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Oggi saremo in piazza al corteo contro il DDL Nordio/Piantedosi che costituisce un corpo organico di norme orientate a reprimere e criminalizzare la protesta sociale. È una legge fascistissima che sarà usata per impedire che il popolo italiano in futuro torni a difendere i propri diritti come fanno i francesi. È una legge contro lavoratrici e lavoratori, cittadine e cittadini che se oseranno bloccare una strada per difendere
l’ospedale o il posto di lavoro saranno trattati come criminali mentre si fabbricano leggi a favore dei tangentisti e degli immobiliaristi. Col record di suicidi in carcere degli ultimi trent’anni non si pensa a renderle civili, ma si introduce il delitto di rivolta carceraria. Siamo stati e saremo in tutte le mobilitazioni contro un sistema di repressione pervicacemente anticostituzionale: il DDL sicurezza, o meglio paura, non deve essere approvato al Senato né così né con qualche modifica stilistica.
La protesta, la dialettica e il dissenso sono parte fondante e irrinunciabile della democrazia.
Questa deriva autoritaria disegnata da Piantedosi e dal governo Meloni va assolutamente fermata.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Gianluca Schiavon, responsabile giustizia Partito della Rifondazione Comunista



L’attacco della destra a Sigfrido Ranucci e a Report è l’ennesima conferma dell’intolleranza autoritaria che caratterizza il governo Meloni. Vogliono ridurre la RAI a un’emittente di regime e evidentemente non tollerano le inchieste di Report come ieri Berlusconi non tollerava Santoro, Biagi, Luttazzi e Travaglio. E sono talmente arroganti da dare pubblicamente ordini al servizio pubblico radiotelevisivo.
Togliere la tutela legale ai giornalisti di una trasmissione di inchiesta come Report significa impedire di fatto alla redazione di lavorare. Punire Ranucci togliendogli il grado di vicedirettore è una ritorsione inaccettabile da parte di un ceto politico che troppi sdoganano come post-fascista. Controllano la RAI, grazie alla legge vergognosa del PD di Renzi, hanno dalla loro parte Mediaset, ma non gli basta.
Solidarietà a Ranucci e a Report.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Stefania Brai, responsabile cultura del Partito della Rifondazione Comunista



Salutiamo con gioia la sentenza con cui il giudice del lavoro di Lanciano ha fatto giustizia condannando Stellantis a reintegrare la compagna Francesca Felice, lavoratrice dello stabilimento Sevel di Atessa (Ch).
Non possiamo tacere sul grave comportamento della Fim Cisl che si è resa complice della persecuzione di una lavoratrice dello Slai Cobas.

L’unità e la solidarietà della classe lavoratrice dovrebbe essere un principio ispiratore di tutte le organizzazioni sindacali.

Stellantis nel mentre penalizzava gli stabilimenti italiani non ha mai smesso di spremere lavoratrici e lavoratori (intensificando i ritmi di sfruttamento) e di portare avanti condotte antisindacali.

La crisi dell’industria del nostro paese non è responsabilità della classe operaia visto che è l’unica in Europa ad aver visto diminuire i salari. È il grande capitale, e la politica che lo asseconda, che sta impoverendo il nostro paese.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale, Viola Arcuri e Marco Fars, co-segretari regionali Abruzzo del Partito della Rifondazione Comunista



Oggi si sta svolgendo regolarmente lo sciopero generale indetto da Usb contro il governo, le politiche neoliberiste e la guerra.
Ha avuto successo la coraggiosa fermezza del sindacato di base che ha mantenuto lo sciopero in opposizione al solito ministro leghista Salvini che aveva disposto la precettazione illegittima dei lavoratori pubblici e dei trasporti riducendo da 24 a 4 le ore di sciopero.
Il Tar del lazio, accogliendo il ricorso di Usb, ha bocciato infatti il nuovo atto liberticida di Salvini perché totalmente arbitrario “in assenza della segnalazione della predetta Commissione” (di garanzia) e “tenuto conto della vincolante presenza di fasce orarie di garanzia di pieno servizio”.
Ora il vicepresidente del governo di destra scarica la sua frustrazione contro i magistrati e continua la sua crociata contro il diritto di sciopero annunciando modifiche della legge che regolamenta gli scioperi in senso ancor più restrittivo; lo fa spacciandosi senza pudore come paladino dei cittadini contro il caos degli scioperi proprio mentre il governo taglia i servizi, per esempio nei trasporti, che lui millanta di voler difendere.
Ma, oltre alla democrazia, è l’insieme dei diritti ad esser sotto l’attacco portato avanti congiuntamente dalle politiche neoliberiste del governo e da un sistema di imprese basato su precarietà, bassi salari e sfruttamento.
Per questo, mentre sosteniamo lo sciopero odierno, ribadiamo con forza la necessità di un rilancio delle lotte e l’unificazione di tutto il mondo del lavoro pubblico e privato, delle organizzazioni sindacali e dei movimenti di lotta in una nuova grande stagione di lotte che rimetta al primo posto i diritti dei cittadini e la dignità del lavoro
Intanto oggi per il Prc, per le lavoratrici e i lavoratori e per chi ha a cuore i diritti sanciti dalla Costituzione, il diritto di sciopero è tra questi, oggi è una buona giornata.

Maurizio Acerbo segretario nazionale
Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista Sinistra Europea



Sono passati già dieci anni da quel 14 dicembre 2014 eppure sembra ieri che a chi l’andava a trovare nella sua casa in via Urbana al rione Monti Bianca chiedeva un’ultima sigaretta come una condannata a morte prima della fucilazione, ma per sicurezza teneva sotto il cuscino ben nascosta una stecca di Stop senza filtro ormai introvabili che fumava solo lei. Sia mai rimanere senza. Se ne è andata in una nuvola di fumo in attesa di diventare cenere come i capelli che non tingeva più e come lo sguardo che fino all’ultimo ti inceneriva se gli dicevi che la situazione è impossibile, i compagni sono stanchi e rassegnati, ormai non c’è più nulla da fare.

“C’è sempre qualcosa da fare. E bisogna fare quello che serve, non quello che ci piace” rispondeva. “Poi se te lo fai piacere è meglio”.

A Bianca la politica e la vita piacevano molto; all’unisono, coincidenti. E di vita e di fasi politiche ne ha vissute molte. Più delle sette che sembra spettino ai suoi amatissimi gatti.

Bambina che affronta la scomparsa prematura della mamma. Dodicenne che all’idraulico gappista venuto a riparare il lavello in cucina dice di essere disponibile a arruolarsi nei partigiani a condizione che gli diano un’arma: una colt possibilmente. Giovane che prova a scappare con un cavallerizzo zingaro che lavorava in un circo transitante a Pisa, la sua città natale. Contadina alla guida del trattore e poi operaia nella fabbrica del padre contro il quale organizza gli scioperi per gli aumenti salariali. Studentessa a Parigi, allora capitale della moda che gli lascia una particolare eleganza dove va a assistere alle lezioni alla Sorbona di Jean Paul Sartre. Poi si innamora di Roma che racconta negli articoli di cronaca di Paese sera, giornalista senza firma come si usava allora quando l’importante era il lavoro collettivo. Militante e dirigente del Pci, componente della CCC, la rocciosa commissione centrale di controllo presieduta da Giancarlo Pajetta che morì di crepacuore per lo scioglimento del Partito Comunista. Fondatrice di Rifondazione Comunista entusiasta di ripartire in mezzo a tanti vecchi compagni e giovani e giovanissimi comunisti., ragazzi e ragazze che la entusiasmarono nell’assemblea del Brancaccio. E poi per oltre venti anni una delle compagne più amate sia dentro che fuori del partito. Amore ricambiato in particolare per la Federazione Romana che stava sempre al centro delle sue preoccupazioni perché gliene davamo molte, e per la quale, se fosse stata più giovane, sarebbe stata una formidabile e trascinante segretaria. Impegnata sempre assiduamente nella formazione dei giovani con corsi e dispense collettive che illustravano la Repubblica Romana di Garibaldi e Mazzini, La Resistenza romana nell’Ottava Zona, il brigantaggio e il coraggio delle brigantesse ciociare. Una colonna dell’Anpi di Roma insieme a Tina Costa, inseparabile amica che a differenza di lei, pessima cuoca, cucinava benissimo.

Sembra ieri che è fumata via, cha abbiamo lanciato le sue ceneri a Ponte Mammolo nell’Aniene in un atto illegale come sarebbe piaciuto a lei. Sembra ieri perché in realtà non ci ha mai lasciato. Vive nella nostra coscienza. Con discreta eleganza, ma con grande classe: la sua, la nostra.

Le compagne e i compagni della Federazione Romana.



PREFETTURA DI LIVORNO CHIARISCA, ANCHE SU TRASPARENZA, PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI ALLA REDAZIONE DEL PIANO ED ESERCITAZIONI.

PAESE MOLTO ARRETRATO SU CONCRETA APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA SUGLI IMPIANTI A RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE

Gli attivisti della Rete No Gas hanno evidenziato poco fa una situazione incresciosa che riguarda il Piano di Emergenza Esterno della Raffineria ENI di Livorno – Collesalvetti. Il piano, così come presentato sul sito del Comune, sarebbe stato aggiornato l’ultima volta nel 2017 e quindi sarebbe scaduto da ben 4 anni in quanto la legge obbliga ad aggiornarlo al massimo ogni tre anni.

Inoltre appare letteralmente incredibile che nell’era digitale il comune inviti i cittadini a consultare il piano andando in prefettura fisicamente negli orari di apertura.

I cittadini che abitano attorno alla Raffineria dovrebbero conoscere a menadito il Piano perché devono sapere come comportarsi in caso di incidente. Quindi, come accade in altre realtà, non solo il Piano dovrebbe essere disponibile su tutti i siti istituzionali ma dovrebbe essere adeguatamente pubblicizzato.

Siamo andati sul sito WEB della Prefettura di Livorno e lì non siamo riusciti a trovare proprio nulla, anche per tutti gli altri impianti a rischio di incidente rilevante della Provincia.

Il piano deve essere elaborato con la popolazione, come prescrive la legge, e usato per fare periodiche esercitazioni. Qui l’ultima sarebbe quella del 2018!

Purtroppo nel nostro paese dobbiamo constatare un’applicazione assai disinvolta delle normative sugli impianti a rischio di incidente rilevante e fa specie che troppo spesso siano proprio le prefetture ad essere inadempienti, come abbiamo rilevato anche in altre regioni. Le lacrime di coccodrillo non servono a nulla e anzi diventano particolarmente irritanti davanti alle continue tragedie che avvengono in questi siti che dovrebbero essere super controllati.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Marco Chiuppesi, segretario della federazione di Livorno del Partito della Rifondazione Comunista

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Il Tar ha sospeso l’ordinanza di Salvini che imponeva la riduzione dello sciopero del trasporto pubblico a 4 ore.

Il ministro dovrebbe smetterla con le sue campagne antisindacali. Sono lavoratrici e lavoratori che decidono se scioperare o meno. Il governo la smetta di attaccare un diritto sancito dalla Costituzione.

Rifondazione Comunista sostiene lo sciopero indetto dall’Usb che ha una piattaforma che condividiamo, a partire dal no alla guerra e all’aumento delle spese militari.

Dopo lo sciopero generale del 29 ottobre anche l’USB sciopera contro la manovra del governo.

Auspichiamo il successo dello sciopero perché è ora di dire basta alla perdita di potere d’acquisto di salari e pensioni, alla precarizzazione del lavoro, ai tagli allo stato sociale, alle privatizzazioni.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista



Dopo la sentenza della Consulta sui ricorsi di incostituzionalità della legge 86/2024, che la dichiara illegittima sui punti fondamentali, oggi la Cassazione dà il via libera al referendum abrogativo dell’intera legge Calderoli.
È un giorno importante per tutti coloro che da anni lottano con tenacia contro lo smembramento del Paese, per il milione e trecentomila cittadini/e che hanno firmato per cancellare una legge vergognosa.
Sgombrato il campo da dubbi tentativi di modifiche parziali, ora aspettiamo la pronuncia definitiva della Corte Costituzionale sull’ammissibilità, prevista entro il 20 gennaio.
Il Governo Meloni riceve un’altra sonora sconfitta, su un punto importante del patto scellerato su cui regge la sua maggioranza.
Con i comitati contro ogni autonomia differenziata, con il comitato referendario per l’abrogazione totale, ci prepariamo alla campagna referendaria di primavera per il Sì.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e
Tonia Guerra, responsabile campagna NO Autonomia Differenziata Partito della Rifondazione Comunista



di Paolo Ferrero dal Fatto Quotidiano - Il vincitore militare della guerra lampo in Siria è Abu Mohamed al Golani, il capo di Hayat Tahir al Sham. Golani è nato in Arabia Saudita nel 1982, del 2003 ha aderito ad “al Qaeda Iraq” ed è stato messo in galera dagli statunitensi ad Abu Graib e [...]


Criminalizzare il dissenso, la protesta e la disobbedienza rendendoli reato rappresenta uno dei più gravi attacchi ai diritti fondamentali, ad uno dei pilastri della democrazia: il diritto di manifestare e dissentire. Il ddl cosiddetto sicurezza non vuole mettere al sicuro i cittadini, ma chi detiene il potere per metterlo al riparo da ogni tipo di [...]


Il servizio del Tg3, andato oggi in onda nelle edizioni delle 14,20, ha confermato quanto ho denunciato immediatamente. In un impianto ENI inserito nella Direttiva Seveso III a effettuare le operazioni di carico delle autobotti non sono lavoratori specializzati con contratto dei chimici ma gli stessi camionisti. Per questo sono morti loro. Su questa gravissima circostanza presenterò un esposto all’autorità giudiziaria nelle prossime ore.

Gli autotrasportatori sono stati ammazzati da un sistema che scarica su di loro le operazioni di carico ad alto rischio.

A Calenzano, come ovunque in Italia, anche negli impianti Eni, si è risparmiato sui costi del personale per il carico facendo fare direttamente ai camionisti un lavoro per il quale non hanno quasi sempre una formazione specifica né tanto meno opportuna copertura assicurativa. Questo sistema, che coinvolge anche una grande società come Eni, crea una situazione di altissimo rischio considerato che così si gestiscono quasi ovunque in Italia materiali infiammabili e tossici

Si tratta di una cosa che in Germania, in Francia e gran parte d’Europa non accade: in altri paesi l’autotrasportatore consegna il mezzo agli operatori e ci risale sopra dopo che il personale ha concluso le operazioni. Per assicurarsi i contratti le ditte di trasporti accettano di farsi carico di queste operazioni e così fanno anche i padroncini che, essendo cottimisti e subordinati, sono di fatto l’anello debole della catena dei subappalti, costretti a lavorare perennemente nella fretta.
È molto grave che ENI non abbia ancora fornito informazioni al riguardo. Le autorità competenti dovrebbero appurare immediatamente se queste sono le circostanze della strage. Non accetto che si parli di errore umano perché, se quanto mi riferiscono camionisti è vero, degli onesti lavoratori sono morti a causa di un sistema che fa profitti sulla loro pelle. Siamo di fronte a omicidi bianchi di cui portano la responsabilità non solo l’ENI e tutte le autorità che avrebbero dovuto garantire la sicurezza. Ci rendiamo conto che questo sistema operava in un sito ad altissima pericolosità e che l’esplosione estendendosi a tutto l’impianto avrebbe potuto provocare un disastro ancor più devastante? Credo che l’autorità giudiziaria dovrebbe verificare se quanto ho appreso corrisponda al vero e inviterei le procure a estendere i controlli a tutta Italia. Non è tollerabile che in impianti che rientrano nella direttiva Seveso, o comunque ad alta pericolosità, si consentano operazioni di carico senza personale specializzato. Mi dicono che in qualche caso il personale ci sarebbe ma si tratterebbe non di lavoratori inquadrati nel contratto dei chimici ma di cooperative sociali.
La situazione che denuncio dicono che sia normale ma non lo è se Oltralpe accade il contrario. Il fatto che in questa condizione si trovano quotidianamente gli autotrasportatori italiani rende l’idea di quale sia il rispetto per le condizioni di sicurezza di chi lavora nel nostro paese. Approfittando di una normativa non chiara per quanto riguarda le competenze di caricatori e trasportatori le imprese si sono scaricate i costi relativi alla gestione di questa situazione di rischio.
Ai familiari delle vittime e dei dispersi la solidarietà del Partito della Rifondazione Comunista.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista

Maronno Winchester reshared this.



Posso oggi confermare quanto ho scritto ieri nel mio precedente comunicato.

Gli autotrasportatori sono stati ammazzati da un sistema che scarica su di loro le operazioni di carico ad alto rischio.
In un impianto ENI inserito nella Direttiva Seveso a effettuare le operazioni di carico delle autobotti non sono lavoratori specializzati con contratto dei chimici ma i camionisti. Per questo sono morti loro.
A Calenzano, come ovunque in Italia, anche negli impianti Eni, si è risparmiato sui costi del personale per il carico facendo fare direttamente ai camionisti un lavoro per il quale non hanno quasi sempre una formazione specifica né tanto meno opportuna copertura assicurativa. Questo sistema, che coinvolge anche una grande società come Eni, crea una situazione di altissimo rischio considerato che così si gestiscono quasi ovunque in Italia materiali infiammabili e tossici

Si tratta di una cosa che in Germania, in Francia e gran parte d’Europa non accade: in altri paesi l’autotrasportatore consegna il mezzo agli operatori e ci risale sopra dopo che il personale ha concluso le operazioni. Per assicurarsi i contratti le ditte di trasporti accettano di farsi carico di queste operazioni e così fanno anche i padroncini che, essendo cottimisti e subordinati, sono di fatto l’anello debole della catena dei subappalti, costretti a lavorare perennemente nella fretta.
È molto grave che ENI non abbia ancora fornito informazioni al riguardo. Le autorità competenti dovrebbero appurare immediatamente se queste sono le circostanze della strage. Non accetto che si parli di errore umano perché, se quanto mi riferiscono camionisti è vero, degli onesti lavoratori sono morti a causa di un sistema che fa profitti sulla loro pelle. Siamo di fronte a omicidi bianchi di cui portano la responsabilità non solo l’ENI e tutte le autorità che avrebbero dovuto garantire la sicurezza. Ci rendiamo conto che questo sistema operava in un sito ad altissima pericolosità e che l’esplosione estendendosi a tutto l’impianto avrebbe potuto provocare un disastro ancor più devastante? Credo che l’autorità giudiziaria dovrebbe verificare se quanto ho appreso corrisponda al vero e inviterei le procure a estendere i controlli a tutta Italia. Non è tollerabile che in impianti che rientrano nella direttiva Seveso, o comunque ad alta pericolosità, si consentano operazioni di carico senza personale specializzato. Mi dicono che in qualche caso il personale ci sarebbe ma si tratterebbe non di lavoratori inquadrati nel contratto dei chimici ma di cooperative sociali.
La situazione che denuncio dicono che sia normale ma non lo è se Oltralpe accade il contrario. Il fatto che in questa condizione si trovano quotidianamente gli autotrasportatori italiani rende l’idea di quale sia il rispetto per le condizioni di sicurezza di chi lavora nel nostro paese. Approfittando di una normativa non chiara per quanto riguarda le competenze di caricatori e trasportatori le imprese si sono scaricate i costi relativi alla gestione di questa situazione di rischio.
Ai familiari delle vittime e dei dispersi la solidarietà del Partito della Rifondazione Comunista.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista



Non erano passate neanche 48 ore dalla fine dal regime di Assad e Italia, Austria, Germania e Regno Unito, già avevano deciso di sospendere le richieste di asilo. Ora che gli jihadisti di Al Qaeda hanno preso Damasco la Siria sarebbe diventata un paese sicuro dove si rispettano i diritti umani? Le milizie jihadiste finanziate da Turchia, Usa, petromonarchie e chissà quanti alleati del cd “mondo libero” oggi parlano di liberazione, ma quale è il futuro che attende la popolazione siriana in tutte le sue complesse componenti? Non lo sappiamo, nessuno può saperlo, ma intanto, col cinismo tipico delle post democrazie europee, si è deciso di sospendere le richieste d’asilo per uomini e donne che dalla Siria sono fuggiti. Questo dopo che, dal 2016, l’UE ha regalato miliardi di euro al regime di Erdogan, per trasformare la Turchia in un carcere a cielo aperto per siriani e non solo, tentando di fermare chi cercava scampo nei Paesi dell’Unione. Facciamo presente che oggi la Siria è nella stessa situazione della Libia nel 2011 con distruzioni ancor maggiori e la presenza di diverse milizie di fondamentalisti, nonché di truppe straniere provenienti da vari paesi. Nel nord è in atto l’attacco di jihadisti e turchi contro i curdi. La scelta dei governi europei di sospendere diritto di asilo è un atto di sciacallaggio vero e proprio che distrugge ogni vincolo del diritto internazionale, che dimostra, per l’ennesima volta, come le guerre costituiscano il paradigma strutturale di questa Europa, capace di armare chi fa comodo e contemporaneamente di distruggere chi lotta per la sopravvivenza. Che nessuno si azzardi a costringere, chi non lo vuole, a tornare in quei luoghi che dal 2011 sono macellerie in cui diversi carnefici si sono avvicendati. Chi propone tale scelta è da considerarsi complice della distruzione del diritto d’asilo e di crimini contro l’umanità. Perchè tutta questa fretta?

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Stefano Galieni, responsabile nazionale immigrazione PRC-S.E

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Antonello Patta*

Andrea Ilari**

La vicenda dei precari del Cnr può essere assunta per tante regioni a metafora di un paese il cui futuro è messo in crisi da politiche che sprecano risorse e competenze pubbliche straordinarie mentre distruggono la vita delle persone.
Nel CNR ci sono 4000 precari della ricerca giovani e meno giovani, assegnisti e tempi determinati. Questi uomini e queste donne si sono laureati e molti di loro (quelli che lavorano nella ricerca) hanno conseguito il dottorato. Sono tutti formati per lavorare nel campo della ricerca e sviluppo. Poiché i governi italiani in modo miope investono poco nella ricerca molti di loro vanno a lavorare all’estero. Un sondaggio informale promosso dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale nel 2021 tra le diverse Sedi diplomatiche italiane ha contato circa 33mila ricercatori italiani all’estero. Il gruppo più grande è quello degli Stati Uniti, dove è stimato lavorino più di 15.000 scienziati italiani. Quindi con i soldi delle nostre tasse formiamo giovani ricercatori che poi saranno accolti da altri paesi dove le condizioni di lavoro sono senz’altro migliori.
Parte dei soldi del PNRR, una piccolissima parte sono stati spesi in ricerca e sviluppo e sono stati assunti molti ricercatori a tempo determinato con la promessa di una futura stabilizzazione, ma alle promesse come spesso accade non ha fatto seguito nessuna azione concreta. Non solo; la bozza della legge di bilancio prevede un blocco del 25 % del turn over e un aumento dell’età pensionabile che ridurrebbero ulteriormente le possibilità di impiego dei lavoratori del CNR. È in risposta a tutto ciò che ha ripreso vita il movimento precari uniti del CNR che ha cominciato a mettere in atto delle azioni di protesta.
Il 28 novembre 2024 le OO.SS. FLC CGIL e Federazione UIL Scuola RUA, insieme al movimento dei Precari Uniti, hanno indetto un’assemblea nazionale dei precari del CNR. L’evento ha registrato una partecipazione così straordinaria , sia precari che strutturati, provenienti da tutta Italia, che l’incontro, è stato spostato in uno spazio più grande dove si sono visti anche numerosi esponenti politici e rappresentanti degli organi di stampa.
Dietro questa grande spinta dal basso FLC CGIL e Federazione UIL Scuola RUA hanno rinnovato con forza la richiesta alla Presidente di avviare una ricognizione puntuale dei lavoratori precari in possesso dei requisiti previsti dalla normativa Madia (Dlgs 75/2017) per dare seguito al processo di stabilizzazione. Cosa possibile solo con un cambio di rotta rispetto alle previsioni contenute nella prossima Legge di Bilancio, che taglia fondi e personale.
La Presidente, dopo un breve e iniziale incontro avvenuto nell’atrio del CNR con le OO.SS. e una rappresentanza dei lavoratori precari, ha dichiarato che l’Ente, al momento, non intende procedere con le stabilizzazioni.
Questa posizione, ritenuta insufficiente e inaccettabile dall’assemblea, ha portato alla decisione di proseguire la mobilitazione, proclamando un’assemblea permanente presso il CNR. L’obiettivo è ottenere risposte chiare e concrete, sia dalla Presidente sia dal Governo, per porre fine alla condizione di precarietà che mina la dignità dei lavoratori del CNR.
Con questi obiettivi la lotta, con il presidio sulla scalinata della sede centrale del CNR, continua, forte della solidarietà delle lavoratrici e lavoratori a tempo indeterminato della CGIL e della UIL e del sostegno manifestato dal segretario della CGIL Maurizio Landini e dalla segretaria dell’FLC CGIL Gianna Fracassi
Come Prc sosteniamo questa lotta che rappresenta un esempio importante per i milioni di lavoratrici e lavoratori assunte/i con contratti precari, bassi salari e scarse tutele; sono ben 3 milioni in Italia, 500 mila nel pubblico, gli occupati a termine impiegati in tutti i settori pubblici e privati e considerati oramai come un fenomeno fisiologico nonostante le scarse tutele e i bassi salari con retribuzioni medie intorno ai 10 mila euro.

Numeri che fanno ben capire l’importanza della costruzione di un fronte di lotta di tutto il vario mondo dellle lavoratrici e dei lavoratori precari, un passaggio decisivo per la riunificazione di tutto il mondo del lavoro contro questo governo che continua a portare avanti le politiche neoliberiste che hanno frantumato la classe in lavoratori di serie A e di serie B per ridurre salari e diritti di tutte e tutti.

*responsabile nazionale lavoro del Prc
*Primo ricercatore del CNR, Direttivo FLC-CGIL Rieti-Roma Est -Valle dell’Aniene



I seminari autunno-invernali di Rifondazione - 6 Le classi sociali nell’Italia di oggi Pier Giorgio Ardeni discussant: Loris Caruso Tania Toffanin Marco Fama Lunedì 9 dicembre 2024 Cinquant’anni fa Paolo Sylos Labini pubblicò il “Saggio sulle classi sociali”, un libro che rivoluzionò l’idea stessa della struttura sociale italiana, mettendo in luce come negli anni del [...]


Leggo sulle agenzie che morti e dispersi sarebbero operai alla guida delle autobotti. Non so se siano dipendenti ENI ma ho la sensazione che si tratti di camionisti.
Come mi ha segnalato un compagno autotrasportatore negli ultimi anni in generale, e anche negli impianti Eni (non ho notizie dirette al riguardo sull’impianto di Calenzano), si è risparmiato sui costi del personale che curava il carico facendo fare direttamente ai camionisti un lavoro per il quale non hanno una formazione specifica né tantomeno opportuna copertura assicurativa. Il compagno mi faceva presente l’altissimo rischio rappresentato da questa situazione considerato che si trasportano materiali infiammabili e tossici.

Si tratta di una cosa che in Germania, in Francia e gran parte d’Europa non accade e un tempo pare che non accadesse neanche in Italia. Per assicurarsi contratti le ditte di trasporti accettano di farsi carico di queste operazioni e così fanno anche i padroncini che, essendo cottimisti e subordinati, sono di fatto l’anello debole della catena dei subappalti, costretti a lavorare perennemente nella fretta.
Se fossero queste le circostanze dell’incidente non si potrebbe che parlare non di errore umano ma di omicidio sul lavoro. Sarebbe gravissimo verificare che in impianti che rientrano nella direttiva Seveso si consentano operazioni senza personale specializzato.

Questa ipotesi che formulo riguarda una condizione in cui si trovano quotidianamente gli autotrasportatori che rende l’idea di quale sia il rispetto per le condizioni di sicurezza di chi lavora nel nostro paese. Siamo di fronte a un vuoto normativo per quanto riguarda le competenze di caricatori e trasportatori che consente questa situazione di rischio.
Ai familiari delle vittime e dei dispersi la solidarietà del Partito della Rifondazione Comunista.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista



Due morti, nove feriti (due in gravi condizioni) e 3 dispersi, grave inquinamento del territorio da fumi tossici nocivi per la salute: è il bilancio provvisorio dell’esplosione di un deposito Eni avvenuta poco dopo le 10 di questa mattina a Calenzano, in provincia di Firenze.

Di nuovo morti, di nuovo lavoratori uccisi vittime di una guerra senza fine contro le persone che lavorano per vivere, ma rischiano sempre più spesso di morire.
Non si parli di incidente o di tragica fatalità, siamo di fronte a un’altra strage annunciata: la pericolosità del deposito petrolifero era nota da anni e nonostante ciò, ancora una volta ha prevalso il primato del profitto rispetto a tutto, vita delle persone compresa.
Carenza assoluta di controlli, riduzione dei vincoli e delle penali a carico delle imprese, spingono queste ultime verso comportamenti illegali allo scopo di risparmiare sulla sicurezza, con la quasi certezza dell’impunità. Anche perché i processi quando arrivano, specie quando riguardano grandi aziende, spesso si risolvono in pene irrisorie o addirittura con la prescrizione.

Di tutto questo e della conseguente tragedia quotidiana delle morti sul lavoro non sono responsabili solo i diretti criminali che vanno puniti. Dietro queste morti c’è la responsabilità morale dei governi degli ultimi 15 anni che hanno deregolamentato sempre più il rapporto di lavoro a vantaggio delle imprese anche rendendo le lavoratici e i lavoratori sempre più ricattabili attraverso la riduzione di diritti e tutele e la diffusione della precarietà; e il governo attuale si muove nella stessa direzione.
Per porre fine a questa tragedia infinita occorre rilanciare le lotte tenendo sempre al centro gli obiettivi sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro a partire dall’introduzione nel codice penale del reato di omicidio sul lavoro.
Dopo le morti nel cantiere Esselunga di Via Mariti la risposta della città e delle organizzazioni sindacali è stata tempestiva e partecipata, occorre una mobilitazione altrettanto pronta di tutto il mondo del lavoro contro questa ennesima strage che colpisce tutto il territorio.

Le stragi devono finire!

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Lorenzo Palandri, segretario della federazione di Firenze
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea



Da Pericle a Ferrarotti - di Alba Vastano - Il sociologo Franco Ferrarotti analizza la scomparsa dolorosa e tragica della democrazia dalla scena sociale, addebitandone le responsabilità al disamore verso la politica, alla sfiducia verso i rappresentanti , alla perdita dei valori solidi che abbandonano la scena per lasciare lo spazio alla società liquida, (ndr, [...]


In occasione della caduta del regime tirannico del Baath in Siria.
Ai popoli liberi della Siria: curdi, arabi, siriaci, assiri, musulmani, cristiani e yazidi.

Oggi voltiamo una pagina nera della storia moderna della Siria con la caduta del regime tirannico del Baath che ha governato il Paese con la repressione e il pugno di ferro per decenni.

Il nostro popolo ha sofferto per l’emarginazione, l’oppressione e la divisione attuate dal regime per distruggere il tessuto sociale e consolidare il proprio potere. Ma la volontà del popolo è più forte di qualsiasi regime tirannico, e qui stiamo contemplando una svolta storica verso la libertà e la dignità.

In questo momento critico chiediamo a tutte le componenti della Siria settentrionale e orientale di proteggere i risultati dell’amministrazione autonoma e di stringersi attorno alle Forze Democratiche Siriane (SDF) come garanti della sicurezza e della stabilità nelle aree liberate.

L’SDF ha dimostrato di essere una forza di unificazione nazionale che ha lavorato per proteggere la popolazione in tutte le sue componenti e crede nel pluralismo e nella democrazia come base per costruire il futuro della Siria.
Noi, partiti e forze che firmano questa dichiarazione, mentre ci congratuliamo con il nostro popolo per la caduta del regime di oppressione e tirannia, affermiamo che spetta a noi aprire una nuova fase per:

  1. Garantire la sicurezza e la stabilità attraverso la cooperazione con le forze nazionali sul terreno, impedendo qualsiasi tentativo di seminare il caos o di tornare indietro.
  2. Promuovere un dialogo nazionale tra tutte le componenti del popolo siriano senza discriminazioni o esclusioni per creare le basi di una nuova Siria.
  3. Costruire una Siria pluralista, democratica e decentrata, dove ogni componente abbia il diritto di gestire i propri affari, dove i diritti umani siano rispettati e dove giustizia ed equità siano preservate per tutti.

Invitiamo inoltre il nostro popolo a essere vigile e responsabile, poiché la nuova fase è piena di sfide, ma anche di speranze, per costruire una patria democratica in cui prevalgano pace e giustizia.
Lavoriamo per una Siria democratica, pluralista e decentrata.
Gloria ai martiri della libertà.

Partiti e forze che firmano la dichiarazione:

- Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK)

  1. Partito dell’Unione Democratica.
  2. Partito Verde Democratico.
  3. Partito della Pace e della Democrazia del Kurdistan.
  4. Partito Liberale del Kurdistan.
  5. Partito Comunista del Kurdistan.
  6. Partito Democratico del Kurdistan -Siria.
  7. Partito Democratico Curdo Siriano.
  8. Partito della Sinistra Curda in Siria.
  9. Partito della Sinistra Democratica Curda in Siria.
  10. Partito del futuro siriano.
  11. Partito del cambiamento democratico del Kurdistan.
  12. Partito del Rinnovamento del Kurdistan.
  13. Unione dei lavoratori del Kurdistan.


La fine del cinquantennale regime degli Assad segna una vittoria per la Turchia, gli USA, Israele e le petromonarchie che hanno sostenuto per tredici anni la guerra per procura delle forze jihadiste. Il piano statunitense di disgregazione dei grandi stati che erano stati protagonisti molti decenni fa del nazionalismo panarabista dopo Iraq e Libia ha avuto come bersaglio la Siria. Il regime, indebolito dalla guerra civile, dalle sanzioni e dall’occupazione americana dei suoi siti petroliferi, non ha retto ulteriormente senza il supporto di Hezbollah e Iran duramente colpiti da Israele. Non è chiaro cosa sia successo in questi giorni e il ruolo svolto dalla Russia e da altre potenze. La condanna della repressione che ha caratterizzato il regime laico degli Assad certo non giustifica lo sdoganamento come liberatori degli jihadisti di Al Quaeda come Jolani e il suo HTS o degli islamisti dello SNA che con l’esercito turco attaccano il Rojava curdo, l’unica realtà di autogoverno democratico e convivenza della regione. Il presunto liberatore di Damasco ha già definito il PKK di Ocalan organizzazione terrorista. Come al solito i media occidentali sdoganano come “ribelli” i fondamentalisti islamici quando sono al loro servizio. In questo contesto l’Italia e l’Unione Europea, dovrebbero operare per garantire il rispetto dei diritti umani dell’intera popolazione siriana, vera vittima di questa guerra eterna e del diritto internazionale, la salvaguardia dell’integrità territoriale della Siria, la protezione delle minoranze e del Rojava dall’aggressione islamista e turca. una transizione democratica attraverso una conferenza di pace con tutte le forze in campo sotto l’egida del segretario generale ONU e la costruzione delle condizioni per la convivenza di tutte le comunità con il metodo del confederalismo democratico, la determinazione della natura dello stato (confederale o federale) e delle istituzioni per arrivare a libere elezioni sotto supervisione dell’ONU. Va negato qualsiasi riconoscimento internazionale a formazioni terroristiche islamiste che intendano imporre sharia e persecuzione delle donne. Su questi obiettivi proponiamo di mobilitarci unitariamente in Italia e in Europa alle forze politiche e sociali di sinistra e antifasciste e ai movimenti pacifisti, antimperialisti e femministi. Al popolo siriano, in tutte le sue componenti, vanno garantiti pace, libertà e diritti, così come alle altre popolazioni martoriate del Medio Oriente.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea



di Paolo Ferrero dal Fatto Quotidiano -

Ho letto con grande interesse l’articolo di Elena Basile uscito oggi sul Fatto quotidiano con il titolo L’occidente è in guerra, il dissenso ora si unisca. Senza voler fare torto all’articolazione dei ragionamenti ivi contenuti, mi pare di poter affermare che il centro dell’articolo – e della proposta politica ivi contenuta – si possa riassumere nella seguente affermazione: “È essenziale il contrasto alla guerra in nome della giustizia sociale, di politiche statali che limitino la belva sfrenata del mercato capitalista, degli interessi delle oligarchie della finanza. Questa è la strada”.

Condivido. La prospettiva di unire le forze che si oppongono alla guerra, alle politiche di guerra, all’austerità liberista e antipopolare ritengo sia il punto fondamentale di una politica che punti all’alternativa.

Ho letto con grande interesse l’articolo di Elena Basile uscito oggi sul Fatto quotidiano con il titolo L’occidente è in guerra, il dissenso ora si unisca. Senza voler fare torto all’articolazione dei ragionamenti ivi contenuti, mi pare di poter affermare che il centro dell’articolo – e della proposta politica ivi contenuta – si possa riassumere nella seguente affermazione: “È essenziale il contrasto alla guerra in nome della giustizia sociale, di politiche statali che limitino la belva sfrenata del mercato capitalista, degli interessi delle oligarchie della finanza. Questa è la strada”.

Condivido. La prospettiva di unire le forze che si oppongono alla guerra, alle politiche di guerra, all’austerità liberista e antipopolare ritengo sia il punto fondamentale di una politica che punti all’alternativa.

Oggi, le principali forze politiche dell’attuale schieramento bipolare, FdI da una parte e Pd dall’altra, condividono con una sintonia al limite dell’imbarazzante lo stesso impianto politico guerrafondaio e le politiche economiche ad essa connesse. Ovviamente Meloni e Schlein hanno culture politiche, linguaggi e immaginari politici assai diversi, ma concordano sull’essenziale e in sede europea lo hanno mostrato ampiamente con il sostegno a Ursula von der Leyen e al suo progetto guerrafondaio, subalterno agli interessi degli Usa e liberista e con l’incredibile voto a favore del lancio dei missili a medio raggio sulla Russia, cioè a favore della terza guerra mondiale.

La prospettiva che indica Elena Basile implica quindi che si costruisca una alternativa non solo alle destre ma anche al Pd, e che si scardini consapevolmente l’impianto bipolare oggi imperante nel nostro paese e che tanti danni ha provocato in questi decenni. Un compito arduo ma necessario, visto che è sempre più evidente che il sistema dell’alternanza non apre la strada all’alternativa ma invece la nega, in una danza immobile di alternanza tra simili che litigano su tutto salvo che sull’essenziale. Di questo si è accorta la maggioranza della popolazione che non va più a votare.

Oltre a condividere la prospettiva che propone Basile, penso anche che oggi vi siano le condizioni per realizzarla.

In primo luogo le politiche di guerra, oltre ai morti e ai feriti, producono impoverimento generale. Non solo perché l’enorme aumento delle spese militari – anche questo condiviso da centrodestra e centrosinistra – porta con sé un drammatico taglio delle spese sociali, ma perché le sanzioni economiche stanno distruggendo l’economia europea, a partire da quella tedesca e da quella italiana. Il no alla guerra non è solo un imperativo etico che riguarda la “testa”, ma una necessità sociale che riguarda la “pancia” della nostra gente. Il no alla guerra e alle politiche di riarmo è oggi una proposta politica maggioritaria nel nostro paese. Bisogna avere il coraggio di praticarla con determinazione.

In secondo luogo è del tutto evidente che in tutta Europa sta andando in crisi l’equilibrio fondato sul liberismo guerrafondaio: in Germania, in Francia ma anche in Romania e in altri paesi questa prospettiva non regge. Il caso della Francia è emblematico e occorre sottolineare la grande visione che ha animato la politica di Melenchon, che dopo aver piegato la sinistra liberista ha rotto il tabù del voto con la destra pur di arrivare a mettere in crisi il governo macronista. La situazione europea ci dice con chiarezza che il sistema centrodestra-centrosinistra, che ha gestito il liberismo di Maastricht, sta saltando e che in assenza di una risposta da sinistra saranno le forze di destra a capitalizzare questa crisi.

Infine, è sempre più evidente che l’alleanza – non solo militare – tra l’Europa e gli Usa è una fregatura. Il ciclo iniziato con la seconda guerra mondiale, discutibile ma comunque con una qualche utilità per l’Europa, è morto e sepolto. Gli Usa, mentre cercano di prolungare con la guerra la propria posizione di inaccettabile privilegio a livello mondiale, stanno succhiando sangue come un vampiro all’alleato europeo. E’ sempre più evidente che gli interessi dell’Europa non coincidono per nulla con quelli delle elites statunitensi: non coincidono sul piano delle politiche economiche, né su quello della guerra e delle politiche di riarmo. Il problema è che questo evidente sfruttamento dell’Europa da parte degli Usa è chiaro a tutti salvo che alle classi dirigenti europee che – a partire da Draghi – sono i principali fautori della sudditanza del vecchio continente.

Per tutte queste ragioni penso non solo che sia necessario costruire una convergenza tra le forze contro la guerra e contro il liberismo, ma che vi sia uno spazio politico vero per costruire questa prospettiva politica come prospettiva popolare, per costruire una coalizione popolare che, al di là delle legittime idee e differenze su mille questioni, si trovi unita sui punti fondamentali dello scontro politico odierno. Il no alla guerra e alle politiche di guerra, il no al liberismo e alle politiche di austerità, il no alla distruzione dell’ambiente, dei diritti sociali e civili costituiscono gli assi attorno a cui imbastire questa convergenza, questa coalizione popolare. Nel ringraziare Elena Basile di aver sollevato il problema non posso che dire: discutiamone e lavoriamoci!



Sulla sostanza delle cose dette da Conte sono completamente d’accordo e non mi interessa disquisire sull’uso della parola sinistra visto che in Italia è stata disonorata da governi che hanno fatto politiche antipopolari. I commentatori che attaccano Conte per la maggior parte hanno fatto da scorta mediatica alle sciagurate politiche neoliberiste del PD da cui Elly Schlein cerca di distanziarsi. La posizione di Conte sulla guerra e le politiche europee coincide con quella che Rifondazione sostiene da anni e quindi non posso che essere solidale. Non capisco perchè AVS non unisca la sua voce a quella del M5S dicendo chiaramente al PD che uno schieramento contro la destra deve avere come discriminante il no alla guerra e a un Patto di Stabilità europeo che punta sull’industria bellica e l’aumento delle spese militari. Già nel 2022 proposi una coalizione popolare pacifista e la ripropongo al M5S e AVS. Porre la discriminante della guerra non significa fare il gioco della destra ma chiedere chiarezza sulla questione fondamentale oggi in Europa. Il PD dovrebbe smetterla di essere il partito che vota per l’invio di armi a paesi belligeranti e sostiene le guerre della NATO. Anche la presa di distanza dalla commissione europea di Ursula von der Leyen è una richiesta minima. Come ripeto in ogni iniziativa unitaria contro le destre un fronte antifascista e per la Costituzione dovrebbe partire dal ripudio della guerra sancito dall’articolo 11. Per fare unità bisogna dire basta alla guerra e all’adesione all’austerità ordoliberista. Come si possono criticare i tagli alla sanità e alla spesa pubblica di Giorgia Meloni se non si mettono in discussione il Patto di stabilità e le regole europee? Sono sicuro che la maggior parte delle elettrici e degli elettori del PD e del centrosinistra chiedono politiche di pace e giustizia sociale, cioè di sinistra.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista



di Maurizio Acerbo, Paolo Berdini -

Il provvedimento che il centro destra insieme al Pd ha approvato pochi giorni fa alla Camera, è un colpo mortale alle nostre città, ma anche ai princìpi della nostra Costituzione Il cosiddetto “Salva Milano”, che una maggioranza trasversale – centro destra insieme al PD – ha approvato pochi giorni fa alla Camera, è un colpo mortale per le nostre città, ma anche per i principi della nostra Costituzione. Vediamo le tre questioni rilevanti. Da alcuni mesi la Magistratura milanese ha aperto inchieste su numerosi cantieri che, sulla base di un’interpretazione fantasiosa e disinvolta delle leggi, erano stati autorizzati.

La Camera dei Deputati entra a gamba tesa in questa vicenda prendendo le parti dei proprietari fondiari e dei costruttori con un condono che riguarda scandali inauditi (palazzi di otto piani al posto di capannoni alti quattro metri, per fare un esempio) con una “interpretazione autentica” della legge urbanistica e del testo unico dell’edilizia. Il legislatore interviene esplicitamente per rendere vano il controllo di legalità in corso.

Una mostruosità che un tempo avrebbe indignato tutta l’Italia democratica e progressista passa con il voto del principale partito di opposizione perché va in soccorso di una giunta di centrosinistra che – in continuità con le amministrazioni di destra – ha svenduto la città all’immobiliarismo. Vanno ringraziati per la loro opposizione i comitati, gli urbanisti come Sergio Brenna, anche Rifondazione e la lista “Milano in Comune” che si sono presentate in alternativa proprio denunciando questa deriva. La vandea contro la Magistratura milanese è stata scatenata sulla base di argomentazioni che capovolgono la verità dei fatti. Tutti i quotidiani di destra (Libero, Il Giornale e La Verità) hanno costruito una campagna sostenendo che, a causa delle indagini, i valori immobiliari di Milano rischiavano di precipitare e si stavano perdendo 40 miliardi di investimenti privati.

La prima tesi è completamente falsa. Le analisi sui valori immobiliari uscite in questi giorni confermano che Milano ha raggiunto livelli vertiginosi, i più alti d’Italia. Le giunte di centrosinistra che guidano da più di un decennio la città un risultato lo hanno ottenuto: hanno premiato la rendita immobiliare e nello stesso tempo espulso verso l’hinterland la parte più povera della città. La seconda tesi non dice che dietro ai 40 miliardi “scomparsi”, c’è il dato che i costruttori milanesi non hanno versato alla collettività milanese come minimo 1 miliardo di euro. E mentre i 40 miliardi torneranno sicuramente ad essere investiti, per recuperare gli oneri di urbanizzazione non versati dovremo aspettare sentenze che potrebbero non arrivare se il condono sarà approvato anche al Senato.

Quegli oneri servono per costruire servizi sociali, scuole e parchi. L’urbanistica da bere milanese ignora gli articoli 3 e 41 della Costituzione. Sala ha agito da Robin Hood alla rovescia, la Camera dei Deputati ha sancito per legge questo furto ai danni della comunità. La legge “Salva Milano” infine cancella la certezza del diritto. Si permette infatti di demolire e ricostruire nuovi edifici anche alterando i confini e le altezze esistenti. È una modalità di intervento molto delicata perché nelle città sono stratificati i diritti dei proprietari confinanti ad avere luce, panorama, e affacci. Ne sanno qualcosa gli incolpevoli cittadini milanesi che hanno visto nascere mostri di cemento di otto piani che precludono loro la vista e l’aria.

La legislazione vigente in materia, di chiaro impianto liberale, assoggettava questa modalità di intervento alla redazione di un piano urbanistico di dettaglio. Si voleva in questo modo salvaguardare quei diritti che citavamo, perché la procedura è pubblica. Vengono a conoscenza del piano consiglieri, comitati e singoli cittadini che possono, proprio in forza della legge, presentare osservazioni o eventualmente ricorrere alla giustizia amministrativa.

Non sarà più possibile. Gli “energumeni” del cemento armato – ripetiamo destra più Pd –
vogliono consentire questi interventi con una semplice comunicazione agli uffici comunali.
In tal modo conoscono lo scempio imminente solo il proprietario e il tecnico comunale. Il
modello Milano incriminato dalla Magistratura sta per diventare la nuova urbanistica da
esportare in ogni città italiana. Bisogna fermare questa vergogna.

dal Manifesto



di LAURA TUSSI Il teatro non è solo un’arte, ma può diventare uno strumento di trasformazione sociale, un mezzo per educare, sensibilizzare e costruire comunità. Theandric lo fa ispirandosi ai principi della nonviolenza. Cagliari - Theandric Teatro Nonviolento nasce con la missione di creare un teatro che oltrepassando la semplice rappresentazione artistica sia veicolo di riflessione e cambiamento, mettendo [...]


Il presidente del Senato alla presentazione di un libro sul militante del Fronte della Gioventù assassinato nel 1975: «Oggi vediamo delle scimmiottature di quegli anni che possono essere pericolose, anche se sono solo 10 invece di 1000».. Rampelli chiede una commissione d’inchiesta. Acerbo (Prc): «Vergognoso che il presidente del Senato racconti bufale per riabilitare il fascismo»

«Esiste un solo caso di violenza attribuita alla destra come quello di Ramelli che fu preso sotto casa con le stesse modalità? Io almeno non he ho memoria, non lo conosco, sicuramente a Milano no… e comunque, chi ricorda un solo caso di militanti di destra che abbiano interrotto una manifestazione o un discorso con la violenza della sinistra? Se c’è, me lo dicano».

Il presidente del Senato Ignazio La russa torna a vestire i panni del militante politico di destra. E approfitta della presentazione, ieri alla Camera, del libro «Sergio Ramelli, una storia che fa ancora paura» di Guido Giraudo per tornare a rimestare negli anni di piombo. «E non mi dite che questi cattivissimi di destra non avrebbero potuto rendere pan per focaccia. Ma non appartiene alla cultura né all’ideologia di destra andare sotto casa di un ragazzo e colpire una persona in questa maniera», insiste la seconda carica dello Stato, che si fa scudo del clima di quegli anni per affermare: «Quando io non pronuncio la parola “antifascista” è perché non potrò mai essere accomunato a chi in quegli anni ogni giorno andava sotto casa ad aspettare un ragazzo di destra. Io rispetto i partigiani così come quei ragazzi che combattevano per la speranza della vittoria di un’ideologia ancora più totalitaria del fascismo ma che a loro piaceva e che credevano in un futuro migliore, cioè il comunismo. Non potrò mai volermi accomunare all’antifascismo militante di quegli anni».

La Russa coglie l’occasione per un parallelo con l’attualità: «Oggi sono dieci quando una volta erano in mille, ma bastano 10 per fare i danni che fecero mille…vediamo quelle che possono sembrare delle scimmiottature di quegli anni, ma le scimmiottature possono essere pericolose». E ancora: «Per un riaccendersi della conflittualità antifascista i giovanissimi di oggi, volontariamente o meno, hanno prodotto un restringimento della memoria di Sergio, facendone troppo un simbolo identitario. Lo capisco, ma deve essere un simbolo contro la violenza tutta, dobbiamo offrire il simbolo e il sacrificio di Sergio all’Italia».

La Russa, che fu avvocato di parte civile della famiglia Ramelli, prosegue: «Sergio ha avuto per noi una influenza incredibile, ci ha fatto conservare la voglia e la necessità di proseguire il nostro impegno. Non ci sentivamo eroi. Ma se lui era morto potevamo noi deflettere in vita? È stato per tutti noi un punto di riferimento ineguagliabile. Fu Almirante a chiedermi di difendere famiglia, non ci costituimmo parte civile come partito anche se avremmo potuto perché non volemmo che fosse un processo politico».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, di Fdi: «Abbiamo il dovere dell’iniziativa, dell’azione, per raggiungere – in assenza di giustizia – almeno la verità storica di quanto di tragico accadde in quegli anni. Era una guerra civile non dichiarata, una persecuzione diffusa contro chi si presumeva fosse di destra. Ragazzi di 15-18 anni che erano armati con armi da guerra e cariche di tritolo che difficilmente potevano procurarsi da soli. Chi c’era dietro? È nostro dovere capire e conquistare la verità storica, lo dobbiamo alle famiglie di quei ragazzi e lo si può fare attraverso una commissione d’inchiesta parlamentare perché ormai non si possono riaprire i processi, tranne poche eccezioni. Spero nella convergenza dell’opposizione, perché gli anni ’70 rischiano di evaporare nella memoria del tempo».

Immediata la replica del segretario di Rifondazione Maurizio Acerbo: «È vergognoso che il presidente del Senato racconti bufale per riabilitare il fascismo. La Russa, che dovrebbe ben ricordare il corteo missino da cui fu lanciata la bomba a mano che uccise l’agente Marino, sa che i neofascisti sono stati protagonisti di episodi di violenza in tutta Italia fin dal dopoguerra e fornirono la manovalanza per le stragi che hanno insanguinato l’Italia». «Visto che ha perso la memoria – prosegue Acerbo – cito solo alcuni nomi di vittime milanesi della violenza fascista che purtroppo non vengono mai ricordate al contrario di Ramelli: Gaetano Amoroso, Alberto Brasili, Fausto Tinelli, Lorenzo Iannucci, Claudio Varalli. L’elenco sarebbe molto lungo in tutta Italia. Mi limito a citare solo Walter Rossi e Valerio Verbano, Adelchi Argada, Benedetto Petrone. Torniamo a chiedere le dimissioni di La Russa».

Fonte: il manifesto, 5 dicembre



È vergognoso che il Presidente del Senato Ignazio La Russa racconti bufale per riabilitare il fascismo.

La Russa, che dovrebbe ben ricordare il corteo missino da cui fu lanciata la bomba a mano che uccise l’agente Marino, sa che i neofascisti sono stati protagonisti di episodi di violenza in tutta Italia fin dal dopoguerra e fornirono la manovalanza per le stragi che hanno insanguinato l’Italia.

Visto che ha perso la memoria

cito solo alcuni nomi di vittime milanesi della violenza fascista che purtroppo non vengono mai ricordate al contrario di Ramelli:

Gaetano Amoroso, Alberto Brasili, Fausto Tinelli, Lorenzo Iannucci, Claudio Varalli.

L’elenco sarebbe molto lungo in tutta Italia. Mi limito a citare solo Paolo Rossi, Benedetto Petrone, Adelchi Argada, Ciro Principessa, Walter Rossi, Roberto Scialabba, Rosaria Lopez, Valerio Verbano.

Torniamo a chiedere le dimissioni di La Russa.



Ieri è stata pubblicata la sentenza n.192 con cui la Corte Costituzionale risponde ai ricorsi di 4 regioni verso la Legge 86/2024 di attuazione dell’autonomia differenziata.

Il dispositivo delinea in modo articolato quanto già espresso nel comunicato della Consulta di qualche settimana fa: La legge Calderoli non è interamente incostituzionale, lo sono numerosi e importanti punti che la rendono sostanzialmente contraria ai principi di solidarietà e sussidiarietà, di indivisibilità della Repubblica e di eguaglianza dei diritti.

Il fondamento dell’impianto leghista è ribaltato: non esistono popoli regionali, i concetti di popolo e di nazione (tanto cari alla retorica meloniana) non sono frammentabili.

La centralità del Parlamento è ribadita in più punti, sulla definizione dei diritti sociali e civili da garantire a tutti e tutte, sull’esclusione dei DPCM per la quantificazione della compartecipazione al gettito fiscale, sulla titolarità ad intervenire nel merito di eventuali intese fra Stato e singola regione.

È illegittimo il trasferimento di materie strategiche che richiedono un coordinamento svranazionale (ad es. commercio, energia, trasporti, ambiente, istruzione) e quello di interi ambiti; sarebbe consentita solo la cessione di specifiche funzioni, da sottoporre ad un approfondito processo istruttorio, fatto salvo che l’uguaglianza e la solidarietà fra regioni è responsabilità dello Stato e della Pubblica Amministrazione e che vi è obbligo e non facoltatività per ciascuna regione di concorrere agli obiettivi di finanza pubblica.

Certo è che l’impianto dell’autonomia differenziata subisce un duro colpo. Bene farebbe il governo Meloni a prenderne atto, bloccando questo disegno scellerato, frutto di un accordo di governo altrettanto infame.

Nel merito del corposo documento della Consulta è necessario un serio approfondimento, anche in vista dei possibili scenari.

Tra pochi giorni è atteso il responso dell’“Ufficio Centrale per i Referendum” della Cassazione, sul trasferimento dei punti residui della legge da sottoporre a referendum abrogativo; a seguire quello della Corte Costituzionale sull’ammissibilità.

Con i Comitati che si battono da anni contro ogni autonomia differenziata e con Comitato referendario per l’abrogazione totale della Calderoli ci prepariamo ad affrontare la sfida referendaria, intensificando l’attività di sensibilizzazione e di mobilitazione.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale

Tonia Guerra, resp. Nazionale Mezzogiorno e Campagna contro Autonomia Differenziata, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea



Con la sentenza 192 relativa alla legge 86/2024, la Corte Costituzionale ha letteralmente smontato l’autonomia differenziata.

Innanzitutto, la Corte ha premesso che non si può attentare all’unità e indivisibilità della Repubblica, prescritta dall’art. 5 della Costituzione, né si possono intaccare i principi di solidarietà e uguaglianza sanciti dagli artt. 2 e 3 della Carta. Proprio in nome di questi principi fondamentali la Corte smantella la legge Calderoli, su cui 4 Regioni avevano sollevato ben 61 motivi di illegittimità costituzionale. Molti di essi non sono stati accolti; ma la Corte ha dichiarato ben 14 disposizioni normative della legge Calderoli costituzionalmente illegittime. Non si tratta di disposizioni irrilevanti, tutt’altro. Basti pensare che dell’art. 3 della legge Calderoli – quello relativo ai LEP – solo l’ultimo comma, l’11, resta in piedi, mentre ben 9 vengono dichiarati illegittimi. Il comma 3, quello sulle materie LEP e non LEP, poi, deve essere riscritto alla luce dell’interpretazione della Corte, che prescrive si debba solo e sempre parlare di funzioni trasferibili e non di materie. Tra i commi dell’art. 3 cancellati c’è quello che affidava, di fatto, al Governo la definizione dei LEP, escludendo il Parlamento. La Corte, invece, chiede che Camera e Senato riacquistino centralità, in quanto unici decisori politici legittimati a determinare i livelli dei diritti civili e sociali.

Ulteriore questione rilevante è cosa si può trasferire alle Regioni; la Corte, con le sue dichiarazione di illegittimità relative all’art. 2 della legge Calderoli, afferma che si possono trasferire solo quelle singole funzioni che, secondo il principio di sussidiarietà verticale – cioè tra diversi livelli istituzionali di governo – possono essere più efficacemente svolte a livello regionale; senza però escludere che talune funzioni possono essere anche svolte più efficacemente a livello nazionale, quando non sovranazionale, come nel caso delle infrastrutture dei trasporti, dell’energia o dell’ambiente. Secca è poi la dichiarazione della Corte rispetto alle norme generali dell’istruzione, che devono essere di competenza della legislazione nazionale, a garanzia della necessaria unitarietà e uguaglianza della scuola della Repubblica, ovunque si risieda.

Sulle procedure per stabilire e approvare le Intese il Parlamento riacquista, con la sentenza della Corte, il suo ruolo centrale, emancipandosi da quello di spettatore plaudente o dissenziente che la legge Calderoli gli attribuiva, relegato a un sì o no finale alle Intese negoziate dai Presidenti del Consiglio e della Regione. Il Parlamento potrà infatti emendare le Intese, e non solo approvarle o respingerle.

Un altro punto che merita di essere sottolineato è che le Regioni a Statuto speciale non potranno ricorrere alla legge sull’Autonomia differenziata, perché amplierebbero la loro specialità normata da apposito statuto, adottato con legge costituzionale. La sentenza mette in luce anche la contraddittorietà delle clausole finanziarie perché, per un verso, si stabilisce l’invarianza finanziaria e dall’altro si pretende di definire i LEP e i fabbisogni standard che abbisognano naturalmente di grandi risorse.

Aveva ben previsto il costituzionalista Michele Della Morte sostenendo, nell’ultima assemblea del Tavolo NO AD, che la sentenza sulla legge 86/2024 avrebbe avuto di sicuro il rilievo di quella del 2003 (la 303): una sentenza che riscrisse il Titolo V riformato nel 2001 per renderne possibile il funzionamento. I Comitati per il Ritiro di ogni Autonomia Differenziata, l’unità della Repubblica, l’uguaglianza dei diritti e il Tavolo NOAD rifletteranno a fondo su questa nuova sentenza della Corte Costituzionale, cominciando con l’incontro del 5 dicembre a Napoli, presso l’Istituto di Studi Filosofici, cui parteciperanno i proff. Giovanna De Minico, Claudio De Fiores, Carlo Iannello, Massimo Villone.

La Corte costituzionale non ha dichiarato la legge 86/2024 totalmente illegittima, facendola dunque sopravvivere come legge di attuazione del comma 3 dell’art. 116 Cost. Per questo riteniamo che la Corte di Cassazione avrà buoni motivi per trasferire il quesito referendario della sua abrogazione totale sul ‘residuo’ della legge Calderoli; inoltre, confidiamo nel fatto che la Corte Costituzionale a gennaio avrà buoni argomenti per dichiararne l’ammissibilità. Infatti, essendo la legge Calderoli ricondotta – con gli interventi dalla Corte costituzionale – a espressione di legittime decisioni politiche, ci auguriamo che venga data ai/alle cittadini/e la possibilità di rivendicare, altrettanto legittimamente, secondo l’art. 75 Cost., il proprio giudizio politico su di essa. Pensiamo – e auspichiamo – si tratterà di una sonora bocciatura.

Tavolo No Autonomia differenziata
Comitati per il ritiro di qualunque Autonomia differenziata, l’uguaglianza dei diritti e l’unità della Repubblica



Triste giornata quella in cui ci ha lasciato Iole Mancini, staffetta partigiana imprigionata e torturata dai nazisti per non aver detto loro quello che volevano sapere e cioè per non aver tradito i suoi compagni di lotta per la Liberazione. Esprimiamo tutta la nostra solidarietà alla famiglia, all’Anpi nazionale e all’Anpi romana per la grave perdita. Se ne è andata una testimone di quello che fu uno dei periodi più bui della storia del nostro paese. Se ne è andata una testimone della Resistenza che ha speso la sua lunga vita per trasmetterne i valori alle nuove generazioni. Iole era consapevole che solo attraverso la conoscenza di quello che è stato il fascismo, dei drammi che ha prodotto si può condurre una battaglia per contrastare lo sdoganamento che è in atto. Nessuna giustificazione per chi cerca di riabilitare il fascismo, applichiamo la Costituzione che è antifascista in tutti i suoi articoli. Questo è l’insegnamento da trarre dagli interventi di Iole sempre presente alle manifestazioni antifasciste per cantare ” Bella Ciao”. E allora ciao Iole, “Bella Partigiana”

Maurizio Acerbo, Segretario nazionale
Rita Scapinelli, responsabile dipartimento Antifascismo, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea



5 La propaganda: tra guerra, pace e intelligenza artificiale - relatore Antonio Mazzeo, Discussant: Mafe de Baggis Marco Schiaffino Francesca Fornario Lunedì 2 dicembre 2024 Se parliamo di propaganda è immediato immaginare il controllo diretto sui mezzi di comunicazione da parte di un governo autoritario. La propaganda serve a controllare il pensiero, per poterlo indirizzare [...]


di Paolo Ferrero dal Fatto Quotidiano - All’ultimo vertice di Kazan del 22 e 23 ottobre scorsi, i Brics hanno annunciato che stanno lavorando per dar vita ad un sistema di scambi monetari internazionali che non utilizzi il dollaro e che quindi ne metta in discussione il monopolio e il potere. Questa prospettiva rivoluzionaria mina [...]


Dal 26 novembre, la regione di Aleppo è al centro di un’escalation militare senza precedenti, con l’offensiva congiunta di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) e dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA) controllato dalla Turchia, che sta mettendo a rischio la vita di migliaia di civili, in particolare quelli appartenenti alla minoranza curda. Gli attacchi hanno avuto conseguenze devastanti, con l’occupazione di Shebah e Tal Rifaat da parte delle forze del SNA e l’esodo forzato di circa 200.000 civili che vi avevano trovato rifugio dopo l’occupazione di Afrin da parte delle stesse forze nel 2018.

Nei quartieri curdi di Aleppo Seikh Maqsud e Ashrafieh, in cui hanno trovato rifugio migliaia di profughi fuggiti dall’avanzata di HTS. Le Unità di Protezione del Popolo e delle Donne (YPG/YPJ) e la popolazione civile hanno dichiarato fermamente che non abbandoneranno le loro case, continuando a resistere alle forze di HTS e SNA. La situazione è estremamente tesa, e la popolazione civile, già vulnerabile, sta affrontando un assedio e una crisi umanitaria senza precedenti.

Dietro questa offensiva, la Turchia gioca un ruolo determinante nel supporto al SNA e alla presenza di HTS nella regione. Sebbene HTS sia riconosciuta come organizzazione terroristica dalla stessa Turchia e sia composta principalmente da combattenti stranieri (foreign fighters), le sue forze continuano a operare con l’appoggio logistico, politico e militare di Ankara. La Turchia è stata riconosciuta da molti rapporti di organizzazioni indipendenti come responsabile delle violenze e le violazioni dei diritti umani perpetrate dai gruppi sotto il suo patrocinio, che includono anche combattenti jihadisti legati ad al-Qaeda e miliziani di ISIS. A questo proposito è emblematica la presenza registrata ad Aleppo di Abu Hatem Shaqra, comandante della fazione Ahrar al-Sharqiya del SNA e autore materiale dell’assassinio di Hevrin Khalef, politica curda e segretaria del Syrian Future Party uccisa insieme a due collaboratori nel 2019.

La Rivoluzione del Rojava ha rappresentato un’esperienza unica di autodeterminazione, diritti umani e resistenza contro l’oppressione. Nata nelle terre curde della Siria del Nord, la rivoluzione ha costruito un sistema che promuove la parità di genere, la democrazia diretta e la coesistenza pacifica tra le diverse etnie e religioni. In un contesto di conflitto e instabilità, il Rojava è stato un faro di speranza, mostrando al mondo che è possibile costruire una società inclusiva e giusta, anche nelle condizioni più difficili. La resistenza delle forze curde, tra cui le YPG e le YPJ, ha avuto un impatto determinante nella lotta contro il terrorismo dello Stato Islamico, contribuendo alla stabilizzazione della regione. Tuttavia, oggi, a dieci anni dalla storica resistenza di Kobane che mise fine all’espansione dell’ISIS, questo modello di società è minacciato dall’offensiva di HTS e SNA coordinata dalla Turchia, che cerca di annientare non solo il popolo curdo, ma anche i valori di libertà e democrazia che il Rojava incarna.

L’appello alla comunità internazionale è urgente: è necessario un intervento rapido e deciso per fermare le violenze ed evitare una nuova catastrofe umanitaria. Il futuro della Siria e specialmente delle minoranze che la abitano è incerto, ma la speranza risiede nella solidarietà internazionale e in una risposta politica e umanitaria concreta che possa garantire la sicurezza e la dignità di tutti i popoli della regione e che apra le porte ad una soluzione politica alla guerra civile siriana.

Ai cittadini Italiani, alle associazioni, movimenti, sindacati, partiti e organizzazioni politiche, che hanno sempre dimostrato vicinanza al popolo curdo, chiediamo in questo periodo di minacce esistenziali di stringersi intorno ai popoli del Rojava e di esprimere la forte solidarietà di cui essi hanno bisogno.

Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia



L’ex-ambasciatore Enrico Calamai ha deciso di iscriversi a Rifondazione Comunista e ne ha spiegato le ragioni in una lettera che pubblichiamo. “L’adesione al nostro partito di una personalità di assoluto valore come Enrico Calamai, per la quale si può usare senza retorica la parola eroe, ci onora e incoraggia a resistere in questi tempi assai [...]


Rifondazione comunista esprime massima solidarietà ai lavoratori di Trasnova che Stellantis, l’ex gruppo FIAT, sta condannando al licenziamento.

Nel giorno delle piazze piene che rivendicano diritti, lavoro e salario, e che dicono chiaramente NO al Governo Meloni e alla sua politica guerrafondaia e antipopolare, un asciutto comunicato aziendale comunica seccamente che a partire dal prossimo 31 dicembre non ci sarà più alcuna commessa per la Trasnova, l’azienda che svolge la movimentazione auto negli stabilimenti di Mirafiori, Cassino, Melfi e Pomigliano. Nella sola Campania questo comporterà 90 licenziamenti entro un mese.

Sta forse cominciando il piano scellerato, da gran tempo accarezzato dalla multinazionale italo-francese, di smantellare l’intera industria automobilistica italiana? Oppure si vuole affidare movimentazione a gruppi esteri, magari direttamente francesi?

Il governo ha il dovere di intervenire prima che si consumi l’ennesimo tradimento ai danni dei lavoratori da parte della ex-FIAT.

Questi lavoratori sono ex-dipendenti Fiat che come tanti altri furono costretti a passare alle ditte esterne anche grazie a leggi filo padronali che hanno consentito di affidare a terzi pezzi del processo produttivo per diminuire potere contrattuale.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale,
Rino Malinconico, segretario regionale della Campania,
Elena Coccia, segretaria della Federazione napoletana del Partito della Rifondazione Comunista

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i Franco Berardi -

Occorre guardare in faccia l’inevitabile senza scordare che l’inevitabile spesso non accade perché deve lasciare il passo all’imprevedibile.

Non ho disertato lo sciopero generale convocato dalla CGIL e dalla UIL, né ho disertato piazza Maggiore, dove ho ascoltato, oltre alle voci della folla, il comizio di Maurizio Landini.

Sapevo che lo sciopero è convocato perché i salari diminuiscono. la sanità pubblica è abbandonata, e i debiti li pagano i lavoratori mentre nessuno tocca i super-profitti bancari. Ma alcuni punti del suo discorso mi hanno colpito.

Mi ha colpito quando ha detto che se passa il decreto sicurezza molti dei lavoratori che occupano le fabbriche minacciate di smobilitazione, o bloccano le strade per difendere il posto di lavoro sarebbero passibili di arresto.

Mi ha colpito l’autocritica. Abbiamo sbagliato a non opporci con tutte le forze alla riforma Fornero, ha detto. Ma in realtà stava dicendo che il sindacato e tutta la sinistra non hanno fatto molto per fermare l’offensiva padronale che oggi culmina nel fascio liberismo.

Ma mi ha colpito particolarmente quando ha detto che la guerra cambia le cose.

Si stava riferendo a quel che la guerra ucraina ha già cambiato nelle condizioni di vita dei lavoratori italiani (ed europei).

Ma io mi permetto di interpretare le sue parole: la guerra sta investendo l’Europa in modo diretto, occorre prepararsi a quel che accadrà nel prossimo futuro.

Per me da sempre il luogo migliore per mettere a fuoco le prospettive è stata la piazza, quando è gremita di gente che parla, si scambia frasi rapide e inalbera cartelli.

Anche oggi mi è servito andare in piazza perché ho capito (o almeno ho sentito) che il mio discorso sulla diserzione è inappuntabile, ma deve tenere conto degli eventi: occorre ricordare che è nostro compito intellettuale guardare in faccia l’inevitabile senza scordare che l’inevitabile spesso non accade perché deve lasciare il passo all’imprevedibile.

A quale imprevedibile dobbiamo predisporci?
Non si può pensare l’imprevedibile, per la semplice ragione che è imprevedibile.

Ma occorre annusare l’aria per capire quali montagne stanno per franare, quali valanghe stanno per sommergerci, e per immaginare quali orizzonti nuovi emergeranno dopo le frane e dopo le valanghe.

Allora diamo un’occhiata in giro.

Una montagna che sta per franare è l’Unione europea, trascinata in una guerra tra fascismo russo e nazismo ucraino dagli alleati americani che ora però se la svignano, cone hanno già fatto più volte negli ultimi decenni.

La Russia di Putin ha vinto quasi tutto, in questa guerra: l’economia russa è cresciuta del 3.6% mentre le economie europee boccheggiano intorno allo zero. Quanti morti è costato alla Russia? Questo a Putin non importa molto.

L’esercito russo sta avanzando nel Donbas mentre si approfondisce la tragedia del popolo ucraino, spinto avanti dai democratici americani in una guerra per procura, e oggi abbandonati dai repubblicani americani.

Prima di lasciare la Casa Bianca uno dei peggiori criminali che la storia ricordi, sta cercando di render le cose difficili per il suo successore. Lo fa spingendo il povero Zelenskyy all’ultimo sacrificio: gli ordina di arruolare i diciottenni, mentre le diserzioni si moltiplicano, il gelo avanza nelle città senza riscaldamento, e la disperazione dilaga.

Lo scopo principale di questa guerra, per Biden e i suoi complici, era distruggere il rapporto tra Russia e Germania, il secondo scopo era indebolire l’Unione europea. Il terzo (improbabile, e tutti lo sapevano) era sconfiggere Putin.

Ma adesso Putin non sta vincendo solo la guerra contro gli americani d’Ucraina, ma sta vincendo una dopo l’altra le elezioni in ogni paese europeo.

Il 16 dicembre il Bundestag va a votare la fiducia. Intanto Scholz dà ordine di spostare una batteria di Patriot in Polonia, per proteggere i rifornimenti militari all’Ucraina.

Un altro passo vero lo scontro diretto, mentre in Germania cresce l’AFD e cresce il partito di Sarah Wagenknecht, che non vogliono più mandare armi all’Ucraina.

Nel frattempo la Francia si incammina verso il collasso. Lo sfondo è la crisi sociale, l’ondata di licenziamenti, la fragilità finanziaria, e sul proscenio vedremo la settimana prossima se i lepenisti decidono di dare il colpo finale all’infido Macron, togliendo l’appoggio al governo Barnier.

Si può immaginare che Marine Le Pen voglia accelerare i tempi delle presidenziali prima di essere dichiarata ineleggibile per le malversazioni del suo partito?

I disertori non sono sordi (solo un pochino), e sanno percepire il rumore del tuono che sembra venire dal sottosuolo d’Europa.

E’ il momento della rivolta sociale, dicevano i cartelli e le pettorine di migliaia di lavoratrici e lavoratori, questa mattina in piazza Maggiore.

Direi che è sempre il momento della rivolta sociale, ma se lo dice Landini la cosa si fa seria.

Vinceremo questa battaglia? Domanda stupida.

La domanda intelligente è un’altra: servirà questa battaglia per rafforzare la solidarietà sociale, e l’intelligenza collettiva, mentre dobbiamo prepararci all’estendersi di una guerra i cui limiti sono ignoti?

Dobbiamo prepararci al precipizio, pare che non ci sia maniera di evitarlo.

Prepararsi da soli non serve.

La rivolta sociale ci renderà meno soli.



Le piazze di oggi sono la migliore risposta alla canea della destra contro Landini e la Cgil. Solo con la lotta si cambia il paese.

Tifiamo rivolta perché l’Italia è l’unico paese in Europa dove i salari sono diminuiti negli ultimi trent’anni, uno dei pochissimi in cui non c’è una legge per il salario minimo, quello con l’età pensionabile più alta, un’emigrazione di giovani verso l’estero ai livelli del dopoguerra, milioni di precari, 700.000 famiglie in attesa della casa popolare, milioni di persone che rinunciano a curarsi.

Il governo Meloni risponde alla crisi sociale con un programma di 7 anni di tagli alla sanità e alla scuola mentre aumenta la spesa militare e criminalizza la protesta sociale.

È puro buon senso dire che solo una rivolta sociale può fermare questo governo e imporre una svolta nelle politiche economiche e sociali.

Ma una cosa va detta chiaramente: il problema non è solo il governo Meloni. Il problema è che i due poli da trent’anni condividono un’agenda di attacco ai diritti sociali e del lavoro.

Il Partito Democratico, che oggi era in piazza come noi al fianco dei sindacati, deve decidere se la sua agenda è quella dello sciopero o quella antipopolare di Draghi, Gentiloni, Fornero e Cottarelli.

Noi di Rifondazione Comunista tifiamo rivolta e chiediamo ai sindacati di fare come in Francia recuperando le nostre migliori tradizioni conflittuali. Tutte le riforme e i diritti conquistati dalle classi lavoratrici e popolari nel nostro paese sono stati il prodotto delle lotte sociali, dallo statuto dei lavoratori al servizio sanitario nazionale. La stessa Resistenza è cominciata con gli scioperi del marzo 1943.

C’è bisogno di una rivolta in questo paese per imporre ai governi di attuare la Costituzione.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea



di Paolo Ferrero - Voglio esprimere il mio pieno appoggio allo sciopero generale e un grazie ai lavoratori e alle lavoratrici che vi parteciperanno ed alle organizzazioni sindacali che l’hanno indetto: Cgil, Uil, Adl, Cobas, Cub, Sgb. Mai come questa volta lo sciopero generale è opportuno e giusto! – La situazione in cui versa il [...]


Il ministro leghista Matteo Salvini ha tradito le classi lavoratrici rimangiandosi l’impegno a cancellare la legge Fornero. Non è mai stato dalla parte di chi lavora e non a caso torna ad attaccare il diritto di sciopero precettando i dipendenti del trasporto pubblico in occasione dello sciopero generale di otto ore indetto da Cgil e Uil e da sindacati di base Cobas, SgB, Cub, Adl per il 29 novembre.

Questa volta Salvini gioca di sponda con la Presidente della commissione di garanzia sul diritto di sciopero nei servizi essenziali, non a caso nominata dal governo, accogliendo il suo invito a limitare lo sciopero, deliberato, guarda caso, in ottemperanza ai diktat contro lo sciopero “selvaggio” lanciati dallo stesso ministro sui social.

Con questo nuovo atto intimidatorio il ministro leghista cerca di diritti dei cittadini utenti e quelli di chi lavora per nascondere le responsabilità sue e del governo per i pesanti disservizi dei trasporti, i gravi problemi di sicurezza delle reti, i tagli dei trasfermenti agli enti territoriali che peggioreranno ulteriormente il trasporto pubblico locale.

Dopo l’analogo provvedimento dello scorso anno, il ddl sicurezza e le misure disumane contro i migranti con questo ennesimo atto liberticida il governo punta a impedire la giusta rivolta sociale contro l’aggravamento delle politiche liberiste di cui questa manovra è solo l’anticipazione.

Con la legge di bilancio si avvia un grande rilancio dell’austerità neoliberista per colpire ulteriormente i diritti, lo stato sociale, la sanità, la scuola, l’università, i servizi pubblici.

Questo governo di ciarlatani usa la demagogia razzista per distrarre le classi popolari dalle sue politiche classiste. Mentre continuano a crescere profitti non si fa nulla a sostegno di salari e pensioni già tra i più bassi d’Europa e da tempo salassati da inflazione. Non si contrasta la precarizzazione del lavoro. Si rifiuta di approvare una legge per il salario minimo per porre fine alla vergogna dei salari da fame. In assenza di un piano per l’occupazione centinaia di migliaia di giovani continuano ogni anno a emigrare. È stato cancellato il reddito di cittadinanza facendo crescere a dismisura le povertà e le disuguaglianze.
Si dice che i soldi non ci sono, ma si aumentano le spese militari a sostegno della lobby delle armi e delle guerre, non si tassano le grandi ricchezze, i superprofitti, si favorisce l’evasione fiscale, si fa pagare meno a chi ha più.

La migliore risposta è l’impegno per una grande riuscita dello sciopero generale del 29 novembre e per fare in modo che sia l’inizio di una grande stagione di lotte indispensabile per riconquistare diritti nella società e nei luoghi di lavoro.

Rifondazione Comunista invita a scioperare e a partecipare alle manifestazioni convocate dai sindacati.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro del Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

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Bene ha fatto il gruppo parlamentare The Left- La Sinistra a votare contro la Commissione guidata da Ursula Von der Leyen che nel suo discorso ha confermato la linea guerrafondaia e per il riarmo che accompagna il nefasto impianto antipopolare e antisociale del Patto di Stabilità. La governance neoliberista europea non costituisce un argine all’estrema destra ma è la porta attraverso la quale viene legittimata se disponibile alla guerra. Lo conferma la nomina di Fitto che sarà democristiano ma rappresenta il partito erede del fascismo. Assai grave che il Pd abbia accettato di votare insieme a Fratelli d’Italia e per una Commissione dal programma guerrafondaio e draghiano nel momento in cui è emerso un largo dissenso nei gruppi ma forte è stato il dissenso tra socialisti (25 contro e 18 astenuti) e tra i verdi (20 contro e 6 astenuti), rimpiazzati da 34 membri del gruppo di Meloni, ECR. Schlein dovrebbe tenere a mente che brutta fine fece Bersani seguendo indicazioni del Quirinale. Guerra e austerità sono il terreno su cui cresce in Europa l’estrema destra.
La pessima Commissione Von Der Leyen, figlia della guerra e delle procedure non democratiche che favoriscono il peggiore trasformismo, è stata approvata dal Parlamento Europeo ma fortunatamente perde consensi. Non solo la Commissione prende 30 voti in meno della Presidente. Meloni dunque si accoda a quella UE che ha sempre criticato confermando che i sovranisti sono una variante dei neoliberisti, una delle due tendenze di politiche al servizio del grande capitale. A tenere insieme questa maggioranza c’è il collante del sostegno alla guerra con la Russia, una follia imperialista che rischia di portarci allo scontro diretto e al conflitto nucleare. Ancora una volta il metodo intergovernativo impedisce che la dialettica si svolga in un quadro democratico e spinge a cooptazioni trasformiste. L’unica cosa positiva è che il voto mostra crepe tra verdi e socialisti. Positivo che i verdi italiani – al contrario della maggioranza del gruppo – votino contro. Rifondazione Comunista e il partito della Sinistra Europea propongono un’Europa di pace e diritti radicalmente alternativa a quella rappresentata da Ursula von der Leyen e dalla sua commissione.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea



– Alex Zanotelli, Corrado Oddi, 26.11.2024 -

Lo scontro Con un emendamento al decreto Ambiente, Forza Italia prova a riaprire le porte alla cessione di quote dei gestori pubblici. La destra tradisce il referendum. E prova a fare lo stesso con il nucleare

La destra e il governo ci riprovano. A più di 10 anni di distanza, l’intenzione di archiviare definitivamente il risultato dei referendum del 2011 sull’acqua pubblica continua a essere in cima ai loro pensieri. L’operazione di «smontaggio» della volontà popolare che si era espressa con chiarezza per ripubblicizzare il servizio idrico e togliere l’acqua dalle logiche di mercato era iniziata, in realtà, sin dall’indomani dell’esito dei referendum e a esso si sono dedicati, sia pure con intensità diversa, tutti i governi in carica, ancora da quello di Berlusconi, passando per quelli di Monti, Letta, Renzi. Gentiloni e Conte.

DA ULTIMO il governo Draghi, con il decreto legislativo di riordino dei servizi pubblici della fine del 2022, aveva messo da parte una delle conquiste più significative derivate dal referendum, e cioè la possibilità di gestire il servizio idrico tramite Aziende speciali, Enti di diritto pubblico, che per loro natura fuoriescono dall’ambito societario e privatistico, e che aveva consentito l’importante esperienza della nascita di Abc Napoli.

IL GOVERNO MELONI intende compiere un ulteriore passo, che diventerebbe un colpo praticamente definitivo all’esito referendario, attaccando direttamente le società a totale capitale pubblico, con l’idea di far entrare in esse i soggetti privati. Lo vuole fare con il decreto legge Ambiente «Disposizioni urgenti per la tutela ambientale del Paese, la razionalizzazione dei procedimenti di valutazione e autorizzazione ambientale, la promozione dell’economia circolare, l’attuazione di interventi in materia di bonifiche, di siti contaminati e dissesto idrogeologico».

NELLA BOZZA iniziale di questo decreto compariva una norma, totalmente estranea all’oggetto del decreto, che prevedeva che i capitali privati potessero entrare fino a un tetto del 20% nelle società a totale capitale pubblico. A fronte della pronta reazione del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, il decreto licenziato dal Consiglio dei ministri non conteneva più questa disposizione, ma essa è stata riproposta ora con un emendamento del senatore Paroli di Forza Italia in sede di Commissione Ambiente, che sta esaminando il decreto. Se quest’emendamento venisse approvato, arriveremmo alla completa privatizzazione del servizio idrico, con un ruolo predominante dei soggetti privati e della loro impostazione mercatista.

NON C’È OVVIAMENTE da stupirsi di questi orientamenti, che appaiono coerenti con la linea di politica economica e sociale di questo governo. Alla cui base ci sono scelte che, celate da finto sovranismo e ammantate di linguaggio populista, mettono invece insieme una nuova stagione di austerità che colpisce i ceti più deboli, con la scommessa che una forte apertura al mercato e ai capitali privati, a partire da quelli internazionali, possa produrre un nuovo rilancio della crescita economica. Il governo, peraltro, dovrebbe essere avvertito che il risultato referendario del 2011 non si è esaurito, che esso ha sedimentato un senso comune tra le persone per cui l’idea dell’acqua come bene comune, essenziale per la vita del pianeta e delle persone, continua a essere patrimonio diffuso. E che quello che ci consegna il cambiamento climatico, l’alternarsi sempre più frequente tra stagioni siccitose e fenomeni alluvionali estremi, mettendo a rischio la stessa disponibilità futura della risorsa idrica, non può che rendere ancora più forte.

LO DICIAMO anche a proposito di quanto annunciato dal ministro Pichetto Fratin per arrivare, con l’inizio dell’anno nuovo, a sdoganare il nucleare «sostenibile», quello che si dovrebbe mettere in campo con i piccoli reattori. Anche qui ci troveremmo di fronte a una palese violazione dell’esito referendario del 2011 su questo tema. Il governo deve sapere che provvedimenti che stravolgono la volontà popolare espressa a suo tempo non passeranno immuni in un corpo sociale, certamente provato dalla protervia dello stesso e dal tentativo di spoliticizzarlo, ma ancora in grado di reagire su questioni di fondo, che riguardano direttamente la vita e il futuro delle persone. Almeno, è quanto ci ripromettiamo di far vivere, con la mobilitazione e gli strumenti che si rendessero necessari.