Asia centrale: il ‘Corridoio di mezzo’ tra commercio e ambizioni di influenza
Il ‘Corridoio di mezzo’, una rotta commerciale vagamente definita che attraversa la steppa dell’Asia centrale, il Mar Caspio e le montagne del Caucaso, ha generato eccitazione e delusione per quasi due decenni. Conosciuto anche come Corridoio Cina-Asia centrale-Asia occidentale, collega la Cina ei mercati dell’Asia orientale con la Georgia, la Turchia ei mercati europei. I […]
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🚦Le evidenze scientifiche sono tutte a favore del #NutriScore. Di @MDfreerider sul @fattoalimentare
NUTRI-SCORE CONTRO NUTRINFORM BATTERY: COSA DICE LA SCIENZA?
Lo Stato Italiano ha già fatto una scelta di campo: tutelare gli interessi dell’industria a discapito della promozione della salute, della prevenzione del sovrappeso-obesità, malattie cardiovascolari e tumori. In Italia grazie alla massiccia propaganda sono tutti (tranne Il Fatto Alimentare e qualche associazione di consumatori) contro il Nutri-Score. L’industria alimentare per mantenere lo status quo vuole un consumatore disinformato, manipolabile e manipolato dalla pubblicità che in Italia non ha alcun limite (gli alimenti spazzatura vengono pubblicizzati in tutte le ore del giorno e in programmi per bambini).
Solo un vero partito liberal democratico può contrastare le ambizioni conservatrici di Meloni
La premier non ha competitor nel suo campo e nell’opposizione attuale. L’unico ostacolo alla sua idea di costruire una formazione politica paragonabile a quella della destra britannica è la nascita di una forza moderata, ancorata alla famiglia liberale europea, in grado di farle concorrenza
Alcune considerazioni sull’evoluzione di Giorgia Meloni nello scenario politico italiano e internazionale. Appare di lampante evidenza la strategia della presidente che sta sempre più attorniandosi nella sua esperienza a Palazzo Chigi da personaggi eterodossi, non provenienti dalla sua storia e dalla storia del suo partito.
Ormai i casi sono così numerosi da non poter essere ricondotti a coincidenze. Per lo più coloro che sono chiamati a collaborare con lei provengono da un’area che potremmo definire moderata-liberale.
Il più noto è il ministro di punta del suo governo, Carlo Nordio, che è anche il più lontano da lei per cultura politica di provenienza. Ma tanti altri non riconducibili direttamente alla destra, soprattutto tra i collaboratori più stretti, sono nel frattempo approdati alla sua corte. Non può essere una scelta casuale.
Il suo partito, invece, resta al momento del tutto impermeabile a questa evoluzione. Potrebbe essere una strategia o, più semplicemente, la circostanza che un premier che sia anche leader di partito, naturalmente riconduce la sua leadership e anche le sue politiche al ruolo istituzionale, facendo passare in secondo piano (nel caso di Meloni oscurando del tutto) le attività proprie del partito di cui è incontestata leader.
È di tutta evidenza che Giorgia Meloni dà un orizzonte di legislatura alla sua esperienza e fa bene a farlo. Anche questa fortunata condizione la pone nell’ottica di “accantonare” almeno per i prossimi anni il partito.
Analizziamo gli obiettivi e gli eventuali ostacoli nel raggiungerli. A me pare che il presidente del Consiglio (come ama essere chiamata) si sia posto un obiettivo ambiziosissimo: dar vita in Italia a un moderno partito conservatore, che si ispiri a un’esperienza precisa, il conservatorismo inglese.
Tutto si muove in tal senso. A cominciare dalla collocazione internazionale e dalle conseguenti posizioni senza oscillazioni sulla guerra, dalla continuità con l’esperienza di Mario Draghi in tanti settori della vita economica e sociale, dalle nuove – per lei – posizioni garantiste sul delicato tema della Giustizia. Queste ultime, per la verità, sinora solo declamate.
Anche il suo attivismo sul terreno delle istituzioni dell’Unione europea e i suoi rapporti in Europa lasciano prefigurare l’intenzione di porsi alla testa dei vari conservatorismi europei, piuttosto che lasciarsi trascinare da essi. Ricordiamo che lei è già presidente del gruppo parlamentare europeo Ecr, quello, appunto, dei conservatori europei. Insomma, tutto torna.
Ma qui cominciano i problemi per lei e le riflessioni per chi non vuole lasciarsi coinvolgere in tale pur originale progetto.
Innanzi tutto il suo partito, ancor più della sua storia personale. Quest’ultima può ben seguire un’evoluzione, mentre il partito a me pare la sua principale palla al piede. Non credo che possa facilmente farne a meno: ricordiamo che la Meloni proviene dalla storia antica del suo partito, prima ancora che da una sua storia personale. Non sarà facile riformarlo e tanto meno staccarsi da esso. Come vorrà gestire la rupture, inevitabile anche sul piano dei rapporti personali, è tutto da vedere. Soprattutto è tutta da farsi e sarà tutt’altro che semplice.
La lezione di Winston Churchill, e i suoi passaggi dai liberali ai conservatori, a me pare troppo ambiziosa e mal si attaglia alla situazione data.
Il quadro dei partiti oggi in campo potrà favorirla. Non ha competitor nel suo campo. Non lo è Matteo Salvini, che con il suo partito viene da tutt’altra storia. Non lo è Forza Italia, il cui declino potrà anzi favorire il suo progetto. Non è un problema l’opposizione, che fa di tutto per favorirla. E continuerà a farlo. La coazione a ripetere gli errori è una maledizione del Partito democratico di cui bisognerà finalmente prendere atto.
Non la favorisce invece la deep culture di questo Paese. Quanto di più lontano dal conservatorismo reaganiano o tatcheriano. Tutta rivolta alle rendite di posizione, alla bonusmania e al “manettarismo” militante a cui la presidente del Consiglio ha già dovuto inchinarsi, rallentando non poco e rischiando di compromettere il suo pur ambizioso progetto. Dai balneari, ai tassisti, da ITA alle pulsioni securitarie del 41-bis, tanti sono gli indicatori che segnano inesorabilmente le difficoltà del percorso.
Vi è infine quello che potrebbe essere l’avversario più insidioso sulla sua strada: la nascita di un partito autenticamente liberale che su alcuni temi possa farle concorrenza, essendo tale forza più credibile per storia e per cultura – e su altri temi, penso ai diritti civili, a politiche non ideologiche sull’immigrazione, alle iniziative per un Europa federale e tanto altro ancora – potrebbe e dovrebbe essere più attrattiva dei settori più vivaci della nostra società.
Certo se questo nascente partito, che non può identificarsi sic et simpliciter nel cosiddetto Terzo Polo come è ora configurato, ma che da quella esperienza può trarre spunti importanti (anche per evitare gli errori commessi), continuerà a guardare al Partito democratico come interlocutore preferenziale o addirittura obbligato, allora sgombrerà il campo alla Meloni che potrà esondare anche in un campo che non le è proprio.
Occorre farla finita con pseudo complessi di superiorità, frutto di una minorità politica e spesso anche personale. La Meloni si sfida senza rancori, con rispetto e senza complessi. Insomma, solo un vero Partito liberaldemocratico, ancorato alla famiglia liberale europea, potrà contrastare e competere con un moderno partito conservatore. Liberal-socialisti, liberal-progressisti, liberal di ogni ordine e specie, lascerebbero campo libero alla Meloni.
Certo le necessarie riforme istituzionali e una indilazionabile riforma elettorale saranno necessarie per lo sviluppo del progetto. Ma questa è un’altra storia.
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Putin potrebbe ancora vincere a meno che l’Occidente non acceleri gli sforzi per armare l’Ucraina
Mentre l’invasione russa dell’Ucraina entra nel suo secondo anno, il sostegno occidentale allo sforzo bellico ucraino sta crescendo. I primi due mesi del 2023 hanno visto una serie di decisioni fondamentali per fornire all’Ucraina armi che i leader occidentali erano stati precedentemente riluttanti a consegnare, con l’elenco che comprendeva veicoli corazzati, carri armati moderni e […]
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USA: la Cina è importante, ma la priorità assoluta deve essere fermare la Russia
Una parte significativa dell’establishment della politica estera americana, sia nel ramo esecutivo che in quello legislativo, nonché nella comunità dei think tank, abbraccia una prospettiva ‘China First’ che argomenta contro la priorità della guerra in Ucraina e, più in generale, della NATO e dell’Europa. Le strategie di sicurezza nazionale e di difesa nazionale descrivono la Cina […]
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Come mai la dottrina aerea di Mosca non funziona. La versione di Tricarico
Una premessa è d’obbligo: in un contesto di guerra di propaganda di dimensioni inusitate, abbinata alla carenza di fonti certe od attendibili, ogni valutazione ha carattere concettuale, di principio, e va rapportata a una situazione sul terreno non sempre corrispondente alle stime poste alla base dei pur giusti ragionamenti.
È questo certamente il caso dell’impiego delle forze aeree nel conflitto russo-ucraino, un impiego incomprensibile, soprattutto da parte di Mosca, ma certamente errato alla luce dei criteri ormai consolidati – e vincenti – in uso in campo occidentale. Demandando a un approfondimento complessivo una valutazione generale del ruolo delle forze aeree, forse una fotografia idonea all’aggiustamento del tiro nella fase attuale può aiutare a comprendere se, e come, un innesto nel dispositivo militare ucraino di forze aeree fresche e aggiornate, in combinazione con un reset sui criteri di utilizzo delle stesse, possa spostare gli equilibri e le sorti del conflitto.
In questo contesto, non si può pensare ormai a falsi scopi di fronte alla reiterata e perentoria richiesta di aerei da combattimento moderni da parte di Zelensky. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire, in considerazione che ormai, qualunque e di qualsivoglia tipo sia il teatro di operazioni, la componente aerotattica di uno strumento militare ha un ruolo derimente nella condotta delle operazioni, soprattutto nelle fasi iniziali quando il primo obiettivo è e resta quello dell’acquisizione della superiorità, e possibilmente il dominio, della dimensione aerea.
Questo in Ucraina non si è visto, non solo per la limitata disponibilità di tecnologie abilitanti nella specifica dimensione, ma anche per una dottrina di impiego obsoleta, retrodatata di cinquanta anni. Al netto, naturalmente, degli sporadici e limitati casi in cui si è visto il ricorso a tecnologia aggiornate, disponibili ai russi in quantità limitata o comunque non utilizzata su vasta scala. Più in particolare al momento, se si vuole legittimare il bizzarro assunto che gli ucraini possano usare le armi solo all’interno del loro territorio, pare ancora a portata di mano l’obiettivo di conseguire il controllo dei propri cieli.
Bisognerebbe far piazza pulita dei sistemi contraerei che i russi dovessero aver portato al seguito, sistemi mobili la cui identificazione anche fisica non dovrebbe essere un problema per le forze speciali nei territori annessi da Putin e non controllati a sufficienza. In tutti gli altri casi andrebbe fatta, con l’aiuto fondamentale dell’Intelligence occidentale, una ricognizione elettronica e fisica dell’esistente ed un piano operativo per neutralizzare le probabilmente scarse postazioni antiaeree.
Fatto questo, l’unica minaccia insidiosa difficilmente neutralizzabile, rimarrebbe l’infrarosso, ossia i missili terra aria di contenute dimensioni, facili da occultare e trasportare, di semplice impiego e di non difficile reperibilità dall’una e dall’altra parte. Un rischio, quello dell’infrarosso, agevolmente aggirabile se non si scende sotto la quota di cinquemila metri, o se si limitano allo stretto necessario le incursioni a quote basse.
Ecco, dunque, che si possono creare le condizioni in cui moderni velivoli aerotattici possono battere obiettivi terrestri di qualunque tipo con precisione metrica e da alta quota, individuare elettronicamente le postazioni di difesa russe e neutralizzarle, attivare circuiti permanenti (o quasi) di vigilanza fermando precocemente le incursioni. Una sorta di plausibile superiorità aerea insomma. Tutto questo sostanzia e dà ragionevolezza, in maniera incontrovertibile, alle richieste pressanti di Zelensky.
Circa i mezzi più idonei ed i tempi di entrata in servizio, la soluzione più efficace sembra quella degli F16. Il velivolo più diffuso nelle aeronautiche moderne, costruito in più di dieci versioni e in quantità inusitata, (circa cinquemila esemplari in una ventina di Paesi), dotato di capacità multiruolo come nessun altro caccia. E con una maturità di sistema che mette al riparo da sorprese o inefficienze e attività manutentive complicate. Molte aeronautiche sono dotate di F16, e tra queste alcune non batterebbero ciglio nel cederne una parte all’Ucraina, come l’Olanda, che tra l’altro li dovrebbe sostituire con gli F-35, o la Polonia.
Molto si è detto anche sui tempi ipotizzabili di entrata in servizio degli eventuali F16 nella forza aerea ucraina, e non sempre a ragion veduta, soprattutto perché spesso non si è tenuto conto che in tempo di guerra tanti passaggi saltano, inclusi quelli attinenti alla sicurezza del volo. Con queste premesse, una personale stima è che per abilitare al volo i piloti ucraini servano poche settimane, due o tre, per abilitarli ad impiegare correttamente i sistemi ne servano altrettante o poco più, per attivare una logistica operativa, incluse la manutenzione e le riparazioni, occorra raddoppiare ancora i tempi totali, ossia qualche mese in tutto. Tutto il resto è disquisizione inutile, parole in libertà, prendere tempo quanto nel caso specifico se ne è perso fin troppo.
Giovedì 23 febbraio il secondo e ultimo webinar del ciclo "Let's debate in English", dedicato all'approfondimento della metodologia didattica del debate in lingua inglese.
Info ▶️ indire.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola Giovedì 23 febbraio il secondo e ultimo webinar del ciclo "Let's debate in English", dedicato all'approfondimento della metodologia didattica del debate in lingua inglese. Info ▶️ https://www.indire.Telegram
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Una nuova speranza – Solo un vero partito liberal democratico può contrastare le ambizioni conservatrici di Meloni
La premier non ha competitor nel suo campo e nell’opposizione attuale. L’unico ostacolo alla sua idea di costruire una formazione politica paragonabile a quella della destra britannica è la nascita di una forza moderata, ancorata alla famiglia liberale europea, in grado di farle concorrenza
Alcune considerazioni sull’evoluzione di Giorgia Meloni nello scenario politico italiano e internazionale. Appare di lampante evidenza la strategia della presidente che sta sempre più attorniandosi nella sua esperienza a Palazzo Chigi da personaggi eterodossi, non provenienti dalla sua storia e dalla storia del suo partito.
Ormai i casi sono così numerosi da non poter essere ricondotti a coincidenze. Per lo più coloro che sono chiamati a collaborare con lei provengono da un’area che potremmo definire moderata-liberale.
Il più noto è il ministro di punta del suo governo, Carlo Nordio, che è anche il più lontano da lei per cultura politica di provenienza. Ma tanti altri non riconducibili direttamente alla destra, soprattutto tra i collaboratori più stretti, sono nel frattempo approdati alla sua corte. Non può essere una scelta casuale.
Il suo partito, invece, resta al momento del tutto impermeabile a questa evoluzione. Potrebbe essere una strategia o, più semplicemente, la circostanza che un premier che sia anche leader di partito, naturalmente riconduce la sua leadership e anche le sue politiche al ruolo istituzionale, facendo passare in secondo piano (nel caso di Meloni oscurando del tutto) le attività proprie del partito di cui è incontestata leader.
È di tutta evidenza che Giorgia Meloni dà un orizzonte di legislatura alla sua esperienza e fa bene a farlo. Anche questa fortunata condizione la pone nell’ottica di “accantonare” almeno per i prossimi anni il partito.
Analizziamo gli obiettivi e gli eventuali ostacoli nel raggiungerli. A me pare che ilpresidente del Consiglio (come ama essere chiamata) si sia posto un obiettivo ambiziosissimo: dar vita in Italia a un moderno partito conservatore, che si ispiri a un’esperienza precisa, il conservatorismo inglese.
Tutto si muove in tal senso. A cominciare dalla collocazione internazionale e dalle conseguenti posizioni senza oscillazioni sulla guerra, dalla continuità con l’esperienza di Mario Draghi in tanti settori della vita economica e sociale, dalle nuove – per lei – posizioni garantiste sul delicato tema della Giustizia. Queste ultime, per la verità, sinora solo declamate.
Anche il suo attivismo sul terreno delle istituzioni dell’Unione europea e i suoi rapporti in Europa lasciano prefigurare l’intenzione di porsi alla testa dei vari conservatorismi europei, piuttosto che lasciarsi trascinare da essi. Ricordiamo che lei è già presidente del gruppo parlamentare europeo Ecr, quello, appunto, dei conservatori europei. Insomma, tutto torna.
Ma qui cominciano i problemi per lei e le riflessioni per chi non vuole lasciarsi coinvolgere in tale pur originale progetto.
Innanzi tutto il suo partito, ancor più della sua storia personale. Quest’ultima può ben seguire un’evoluzione, mentre il partito a me pare la sua principale palla al piede. Non credo che possa facilmente farne a meno: ricordiamo che la Meloni proviene dalla storia antica del suo partito, prima ancora che da una sua storia personale. Non sarà facile riformarlo e tanto meno staccarsi da esso. Come vorrà gestire la rupture, inevitabile anche sul piano dei rapporti personali, è tutto da vedere. Soprattutto è tutta da farsi e sarà tutt’altro che semplice.
La lezione di Winston Churchill, e i suoi passaggi dai liberali ai conservatori, a me pare troppo ambiziosa e mal si attaglia alla situazione data.
Il quadro dei partiti oggi in campo potrà favorirla. Non ha competitor nel suo campo. Non lo è Matteo Salvini, che con il suo partito viene da tutt’altra storia. Non lo è Forza Italia, il cui declino potrà anzi favorire il suo progetto. Non è un problema l’opposizione, che fa di tutto per favorirla. E continuerà a farlo. La coazione a ripetere gli errori è una maledizione del Partito democratico di cui bisognerà finalmente prendere atto.
Non la favorisce invece la deep culture di questo Paese. Quanto di più lontano dal conservatorismo reaganiano o tatcheriano. Tutta rivolta alle rendite di posizione, alla bonusmania e al “manettarismo” militante a cui la presidente del Consiglio ha già dovuto inchinarsi, rallentando non poco e rischiando di compromettere il suo pur ambizioso progetto. Dai balneari, ai tassisti, da ITA alle pulsioni securitarie del 41-bis, tanti sono gli indicatori che segnano inesorabilmente le difficoltà del percorso.
Vi è infine quello che potrebbe essere l’avversario più insidioso sulla sua strada: la nascita di un partito autenticamente liberale che su alcuni temi possa farle concorrenza, essendo tale forza più credibile per storia e per cultura – e su altri temi, penso ai diritti civili, a politiche non ideologiche sull’immigrazione, alle iniziative per un Europa federale e tanto altro ancora – potrebbe e dovrebbe essere più attrattiva dei settori più vivaci della nostra società.
Certo se questo nascente partito, che non può identificarsi sic et simpliciter nel cosiddetto Terzo Polo come è ora configurato, ma che da quella esperienza può trarre spunti importanti (anche per evitare gli errori commessi), continuerà a guardare al Partito democratico come interlocutore preferenziale o addirittura obbligato, allora sgombrerà il campo alla Meloni che potrà esondare anche in un campo che non le è proprio.
Occorre farla finita con pseudo complessi di superiorità, frutto di una minorità politica e spesso anche personale. La Meloni si sfida senza rancori, con rispetto e senza complessi. Insomma, solo un vero Partito liberaldemocratico, ancorato alla famiglia liberale europea, potrà contrastare e competere con un moderno partito conservatore. Liberal-socialisti, liberal-progressisti, liberal di ogni ordine e specie, lascerebbero campo libero alla Meloni.
Certo le necessarie riforme istituzionali e una indilazionabile riforma elettorale saranno necessarie per lo sviluppo del progetto. Ma questa è un’altra storia.
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La NATO vivrà per sempre, finché potrà
Quali effetti ha avuto la guerra in Ucraina sulla NATO, e quali sono le implicazioni future? Per rispondere a queste domande, vale la pena ricapitolare brevemente come siamo arrivati fin qui. Il senatore Richard Lugar ha notoriamente scherzato dopo che l’Unione Sovietica ha perso la Guerra Fredda che la NATO aveva bisogno di uscire dall’area […]
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Discutere il 41-bis non è un reato
La vicenda dell’anarchico Alfredo Cospito: non c’è praticamente politico o commentatore di destra, centro, sinistra che affronti la questione senza aver cura di garantire che il 41-bis non si tocca. E’ invece proprio lo strumento che andrebbe discusso, sottoposto ad esame; senza accettare di soggiacere al ricatto di essere ritenuto ‘amico’ della Cosa Nostra e […]
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Dal 23 febbraio iniziano gli appuntamenti con L'Ora di Costituzione!
L'iniziativa sostenuta dal Senato prevede un ciclo di incontri, una volta al mese, con alcuni costituzionalisti che illustreranno i principali articoli della Carta agli studenti.
Al verde
Dopo l’enorme dilapidazione del bonus 110%, responsabilità del governo Conte 2, prevedibile e prevista fin dall’inizio, si tratta di comprenderne le conseguenze contabili, quelle produttive e le possibili vie d’uscita che minimizzino il danno e creino opportunità. Non la si interpreti come battaglia di bandiera, perché si tratta di un terreno sul quale ci si può fare ancora e più seriamente del male.
Il primo di marzo l’Istat pubblicherà i dati aggiornati sul deficit. Lì la bomba potrebbe deflagrare e, del resto, serve a nulla rimandare. Secondo le regole europee di contabilizzazione, imputando il costo nell’anno in cui nasce, si rischia di fare sballare i conti pubblici e introdurre una pericolosa stonatura nell’armonia dell’equilibrio. Dovessimo contabilizzare un punto o uno e mezzo in più di deficit sarebbero dolori e costi seri. Questa eredità avvelenata fu avvertita, ma non disinnescata dal governo Draghi, nella cui maggioranza era vasta la resistenza (e anche Fratelli d’Italia, allora all’opposizione, era dell’idea che si dovesse aggiustare e non fermare). Una resistenza che ci fu anche sulla riforma del catasto, che non avrebbe comportato aggravi fiscali altri che per gli evasori e che ancora oggi impedisce di distinguere seriamente fra immobili di lusso e popolari.
Ci sono conseguenze anche produttive. Abbiamo qui insistito nel ripetere che le previsioni economiche non segnalavano come imminente una recessione economica che la gran parte delle forze politiche dava già per esistente. Ma si faccia attenzione, perché se le norme in questione cambiano in continuazione (il 110% in media una volta ogni mese e mezzo) e se subito dopo avere emanato il decreto legge il governo già annuncia che sarà cambiato, il caos induce a fermare tutto. A quel punto non è la fine del malobonus, ma il modo in cui la si affronta, sommata ai problemi contabili, che potrebbero sul serio indurre una recessione. Quindi si deve dare una prospettiva. Non dopo e con comodo, ma ora, subito.
Si deve uscire dall’era degli “aiuti” e dei “sostegni”. L’idea che casa mia possa aumentare di valore grazie ai soldi che ci mettono altri è sbagliata in sé. Anzi è, in sé, un incrocio fra un’illusione e una truffa. Servono norme stabili e agevolazioni fiscali oggi che portino a maggiore gettito domani. La possibilità c’è ed è stata giustamente sottolineata dal presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli: la direttiva europea sugli immobili ecocompatibili. Non solo non è una patrimoniale mascherata, ma un’occasione produttiva che aiuterebbe a sostenere il mercato dell’edilizia senza sperperare denari del contribuente.
I lavori che migliorano casa mia e ne aumentano il valore li devo pagare io. Ma siccome si tratta di un’opera collettiva di grande portata, il fisco aiuta non pesando sul loro costo e predisponendone uno scarico ragionevole (quindi meno della totalità e meno del delirio superiore alla totalità). È conveniente per il proprietario, visto che diminuirà i costi di gestione e aumenta il valore dell’immobile. È conveniente per il fisco, perché il mancato introito odierno diventerà maggiore gettito al momento della cessione, dato dal maggiore valore. È conveniente per il sistema che finanzia il lavori, ovvero le banche, perché anziché dovere incassare un credito del cliente (remunerate con congrua e talora alta percentuale) parteciperanno al rischio e allo sforzo a prezzi di mercato. Ed è conveniente per le imprese edili che non siano nate per fatturare lavori in cui il cliente non è interessato al prezzo, dato che a pagare è un altro, giacché il lavoro da farsi, serio e controllato nei risultati, sarà enorme.
Il tutto a condizione che la si pianti con l’opporsi a quel che serve a crescere e migliorare, rivendicando invece come un diritto sovrano perpetuare quel che serve a impoverirsi e affondare. Si può fare, mobilitando competenza e responsabilità al posto della furbizia ottusa fin qui messa in conto ai contribuenti onesti.
L'articolo Al verde proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Iran, dalla Fondazione Einaudi un manifesto per valori liberali e parita’ dei diritti – ansa.it
Messina Denaro, borghesia mafiosa e 41 bis | Comune-info
«Un’ampia conversazione con Umberto Santino, fondatore e direttore dello straordinario Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”. Santino – tra i primi, già negli anni Settanta, ad approfondire il concetto di borghesia mafiosa, oggi al centro delle attenzioni con l’arresto di Matteo Messina Denaro – ragiona delle trasformazioni della lotta a Cosa nostra, riprende il significato dell’espressione “mafia finanziaria” e spiega il suo punto di vista sul 41 bis e sul caso di Alfredo Cospito.»
Torna dall’8 al 10 marzo 2023 Fiera Didacta Italia, il più importante appuntamento fieristico della scuola italiana!
Quest’anno il Ministero dell’Istruzione e del Merito aumenta la propria partecipazione attraverso un grande stand che mette al centr…
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Carnevale
La vicenda dei giornalisti italiani cui è stato revocato l'accredito o semplicemente è stato impedito di entrare in Ucraina. Di @Vincenzo_vita su @art_ventuno
@Giornalismo e disordine informativo
La prevista conferenza stampa di Giorgia Meloni, attesa in queste ore a Kiev dopo la visita di Biden, sarà l’occasione per sollevare il problema: quali sono le accuse mosse dai servizi segreti nei riguardi di chi non fa propaganda, bensì informazione sulla guerra? Vale anche in tale circostanza la solita terribile strategia del segreto, in base alla quale i misfatti e le atrocità non devono venire a conoscenza dell’opinione pubblica?
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#Risentiamoli Cypress Hill - Black Sunday
“Black sunday” è stato il secondo disco del gruppo hip hop americano Cypress Hill, pubblicato il 20 luglio del 1993 da Ruffhouse e Columbia Records. Grande successo commerciale, “Black sunday” è un gigante dell’hip-hop, un monolite che diverte ancora a trent’anni esatti di distanza.
iyezine.com/risentiamoli-cypre…
#Risentiamoli Cypress Hill - Black Sunday - 2023
"Black sunday" è stato il secondo disco del gruppo hip hop americano Cypress Hill, pubblicato il 20 luglio del 1993 da Ruffhouse e Columbia Records.Massimo Argo (In Your Eyes ezine)
La sinistra liberal progressista cancella l'idea stessa di sinistra | Kulturjam
«C’è oggi una sinistra liberal progressista che non ha niente a che fare con quella tradizione nel suo complesso, una sinistra neoliberale che tutta la sinistra, in tutte le sue varianti, ha sempre combattuto e che ha chiamato “destra”.
Ad accomunarla è l’odio con tutto ciò che è storia e ha storia, un odio verso la vita che nelle tradizioni prende forme, evolve, cresce. Il disprezzo verso le comunità, il tentativo di imporre un individualismo è isola, pensando che esista una sola forma di legame, quello che produce il consumo.»
the men
Tutte caratteristiche che ho ritrovato in "New York City", nuovo album dei garage rockers statunitensi Men, sulle scene da ormai tre lustri e giunti oggi al nono album ufficiale, uscito a inizio mese su Fuzz Club Records (e che segna il debutto del quartetto di Brooklyn sull'etichetta inglese) e arrivato a tre anni dall'ultima fatica discografica "Mercy".
iyezine.com/the-men-new-york-c…
THE MEN - NEW YORK CITY - 2023
Tutte caratteristiche che ho ritrovato in "New York City", nuovo album dei garage rockers statunitensi Men, sulle scene da ormai tre lustri e giunti oggi al nono album ufficiale, uscito a inizio mese su Fuzz Club Records (e che segna il debutto del q…Reverend Shit-Man (In Your Eyes ezine)
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La scoperta di Antonio Gramsci - Giovanni D'Anna
Sin dai primissimi giorni del suo rientro in Italia, Togliatti iniziò una incessante opera di “divulgazione” della figura gramsciana
I falsari di André Gide
Primo e unico vero romanzo di André Gide, “I falsari” (1925) è un atto d’accusa nei confronti della letteratura per la mancanza di coraggio, lo scarso approfondimento e l’essere complice nella costruzione della menzogna; sorprendente e affascinante, diverso da qualsiasi altra cosa, mette in scena le vicende di un gruppo di personaggi disparati, moltiplicando i punti di vista, i generi e le linee narrative secondarie, distaccandosi così dalla tradizionale narrazione lineare.
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È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ministero dell'Istruzione
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HO PERSO IL GUSTO, NON HA SAPORE
A scoppio ritardato scrivo anche io qualcosa di non-necessario su Sanremo.
Quest’anno non c’è stata una canzone che mi ha colpito particolarmente. È vero che a più riprese mi sono addormentato davanti alla TV, ma le esibizioni che perdevo, le recuperavo il giorno dopo su RaiPlay.
Ho visto qualche gag simpatica (gli interventi del solito immarcescibile Fiorello) e qualche piacevole sorpresa (Paola Egonu è stata la co-conduttrice più spontanea, paradossalmente anche quando leggeva). In generale però lo spettacolo mi è sembrato un po’ troppo costruito e in alcuni momenti anche un po’ stucchevole. Sarà che con il passare degli anni trovo sempre più noiose le confessioni e le prediche televisive fatte da chi ha il cXXo al caldo.
Per attirare l’attenzione su di sé, qualche artista ha azzardato – o “ha simulato” – uno scandaloso passionale colpo di testa: prendere a calci le rose, allungare il brodo all'infinito obbligando il pubblico a cantare un ritornello che non conosce, strusciarsi e baciarsi con l’influencer di turno, ecc... Ma dopo decenni di TV spazzatura oramai siamo tutti vaccinati (compreso i bambini) e la provocazione è diventata “Mission: impossible”.
Con questo non voglio dire che il Sanremo che ho visto sia tutto da buttare. Ci mancherebbe. Si sono esibiti anche dei bravi artisti. Qualcuno si è impegnato e ha fatto anche bene, tuttavia a distanza di una settimana dalla chiusura di Sanremo Venti23 (chiamarlo duemilaventitré non è più di moda) ricordo soprattutto due cose: la sanguigna “American Woman” di Elodie e Big Mama (per la cronaca: alla fine della canzone si sono baciate anche loro, ma nessuno ha montato polemiche) e la superba “Quello che non c’è” di Manuel Agnelli e gIANMARIA.
Lo so che sono di parte, perché adoro quella canzone e quel disco. E’ vero che gIANMARIA sembrava un pulcino bagnato, ma la performance di Manuel Agnelli e di Fabio Rondanini, batterista dei Calibro 35, è stata strepitosa.
Ma questo è camminare alto sull’acqua e su quello che non c’è.
Siamo tutti supereroi
Tra il 2006 e il 2007 uscì uno degli archi narrativi più belli, secondo me, dell’universo Marvel: Civil War. Qualcuno magari avrà visto l’omonimo film, che però non c’entra niente.
Oggi voglio raccontarvi questa storia perché ha molto a che fare con la realtà che ci circonda e con l’attualissima diatriba tra chi vorrebbe incatenarci tra mille algoritmi e sistemi di sorveglianza di massa e chi invece preferirebbe semplicemente essere libero. C’è molto da imparare anche dai fumetti.
Civil War è una storia che parla di libertà, di privacy e dell’ingerenza arbitraria del governo. Potremmo dire che Civil War descrive ciò di cui parliamo ogni settimana su Privacy Chronicles.
I veri supereroi sono iscritti a Privacy Chronicles
Civil War, la storia
Tutto iniziò con una squadra di giovani supereroi, i New Warriors. I sei si trovavano a Stamford, in Connecticut, per girare un reality-show chiamato “Superhuman High”. Durante le riprese vennero a sapere che nella città si trovava anche un gruppo di super-criminali, la Skeletal League, che proprio in quei giorni stavano progettando di rapinare una banca. L’occasione sembrò ghiotta per aumentare il rating televisivo del reality-show, così i New Warriors decisero di attaccare e cercare di catturare la Skeletal League in diretta TV.
Purtroppo le cose non andarono come previsto. Durante i combattimenti uno dei supercriminali — Nitro — provocò un’esplosione proprio nel mezzo della città, che distrusse diversi quartieri e anche una scuola, uccidendo più di 600 persone — tra cui molti bambini.
Il drammatico episodio fu presto strumentalizzato dalla politica per attaccare tutti i supereroi che fino a quel momento agivano in modo indisturbato e spesso anonimo nel territorio degli Stati Uniti. Nel giro di pochissimo tempo il governo presentò un nuovo disegno di legge, chiamato Superhuman Registration Act.
L’atto, se approvato, avrebbe obbligato ogni “superumano” a registrarsi presso il governo e rendere nota la sua identità. Questo avrebbe consentito alle autorità di regolamentare le attività dei “supereroi”, supervisionarli, e — se necessario — sanzionarli. Il dibattito fu subito infuocato.
Da una parte c’era chi, come Tony Stark (Iron Man), prese subito le parti del governo. Secondo lui il Registration Act era semplicemente un atto dovuto. Un gesto di civiltà. La legge e la supervisione del governo avrebbero responsabilizzato tutti i supereroi, che quindi avrebbero smesso di agire in modo indipendente e al di fuori della legge.
Stark voleva evitare a tutti i costi il ripetersi di incidenti come quelli di Stamford ed era convinto che questo sarebbe stato possibile grazie a una forte legislazione per delimitare e regolamentare il campo d’azione dei supereroi.
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Dall’altra c’erano invece persone convinte che il Registration Act non fosse altro che un modo per violare le libertà fondamentali dei superumani, costringendoli a rivelare le loro identità segrete e rinunciare a ogni indipendenza.
Il principale sostenitore di questa tesi era Steve Rogers (Captain America). Secondo lui i supereroi avevano il dovere di agire moralmente e responsabilmente, ma come individui e non come macchine controllate dallo Stato. Steve credeva che il Registration Act avrebbe tolto ogni libertà di autodeterminazione ai supereroi, consegnando invece al governo il potere di manipolarli per finalità politiche.
I mass media, il pubblico e diversi gruppi di supereroi si divisero presto in due fazioni: da una parte quella pro-governo, capitanata pubblicamente da Tony Stark; dall’altra quella “ribelle”, condotta da Steve Rogers.
Le due forze in campo divennero sempre più violente, fino a sfociare in una violenta guerra civile tra alcuni gruppi di supereroi fedeli a Tony Stark o Steve Rogers. La battaglia finale, che vide diversi feriti e morti, portò alla sconfitta di Captain America, che venne catturato e arrestato in quanto leader della fazione ribelle e anti-governativa.
L’arco narrativo si chiude con l’emblematica morte di Captain America, ucciso da un cecchino mentre veniva accompagnato in manette sulla scalinata del tribunale dove avrebbe dovuto essere giudicato per i suoi crimini durante la guerra civile.
Insieme a lui, morivano anche le speranze di libertà dei superumani, ormai condannati alla schedatura governativa.
Qualche anno dopo gli eventi di Civil War si scoprì che il governo degli Stati Uniti da molto tempo era infiltrato fino alle sue posizioni apicali da agenti HYDRA (i nazisti dell’universo Marvel), e che il Superhuman Registration Act fu in verità un piano dei nazisti per sorvegliare e controllare i supereroi — unico vero ostacolo ai loro piani.
Tony Stark o Steve Rogers?
Il mondo è in piena guerra civile. Proprio come raccontavano i fumetti Marvel 17 anni fa, anche oggi siamo circondati da due fazioni capitanate da vari Tony Stark e Steve Rogers. E come in Civil War, anche oggi la fazione vincente è quella dei Tony Stark.
Noi non abbiamo un Superhuman Registration Act, ma sistemi e leggi che Steve Rogers non avrebbe mai immaginato nel 2007. Schemi globali di identità digitale; sorveglianza totale delle comunicazioni; progetti per lo sviluppo di monete digitali di Stato e sorveglianza finanziaria; sistemi decisionali automatizzati e social scoring ; scatole nere obbligatorie sulle nostre auto…
L’effetto è lo stesso, anzi peggiore: sorveglianza totale delle nostre identità e delle nostre azioni. Per il “bene comune”.
I Tony Stark del mondo ci dicono che l’anonimato e la privacy devono essere combattuti, perché deresponsabilizzano le persone. Essere anonimi è pericoloso; la libertà è pericolosa. Tenere alla propria privacy significa avere qualcosa da nascondere, o essere dei criminali.
Questi sono convinti di essere circondati da imbecilli senza alcuna moralità né principi. Il prossimo è un potenziale criminale o qualcuno talmente inaffidabile da non poter neanche gestire la sua stessa vita. E come Tony Stark, credono di essere tra i pochi illuminati a poter guidare il gregge con quel bastone chiamato governo. La legge è uno strumento di dominio per la creazione di una “società migliore”, a loro immagine e somiglianza.
E poi ci sono gli Steve Rogers. Loro sono convinti che l’essere umano abbia in sé tutti gli strumenti per agire moralmente, in modo autonomo e libero — senza per questo essere perseguito. Queste persone sanno che per agire moralmente, bisogna prima essere liberi. Che ogni individuo ha il diritto di creare la sua strada e agire secondo i suoi principi; che non può esserci alcuna libertà senza privacy, e che il governo non è altro che uno strumento di controllo delle persone per fini politici (di specifici gruppi di potere). Sì, la libertà è sporca. È caotica. A volte, pericolosa. Ma non importa.
Paradimatico di questo pensiero è il celebre discorso di Steve Rogers a Peter Parker proprio durante la Civil War. Probabilmente uno dei migliori di tutto l’universo Marvel:
Non importa ciò che dice la stampa. Non importa ciò che dicono i politici o le masse.
Non importa se l'intero Paese decide che qualcosa di sbagliato è qualcosa di giusto.
Questa nazione è stata fondata su un principio sopra ogni altro: la necessità di difendere ciò in cui crediamo, senza tener conto delle probabilità o delle conseguenze. Quando le masse, la stampa e il mondo intero ti dicono di muoverti, il tuo compito è di piantarti come un albero accanto al fiume della verità e dire a tutto il mondo -
'No, muovetevi voi.’
Tu, da che parte stai?
I due Hotel Francfort di David Leavitt
Dopo sei anni di silenzio, nel 2013 Leavitt torna con “I due Hotel Francfort”, un romanzo ambientato nel giugno del 1940, sui modi in cui le persone possono cambiare in circostanze eccezionali e non essere più le stesse.
È la fotografia di un’Europa alla viglia del disastro, che fa fatica a tenere in vita gli ultimi equilibri mentre dai confini di molte nazioni risuonano colpi di mortaio; una storia immersa nell’atmosfera tanto precaria quanto seducente del neutrale porto di Lisbona, città affollata di espatriati preoccupati di quello che stanno per perdere, in attesa di essere portati in salvo a New York dalla nave SS Manhattan. @L’angolo del lettore
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Firenze: le foibe furono una vendetta
A #Firenze hanno intitolato ai "#martiri delle #foibe" uno slargo con un muro sbrecciato lordo di #graffiti, usato come parcheggio e come ricettacolo per i cassonetti della spazzatura.
Un gesto più di scherno che di omaggio.
Ogni tanto qualcuno spezza o danneggia in altro modo la targa con il nome, che nel febbraio 2023 è stato sostituita per la terza volta almeno.
Giusto in tempo perché venisse corretta con la scritta "#Vendetta".
Una valutazione gelida e realistica. Imporre a Firenze i piagnistei della propaganda difficilmente avrebbe portato a risultati diversi: in città è diffusa da decenni, specie tra le persone serie, la propensione a non sentire alcuna appartenenza per lo stato che occupa la penisola italiana e a comportarsi di conseguenza nei confronti dei suoi propagandisti.
YO LA TENGO – THIS STUPID WORLD
iyezine.com/yo-la-tengo-this-s…
Questa prima parte di 2023, per fortuna, non ci sta riservando soltanto addii dolorosi a musicisti amati (Van Conner, Tom Verlaine e altri) ma anche eccellenti ritorni discografici, e uno di questi, senza dubbio, è rappresentato dal nuovo disco degli statunitensi Yo La Tengo, ormai veterani indie rockers sulle scene da quasi quattro decadi, che hanno dato alla luce il loro diciassettesimo album ufficiale, “This stupid world“. @Musica Agorà
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Pubblicata #ThePETGuide, la guida dell' ONU sulle tecnologie di miglioramento della #privacy per operare statistiche ufficiali
Agli Uffici nazionali di statistica (NSO) sono affidati dati che hanno il potenziale per guidare l'innovazione e migliorare i servizi nazionali, la ricerca e i benefici sociali. Tuttavia, c'è stato un aumento delle minacce informatiche sostenute, reti complesse di intermediari motivati a procurarsi dati sensibili e progressi nei metodi per reidentificare e collegare i dati a individui e tra più fonti di dati. Le violazioni dei dati erodono la fiducia del pubblico e possono avere gravi conseguenze negative per individui, gruppi e comunità.
Le statistiche ufficiali sono una fonte attendibile di informazioni per i governi di tutto il mondo per prendere decisioni informate e basate sui dati. Pertanto, l'ampiezza delle informazioni viene raccolta da una serie di fonti di dati come indagini sulle famiglie e sulle imprese, censimenti della popolazione, economici o agricoli, una varietà di registri amministrativi o persino dati del settore privato. Tali fonti di dati sono gli input per la compilazione di statistiche e indicatori sull'economia, l'ambiente e la società. In molti modi, le statistiche ufficiali offrono un'istantanea dello sviluppo e del tasso di progresso di un paese. Naturalmente, quanto più dettagliato è il livello dei dati di input, tanto più sfumate possono essere le statistiche ufficiali. Tuttavia, la raccolta, il trattamento e la diffusione di dati spesso sensibili devono proteggere la privacy delle persone e delle imprese. Inoltre, considerando gli uffici nazionali di statistica (NSO) come parte degli ecosistemi di dati nazionali e internazionali, gli NSO potrebbero potenzialmente condividere molti più dati se in grado di proteggere la loro privacy. Questo inevitabile compromesso è il fulcro di questo documento, o più concisamente: come possiamo utilizzare la tecnologia per mitigare i rischi per la privacy e fornire garanzie dimostrabili sulla privacy durante l'intero ciclo di raccolta, elaborazione, analisi e distribuzione di informazioni potenzialmente sensibili.Questo documento esplora gli attuali approcci alla protezione dei dati (ad esempio, l'anonimizzazione dei dati, il calcolo delle parti di input, i controlli e gli accordi contrattuali) e le relative limitazioni. Al fine di facilitare la sperimentazione su progetti pilota e una collaborazione efficace su casi d'uso del "mondo reale", il Task Team delle tecniche di tutela della privacy delle Nazioni Unite ha fondato il laboratorio PET delle Nazioni Unite.
Vengono introdotte due grandi categorie di PET (ad es. privacy di input, privacy di output), tra cui calcolo multipartitico sicuro, crittografia omomorfica, privacy differenziale, dati sintetici, apprendimento distribuito, zero-knowledge proof e ambienti di esecuzione attendibili.
Vengono presentati studi di casi dettagliati che comprendono una vasta gamma di casi d'uso in tutti i settori, sfruttano combinazioni di PET e coinvolgono la collaborazione tra le parti (come più NSO che lavorano insieme, NSO che lavorano con altre agenzie governative e NSO che lavorano con organizzazioni del settore privato). Quindici casi di studio descrivono implementazioni che si trovano nella fase concettuale o pilota e tre che sono state implementate in ambienti di produzione.
Questo documento fornisce una panoramica delle attività di definizione degli standard e identifica diversi nuovi standard rilevanti per il trattamento dei set di dati, compresi gli standard in fase di sviluppo e alcuni che sono un prodotto del principio di precauzione applicato alla definizione degli standard per l'intelligenza artificiale (IA).
Data l'espansione dell'attività che si occupa di PET e il contesto in cui possono essere applicati, gli standard sono presentati in due parti. La prima identifica gli standard essenziali con sezioni sulla crittografia e sulle tecniche di sicurezza. Il secondo considera gli standard indirettamente correlati che potrebbero influenzare l'ambiente - tecnico e organizzativo - in cui i PET possono essere implementati, con argomenti secondari su cloud computing, big data, governance, intelligenza artificiale e qualità dei dati. Per coloro che sono interessati al "quadro più ampio", è disponibile una sezione aggiuntiva sugli standard correlati.
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La povertà educativa in Italia è un problema, ma si potrebbe risolvere | L'Indipendente
"In un Paese con disparità territoriali profonde, un forte multiculturalismo di seconda generazione (sono circa 1,3 milioni i bambini stranieri o italiani per acquisizione) si auspica un intervento puntuale e ottimizzato, su strutture, personale e approcci. Non si tratta solo di risanare il giovane patrimonio umano in contesti periferici e creare un nuovo ecosistema di servizi per l’infanzia, adeguato alle nuove generazioni; occorre, come individuato dall’Osservatorio, considerare i giovani come risorse e non solo fasce da tutelare, attuare un cambiamento partecipativo e di ascolto, indirizzando i fondi alle reali necessità che chiede il nostro futuro."
La coscienza morta
Si applica anche a noi, adesso.
"From the accumulated evidence one can only conclude that conscience as such had apparently got lost in Germany, and this to a point where people hardly remembered it and had ceased to realize that the surprising "new set of German values" was not shared by the outside world. This, to be sure, is not the entire truth. For there were individuals in Germany who from the very beginning of the regime and without ever wavering were opposed to Hitler; no one knows how many there were of them — perhaps a hundred thousand, perhaps many more, perhaps many fewer — or their voices were never heard. They could be found everywhere, in all strata of society, among the simple people as well as among the educated, in all parties, perhaps even in the ranks of the N.S.D.A.P."
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"E tutto sta a dimostrare che la coscienza in quanto tale era morta, in Germania, al punto che la gente non si ricordava più di averla e non si rendeva conto che il “nuovo sistema di valori” tedesco non era condiviso dal mondo esterno. Naturalmente, questo non vale per tutti
i tedeschi: ché ci furono anche individui che fin dall'inizio si opposero senza esitazione a Hitler e al suo regime. Nessuno sa quanti fossero (forse centomila, forse molti di piu, forse molti di meno) poiché non riuscirono mai a far sentire la loro voce. Potevano trovarsi dappertutto, in tutti gli strati della popolazione, tra la gente semplice come tra la gente colta, in tutti i partiti e forse anche nelle file del partito nazista."
Fr.#20 / Di artiste e prostitute digitali
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Artiste di strada, ma digitali
In questi giorni sono venuto a conoscenza di un fenomeno peculiare che ha preso piede in Cina. Non saprei esattamente come definirlo, quindi faccio prima a farvelo vedere:
Cosa sta succedendo? Quelle sono delle ragazze che stanno cantando, scherzando e chattando coi loro fan online. In streaming, sul marciapiede.
Perché? Beh, pare che sia merito di un nuovo algoritmo.
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La piattaforma cinese di streaming che usano queste ragazze infatti è dotata di un sistema di localizzazione che permette agli utenti di cercare streamer nelle loro vicinanze. Questo significa che chi fa streaming in zone più ricche avrà evidentemente una probabilità più alta di ricevere donazioni cospicue rispetto a chi invece si limita a streamare da casa sua, magari in un quartiere povero.
Ecco allora spiegato il motivo per cui decine di ragazze decidono di lavorare in strada piuttosto che nella comodità delle loro stanze.
La peculiarità è che molte di loro, come spiegato da Naomi Wu, non sono in condizioni di povertà. Anzi, spesso hanno un lavoro normale che fanno durante il giorno. D’altronde, l’attrezzatura che alcune si portano dietro è anche abbastanza costosa.
Insomma, non bisogna fare confusione: queste ragazze sono più vicine a delle artiste di strada che a delle mendicanti. La differenza, rispetto agli artisti di strada tradizionali, è che le loro performance vengono viste e apprezzate da remoto, da persone a 500 metri da loro o dall’altra parte della Cina.
Questo caso peculiare può insegnarci una cosa: gli incentivi funzionano. Funzionano così bene che una professione nata grazie al digitale si sta trasformando in uno strano ibrido phygital che incentiva decine di ragazze a mettersi in strada con luci e strumenti per lo streaming.
Forse bisognerebbe iniziare a riflettere sul potere diretto e indiretto che questi algoritmi hanno sulla nostra vita, e soprattutto ponderare sulle attuali e future capacità dei nostri governi di influenzare il comportamento di milioni di persone semplicemente attraverso sistemi di economia comportamentale e ingegneria sociale — come quelli già sperimentati anche in Italia.
Prostitute digitali, conseguenze reali
Sempre rimanendo nel tema delle nuove professioni digitali, vale la pena riportare una notizia di questi giorni che arriva dagli Stati Uniti: pare che a una ragazza, modella su OnlyFans, sia stata negata la Visa per l’accesso agli Stati Uniti.
La Visa è in pratica un’autorizzazione che deve avere chiunque voglia viaggiare verso gli Stati Uniti e che viene allegata al passaporto. In alcuni casi, quando sussistono situazioni particolari, la Visa può essere negata. Ad esempio nel caso in cui la persona abbia ricevuto condanne o sia accusata di altre attività illecite, come il contrabbando.
Oppure, come successo per la ragazza in questione, se la persona ha realizzato attività di prostituzione durante i 10 anni precedenti alla richiesta di Visa o se il suo viaggio sia in qualche modo finalizzato a compiere atti di prostituzione.
Non voglio entrare nella diatriba infinita sul considerare o meno l’attività su OnlyFans al pari della prostituzione, ma a quanto pare le autorità degli Stati Uniti la considerano tale. Ciò che conta qui è la capacità delle autorità governative di sorvegliare e analizzare i motivi del viaggio di una persona straniera, le sue attività professionali (magari anche secondarie) e il suo passato — fino a dieci anni prima!
Non mi stupisce che gli Stati Uniti facciano tali discriminazioni: è noto che i collettivisti-statalisti confondono sempre (volontariamente) il piano della moralità con quello della legalità. E questo impatta la libertà delle persone.
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Questo caso dovrebbe esserci d’esempio per comprendere i rischi derivanti proprio da queste capacità di sorveglianza dei nostri governi. I nostri dati saranno usati contro di noi. Sempre. E questo è anche il motivo per cui bisogna rigettare con forza qualsiasi proposta di identità digitale. Se ci riescono ora, figuriamoci cosa potranno fare con un sistema di identità digitale connesso a tutto ciò che siamo e facciamo.
Insomma, se proprio vuoi fare la modella su OnlyFans sappi che potresti essere considerata una prostituta a tutti gli effetti. Nulla in contrario, ma forse sarebbe il caso di imparare il valore dello pseudoanonimato e provare a considerare piattaforme e sistemi di pagamento alternativi che lasciano poche tracce, come Bitcoin. È chiaro che intermediari fiat come OnlyFans o come le piattaforme di pagamento non hanno assolutamente a cuore la riservatezza dei loro clienti.
Meme del giorno
Citazione del giorno
"Every form of happiness is private. Our greatest moments are personal, self-motivated, not to be touched. The things which are sacred or precious to us are the things we withdraw from promiscuous sharing.”
Ayn Rand
Articolo consigliato
La moralità dell'anonimato
Anonymity is dead, long live the anonimous! L’anonimato è morto, la privacy è morta. E anche noi, nel lungo periodo, siamo tutti morti. Se siete d’accordo, oggi inizierei così per parlare di un tema che stranamente non avevo ancora trattato su queste pagine: la moralità dell’anonimato…
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6 days ago · 5 likes · 2 comments · Matte Galt
Twitter Files: dalla censura politica al ban di Trump
Nelle scorse settimane Elon Musk ha distribuito ad alcuni giornalisti migliaia di documenti e comunicazioni riservate di Twitter. L’analisi di questi documenti ha dato vita a un piccolo cataclisma.
Le prime notizie che arrivano dai “Twitter Files” raccontano di inquietanti scoperte sui meccanismi di “moderazione” della piattaforma, tra top manager e team di moderazione palesemente politicizzati e sistematiche ingerenze da parte delle agenzie di intelligence. La storia raccontata finora dai giornalisti che hanno messo mano ai Twitter Files, attraverso dei lunghi thread pubblicati proprio su Twitter, parte dal 2020 e arriva fino ai giorni nostri.
Il materiale pare sia molto, e c’è sicuramente ancora tanto da raccontare, ma oggi voglio dare la possibilità ai lettori di farsi un’idea, ripercorrendo insieme le parti più rilevanti di tutta la vicenda.
Iniziamo.
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Gli strumenti di Twitter
Come racconta Matt Taibbi nel primo thread sui Twitter Files, nel corso del tempo Twitter fu costretta a sviluppare e costruire degli strumenti di censura che durante i primi anni di vita della piattaforma erano invece assenti.
Presto molte persone si resero conto della potenza di questi strumenti, e pian piano furono messi a disposizione di autorità governative ed esponenti di partiti politici che di volta in volta chiedevano alla piattaforma di rimuovere contenuti sgraditi. Nel 2020 le richieste di questo tipo erano praticamente una prassi consolidata.
Questi strumenti di “moderazione” erano a disposizione, in teoria, di ogni parte politica. Il problema è che sembra che non ci fossero dei canali ufficiali a cui fare riferimento, ma che fosse invece un’attività che veniva fatta attraverso contatti personali con dipendenti interni di Twitter.
Perché dico che è un problema? Dovete sapere che prima dell’arrivo di Elon Musk e dei licenziamenti collettivi, più del 98% dei dipendenti di Twitter erano dichiaratamente Democratici (cioè progressisti di sinistra) — come mostrano dai dati riportati da Matt Taibbi nel suo primo thread.
Per un mero dato statistico, i Democratici avevano quindi molte più possibilità di ottenere la rimozione di contenuti rispetto ai Repubblicani.
Prima di continuare…
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La censura arbitraria dei progressisti
La giornalista Bari Weiss, nel secondo thread dedicato ai Twitter Files conferma poi ciò che molti “complottisti” dicevano da tempo, nonostante le dichiarazioni pubbliche contrarie da parte di Vijaya Gadde: sì, lo shadow ban esiste.
Il team di moderazione di Twitter aveva infatti l’abitudine di creare delle vere e proprie blacklist di utenti a cui limitare la visibilità e la reach dei contenuti.
Il gruppo interno che gestiva questo tipo di censura era chiamato “Strategic Response Team - Global Escalation Team”. Nel gruppo, dice Bari Weiss, c’erano Vijaya Gadde (Legal, Policy, and Trust) e Yoel Roth (Trust & Safety), oltre ai CEO — prima Jack Dorsey e poi Parag Agrawal.
Gli account più colpiti da queste blacklist e shadowban erano quelli di persone della destra conservatrice e in generale account con opinioni contrarie a quelle progressiste in merito a questioni riguardanti LGBT o sulle elezioni presidenziali del 2020.
Un esempio paradigmatico fu quello di Chaya Raichik, “Libs of TikTok” (che seguo con molto piacere, anche su substack), che solo all’inizio del 2022 fu bannata per ben sei volte. Nel suo caso il pregiudizio politico era evidente: non solo l’account veniva sospeso arbitrariamente, ma Twitter non fece nulla per bannare le persone che doxxarono l’indirizzo di residenza di Chaya e che regolarmente la minacciavano di morte. Se non sbaglio, qualcuno di quei post è ancora online.
Le motivazioni che sostenevano la maggior parte delle censure di post e sospensione degli account erano puramente politiche, in base alle idee dei team di moderazione e dei manager come Yoel Roth.
Proprio lui scrisse nel 2021: “The hypothesis underlying much of what we’ve implemented is that if exposure to, e.g., misinformation directly causes harm, we should use remediations that reduce exposure, and limiting the spread/virality of content is a good way to do that”.
Cosa si intende Roth per “misinformation”? Ovviamente, tutto ciò che è contrario alla narrativa Dem e alle sue personalissime idee.
Al contrario di quanto pubblicamente affermato da Twitter nel corso degli anni, molte delle scelte di rimozione di contenuti non erano fatte sulla base di elementi oggettivi, ma in base a interpretazioni personali degli executives e dei team di moderazione, per poi essere giustificate di volta in volta con le policy più adeguate.
Un chiaro esempio dell’arbitrarietà e dei pregiudizi dei team di moderazione viene da uno scambio tra Yoel Roth e un collega il 7 gennaio 2021, in cui discutono su come “moderare” il movimento “#stopthesteal”, che durante l’elezione del 2020 sosteneva ci fossero gravi irregolarità nel processo elettorale, soprattutto per quanto riguarda i voti via posta.
Il movimento, ritenuto fonte di disinformazione, venne presto censurato da Twitter. L’obiettivo in quel caso era duplice: da una parte censurare i post degli esponenti del movimento, e dall’altra lasciare libertà al “counterspeech”, cioè ai post dei progressisti di sinistra che usavano lo stesso hashtag per sostenere tesi contrarie.
Un altro esempio di arbitrarietà e faziosità politica arriva da queste comunicazioni del 7 di gennaio 2021 (24 ore prima del ban di Trump), in cui il team di moderazione si trova a discutere perfino su come punire gli utenti che ripostavano foto dei tweet di Trump senza alcun intento politico, ma per criticare le scelte di moderazione di Twitter, come in questo caso:
Il ban di Trump
La terza, quarta e quinta parte dei Twitter Files affrontano invece gli eventi che portarono l’8 gennaio 2021 al ban di Trump — il caso di deplatforming più famoso e più grave al mondo. La storia prosegue con i contributi di Matt Taibbi e Michael Shellenberger, che offrono uno spaccato sui mesi e giorni precedenti al ban di Trump.
Già dai primi mesi del 2020 Twitter era un insieme scomposto di sistemi di sorveglianza e di censura automatizzati e persone con il potere di censurare arbitrariamente chiunque (beh, non proprio chiunque) sulla base di pregiudizi puramente ideologici e politici.
Come se questo non bastasse, man mano che le elezioni si avvicinavano gli executives di alto livello come Yoel Roth iniziavano ad intrattenere sistematicamente relazioni con FBI e varie altre agenzie federali come l’Homeland Security e la National Intelligence. Era in questi incontri che spesso si decideva come e quali tweet censurare. Principalmente, ça va sans dire, di Trump e altri account Repubblicani — che in quel periodo erano molto attivi per denunciare problemi col processo elettorale.
A conferma della frequenza e normalità degli incontri ci sono alcuni scambi tra il team marketing di Twitter e il Policy Director Nick Pickles. Il team chiedeva se fosse possibile descrivere il processo di moderazione di Twitter come un misto di “machine learning, human review e partnership con esperti”, a cui Nick rispose: “non so se definirei FBI e DHS come esperti”.
La pressione politica fuori e dentro Twitter in quel periodo si poteva tagliare con il coltello.
In questo periodo Trump era già stato sospeso diverse volte. Secondo le policy di Twitter, ci sono una serie di “strike” prima che l’account possa essere bannato definitivamente. A Trump ne rimaneva uno; un’ultima violazione, di una qualsiasi policy interna, avrebbe causato il suo ban definitivo.
Trump però non era una persona qualunque. I suoi tweet avevano un valore “pubblico” non indifferente. La questione era nota anche internamente a Twitter, che infatti ha una “public interest policy” che prevede delle eccezioni in caso di violazioni per tweet e account che abbiano un certo valore nell’interesse pubblico.
Proprio per questo, il 7 gennaio 2021 l’onnipresente Yoel Roth scrive a un collega che nel caso di Trump l’idea era quella di "bypassare le tutele del “public interest e fare in modo che potesse essere bannato alla prima violazione di una qualsiasi policy interna". La decisione ai piani alti era già presa da tempo. Trump doveva essere bannato, bisognava solo trovare una qualsiasi giustificazione.
La pressione interna in quei giorni era altissima. Vi ricordo che molti dipendenti in Twitter erano progressisti democratici, che dopo gli eventi del 6 gennaio ce l’avevano a morte con Trump e con chiunque la pensasse diversamente da loro (ma questo è ricorrente). Nelle chat interne circolavano affermazioni come queste:
“Non capisco la decisione di non bannare Trump data la sua istigazione alla violenza”
“Dobbiamo fare la cosa giusta e bannare il suo account”
“Ha chiaramente tentato di sovvertire il nostro ordine democratico… se non è questo un buon motivo per bannarlo, non so cosa possa esserlo”
Come riporta di nuovo Bari Weiss nella quinta parte dei Twitter Files, l’8 gennaio 2021 — a poche ore dal ban di Trump — il Washington Post pubblicò perfino una lettera aperta firmata da 300 dipendenti di Twitter che chiedevano a Jack Dorsey di bannare per sempre Trump — a prescindere da qualsiasi valutazione di merito.
Quel giorno Trump postò due volte:
Poche ore dopo il primo tweet Vijaya Gadde scrisse in una chat interna: “potremmo interpretare ‘American Patriots […] will not disrespected or treated unfairly in any way, shape or form’ come una istigazione alla violenza”.
L’istigazione alla violenza sarebbe stato l’ultimo strike necessario per bannare Trump definitivamente. L’interpretazione però era controversa e neanche Vijaya era sicura di questa strada. Sempre nella stessa chat qualcuno disse che “American Patriot” poteva essere inteso come un chiaro riferimento ai manifestanti violenti di Capitol Hill (6 gennaio 2021) e questo avrebbe causato la violazione della “Glorification of Violence policy”.
Insomma, non c’era più alcun criterio di valuazione, se non la fantasia dei moderatori nell’interpretare il contesto del tweet di Trump. La tensione era talmente alta che nelle ore successive al tweet Trump venne definito come il leader di un’organizzazione terroristica — comparabile perfino a Hitler.
Alla fine anche la “leadership” di Twitter dovette cedere alle pressioni, sia interne che esterne, e Trump venne bannato definitivamente a causa della supposta violazione della policy contro l’istigazione alla violenza.
Social Network… o strumento di sorveglianza dell’intelligence?
Il sesto e ultimo (per ora) thread sui Twitter Files, scritto poche ore prima dell’uscita di questa newsletter, mostra come le agenzie di intelligence, in particolare FBI e DHS, avessero da tempo rapporti continuativi, amichevoli e molto stretti con diversi referenti di Twitter. Uno su tutti Yoel Roth, che tra gennaio 2020 e novembre 2022 pare che abbia scambiato più di 150 email con l’FBI.
Ma l’FBI non si limitava a interagire con Twitter. L’agenzia aveva istituito una vera e propria task force di sorveglianza e analisi di post e account sulla piattaforma. L’ingerenza arrivava a tal punto da chiedere “informalmente” a Twitter i dati di localizzazione degli account flaggati — senza alcun mandato né indagine che giustificasse questa richiesta.
Contrasto al terrorismo? Indagini su crimini federali? Niente di tutto questo: pura sorveglianza e censura politica in materia elettorale. Venivano colpiti perfino di account satirici. Ma è questo il mandato dell’FBI? E davvero siamo disposti ad accettare un abuso di potere di questo tipo?
Un commento
La storia dei Twitter Files non è ancora finita, e certamente ci sono ancora molte domande che meritano risposta. Che dire di tutta la censura sul covid? Solo da poco Twitter ha annunciato di aver disattivato i filtri automatizzati su quei contenuti. E che dire di tutti gli account che sono stati ingiustamente silenziati e shadow-bannati da gennaio 2021 a oggi? Che ruolo ha avuto l’intelligence americana nella gestione occidentale della pandemia e nel flusso delle informazioni?
Politici e intellettuali, per lo più di sinistra, da anni tentano di persuaderci del bisogno di combattere la disinformazione. Ci dicono che è pericolosa, che bisogna proteggere le persone. Ma da cosa?
In un mondo dove tutto ormai è relativo e non esiste più alcun criterio oggettivo — in cui un giudice della Corte Suprema è incapace perfino di dare una definizione di donna; in cui per mesi si è detto tutto e il contrario di tutto su COVID e vaccini… cosa significa disinformazione?
La verità è che la lotta alla "disinformazione" non esiste. Esiste però una chiara volontà di censurare opinioni e idee che non siano aderenti all’ideologia dominante. Perché l’informazione è potere. Chi controlla l’informazione controlla le idee, che come sappiamo sono più potenti dei proiettili.
Controllare l’informazione serve per plasmare una narrativa capace di rendere le persone sempre più dipendenti dal sistema; convincerle a subire qualsiasi angheria e limitazione di libertà — per il loro bene. Non c’è nulla di nuovo, è così che i governi creano una massa di zombie pronti ad accettare qualsiasi cosa pur di sentirsi al sicuro.
È il modello cinese, quel modello che fin dal 1997 punisce chiunque diffonda informazioni potenzialmente sovversive dell’ordine stabilito. Il modello che i progressisti di tutto il mondo, da Washington a Bruxelles, vogliono applicare ai social network. Il Digital Services Act — non mi stancherò mai di ripeterlo — è questa cosa qua.
Allora oggi dobbiamo chiederci: perché mai qualcuno dovrebbe avere il potere di decidere fino a che punto può spingersi il pensiero prima di diventare illegale? E che impatto ha la censura (e l’annessa sorveglianza di massa) sul nostro mondo? Quanto di ciò che stiamo vivendo in questi anni è frutto dell’evoluzione naturale degli eventi e quanto invece è conseguenza del controllo e della manipolazione delle informazioni da parte di un nucleo ristretto di persone?
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2 months ago · 2 likes · Matte Galt
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