotidiana. Sono interessanti alcuni passaggi in cui si prende coscienza della trasposizione dell’importanza della lotta nella realtà giornaliera.

Come se il potere conducesse costantemente una lotta contro ogni singola persona, trattandola come una microazienda da sottomettere al suo volere. In questo modo vince sempre, poiché già essere costretti a giocare al gioco di chi fa le regole è una sconfitta. Il potere alimenta il potere in un continuo parossismo perchè “se la terra è tonda e se il mare è blu, da che mondo e mondo il forte vince e non sei tu (Cangaceiro – Litfiba)”.

[…]È ovvio che hanno dalla loro parte alcuni strumenti importanti, tra cui il fatto di essere lo status quo: a volte possono semplicemente ritirarsi e aspettare che le cose facciano il loro corso. Hanno dalla loro parte anche e innanzitutto il tempo. Ma soprattutto hanno dalla loro parte una verità: per il lavoratore la lotta è qualcosa che va oltre la “normale” vita quotidiana, è un’eccezione, un momento di grosso sacrificio che si fa sperando che qualcuno a un certo punto lo raccolga. Per loro, invece, la lotta contro il lavoratore è la vita quotidiana.[…]

dal libro



Inoltre, in questa fase storica, ci stanno anche convincendo che se perdi, la colpa è tua. Fateci caso:

“La lotta impedisce la ripartenza della fabbrica.”

“Eh! Ma se usciva vestita in quel modo? Cosa pretende?”

“I giovani non vogliono fare sacrifici.”

“Nessuna crisi climatica! La colpa è di chi non pulisce i letti dei fiumi.”

“I vegani inquinano perché mangiano la soia e fanno fallire i piccoli allevatori che amano i loro animali.” (Anche se, mi si permetta la mia personale postilla, li sgozzano, stuprano e vendono per soldi).


La lotta crea, la lotta insegna


[…] Dobbiamo essere bravi a inventare ogni volta qualcosa di nuovo. A continuare in questa eterna azione pedagogica che è la lotta.[…]dal libro

Mi sono ritrovato molto in questa frase. Ho sempre pensato, riflettendo sulle vicissitudini del lavoro in Italia, che uno dei mali principali è stato proprio quello di abbandonare la pedagogia della lotta. Qualcosa che se ci pensiamo è collegata anche all’antifascismo. Ci dicono che sono concetti vecchi, che c’è bisogno di “pacificazione”, che il fascismo è morto 80 anni fa e intanto continuano a reclutare servi, impedire manifestazioni antifasciste e scioperi e proteggere commemorazioni di assassini. Il potere può farlo perchè senza pedagogia della lotta manca la coesione sociale.

Riprendere la pedagogia della lotta è fondamentale per offrire ragionamenti, cause e risposte ai problemi reali delle persone. La lotta crea e insegna che nessuno si salva da solo e che attaccare chi sta peggio porterà solo ad avere due persone che stanno peggio di prima mentre chi li ha messi contro ci guadagna. Inventare e reinventare la lotta di classe, internazionalizzarla nell’intersezionalità allontana le persone in difficoltà dal pensare che il fascismo possa essere una risposta. La lotta addensa la società liquida e disgregata, funzionale al capitale, e crea mutuo aiuto e libertà. Lottare insieme attorno agli stessi bisogni reali, comuni per tutti gli sfruttati, è anche l’unico modo possibile di fare vera integrazione.

“Puzziamo di incontrollabilità”


Per questo motivo la ex GKN, e soprattutto il suo esempio, ha molti nemici. In quattro anni ha mantenuto una coerenza encomiabile non permettendo a nessuna istituzione di mettere il cappello per vincere un’elezione o crescere nei sondaggi. Ha realizzato tre edizioni del festival di letteratura working class. Ha predisposto un piano di reindustrializzazione dal basso credibile e dettagliato e continua a creare valore in tanti modi. Partendo dal presidio ancora attivo a Campi Bisenzio e in giro per l’Europa. Soprattutto sta diffondendo un’idea pericolosissima per sottrarsi e sottrarci alle regole del potere: “immaginare il tempo altro per uscire dal qualunquismo consumista del salario”. Mi auguro che questa lotta rimanga il più orizzontale possibile resistendo alla tentazione di cercare la risposta in una classe dirigente verticale o qualcosa di simile. Solo imparando dalla storia si può scrivere una nuova storia.

La libertà non è un lusso


Per questo paragrafo finale metto a confronto due citazioni che stimolano una riflessione.

La libertà inizia quando riusciamo a liberarci dal regno delle necessità.

Dario Salvetti tratta dal libro

“Il lusso è la necessità che inizia quando la necessità finisce.”


attribuita a Gabrielle Coco Chanel

Notiamo certamente un punto in comune; la necessità. Ma considerando che la seconda frase è spesso utilizzata (forse superficialmente) per giustificare la tendenza verso bisogni indotti e per loro natura effimeri, potremmo riflettere su cosa davvero è importante. La pienezza e la ricerca dell’evoluzione individuale che può darci il tempo liberato dalle necessità o la creazione di necessità che tali non sono e che ci mantengono prigionieri?

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Il blogverso italiano di Wordpress ha ricondiviso questo.


“l’intellettuale è inutile?”: crisi della critica (d’arte, e d’altro) in una risposta di nicolas martino a gian maria tosatti


operavivamagazine.org/come-fun…

“la mancanza di una resistenza all’invasione della logica economica è un fenomeno provinciale tipicamente italiano” (N.M.)

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