Che fa l’universo?
edu.inaf.it/rubriche/risate-sp…
Dilemma cosmico
#AlbertEinstein #AlexanderFriedmann #EdwinHubble #relatività_
Che fa l’universo?
Ricordiamo il centenario della scomparsa di Alexander Friedmann, il fisico russo che scoprì che l'universo di Einstein era dinamicoAntonino La Barbera (EduINAF)
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oggi, 23 settembre, radio onda rossa: “briganti”, di e con gianfranco berardi
Tutta Scena Teatro ★ Radio Onda Rossa 87.9 fm
martedì 23 settembre 2025, ore 14:40
● BRIGANTI
scritto, diretto e interpretato da Gianfranco Berardi
Il progetto nasce nel 2000 attraverso un lavoro di ricerca storico-sociale e affronta il brigantaggio meridionale post-unitario (1860-61). La scena si svolge in una cella delle carceri dell’ex Regno delle Due Sicilie, dove, attraverso le memorie di un giovane ventiseienne caduto prigioniero in battaglia, si rivivono avvenimenti che hanno segnato la vita delle popolazioni del Mezzogiorno d’Italia.
L’universo dei fatti narrati trae spunto da vicende realmente accadute e spesso tralasciate dalla storiografia ufficiale. Ad essi si miscela il mondo della tradizione orale popolare, non privo di spunti fantastici.
Il testo trasforma in sogno realtà crudeli, ironizza su temi ancora vivi ponendo attenzione sulle radici culturali del problema. “L’ignoranza genera violenza, violenza genera violenza” è uno dei principi che si intende trasmettere.
Una storia ancora per un certo verso negata, ancora attuale e sicuramente universale: si mettono in scena particolari, dettagli, racconti ispirati a precise zone o personaggi storici evitando di chiudere il tutto in una realtà spaziale circoscritta, senza alcuna narrazione filologica. Alla vita di Carmine Crocco, alla quale possono essere paragonate molte biografie di eroi celebri, e alle sue scorribande nelle province lucane, è liberamente ispirato il lavoro, in quanto testimone di ribellione come reazione e non rivoluzione.
archive.org/details/Radioteatr… (32′)
berardicasolari.it/spettacolo/…
#Briganti #CarmineCrocco #GianfrancoBerardi #meridione #RadioOndaRossa #ROR #RORRadioOndaRossa #teatro
RadioTeatro. Briganti : Free Download, Borrow, and Streaming : Internet Archive
Giovedì 16 Settembre 2010 ore 16 Compagnia Berardi-Casolari in collaborazione con Teatro Stabile di Calabria presenta BRIGANTI scritto, diretto e...Internet Archive
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Su Gaza l’Italia s’è desta
Centinaia di manifestazioni si sono svolte contemporaneamente in tutta Italia, il 22 settembre, per fermare il genocidio in Palestina e per riaffermare il diritto alla vita e all’esistenza di quella popolazione.
C’è una grande novità rispetto alle mobilitazioni precedenti, come quella di Radio Gaza al Castello Ursino, di cui ci parla Nino Bellia.
In questo caso si è trattato di uno […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/09/23/su-g…
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27 settembre, studio campo boario (roma): “poesia ibrida”, di valerio cuccaroni
27 set 2025, 18:30, Studio Campo Boario
Roma, viale del Campo Boario, 4a
presentazione di
Poesia ibrida
di Valerio Cuccaroni
Coordina Valerio Massaroni
Presentano Francesco Muzzioli ed Emanuele Franceschetti
Interviene l’autore
Ospite speciale Lamberto Pignotti
Il volume analizza le nuove forme di testualità poetica intermediale, emerse dall’ibridazione del linguaggio verbale con l’arte visiva, il cinema, la musica, l’informatica e la performance. Concentrandosi sul panorama poetico successivo all’avvento dei dispositivi elettronici, audiovisivi e informatici, l’autore, dopo avere sintetizzato il dibattito sulla vexata quaestio della poesia per musica, si concentra in particolare sulla poesia visiva, la videopoesia, la poesia elettronica e il PJ set. Il libro si propone come uno studio approfondito e aggiornato sulle nuove frontiere della poesia contemporanea, caratterizzate dalla contaminazione tra diversi linguaggi e dalla continua ricerca di nuove forme espressive.
Valerio Cuccaroni (Chiaravalle, 1977) dottore di ricerca in Italianistica all’Università di Bologna e Paris IV Sorbonne, è docente di lettere e giornalista. Collabora con «Le Monde Diplomatique – il manifesto», «Poesia», «Il Resto del Carlino» e «Prisma. Economia società lavoro». È tra i fondatori di «Argo». Ha curato i volumi La parola che cura. Laboratori di scrittura in contesti di disagio (ed. Mediateca delle Marche, 2007), L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e altre lingue minoritarie tra Novecento e Duemila (con altri, ed. Gwynplaine, coll. Argo, 2014) e Guido Guglielmi, Critica del nonostante (ed. Pendragon, 2016). Ha pubblicato il libro L’arcatana. Viaggio nelle Marche creative under 35 e tradotto Che cos’è il Terzo Stato? di Sieyès, entrambi Gwynplaine. Lucida tela (Transeuropa, 2022) è il suo primo libro di poesie. È direttore artistico del poesia festival La Punta della Lingua.
#Biblion #EmanueleFranceschetti #FrancescoMuzzioli #intermedialità #LambertoPignotti #poesia #poesiaIbrida #poesiaIntermediale #prosa #scrittureComplesse #StudioCampoBoario #ValerioCuccaroni #ValerioMassaroni
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pagina di startaggio fatta dall’ia per risolvere la pigrizia di android e la casa rotta (startpage HTML5 custom creata per webapp su mobile)
Come mi lamentai “qualche tempo fa” (e minchia, è passato già un mese…), dovrei inventarmi qualcosa per ovviare allo strano bug di Android per cui i collegamenti alle webapp e ai siti spariscono dal launcher. E beh, avendo provato varie hack, ma tutte invano, l’unica vera opzione sarebbe farmi un’appina WebView per contenere almeno tutte le mie appine web… ma la cosa è seccante e quindi, per ora, indovinate un po’, non c’ho avuto voglia. 😩
Beh, non ci ho pensato molto sul subito, perché credevo fosse un’idea decente semplicemente aprire Chromium ogni volta (di modo che ogni volta si apra con la schermata di lancio con i collegamenti rapidi, ovviamente)… ma poi ci ho pensato meglio e no, fa schifo, perché i collegamenti sono pochi e nemmeno viene usato bene lo spazio a schermo per mostrarli. E, ovviamente, il widget dei preferiti di Chromium (e chissà se questo è colpa sua in assoluto, di Mulch, o della MIUI che rompe tutto…) sulla home si rompe, quindi usare quello purtroppo nemmeno mi è possibile. ☠️
Ieri però mi sono seccata (proprio, il mio spirito è evaporato e io sono rimasta secca croccante), e quindi, almeno per apparare (…app-arare?) la situazione un po’ meglio fintanto che non mi decido a fare quella cosa di cui sopra, ho pensato di fare una semplice pagina HTML con i miei collegamenti personali. Tuttavia… visto che il vibe di base comunque era la mancanza di voglia, e non ho trovato online template di pagine iniziali che fossero sia decenti per quello che ora volevo (stile mobile con griglia di icone), sia funzionanti (quanto odio i troiai…)… me la sono fatta fare da DeepSeek la paginetta, evviva la pigrizia! 👍
“Octo Startpage“… fa già ridere così. Le uniche cose che ho fatto sono state togliere una barra di ricerca mezza rotta che lui mi aveva messo (tanto, se proprio mi serve, uso direttamente quella del browser sopra), rendere le icone più grandi (anche perché altrimenti sul mio telefono, con i DPI aumentati, uscivano fin troppo piccole), aggiungere l’uso di caratteri (emoji o lettere) quando un’icona normale manca, e impostare un’icona per la pagina stessa… Così da aver poi potuto aggiungere un collegamento ad essa nel mio launcher (e la bomba PNG di WhatsApp usata così ha indubbiamente il suo perché, comunque). 😳
La UI ha quel tratto tipico del vibe coding, ma ehh, forse anche quella ha un suo perché… è comunque sia certamente guardabile e fa il suo, quindi mi accontento ampiamente, che ora non ho voglia di trastullarmici. Rimane sempre una non-soluzione, perché comunque è solo una pagina web che apre altre pagine web, quindi rimane quel problema per cui mi si riempie di spazzatura la lista delle schede (e per cui si vede l’interfaccia del browser sopra, che spreca un minimo di spazio, ma pensandoci meglio questo aspetto non è un’enorme tragedia con un display da 6.2″ e i DPI aumentati), ma è già meglio di 1 giorno fa. 💣
La pagina sta sul mio server, così che io la possa modificare ed aprire con (suppongo) meno bestemmie, anche se tecnicamente non è ad uso pubblico… ma eh, l’indirizzo si vede nell’immagine, quindi comunque lo riscrivo qui, se qualcuno vuole rubare (è 95% IA, quindi non ne detengo copyright, niente licenza, via): https://hlb0.octt.eu.org/startpage.html. La cosa figa, però, è che mi è accessibile anche offline, senza aver dovuto impostare service worker o altri rompimentissimi di scatole, semplicemente avendo cliccato il tasto download dentro Chromium, quindi… se un giorno mi esplode il server, posso comunque usare la pagina per aprire quei miei siti che stanno su server diversi da quello esploso! (E l’icona di bomba a quel punto potrebbe rivelarsi ironicamente sensata.) 🕸️
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le piazze di oggi
da facebook.com/share/p/1BH3SxehT… (Lorenzo Tosa)
#freeGaza #freePalestine #Gaza #Palestina #perGaza #perLaPalestina #piazze #sciopero #scioperoGenerale
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Il programma provvisorio del nostro decimo convegno, che è anche il decennale della fondazione dell’associazione, è già disponibile a partire da qui. Apriremo le iscrizioni all’inizio del mese di ottobre.
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La transizione linguistica che nessuno racconta
di Antonio Zoppetti
L’altro giorno leggevo che l’accademia della Crusca ha partecipato alla Bright Night 2025 dell’Università di Firenze, e sul suo sito si legge:
“Bright Night (‘Brilliant Researchers Impact on Growth Health and Trust in research’) è il nome dato alla Notte europea delle Ricercatrici e dei Ricercatori, la manifestazione ideata dalla Commissione Europea con l’obiettivo di diffondere la cultura scientifica delle Università.”
Leggendo tra le righe, si intuisce una certa insofferenza per questa denominazione in inglese, presentata come qualcosa di imposto da altri, e affiancata alla traduzione italiana a cui viene dato maggior risalto.
Bisognerebbe però spendere qualche riflessione su quello che l’Accademia, ma più in generale i linguisti e gli intellettuali italiani, non dicono.
Perché l’Università di Firenze ha scelto l’inglese?
La scelta di denominare in inglese i nomi delle manifestazioni non è un’insolita bizzarria – come si potrebbe evincere dalle parole della Crusca – è invece una ben precisa strategia che vale per ogni tipo di manifestazione, evento o mostra. In ottobre, a Milano, ci sarà la Cook-Fest, il food festival del Corriere della Sera, e il settimo Fringe Milano Off International ideato da due nativi italiani con la testa nell’anglosfera. Tempo fa avevo denunciato come persino una mostra dedicata alla figura simbolo dell’italiano era stata anglicizzata attraverso il Dante Vibes, e prima ancora avevo fatto delle ricerche sulle denominazioni in inglese che erano prevalenti rispetto a quelle in italiano persino nelle manifestazioni paesane (notevole il Tractor Day).
Chi si occupa di studiare la lingua italiana non solo dovrebbe raccontare queste cose, ma anche quantificarle (qual è la percentuale delle denominazioni in inglese nel panorama culturale italiano? Non trovo studi in merito, chissà come mai… ma la mia impressione è che prevalgano).
Invece di limitarsi a contare gli anglicismi magari per concludere che sono pochi, passeggeri o poco frequenti, i linguisti dovrebbero riflettere seriamente sulle loro cause e soprattutto sul loro impatto nella nostra società. Alcuni studiosi sono convinti che il fenomeno nasca da una “moda”, dal loro essere “di prestigio” o dal fatto che siano più sintetici degli equivalenti italiani. Ma queste spiegazioni sono ridicole e insufficienti, la verità è un’altra ed è ben più profonda: certe manifestazioni ideate dall’Ue come la Bright Night – ma anche dalle realtà tutte italiane che inseguono la stessa strategia a partire dalla Rcs Academy che forma i futuri giornalisti e comunicatori – non hanno solo “l’obiettivo di diffondere la cultura scientifica delle Università”, ma anche di diffondere l’inglese, che fa parte del pacchetto, benché non sia dichiarato e avvenga in modo surrettizio.
Se la nostra società spinge i cittadini verso la transizione ecologica ed energetica (e vorrebbe convincere tutti a comprare auto elettriche che hanno per ora scarso successo), o verso la transizione digitale (con ostacoli all’uso del contante o balzelli che di fatto escludono chi non è in grado di usare internet), è in atto anche un’altra transizione che però viene sottaciuta: la transizione linguistica.
La transizione linguistica
La transizione linguistica è il graduale processo di adozione dell’inglese da parte delle popolazioni non anglofone con l’obiettivo di renderlo un requisito per tutti, e risolvere così i problemi della comunicazione internazionale, strategica soprattutto per i mercati globali. Il progetto include un profondo cambiamento culturale e organizzativo per fare in modo che le popolazioni non anglofone imparino l’inglese, e le realtà dove questo è già avvenuto – per esempio l’Olanda, l’Islanda o alcuni Paesi scandinavi – sono presentate come “virtuose” e avanzate, mentre le altre sono considerate “arretrate”, perché questo processo non si è “ancora” realizzato, e dietro quell’ancora si svela un ben preciso progetto di colonizzazione linguistica. Questo progetto è perseguito senza che nessuno ne metta in risalto gli effetti collaterali, e cioè la regressione delle lingue locali e la loro anglicizzazione. E quel che è peggio nessuno o quasi sembra cogliere che mentre tutto il mondo dovrebbe convertirsi allo studio dell’inglese, i Paesi anglofoni non hanno l’esigenza di apprendere alcuna altra lingua al di fuori della propria che preferiscono rendere “universale”. Tutto ciò comporta invece problemi etici, cognitivi ed economici di grande rilevanza. Ma guai a sollevare il problema, non aprite quella porta!
Le leve della transizione linguistica sono molteplici e differenziate, ma ruotano attorno a due cardini: ci sono interventi espliciti per introdurre e ufficializzare l’inglese a partire dalla scuola, e altri indiretti che si basano sull’esclusione e la stigmatizzazione sociale di chi non si inchina alla dittatura dell’inglese.
Questa seconda strategia è ben visibile per esempio quando un politico italiano è costretto a esprimersi in inglese in qualche contesto internazionale. Se lo parla in modo disinvolto supera la prova mediatica – e in ogni trasmissione di attualità si esalta la padronanza della lingua superiore di volta in volta di Draghi, Meloni e via governando – altrimenti viene esposto al pubblico ludibrio (come nel caso di Renzi o Rutelli).
La gogna mediatica spinge perciò a bollare come ignorante (in assoluto) chi non conosce l’inglese, indipendentemente dal contesto e dalle sue competenze. In quest’ottica, un professorone che conosce a menadito il latino o il greco, e che magari è un poliglotta che parla correntemente francese, spagnolo e tedesco, se non sa l’inglese è comunque un riprovevole ignorante, che non può che vergognarsi. Viceversa, un imprenditore statunitense arricchito e imbruttito che non sa parlare altro che la propria lingua naturale e che possiede la cultura pragmatica e poco profonda di uno statunitense medio è visto come un modello positivo (in fin dei conti sa l’unica cosa che vale la pena di sapere: la lingua dei padroni).
L’affermazione della superiorità della lingua inglese comporta allo stesso tempo lo svilimento dell’apprendimento di altre lingue straniere (tedesco, francese, spagnolo…) che viene considerato un vezzo privo di obiettivi concreti, un po’ come studiare il pianoforte, che non fa parte del paniere della “cultura” ufficiale. Questa visione coloniale non è messa in discussione quasi da nessuno, a parte qualche paria escluso dal panorama culturale italiano.
L’idea è che essere internazionali non significhi esprimere qualcosa in tutte le lingue del mondo, ma viceversa abbandonarle per adottare la lingua naturale dei Paesi dominanti. Chi non si adegua ne paga le conseguenze, come sta avvenendo per esempio nei contesti scientifici. Anche se nessuno vieta di pubblicare nella propria lingua nazionale, o in quelle ben più diffuse dell’inglese come il cinese o lo spagnolo, di fatto esistono una serie di pregiudizi che premiano le pubblicazioni in inglese a cui viene attribuita maggiore rilevanza e dunque visibilità. Perciò, pubblicare in inglese diventa conveniente, se non indispensabile, per poter essere presi in considerazione ed emergere. Dunque, uno studio in italiano non ha la stessa circolazione di uno pubblicato in inglese (a meno che qualcuno non lo traduca nella lingua dominante per rilanciarlo in questo modo), per motivi linguistici e non in base ai contenuti scientifici che veicola.
La transizione linguistica, però, non si persegue solo attraverso queste e altre modalità surrettizie, ma anche attraverso politiche linguistiche più coercitive.
La politica linguistica per istituzionalizzare l’inglese
Le politiche linguistiche nella scuola italiana ed europea prevedono di creare le nuove generazioni bilingui a base inglese sin dai primi anni delle elementari, per arrivare a privilegiare l’inglese come lingua di insegnamento per l’università e i corsi di specializzazione a discapito delle lingue locali. Negli ultimi vent’anni, gli atenei italiani che hanno scelto di insegnare direttamente in inglese, escludendo l’italiano come lingua della formazione, sono infatti sempre di più. Anche in questo caso la transizione linguistica è incentivata dai sistemi di punteggio “internazionali” (in realtà statunitensi) che si basano sulla capacità di attrarre gli studenti stranieri, e questo obiettivo si persegue insegnando direttamente in inglese e non certo favorendo l’insegnamento dell’italiano a chi viene da noi né erogando corsi in altre lingue (“non avrai altra lingua al di fuori di me”, recita il primo comandamento della transizione linguistica anglomane). E così il progetto Erasmus, nato per favorire gli scambi interlinguistici, si è ben presto trasformato in una potente leva per la diffusione del monolinguismo a base inglese, visto che nella pratica si declina solo così. Lo stesso vale per i programmi scolastici che prevedono l’apprendimento di una materia direttamente in una lingua straniera, denominati con la sigla inglese “CLIL” (Content and Language Integrated Learning): sulla carta c’è scritto “lingua straniera”, ma di fatto quella lingua diventa sempre e solo l’inglese e non circolano analoghi corsi in altre lingue, a parte poche eccezioni.
Se a scuola, un tempo, era obbligatorio studiare una lingua straniera, grazie alle riforme che hanno sostituito “lingua straniera” con “inglese”, oggi la lingua della perfida Albione è diventata un obbligo e un requisito per tutti. Dalla scuola si è poi passati alla pubblica amministrazione, e con la riforma Madia l’inglese è diventato anche un requisito per accedere ai concorsi pubblici. L’inglese è diventato la lingua obbligatoria per presentare i Progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN) e anche il Fondo italiano per la scienza (FIS): nel nostro Paese si devono presentare e discutere in inglese, mica in italiano, e questi sono i primi passi che ufficializzano l’inglese anche nel nostro territorio.
Intanto l’inglese è già diventato la lingua ufficiale internazionale per esempio dell’aviazione o del mondo dei militari (almeno del blocco occidentale, e cioè dei “buoni” che sanzionano Putin ma non Netanyahu).
Quanto all’Unione Europea, nonostante sia nata all’insegna del plurilinguismo, l’inglese è sempre più introdotto come la lingua della comunicazione pubblica – anche se è conosciuto da una minoranza di europei e di italiani – e soprattutto è ormai la lingua di lavoro prevalente o quasi unica (soprattutto nella documentazione in Rete): l’italiano è da tempo stato estromesso, e il francese e il tedesco rimangono sulla carta ma di fatto sono in via di abbandono.
La transizione linguistica insegue la filosofia di “una fetta di salame alla volta” (ogni fettina non porta risultati visibili in modo macroscopico, ma piano piano il salame si consuma) ed è fatta di tantissime piccole mosse che sembrano insignificanti, prese singolarmente, ma nel complesso ci portano dove ci vogliono portare. Per esempio i documenti personali o sanitari che sono diventati bilingui, dunque nelle carte d’identità rilasciate dalla Repubblica italiana le scritte sono ormai bilingui (nome/name, scadenza/expiry), come se l’inglese fosse la lingua ufficiale dell’Europa.
Questo suicidio linguistico inseguito dalle politiche anglomani tutte interne si inserisce in un ben più ampio fenomeno mondiale che è la conseguenza dell’egemonia culturale, politica, economica e sociale degli Stati Uniti, e in particolare dell’espansione delle multinazionali. E così arriviamo anche al fenomeno degli anglicismi, che si moltiplicano con ritmi esponenziali da ormai molti decenni, e sono solo l’effetto collaterale dell’affermarsi dell’inglese globale.
Se, nei piani alti, si allarga il progetto di instaurare in modo ufficiale una diglossia post-moderna che fa del globalese la lingua superiore, nei piani più bassi il ricorso al lessico, alla terminologia e alla ri-concettualizzazione in inglese (assassino/killer, calcolatore/computer, verde/green) è la conseguenza di questo modo di essere “internazionali”. E così la città araba di Gaza si esprime nella lingua di chi sta sterminando i palestinesi e pianifica la sostituzione etnica (Gaza City), il confinamento al tempo del covid è diventato lockdown, mentre le insegne dei negozi (divenuti shop, store, megastore, outlet, showroom…) sono sempre più in inglese, come i titoli dei film al cinema e le trasmissioni dei palinsesti televisivi, in un’anglicizzazione dei generi cinematografici (biopic, romance) e persino dei libri, che fuori dall’editoria si declina con i nomi degli eventi e delle fiere in inglese. È l’intero panorama linguistico italiano che sta cambiando pelle, a partire dalle comunicazioni bilingui della metropolitana milanese o delle ferrovie dello Stato che ci induce a una sorta di ipnosi bilingue (prossima fermata… next stop…) che ci ribalta nell’inconscio in modo sempre più profondo.
Ecco perché hanno deciso di chiamare in inglese la manifestazione a cui ha partecipato la Crusca, per tornare da dove eravamo partiti: non perché questa decisione sia una stravaganza isolata, ma perché è l’espressione della transizione linguistica in atto che nessuno si prende la briga di raccontare.
#anglicismiNellItaliano #inglese #ingleseNellaScienza #interferenzaLinguistica #internazionalismi #itanglese #linguaItaliana #paroleInglesiNellItaliano
Le miopi categorie del “prestito” davanti al fenomeno dell’itanglese
di Antonio Zoppetti Fuori dai circa 4.000 lemmi inglesi registrati nei dizionari, si estende una nuvola di anglicismi di un ordine di grandezza superiore. Sono parole, espressioni e reinvenzioni in…Diciamolo in italiano
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Report finale Assemblea nazionale Rete a pieno regime – Roma 21 settembre 2025
Si è svolta a Roma presso Spin Time l’assemblea nazionale, convocata dalla Rete NO DDL Sicurezza, che ha visto un’ampia partecipazione delle molte realtà che hanno dato vita al percorso collettivo partito contro il DDL sicurezza lo scorso anno.
Dopo i tanti interventi alla conclusione c’è stata la lettura del report finale.
“Questa assemblea si propone di attraversare le lotte e le giornate di mobilitazione, a partire già da domani 22 settembre con in mente la proposta di costruire insieme una data che possa aggredire questo governo con una convergenza reale, verificando le condizioni per una mobilitazione in occasione della discussione della finanziaria di guerra a dicembre, un passaggio cruciale in questa fase di accumulazione di risorse verso l’alto e che attaccherà la vita di tutte e tutti noi. La nostra lotta è per la vita!”
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Dopo 4 mesi di leva forzata, 2 giornalisti tornati a casa.
Sono diversi gli episodi di individui, fra cui giornalisti, attivisti, esponenti del mondo della cultura che da mesi vengono letteralmente sequestrati dai servizi segreti del Burkina Faso e spediti al fronte, inquadrati nella milizia dei Volontari per la difesa della Patria (VDP), quale forma punitiva per aver espresso le proprie idee nei confronti della dittatura al potere. Fra di essi Guezouma Sanogo, presidente dell’Associazione Giornalisti del Burkina Faso, e per radio Femina FM, Phil Roland Zongo, i quali, dopo 4 mesi al fronte dalle parti di Fada N’Gourma, da marzo 2025, tornarono finalmente dalle rispettive famiglie a Ouagadougou alla fine del mese di luglio 2025. La stessa sorte l’avevano subita anche i giornalisti Boukari Ouoba, Luc Pagbelguem, Kalifara Séré riapparsi l’11 luglio dopo 380 giorni.
Guezouma Sanogo venne arrestato presso il Centro Nazionale di Stampa Norbert Zongo a Ouagadougou il 24 marzo da presunti membri dell’Agenzia Nazionale di Intelligence (ANR). Un giorno prima, il 23 marzo, toccò a Roland Zongo essere arrestato nella propria abitazione; la sua cattura venne nascosta sino al momento della sua liberazione.
Questi eventi si verificarono dunque in concomitanza con il congresso dell’Associazione dei Giornalisti del Burkina Faso (AJB), il 21 marzo, durante il quale sia Sanogo che Zongo denunciarono la trasformazione dei media pubblici in strumenti di propaganda. I due giornalisti contestualmente richiesero la liberazione dei colleghi rapiti e costretti al servizio, richiamando l’attenzione sulla grave situazione della libertà di stampa nel paese.
Secondo Reporters without Borders:
“Il ritorno di Guezouma Sanogo e Phil Roland Zongo pone fine al calvario vissuto da questi membri dell’Associazione dei Giornalisti del Burkina – quasi quattro mesi dopo la coscrizione forzata di altri tre membri dell’AJB, tutti rilasciati tra il 17 e il 21 luglio. Questi giornalisti non avrebbero mai dovuto essere arruolati con la forza! Tutti questi rapimenti sono avvenuti dopo che i giornalisti avevano denunciato pubblicamente la repressione della stampa e la coscrizione mirata di giornalisti – almeno due dei quali risultano ancora arruolati al momento della stesura di questo testo. RSF chiede alle autorità di fare piena luce sul destino dei giornalisti – che con ogni probabilità sono ancora arruolati o scomparsi – e di porre fine alla cultura del silenzio e della paura imposta ai giornalisti in Burkina Faso.”
L’arresto di Sanogo e Zongo e dei loro colleghi rappresenta non solo un attacco individuale contro questi professionisti ma anche un chiaro segnale di repressione verso tutti coloro che osano esprimere opinioni critiche nei confronti del governo. La libertà di stampa è un fondamento della democrazia e la sua erosione costituisce una grave minaccia per i diritti civili e politici nel paese. È fondamentale che la comunità internazionale continui a sostenere gli sforzi per la protezione dei giornalisti e per la salvaguardia della libertà di informazione in Burkina Faso e oltre.
Fonte Reporters without Borders
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- Amedeo Novelli
- Pau Buscato
- Ania Klosek
- Collettivo UP Photographer
- Gustavo Minas
Una giornata molto interessante e formativa.
Un ringraziamento agli organizzatori per l'ottimo lavoro svolto, e arrivederci al prossimo anno 👋
Per approfondire: pspifestival.it/
#streetphotography #street #streetphotographer #pisa
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La Notte dei Ricercatori e delle Ricercatrici 2025 dell’INAF
edu.inaf.it/news/eventi/notte-…
Torna la Notte Europea delle Ricercatrici e dei Ricercatori il 26 settembre! Segui la diretta Instagram e scopri il ricco programma di proposte INAF sparse in tutta Italia.
#INAF #ndr #NotteEuropeaDeiRicercatori
La Notte dei Ricercatori e delle Ricercatrici 2025 dell'INAF
Anche quest'anno le sedi dell'Istituto Nazionale di Astrofisica partecipano alla Notte Europea delle Ricercatrici e dei Ricercatori: scopri il ricco programma dGiulia Mantovani (EduINAF)
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Comune di Catania, il silenzio sul disavanzo
Scade tra una settimana, il 30 settembre, il termine per l’approvazione del Documento Unico di Programmazione (Dup) da parte del consiglio comunale. La votazione è stata calendarizzata, appena in tempo, per i giorni 26 e 29.
Qualche giorno prima, giorno 24, si dovrebbe approvare, con cinque mesi di ritardo, il bilancio consuntivo 2024, appena in tempo per evitare l’assurdo di dover […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/09/22/un-d…
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free palestine _ sciopero generale, oggi 22 settembre 2025, contro il genocidio e per la libertà e l’autodeterminazione del popolo palestinese
slowforward si unisce allo sciopero collettivo di protesta contro il genocidio in corso
fanpage.it/attualita/sciopero-…
usb.it/leggi-notizia/usb-procl…
#Gaza #genocide #genocidio #Palestine #Palestina #warcrimes #sionismo #zionism #starvingpeople #starvingcivilians #iof #idf #colonialism #sionisti #izrahell #israelterroriststate #invasion #israelcriminalstate #israelestatocriminale #children #bambini #massacri #deportazione #concentramento #famearmadiguerra #sciopero #scioperogenerale
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USB proclama lo sciopero generale per il 22 settembre: difendere la Flotilla, fermare il genocidio a Gaza, stop all’economia di guerra
La decisione di proclamare lo sciopero generale di tutte le categorie pubbliche e private per l’intera giornata del 22 settembre 2025 è stata assunta da USB come esito della grande assemblea che si è svolta ieri a Genova, al Circolo dell’Autorità Por…www.usb.it
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sistemazioni contro il malore in HTMLy per scrivere decente (nuova funzione per editor Markdown a schermo intero)
Ogni tanto, per risolvere problemi pratici merdosi, mi invento soluzioni tecniche complesse e cursate… del tipo di reimplementare la API di WordPress dentro HTMLy per poter gestire il blog basato su quello con la app di WordPress… ma, questo è uno spoiler che non dovrei fare, almeno fintanto che non finisco di lavorarci, cazzarolina. Tuttavia, qualche altra volta, se il caso vuole, mi escono piuttosto soluzioni tecniche semplici ed eleganti… come, in questo caso, aggiustare l’editor di post già presente in HTMLy, senza sostituirlo, per risolvere i problemi pratici merdosi in un modo banalissimo: aggiungere una modalità fullscreen. 🤯
L’editor Markdown base dentro quel coso, fatto di una semplice <textarea>
con una barra degli strumenti bonus (e scorciatoie da tastiera) per la formattazione, con un’anteprima a parte (che, tra l’altro, non è accurata rispetto a come il Markdown viene poi renderizzato dal frontend del sito, ma questa è un’altra rogna), per qualche motivo infatti non mi ha mai completamente convinto, ma non mi sono mai messa a riflettere abbastanza da capire come mai ciò fosse il caso… Almeno fino a prima di adesso (cioè, di qualche giorno fa), quando ho capito che il problema è il layout assoluto della pagina admin; non l’editor intrinsecamente, insomma, ma il contesto in cui questo è inserito. 👌
In breve, pensandoci, tutti gli editor di testo normali e i programmi di videoscrittura, e le interfacce di blogging di conseguenza, non hanno ‘sta cosa dove la pagina è un form classico con tremila campi, che scrolla pure verticalmente perché ovviamente è bella grande, e il contenuto sta in una delle tante scatoline… bensì è circa tutto il contrario, cioè che il contenuto è al primo posto e tutto il resto sta attorno. In qualcosa come il Blocco note di Windows, questo “attorno” è solo barra dei menu + barra di stato, mentre in WordPress è una serie di tasti importanti sopra e campi misti di lato (o in un menu a parte nella app Android), su Word è la barra gigante in alto, e così via… 🎐
Ma quindi, la soluzione a questo apparentemente insignificante dettaglio di UI/UX, che però mi causa (e penso a molti causerebbe) dei mal di testa (o, almeno, uno stato di controvoglianza nell’uso), — come sempre, perché le interfacce fatte per bene sono invisibili, mentre quelle che non lo sono causano sempre dolore — potrebbe sintetizzarsi in, semplicemente, aggiungere una funzione per cui il campo di testo dell’editor possa andare a finestra intera, prendendo precisamente tutto lo spazio, e non di più o di meno (più la barra degli strumenti fissata). ⚗️
Ora, ovviamente l’ideale massimo sarebbe in ogni caso solo rifare da capo l’intera pagina per farle avere alla base una struttura decente, ma significherebbe appunto ricostruire tutto; e sicuramente con JavaScript potrei riuscirci senza dover rompere ogni cosa, ma per ora chiaramente non c’ho voglia. Già questa piccola modifica tanto basterà per alleviare tantissimo il mal di capa causato da quello che spesso è un doppio scrolling (specialmente su mobile, dove la sofferenza viene credo triplicata), della pagina + l’area di testo (che non si ridimensiona mai automaticamente), o in alternativa il dover scrollare troppo la pagina per raggiungere altri campi se l’area fosse alta quanto il contenuto… e le controindicazioni sono assolutamente zero, quindi ho fatto subito una pull request al capo del progetto, fiduciosa che verrà accettata (quando si sveglia domani, che lui è indonesiano, quindi ora starà nel lettino). 🔧
Pure a livello di codice, ribadisco, non è stato difficile; è bastato un po’ di puro CSS per dichiarare il layout, e del JavaScript integrato nell’editor già esistente per attivare e disattivare l’ambaradan a necessità, col bottoncino o con la combinazione da tastiera che ho registrato (CTRL+P). Per mobile ho in realtà aggiunto anche una proprietà del meta viewport che ho scoperto letteralmente stasera, cioè interactive-widget=resizes-content
, per indicare al browser (almeno, per Chromium e Safari si, su Firefox chi lo sa) di ridurre il l’area della pagina quando la tastiera virtuale è aperta, così da evitare un altro doppio scrolling che altrimenti ci sarebbe… e ora si che è comodo lì, pare nativo! 👄
Va detto comunque che l’idea di base non l’ho inventata io, anche se mi è dovuta comunque arrivare come intuizione personale perché io potessi considerarla (poiché non arriva mai nessuno da me a suggerirmi le cose in anticipo e semplificarmi così le missioni, mannaggia alla polvere). Infatti, pensandoci lo fa anche un plugin di cui non ricordo il nome che ho sulla mia DokuWiki, che aggiunge un tasto al campo di editing anch’esso semplice vecchio stile da <textarea>
buttata in una pagina alla bene e meglio, per mandare a schermo intero… ma quell’implementazione è mezza rotta e meno elegante di cosa ho fatto io qui, che ho riutilizzato gli elementi già presenti nel DOM, senza duplicare il campo di testo o fare strane scemenze. Detto questo, però, è proprio strano che questa idea non solo non sia mai venuta al grande capo di HTMLy, ma nemmeno ad altri contributori… non esistono issue o pull request al riguardo, a parte qualcuno che vorrebbe sostituire l’intero editor Markdown con altri più avanzati (che no, non risolverebbe direttamente questo specifico mal di cervello, e lo so perché sulla mia installazione ci ho provato; non è la mancanza di WYSIWYG che mi uccide, è il layout che scrolla e fa cose che bleh… ma ora grazie al cielo non più). 🙌
#blogging #CMS #HTMLy #improvement #Markdown #OpenSource #webdev
Add fullscreen feature to Markdown editor by andrigamerita · Pull Request #967 · danpros/htmly
Since I started to use HTMLy, the Markdown editor has always felt kind of strange to me for long posts. After a bit of reflecting, I noticed that this is because any other normal text or blog edito...GitHub
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[libro] Ci siamo già visti?
Autrice: Sadie Dingfelder
Titolo: Ci siamo già visti? – Come ricordiamo e riconosciamo (o no) le facce, le persone e il mondo intero
Editore: ilPost – Iperborea, collana Altrecose
Altro: ISBN 9791281729100; I ed. it. 2025; p. 320; 20,00€; traduzione di Francesca Pè; titolo originale: Do I Know You? – A Feceblind Reporter’s Journey into the Science of Sight, Memory, and Imagination; genere: saggistica, divulgazione scientifica
Voto: 8/10
Il tutto inizia con Dingfelder che rimprovera suo marito al supermercato per aver preso un prodotto che non doveva. Il marito la guarda con due occhi sgranati. Dingfelder scopre così che chi stava rimproverando non era suo marito. L’autrice parte da questo evento per indagare una sua peculiarità: non riconosce le facce delle persone. Questa condizione si chiama prosopagnosia. Da giornalista scientifica coglie l’occasione per indagare questa neurovariabilità e scrivere degli articoli per il suo giornale. Ha quindi contattato numerosi neurologi e psicologi che studiano il problema, si è sottoposta a numerosi esami, anche sperimentali, e ha scoperto di avere altre interessantissime neurodiversità: è stereo cieca (vede il mondo in 2D e non in 3D), è afantasica (non riesce a visualizzare una situazione) e non ricorda i dettagli di cosa ha vissuto (SDAM). E altre piccole stranezze.
Queste non abilità, chiamiamole così, non sono classificate come malattie, ma come modi (estremi) in cui il nostro cervello può funzionare. Ci sono anche estremi opposti, come persone che sono degli iper-riconoscitori dei volti (e sono usati dalla polizia per riconoscere i ricercati fra la folla), chi ha una vista molto 3D (e guida aerei da caccia) o chi ricorda troppi particolari della propria vita vissuta. Ognuno di questi modi costringe queste persone a tecniche compensative per vivere in un mondo che non è fatto per loro. Dingfelder, per esempio, si scrive tutto, mette in forma di storia quello che vive, per ricordare quello che fa. E quindi è un’ottima giornalista.
Ma queste diversità sono anche un ottimo modo per i neuroscienziati per capire come funziona il nostro cervello. La prosopagnosia, per esempio, ci ha fatto scoprire che ci sono aree dedicate al riconoscimento dei volti, scollegate dal riconoscimento degli oggetti. A seguito di un trauma, per esempio, si può perdere la capacità di riconoscimento dei volti, ma non degli oggetti o viceversa.
Il viaggio in questo strano mondo senza volti, in 2D e senza immagini nella mente, è molto affascinante per noi neurotipici e l’autrice è capace di raccontarlo con grande (auto) ironia e in modo da divulgare le ultime ricerche fatte in questo campo. Il racconto della sua ricerca scorre veloce e mi ha lasciato con una consapevolezza nuova: quello che sentiamo con i nostri sensi e come lo elaboriamo ci condiziona nel nostro modo di pensare molto di più di quanto vorremmo ammettere. Dovremmo stare più attenti a come vivono gli altri le cose, essere meno giudicanti. Dimenticare una storia d’amore finita male è molto più facile se è soltanto una pagina nel nostro diario o un numero in una rubrica telefonica. Un po’ meno se è un intero film che abbiamo nella mente, magari con miriadi di dettagli.
Personalmente mi sono trovato molto vicino all’autrice. Pur non soffrendo di prosopagnosia, ho difficoltà a riconoscere le somiglianze fra le persone tanto che una donna che cambia taglio di capelli e trucco potrei fare fatica a riconoscerla. Inoltre in alcuni casi – non ho capito ancora quale è il discrimine – faccio molta fatica ad associare un nome al volto, anche se le persone le incontro spesso. (Un saluto a due care amiche della Comizietta, che dopo 5 anni ancora confondo i loro nomi.) Anche i dettagli che ricordo degli eventi penso che siano molti meno di altre persone, come per esempio la mia Saì.
Non mi resta che consigliarvi la lettura di questo volume per scoprire nuovi mondi letteralmente mai visti prima.
#afantasia #CiSiamoGiàVisti_ #divulgazioneScientifica #libro #prosopagnosia #recensione #sadieDingfelder
[film] Seven sisters
Titolo: Seven sisters (originale: What Happened to Monday) Regia: Tommy Wirkola Sceneggiatura: Max Botkin, Kerry Williamson Effetti speciali: Lucian Iordache, Haukur Karlsson Altro: Paese di produz…Il Comizietto
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nel podcast ‘la finestra di antonio syxty’, oggi, 21 settembre 2025: “etica dei ritagli”, di giovanni cianchini
open.spotify.com/episode/75K4O…
Etica dei ritagli, di Giovanni Cianchini (Arcipelago Itaca, collana Lacustrine, 2023, introduzione di Laura Cingolani), ospite del podcast ‘La Finestra di Antonio Syxty’, oggi, 21 settembre 2025. Con l’autore e A.S. interviene Simone Beghi.
Qui il libro: arcipelagoitaca.it/products/et…
#AntonioSyxty #ArcipelagoItaca #audio #GiovanniCianchini #LaFinestraDiAntonioSyxty #Lacustrine #LauraCingolani #podcast #poesia #prosa #RenataMorresi #SimoneBeghi
"Etica dei ritagli" di Giovanni Cianchini
La Finestra di Antonio Syxty · Episode"Etica dei ritagli" di Giovanni Cianchini (Spotify)
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Il PCI solidarizzava con i Vietcong, ripensando alla Resistenza in Italia
Contro l’idea del ‘tradimento’ degli ideali resistenziali e la concezione rivoluzionaria e classista della Resistenza portata avanti dai movimenti (e da alcune frange del partito, per la verità), il PCI oppose (e ripropose) una narrazione della Resistenza entro la cornice togliattiana della svolta di Salerno: una Resistenza interclassista e democratica, fortemente ancorata al concetto di ‘popolo’, legata semanticamente a quello di ‘nazione’, costruita discorsivamente sull’unione delle diverse componenti sociali e politiche del paese (quelle progressiste, ovviamente) <20. In occasione del ventennale della Resistenza, il 25 aprile del 1965, si invocava una «nuova unità operaia e democratica» , mentre l’anno seguente un giovane Achille Occhetto, dal 1963 segretario della federazione giovanile, parlava <21 della Resistenza nei termini di «vittoria del popolo» e «guerra di popolo». Contro la ‘Resistenza rossa’ si scagliò anche Paolo Spriano <22, opponendo la «verità storica» alla formula coniata dal movimento studentesco. E la verità (neanche a dirlo) risiedeva proprio nell’elemento popolare: «quando si vuole adoperare la formula ‘ci fu una sola Resistenza e fu Resistenza proletaria’, si dice cosa non vera: non vera nella realtà, poiché alla Resistenza parteciparono forze sociali e politiche diverse, non vera neppure nelle intenzioni comuniste, nella piattaforma che i comunisti le davano. […] La Resistenza che è culminata nell’insurrezione al Nord, fu un grande sommovimento di popolo, fu vittoriosa, anche perché il PCI, che tanta parte ebbe nel suscitarlo, intese profondamente questo carattere unitario, nel quale la classe operaia assunse una funzione di direzione, una funzione positiva, nazionale nuova». <23
Sarebbe certamente tedioso fare un elenco delle centinaia di articoli e le decine di pubblicazioni sulla Resistenza che uscirono intorno alla metà degli anni settanta, soprattutto per il trentennale, nel 1975, ma è opportuno semmai metterne in luce alcuni aspetti. Tra questi, vale la pena ricordare il ruolo importante assunto dal discorso sul Vietnam. Tra la metà degli anni sessanta e la metà del decennio successivo, infatti, ‘popolo’ e ‘Resistenza’ si trovarono con altissima frequenza sullo stesso asse discorsivo della narrazione delle lotte del popolo vietnamita contro l’imperialismo statunitense. «Ha diritto il popolo del Viet Nam del Sud a essere indipendente e libero e unito anche se questo turberà ‘l’equilibrio’ a sfavore dell’imperialismo americano nel sud-est asiatico?», chiedeva retoricamente Mario Alicata ai lettori de l’Unità nei giorni dell’evacuazione di Hanoi nel luglio del 1966. E ancora: «Ha diritto l’imperialismo americano a massacrare impunemente un popolo, a trascinare il mondo verso un conflitto generalizzato, per opporsi all’inarrestabile marcia dei popoli verso la loro indipendenza nazionale, sol perché in alcuni paesi tale bandiera è stretta nel pugno in primo luogo dai comunisti?». <24
In generale, sulla stampa di partito, la semantizzazione del discorso sul Vietnam si basava sul alcuni fondamentali assunti: l’eroismo del popolo vietnamita <25, la sua forza <26, il suo coraggio <27, la sua unità <28, la sua volontà <29, il suo sacrificio <30, la sua conseguente invincibilità <31; la rappresentazione biblica del re Davide contro il gigante Golia <32; la denuncia del genocidio di un popolo e di una ‘guerra sporca’ <34; il collegamento locale/globale, tra la lotta del popolo vietnamita e la lotta dei popoli del mondo (tra cui quello italiano) <35; il discorso sulla ‘guerra di popolo’ <36; la congiunzione spirituale tra la Resistenza del popolo italiano e la resistenza del popolo vietnamita. Ciò che collegava narrativamente i due popoli era proprio la vitalità degli ideali resistenziali. Nel ventennale della Resistenza italiana, nel 1965, Enrico Berlinguer spiegava, in un articolo su l’Unità dal titolo evocativo, “La Resistenza oggi”, che l’attualità della lotta partigiana era data da «ciò che [avveniva] nel mondo», e cioè «l’attacco barbaro che gli americani [stavano conducendo] contro il popolo del Viet Nam», e «ciò che [accadeva] in Italia» contemporaneamente, ossia «un’offensiva padronale e un’involuzione politica che [mettevano] in causa le conquiste fondamentali delle classi lavoratrici e le prospettive stesse di un’avanzata del nostro regime democratico». Perciò, concludeva, non era retorico l’appello che aveva fatto Longo «perché l’Italia della Resistenza [fosse] tutta, moralmente, politicamente, e in tutte le forme concrete che si renderanno necessarie, con la Resistenza del popolo del Viet Nam». <37
È presente in questo passo un nodo fondamentale del pensiero e della politica berlingueriana, poi anche base discorsiva del ‘compromesso storico’. In Italia, come in altre parti del mondo per certi aspetti affini, la possibilità di scivolamento nella crisi istituzionale, cioè di un’involuzione politica e di un rovesciamento delle conquiste democratiche a opera di forze reazionarie sempre presenti nel tessuto sociale, gettava un’ombra perenne sul paese.
È a partire dagli anni sessanta, dunque, che l’idea della crisi era entrata in sordina nel discorso del partito. Il XII congresso, svoltosi a Bologna tra l’8 e il 15 febbraio del 1969, rilevando l’approssimarsi della conclusione dell’esperimento del centrosinistra, aveva sottolineato la necessità di una «nuova maggioranza di forze laiche e cattoliche» che fosse «espressione politica dell’aggregazione di un nuovo ‘blocco politico’ di classi e ceti sociali». Ma se inizialmente la crisi era concettualizzata eminentemente come fenomeno <38 politico, in seguito, nel corso degli anni settanta e con i primi segnali di recessione, fu sempre più spesso presentata anche come questione economica. Il XIII congresso, infatti, tenutosi a Milano tra il 13 e il 17 marzo del 1972, registrava lo stato di crisi politico-economica in cui versava il paese, che si era generato grazie alle storture di una crescita non (o mal) regolamentata. Un episodio drammatico come la strage di piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre 1969, aveva nel frattempo concorso a rafforzare gli scenari più bui <39. Per «isolare e per battere il fascismo», aveva scritto Alessandro Natta su Rinascita del luglio 1973, occorreva «una politica capace di risolvere in termini di libertà, giustizia, di progresso i problemi delle masse popolari» attraverso un «incremento di libertà e di giustizia» e l’«espansione della partecipazione e del controllo popolare». <40
[NOTE]20 Bassi, “Una guerra semantica”. Si veda la figura n. 21, Carlo Levi, “25 aprile”, l’Unità, XL, 113 (25 aprile 1963), in appendice iconografica. Nell’illustrazione era scritto: «Se per la prima volta noi ci incontrammo insieme nella nuova coscienza di lotta e di rivolta, nel sangue, nell’azione sbocciata come un fiore, questo nuovo valore, questa è la Resistenza. Se questo primo seme comune, sotterrato negli anni, ha germogliato nuovo a un luglio di popolo per l’oggi, per il dopo, questa è la Resistenza».
21 “A venti anni dalla gloriosa insurrezione nazionale del 25 aprile. Trionfino gli ideali della Resistenza con una nuova unità operaia e democratica”, l’Unità, XLII, 113 (25 aprile 1965).
22 Achille Occhetto, “Andare avanti”, l’Unità, XLIII, 113 (25 aprile 1966).
23 Paolo Spriano, “Ancora sull’antifascismo tra i giovani. ‘Resistenza rossa’?”, l’Unità, XLVIII, 139 (23 maggio 1971).
24 Mario Alicata, “Il mondo a una svolta”, l’Unità, XLIII, 178 (24 luglio 1966).
25 Si parlava, per esempio, di «eroica lotta del popolo vietnamita, m.d.b., “Esaltante incontro di massa con le donne vietnamite”, l’Unità, XLIX, 299 (1° ottobre 1972), o di «eroici combattenti per la libertà», “Gli USA rispettino i patti!”, l’Unità, XLIX, 299 (1° novembre 1972).
26 “Un crimine immane che non ha piegato il Vietnam. Il martirio di un popolo”, l’Unità, L, 23 (24 gennaio 1973).
27 L’articolo “Hanoi: senza il sabotaggio di Nixon oggi nel Vietnam ci sarebbe la pace”, l’Unità, XLIX, 299 (1° novembre 1972) parlava per esempio di «lotta coraggiosa del popolo vietnamita».
28 Per esempio, in “Il Vietnam della tempesta”, l’Unità, XLV, 33 (3 febbraio 1968) si parlava di «un intero popolo» e di «lotta di tutto un popolo».
29 Per esempio: «il nemico non ha spezzato la volontà dell’eroico popolo del Vietnam», “‘Libertà e unità della Patria’ scopo della lotta del Vietnam”, l’Unità, L, 1 (2 gennaio 1973); «rafforzano il popolo vietnamita nella sua determinazione di combattere e vincere», “Continua la lotta e la vigilanza dei popoli mentre riprendono gli incontri di Parigi”, l’Unità, L, 1 (2 gennaio 1973).
30 Si parlava sovente di «popolo martoriato», “Gli USA rispettino i patti!”, l’Unità, XLIX, 299 (1° novembre 1972); di «sacrificio del popolo del Vietnam» e ancora di «popolo martoriato», “Manifestazioni e iniziative in tutta Italia”, l’Unità, XLIX, 350 (22 dicembre 1972).
31 Per esempio: «[Nixon] vuole sterminare tutto un popolo, ma il popolo vietnamita è come la terra, che sempre fa rinascere i suoi germogli e la vita», “Le donne protagoniste dell’esaltante manifestazione al Flaminio. Da ogni quartiere, da ogni comune per le loro sorelle del Vietnam”, l’Unità, XLIX, 299 (1° ottobre 1972).
32 Si vedano: «Oggi lo stesso popolo tiene testa, in condizioni di incredibile sproporzione di forza e con un incredibile coraggio, alla più grande potenza industriale del mondo, alla più avanzata tecnologia militare» “Il Vietnam della tempesta”, l’Unità, XLV, 33 (3 febbraio 1968); «La più potente e feroce macchina di guerra del mondo non è riuscita a soffocare la voce di libertà e indipendenza di un piccolo popolo», “I bombardamenti sono cessati. Ora si deve conquistare la pace”, l’Unità, XLV, 294 (2 novembre 1968).
33 Erano frequenti le espressioni come «barbaro genocidio», “Chi sono i Vietcong’”, l’Unità, XLV, 33 (3 febbraio 1968), o «barbaro massacro», “Manifestazioni e iniziative in tutta Italia”, l’Unità, XLIX, 350 (22 dicembre 1972).
34 Per esempio: “Alla notizia dell’accordo che pone fine alla sporca guerra nel Vietnam emozione ed entusiasmo in tutta Italia”, l’Unità, L, 24 (25 gennaio 1973).
35 Si diceva per esempio: «Una data storica che segna la vittoria dell’eroico popolo del Vietnam e di tutte le forze democratiche e di pace del mondo intero», “Accordo di pace. Continui la mobilitazione e la vigilanza”, l’Unità, L, 23 (24 gennaio 1973). Si veda anche “Una storica vittoria dell’eroico Vietnam e di tutti i popoli del mondo”, l’Unità, L, 24 (25 gennaio 1973).
36 «È la guerra di popolo che si sviluppa. Oggi colpisce il nemico più forte che mai, e non isolatamente, ma su tutto l’arco del fronte interno che risulta tutto in movimento, scompaginato da un’iniziativa militare e politica che rivela non solo uno slancio eroico inimmaginabile ma una linea politica robusta, nazionale, legata alle masse, profondamente connaturata con le esigenze di libertà e indipendenza tradizionali del popolo vietnamita», “No all’aggressione”, l’Unità, XLV, 33 (3 febbraio 1968). Sullo stesso numero, a pagina 8 e a caratteri cubitali: “Generazioni di vietnamiti in lotta per la libertà e l’indipendenza contro gli stranieri. Una guerra di popolo”, l’Unità, XLV, 33 (3 febbraio 1968).
37 Enrico Berlinguer, “La Resistenza oggi”, l’Unità, XLII, 113 (25 aprile 1965).
38 Alberto Cecchi (ed.), Storia del PCI attraverso i congressi (Roma: Newton Compton, 1977), pp. 321-322.
39 Dalla metà degli anni settanta, peraltro, il discorso sulla Resistenza (e sul popolo) risentirono del clima complicato dalla tensione sociale. Per esempio, nel giugno 1974 Arrigo Boldrini scriveva: «La risposta inequivocabile che la schiacciante maggioranza del popolo italiano ha dato al terrorismo degli squadristi neri contiene anche una indicazione che occorre cogliere in tutto il suo significato: gli ideali della Resistenza che furono a base del patto costituzionale e della nascita della Repubblica debbono permeare profondamente l’azione di ferma difesa dell’ordine democratico e debbono ispirare tutta la nostra vita sociale», “La Resistenza e le Forze armate”, l’Unità, LI, 150 (2 giugno 1974).
40 Alessandro Natta, “Per un modo nuovo di governare”, Rinascita, XXX, 27 (6 luglio, 1973)
Giulia Bassi, Parole che mobilitano. Il concetto di ‘popolo’ tra storia politica e semantica storica nel partito comunista italiano, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2015-2016
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26 settembre 2025, “parola plurale” venti anni dopo: seminario online della biblioteca pagliarani
26 settembre 2025, h. 18:30, incontro online:
La Parola plurale venti anni dopo.
Il genere antologia nel primo quarto di secolo degli anni Duemila
Per seguire il seminario:
meet.google.com/ceu-jjpd-jgw
Interventi di Marilina Ciaco, Claudia Crocco, Riccardo Frolloni, Paolo Giovannetti.
Coordina Marianna Marrucci
*
pdf della locandina leggibile e scaricabile qui:
slowforward.net/wp-content/upl…
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venezia, 25 settembre: “naturale artificiale”
Si terrà giovedì 25 settembre, alle ore 15:00, presso lo Speakers’ Corner alle Corderie dell’Arsenale, il secondo appuntamento del ciclo di incontri di Construction Futures Research Lab, il progetto di ricerca che riunisce tre progetti partecipanti alla 19. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia – Machine Mosaic (Daniela Rus), Co-Poiesis (Philip F. Yuan, Bin He), A Robot’s Dream (Gramazio Kohler Research, ETH Zurich – MESH, Studio Armin Linke) – sostenuto da Fondamentale – la filiera delle costruzioni ededicato alla sperimentazione di robotica e intelligenza artificiale in edilizia.
Disegnare un futuro sostenibile, in sinergia con il mondo della cultura e della ricerca: questo il filo conduttore dell’evento,dal titolo Naturale Artificiale, che punterà l’attenzionesul dialogo e l’interazione fra i due tipi di intelligenza, naturale e artificiale, attraverso il punto di vista di esperti e docenti di campi diversi: estetica, filosofia della scienza, architettura/urbanistica, neuroscienze. La giornata si aprirà con l’intervento Naturale, artificiale, collettivo. Cioè paesaggio di Paolo D’Angelo, professore ordinario di Estetica presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università degli Studi Roma Tre, per proseguire con Giorgio Vallortigara, professore ordinario di Neuroscienze presso il Centro Interdipartimentale Mente/Cervello (CIMeC) dell’Università degli Studi di Trento, che affronterà Il grande mistero dei cervelli naturali. Abitare l’ibrido è il tema del contributo di Marta Bertolaso, professore ordinario di Filosofia della scienza e dello sviluppo umano presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, mentre Ezio Micelli, professore ordinario presso il Dipartimento di Architettura e Arti dell’Università IUAV di Venezia, parlerà di Intelligenza diffusa e ambiente urbano. La giornata vedrà anche la partecipazione dei discussant Federica Brancaccio, Presidente dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE), Fabrizio Salomoni, Responsabile settore Costruzioni Confcooperative Lavoro e Servizi relatore, e – in veste di moderatore – di Domenico Melidoro (Ethos Luiss), ricercatore in Filosofia Politica presso Universitas Mercatorum.
Partito lo scorso 13 giugno con il primo appuntamento dal titolo Artificiale Collettivo, il ciclo di cinque incontri, ideato e curato da Daniele Pittèri in collaborazione con l’Osservatorio Ethos LUISS Business School, proseguirà in autunno nelle seguenti date: 16 ottobre (Le intelligenze per governare le trasformazioni delle città), 5 novembre (Il rapporto Uomo Macchina) e 21 novembre (Le intelligenze al servizio del patrimonio).
La cornice è quella del GENS Public Programme della Biennale Architettura 2025, che intende indagare implicazioni, relazioni, opportunità e pericoli che i tre tipi di intelligenza (Natural, Artificial, Collective) hanno nel grande ambito del costruire, anche di fronte alle grandi sfide e ai potenziali cambiamenti che ci aspettano nell’immediato futuro. L’idea di fondo parte dalla constatazione che fra tutte le attività umane quella del costruire non solo è una delle più antiche, ma è anche quella in cui continuativamente i tre tipi di intelligenza hanno sempre interagito.
Construction Futures Research Lab è supportato daFondamentale – La Filiera delle Costruzioni, l’unione di dodici sigle che rappresenta i protagonisti del settore edile, imprese e sindacati dei lavoratori: Ance, Anaepa Confartigianato Edilizia, Cna Costruzioni, Fiae Casartigiani, Claai, Confapi Aniem, Agci Produzione e Lavoro, Confcooperative Lavoro e Servizi, Legacoop Produzione e Servizi, FenealUil, Filca Cisl, Fillea Cgil, insieme a Formedil e Sanedil, e realizzato con la collaborazione di alcuni prestigiosi atenei internazionali.
Il pubblico potrà fare esperienza di Construction Futures Research Lab anche attraverso la sezione espositiva, pienamente inserita nel percorso della 19. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia dal titolo Intelligens. Natural. Artificial. Collective. a cura di Carlo Ratti. Basata su tre progetti realizzati in collaborazione con tre prestigiosi atenei internazionali – Politecnico di Zurigo, Tongji University e MIT di Boston – la sezione espositiva porta ad immergerci nel futuro, e sperimentare soluzioni concrete rappresentate dai robot umanoidi in grado di svolgere lavori ad alto rischio o attività usuranti, contribuendo ad aumentare il livello di sicurezza. Le tre installazioni sono Machine Mosaic di Daniela Rus (MIT Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory), Co-Poiesisdi Philip F. Yuan e Bin He (Tongji University) e A Robot’s Dream di Gramazio Kohler Research, ETH Zurich – MESH e Studio Armin Linke.
Previsto inoltre un progetto di studi, chesi presenta come un vero e proprio laboratorio interno agli spazi espositivi della Biennale Architettura 2025, dove ricercatori delle tre università che hanno realizzato le installazioni con i robot sperimenteranno con ricercatori di altrettante università italiane, tra cui il Politecnico di Torino, nuove possibili applicazioni dei robot in un ambito edile.
*
Per accedere alle Corderie dell’Arsenale e allo Speakers’ Corner, i visitatori devono essere in possesso di un biglietto valido per la Biennale Architettura 2025.
Fondamentale – La Filiera delle Costruzioni:
https://www.filierafondamentale.it
GENS Public Programme | 19. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia:
https://www.labiennale.org/it/architettura/2025/gens-public-programme
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Oggi l’Etna è la candela che illumina la Palestina
Etna, monte Frumento. Sabato alcuni appassionati della montagna hanno esposto una grande bandiera Palestinese.A Muntagna, così è chiamata l’Etna dai catanesi, è un simbolo di rinnovamento e prosperità, che la sua forza possa contribuire a fermare il genocidio.
“Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/09/21/oggi…
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superpaturnie del sabato senza grossa ispirazione cosmica
Oggi è sabato, e quindi è proprio un momento adattissimo per le riflessioni… Non perché è solo fortuitamente capitato che oggi fosse sabato, E contemporaneamente io sono piena di disperazione, no no… È proprio che il giorno è intrinsecamente ideale per le riflessioni, per motivi cosmici che neanche io sono in grado di decifrare ma che, viste tutte le cose cosanti, sono necessariamente veri. Questo perché ho realizzato un dubbio — o meglio, esso mi è tornato in mente nella pratica di questi giorni — che mi manda fuori di testa: per quale razza di motivo, meno sono distratta e meno mi viene da scrivere??? 🤥
Oh, questa cosa mi fa incazzare veramente (e non direi più del dovuto come al solito, perché qui la cosa è dovutissima), perché, a parte l’essere semplicemente sconveniente, mi sembra contro-intuitiva: non dovrebbe essere il caso che, più si è in condizione di concentrazione, e più le cose dovrebbero uscire? Intendo sia idee per scrivere, che attimi vibranti per farlo. …O, forse, semplicemente la cosa non funziona trasversalmente come a me sembra che dovrebbe, e quindi, se sono estremamente concentrata sui momenti epici allora non posso riuscire ad esserlo anche su quelli scritturepici? 🤔
Più nello specifico, in genere, nei normali giorni l’entropia dell’universo fa gentilmente sì che mi arrivino vari trigger… ma invece, quando per qualche giorno sono fissata sul programmare qualcosa (come l’ultima appina fatta, che oggi ho continuato ad aggiornare, oppure nel breve futuro un firmware per creare una bomba con Arduino, non lo so ancora), le scintille non arrivano. Ma è strano, perché non ho chissà che standard alti io, lo sappiamo bene… nei giorni normali mi vengono idee per le solite belle stronzate semi-riciclate, mentre quando sono concentrata anziché superdistratta neanche queste arrivano. 💥
Probabilmente questa schifezza ha qualcosa a che fare con il ben noto fatto che la noia porta la mente a svarionare e far uscire idee stellari, tra cui quelle per i post pazzi, mentre il non annoiarsi inibisce questo meccanismo… e, dato che quando programmo certamente non mi annoio (almeno, nel 97% dei casi), probabilmente il mio cervello si rifiuta di elaborare oltre. Ma perché mai??? Eppure dovrebbe saperlo bene che se non riesco a scrivere almeno 1 post al giorno qui sopra ci rimango male, quindi dovrebbe impegnarsi un po’ di più a non far accadere ciò, no? 😾
Da un lato vorrei dare la colpa di questo anche al famigerato tempo, come sempre evasivo ed andante solo verso avanti, mai indietro per farne recuperare un po’… ma, a pensarci davvero, non sono sicura che sia davvero lui il principale bastardo in questa questione. Per quanto si, mettermi a programmare dalla mattina alla sera mi rubi una quantità considerevole di tempo, ci sono ogni tanto casi per cui sono completamente distratta, stando in mezzo ad altri impegni vari o eventi frammentati, ma nessuno su cui mi fisso particolarmente, e in un dato giorno di quelli mi escono 2, o anche 3 (ormai più raro questo, “rest in piss superoctt, they say you will not be missed and so they do not deserve to be pleased“) post qui. 😴
Una cosa è certa: il tutto non è miao (non è positivo). Sono quindi sempre alla ricerca di nuovi hackeraggi mentali e, per chiunque me ne proponga (a patto che NON richiedano l’assunzione di sostanze tossico-stupefacenti), sono pronta a provarne. Magari dovrei provare replicare quello che sto attualmente testando per gli animali crostini, ma con un gioco che sia meno diarizzabile, e così facendo potrebbero uscire nuove cose da scrivere qui ogni giorno (non lì eh, qui; il patto col diavolo accidentale riguardo lo scrivere ogni giorno l’ho fatto qui) quasi automaticamente… però troppa roba così rischia di richiedere tempo che non posso sempre allocare, e quindi non posso contarci troppo. 😫
Vabbè, sono cucinata ed evaporata, questo è quanto. Non mi succedono tante cose interessanti quindi, davvero, niente da fare. (Quanto vorrei trasformarmi nel sonno in un peluche di Kuromi gigante, così da non essere più costretta a fare i conti con queste mie paturnie umane troppo umane…)
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roma, seconda settimana del festival dell’aperossa
L’Aperossa 2025: al via la seconda settimana
Dal 22 al 26 settembre
La Villetta Social Lab, Via degli Armatori 3 – Roma
Il progetto, promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Cultura, è vincitore dell’Avviso Pubblico Roma Creativa 365. Cultura tutto l’anno, in collaborazione con Zètema Progetto Cultura
La manifestazione è promossa e realizzata dalla Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico ETS
Ingresso gratuito fino a esaurimento posti
Info: eventi@aamod.it
Il programma completo è qui: slowforward.net/wp-content/upl…
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per chi dovesse perdersi c’è un posto con qualche link – diricerca
questo:
diricerca.wordpress.com/
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DI RICERCA
pagina statica / static page: LINK a materiali sperimentali, scritture di ricerca, postpoesia, prosa in prosaDI RICERCA
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oggi, 20 settembre 2025: incontro del centroscritture nella marsica
In occasione dell’incontro sarà presentato, e sarà possibile sfogliare e prendere gratuitamente, il n. 19 della rivista “La scuola delle cose” (Lyceum/Mudima, 2025), numero monografico dedicato alla scrittura di ricerca, a cura di MG. Non mancheranno inoltre altri libri di sperimentazione letteraria.
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ALL EYES ON GAZA, ALL EYES ON GLOBAL SUMUD FLOTTIGLIA- SCIOPERI E MOBILITAZIONI IN CORSO- ADERIAMO
I Giuristi Democratici sono impegnati in tutte le iniziative di solidarietà e di mobilitazione contro i crimini di guerra e contro l’umanità che il governo Netanyahu ed il suo esercito stanno mettendo in atto in Palestina e in Cisgiordania. Aderiamo ed appoggiamo gli scioperi indetti nei posti di lavoro per il 19 settembre ed il 22 settembre , e sosteniamo tutte le iniziative in corso contro ogni complicità con il governo di Israele, contro la consegna di armamenti, innanzitutto.
L’invasione militare di Gaza, che fa seguito ad ormai numerose azioni militari assolutamente inammissibili messe in atto da IDF (i bombardamenti sui civili, sui negoziatori, su paesi terzi, l’appropriazione di terre, le violenze dei coloni) e le affermazioni di prepotenza e dei governanti israeliani sul futuro della popolazione palestinese sono incredibilmente tollerate o ignorate da buona parte dei governi europei, incluso il nostro, e supportate apertamente dall’amministrazione Trump. Sono azioni criminali contro i palestinesi, contro noi tutti e contro il diritto internazionale.
Per questo stiamo con i lavoratori in sciopero, con gli attivisti della Sumud Flottiglia, con gli attivisti che stanno nelle piazze, nei porti e nelle stazioni, a manifestare e cercare di boicottare l’economia di guerra di un governo criminale.
Continuiamo il nostro impegno, giuridico e sociale, insieme ed a supporto di chi si sta mobilitando in questi giorni, per terra e per mare, per fermare il genocidio in atto, e tenteremo di portare anche nelle aule di giustizia la nostra adesione alla giornata del 22 settembre, facendo inserire nei verbali di udienza le nostre dichiarazioni di sostegno.
Giuristi Democratici -19 settembre 2025
Qui sotto la dichiarazione che molti colleghi si apprestano a verbalizzare in udienza il 22 settembre, a sostegno dello sciopero.
Oggi molte persone incrociano le braccia per protestare per quanto sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania, per il crimine di genocidio, per i crimini di guerra, per i crimini contro l’umanità che il governo israeliano sta commettendo impunemente ed anzi con l’appoggio di molti altri governi tra i quali il nostro. Credo che sia giusto, in senso etico ben prima che codicistico, che proprio nelle aule dove si “fa giustizia” si ricordi e si condanni quanto sta accadendo, nell’auspicio che quei crimini, tra i più gravi commessi dal 1945 in poi sul nostro pianeta, possano essere un giorno processati. E, come giurista democratic*, mi auguro, anche in queste aule
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la nuova appistica NoteTand per scrivere note col dente blu (app Android di appunti Bluetooth!!!)
Mi secca non averlo potuto scrivere ieri, ma completare questo nuovo momento epico mi ha rubato un po’ di tempo, e quindi si era fatto tardi, e rip… ma l’importante è che ora l’ennesima app dall’utilità iperspecifica è per mano mia esistente, e stavolta è una app Android per scrivere note e sincronizzarle con il fottuto Bluetooth… NoteTand (visto che NoteTooth era brutto)!!! Infinite copie del file APK sono già disponibili qui: https://gitlab.com/octospacc/NoteTand/-/raw/main/app/release/app-release.apk. 🤩
Allora, fa strano a me in primis aver creato l’ennesima app di note TXT (almeno, per ora solo quelle, poi se ho voglia si possono mettere Markdown e altre cose), come se non solo non ne esistessero centinaia, ma come se non ne avessi già una io, cioè WhichNot… E, infatti, inizialmente l’idea era di aggiungere una funzione di sincronizzazione Bluetooth lì, ma il problema è che al momento, per quanto ho provato, non riesco a far girare quella app su browser molto vecchi, quindi non potrei usarla sui telefoni molto vecchi come mi servirebbe… quindi pazienza, e nuova app, stavolta nativa e per ora senza crittografia (ma questo porta il vantaggio che, a differenza di tante altre app di note per mobile, di questa si possono maneggiare esternamente i file, senza root, in /sdcard/Android/data/.../files/notes/
). 👾
Perché esiste, e come si usa, è subito detto. Sfruttando le API Android del Bluetooth per lo scambio di dati binari (profilo seriale RFCOMM o quello che è), che in realtà sono state meno peggio da usare di quanto temessi visto cosa offre di solito Android, avere una app dedicata per scambiare note via Bluetooth è infinitamente meglio che usare il classico menu Bluetooth di Android per condividere testo… perché basta 1 solo click sul dispositivo ricevente per avviare inizialmente il server, e 2 click su quello mittente per effettuare l’invio in sé, e tanto basta per avere una data nota effettivamente sincronizzata dentro la app, senza le solite conferme manuali che rendono lo scambio di file generico su Bluetooth un inferno, e senza la creazione di file volanti in /sdcard/Download
. In realtà è strano che non esistesse già una app così, visto che per cazzeggiare col Bluetooth facendo chat e simili ci sono, eppure questa mancava. 👌
Il come mai mi serve, invece, potrebbe essere più complicato… però mentirei se dicessi solo che “è uno strumentopolo che mi servirà più tardi“. E allora diciamo che potrebbe uscirmi fuori la necessità di usare un secondo telefono solo per scrivere appunti, quando sono in giro (quindi non ho il PC, e spesso neanche il tablet) e il mio telefono principale è occupato… perché magari su di esso sto eseguendo un gioco, e devo scrivere proprio riguardo ciò, ma sappiamo che MIUI si rifiuta in ogni modo di fare multitasking. Ovviamente, un po’ il fatto che su telefoni secondari non ho Internet se sono fuori casa (e fare tethering è un inutile spreco di tempo), un po’ anche il fatto che se mi metto col WiFi a scrivere direttamente su app di rete (ancora peggio se nel browser) la batteria crollerebbe a picco, e l’unica soluzione sensata è risultata il Bluetooth. 🦷
Nella pratica, è veramente veramente bona, tanto immediata esattamente come la pretendevo, e dovrebbe funzionare dall’ultima versione di Android (o almeno, su 12 funziona) fino a 2.3.3 Gingerbread (ma il rottame su cui io la userò sarà probabilmente 4.4 KitKat, quindi ora non so se funge così indietro)… posso scrivere qualcosa dal telefono principale, poi inviarla sul telefono (piccolo e per certi versi più comodo…) che vado a riciclare come quaderno (un quaderno molto gen-Z devo dire, senza carta, seppur comunque senza Internet) se devo fare multitasking, modificare da lì, e poi rimandare indietro sul dispositivo iniziale, per caricare su Internet o chissà dove. (Per tenere la UX semplice e ridurre i permessi richiesti, comunque, i dispositivi con cui scambiare devono essere prima accoppiati dalle impostazioni Bluetooth di sistema.)
Gli angoli molto ruvidi li ho già smussati, e quindi oltre all’APK anche il codice è già caricato… ma, per (vostro) favore, non guardatelo, perché per fare presto non l’ho ancora ripulito, e ci sta in mezzo ancora tutto il vibe coding fatto da Claudio (che in parte ho potuto sfruttare, come la schermata delle note, e in parte ho dovuto buttare, come il codice di sincronizzazione Bluetooth), oltre al vibe coding fatto da me (nel senso di righe provate alla bene e meglio dalla mia testa, e poi commentate anziché cancellate). Ci sono ancora stringhe non tradotte e minchiate simili da sistemare, ahimè, ma alle cose importanti ci ho già pensato… come la possibilità di scegliere tema Holo o Material chiaro o scuro, nelle impostazioni; e questo forse già batte fin troppe altre app in circolazione… GODI POPOLO!!! 💣💣💣
#Android #app #Bluetooth #notes
GitHub - octospacc/NoteTand: Simple plain-text notes app with Bluetooth sync!
Simple plain-text notes app with Bluetooth sync! Contribute to octospacc/NoteTand development by creating an account on GitHub.GitHub
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ma alla fine non la creai mai…
ecco, potrei implementare quella funzione in questa app allora
Quel 10 maggio 1944 Mario Davide è a guardia del ponte di Sangonetto
Anche in Val Sangone nel Settembre del ’43, sotto la guida del Maggiore degli Alpini Luigi Milano, il 9, si raccolgono in vallata i primi gruppi partigiani. Tra gli altri, arrivano dei giovani ufficiali, quali: Giulio Nicoletta, Fassino, Magnone, Bertolani ed ex prigionieri alleati.
Inizia quasi da subito un’attiva partecipazione dei civili alla costruzione della Resistenza nella valle. Il 23 Settembre i tedeschi effettuano il primo rastrellamento, primo, perché nei venti mesi successivi, ne avrebbero effettuati ventisette.
Le prime vittime degli attacchi tedeschi, sono il pittore di Giaveno Guglielmino, ucciso nella sua casa al Colletto del Forno ed una valligiana che non si era fermata all’intimazione di alt dei tedeschi.
Questi episodi di barbarie suscitano nella popolazione, un sentimento di forte solidarietà con i partigiani e di sdegno per il nemico.
Nell’ottobre – novembre ’43, i gruppi partigiani si dispongono al Ciargiur con il Maggiore Milano, alla Dogheria con Cantelli e Bertolani, ed al Palè con Nicoletta e Fassino […]
Il 22 Ottobre, viene catturato il Maggiore Milano, ma non s’interrompono gli attacchi ai presidi ed ai depositi tedeschi, che rispondono con un duro rastrellamento.
Quando Milano fu catturato, l’ufficiale Giulio Nicoletta prese con sé tutti i gruppi di partigiani della vallata e si rifugiò in Val di Susa a Mon Benedetto. Dopo una ventina di giorni ritornarono in vallata e si divisero in quattro gruppi.
Quello di Giulio Nicoletta al Palè, quello di Sergio de Vitis alla Verna, quello di Nino Criscuolo alla Moncalarda e quello di Franco Nicoletta al Col Bione.
Nel Dicembre ’43, continuano gli attacchi ai presidi tedeschi e gli scontri contro i nazifascisti, durante le azioni partigiane per il recupero di armi, vettovagliamenti, ed equipaggiamenti.
Nella valle, le bande partigiane sono sorrette dalla attiva partecipazione dei gruppi di Resistenza civile. I tedeschi allora intensificano le azioni anti partigiane e di terrorismo sulla popolazione.
Nel Gennaio-Febbraio ’44 la vallata è sotto il controllo delle Forze di Liberazione, dopo l’eliminazione delle squadracce fasciste. Iniziano anche le operazioni in pianura.
Nel Marzo-Aprile ’44, le bande sono formate da centinaia di uomini ed includono anche ex prigionieri sovietici, polacchi, cecoslovacchi e angloamericani.
I problemi organizzativi diventano sempre più gravi, ma il CLN tenta in tutti i modi di aggiustare la situazione.
Vengono intensificati e diventano più efficaci i colpi, le imboscate ed i prelievi di materiale nemico. Fra le ritorsioni più inumane ci fu quella dell’eccidio di Cumiana, dove i tedeschi, con l’aiuto delle SS italiane, uccidono 50 civili ed un partigiano pochi minuti prima dell’arrivo del parlamentare partigiano, da loro stessi invitato per lo scambio. Questo scambio avverrà ugualmente, ma solo con i superstiti.
Nel Maggio ’44, vi furono le più gravi perdite subite dalla Resistenza militare e civile in Val Sangone. Le truppe nazifasciste si scatenarono in un enorme rastrellamento, il più grande. Attaccarono dal fondo valle, dalla Val Chisone, e dalla Val di Susa, accerchiando così i partigiani della Val Sangone.
Gli scontri più duri sono avvenuti al Col Bione, sotto il Colle della Russa ed al Pontetto. Si contarono più di un centinaio di morti.
Nel Giugno ’44 affluiscono nuove leve e le formazioni attaccano la polveriera di Sangano. Il comandante De Vitis, dopo aver conquistato la polveriera, ed aver catturato tutto il presidio, sostiene con un gruppo di coraggiosi, il contrattacco tedesco e cade per consentire la ritirata alla sua formazione.
Nel Luglio-Ottobre ’44 colpi, imboscate, sabotaggi e contro sabotaggi, diventano più numerosi. Gli effettivi delle bande sono più di un migliaio e l’organizzazione diventa più efficiente. La vallata è sotto il controllo partigiano. Gli alleati inviano anche una loro missione in vallata. Popolazione e clero, partecipano con entusiasmo all’opera delle bande.
Essendo molto vicini a Torino ed avendo diverse strade di comunicazione con la Francia, fu possibile compiere numerose spedizioni contro le caserme torinesi e ciò permise di catturare anche molti gerarchi fascisti e ufficiali tedeschi. Proprio per questo motivo furono molte anche le puntate del nemico, in una delle quali, venne catturato e impiccato il comandante “Campana” [Felice Cordero di Pamparato]. A comandare la sua brigata viene chiamato il professor Usseglio […]
Nel novembre-dicembre ’44 i nazifascisti iniziarono grandi rastrellamenti e vi sono molti scontri. Il 27 Novembre, vi fu una grossa operazione di rastrellamento, ma i partigiani seppero organizzarsi bene e non subirono gravi perdite.
Purtroppo, vi fu un lancio da parte degli alleati per rifornire i partigiani delle tre vallate, di armi, su alla Maddalena. Era stato stabilito che avrebbero dovuto farlo in situazione di calma, invece fu fatto all’improvviso e così i tedeschi presero tutto o quasi, il materiale. I tedeschi decisero allora di mettere dei presidi in vari paesi ed in varie borgate della vallata e diedero inizio ad uno stillicidio di azioni terroristiche contro civili e partigiani catturati.
Nel Gennaio-Maggio ’45, le formazioni partigiane estesero la loro influenza sulla popolazione con la quale vivevano in simbiosi sia in montagna, sia in pianura.
Veronica Ugazio, Sentieri partigiani in Val Sangone, in Careglio
Il gruppo di partigiani di Piossasco pur concentrato in Val Sangone si inserisce in diverse squadre partigiane attestate sulle montagne di Giaveno: l’Aquila, il Col del Vento, il Col della Russa, Forno di Coazze… Temendo eventuali attacchi da parte delle truppe nazifasciste in Val Sangone, le forze partigiane predispongono le difese.
Mercoledì 10 maggio 1944, alle ore 3,40, è l’allarme! È scattata una grande operazione di rastrellamento che investe contemporaneamente le Valli di Susa, Sangone e Chisone e vede impegnati, pare, diecimila uomini fra tedeschi e fascisti.
«La tecnica di attacco è fra le più perfezionate: bloccare il fondo valle e contemporaneamente scendere dai passi e dalle creste delle valli laterali per cercare di spingere i partigiani verso il basso e di insaccarli nel paese centrale della vallata, avvalendosi, oltre che della superiorità di uomini e mezzi, di un largo uso di cani poliziotto, di spie, di blocchi sistematici dei canaloni».
La sola Val Sangone è occupata da due reggimenti di Alpini, una Compagnia di «SS» italiani, una di Metropolitani ed un pattuglione di Carabinieri.
L’operazione, che dura dal 10 al 14 maggio, coglie di sorpresa i partigiani:
«Non c’è stata segnalazione, non è partita nemmeno la staffetta da Giaveno a venirci ad avvertire. Sono arrivati di sorpresa, siamo stati presi quasi nel sonno.» (B.P.)
I rastrellatori, «certo sicuri dei posti e delle forze nostre, guidati da molte spie», impegnano in combattimento le forze partigiane che lasciano sul campo centoventicinque caduti. L’azione, condotta con estrema ferocia e con atti di crudeltà inaudita, è la risposta ai primi atti di sabotaggio ed ai primi attacchi partigiani, ripresi con l’inizio della primavera, cui era seguita, il 4 aprile, la strage di cinquantasette civili a Cumiana, mentre si stava trattando la restituzione dei prigionieri e dopo che il parroco del paese aveva ottenuto dai partigiani ciò che i tedeschi chiedevano.
I nazifascisti fucilano sul posto i partigiani sorpresi con le armi in pugno, catturano e torturano i feriti, incendiano case.
Quel 10 maggio 1944 Mario Davide è a guardia del ponte di Sangonetto, da lui minato nelle giornate precedenti.
Nel corso della mattinata, mentre il nemico incalza, fa saltare il ponte, bloccando per un certo tempo l’avanzata e permettendo ai compagni di ritirarsi e di cercare scampo nella fuga.
Data la confusione e la tragicità del momento, le versioni dei testimoni sulle circostanze della sua morte sono contrastanti. La sorpresa ha disorientato i suoi compagni:
«È stato lì che qualche ragazzo, dopo i primi colpi si è ritirato, poi magari ha di nuovo attaccato, ma è mancato quel polso… Diciamolo pure, lui è rimasto solo, si è difeso molto bene, si è difeso come ha potuto, è stato colpito, è stato ucciso lì. Secondo quello che ho potuto sapere io, è stato ucciso lì. L’abbiamo trovato altrove, perché è stato spostato dai borghesi… Se avessero trovato dei morti, dei partigiani, avrebbero bruciato le case. » (B.P.)
«Ha tenuto testa da solo ai carri armati finché non sono scesi a guado nel torrente, poi è riuscito ad andarsene, che non aveva più munizioni… è risalito fino alla frazione Ruata, lì i tedeschi l’hanno incontrato… l’hanno ucciso lì. Per informazioni inesatte da parte dei valligiani è andato a finire in bocca ai tedeschi.» (A.C.)
Le testimonianze concordano sul fatto che Mario è rimasto praticamente solo a far fronte agli assalitori. Dei valligiani trovano il cadavere e lo nascondono seppellendolo sotto poca terra per evitare rappresaglie.
Alla testimonianza della madre, resa a quarantanni di distanza, diamo più spazio per l’intensità, la drammaticità e la comprensibile passione del racconto:
«L’ultima volta che l’ho visto, sono andata su a trovarlo e lui mi ha detto: ‘Ma, come mai mamma, sono andato soltanto domenica a casa…!’ Mi pareva proprio che il destino mi dicesse: “Vallo a vedere, vallo a vedere… ‘.
Mi ricordo sempre che abbiamo mangiato sotto un pergolato che c’era lì…
Era con una famiglia, marito e moglie già anziani, che lo tenevano come un figlio, gli volevano bene. ‘Se non torno’ – disse a quella famiglia – fatelo sapere ai miei!
‘Otto giorni dopo la disgrazia abbiamo ricevuto la notizia che era ferito gravemente. Siamo partiti nel pomeriggio, io e mio marito, a piedi, e siamo andati su cercandolo da una famiglia all’altra, dove potevo trovarlo ferito. C’erano tedeschi dappertutto, non han chiesto niente. Abbiamo camminato fino a sera, cercandolo; nessuno l’aveva visto, lo chiamavano il ‘Biondo di Piossasco’.
Era ormai notte, non ci restava che tornare indietro. Abbiamo ancora chiesto; c’era un bambino grande così: ‘Il biondo di Piossasco, mia mamma sa dov’è!’.
‘Vostro figlio è morto, l’ha sepolto mio marito!’
‘Ma hanno detto che…’
‘No, no, vostro figlio è morto. Vi indicherei dov’è, ma non osiamo uscire.
Ed io ho detto a mio marito ‘Guarda siamo venuti a trovare nostro figlio morto. Se ci uccidono non importa, andiamo finché lo troviamo.
‘Fateci soltanto vedere dov’è e poi tornate a casa!’ Quella donna ci ha accompagnati un pezzo e poi ci ha detto: Vostro figlio è sepolto lì!
‘C’era ancora la terra fresca; perché era sepolto da pochi giorni. Che fare. C’era il coprifuoco; non potevamo più venire via.
Abbiamo detto alla donna: ‘Vogliamo essere sicuri che sia proprio lui!’ ‘State sicuri, l’ho coperto io, ha poca terra sul viso’. Ma noi non eravamo tranquilli.
È venuto suo marito e l’abbiamo scoperto. Povero bambino, era proprio vero, era proprio lui, sepolto come si trovava, calzato e vestito, con un palmo di terra addosso.
Mio marito aveva una medaglia in tasca, gliel’ha messa in mano e poi gliel’ha chiusa.
Gli ho fatto il segno della croce, prima che lo coprissero. Lo abbiamo dovuto ricoprire come era prima.
‘E adesso dove andiamo. E notte, c’è il coprifuoco, non possiamo più andare né su né giù. ‘ Ci ha ospitati quell’uomo, nella stalla, sulla paglia, ci ha dato un po’ di pane, abbiamo dormito li. L’indomani mattina ci siamo incamminati giù.
Eravamo sicuri che era proprio nostro figlio, l’avevamo visto, l’avevamo toccato, era proprio lui! Ci siamo incamminati a piedi. Nessuno per la strada ci ha parlato; tutti quei tedeschi che erano là ci hanno lasciato fare la nostra strada, tranquilli, se ce l’avessero chiesto non avevamo un pezzo di carta in tasca.
Quando siamo stati giù per la strada di Bruino è uscita gente che ci ha chiesto:
‘Dove siete andati.’
‘Siamo andati a vedere nostro figlio morto’.
‘Ma no! Vostro figlio è scappato in Francia come tanti altri.’
‘Se non l’avessi visto io, di persona, crederei a quello che mi dite!’
Soltanto un anno dopo abbiamo ricevuto l’atto di morte spedito da Falzone.
Ci hanno detto che potevamo andarlo a vedere. Siamo andate io, una mia vicina e mia cognata che, per sua bontà, mi ha dato il lenzuolo per coprirlo.
Siamo arrivate su la sera, ci hanno accompagnato a dormire e al mattino presto siamo andate a disseppellirlo. L’abbiamo ancora visto.
Hanno portato su loro la bara. Nove ne hanno disseppelliti quel giorno!
Li hanno messi nella chiesa, le bare una sopra all’altra. Falzone ci ha sempre detto che ce lo avrebbero dato morto e invece dopo un anno mi ha detto: “Vivo era suo, morto è nostro“.
Quando hanno costruito l’ossario ci hanno di nuovo mandato a chiamare e ci hanno chiesto quali erano gli amici di nostro figlio per metterli vicini. Vicino a mio figlio c’è un suo amico.
I ventisette ragazzi sepolti sotto, sono morti sepolti vivi: hanno sparato loro alle gambe, poi li hanno coperti.
Due altri li hanno fatti uccidere dai cani sulla strada per andare a Sangonetto. Ci sono duecentosettantatre morti partigiani a Forno.» (L.G.).
Nei mesi successivi le bande partigiane, superata la crisi in cui erano cadute dopo il rastrellamento, ripresero e intensificarono la lotta, fino al 25 aprile 1945, quando le due divisioni della Val Sangone, la De Vitis e la Campana, parteciparono alla Liberazione di Torino. Dal libro:
Diario di Mario Davide
dopo l’8 settembre
Una scelta partigiana
Redazione, 1940-1945, 3 confiniGruppo di ricerca sulla storia e la cultura locale di Piossasco, 1982
Comune di Piossasco 3 Confini
Chi giungeva ieri mattina nei sobborghi di Giaveno aveva la subita impressione di trovarsi in un paese deserto: le prime strade erano silenziose, i portoni delle case erano serrati, le finestre chiuse, le serrande dei negozi abbassate, in segno di lutto. Poi, d'improvviso, nella piazza fulgida di sole, tra la chiesa parata di drappi purpurei e i vetusti torrioni striati di pietre grigie e cinti di edera, gli balzava agli occhi uno spettacolo imponente: tutto il popolo era il, silenzioso, commosso; brulicava all'intorno sino agli sbocchi delle vie, sotto i portici angusti, sui balconi, nelle terrazze. Nel centro, dinanzi ad un altare vivido di fiammelle, si scorgevano, chiare contro il bruno della terra, cinquantatre bare: sopra ognuna un nastro s'intrecciava ad un serto di fiori freschi. Ancora una volta Giaveno - cittadella del movimento partigiano piemontese - rendeva degne onoranze alle spoglie di eroici caduti con le armi in pugno contro gli oppressori nazifascisti. Assistevano alla pietosa cerimonia il Cardinale Arcivescovo, il presidente della Giunta regionale, il gen. Trabucchi, il vice-prefetto nonché numerose altre autorità italiane ed alleate. Erano pure presenti, a centinaia, patrioti della Val Chisone e della Val Sangone, giunti nella mattinata dalla città, dai borghi della pianura, scesi a gruppi dalle baite e dai villaggi alpestri - per accompagnare all'ultima dimora i fratelli di lotta. Terminata la messa, il Cardinale è avanzato tra le bare, le ha benedette, sostando a lungo in preghiera. Poi una solenne processione s'è svolta nelle vie centrali del paese. Dietro le associazioni religiose, le corone, gli stendardi, le bandiere dei cinque partiti, sono passate ad una ad una, lentamente, le bare, sorrette a spalla da alpini e da civili: e accanto ad ogni bara camminavano le madri le spose, le sorelle dei martiri, nascondendo tra i veli neri il viso rigato di pianto Sergio De Vitis… Giuseppe Costanzia di Costigliole… Giovanni Medici… Giorgio Galeazzo… Rinaldo Rosa… Molte donne al passaggio delle gloriose spoglie s'inginocchiavano singhiozzando. E gli uomini - mordendosi le labbra - s'irrigidivano sull'attenti. I bimbi, dalle braccia delle loro mamme, gettavano fiori. E altri fiori - tanti fiori - cadevano dalle finestre, venivano lanciati dai vani delle porte, dai ballatoi, dove, tra i gerani, apparivano sempre nuovi volti pallidi dall'emozione. Le campane suonavano a distesa. E nulla certo era più grandioso e più commovente di quella sfilata di morti, in strade strette, buie, affollate di umile popolo - nello sfondo delle grandi montagne già velate dalla dolce nebbia di settembre. - Abbiamo riesumato le salme da tutti i piccoli cimiteri della zona - ci ha detto un capo partigiano - e le tumuleremo definitivamente nell'ossario di Forno di Coazze. Alcune, per volere dei familiari, saranno Invece trasportate a Torino. - Le avete riconosciute tutte? - Purtroppo no. Diciotto ancora sono da identificare. Ci passavano dinanzi, infatti - in quello stesso Istante. Diciotto casse brune, fasciate da un tricolore, con una targhetta di metallo su cui spiccava una parola: «ignoto»… Ignoto tu. piccolo partigiano dai capelli biondi ritrovato supino sull'erba, con una gran rosa di sangue nel petto e gli occhi cerulei sbarrati verso il cielo: ignoto tu, vecchio partigiano, dai capelli grigi caduto riverso tra le rovine fumanti di una baita difesa sino all'ultima cartuccia: ignoto anche tu, martire trafitto ad un muro dalla scarica degli aguzzini, mentre con lo sguardo sereno, già trasumanato cercavi. tra monte e monte, il vasto piano ove tua madre, ignara, t'attendeva… Di questi eroi sconosciuti abbiamo poi scorto, a cerimonia ultimata, gli unici, labili ricordi terreni: un lembo di giacca, una cintura, un fazzoletto scarlatto, un pezzo di camicia grigioverde. Vicino a noi v'era una donna in lutto, che adagio adagio prendeva quel miseri resti di stoffa, li accarezzava, li portava alle labbra; e quasi a giustificare il suo atto, di tanto in tanto si volgeva e, mostrandoli ai presenti, mormorava con dolcezza «Vedete? Potrebbero essere del mio povero figlio…». Tra i valorosi caduti traslati da Giaveno a Torino vi sono pure due partigiani che provenivano dalle maestranze, del nostro giornale. Essi sono; Giovanni Maroncelli e Ugo Franco. Le salme hanno sostato nella notte nella scuola Pacchiotti, vegliate dal famigliari e da compagni di lavoro.Redazione, Il commosso saluto di Giaveno a cinquantatre salme di patrioti, La Nuova Stampa, 9 settembre 1945
La Resistenza in Val Sangone ed in Alta Valle Susa | Storia minuta
Uno scorcio di Val Sangone - Fonte: Laboratorio Val Susa Sotto la guida del Maggiore degli Alpini Luigi Milano, il 9 settembre si raccolgono nella vallatastoriaminuta (Storia minuta)
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25 settembre, roma, museo del louvre: “il volto e la maschera”, mostra a cura di giuseppe casetti
Giuseppe Casetti _ Il volto e la maschera
@ il museo del louvre, via della reginella 8
inaugurazione 25 settembre, ore 17:30
(esposizione fino al 15 ottobre 2025)
La libreria-galleria il museo del louvre di Roma – in occasione del suo Trentennale – inaugura dal 25 settembre 2025 l’esposizione: Il volto e la maschera.
Centinaia di ritratti fotografici collocati l’uno accanto all’altro; un atlante di volti di uomini e donne che hanno attraversato, vissuto, amato questo spazio in questi 30 anni di vita.
Una grande composizione/mosaico di facce che cita e omaggia l’unica mostra del “museo del louvre” allestita ma mai visitata da nessuno perché arrestata, era il 31 gennaio 2008 e la mostra si chiamava “Identificazione” un’antologia di fotosegnaletiche ideata da Giuseppe Casetti e curata da Achille Bonito Oliva. I tutori dell’ordine sequestrarono tutto a poche ore dall’inaugurazione.
A distanza di anni ritorniamo sul tema Identificazione, torniamo sul tema del volto, del suo travisamento e dei suoi significati più segreti.
327 fotografie, raccolte dal 1995, con i volti dei clienti ed amici che hanno varcato la soglia del museo: artisti, scrittori, attori, fotografi, registi, bibliofili e collezionisti: centinaia di fotografie formato tessera accompagnate dall’impronta digitale e ancora altre centinaia con i volti nascosti, mascherati da un oggettofeticcio scelto all’interno della libreria.
Libreria-galleria il museo del louvre
via della Reginella 8 – 00186 Roma Tel. 06.68807725
info@ilmuseodellouvre.com – ilmuseodellouvre.com
comunicato stampa:
slowforward.net/wp-content/upl…
#art #arte #foto #fotografie #GiuseppeCasetti #ilMuseoDelLouvre #inaugurazione #libereria #libri #mostra #viaDellaReginella
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Galileo’s Legacy: l’INAF all’Expo 2025 di Osaka
edu.inaf.it/approfondimenti/in…
All’EXPO 2025 di Osaka era presente anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica con un laboratorio proposto agli sutenti giapponesi: scopriamo come è andata
#astroEDU #didatticaAstronomia #Expo2025Osaka #GalileoGalileo #Giappone #INAF #scuola
Galileo's Legacy: l'INAF all'Expo 2025 di Osaka
All'EXPO 2025 di Osaka era presente anche l'Istituto Nazionale di Astrofisica con un laboratorio proposto agli sutenti giapponesi: scopriamo come è andataGiulia Mantovani (EduINAF)
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Etiope fra gli Etiopi. San Giustino de Jacobis (1800-1860)
Ricco di date, nomi, luoghi e persone, ma soprattutto di una filigrana ininterrotta di eventi straordinari, il volume di Antonio Furioli mette in rilievo la persona di Giustino de Jacobis quale strumento salutare ed efficace di grazia nelle mani di Dio per la rinascita della Chiesa cattolica in Abissinia. Il suo straordinario itinerario missionario, iniziato a fine ottobre 1839, era culminato nell’agosto 1855 con il martirio di abba Gabra Mikael, prova inconfutabile dell’elevato grado di maturità umana e cristiana raggiunta dalla piccola comunità ecclesiale abissina coagulatasi attorno alla persona e al carisma fuori del comune di Giustino de Jacobis. Come Paolo di Tarso, Giustino de Jacobis ha testimoniato che la sofferenza non è stata una realtà cupa e ingrata del suo tenace impegno missionario in Abissinia, ma segno di una straordinaria fecondità apostolica, che ha caratterizzato una delle stagioni più geniali e feconde nella storia dell’evangelizzazione di questo antichissimo e nobile popolo africano.
Dal libro
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POLARIS 33: risultati e video
youtube.com/watch?v=GuHISh5Y5N…
Polaris 33: South America vs Asia & Oceania è un evento di grappling organizzato da Polaris il 13 settembre 2025 presso i Fairfield Halls di Croydon, Londra, Regno Unito. È la semifinale del Polaris Squads Intercontinental Championship: la squadra vincente (Sud America o Asia & Oceania) guadagna l’accesso alla finale, dove affronterà il Team Europa, che ha battuto il Nord America a Polaris 31. Inoltre, c’è stato un superfight durante l’intervallo con in palio il titolo dei pesi medi.
Main card
- Owen Livesey vince su Tommy Langaker per finalizzazione (arm?triangle choke) — incontro pesi medi; diventa nuovo campione medio Polaris.
- Lucas Kanard vince su Jorge Gabriel per decisione — incontro squad Asia & Oceania vs Sud America.
- Lucas Kanard vince su Gabriel Sousa per decisione — incontro squad Asia & Oceania vs Sud America.
- Lucas Kanard vince su Samuel Nagai per decisione — incontro squad Asia & Oceania vs Sud America.
- Jean Maltese vince su Lucas Kanard per decisione — incontro squad Sud America vs Asia & Oceania.
- Igor Tanabe vince su Jean Maltese per decisione — incontro squad Asia & Oceania vs Sud America.
- Igor Tanabe finalizza Romão Carvalho al minuto (non specificato) con armbar — incontro squad Asia & Oceania vs Sud America.
- Charles Negromonte finalizza Igor Tanabe al minuto (non specificato) con kneebar — incontro squad Sud America vs Asia & Oceania.
- Charles Negromonte vince su Tommy Yip per decisione — incontro squad Sud America vs Asia & Oceania.
- Kenta Iwamoto vince su Charles Negromonte per decisione — incontro squad Asia & Oceania vs Sud America.
- Kenta Iwamoto vince su Gabriel Sousa per decisione — incontro squad Asia & Oceania vs Sud America.
- Samuel Nagai vince su Kenta Iwamoto per decisione — incontro squad Sud America vs Asia & Oceania.
- Mohammed Avtarhanov finalizza Samuel Nagai con rear?naked choke — incontro squad Asia & Oceania vs Sud America.
- Romão Carvalho vince su Mohammed Avtarhanov per decisione — incontro squad Sud America vs Asia & Oceania.
- Hejraat Rashid finalizza Romão Carvalho con rear?naked choke — incontro squad Asia & Oceania vs Sud America.
- Gabriel Sousa finalizza Hejraat Rashid con armbar — incontro squad Sud America vs Asia & Oceania.
- Gabriel Sousa finalizza Igor Tanabe con heel?hook — incontro squad Sud America vs Asia & Oceania.
- Gabriel Sousa vince su Tommy Yip per decisione — incontro squad Sud America vs Asia & Oceania.
- Kenta Iwamoto finalizza Gabriel Sousa con kneebar — incontro squad Asia & Oceania vs Sud America.
- Charles Negromonte vince su Kenta Iwamoto per decisione — incontro squad Sud America vs Asia & Oceania.
- Lucas Kanard vince su Charles Negromonte per decisione — incontro squad Asia & Oceania vs Sud America.
- Jorge Gabriel vince su Lucas Kanard per decisione — incontro squad Sud America vs Asia & Oceania.
- Mohammed Avtarhanov vince su Jorge Gabriel per decisione — incontro squad Asia & Oceania vs Sud America.
- Jean Maltese vince su Mohammed Avtarhanov per decisione — incontro squad Sud America vs Asia & Oceania.
Esito del match a squad
Asia & Oceania batte Sud America 16?15 e accede alla finale del Polaris Squads Intercontinental Championship.
Event in numeri
Risultati salienti
- Intervallo: Asia & Oceania conduce Sud America 8?5.
- Gabriel Sousa ottiene una serie impressionante: due sottomissioni e una vittoria per decisione, portando da solo 6 punti per Sud America.
- Charles Negromonte aggiunge 4 punti con due decisioni e una finalizzazione.
- Kenta Iwamoto è determinante per Asia & Oceania: tre vittorie nel corso della serata, inclusa una kneebar molto significativa che ferma la rimonta di Sud America.
- YouTube
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oggi, 19 settembre, a milano: “le gioconde di patella”, incontro con giuseppe garrera al ferrobedò
Gioconda con la mosca al naso (particolare) 1985 Museo Ideale Leonardo da Vinci, Vinci (FI)
Oggi, venerdì 19 settembre 2025, alle ore 18:30
@ Ferrobedò / via Moscova 40, Milano
Le Gioconde di Patella
a cura di Giuseppe Garrera
In mostra, a Ferrobedò, le innumerevoli Gioconde (santini, cartoline, souvenir, locandine, ritagli da giornali) rinvenute dappertutto sulle pareti e nel riordinare i cassetti di quella che fu l’ultima abitazione di Luca Maria Patella a via Reggio Emilia a Roma. Attestazioni di una magnifica ossessione e di un culto privato, ma anche indagine ininterrotta di Patella sulle ragioni, le ragioni d’ombra, di tale fissazione.
Le tante Gioconde di Patella sono infatti capitoli e pezzi di un puzzle disperso per la decriptazione di una presenza e di un sogno. Accanto alle operazioni artistiche ufficiali di Patella sulla Gioconda (Gioconda con la mosca sul naso o Gioconda in fronte), e alla partecipazione ad importanti esposizioni sul tema (ricorderei qui almeno la grande mostra giapponese itinerante del 2000 Les 100 sourires de monna Lisa a cura di Jean-Michel Ribettes con tappe a Tokio, Shizuoka e Hiroshima) a illuminare l’oscurità ci sono anche queste intimità personali e apotropaiche. Intanto si parte sempre da Duchamp e sempre si torna a Duchamp. C’è, ad esempio, un ritaglio dell’orinatoio – Fontana – di Duchamp che Patella conservava gelosamente nel cassetto del suo comodino: scontornato, ridotto a sagoma, sovrapposto alla Gioconda, l’orinatoio rivela, in maniera fulminante, essere l’ombra della Gioconda. È solo l’inizio di un viaggio che ci porterà alla scoperta di Gioconde purgative e per la diarrea, di Gioconde con la mosca al naso, o sedute su sedie “comode” per defecare, o per minzioni attese dai suoi ammiratori a bocca aperta; o ancora Gioconde scomparse (le immaginette devozionali, le riproduzioni kitsch sono in realtà sempre segnali di tale terrore), fuggite di casa, perché “siamo stati cattivi”; o ancora, sorridenti dopo essersi arrabbiate o che ritornano a sorriderci ma con pizzo e baffi in faccia o ammiccanti e che si denudano il petto davanti a noi.
La collezione di Gioconde di Patella si rivela una delle ricerche, e uno dei repertori di conforto, più perturbanti e intimi intorno ad un’immagine e all’inseguimento di una apparizione.
#art #arte #cartoline #conferenza #Duchamp #Ferrobedò #Garrera #Gioconda #gioconde #GiuseppeGarrera #JeanMichelRibettes #locandine #LucaMariaPatella #Patella #ritagli #santini #souvenir
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napoli e roma: due presentazioni di “prati”, di andrea inglese (tic, 2025)
Andrea Inglese, Prati. Extended version (Tic, 2025)
giovedì, 25 settembre, ore 19:30
presentazione a Napoli, da
Perditempo: libri vini e vinili
Via S. Pietro a Maiella 8
dialogano con l’autore
Gabriele Frasca e Fabrizio Bondi
▼▼
Venerdì, 26 settembre, ore 19:00
presentazione a Roma, da
Tic, libri e cose fantastiche
Piazza di San Cosimato 39
dialoga con l’autore
Marco Giovenale
evento facebook: qui
*
Il libro:
ticedizioni.com/products/prati…
Su Antinomie:
Prati – Andrea Inglese
Podcast ne La Finestra di Antonio Syxty:
open.spotify.com/episode/0QQmw…
Un testo nel blog Esiste la ricerca:
mtmteatro.it/un-testo-di-andre…
#AndreaInglese #antinomie #EsisteLaRicerca #estratti #FabrizioBondi #GabrieleFrasca #LaFinestraDiAntonioSyxty #MarcoGiovenale #Perditempo #prati #presentazione #prosa #prose_ #reading #Tic #UltraChapBooks
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Mamadou e il diritto ad esistere
“Per prima cosa bisogna scegliere il passeur giusto”, inizia così il racconto di Mamadou che mercoledì sera, nel cortile della parrocchia del Crocifisso della Buona Morte, ha coinvolto un pubblico attento con la narrazione dei primi tre giorni del lungo viaggio che dalla Costa d’Avorio lo ha portato in Italia.
Un viaggio di sette mesi, alcuni dei quali nell’inferno libico, con il […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/09/19/mama…
#CrocifissoDellaBuonaMorte #OsservatorioUrbanoELaboratorioPolitico #PippoGliozzo #teatro #viaggiDellaSperanza
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da ‘the grayzone’: sulla vicenda di charlie kirk e le pressioni sioniste
due articoli a dir poco preoccupanti:
(1) differx.noblogs.org/2025/09/13…
(2) differx.noblogs.org/2025/09/17…
#billackman #Gaza #izrahell #Palestina #genocidio #kirk #trump #donaldtrump #ackman #sionismo #sionisti
#ackman #billackman #donaldtrump #Gaza #genocidio #izrahell #kirk #Palestina #sionismo #sionisti #Trump
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In viaggio
Il carretto di cui aveva parlato Gavin era molto vecchio e definirlo “malandato” era fargli un complimento: oltre ad assi malconce e qualcuna mancante, gli assali delle ruote erano molto arrugginiti e scricchiolavano a ogni scossone sotto l’ingente peso dei passeggeri, delle vettovaglie nel sacco, dalle armi e le armature riparate e dai materiali da fabbro. Fortunatamente il mulo che Gavin aveva preso per trainare il carretto era giovane e forte, dato che era lo stesso che serviva a mantenere in azione i mastici della fornace della casa di campagna. Avere un carretto ci permetteva di affrontare molta più strada senza faticare, dimezzando i tre giorni di cammino che ci separavano da Barleigh.
«Senti, Gavin. Tu sei il fabbro della Guardia reale, giusto?»
«Sì, sono uno dei sei fabbri che riparano e riforniscono la Guardia reale di armature e spade: quattro sono a Barleigh, uno si trova a Tamrias e poi ci sono io, che faccio la spola tra la città e la mia casa di campagna.»
«E perché non ti trasferisci in città?»
«In realtà, la casa in campagna è la casa dove ho abitato fin da piccolo. A tredici anni iniziai a lavorare come ciabattino in città, ma colpivo le suole con troppa forza e Johnas, uno dei migliori fabbri della città, mi prese come apprendista nella sua fucina. Da allora batto il ferro praticamente tutti i giorni. Per qualche anno ho lavorato nella fucina di Johnas e, una volta guadagnato abbastanza, comprai la fucina del vecchio Estmund, a pochi passi dall’ingresso della cittadella. A quei tempi abitavo con Mairead nella periferia della città, non lontano al fiume Ormeir, che scorre tra la periferia e le case dei ricchi.
«Un giorno mia madre si ammalò. Tornai nella casa di campagna per starle vicino, ma fin da quando lavoravo nella fucina di Johnas ero alle dipendenze della Guardia reale. Chiesi al Re di poter avere fondi per costruire una nuova fucina vicino alla casa di mia madre, in modo da poter continuare a lavorare mentre mi prendevo cura di lei. Il Re approvò la mia richiesta e assunse i migliori artigiani, in modo da completare i lavori nel più breve tempo possibile. La fucina venne completata il giorno dopo la morte di mia madre.
«Per onorare la memoria di mia madre continuai, con il permesso del Re, a lavorare alla nuova fucina. Gli ordini arrivano puntualmente con il messo cittadino e una volta pronti li porto in città.»
«Gentile da parte del Re.»
Gavin rise «Gentile. Non è per gentilezza, ma perché sono il migliore dei fabbri della regione.»
«E la fucina in città?»
«L’ho data in gestione pochi giorni dopo aver completato quella in campagna, ma quando torno in città ho sempre qualche lavoretto che mi attende. Ora comanda Verdu. È il nipote di Johnas, ma è un giovane promettente. Tra qualche anno potrebbe perfino essere migliore di me.»
Restammo in silenzio mentre avanzavamo tra file ininterrotte di campi coltivati. Lanchestry era una regione completamente coperta da campi coltivati, per la maggior parte campi di grano, ma alcuni contadini avevano cominciato a coltivare piccoli appezzamenti con cotone e luppolo, per poter dare alla regione un po’ di indipendenza sulle materie prime per abiti e bevande. A ovest, vicino al confine con la regione montuosa di Feldmill, si trovavano lunghi filari di viti e frutteti a perdita d’occhio. Lanchestry riforniva quasi la metà del cibo che veniva consumato nella regione di Bede. L’altra metà proveniva dagli allevamenti di bestiame e dai frutteti di Athol, a Nord, dalle attività di pesca nell’Isola di Visoma e, in misura minore, a Keelay, che occupava tutta la regione costiera a Sudest. Feldmill era l’unica regione in cui non veniva prodotto alcun tipo di cibo, ma era ricca di miniere e giacimenti, che rifornivano di metallo e pietra tutta Bede.
Passammo vicini a campi vastissimi dove si vedevano lunghe strisce nere irregolari, segni lasciati dai draghi che volavano sopra la campagna e bruciavano i raccolti. In uno di questi vidi un uomo chinato, intento a strappare le erbacce che minacciavano di far fallire il suo raccolto. Gavin prese fiato ed emise un fischio fortissimo. L’uomo nel campo si alzò di scatto e, giratosi, ci corse incontro pieno di gioia.
«Gavin! Torni in città col solito carico?»
«In parte, Vedarg. Sto riportando alcune armature riparate e sto dando un passaggio al mio amico Jason.»
«Molto piacere Jason, il mio nome è Vedarg Dorug. Sono un umile contadino, ma ogni amico di Gavin è anche amico mio, perché so che Gavin è una persona che sceglie i suoi amici con cura. Sono i nemici che non sa scegliersi!» disse ridendo e dandomi una gomitata nel fianco. La botta mi colse impreparato e cominciai a tossire violentemente.
«Vedarg, tratta bene il mio amico. Potrebbe esserci utile.»
«Tu dici? Mi sembra piuttosto mingherlino per avere una qualche utilità. Anche se, forse, come spaventapasseri…»
«Speriamo funzioni anche come spaventa-draghi» aggiunse Gavin sottovoce.
«Come?»
«Niente, niente. Come vanno le cose, qui al campo?»
«Ah, non bene» sospirò. «Il raccolto è stato piuttosto scarso e la Guardia reale è venuta a esigere la solita parte per i granai del regno, ma Mabel e io dovremmo averne abbastanza per sopravvivere fino al prossimo anno. Spero solo che i due sputafiamme volanti non vengano ad azzuffarsi nelle mie proprietà.»
«Se succede, Vedarg, tu e tua moglie sarete i benvenuti da me e Mairead.»
«Ti ringrazio Gavin, ma spero di non dover mai usufruire del tuo favore. A proposito, Mabel dovrebbe essere a casa. Fermati pure e chiedile una pagnotta per il viaggio. E se fa storie, dille che ti ho mandato io.»
«D’accordo Vedarg. Riguardati.»
«Lo stesso a te, Gavin. Ciao, mingherlino!» disse, fingendo di darmi un’altra gomitata. Riuscii a scostarmi in tempo, ma, a giudicare dalla sua risata, il suo vero intento era spaventarmi, non colpirmi.
Arrivammo alla casa di Vedarg dove Mabel ci accolse calorosamente.
«Oh, Gavin. Come state tu e Mairead? E questo è Gwyn? Si è alzato molto, ma è molto più scheletrico del padre!»
«Stiamo bene, grazie. No, questo non è Gwyn, lui cresce esattamente come me, forte e grosso. Lui è Jason, un mio caro amico.»
«Molto lieta» mi salutò Mabel inchinandosi. Feci un cenno con la testa in risposta.
«Abbiamo incontrato Vedarg e ci ha parlato di una certa pagnotta.»
Mabel sospirò.
«Ancora. Lo sa che abbiamo poche riserve per l’inverno ora che l’esercito ha preso la sua parte, ma ogni volta che un conoscente passa dal campo, lui gli offre una pagnotta. Di questo passo, non so se riusciremo ad arrivare al prossimo raccolto.»
Si girò per entrare in casa, ma Gavin la fermò.
«Tienila Mabel, abbiamo parecchie provviste e quella pagnotta è più importante per voi che per noi.»
«Grazie Gavino. Non tutti sanno rinunciarci, ma tu sei sempre un uomo di gran cuore.»
«Figurati, siamo sulla Terra per aiutarci l’un l’altro. Addio, Mabel.»
«Addio, Gavin. Addio, Jason.»
Mabel si inchinò e tornò in casa inveendo contro il marito.
Dopo alcune ore, ci accampammo sotto un castagno vicino a un torrente, secco per la lunga stagione estiva. Gavin tagliò alcuni rami dagli alberi sugli argini e accese un fuoco. Dopo aver riempito con l’acqua di un’otre un piccolo secchio, lo infilò su un bastone e lo mise sopra il fuoco. Poi, prese quattro pannocchie dalle nostre provviste: due le mise dentro al secchio pieno d’acqua e due le infilzò su due bastoni e le mise sopra il fuoco.
«Preferisci le pannocchie lesse o abbrustolite?» mi chiese.
«In realtà entrambe.»
«Molto bene, allora le divideremo equamente.»
Restammo in silenzio per un po’, ascoltando il crepitio del fuoco mentre il sole tramontava, lasciando solo il focolare a illuminare la nostra sistemazione.
Durante la nostra cena a base di pannocchie e succo di mele, chiesi a Gavin di parlarmi di re Thelnet. Gavin fece un lungo respiro e guardò il cielo.
«Re Thelnet è un brav’uomo. È salito al trono dopo la morte di suo padre, Herment, che aveva governato Lanchestry per quasi cinquanta anni. Thelnet non è così diverso dal padre: entrambi sono degli ottimi diplomatici ed entrambi hanno dovuto lavorare molto per alleggerire le tensioni tra due regioni rivali.
«Herment ha fatto da pacere tra Keelay e l’isola di Visoma quando, trent’anni fa, il pesce sulle coste iniziò a scarseggiare: le due regioni si accusavano a vicenda di aver pescato troppo pesce e di aver utilizzato metodi che avevano ucciso anche specie di pesci non commestibili, ma necessari alla crescita delle specie che finiscono sulle tavole di Bede. Herment fece raggiungere ai due regnanti un accordo e introdusse nel patto una regola a cui entrambi i regni dovevano sottostare: sia Keelay che Visoma ora hanno un peso massimo di pesce che possono pescare, misurato grazie a bilance precisissime create dalla miglior manodopera di Feldmill. Lo stretto tra l’isola e la terraferma viene controllato periodicamente dalle guardie di Athol in cerca di eventuali banchi di pesci non commestibili che sono stati uccisi dalla pesca non consentita: nel caso trovassero dei pesci, la pesca verrebbe interdetta a entrambe le regioni per tre cicli lunari.
«Re Thelnet, invece, aiutò Athol a comprendere che le frane e gli smottamenti che avevano distrutto diversi frutteti erano di origine naturale, e non erano stati causati dai lavori di scavo dei minatori nella vicina regione di Feldmill. Siccome Athol era già ricorsa alle riserve di cibo e non aveva merce da vendere per poter sostenere le spese, gli altri regni finanziarono la costruzione e installazione di reti che proteggessero i frutteti dalle frane.
«Herment e Thelnet sono stati acclamati allo stesso modo: ora, nella piazza davanti alla scalinata che porta a palazzo Gudfost, residenza del Re, si trova una grossa statua di re Herment e stanno erigendo quella per re Thelnet.» Gavin fece una piccola pausa e aggiunse quasi sussurrandolo: «È un buon Re. È un buon Re.»
Aveva abbassato la testa e ora guardava corrucciato nel suo bicchiere colmo di succo. Sembrava triste, come se volesse dirmi qualcosa, ma non sapesse come dirmelo.
«Se è un buon Re, perché sei preoccupato?»
Alzò la testa e mi guardò. Vidi i suoi occhi, colmi delle lacrime che tentava di trattenere.
«Questa situazione ha incrinato la fiducia nei suoi confronti. Il popolo è stanco e a loro sembra che re Thelnet non stia facendo niente per salvarli. Ma io so che lavora giorno e notte per trovare una soluzione e per salvarci dai draghi. Le guardie parlano spesso di un colpo di Stato in preparazione, ma non ho capito quando succederà né chi ci sia alla guida, anche se ho alcuni sospetti: primo tra tutti, sir Romont Eloytt, il generale della Guardia reale, che da quando i draghi sono arrivati a Lanchestry ha costretto i suoi uomini a svolgere turni doppi e ormai ha un esercito ridotto al minimo; anche il Gran ciambellano Adlard non mi è mai piaciuto: è sempre schivo, non esce mai in pubblico ed è sempre vestito con grandi vesti molto più larghe di quelle che necessiterebbe un uomo della sua costituzione; poi c’è Lord Artor, cugino del Re, che potrebbe volerlo spodestare, in quanto era secondo in linea di successione prima della nascita di Gænor, la prima e unica figlia del Re e attuale erede al trono. Se Thelnet venisse tolto dal potere, Artor diventerebbe il sovrano reggente fino al diciottesimo compleanno di Gænor, ma mentre è al potere potrebbe modificare le leggi del regno e impedire che le figlie femmine possano ereditare il trono.
«So solo che se il colpo di Stato accadesse ora, il popolo appoggerebbe i ribelli, non certo il Re. Per questo ho bisogno di te. Per questo ho bisogno che tu riesca a convincere il Re che sei davvero nipote di Sir Martin. Ho bisogno che tu riesca a trovare una soluzione per tutto questo. Lanchestry ne ha bisogno. Tutta Bede ne ha bisogno.»
Riuscì a non piangere ma i suoi occhi erano gonfi.
«Farò tutto quello che posso Gavin e spero che sia abbastanza. Re Thelnet è fortunato ad averti come fabbro.»
«Spero di essere suo fabbro ancora a lungo e spero che lui sia il mio Re ancora a lungo» disse con una risata amara.
Si sdraiò per riprendersi e allontanare i brutti pensieri. Non so se fosse per la giornata pesante, la stanchezza o la tristezza, ma si addormentò in pochi minuti sull’erba fresca.
Rimasi a guardare il fuoco che ardeva in mezzo ai sassi che segnavano il confine del braciere fino a che la stanchezza del giorno fu troppa e mi addormentai.
Ci svegliammo in piena notte completamente fradici: il piccolo torrente vicino al quale ci eravamo accampati si era ripreso e, probabilmente gonfiato da forti piogge cadute a monte, aveva iniziato a straripare; fortunatamente, avevamo lasciato le rimanenti provviste e le armature che Gavin doveva portare a Barleigh sul carretto, assicurato a un albero su una piccola altura, che lo aveva protetto dai primi flutti usciti dal letto del torrente.
Gavin svegliò il nostro mulo, che aveva dormito vicino al carretto, e lo legammo al giogo. Il cielo nero della notte stava lasciando il posto all’indaco delle prime luci dell’alba.
Viaggiammo per qualche ora in un immenso bosco di larici che dal verde estivo stavano diventando gialli per l’arrivo dell’autunno. Usciti dal bosco, la strada continuava verso la cima di una piccola e brulla altura. La salita affaticava il nostro mulo, quindi Gavin e io scendemmo e spingemmo il carretto.
Giunti in cima all’altura ci fermammo, sfiniti. Ci sedemmo sull’erba e ammirai la foresta di larici, con le sue particolari chiazze gialle nel manto verde delle cime degli alberi. La valle era delimitata a ovest da una grossa catena montuosa, che Gavin mi spiegò essere il confine del regno di Feldmill, e a nord una zona collinare dove crescevano i frutteti di Athol.
Gavin richiamò la mia attenzione e con un cenno della testa mi suggerì di voltarmi. Guardai dall’altra parte della collina e davanti a me vidi Barleigh. La città si trovava al centro di una grande vallata ed era circondata da campi coltivati a perdita d’occhio. Dalla città uscivano otto strade che collegavano la città con le altre regioni di Bede e con le città periferiche del regno di Lanchestry. Da dove eravamo, si vedeva bene il percorso del fiume Ormeir che divideva la città in due.
Nelle due ore che ci separavano dalla periferia della città, Gavin mi raccontò la storia che portò Barleigh a essere la capitale di Lanchestry.
«La parte più esterna della città è la periferia, dove abitano le persone più povere. Il fiume Ormeir la separa dalla parte ricca, che si trova a ridosso dell’altura su cui sorge palazzo Gudfost, sede del regno e residenza del Re di Lanchestry; il palazzo deve il suo nome a Gudfost III, il re che lo ha fatto edificare per rimpiazzare la vecchia sala del consiglio, utilizzata dagli Jarl fin dall’era antica come luogo dove prendere le decisioni comunitarie, placare le diatribe e amministrare la giustizia. Prima della sala consiliare, in cima alla collina era posto un altare sacrificale agli dei; il culto venne abbandonato poco dopo l’avvento degli Jarl in favore di una nuova religione, e le pietre che costituivano l’altare vennero utilizzate per costruire il trono dello Jarl, che è stato utilizzato come basamento per l’attuale trono reale.
«Inizialmente, i contadini del regno si radunavano alla base dell’altura due volte l’anno, per le celebrazioni dell’incoronazione del Re e per ricordare la creazione del Regno. Col tempo, il numero delle celebrazioni aumentò e molti cominciarono a costruirsi una casa al di qua del fiume e pian piano si formò la periferia della città. Oltre il fiume, erano già presenti i palazzi delle famiglie più influenti del regno, per la maggior parte commercianti o proprietari terrieri, ma anche artigiani indispensabili, come i fabbri e i sarti.
«Di recente, palazzo Gudfost è stato separato dalla città ai piedi della collina, creando una piccola cittadella fortificata, delimitata da grandi mura di cinta, a cui si può accedere solo passando da una grande porta sempre presidiata dalla Guardia reale.
«La cinta muraria fu costruita dopo la guerra che vide contrapposti Lanchestry, Feldmill e Keelay, che si erano affrontate per il controllo di una piccola area al margine tra i tre regni, vicino al borgo di Tamrias, eccellente punto strategico, dove il fiume Orrac, che passa da Fusgate, capitale del regno di Keelay, e sfocia nella baia di Krendel vicino a Idoton, passa sotto ponte Dufell, sotto cui passano ogni anno migliaia di navi cariche di tronchi e pietre: chi controlla il ponte di Dufell, ha praticamente il monopolio dei prezzi su quelle materie prime. I tre regni si equivalevano, nessuno riuscì a spuntarla e da allora il ponte è equamente diviso in tre parti, ciascuna assegnata a un regno; le parti vengono sorvegliate da guardie inviate da Athol e Visoma, che essendo fuori dall’accordo, sono le uniche a poter vigilare con imparzialità. Nonostante la diatriba sia stata risolta, le battaglie lasciarono aperte molte ferite e le tre capitali si dotarono di grosse mura – con gran felicità delle casse di Feldmill.
«Dalla parte bassa della città partono quattro strade che permettono un collegamento veloce con le capitali degli altri regni – l’isola di Visoma è facilmente raggiungibile grazie al collegamento marittimo tra Gardeter e Osemery – e strade minori che collegano le altre città e borghi di Lanchestry.
«Queste strade, costruite in tempi antichissimi, sono state un importante mezzo per stabilire Barleigh come capitale ufficiosa di Bede e per facilitare l’arricchimento della città e il commercio tra le varie regioni. Scegliere questa altura e nominare Barleigh capitale del regno fu un vero colpo di genio di Gudfost, poiché il fiume Ormeir ha permesso di ricevere con facilità materiali da Feldmill e commerciare con Visoma, inoltre ha aiutato la creazione di un regno basato su un’economia agricola, grazie anche alla creazione di importanti opere che canalizzano l’acqua del fiume nei campi vicino alla capitale. Il resto del regno è alimentato da fiumi minori e dall’Orrac.»
Gavin aveva terminato il suo racconto sulla storia di Barleigh, ma mancava ancora un po’ prima di raggiungere le prime case della periferia della città. Il rumore dell’acqua che passava nei canali tra i campi e lo sbattere d’ali di uccelli intrepidi che si buttavano nei campi a beccare i semi nei campi ci accompagnarono fino alle prime case.
Gavin si incupì molto quando arrivammo a pochi minuti dalla città, ma non seppi mai quali fossero i pensieri che lo tormentavano. Io ero concentrato sulle case che si vedevano in lontananza, piuttosto spoglie, in contrasto con gli sfarzosi palazzi alla base della collina e quasi nascoste dal bianco bagliore accecante delle mura di cinta di Palazzo Gufost immerso nella luce del sole di mezzogiorno.
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20 settembre: incontro del centroscritture nella marsica
In occasione dell’incontro sarà presentato, e sarà possibile sfogliare e prendere gratuitamente, il n. 19 della rivista “La scuola delle cose” (Lyceum/Mudima, 2025), numero monografico dedicato alla scrittura di ricerca, a cura di MG. Non mancheranno inoltre altri libri di sperimentazione letteraria.
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minioctt
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