SIRIA. All’avanzata di Al Qaeda si aggiunge il colera
di Michele Giorgio*
(la foto è di Sara Hoibak/UNHCR)
Pagine Esteri, 24 ottobre 2022 – La Siria non fa notizia in Europa. Eppure, queste ultime settimane hanno visto il paese arabo di nuovo sotto i riflettori per diversi sviluppi, quasi sempre drammatici. Incluso il bombardamento aereo subito venerdì notte da parte di Israele, il primo da un mese a questa parte. Sul piano umanitario, con l’inverno che si avvicina e l’elettricità e il carburante che scarseggiano, la Siria ha dovuto aggiungere il colera ai problemi che affrontano milioni di suoi abitanti, alle prese con le conseguenze della guerra che ha devastato il paese e delle sanzioni statunitensi. Fino a qualche giorno fa erano una cinquantina i decessi causati dall’infezione e almeno 700 i contagiati.
Sul terreno è riapparsa la minaccia dell’Isis che nei giorni scorsi ha colpito un autobus militare uccidendo una quindicina di soldati. Più di tutto, Ha’yat Tahrir al Sham (Hts, in precedenza noto come Fronte al Nusra), il braccio siriano di Al Qaeda, ha conquistato altro terreno nella provincia di Idlib, nella Siria nord-occidentale, approfittando dei conflitti armati tra le formazioni sotto l’ombrello del cosiddetto Esercito nazionale siriano (Ens), pagato e armato dalla Turchia. Hts è entrato nel conflitto che vedeva il Fronte del Levante da un lato e le fazioni del Sultano Suleiman e la divisione Hamza dall’altro. Hts a un certo punto aveva anche preso il controllo della città di Afrin, fino a quel momento nelle mani delle fazioni filo-turche, tanto da spingere truppe e reparti corazzati turchi a schierarsi intorno alla cittadina strategica di Kafr Jana. «La Turchia è intervenuta per fermare il conflitto tra le fazioni del Ens e impedire a Ha’yat Tahrir al-Sham di avanzare ulteriormente», ha riferito l’agenzia Reuters citando un esponente dell’ala politica dell’Ens.
Ad Afrin, i qaedisti avevano immediatamente portato i loro «funzionari amministrativi» mostrandosi pronti a prendere possesso in modo permanente della città. Poi il 18 ottobre, sotto la pressione turca, sono dovuti uscire da Afrin. Nonostante l’apparente ritiro, testimoni denunciano che Hts ha ancora nella città uomini dei suoi servizi di sicurezza oltre a dipendenti civili. Prima di intervenire nei combattimenti, Hts aveva gli occhi puntati sul nord di Aleppo, alla ricerca di territori dove espandere il suo controllo politico e religioso e sfruttare le risorse e il commercio locale. Una strategia ben oliata che sino ad oggi ha portato i qaedisti ad agire indisturbati anche in territori a ridosso di quelli controllati dall’Esn. L’obiettivo primario per Hts resta comunque quello del controllo su tutti i valichi della Siria nordoccidentale, una situazione che lo renderebbe un attore protagonista che la Turchia non potrebbe ignorare nella gestione futura di un territorio che era e resta siriano ma che Ankara non ha alcuna intenzione di restituire a Damasco.
Il Washington Institute for Near East Policyha rivelato gli Stati uniti hanno fatto pressioni sulla Turchia affinché intervenisse e fermasse Hts. «Gli americani hanno minacciato di permettere alle Forze democratiche siriane (SDF) a guida curda di entrare nell’area se i turchi non avessero costretto i qaedisti ad uscire da Afrin», ha scritto l’istituto. Comunque sia andata, gli americani in questi anni non hanno mai mostrato preoccupazioni per il ruolo di Hts in territorio siriano – non l’hanno mai preso di mira a differenza dell’Isis -, anzi, l’hanno perfino considerato utile contro il governo centrale a Damasco. Ma ora temono che l’espansione della formazione qaedista possa rendere più rapido il declino dell’Ens con il rischio che a rappresentare l’opposizione anti-Bashar Assad restino soltanto gruppi jihadisti. E l’imbarazzo per Washington sarebbe notevole.
Nel frattempo, la Turchia e il Libano ripetono di voler rimpatriare al più presto centinaia di migliaia di profughi siriani. L’opposizione turca agita il peso sull’economia nazionale degli oltre tre milioni di rifugiati allo scopo di mettere in difficoltà l’islamista Erdogan in vista delle elezioni del prossimo anno. Beirut, per bocca dello stesso presidente Michel Aoun, annuncia di aver raggiunto un’intesa con Damasco per far rientrare in Siria decine migliaia di profughi già dai prossimi giorni contro il parere dell’Onu e le posizioni di Usa e Ue. Pagine Esteri
*Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre dal quotidiano Il Manifesto
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CINEMA. Nuovi film arabi e palestinesi: “The damned don’t cry” e altri a cui prestare attenzione
di Joseph Fahim – Middle East Eye*
(traduzione dall’inglese di Alessandra Mincone)
Pagine Esteri, 24 ottobre 2022 – Le stagioni dei premi potrebbero essere uno dei fenomeni più strani del cinema contemporaneo. Ogni anno, i critici si lamentano dell’inutilità della corsa agli oscar, e giurano di evitare un’impresa che diventa sempre più inerte. Eppure a settembre, a Venezia e a Toronto, ogni qual volta che un film di Hollywood sembrava far colpo, gli stessi critici non sono riusciti a fare a meno di prevedere potenziali candidati per gli oscar.
Mentre la frenesia lasciava posto alla stanchezza, molti film non-americani si sono dispersi nel miscuglio. Per finire, con un’altra riaffermazione del dominio globale della macchina cinematografica americana.
Tant’ è stato il malessere della festa del cinema di quest’anno, che sebbene fosse stata un’edizione eccezionalmente forte, è stata comunque dominata dal cinema statunitense: sono state dieci le produzioni americane in primo piano, solo tra quelle in competizione, e altre sette quelle fuori concorso, tra cui l’attuale campione del botteghino americano “Don’t worry, darling”. Il risultato era prevedibile: il cinema americano ha risucchiato l’atmosfera dal resto, direzionando le copertine della stampa mainstream e alimentando da solo i giornali a sufficienza.
Affascinante è stato il fatto che, quest’anno, Venezia era confezionata di giovani: non solo appassionati di cinema, ma anche di “stalker della celebrità”, come Harry Styles e Florence Pugh, accampati sul tappeto rosso a caccia di filmati per accrescere i loro profili TikTok. Se il potere delle stelle non sempre garantisce una poltrona a un mendicante, per lo meno attrarrà il traffico su Internet.
Quest’anno, Venezia è stata tutta incentrata sull’incremento dei clickbait e della larghezza della banda. Il cinema non americano, al contrario, è stato relegato ai margini e la grande pubblicità, quella che i registi di tutto il mondo sognavano, alla fine non è arrivata. Toronto era una rappresentazione sfacciata di Hollywood; i film non americani hanno sempre dovuto lottare, per attirare l’attenzione in un festival, considerato un trampolino di lancio per la stagione degli Oscar.
Entrambi i festival, si sono svolti alla fine della stagione estiva dei campioni d’incasso, e l’attenzione riservata al cinema americano, in entrambi, è stata esagerata.
Già nell’era pre pandemica, le piccole compagnie non-americane minori hanno lottato per attirare un pubblico generale. I teatri, compresi i cinema indipendenti, per sopravvivere, sono diventati sempre più assoggettati alle offerte di Hollywood.
La crisi economica globale e le turbolenze politiche, stanno gonfiano il bisogno di evadere le tariffe – (producendo) un cinema senza cervello e usa e getta, che Hollywood realizza con maggior esperienza.
La paura è che, in questo mondo a corto di soldi, solo gli spettacoli di Hollywood siano degni dell’uscita al cinema, lasciando voci più coraggiose provenienti da altrove, a cercare il loro pubblico nello spazio, disordinato, delle piattaforme streaming.
Il cinema arabo appartiene a quest’ultima categoria, con la selezione araba che riceve una piccola percentuale rispetto alla copertura data a Blonde o al nuovo film di Spielberg. È un peccato, perché molte di quelle immagini offrivano nuove ed eccitanti prospettive.
I dannati non piangono
Il film arabo di spicco a Venezia 2022 è stato “The Damned don’t cry”, il secondo lungometraggio del regista anglo-marocchino Fyzal Boulifa, che vinse dei riconoscimenti nel 2019 per il suo debutto con “Lynn+Lucy”, anch’esso presentato in anteprima a Venezia. Mentre “Lynn+Lucy” era un dramma che mette a nudo la vita della classe operaia inglese, interamente incentrato su personaggi bianchi, “The Damned don’t cry” è un film marocchino in tutto e per tutto. Aicha Tebbae, in una delle esibizioni arabe più smaglianti dell’anno, è la vivace Fatima-Zahra, un’ex prostituta di Casablanca e una madre di mezza età. Desiderando un nuovo inizio dove nessuno la conosce, si trasferisce a Tangeri insieme al figlio Selim (Abdellah El Hajjouji), adolescente maleducato e arrabbiato.
La relazione di amore e odio tra Selim e sua madre diventa più spinosa quando lei mostra interesse per un autista di autobus fedelmente sposato, e inconsapevole del trascorso di lei. Selim, nel frattempo, inizia a mettere in discussione la sua sessualità quando un accordo con un ammirato gay francese, progredisce in una faccenda più burrascosa.
“The Damned don’t cry”, da un lato è la storia di una madre atipica che non si scusa per il suo passato. Fatima-Zahra riconosce la sua posizione di svantaggio in una società in cui non potrà mai essere se stessa – e quindi si trasforma in un camaleonte che può cambiare colore, rispetto a come gli uomini vogliano che sia. La rappresentanza di cui una volta godeva grazie al suo aspetto è ormai sbiadita, e quindi accettare il corteggiamento di un uomo noioso come l’autista dell’autobus e abbracciare la religione, diventa la sua via d’uscita da una potenziale vita di solitudine e costrizione economica.
D’altra parte, “The Damned don’t cry” è un audace racconto di un giovane uomo sessualmente confuso che può esplorare la sua sessualità solo attraverso la servitù o la prostituzione. Sebbene affabile e inizialmente simpatico, il francese che accoglie Selim si rivela afflitto da una mentalità neocolonialista, che soggioga subdolamente il suo giovane amante marocchino.
Ma più di ogni altra cosa, la pellicola è un’intrepida esplorazione del mistero che è il legame madre-figlio arabo. Selim e Fatima-Zahra hanno una relazione di dipendenza caratterizzata da anni di incrollabile risentimento e delusione, l’uno verso l’altro. Come molte madri e figli arabi, i due non sono quello che vogliono che siano: Fatima-Zahra è imbarazzante per Selim, mentre Selim è troppo sconsiderato e inaffidabile per essere l’uomo di casa. La loro presenza è distruttiva l’una per l’altra, ma i due non possono vivere a lungo senza l’altro. Boulifa cattura questa dinamica con astuzia e maturità.
Strada non proprio rivoluzionaria
L’aspetto più notevole del film è il modo in cui si dà nuova vita al melodramma, il genere più associato al cinema arabo. Lo stesso non si può dire del secondo film marocchino a Venezia, “Queens, il primo lungometraggio di Yasmine Benkiran, che fallisce nel tentativo di affrontare il “buddy road movie”.
Zineb (Nisrin Erradi) scappa di prigione per salvare la figlia Ines (Rayhan Guaran), undicenne combina guai che viene gettata in un centro di protezione dell’infanzia. Accompagnata da Ines, Zineb dirotta un camion e costringe una sfortunata meccanica – giovane moglie infelice, Asma (Nisrine Benchara) – a portarli al sicuro nella lontana regione (di atlas). Le tre vengono rintracciare da una neopromossa poliziotta, Batoul (Jalila Talemsi), che deve dimostrare il suo valore al suo collega predecessore, Nabil (Hamid Nider).
Quello di Daradji è un ritratto distopico di un Iraq abbandonato del dopoguerra, una terra desolata senza dio, popolata da bambini orfani derubati della loro innocenza. Zineb, Asma e Ines trovano conforto e coraggio l’una nell’altra, mentre Batoul ottiene la sua indipendenza essendo single ed eccellendo nel suo lavoro. La testarda Zineb è il personaggio più accattivante del film, ostinata a usare qualsiasi mezzo per sopravvivere nel patriarcale Marocco.
Purtroppo, Benkiran non può far apparire un veicolo automobilistico adatto per il suo carattere, e a metà strada diventa chiaro che gli spettatori ci sono dentro a un prezzo prevedibile.
Sebbene il film sia visivamente sorprendente, in parte grazie all’uso del deserto come terra di nessuno, liberatoria, priva di regole di genere, Benkiran fa poco o nulla per la tipologia di un road movie. Un film guardabile che spreca le possibilità elettrizzanti offerte dal suo genere, “Queens” alla fine soffre della riluttanza di Benkiran a correre dei rischi, e invece occupa una via di mezzo, senza invenzioni. Questo è un film che non decolla mai.
La morte del sogno americano
Più ambizioso è “Hanging Gardens”, il primo lungometraggio di Ahmed Yassin al-Daradji, passato alla storia per essere stato il primo film iracheno selezionato ufficialmente per il Festival di Venezia.
Il bambino impoverito As’ad (Hussain Muhammad Jalil) e suo fratello di 28 anni Taha (Wissam Diyaa) sono orfani di guerra che lottano per sbarcare il lunario, rovistando tra i detriti della guerra, alla periferia di Baghdad.
La loro relazione inizia a rompersi quando As’ad trova una bambola del sesso apparentemente lasciata dai soldati americani. As’ad sviluppa una fissazione per la bambola e in poco tempo crea un bordello mobile che distorce, gradualmente, la sua prospettiva della realtà.
Inquietante e sfacciatamente perverso, quello di Daradji è un ritratto distopico di un Iraq abbandonato del dopoguerra; un deserto senza dio popolato da bambini orfani, derubati della loro innocenza. In modo ammirabile, lo sguardo del regista è freddo e distante; il suo approccio è più distaccato dalla tipica filatura irachena, senza mai scadere nel sentimentalismo.
A differenza dei più recenti film iracheni, “Hanging Gardens” non tenta di catturare gli orrori dell’invasione americana né le sue tragiche conseguenze. Mescolando fantasia e realtà, accresce una rara immagine irachena, che dimora nella psiche distrutta dei giovani frustrati, che ignorano la loro sessualità e lottano con desideri repressi. È a pieno titolo un ritratto dell’Iraq che gli Stati Uniti hanno lasciato alle spalle. La bambola americana sostituisce l’illusorio sogno americano che l’Iraq non ha mai conosciuto; una fantasia venduta a un popolo senza niente a cui aggrapparsi. La loro liberazione è stata un’infinità di macerie e fantasie perverse.
Fantasia e occupazione maschile
Ugualmente toccante ma cinematograficamente meno avventuroso è “Alam” di Firas Khoury, un altro film d’esordio, presentato in anteprima a Toronto. La storia è incentrata sul raggiungimento della maggiore età di Tamer (Mahmoud Bakri), uno studente delle superiori diviso tra le faccende quotidiane dell’essere palestinese in Israele e la sua adolescenza emergente.
Costretto a un’apatia politica dal padre iperprotettivo e dallo stato israeliano occupante, l’esistenza dormiente di Tamer viene scossa quando la nuova studentessa Maysaa (Sereen Khass) prende parte alla sua classe. Infatuato, Tamer realizza che l’unico modo per avvicinarsi a Maysaa è partecipare a una pericolosa missione in cui è lei coinvolta: rimpiazzare la bandiera israeliana sul tetto della loro scuola con una bandiera palestinese, nei giorni che precedono l’anniversario della Nakba.
Khoury apre un portale nel mondo, poco visto dei giovani palestinesi in Israele, un mondo che sembra somigliare le tante autocrazie della regione. Tamer e i suoi amici passano le loro giornate bevendo, facendo festa e parlando del sesso che non hanno fatto mai. In un posto in cui la loro storia e identità vengono distorte e spazzate via, dove la resistenza ha dimostrato più e più volte di essere futile, l’ebbrezza, che sia di alcol, di sesso o di amore, è la sola fonte di conforto. La sostituzione della bandiera, una reazione di Tamer e i suoi compagni di scuola contro il revisionismo storico che sono costretti ad accettare, assume diversi significati: un’impresa ribelle, una riaffermazione dell’identità derubata, un respingimento contro l’occupante, e in conclusione un atto di autorealizzazione. Nella scena più profonda del film, Tamer ricorda uno zio il quale gli insegna che la vera libertà non è alzare la bandiera del proprio paese, la vera libertà è poterla bruciare.
Khoury esplora queste idee con premura e delicatezza, sottolineando la relazione convoluta tra l’elusiva nazionalità palestinese e la libertà, tra il nazionalismo e l’autodeterminazione. Sfortunatamente, queste idee sono minate da un dramma letargico e da una cinematografia poco calorosa. “Alam” soffre di un ritmo lento, trascinato dall’eccessiva esposizione e dal corteggiamento poco convincente tra Tamer e Maysaa. Una mancanza sia di carisma che di sentimento, rendono difficile vedere cosa vede la brillante Maysaa in Tamer. Da parte sua, il viaggio introspettivo di Tamer è più genuino, e riprende una storia d’amore infantile, che spesso sembra poco più che una fantasia maschile.
Cinematograficamente, “Alam” ha una visuale piatta, salvo per alcuni momenti sparsi: Khoury implementa una traduzione letterale della sua storia, senza adottare alcun punto di vista sul materiale visivo alla mano. Lui gioca con le convinzioni dei drammi adolescenziali, inquadrando la storia della sua crescita entro l’unico contesto palestinese, ma fallisce nel cercare un linguaggio visivo che catturi le frustrazioni e le aspirazioni della giovinezza. Nonostante le sue carenze, “Alam” rimanda a una visione essenziale, se non alla trascendente esperienza cinematografica che sarebbe potuto essere.
“The damned don’t cry” sarà proiettato al London Film Festival dal 5 ottobre. “Alam” è in scena al concorso ufficiale del Festival di Roma dal 13 ottobre. Pagine Esteri
*questo articolo è stato pubblicato il 5 ottobre dal portale Middle East Eye
link originale middleeasteye.net/discover/ara…
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NOBEL 2022: Annie Ernaux, i Palestinesi, l’Egitto
Della Redazione
(foto da wikipedia.commons)
Pagine Esteri, 21 ottobre 2022 – In un mondo dominato dall’ideologia del libero mercato, che negli ultimi trent’anni ha ammaliato anche parte della sinistra e ha rafforzato le destre, l’esercizio del diritto alla libertà d’espressione per contrastare ogni forma di oppressione è sempre più difficoltoso, perfino nelle “democrazie” occidentali.
Il problema è emerso anche il 6 ottobre 2022, quando è stato annunciato che il Premio Nobel per la Letteratura era stato assegnato ad Annie Ernaux “per il coraggio e l’acutezza clinica con cui ha svelato le radici, gli straniamenti e i vincoli collettivi della memoria personale”. Così recita la motivazione comunicata dall’Accademia di Svezia nell’annunciare la premiazione conferita alla scrittrice francese, nata nel 1940 in un villaggio della Normandia e che sin dal romanzo d’esordio, “Gli armadi vuoti”, del 1974, ha voluto abbinare la scrittura autobiografica alla sociologia, creando una auto-socio-biografia come lei stessa l’ha definita.
Ernaux, femminista di sinistra, è una sostenitrice del movimento Bds che chiede il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele perché nega i diritti del popolo palestinese. Appena si è saputo che Ernaux aveva vinto il Nobel non pochi media, non solo in Israele, hanno reagito cercando di dare una immagine negativa della scrittrice francese. In particolare, è stata attaccata per avere firmato insieme a circa 100 personalità del mondo della cultura due documenti: nel 2018, una petizione che invitava a boicottare la stagione culturale franco-israeliana, descritta nel testo come un mezzo per “ripulire” l’immagine di Israele; e, nel 2019, una lettera che chiedeva a France Télévisions di non trasmettere l’Eurovision Song Contest in programma a Tel Aviv. Il motivo di questa richiesta, spiegavano i firmatari della lettera, stava nel fatto che era stato organizzato in un quartiere di Tel Aviv sorto sulle macerie di Sheikh Muwannis, uno dei numerosi villaggi arabi che nel 1948 furono distrutti dalle forze militare del nascente Stato di Israele durante le fasi che portarono all’espulsione o alla fuga dalla loro terra di centinaia di migliaia di palestinesi. A ricordarlo peraltro era stata proprio una associazione pacifista israeliana Zochrot (Ricordarsi/Memorie), nata per diffondere la conoscenza della Nakba (Catastrofe) tra gli ebrei d’Israele e difendere i diritti umani dei palestinesi, incluso il diritto al ritorno dei profughi del 1948. È una posizione politica espressa sempre più ovunque nel mondo da persone di origine ebraica il cui coraggioso pacifismo è sempre più spesso oscurato dai media mainstream internazionali.
Annie Ernaux
Commenti entusiasti alla premiazione di Ernaux sono invece comparsi nel sito di Association France Palestine Solidarité e in svariati media arabi. Il 7 ottobre 2022, il quotidiano panarabo al-Quds al-‘Arabī, basato a Londra, ha ricordato le due suddette petizioni firmate dalla scrittrice francese a favore del popolo della Palestina. Nello stesso articolo sono poi state indicate le tappe principali della carriera di Ernaux. In seguito, questo modello è stato replicato e ampliato da altri media arabi. Il Nobel conferito a Ernaux è stato commentato soprattutto negli ambienti letterari egiziani, per più motivi che legano il passato al presente. In Egitto, fu realizzata e pubblicata, nel 1994, la prima traduzione araba di un testo della scrittrice francese. Due figure prestigiose del mondo accademico egiziano scomparse non da molto, Amina Rachid (1938-2021) e Sayyid al-Bahrawi (1953-2018), tradussero allora il quarto romanzo dell’autrice, Il posto (1983) per la casa editrice Dār Sharqiyyāt del Cairo. Questo intreccio di ricordi è solo una delle ragioni per cui, il 9 ottobre 2022, il settimanale Akhbār al-Adab (Le notizie della letteratura) ha pubblicato un numero speciale per celebrare subito il Nobel conferito a Ernaux. Gli articoli inclusi nel dossier spiegano l’originalità della produzione letteraria della scrittrice francese, creatrice di un autobiografismo in grado di veicolare un messaggio universale.
Tutto ciò ricorda inevitabilmente quanto avvenne nell’ottobre 1988, quando il Nobel per la Letteratura fu assegnato a Nagib Mahfuz (1911-2006), con questa motivazione: “perché attraverso opere ricche di sfumature – ora chiaramente realistiche, ora ambiguamente evocative – ha creato un’arte narrativa araba che può applicarsi a tutta l’umanità”. Il primo novembre dello stesso anno, il mensile cairota al-Hilāl (La mezzaluna) pubblicò un numero speciale dedicato allo scrittore egiziano. Il dossier uscì con il titolo “Congratulazioni” seguito dal sottotitolo: “Nagib Mahfuz, primo arabo a vincere il Premio Nobel per la Letteratura”. E va aggiunto che è ancora l’unico autore arabo ad avere ottenuto il più prestigioso riconoscimento letterario internazionale che, però, sembra un monopolio dell’Occidente.
Mahfuz stesso si definì come “l’uomo venuto dal Terzo Mondo” nel suo discorso per la cerimonia di conferimento del Nobel. Nel 1988, alle donne e agli uomini presenti all’Accademia di Svezia, il letterato egiziano lanciò questo appello: “Salvate le persone ridotte in schiavitù in Sudafrica! Salvate gli affamati in Africa! Salvate i palestinesi dai proiettili e dalle torture! O meglio, salvate gli israeliani dal profanare la loro grande eredità spirituale! Salvate chi ha debiti dalle rigide leggi dell’economia! Attirate l’attenzione dei leader responsabili sul fatto che la loro responsabilità verso l’Umanità deve precedere il loro impegno nel seguire le leggi di una scienza che il Tempo ha forse superato”.
In un articolo incluso nel summenzionato dossier 2022 di Akhbār al-adab, Walid El Khachab ricorda che Annie Ernaux e Amina Rachid si conoscevano personalmente. Erano diventate amiche in Francia negli anni ’70, poiché entrambe credevano nelle idee della sinistra e lottavano per portarle avanti, “difendendo sia le classi popolari sia i diritti del popolo palestinese”. Rachid si interessò del quarto romanzo di Ernaux, “Il posto”, forse perché è il primo in cui l’autrice, figlia di operai divenuti piccoli commercianti, “esprime chiaramente la propria coscienza di classe”, rivelando il suo senso di colpa per avere abbandonato l’ambiente in cui era nata e cresciuta, dacché si era abituata a una tipica vita borghese. Rachid stessa certamente apprezzò le qualità estetiche della letteratura di sinistra, rivoluzionaria ma non missionaria, e della scrittura femminile e autobiografica, presenti nel testo, quindi decise di tradurlo in arabo circa un decennio dopo la sua pubblicazione in francese.
El Khachab incontrò Ernaux al Cairo proprio negli anni ‘90, quando in Egitto comparve sulla scena letteraria una nuova generazione avanguardistica, predominata da scrittrici in termini sia numerici sia qualitativi. Una delle più celebri è Mayy Telmissany (n. 1965), che ha raccontato il sé in molte opere di successo, come il romanzo Dunyazad, del 1997 (Ev Casa Editrice, 2010). Non a caso, nel suo articolo per Akhbār al-adab, la stessa scrittrice e accademica egiziana definisce il Nobel vinto da Annie Ernaux come “il trionfo dell’autobiografismo”. La premiazione dell’arte narrativa dell’autrice francese è l’emancipazione della scrittura autobiografica dalla posizione marginale in cui tradizionalmente i critici la collocano all’interno del campo letterario canonico. Una marginalizzazione paradossale, se si considera il prestigio di cui gode Proust per “La ricerca del tempo perduto”, un vero monumento dell’autobiografismo. Secondo Telmissany, le tecniche narrative usate in questo capolavoro sono simili a quelle impiegate da Ernaux per raccontare una storia d’amore con un amante russo, in Passione semplice, del 1992, un testo privo di giudizi morali e pieno di ironia. Della scrittrice francese sono state finora tradotte in arabo sette romanzi, tra cui L’evento (2000), incentrato sul problema dell’aborto clandestino e il cui adattamento, “La scelta di Anne-L’Événement”, ha vinto il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2021.
Ernaux si ispira al sé, alle proprie esperienze e a quelle della sua famiglia, per dire la verità anche quando è scomoda, racconta storie di vita in cui numerose persone possono riconoscersi, usa parole semplici creando testi caratterizzati dall’assenza di riferimenti ideologici espliciti. Queste caratteristiche si trovano anche in molte opere della narrativa emersa in Egitto negli anni ’90, una scrittura nata dal rifiuto delle “grandi” narrazioni della “nazione” e dalla volontà di concentrarsi sull’individuo, sulla psicologia e sul corpo, per sovvertire i valori etici e politici oppressivi predominanti nella società egiziana e non solo, e di proiettarsi nel mondo globalizzato secondo una visione transculturale.
D’altra parte, Telmissany ricorda che Ernaux è erede della letteratura della resistenza e della letteratura impegnata teorizzata da Sartre. Sin dagli anni ’70, la scrittrice ha portato avanti il proprio impegno tanto nell’arte verbale, sperimentando varie forme di scrittura autobiografica, come il diario, quanto nella vita, “assumendo posizioni politiche coraggiose, come la difesa della causa palestinese”. Ernaux si chiede sempre “chi sono io?”, per approfondire la conoscenza di se stessa e del suo rapporto con la società. È importante, sottolinea Telmissany, chiedersi “chi sono io nel mondo?”, è indizio dell’onestà necessaria per immergersi nella “ricerca di una risposta a questa domanda, che è di sinistra nella sua essenza, perché riguarda i diritti umani e le libertà”. Pagine Esteri
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Segnalato nella newsletter di Guido #Scorza
ec.europa.eu/commission/pressc…
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Sabino Cassese: “L’opposizione si liberi del passato, presidenzialismo utile alla stabilità”
Il giurista: «La forza della democrazia sta nell’aver incluso chi ha antiche radici autoritarie»
ROMA. Il professor Sabino Cassese ha appena finito di ascoltare il discorso della presidente Giorgia Meloni e, a caldo, suggerisce una delle sue notazioni sulfuree: «Ha usato tre toni di voce. Uno squillante, leggendo rapidamente la lunga lista di buoni propositi. Uno intermedio, riflessivo, per sottolineare alcune impostazioni. Infine, uno quasi sussurrato, senza leggere, per far capire chi era la locutrice. Un buon “acting”». Sabino Cassese, come si sa, è uno dei più importanti giuristi del secondo dopoguerra, ma anche un profondo conoscitore da “dentro” della politica italiana e in questa intervista a La Stampa colloca il discorso di Giorgia Meloni in un contesto più ampio di quello contingente.
Molta attualità politica e uno sguardo generico sui prossimi cinque anni?
«Un programma di governo, dichiaratamente di durata decennale, va giudicato in base a sei criteri: l’orizzonte ideale nel quale si muove, la collocazione internazionale proposta, la prospettiva temporale indicata, gli obiettivi prescelti, i mezzi preferiti, infine, le assenze, i temi che non ci sono».
Non le è parso un discorso senza un ’idea di Paese e di Europa?
«Se si considerano i primi tre criteri insieme, va riconosciuto che nel discorso sono presentati un solido orizzonte ideale, una robusta collocazione internazionale e una lunga durata. L’orizzonte ideale è quello della Costituzione, di tipo liberale e democratico, antifascista, con un riferimento all’Occidente; in più, sia la sottolineatura del vincolo rappresentati-rappresentanti, sia il riconoscimento del valore dell’opposizione. Tra questi si insinuavano toni anti-oligarchici, che mostrano la penetrazione del populismo in tutte le forze politiche italiane.
Quanto alla collocazione internazionale, mi sembra che sia stata chiara l’adesione all’Unione Europea e all’Alleanza atlantica, così come è stata chiara la critica all’invasione russa. I toni critici dell’Unione Europea c’erano, ma in termini di una sua insufficienza; insomma, per fare di più, non di meno. Quanto alla prospettiva temporale, è chiaramente decennale, come risulta dalla critica a 10 anni di governi deboli e instabili e dalla indicazione di 10 anni come prospettiva futura. Il governo conta su questa e sulla prossima legislatura».
Nei commenti c’è chi si sofferma di nuovo sulla questione fascista: la distanza le pare convincente e sufficiente?
«Non soltanto la distanza dal fascismo, ma anche le chiare indicazioni relative a libertà e democrazia. Sarebbe bene che l’opposizione si liberasse del punto di vista fascismo-antifascismo, giudicando il governo per quello che propone e per quello che fa. La forza di 75 anni di democrazia sta anche in questo, di avere abituato alla democrazia coloro che hanno le loro antiche radici in un regime autoritario».
Le priorità di Meloni le paiono quelle giuste?
«Più che esprimere un giudizio personale, provo a fare il seguente esercizio. Prendo il volume più aggiornato e interessante sulla storia repubblicana, quello curato da Luca Paolazzi su “75 anni di storia economico-sociale e 23 di stallo” e contiene 150 pagine di dati comparativi su Italia e altri Paesi. Gli obiettivi indicati dal nuovo governo centrano quasi tutti i problemi analizzati in quelle pagine su finanza e crescita, con un approccio pragmatico e rassicurante, insistendo sull’avanzo primario, sul risparmio privato.
Un rapporto tra Stato e economia di impianto liberista, favorevole a deregolazione e de-burocratizzazione, ma che punta su reti pubbliche. Attenzione per i tre grandi problemi del Paese, scuola, sanità, divario Sud – Nord. Accenti diversi da quelli dei suoi alleati di governo in materia di pensioni (con attenzione per la flessibilità e per le garanzie dei giovani) e sull’immigrazione (con attenzione più alle partenze che agli arrivi), più allo sviluppo dell’Africa mediterranea che alla chiusura dei porti e la geniale idea di un piano Mattei che riprenda l’esperienza di quel grande imprenditore».
Il presidenzialismo? Non se ne farà nulla anche stavolta?
«Il capitolo dei mezzi non si ferma al presidenzialismo. Riguarda anche l’autonomia differenziata, ma attenuata dal rafforzamento delle risorse per Roma e dall’accento sulle autonomie locali. Riguarda anche la burocrazia con reintroduzione dei criteri del merito. Riguarda anche la giustizia, con processi solleciti. Sulla riforma presidenziale non c’è stata una chiara scelta tra le decine di soluzioni che si presentano, ma è stata indicata l’opzione che tende a premiare la stabilità dell’esecutivo. Questo è un obiettivo importante in un Paese che in 75 anni inaugura il proprio 68º governo».
Quindi una valutazione positiva?
«Si, complessivamente, anche se la critica di bonus e ristori doveva continuare con programmi di investimento; sul fisco, a temi condivisi da tutti, come la lotta alla evasione e la riduzione del cuneo fiscale, si accompagnano anche idee molto criticate come la tregua fiscale e la tassa piatta. La critica alla limitazione delle libertà nella fase acuta della pandemia poteva essere risparmiata, anche perché non accompagnata da indicazioni su quello che farebbe il nuovo governo se si trovasse di nuovo davanti a una recrudescenza della pandemia. Il riferimento ai lavoratori autonomi costituisce un richiamo di tipo elettorale. E i lavoratori dipendenti? Interessante il riferimento all’ Europa: ha unito l’interesse nazionale ad un destino comune».
Un forte apparato retorico e tanti messaggi di metodo: sono libera, faremo cose che ci costeranno consenso, non tradiremo. Il profilo di una destra sociale fuori dal Palazzo, un romanticismo pronto alla “bella sconfitta”? O anche un’alterità effettiva da parte di una “underdog” combattiva che potrebbe rompere consuetudini?
«Un discorso da combattente, forse troppo lungo, che non mostrava le crepe che vi sono nella coalizione di governo, uno dei due punti deboli, insieme a quello delle strutture serventi e degli apparati di staff, della classe dirigente a cui far capo».
Intervista di Fabio Martini su La Stampa
L'articolo Sabino Cassese: “L’opposizione si liberi del passato, presidenzialismo utile alla stabilità” proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Conferenza “Scienza e Liberalismo”
Giovedì 10 novembre, alle ore 18.00, presso l’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi, in via della Conciliazione 10, a Roma, il Prof. Angelo Maria Petroni terrà una conferenza dal titolo “Scienza e Liberalismo”.
Il liberalismo è coevo della scienza moderna. Nella conferenza verrà argomentato che liberalismo e scienza si originano dalla stessa visione antropologica, e che il progresso scientifico dipende dalla solidità delle istituzioni liberali.
L’iniziativa è realizzata in collaborazione con l’Accademia Nazionale dei Lincei – Centro Linceo Interdisciplinare Beniamino Segre.
Interviene:
Prof. Angelo Maria Petroni, Professore presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi
È possibile partecipare fino ad esaurimento posti.
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Oppositori
Devono scegliere
Le opposizioni non avranno una comune linea politica. Non è mai successo e non avrebbe senso. Il guaio non è che esistano opposizioni con idee e politiche diverse, ma che ne siano prive. O che siano frastornate. Termini come “opposizione dura”, o “ragionevole” o ancora “responsabile” non significano un accidenti. L’opposizione che spera di diventare maggioranza deve scegliere i temi su cui vuole caratterizzarsi e che utilizzerà per far cadere il governo. E qui, al momento, si brancola nel buio.
Nel discorso della presidente Meloni si devono andare a cercare certi vocaboli, impreziositi dall’enfasi della pronuncia, per rintracciare l’oppositrice che fu. Uno, per esempio: “potentati”. Della serie: noi popolo siamo contro i potenti. E vabbè, ora sei potente e vediamo. In quel discorso, però, andando alla sostanza, lasciando da parte l’uso emotivo della storia personale, c’è una conversione che pone un problema agli oppositori, ove mai vogliano essere effettivamente tali e puntare ad essere futuri vincitori.
Concretamente: l’Italia continuerà nel totale sostegno dell’Ucraina e nella condanna dell’invasione russa. Questa la posizione del governo. Sappiamo bene che in maggioranza, determinanti, ci sono presenze che la pensano all’opposto. Il tema, per chi si oppone è: si lavora sulle spaccature interne alla maggioranza, in modo da indebolire Meloni e accelerare la crisi, oppure si lavora consolidando la condanna russa e gli aiuti agli ucraini, in questo modo aiutando Meloni e marginalizzando i putiniani governativi?
Il che comporta una seconda scelta: si prova a tenere unita l’opposizione, così cominciando a dire frescacce generiche, malpanciste e falso pacifiste, o si abbandona al suo destino il populismo d’opposizione e se ne costruisce una che sia degna di governare? Non è che le domande siano retoriche e le risposte scontate, affatto.
Solo che le prime opzioni comportano un miglioramento del livello politico italiano e la necessità di un ricambio mica solo di una segreteria, ma di una cultura e una mentalità; le seconde rendono più facili le campagne elettorali, sono le scelte che i governanti di oggi fecero ieri, quando erano oppositori, ma dequalificano la classe politica e la popolano di retori a tre palle un soldo.
Al governo c’è un ministro della giustizia che (finalmente) parla esplicitamente dell’ovvio derivato del processo accusatorio: la separazione delle carriere. L’opposizione può scegliere se incalzarlo, morderlo quando incontrerà ostacoli imponenti, sollecitarlo alla scontro anziché alla mediazione, oppure può avversarlo e intestarsi per l’avvenire l’essere consustanziale alle camarille togate e al corporativismo autoreferenziale.
Se il governo, come dice il ministro responsabile, decide di riprendere la via dell’energia nucleare, l’opposizione può scegliere se farsi venire i mancamenti falso ecologisti o se sfidarlo nel passare dalle parole ai fatti.
Se il ministro dell’agricoltura si propone di aumentare i terreni coltivati, l’opposizione può scegliere di passare ancora del tempo a sollazzarsi sulla “sovranità” alimentare, mentre è oggettivamente ridicola la suggestione dell’autarchia produttiva, ma può, invece, far osservare che quei terreni qualcuno dovrà poi lavorarli e, come l’esperienza insegna, se solo si conosce la realtà, saranno per lo più immigrati. Nel prossimo decreto flussi ce ne mettiamo una paio di centinaia di migliaia? Sarebbero, gli oppositori, non solo gente che s’oppone, ma anche propone. Il che fa perdere il vantaggio della facile rimonta, ma fa guadagnare un motivo serio per rimontare.
Se, invece, intendono discutere ancora a lungo su se sia più femminista la quota rosa o il rosa a palazzo, se i generi sessuali siano due o n tendente all’infinito, su chi fa il segretario di cosa e chi si allea con chi, sappiano di potere continuare in tutta tranquillità, perché non gliene frega niente a nessuno. Tranne che a loro.
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Al via la quinta edizione del concorso "Il sole per amico: impariamo a proteggere la pelle", promosso dall'Intergruppo Melanoma Italiano e dal Ministero dell’Istruzione.
Info ▶️ miur.gov.
Where did all the “reject” buttons come from?!
Da dove vengono tutti i pulsanti di "rifiuto"?! Sempre più siti web hanno aggiunto un'opzione per dire "no" ai cookie e ad altri tipi di tracciamento, come previsto dal GDPR. Da dove nasce questa tendenza?
Diamo il benvenuto nel fediverso ad @AISA Associazione italiana per la promozione della scienza aperta.
Siamo certi che la vostra presenza sarà apprezzata da tutta la comunità!
(per chi non conoscesse l'associazione, questo è il link al loro sito web: aisa.sp.unipi.it )
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I am living in your walls.
You may be concerned about this. In case you are, please read the below:
FAQ:
Why are you living in my walls?
I'm not going to tell you.
Are you only in my walls?
You could say I am living in everybody's walls, but in the case I am telling you that I am living in your walls, I am living in your walls.
How are you surviving in my walls?
In my non-physical form, I am crawling around listening for you. That is all I need to survive in that form. In my physical form, I survive by eating rat corpses that I cook using the wall behind your oven, and I drink the vapour in the extraction fan duct above your shower.
What are you planning to do in my walls?
Live in them, listening to you.
What do I do about you living in my walls?
Listen for the scraping. Dont touch the walls. Protect yourself. Avoid lighting candles.
When are you going to stop living in my walls?
You cannot escape me.
Do I call the police?
The authorities will not help you.
What are the consequences of you living in my walls?
Be aware.
What if I am ok with you living in my walls?
I will make sure you’re not.
Are you imaginary?
I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS
If there are any more questions then please consult your walls by directly speaking to them.
Summary:
I am living in your walls.
Le case editrici dei libri scolastici sono rimaste al passato: al posto dei comodi PDF rifilano app disastrose:
dday.it/redazione/44063/le-cas…
È un DISASTRO. Al punto che io per alcuni libri ho usato una soluzione per fare gli screenshot di tutte le pagine in maniera semi-automatica, e farmi così il mio libro senza DRM da tenere sul tablet (e per caricarlo su Archive.org, perché la cultura va condivisa liberamente).
Purtroppo è un processo lungo, ironicamente reso più difficile dalle app non per via di ostacoli messi apposta, ma per il fatto che sono buggate, e persino crashano di continuo!
È una roba davvero semplice eh, in sostanza una riga di bash per in automatico fare uno screenshot e inviare il click del tasto freccia destra per cambiare pagina, però è una disavventura per il motivo che ho detto.
Stavo scrivendo a riguardo sul mio sito, ma poi ho iniziato a dimenticarmi di aggiornare la pagina per raccontare la cosa... Magari dovrei riempirla, che dite? Nel dubbio, sta qui comunque: sitoctt.octt.eu.org/Posts/Note…
--- Ora, una mia digressione parzialmente on-topic: ---
Per quanto il dumpare in questo modo i miei libri renderà il mio anno più semplice a lungo termine, purtroppo comunque condividendoli gratuitamente online non aiuterò tantissime persone, perché gli editori hanno il vizio turbocapitalistico di fare ristampe dei libri ogni anno con appena 2 paragrafi cambiati, facendosi pagare prezzo pieno per questa cosa. Se non vi sembra sbagliato che così facendo rendono nulla la condivisione con zero fine di lucro dei libri digitali, tipo quella che faccio io, tenete a mente che attaccano (in maniera assolutamente sleale) anche e soprattutto il mercato dell'usato.
In realtà non ho mai trovato alcun professore che facesse storie per studenti che hanno le vecchie edizioni dei libri, e certi cartolai che fanno compravendita di libri scolastici in genere consigliano a chi compra di prendere quelli usati e non le ristampe, visto che il contenuto è uguale... ma i genitori spesso non pensano e non sentono ragioni, cadendo così nel tranello delle case editrici sanguisughe; inganno reso possibile quasi esclusivamente per colpa di dirigenti scolastici squinternati che mettono solo e per forza le ristampe negli elenchi dei libri da acquistare.
Non mi azzardo a continuare nell'argomento "scuola pubblica roccaforte del capitalismo immorale" oggi, però, perché altrimenti qua mi bannano!!!
Le case editrici dei libri scolastici sono rimaste al passato: al posto dei comodi PDF rifilano app disastrose
Da anni le case editrici dei libri scolastici si rifiutano di dare la versione PDF e forniscono app poco pratiche e con limiti enormi. Eppure il PDF può essere scaricato senza problemi, basta "smanettare" un po'.DDay.it
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LibSpace con Andrea Cangini
Pregiudiziale
Il peso decisivo è stato quello di una pregiudiziale. Le elezioni hanno assegnato a Fratelli d’Italia la maggioranza relativa e molti ma molti più voti degli altri suoi alleati sommati assieme. Ma per la maggioranza di governo gli alleati sconfitti sono essenziali e se si sono messi di traverso, se hanno provato a fermare Giorgia Meloni, è perché avrebbero voluto far pesare quella essenzialità. Non è successo.
Perché ha pesato una pregiudiziale. Qui l’avevamo vista subito dopo il 25 febbraio: non si potrà, contemporaneamente, essere amici di Putin e guidare un Paese occidentale. Fino al crollo dell’Unione sovietica valse per i comunisti. Meloni lo ha capito (aiutata dagli amici polacchi) e ora guida il governo. Questo porta con sé molte conseguenze.
La penetrazione russa in casa nostra è stata significativa. Negli affari, nella politica e nella cultura. Berlusconi e Salvini hanno voluto generosamente intestarsene la rappresentanza, ma l’area del pacifismo inteso come disallineamento e posizione terza è più vasta e più distribuita a destra e manca, sopra e sotto.
Il Partito democratico si ritrova afono, privo di posizione, perché consapevole del trovarsi dalla stessa parte di Fratelli d’Italia, nella posizione che è stata del governo Draghi, ovvero quella occidentale, ha malamente provato a sollevare un’altra pregiudiziale, quella antifascista. Ma la pregiudiziale passata lascia il passo a quella presente e sebbene in Fd’I c’è chi fu fascista, come del Pd c’è chi fu comunista, nessuno seriamente crede che sia quello il pericolo. Il putinismo sì. E la pregiudiziale ha funzionato. È quella che ha dato forza a Meloni nel negoziato interno alla presunta e falsa alleanza di destra, mica solo un carattere puntuto.
Nella cucina politica ciò porta a delle conseguenze. I berlusconiani di governo saranno sempre più lontani dal non partito cui debbono tutto. I leghisti del Nord saranno sempre più propensi a riprendersi il partito che fu quasi separatista per poi mutarsi in nazionalista e infine perdere la partita con i soli che parlano di Nazione. Ma sono affari delle cucine, sperando usino i mestoli e non i coltelli.
Quelli dell’Italia sono altri. In attesa del discorso programmatico, si rifletta su queste parole di Guido Crosetto, che ne tracciano il solco: <<…la rabbia cerca sempre colpevoli e le piazze arrabbiate non fanno male ai governi, ma alle nazioni. (…) Serve maturità (…) avendo la consapevolezza che la rabbia dipende da fattori esogeni. (…) L’interesse della Russia, in questo momento è indebolire tutti i Paesi che sostengono l’Ucraina, a partire dall’Italia.
Soprattutto puntando sulle opinioni pubbliche: fare attaccare i singoli Paesi dall’interno, dagli elettori, impauriti e scontenti>>. Suggerisco di rileggerle. Crosetto usa la pregiudiziale e chiede che non sia fatto al loro governo quel che loro fecero al governo degli altri. Che poi sono sempre governi italiani. Non ha torto. Soffiare sul fuoco dei disagi, continuando a ripetere <<bollette, bollette>>, è da irresponsabili. Proprio perché il problema è reale. Ma perché si crei una condizione che sterilizzi gli irresponsabili non basterà che nel discorso programmatico ci siano richiami alla gravità del momento e all’unità nazionale. Perché il governo di unità c’era di già e Fd’I era all’opposizione. E perché loro fecero quel che ora vorrebbero si evitasse.
L’occasione c’è. Meloni a Palazzo Chigi, piaccia o no, chiude una pagina della nostra storia: le estreme sono costituzionalizzate. Non significa faranno del bene, ma che sono legittimate a governare. A destra e sinistra. Ha vinto la Costituzione. Solo che vince dopo essere stata scassata nel 2001, ammaccata e sfregiata da un pessimo sistema elettorale. Sia una forma costituente a porre rimedio. Un’Assemblea, eletta con il proporzionale, che chiuda in un anno i suoi lavori. Equilibri e sistema elettorale. Tocca ai vincitori proporlo, facendo della pregiudiziale un inizio e non solo uno sterile fortilizio.
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DAVID STRONG’S FIRST SOLO EP
David Strong has been playing the strings alongside the best for decades. He is now front and center and just released his first solo album. He is a self-taught mumtiinateimentalist and composer, who has toured the world. Strong’s music is happy and upbeat with fun content. The songs are nostalgic.
Costi ambientali dei dispositivi di IA
Camilla Quaresmini L’immagine di Internet come cloud lo rende un ambiente apparentemente intangibile, quasi post-fisico. Tale percezione contribuisce a creare un’ingenua fiducia nel suo scarso impatto ecologico. A ciò si aggiungono le dichiarazioni del settore tecnologico, apparentemente a favore della sostenibilità ambientale, che fanno in realtà parte della creazione di un’immagine pubblica...
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione.
🔸 Il Professor Giuseppe Valditara è il nuovo Ministro dell’Istruzione e del Merito
🔸 Piano nazionale scuola digitale, al via l’aggiornamento
…
24 ottobre 2029
Sono le 19:07 del 24 ottobre 2029. Ho appena finito di scrivere una nuova uscita della mia newsletter, Surveillance Chronicles.
Il brusio della televisione in sottofondo mi ricorda che oggi è il secondo anniversario della nascita dell’euro digitale, adottato ufficialmente dagli Stati Sociali Europei nel 2027, dopo anni di sviluppo e sperimentazioni.
Ricordo che all’inizio non capivo davvero la differenza rispetto al vecchio euro. Eravamo già abituati ai pagamenti elettronici, il funzionamento sembrava lo stesso. Sono pur sempre numeri su uno schermo.
Alcune cose però cambiarono subito. Ad esempio, i conti correnti furono presto un ricordo del passato, sostituiti dai wallet digitali.
Aprire un wallet era molto più comodo che aprire un conto corrente: niente burocrazia, nessuna ricerca delle migliori condizioni contrattuali, nessun dipendente svogliato: autenticazione elettronica sul portale dedicato grazie all’identità digitale e breve configurazione dell’app, dopo averla scaricata sullo smartphone.
Privacy Chronicles si sostiene solo grazie ai lettori abbonati. Se ti piace quello che scrivo e vuoi contribuire alla sua crescita, perché non ti abboni anche tu?
A un anno dal lancio ufficiale l’euro digitale funzionava così bene che la Commissione degli Stati Sociali Europei decise di abolire del tutto il contante, l’ultimo ricordo di un sistema analogico e ormai superato.
La Commissione disse che non ne avevamo più bisogno, che era semplicemente uno strumento per evadere le tasse, e che dismettendo la produzione del contante avremmo risparmiato energia preziosa. In una piccola scatola conservo ancora qualche banconota da €50, che prima dell’abolizione compravano un paio di pizze.
È stato molto facile abituarsi all’euro digitale. La principale differenza con le carte di credito e i vari sistemi digitali a cui eravamo abituati è che non ci sono PIN da inserire, schede di plastica, né commissioni bancarie. Basta inquadrare un QR code con l’app dello smartphone! C’è chi dice che presto potremo fare anche a meno delle casse nei supermercati.
Alzo il volume. Una rappresentante della Banca Centrale degli Stati Sociali Europei sta descrivendo le nuove caratteristiche dell’euro digitale. La principale differenza con il vecchio euro, dice, è che l’euro digitale è completamente programmabile.
Spiega che è proprio come un software. In ogni momento possono modificare le modalità di funzionamento e applicare gli aggiornamenti a tutti i wallet digitali europei in tempo reale. In questo modo le regole sono uguali per tutti e non c’è alcuna libertà d’iniziativa da parte delle banche commerciali.
Ricordo quando nel 2028 inibirono ogni transazione con Russia e Cina. Le sanzioni degli anni precedenti non avevano funzionato anche per colpa della troppa libertà. Tante aziende continuavano ad avere rapporti economici con la Russia e le banche autorizzavano le transazioni senza problemi. Adesso è impossibile: ogni wallet europeo è georeferenziato e le transazioni che arrivano fuori dai confini geografici degli Stati Sociali Europei sono bloccate in tempo reale.
La programmabilità offre tanti vantaggi anche per le politiche interne dei singoli stati membri, prosegue il servizio TV. Grazie all’euro digitale i governi possono partizionare il reddito annuale di ogni cittadino in quote percentuali che possono soddisfare solo specifici usi. Le quote sono calcolate da un algoritmo centralizzato in modo automatizzato. L’algoritmo tiene conto delle nostre necessità e ogni quota è personalizzata per massimizzare l’efficienza collettiva.
Ascoltare la tv mi fa pensare che dovrei andare a trovare i miei genitori, ma ho già raggiunto il massimo di transazioni autorizzate per gli spostamenti di lunga percorrenza. Sarà per il prossimo anno.
La rappresentante della BCSSE ora sta parlando dell’evoluzione del fisco e dell’abolizione di tutta la burocrazia tributaria. L’Agenzia della Redistribuzione di ogni Stato membro conosce esattamente il reddito di ognuno e le transazioni quotidiane. I prelievi fiscali sono automatizzati e in tempo reale, in base al profilo personale.
Un’altra caratteristica dell’euro digitale, continua la rappresentante, è che siamo finalmente riusciti a eliminare l’evasione fiscale. Con l’euro digitale la BCSSE e le autorità governative hanno accesso a ogni singola transazione dei wallet europei, dalla più piccola fino a quelle più importanti. Tutto è trasparente e tracciato. Evadere è semplicemente impossibile.
Purtroppo, nonostante tutto le tasse non sono diminuite. Il welfare sociale europeo costa molto e la crisi energetica degli ultimi anni ha svuotato le casse degli Stati membri. I salari minimi automatizzati hanno anche escluso dal mercato molte aziende poco competitive che non potevano permettersi di pagare il minimo previsto. Questo ha fatto aumentare di molto la disoccupazione, ecco perché chi ha il privilegio di lavorare e guadagnare ha anche il dovere di sostenere la collettività. C’è chi dice che con l’euro digitale fra qualche anno potremo avere anche un Reddito Universale di base… chissà.
Adesso stanno parlando dei vantaggi sulla lotta al crimine. Il monitoraggio delle transazioni, insieme alle tecnologie di sorveglianza introdotte con il Regolamento Chatcontrol nel 2025, permette alla BCSSE e ai governi degli Stati membri di prevenire ogni tipo di criminalità prima ancora che venga commesso il reato.
Gli algoritmi di polizia predittiva possono accedere ai dati delle transazioni e a molti altri per delineare il profilo di rischio di ogni cittadino. Ogni anomalia viene analizzata e segnalata in tempo reale, come transazioni inusuali rispetto alle abitudini della persona o con importi troppo alti o troppo bassi. Se le anomalie superano un certo limite di tolleranza, gli algoritmi lo notificano alle autorità e il wallet digitale blocca automaticamente ogni transazione al di fuori di un raggio di 15km dall’abitazione della persona indagata. Questo è molto utile per evitare che i potenziali criminali possano spostarsi sul territorio.
Purtroppo, afferma la rappresentante della BCSSE, c’è ancora un grande problema di criminalità legato agli estremisti che scelgono di usare Bitcoin invece dell’euro digitale. La Commissione ha vietato la diffusione di ogni comunicazione e informazione sulla criptovaluta, ma non è stato sufficiente. Alcuni estremisti riescono ancora a infiltrarsi e diffondere disinformazione in cerca di proseliti.
I più suscettibili a cadere nella trappola di questi estremisti sono i milioni di poveri e immigrati che pur possedendo uno smartphone non possono accedere all’euro digitale perché privi d’identità digitale. Alcuni, piuttosto che diventare criminali, preferiscono barattare tra loro ciò di cui hanno bisogno. Il servizio prosegue dicendo che è dovere di ogni cittadino perbene denunciare questi soggetti, che mettono a rischio la stabilità finanziaria di tutti gli Stati Sociali Europei. Mi chiedo cosa spinga le persone a voler usare uno strumento così pericoloso, usato solo da criminali, drogati e hacker.
La cena è quasi pronta, spengo la televisione. Il wallet digitale mi notifica di aver trovato un’anomalia sulle mie abitudini di spesa. Mh. Forse non avrei dovuto acquistare quella carne ieri, ma diamine - fra poco è il mio compleanno! L’algoritmo ne terrà conto.
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Quello di chi scrive Surveillance Chronicles è un mondo iper-statalista ed estremamente collettivista. L’estremo welfare, la pianificazione totale di ogni ambito e i comfort delle nuove tecnologie digitali sono attrazioni pensate appositamente per far sentire al sicuro cittadini felici di giocare a una simulazione di libertà, che corre su rotaie prestabilite.
Questo mondo è caratterizzato da welfare estremo e totale pianificazione economica e sociale da parte dello Stato. La maggior parte delle persone gode di reddito universale di base pagato con i soldi dei pochi che ancora sognano di elevare se stessi attraverso il lavoro, o che semplicemente sono costretti a lavorare per produrre ciò di cui la società ha bisogno.
La moneta digitale, controllata dalla Banca Centrale e dai governi, viene usata come strumento di coercizione e manipolazione dei comportamenti. L’informazione è controllata da filtri di stato e algoritmi di censura automatizzata.
La sorveglianza è totale, tra sistemi di analisi automatizzata di transazioni e comunicazioni private, sistemi di social scoring ed incentivi di economia comportamentale. Le città intelligenti sono usate dagli enti locali per plasmare le abitudini e le azioni della cittadinanza, grazie a milioni di sensori e algoritmi d’intelligenza artificiale che trasformano i sindaci in ingegneri sociali.
Il pensiero critico, l’individualismo e la libertà di autodeterminazione vengono sostituiti dalla fede assoluta nello Stato, dal collettivismo e dall’omologazione dei comportamenti. In questo mondo la sorveglianza non è solo uno strumento di controllo per esercitare potere politico, ma uno strumento essenziale di pianificazione economica e sociale. Dopo anni di terrorismo psicologico e manipolazione delle informazioni le masse non potrebbero fare a meno del senso di sicurezza dato dalla sorveglianza pervasiva che li circonda. Hanno paura della libertà e non vogliono averci nulla a che fare.
Questo è un racconto di fantasia, ma nulla di ciò che ho scritto è pura finzione.
Le basi tecnologiche, legali e politiche per la creazione di questo mondo esistono già, ed è ciò di cui parlo ogni settimana su Privacy Chronicles.
Questo futuro però non è scritto e, se vogliamo, possiamo evitare che finisca così. Si può cambiare rotta e scegliere un mondo diverso, ma bisogna prima riconoscere la fonte del problema: lo statalismo e la voglia di pianificare ogni aspetto della vita, della società e dell’economia. I nostri politici sono innamorati del modello cinese proposto anche dal World Economic Forum, e cercheranno in tutti i modi di vendercelo. Lo stanno già facendo.
È fondamentale limitare l’ingerenza dello Stato e riconoscere l’inviolabilità assoluta di diritti individuali e naturali come privacy e proprietà privata. È vitale rigettare ogni forma di sorveglianza e manipolazione dei comportamenti, così come separare definitivamente lo Stato e la moneta, per evitare che questa possa essere usata come un’arma. Infine, è centrale ritrovare una morale fondata sull’interesse personale, e non invece sul sacrificio personale. Una morale che possa consentire a ogni individuo di perseguire liberamente la propria felicità - senza che nessuno imponga di vivere per il prossimo.
Non resta che scegliere.
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#PNRRIstruzione, quanto ne sai?
Oggi nella rubrica del venerdì, approfondiamo insieme la linea d’investimento del #PNRR per il potenziamento degli spazi per le mense.
Qui tutte le informazioni ▶️ pnrr.istruzione.it/infrastrutt…
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Al via l’aggiornamento del Piano Nazionale Scuola Digitale. Ieri l'annuncio in occasione dell'inaugurazione di Fiera Didacta in Sicilia.
Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.
BLACK ANGELS WILDERNESS OF MIRRORS
Ritorno in grande stile per la garage/psych band texana Black Angels che, a cinque anni di distanza da "Death Song", ha pubblicato, a metà settembre, il suo sesto studio album ufficiale (e primo su Partisan Records) "Wilderness of Mirrors", non lesinando sulla quantità del nuovo materiale proposto, ma anzi, presentando un'opera di ben quindici brani, ....
iyezine.com/black-angels-wilde…
BLACK ANGELS - WILDERNESS OF MIRRORS
- Ritorno in grande stile per la garage/psych band texana Black Angels che, a cinque anni di distanza da "Death Song", ha pubblicato, a metà settembre, il suoIn Your Eyes ezine
Vuoi sapere quali siano tutti gli eventi #linux?
Puoi seguire @Eventi Linux 😅
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Piccoli consigli fotografici
Sono appassionata di fotografia da un po' di anni e qui, voglio proporvi una piccola rubrica sulla storia della fotografia "alternativa" Non parlerò di fotografi super conosciuti, ma cercherò di proporvi fotografi un po' meno conosciuti.
Oggi vi voglio parlare di Bruno Barbey (1941 – 2020). Fotografo francese di origine marocchina Bruno Barbey ha viaggiato in tutto il mondo e ha trovato la sua voce sia come artista che come esploratore. Diventato un membro di Magnum photos all'età di 25 anni, il suo lavoro riflette la sua sensibilità e la sua insaziabile sete di sconosciuto.
La sua svolta personale è stata quando ha iniziato a fotografare a colori. Nonostante abbia fotografato diversi scenari di guerra, preferisce che le sue immagini parlino del mondo che cambia, "Fotografie per documentare per i posteri, tradizioni e culture che svaniscono rapidamente a causa del cambiamento degli atteggiamenti dei consumatori."
Quello che più mi è piaciuto della sua visione fotografica è questo suo pensiero: “Sconsiglio sempre le persone dall'essere fotografi a tempo pieno se hanno altri modi per fare soldi. Se vuoi davvero fare un lavoro personale, potresti fare meglio a farlo come hobby. "
+++ ⚠ ATTENZIONE ⚠
questa app e il relativo profilo twitter NON HANNO NESSUN RAPPORTO CON IL PROGETTO FRIENDICA +++
Segnalate please
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sarà Trump 🤣
Comunque riportano che la piattaforma è nata come risposta all'estremismo di destra, all'odio e alla disinformazione. Organizzazione no-profit 'indigena' in Canada
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@Michael Vogel What is? Scam? 🤔
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Friendica Messenger - Apps on Google Play
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Breaking news!
> Friendica is transitioning to Folkse, to avoid confusion with the decentralized fediverse software.
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feddit.it/c/fediverso
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L'Unione Europea di Giorgia Meloni
«I cittadini stanno accettando il fatto che, chiunque governi, finirà per perseguire le stesse politiche o politiche simili. Il potere delle democrazie di cambiare la realtà socio-economica, di migliorare le condizioni di vita delle classi lavoratrici e salariate si sta riducendo; esse sono sottoposte a un doppio potere dispotico, quello delle istituzioni di controllo e sorveglianza dell’Unione Europea e di quello che è definito “il mercato”, cioè il potere organizzato di una plutocrazia che domina la vita economica e riesce sempre a imporre i propri interessi a popolazioni sempre più indifese e confuse.»
Confessioni di una maschera “Rock the vote”
✅ Abbiamo finalmente archiviato il passaggio elettorale. In maniera del tutto indolore per quello che ci riguarda. Non avevamo aspettative. Non le abbiamo forse mai avute. Meno che mai ultimamente. La politica italiana, quella fatta del circo mediatico parlamentare che le televisioni e le radio ci infilano in casa ad ogni ora del giorno, fa parte di un crogiolo di squallore cui non apparteniamo. Ce ne siamo chiamati fuori definitivamente, in nome di quel poco di amor proprio che ci resta.
iyezine.com/confessioni-di-una…
Confessioni di una maschera “Rock the vote”
Come ci accade costantemente negli ultimi trent’anni, da quando cioè la politica è diventata una dicotomica scelta, quasi plebiscitaria, tra chi stava con il magnate brianzolo, e chi stava contro, tagliando sistematicamente fuori ogni altra visione s…Marco Valenti (In Your Eyes ezine)
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Letta che insegue Veltroni: la funzione turistica del PD.
"Il PD si interessa alle classi popolari e alle realtà impoverite con lo stesso atteggiamento sussiegoso dei turisti agiati, provenienti da qualche ricca città europea o americana, che si recano in un paese del terzo mondo e guardano con compassione la condizione dei suoi abitanti che, poveri loro!, non godono delle libertà e del benessere occidentale.
Veltroni e Letta esprimono del resto la visione del mondo di gente che vive nei centri storici e che finge di non sapere che spesso la povertà, l’ingiustizia e il degrado sono presenti nelle periferie delle loro stesse città. In qualità di dirigenti politici non possono guardare a queste condizioni di disagio perché la loro fortuna si fonda esattamente su questa ipocrisia.
Letta, Veltroni, Renzi e tanti altri che hanno fatto la storia del PD non avrebbero avuto alcun successo politico se non avessero promosso quelle politiche che hanno generato la questione sociale oggi presente in Italia.
La loro salita al potere è dipesa dal sostegno di forze economiche e finanziarie che hanno chiesto in cambio leggi in favore della precarietà nel lavoro, privatizzazione dei servizi, disfacimento della scuola pubblica, sostegno all’impresa e tanti altri provvedimenti che hanno prodotto le attuali ingiustizie."
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Letta che insegue Veltroni: la funzione turistica del PD - Kulturjam
Con le ultime parole di Letta e di Veltroni si scorge come il PD si interessi alle classi popolari e alle realtà impoverite con lo stesso atteggiamento sussiegoso dei turisti agiati in vacanza in qualche località del terzo mondo.Paolo Desogus (Kulturjam)
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