Acerbo (PRC): il governo spia i partiti di opposizione, ong, giornalisti. Siamo tornati all’OVRA?
La rivelazione di una maldestra infiltrazione di un agente di polizia denunciata dai compagni di Potere al popolo arriva dopo il caso Paragon - Mediterranea e tRifondazione Comunista
Dopo la fine del comunismo storico novecentesco
di Diego Giachetti - Il libro, André Tosel, Sulla crisi storica del marxismo. Saggi, note e scritti italiani, a cura di Sergio Dalmasso, pubblicato da MimesRifondazione Comunista
Il ruolo di Ingrao nella storia del comunismo italiano
di Franco Ferrari - Pietro Ingrao fu per tutta la sua vita politica un dirigente di primo piano del Partito Comunista Italiano anche se il suo ruolo nella prRifondazione Comunista
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Acerbo (PRC): Adelmo Cervi ha il diritto di insultare La Russa
Se c'è qualcuno che fa continuamente e scientemente provocazioni è il Presidente del Senato La Russa. Adelmo Cervi è il figlio di Aldo, uno dei sette fratelRifondazione Comunista
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Referendum, PRC: I sindaci scrivano a cittadine/i
Apprezziamo che molti sindaci - in particolare quelli aderenti a Ali - abbiano sottoscritto un appello al voto referendario. Riteniamo però che i sindaci eRifondazione Comunista
Questo referendum s’ha da votare
di Andrea Fumagalli e Cristina Morini - Oh San Precario, Protettore di noi, precari della terra Dacci oggi la maternità pagata Proteggi i dipendenti dellRifondazione Comunista
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Acerbo (Prc): oggi a Milano contro fascisti europei
"Oggi partecipo a Milano alla manifestazione unitaria 'nessuno spazio per l'odio' confessando la mia personale contraddizione: come John Belushi io odio i nazisRifondazione Comunista
Silvia Conca*
Il 17 maggio 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità rimuove l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. Per ricordare questo storico traguardo, che ha rappresentato il primo passo in un lungo processo di contrasto alla patologizzazione (e, quindi, alla disumanizzazione) delle persone LGBTQIA+, dal 2004 il 17 maggio ricorre la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.
Il 17 maggio 2025 si configura, però, in maniera completamente diversa dal 17 maggio 2024. È cambiato il mondo, eppure in Italia si fatica a percepire questa fase non come un incidente di percorso, ma come una trasformazione epocale, forse per evitare di prendere atto degli errori strategici che hanno reso fragilissime le grandi conquiste di questi decenni. I nemici delle persone LGBTQIA+ sono molti e seguono strade diverse. Qualcuno di loro si è persino camuffato da amico.
Bisogna riconoscere che l’attacco in corso ai diritti e all’autodeterminazione è una morsa che stringe da più lati, quindi è necessario che ci si difenda da più lati, collocando le politiche omolesbobitransfobiche italiane nello scenario globale e individuando le alleanze sociali che le sostengono, per costruire alleanze altrettanto ampie e forti.
Da Putin a Orbán
L’unico cambiamento di scenario a essere percepito pienamente come dirompente e distruttivo nel movimento italiano sembra essere il cambio di passo avvenuto in Ungheria.
Orbán a marzo del 2025 vieta i Pride, cioè perseguita la comunità LGBTQIA+ come soggettività capace di rivendicare i propri diritti, di entrare nel dibattito pubblico e di interloquire con la società. Si tratta della stessa omolesbotransfobia istituzionale sperimentata da anni in Russia attraverso la cosiddetta “legge contro la propaganda omosessuale”. L’attacco è verso i diritti politici, per evitare che si producano avanzamenti nei diritti civili, sociali e umani.
L’Europa e le sue diverse istituzioni sono state per molti anni lo spazio politico di riferimento dell’associazionismo LGBTQIA+ italiano, un porto sicuro per ottenere diritti anche in presenza di governi ostili o timidi. Senza la sentenza del 2015 della Corte Europea dell’Uomo, probabilmente non avremmo avuto le unioni civili. Vedere il modello russo sconfinare in uno stato membro dell’Unione Europea ha prodotto nel nostro paese una grande paura e una pronta risposta: la solidarietà alla comunità LGBTQIA+ ungherese è centrale nella piattaforma della mobilitazione nazionale del 17 novembre.
La spada di Damocle del modello russo, però, rimanda a questioni più ampie che scuotono il nostro continente. Ampia è stata, sulla carta, l’adesione dell’associazionismo LGBTQIA+ alla manifestazione convocata da Michele Serra il 15 marzo e dedicata a un’Europa dei sogni che non è né l’Europa di Maastricht, né tanto meno l’Europa di ReArm Europe.
Positiva e non scontata, invece, è stata l’adesione dell’associazionismo alla rete No DDL sicurezza, che colloca il movimento in una lotta più generale contro il restringimento dei diritti politici, che in Italia non parte dalla repressione delle soggettività LGBTQIA+ come in Ungheria e in Russia, ma punta sulla limitazione del diritto a manifestare di tutti e tutte. Quello che è necessario ammettere, però, è che Meloni non sembra seguire la strategia di Orbán e che l’omolesbotransfobia istituzionale in Italia sta seguendo altre strade.
Un altro segno positivo è che sono state raccolte le firme necessarie (più di un milione) per chiedere di mettere al bando in Unione Europea le cosiddette terapie di conversione o terapie riparative, che di sicuro non vengono praticate solo nei paesi del Gruppo di Visegrád.
Dalle multinazionali a Trump
Nelle poche settimane intercorse tra l’elezione di Trump a novembre del 2024 e il suo insediamento a gennaio del 2025 abbiamo assistito a un riposizionamento incredibile: le multinazionali che per anni hanno fatto rainbow washing sponsorizzando i Pride e usando i/le dipendenti LGBTQIA+ organizzati in “affinity groups” per popolarne i cortei con il loro marchio aziendale hanno improvvisamente cancellato le loro politiche di Diversity, Equality and Inclusion (DEI). Quei padroni che per anni si sono spacciati come progressisti hanno mostrato di essere lupi travestiti da agnelli e hanno applicato il “Project 2025” quando ancora Trump negava che fosse il suo programma politico.
All’insediamento del 20 gennaio Trump ha emesso una serie di ordini esecutivi: uno ha cancellato ogni singolo ordine esecutivo dell’amministrazione Biden che intervenisse sulla lotta alle discriminazioni, uno ha eliminato ogni riferimento alle persone LGBTQIA+ dai siti internet governativi, uno ha dichiarato che le istituzioni federali avrebbero da quel momento in poi riconosciuto l’esistenza immutabile del solo sesso maschile e del solo sesso femminile e uno ha vietato le politiche DEI in tutte le agenzie federali.
In questi mesi ha emesso una serie infinita di ordini esecutivi omolesbobitransfobici, oltre ad agire in maniera decentrata nelle singole agenzie tramite il DOGE di Elon Musk.
L’attacco ai diritti sociali (lavoro e salute) delle persone LGBTQIA+ e in particolare delle persone trans è fulcro dell’alleanza tra Trump e Musk e si configura come il primo passo per la distruzione di ogni forma di democrazia negli Stati Uniti. Cancellare le politiche DEI ha significato licenziamenti di massa tra i dipendenti pubblici appartenenti alle minoranze, al fine di svuotare dall’interno le agenzie governative e di procedere con la privatizzazione integrale di qualsiasi funzione pubblica. Come Putin e Orbán, Trump parte dalle persone LGBTQIA+ per far affermare un modello autoritario e reazionario di società, ma lo fa intervenendo direttamente in ogni singolo ambito con misure mirate e con un’alleanza strategica potentissima.
Questa azione sinergica tra destre neoreazionarie e padroni in Italia non sembra interessare. Nell’assemblea preparatoria per organizzare il 17 maggio era stato istituito un tavolo tematico che teneva insieme lavoro e attacco ai diritti democratici, ma questa connessione è sparita nella piattaforma della manifestazione. È rimasto Orbán, ma Trump è sparito. È rimasta la paura per l’attacco da parte del nemico di sempre all’Europa dei sogni, ma non emerge alcuna paura per ciò che sta nascendo in seno all’Occidente dei sogni.
Costa molto ammettere che, facendo sponsorizzare i Pride alle multinazionali, il movimento ha a sua volta sponsorizzato chi si sta schierando col nemico. Costa molto ammettere che attraverso le politiche DEI e gli “affinity group”organizzati dalle aziende i lavoratori e le lavoratrici LGBTQIA+ hanno messo il loro destino nelle mani dei padroni in un’alleanza illusoria e fragilissima.
Il Milano Pride l’anno scorso per la prima volta ha emesso un comunicato in cui motivava e difendeva la presenza degli sponsor alla sua parata. La settimana scorsa ne ha emesso un altro in cui ha ammesso che gli sponsor si sono volatilizzati. Se davvero i contributi economici degli sponsor finanziano per tutto l’anno i checkpoint gratuti per le malattie sessualmente trasmissibili, lo sport inclusivo, gli sportelli di sostegno, gli eventi culturali, l’assistenza legale, forse sarebbe il momento di considerare che il compito del movimento dovrebbe essere quello di lottare contro la dismissione generale dello stato sociale, affinché esso si prenda carico in maniera specifica delle esigenze di una comunità che non può dipendere dalle elemosina volatili di qualcuno per esercitare i suoi diritti.
La questione, come sempre, non è che “la lotta per i diritti civili deve andare di pari passo con quella per i diritti sociali”, ma che l’intreccio è inestricabile.
È in questo intreccio che si colloca l’omolesbobitransfobia istituzionale del governo Meloni.
Le scelte del governo Meloni
Nella morsa globale alla comunità LGBTQIA+ che abbiamo descritto c’è un filo conduttore, nonostante le strategie differenti: la retorica sulla tutela dei minori. Vale per Putin come per Trump e rappresenta il filo conduttore dell’omolesbotransfobia istituzionale praticata dal governo Meloni in questi anni.
Che si tratti dell’ispezione all’ospedale Careggi o del DDL Sasso, della nomina di Marina Terragni a Garante per i diritti dell’infanzia o della legge Varchi, lo spauracchio di fondo è identico. Peccato che questi provvedimenti colpiscono bambin* e ragazz* in carne e ossa, nel loro diritto alla salute, all’istruzione o a vedere riconosciuta la loro famiglia.
Non è una novità, la psicosi antigender è stata diffusa ad arte da tempo ed ha infiltrato anche il dibattito sui pochi diritti che si sono affermati nel nostro paese in questi anni. Le unioni civili sono monche per la questione della stepchild adoption. Centrale nell’affossamento del DDL Zan è stata la questione del contrasto all’omolesbobitransfobia nelle scuole. Se le forze politiche omolesbobitransfobiche diffondono la psicosi antigender, le forze “friendly” non sembrano avere gli anticorpi per contrastarla nemmeno nel loro dibattito interno, figuriamoci nella società. Persino alcune organizzazioni lesbofemministe hanno fatto propria quella retorica, stabilendo interlocuzioni ormai stabili con le destre e ostacolando l’approvazione del DDL. Il risultato è che ancora non abbiamo una legge per contrastare in ogni ambito le discriminazioni, le violenze e l’odio.
L’associazionismo ha convocato gli altri movimenti (femminista, antirazzista etc.) all’assemblea preparatoria per il 17 maggio. Noi abbiamo partecipato all’assemblea e a tutti i tavoli tematici, ma i movimenti non hanno risposto. L’intento era giusto e va perseguito ancora, nella consapevolezza che il lavoro di connessione sarà lunghissimo e deve essere centrale nella strategia del movimento LGBTQIA+. Non si può perseguire l’alleanza con gli altri movimenti e contemporaneamente andare in audizione dalla ministra Roccella. Non si possono contestare le interlocuzioni di ArciLesbica, che tante divisioni e tanti arretramenti hanno portato allo stesso movimento LGBTQIA+, per poi replicarle.
Le alleanze politiche e sociali perseguite in questi anni stanno mostrando tutta la loro volatilità. Chi si definiva amico si è schierato con i nemici o si è fatto travolgere dalla loro stessa retorica.
Da una parte ci sono i sistemi di dominio, dall’altra le soggettività oppresse. È arrivato il momento di schierarsi e unirsi, prima che ci travolgano.
*CPN
17 maggio: quali alleanze contro l’omolesbobitransfobia?
Silvia Conca* Il 17 maggio 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità rimuove l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. Per ricordare questoRifondazione Comunista
di Laura Tussi
Pacifista, Renato Accorinti da sempre lotta in favore degli ultimi, per i diritti umani, per un mondo migliore. Sindaco di Messina dal giugno 2013 a giugno 2018 e della città metropolitana di Messina dal 2016 al 2018, è tra i fondatori del movimento “No Ponte”, che si oppone alla costruzione del Ponte sullo stretto di Messina. In questa intervista lancia la proposta di un Ministero della pace.
La proposta che hai fatto in piazza dell’Unione Europea a Messina in cosa consiste?
Partiamo dall’inizio.
Da molti anni avevo pensato di proporre l’istituzione di un Ministero della Pace, proposta che però è rimasta chiusa in un cassetto.
Negli ultimi anni, per la prima volta avvertiamo la paura della guerra reale tanto che il tema del riarmo è argomento quotidiano a livello europeo.
Farsi prendere dalla paura non serve.
Ma cosa possiamo fare? Come opporci alla corsa forsennata e criminale al riarmo che porta a una inesorabile escalation militare e nucleare?
Noi cittadini abbiamo un ruolo fondamentale, votiamo per eleggere persone responsabili, ma possiamo anche fare proposte utili per la collettività.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale tutta l’umanità voleva mettersi alle spalle l’orrore, il dolore, la morte. Non a caso tutte le più importanti istituzioni come l’ONU, la nostra Costituzione, la Carta dei diritti dell’uomo sono nate per dire “no” alla guerra e per avere Pace.
Queste altissime carte dei diritti umani sono l’emblema del diritto alla pace. Perché di diritto si tratta per l’umanità intera che sogna di vivere nella felicità senza la paura delle guerre e dei conflitti nucleari.
Nella nostra Costituzione l’articolo 11 ( “l’Italia ripudia la guerra”) e l’articolo 3, che parla di libertà ed uguaglianza, ci ricordano di non distrarci, di tenere sempre presente e alto il valore dei valori: la Pace.
Renato Accorinti con il tuo importante impegno di una vita per la nonviolenza vuoi lanciare la proposta di un Ministero della pace sia a livello nazionale sia Europeo. In cosa consiste questo progetto ambizioso che sfiora l’utopia?
In concreto, il Ministero della Pace deve diventare il più grande laboratorio di idee, di proposte, di percorsi educativi, per stimolare le nuove generazioni e non solo, a essere pacifiche, a credere nel genere umano, nell’interculturalità che arricchisce, nell’incontro tra le religioni, per attuare e approfondire la nonviolenza come stile di vita. E tanto altro!
Come agisce e come si declinano le istanze pacifiste e nonviolente del Ministero della Pace?
Il Ministero della Pace dà vita a un percorso di maturità e trasformazione che si nutre dell’interagire con gruppi e associazioni e singoli cittadini per poter generare proposte concrete e favorire nel tempo un clima pacifico nell’intera società, liberandoci dall’enorme aggressività tossica che respiriamo ovunque.
Il Ministero della Pace ribalta il vecchio modello pericoloso e costosissimo dell’armarsi sempre di più per avere “sicurezza”, con la proposta dirompente del percorrere la potente via della saggezza pacifica, che crede nel genere umano e nella sua umanità.
È un percorso culturale lento, virtuoso e profondo, che dobbiamo fare tutti insieme, istituzioni e cittadini, per iniziare a cambiare prima ognuno di noi, e costruire un futuro colmo di umanità e di gioia.
Dobbiamo avere consapevolezza che la democrazia, come la libertà e la pace, non sono conquistate e acquisite per sempre, ma vanno protette e alimentate con il nostro impegno deciso e amorevole tutti i giorni.
Diamo dignità alla sacralità delle istituzioni. Siamo concreti come dei sognatori come diceva Gaber.
Insieme faremo crescere questa proposta per poi chiedere ai partiti di discuterla in Parlamento per farla diventare realtà.
Chiederemo anche di creare il Ministero della Pace al Parlamento Europeo e a tutti i 27 stati membri.
Tutto questo è solo l’inizio, un primo passo per far crescere il desiderio di vedere concretizzato il Ministero della Pace.
Contribuiamo con pensieri e idee inviandoli a nonviolento@hotmail.com o a renatoaccorinti@gmail.com
Se questo pensiero prenderà forma, ci confronteremo di presenza per farlo diventare una proposta politica ufficiale.
L’ex sindaco pacifista di Messina Renato Accorinti lancia la proposta dell’istituzione di un Ministero della Pace
di Laura Tussi Pacifista, Renato Accorinti da sempre lotta in favore degli ultimi, per i diritti umani, per un mondo migliore. Sindaco di Messina dRifondazione Comunista
Stefano Galieni*
Se ne è andato un compagno di tante lotte condivise e resto, mi si scusi se parlo in prima persona, attonito, addolorato, indignato, incredulo. Se ne è andato alla vigilia dell’anniversario della Nakba, quante volte ne avevamo parlato, e nei giorni in cui il governo israeliano vuole ripetere, mentre continua il genocidio, l’ennesima deportazione di uomini donne e bambini che sono e saranno sempre Palestina. Ci conoscemmo quando si stava profilando la prima Intifada, quando la gente di Gaza e Cisgiordania, decise di non accettare più una finta pacificazione fondata sull’occupazione militare, sulla demolizione di case e ulivi, sulla costruzione di insediamenti per coloni, provenienti dall’Est Europa, sul tentativo di annientare ogni diritto all’esistenza della sola parola Palestina. Quasi 40 anni fa, quella che venne chiamata la “rivolta delle pietre”, perché a mani nude, lanciando sassi contro i carrarmati, ragazzini, adolescenti, cadevano sotto i colpi di mitra di uno degli eserciti più potenti del mondo. Ali Rashid era per noi allora giovani e solidali con la causa palestinese, un punto di riferimento, di confronto, di dibattito a volte anche aspro ma sempre fecondo. Era allora Primo segretario della delegazione palestinese in Italia, l’uomo, il compagno, a cui chiedere “cosa possiamo fare?” Da uomo di pace, quale è sempre stato, si spese per una idea bella e geniale, il progetto “kufia, matite per la Palestina”, realizzata con Il Manifesto. Una mostra di disegni realizzati da italiani, palestinesi e israeliani ad indicare con l’arte la via per porre fine a quell’eccidio quotidiano. Girammo nelle città palestinesi e israeliane, dove imperversavano già da allora i controlli e la repressione, scortando e difendendo la mostra, sia in città palestinesi che in luoghi israeliani votati alla pace e alla fine dell’occupazione. Da quella prima visita nacque, un altra, che oggi sarebbe considerata folle, piccola grande idea di internazionalismo solidale. Mettemmo in piedi, con compagne e compagni provenienti da diverse esperienze politiche, un gruppo chiamato Al Ard, (La Terra), andavamo nei Territori Occupati e a Gaza, ci mettevamo in contatto, con l’aiuto di interlocutori delle diverse forze politiche, con piccole cooperative, soprattutto composte da donne, che operavano nell’agricoltura, per sostenerne economicamente microprogetti di sostegno, un macchinario, un materiale, quello che era impedito avere a causa di politiche di embargo israeliano. Lui da Roma ci dava indicazioni, ci seguiva dove non poteva venire fisicamente, garantiva sulla nostra affidabilità. Intrecciammo rapporti con una resistenza laica e progressista, vedemmo con i nostri occhi come l’occupante, per indebolire l’Olp, iniziava a contrastare ogni forma di aggregazione e di istruzione, chiudendo le scuole e le università pubbliche e contemporaneamente sostenendo le moschee. Ogni volta che si tornava a casa, dopo uno dei tanti viaggi, portavamo con noi un bagaglio di storie che ancora oggi, anche se in molti ci siamo persi di vista, ci accomunano. E provammo anche a praticare quella disobbedienza civile che tanto irritava la forza militare, con Giovanni Russo Spena, allora parlamentare, che si incatenava davanti alle case, per impedirne l’abbattimento. Ali ci incitava, ci consigliava, si preoccupava dei rischi che correvamo, ma il legame che ci unì allora rimase inalterabile. Le serate a casa sua, a parlare e a sperare in un futuro migliore, al sogno di poter rivedere un giorno la Gerusalemme dei suoi genitori che lui, nato in Giordania, non aveva visto. Ogni incontro era un’immersione a volte disincantata, in una infinita cultura politica. Misurava le parole cogliendone il peso e la gravità ogni volta, non accettava la faciloneria con cui spesso si costruivano etichette o stereotipi. Fu naturale ritrovarlo in Rifondazione Comunista, anni dopo, quando, dopo il fallimento degli accordi di Oslo, si iniziarono a perdere le speranze e lo stesso contesto palestinese cambiava. Gioimmo riuscendo ad eleggerlo in un Parlamento in cui almeno la voce della Palestina si potesse sentire nitida e chiara, scandita dalle sue pause e dalla sua innata saggezza. Da Ali imparai quanto si può dissentire politicamente, compiere scelte diverse, ma conservare insieme alla stima e all’affetto, la capacità di guardare oltre il presente, di preservare quel prevalente comune che univa tutte e tutti coloro che lottano per le cause dei popoli oppressi come per le ingiustizie quotidiane nostrane. Non ci siamo mai persi ed ogni volta era un abbraccio, un ricordarsi privo di nostalgia una conferma di come in fondo i legami veri restano e non possono essere vanificati. Le storie, il tempo, gli anni che trascorrevano, ci hanno portato anche a sorridere degli scontri che ci è capitato di avere, di ricordare con amarezza le occasioni perse e gli errori compiuti, di continuare a compiere una ostinata ricerca nel presente, quello buio e cupo che incontravamo, per riannodare i fili, per ricominciare, per non arrendersi. Ed Ali Rashid non si è mai arreso. Gli anni lo avevano reso ancora più lucido e profondo, lo avevano portato a raccontarsi, lui solitamente riservato nel mostrare le cicatrici, facendo emergere ricordi di ragazzo, la pesantezza dell’esilio, la scoperta dell’impegno politico come antidoto potente all’autodistruzione. Aveva lasciato da anni la sua casa di Roma in cui ci si incontrava prima di partire, per avere consigli e far giungere messaggi a chi occupava ruoli particolari in patria. Si era trasferito nella tranquillità umbra dove scriveva, da cui instancabile, si muoveva, sempre con la voglia di far conoscere al mondo della solidarietà popolare che non ha mai smesso di esistere, la profondità della tragedia umana, politica, sociale e culturale che da quasi ottanta anni ormai nega ogni possibilità di gioia, di futuro, di speranza. Riprendere insieme il cammino politico durante le ultime elezioni europee, con la lista Pace Terra Dignità, fu una ovvia convergenza, gli si leggeva ancora come tanti anni fa, quella luce mai spenta nell’impegno politico e sociale, nonostante tutto e nonostante tutti. Ci ha lasciato all’improvviso, senza un segnale, ed è difficile credere che sia vero. Ci ha lasciato più poveri ma tante e tanti altri raccoglieranno il suo grande esempio. Ne sono certo.
*Unità 15 maggio
Ciao Compagno Ali Rashid, non temere: non lasceremo sola la tua Palestina
Stefano Galieni* Se ne è andato un compagno di tante lotte condivise e resto, mi si scusi se parlo in prima persona, attonito, addolorato, indignato, incredRifondazione Comunista
Helios Magazine. Intervista con Laura Tussi e Fabrizio Cracolici
Pino Riotta* Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, coppia nella vita e nell’impegno per cercare di portare all’attenzione delle giovani generazioni i temi deRifondazione Comunista
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Libertà per Öcalan – Una soluzione politica per la questione curda
CONFERENZA INTERNAZIONALE - Libertà per Öcalan - Una soluzione politica per la questione curda - Venerdì 11 aprile 2025 15:00 - 16:00 Apertura: DiscRifondazione Comunista
Nome di battaglia “Luce”. Il coraggio di una staffetta partigiana
di Alba Vastano - La Resistenza passi da ricordo dei protagonisti a memoria delle nuove generazioni (Luce) Luciana Romoli, nome di battaglia ‘Luce’, cRifondazione Comunista
Radio MIR. Sinistra, nuovi scenari di guerra e difesa dei diritti
I mutati scenari di guerra stanno travolgendo l'ordine mondiale creato dopo la fine dell'Unione Sovietica. La globalizzazione sia dei diritti che dell'economiaRifondazione Comunista
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Stefano Galieni
C’è un’idea, che cerca di tradursi in vero e proprio impianto ideologico fondativo, che sta attraversando tutta l’Europa e che si esprime ai massimi livelli in paesi culturalmente e politicamente oggi fragili come l’Italia. Ai valori della destra dichiarata, che si richiamano ad un nazionalismo esasperato, ad un culto della “patria bianca e cattolica”, fa da contraltare il pensiero rabberciato di un sedicente mondo progressista e democratico che ha trovato un suo apogeo nella Piazza del Popolo del 15 marzo scorso, che poneva al centro del proprio esistere l’idea di Europa. Ma quale Europa? Non certo quella di Ventotene e nemmeno quella che, negli anni della decolonizzazione, della scoperta di una produzione culturale e politica diffusa e plurale, si apriva al mondo e si interrogava. L’Europa della guerra si fa “nazione” e ribadisce in maniera ignorante, arrogante e suprematista, la propria centralità presente, passata e futura. Poco importa se nel presente l’UE è frammentata e divisa e se nel futuro è destinata ad essere un continente vecchio, probabilmente in via di estinzione, l’importante è affermare che tutto quanto c’è di migliore sul pianeta sia considerato merito e quindi ad esclusivo appannaggio di questa misera porzione di mondo. Inutile analizzare le contraddizioni dei personaggi che si sono alternati sul palco della piazza romana, addobbata di bandiere UE, (perché Unione ed Europa sono considerati sinonimi anche nei confini), questo è quanto la cultura mainstream e di mercato impone oggi come unica, conformista, proposta e i protagonisti non meritano neanche di essere citati. Ma una riflessione è urgente e necessaria, da sinistra, per affrontare il nodo non risolto di una battaglia delle idee che in tali ambiti non ha né spazio né diritto di cittadinanza. E si prova a partire da una concezione rattrappita della storia, imbottita di eurocentrismo in salsa bellica, secondo cui arte, cultura, sono esclusivo patrimonio “nostro”, il resto del mondo non avrebbe, in base a tale concezione, prodotto mai nulla di rilevante. Un principio sconcertante che fa tabula rasa di civiltà millenarie, con cui abbiamo relazioni di ogni tipo ma che si prova a considerare da questo punto di vista subalterne e soprattutto incompatibili. Si prova a dimenticare il fatto che le prime tracce di scrittura giungono dal mondo sumero. E ovviamente si rimuove il fatto che il primo testo scritto di cui si ha notizia risalga al 2880 AC ad opera di Ptahhotep, visir di un faraone della V dinastia. Le cifre con cui facciamo oggi di conto, i metodi utilizzati per i complessi calcoli che regolano la nostra vita, sono arabe al punto che lo stesso termine “algebra” (unione o completamento), utilizzato dal matematico persiano Muḥammad ibn Mūsā al-Khwārizmī, risalgono a circa 1300 anni fa. I suoi studi affondano le radici nella storia millenaria dell’Antico Egitto e delle civiltà mesopotamiche, ma questo sembra, è il caso di dirlo, non contare nulla.
Un razzismo di fondo che ha radici nella storia europea, ma che sembrava essere stato affrontato nei decenni passati, almeno da una parte del mondo culturale e artistico più aperto, sembra essere stato rimosso con un colpo di spugna. Si cerca di re-imporre, sempre secondo una logica di dominio, l’idea che il pianeta non sia mai stato plurale, che i paesi esistenti fuori dai confini della nostra fortezza, non abbiano radici in civiltà millenarie, si pensi a Cina, Giappone, Subcontinente indiano, si cerchi almeno di conoscere quanto accaduto nell’America precolombiana o nel continente africano prima delle invasioni europee e tanto altro ancora. Invece prevale uno sguardo miope, ipocrita e patetico, utile unicamente a lasciare l’illusione che ancora oggi possa avere un futuro un continente che ha vissuto per secoli sulla depredazione e i genocidi. Recentemente è stato pubblicato per “Asino d’oro”, un gran bel libro di ricerca interdisciplinare sulle radici del razzismo, dal titolo “Esseri umani uguali”- Nel volume si alternano spunti di ricerca in merito alle diverse forme di razzismo italiano, partendo da approcci fra loro, solo apparentemente, distanti (medicina, filosofia, attualità politica) intervallati da interviste a personalità del mondo intellettuale che hanno subito o subiscono ancora, forme di discriminazione fondate sul colore della pelle. Il testo, molto puntuale e frutto dell’interconnessione fra diversi autori e autrici, a loro volta provenienti da esperienze diverse, tocca un punto, ad avviso di chi scrive, nodale, nel capitolo inerente alla filosofia. Ci si interroga sulla nascita del razzismo (si pensi alla definizione dei popoli “barbari, in cui peraltro rientravano buona parte di quelli europei) per giungere all’illuminismo di Voltaire fino ad incontrare padri del pensiero filosofico moderno come Hegel e Kant. La filosofia di quel periodo – e poco è cambiato nel secolo successivo – è coeva all’epoca delle esplorazioni, soprattutto in Africa, che immediatamente si traducevano in espansione coloniale, nella tratta degli schiavi, nell’accaparramento delle risorse. Gli imperi sorti su tali rapine si fondarono sulla presunzione che, nei filosofi citati già trova compiutezza, secondo cui le popolazioni con cui si veniva a contatto non avevano storia, non erano composte da veri e propri esseri umani, andavano civilizzati, costretti alla religione dominante (quella cristiana con le sue varianti), comunque appartenevano ad un’altra specie – si utilizzava la parola “razze “da considerare inferiori, al massimo adatte a lavori di fatica e su cui esercitare il comando dell’uomo bianco. Nelle elucubrazioni di chi non entrò poi mai fisicamente nel “Cuore di tenebra” di Conrad, si passò dalla costruzione del mito del “buon selvaggio” di Rousseau, non contaminato dal peccato originale, ad una demonizzazione di persone considerate prive di freni inibitori, pigri, indolenti, da educare, magari con la frusta, come eterni bambini. L’espansione coloniale permise di estendere tale concezione su gran parte del pianeta che venne considerato semplicemente non solo inferiore ma senza storia. Non bastarono le scoperte scientifiche, architettoniche, astronomiche, prodotte nell’America precolombiana né tantomeno l’incontro con realtà complesse in termini di cosmogonia e di visione del mondo come quelle dell’India eccetera.
Molto più tardi e anche grazie all’esplosione dei grandi movimenti di decolonizzazione, si dovette fare i conti con l’ampiezza straordinaria di chi aveva percorso strade simili a quelle europee, con qualche migliaio di anni di anticipo. E se il Ramayana, primo poema redatto in sanscrito di cui si rintraccia l’autore, Vālmīki, risale probabilmente al II secolo AC, gli scritti di Confucio, in Cina al 770 AC, quasi in contemporanea alla leggendaria nascita di Roma. Sono ignoti gli autori de Il libro dei morti, raccolta di formule elaborata intorno al 1550 AC. Questi esempi non vogliono servire a stabilire primazie, quanto a far digerire a coloro che celebrano l’Europa come alfa e omega di tutto, che la letteratura, come ogni altra forma di espressione umana, ha origini poligenetiche e si è sviluppata in base a contesti diversi. E così le forme di organizzazione politica, chi era in Piazza del Popolo ignora o ha dimenticato che l’Impero del Mali, nell’Africa Occidentale, ha origini nel nostro Medioevo XIII secolo, e raggiunse, prima dell’arrivo degli europei, una popolazione di quasi 50 milioni di persone. Ancor prima, nell’VIII secolo AC in quella che i romani denominavano poi Nubia, nacque un regno, D’mt, da cui trae origine l’attuale Etiopia. Questo mentre il “celeste impero” della Cina nasceva nel III secolo AC, tardi se confrontata con la Civiltà della valle dell’Indo, 3000 anni AC, in parallelo con il mondo mesopotamico e in piena età del bronzo. E perché ignorare gli olmechi che costituirono, nell’area mesoamericana, odierno Messico, una delle prime civiltà pre-colonizzazione, fra il 1400 e il 400 a.c.? Ancora va ripetuto, non si tratta di assegnare quanto di togliere primati ed abolire gerarchie atte a motivare ogni forma di oppressione e discriminazione. Se la piazza dell’Europa si forma sul principio di essere fondante del pianeta, dimostra un’arretratezza e uno spirito neocoloniale e profondamente razzista mai superato. E va notato come nelle performance in cui si sono esibiti i rappresentanti di questa “Europa Make Again”, siano spariti gli immensi romanzieri russi che è assurdo non ascrivere anche al patrimonio culturale collettivo. La logica di guerra e di costruzione del nemico porta addirittura a dimenticare coloro che fino a pochi anni fa erano importanti partner, passi per i paesi nordafricani che si affacciano sul Mediterraneo, abbandonati al loro destino e considerati estranei da almeno 60 anni, ma se anche Cechov, Dostoevskij e Tolstoj, devono sparire dall’orizzonte, tutto diviene più ridicolo. Come se durante la Seconda guerra mondiale tutte le potenze alleate avessero deciso, di comune accordo, di bandire Dante, Petrarca o Mann. Quello che da alcune voci di quella piazza, le più autocentrate, è messo da parte, attiene anche al non rendersi conto che già da decenni, ma ancor più oggi, il processo iniziato con la conquista – non scoperta – delle Americhe e a seguire con la spartizione del pianeta, è irrimediabilmente finito ed oggi l’UE, anche militarmente ed economicamente, è una forza fra le altre, in cui si concentrano ancora le ricchezze del mondo ma che non ha alcuna reale spinta propulsiva.
Ma, da ultimo, siamo convinti veramente che tale approccio costituisca una dimostrazione di inadeguatezza che attiene unicamente all’Europa guerrafondaia di destra o liberal progressista? Se mi si permette un punto di vista individuale, nutro seri dubbi. Anche nella nostra sinistra internazionalista e contraria alle guerre, permangono elementi, dovuti certamente anche alla scarsa conoscenza ed a una micidiale depoliticizzazione del Paese che avviene in contemporanea con una sua profonda mutazione in senso pluriculturale della società. Dietro ai tanti “nuovi visi” che incontriamo, spesso ci sono millenni di storia e formidabili esperienze politiche, artistiche, letterarie, musicali, frutto di cosmogonie composite di cui ignoriamo completamente l’esistenza. Da decenni è giunto il tempo, mai completamente affrontato, di una decolonizzazione della nostra cultura, della presa d’atto che questa costituisce una forma sociale aggregante ma non l’unica, che la sola soluzione è nel riconoscerne in maniera paritaria, evitando, ovviamente ogni relativismo, le altre esperienze in circolazione. Decolonizzare non è unicamente riconoscere i crimini commessi dai propri passati governanti quanto, soprattutto, guardare al presente e al futuro con occhi radicalmente diversi. Magari pronti a scorgere nell’intuizione politica, economica, artistica, ecologista, femminista, che arriva da diversi angoli del pianeta, una chiave per comprendere se stessi e per affrontare il futuro non in solitudine ma nella complessità, con l’intenzione di cambiare il mondo, non in nome di una “civiltà” ma in quello di un’alternativa prospettiva per tutte e tutti.
In nome dell’Europa, una supremazia mai esistita
Stefano Galieni C’è un’idea, che cerca di tradursi in vero e proprio impianto ideologico fondativo, che sta attraversando tutta l’Europa eRifondazione Comunista
Queste le parole del ministro Nordio dopo i femminicidi di Ilaria Sula e Sara Campanella: “Purtroppo il legislatore e anche la stessa magistratura possono arrivare entro certi limiti a reprimere questi fatti che si radicano probabilmente nella assoluta mancanza, non solo di educazione civica, ma anche di rispetto delle persone. Soprattutto per quanto riguarda giovani o giovani adulti di etnie che magari non hanno la nostra sensibilità soprattutto verso le donne. Questa è questione di educazione”.
Ci troviamo di fronte a un ennesimo e inaccettabile tentativo di etnicizzazione della violenza. La maggior parte dei femminicidi avviene proprio in contesti nativi, ma Nordio, dopo la mossa inutile della creazione del reato specifico di femminicidio, ritiene solo necessario esprimere il proprio razzismo borghese, dimostrando di non conoscere nemmeno il fenomeno di cui parla. I femminicidi sono un fenomeno italiano, relazionale, familiare, ed è necessario un piano culturale, psicologico ed educativo adatto da parte del governo. Piano che non esisterà mai.
Le donne e le ragazze non sono tutelate in modo appropriato da nessun punto di vista: dal lavoro alla propria stessa possibilità di sopravvivenza, in un contesto patriarcale sempre più esasperato. La soluzione non è certo quella di evocare un’astratta “educazione civica”.
Al razzismo e classismo di Nordio fa eco Marina Terragni, che si autodefinisce “femminista” ed è neo-Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza su incarico governativo. Terragni ritiene le tendenze violente un problema psicoanalitico, da trattare, si suppone, a pagamento, e senza sensibilità e aiuto da parte dello Stato; ma prima di tutto in famiglia: “I corsi di affettività, come osserva Massimo Ammaniti, decano degli psicanalisti, possono ben poco: non si tratta di teoria, ma di un ‘lessico emotivo’ che si apprende fin dalla più tenera età nella dinamica concreta degli affetti familiari.” Quanto alle donne, imparino da sole!: “Mentre le ragazze devono imparare a riconoscere per tempo quei segnali – il possesso, la gelosia ossessiva – che preludono al gesto violento. E a chiedere aiuto prima possibile”. Tutto viene risolto così, con la responsabilità personale delle ragazze. Imparino, le ragazze, a risolvere tutto nel privato, perché una Autorità Garante non è in grado di dire altro su chi le sta uccidendo se non ovvietà psicoanalitiche da salotto.
Rifondazione Comunista, conscia che l’educazione all’affettività nelle scuole è stata monopolizzata da gruppi neofondamentalisti misogini ed antiabortisti come i Provita, sostiene il diritto a un’ educazione pubblica all’affettività, laica e stabilmente curricolare. Educazione che sia in grado di intercettare e comprendere, ma anche di orientare le persone verso vite senza fantasmi patriarcali e oppressione, molestie e violenza.
Non crediamo in una società che si sensibilizzi solo con serie Netflix, pur pregevoli, come Adolescence. I doveri di uno Stato sono quelli di costruire pratiche efficaci di prevenzione. Sosteniamo che non può esistere una lotta efficace contro la violenza se non si mettono in discussione le radici di una società dove l’unico modello è quello competitivo e dove i corpi delle donne sono equiparati a merce. Una vera educazione all’affettività deve essere anche educazione critica e aprire prospettive di cambiamento relazionale, quindi sociale.
Maurizio Acerbo, Segretario del Partito della Rifondazione Comunista- Sinistra Europea
Silvia Conca, già Responsabile politiche LGBTQIA+
Paola Guazzo, Direttivo Circolo della Conoscenza e delle Culture Transfemministe
Rifondazione : Da Nordio e Terragni affermazioni irricevibili in merito ai femminicidi. La cultura reazionaria riafferma un patriarcato razzista
Queste le parole del ministro Nordio dopo i femminicidi di Ilaria Sula e Sara Campanella: "Purtroppo il legislatore e anche la stessa magistratura possono arrivRifondazione Comunista
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Acerbo (Prc): Meloni trasforma il ddl paura in decreto in spregio della Costituzione
In spregio assoluto dell'articolo 77 della Costituzione il Governo Meloni annuncia l'ennesimo decreto-legge in tema di Sicurezza nel quale a stare alle indiscreRifondazione Comunista
Acerbo (PRC): indegno attacco dell’ambasciata israeliana all’arcivescovo Moscone
A nome del Partito della Rifondazione Comunista esprimo la più totale solidarietà all'arcivescovo di Vieste-Manfredonia-San Giovanni Rotondo, Mons. Franco MosRifondazione Comunista
Acerbo (PRC): sabato al corteo a Roma con bandieroni pace e Palestina
Dopo il voto odierno del parlamento europeo si conferma l'urgenza di un grande movimento contro il riarmo e la guerra. Per questo abbiamo immediatamente rispostRifondazione Comunista
In questi giorni potrebbero arrivare le lettere di licenziamento ai 121 lavoratori e lavoratrici dell’ex-GKN. Il 31 Marzo è stato l’ultimo giorno della procedura di mobilità ed è stata negata dall’azienda la possibilità di proroga della mobilità in attesa della pubblicazione del piano concordatario sulla cui base si sarebbe potuto impostare un piano di salvaguardia dei posti di lavoro.
Ancora una volta la società QF si è mostrata indisponibile alla salvaguardia di posti di lavoro e sorda alle proposte di reindustrializzazione del sito. Questo viene reso ancora più grave dalla violazione delle norme contro la delocalizzazione, di cui è stata chiesta dalla GKN e dalla FIOM applicazione.
La più importante lotta operaia italiana, che era riuscita anche nell’impresa di proporre dei piani di reindustrializzazione del sito e di raccolta di più di un milione di euro da immettere nel capitale sociale della Cooperativa che avrebbe svolto queste nuove attività, rischia di finire.
Come Giovani Comunisti/e siamo dal primo giorno stati a fianco di questa lotta e degli operai e delle operaie che per quasi 4 lunghi anni l’hanno portata avanti. Crediamo che debba intervenire il MIMIT al fine di salvaguardare i posti di lavoro e la possibilità che in quel luogo si possa continuare a produrre, tramite la Cooperativa della GKN, non più secondo una logica padronale bensì di cooperazione e mutuo soccorso.
Paolo Bertolozzi, coordinatore nazionale Giovani Comunisti/e
Auro Bizzoni, responsabile nazionale Lavoro Giovani Comunisti/e
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Helsinki, il disarmo e non il ReArm
di Roberto Musacchio - Cinquant’anni fa ad Helsinki, in piena guerra fredda e con l’Europa divisa dal muro di Berlino, praticamente tutti gli Stati europRifondazione Comunista
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NON POSSIAMO ESSERE INDIFFERENTI
Lettera aperta al cinema e al mondo della cultura in Italia Noi che lavoriamo e viviamo nel mondo della cultura, ci rifiutiamo di continuRifondazione Comunista
Nelle ultime 24 ore tre operai sono morti sul lavoro. La strage continua nel menefreghismo del governo. Chiediamo che sia finalmente introdotto il reato di omicidio sul lavoro perchè è inaccettabile che anche quando si accertano le responsabilità delle imprese le condanne risultino irrisorie. Il governo Meloni ha introdotto pene pesantissime inventando reati di ogni genere persino per reprimere le feste danzanti autogestite ma si guarda bene di intervenire per la sicurezza sul lavoro.
C’è bisogno di repressione e prevenzione con una rete capillare di controlli perchè la vita umana dovrebbe valere più del profitto. Bisogna investire nella sicurezza per chi lavora che è una vera emergenza non buttare soldi per le armi che arricchiscono azionisti dell’industria bellica. Si assumano ispettori e si ricostruisca una rete di controlli efficaci.
Purtroppo non c’è nulla da aspettarsi da questo governo. Per lanciare un segnale forte c’è bisogno di un grande partecipazione al voto nel referendum promosso dalla Cgil che, tra i quesiti, prevede un intervento sacrosanto per la sicurezza cancellando l’attuale norma sui subappalti.
Non rassegniamoci alla strage.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
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“Comunque c’è un fatto positivo: dopo decenni pare che quest’anno non abbiano gettato fango sui partigiani con le falsità su via Rasella”, conclude Acerbo.
Fosse Ardeatine, Acerbo (PRC): ANPI ha ragione, Meloni e La Russa rimuovono responsabilità fascisti
"Le critiche che il Presidente nazionale dell'ANPI Pagliarulo ha rivolto a Meloni e La Russa sono più che fondate", scrive sulla sua pagina fb il segretario diRifondazione Comunista
di Francesco Sylos Labini -
Durante la sua audizione alla Camera dei deputati, Mario Draghi ha evidenziato come, nel tempo, si sia sacrificata la spesa pubblica comprimendo la domanda interna, trascurando le infrastrutture e riducendo gli investimenti in ricerca, innovazione tecnologica e clima. Ma chi è il soggetto di questo “abbiamo”? Lui stesso, naturalmente, fin dalla famosa lettera scritta insieme all’allora presidente della Bce, Jean-Claude Trichet—una linea poi seguita dal governo Monti.
C’è però un dettaglio cruciale: ricerca e innovazione tecnologica non si improvvisano in pochi mesi o anni, ma richiedono decenni. Lo dimostra l’esempio della Cina, che ha sviluppato la propria capacità industriale in parallelo a un investimento massiccio nella ricerca. Nel 2000, il paese contribuiva solo per il 6% alla produzione manifatturiera globale; nel 2020, questa quota è salita al 30%, con proiezioni che indicano un possibile raggiungimento del 45% entro il 2030. Oggi, la Cina è la principale potenza manifatturiera mondiale e domina settori strategici come l’energia solare e le batterie elettriche, dove la sua quota di produzione supera già l’80%.
Negli ultimi vent’anni, la produzione automobilistica cinese è passata dall’1% al 39% del totale globale, mentre l’Europa è scesa dal 35% al 15% e gli Stati Uniti dal 15% al 3%. Le esportazioni di automobili dalla Cina sono cresciute esponenzialmente: da 500.000 unità nel 2016 a 4,7 milioni nel 2024,rendendo la Cina il primo esportatore mondiale e superando il Giappone. Nel settore delle auto elettriche, la cinese BYD si è affermata come il principale produttore, con 2,9 milioni di unità vendute nel 2023, seguita dalla statunitense Tesla con 1,8 milioni. Dietro di loro si trovano sei marchi con vendite comprese tra 400.000 e 500.000 unità, equamente divisi tra aziende cinesi e tedesche. Attualmente, in Cina operano ben 32 produttori di veicoli elettrici.
Nel campo della tecnologia e dell’innovazione, la Cina tuttavia domina sempre più il panorama globale e per questo la sua quota di mercato è destinata a crescere mentre quella delle industrie europee a diminuire. Nel 2021 ha depositato il 37,8% dei brevetti mondiali, contro il 17,8% degli Stati Uniti e il 16% del Giappone. Oggi è leader in 29 settori su 36, tra cui informatica, elettronica e telecomunicazioni, mentre l’Europa gioca un ruolo sempre più marginale. Un caso emblematico è quello dell’intelligenza artificiale: nel gennaio 2025, la società cinese DeepSeek ha rilasciato modelli open-source superiori a GPT-4, scuotendo il settore tecnologico e finanziario occidentale. Non è stato un fulmine a ciel sereno: già nel 2022, la Cina deteneva il 61% dei brevetti nell’IA generativa, contro il 21% degli Stati Uniti e appena il 2% dell’Europa (incluso il Regno Unito).
La marginalità dell’Europa nell’automotive, nella manifattura in generale, nell’innovazione tecnologica e nella ricerca scientifica non è un evento accidentale, dovuto a Trump, Musk o Putin/Xi ma il risultato di decenni di assenza di una politica economica ed industriale sia a livello nazionale che comunitario. Il “mercato ”, contrariamente alle aspettative, non ha colmato questa lacuna.
Alla base di questo problema c’è anche una costante riduzione dei finanziamenti destinati all’università e alla formazione, che ha rallentato lo sviluppo di ricerche innovative. Infine, come evidenziato dallo stesso Draghi nel suo rapporto di settembre, la guerra in Ucraina e la conseguente perdita dei gasdotti dalla Russia hanno lasciato le imprese europee alle prese con prezzi del l’elettricità 2-3 volte superiori a quelli degli Stati Uniti e con prezzi del gas naturale 4-5 volte più alti.
Questo combinato disposto ha avuto un effetto devastante sulla manifattura europea, compromettendone la competitività e portando a crisi industriali, chiusure di impianti e licenziamenti, che nel medio-periodo porterà ad un declino economico e sociale. Mentre il dibattito pubblico si avvita su un’idea di Europa sempre più astratta, le scelte concrete di cui dovremmo discutere sono ben altre. La soluzione proposta? Convertire l’industria automobilistica europea alla produzione di armi. L’incapacità di competere sul mercato viene così compensata dalle commesse statali, giustificate dalla necessità di difesa. Così, i motori elettrici delle auto più avanzate vengono rimpiazzati dai motori diesel dei carri armati, mentre il dibattito sul cambiamento climatico scompare dalla scena. Tuttavia, questa è solo una soluzione temporanea, a vantaggio esclusivo delle grandi industrie del comparto militare. Non risolverà né il problema della competitività nell’innovazione tecnologica, né quello della difesa, ma rischia invece di esacerbare le tensioni sociali.
L’Europa è in crisi? Draghi è tra i primi responsabili
di Francesco Sylos Labini - Durante la sua audizione alla Camera dei deputati, Mario Draghi ha evidenziato come, nel tempo, si sia sacrificata la spesa pubblRifondazione Comunista