#Riprendersi la città. Guida per i cittadini, con 40 idee per riappropriarsi della città
"Recuperar la ciudad. Reclaim the city" è una guida scritta da un gruppo di attivisti spagnoli che si propone di individuare degli strumenti e delle azioni concrete per limitare lo strapotere del traffico automobilistico privato, promuovere una mobilità sostenibile e ridare alla città il suo carattere di spazio pubblico fruibile da tutti i cittadini.
La guida è disponibile sul web in spagnolo (recuperarlaciudad.notion.site/…) e in inglese (recuperarlaciudad.notion.site/…) oppure dalle stesse pagine si può scaricare una versione bilingue in formato pdf.
In italiano, al momento, è disponibile solo la prima parte della guida (l'introduzione), qui sotto trovate l'incipit e questo è il link per scaricare il testo tradotto finora: nilocram.eu/edu/Riprendersi_la…
Sono disponibili in italiano anche due numeri della newsletter curata dallo stesso gruppo di attivisti:
Perché abbiamo bisogno di più ciclistə nelle nostre città?
Promuovere la mobilità in bicicletta attraverso misure di pianificazione urbana
Buona lettura 😀
Se avete tra le mani questo testo, è probabile che vi siate resi conto dell'importanza per le persone di riappropriarsi dello spazio della città, nonché dei problemi che sorgono nel tessuto urbano quando ciò non avviene. Potreste anche essere qui perché sospettate di avere la capacità di migliorare il comune in cui vivete o perché siete alla ricerca di strumenti legali e non violenti per riprendervi la città. Siete nel posto giusto.
Questa è una guida pratica perché i cittadini possano riprendersi la città. Noi, le persone, abbiamo un potere immenso nel plasmare l'ambiente in cui viviamo, anche se per decenni lo abbiamo ceduto a comuni che non sempre si sono occupati del benessere sociale. Cosa possiamo fare per recuperare lo spazio pubblico?
Vi diamo delle alternative in modo che possiate scegliere in base alle vostre possibilità e al vostro grado di impegno. [...]
Scarica il testo da qui: nilocram.eu/edu/Riprendersi_la…
@Rivoluzione mobilità urbana🚶🚲🚋 @maupao @Marcos Martínez
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Il fediverso non è una darknet: discussione sugli hack del #fediverso, sulle reazioni stizzite degli utenti e sul concetto di consenso
Il consenso nel Fediverso. il post di @Sindarina, Edge Case Detective (traduzione automatica)
Sono un po' preoccupata per il numero di persone qui che, come me, sono arrivate abbastanza di recente, e che stanno sperimentando le cosiddette reazioni "estreme" e "irragionevoli" a loro che vogliono "hackerare" il fediverso per cancellare il l'intera conversazione sul consenso come in qualche modo non rilevante.
La NSA monitora comunque tutto ciò che fai su Internet, quindi perché ti lamenti dei fratelli tecnologici che vogliono raccogliere all'aperto, yada yada.
Sembra che dobbiamo definire cosa sia effettivamente il consenso.
Esiste solo una forma di consenso dell'utente valido;
CONSENSO INFORMATO, ENTUSIASTICO, REVOCA.
Questo è tutto. Senza se, senza ma.
L'utente deve capire per cosa sta dando il consenso e l'ambito per il quale il suo consenso è valido.
Devono essere entusiasti, totalmente d'accordo con la decisione, non accettarla a malincuore perché sentono di non avere altra scelta.
E devono essere in grado di revocare tale consenso in qualsiasi momento, tra cinque minuti o tra cinque anni.
Il loro consenso dovrebbe essere limitato nel tempo e scadere automaticamente quando non interagiscono più con il tuo servizio o prodotto.
Se modifichi l'ambito, devi chiedere nuovamente il loro consenso e assicurarti che comprendano l'impatto delle modifiche che stai apportando.
L'ambito include chi possiede e gestisce il servizio o il prodotto. Se vuoi essere acquisito, devi chiedere nuovamente il loro consenso.
Il consenso dell'utente NON è trasferibile, periodo, indipendentemente dai moderni termini di servizio richiesti.
La maggior parte delle persone nel settore della tecnologia non vuole sentirlo, perché invalida la stragrande maggioranza dei loro modelli di business, dati di formazione AI/ML, operazioni di intelligence aziendale e così via. Tutto ciò che si basa sulla raccolta di dati "pubblici" diventa improvvisamente sospetto, se si applica quanto sopra.
E sì, questo include i beniamini di Internet come Internet Archive, che opera anch'esso su un modello di opt-out non consensuale.
È la conquista dell'occidente, rivendicare la proprietà senza permesso.
È così radicato nella cultura bianca e occidentale di Internet che ora ci sono intere generazioni che considerano tutto ciò che può essere letto dal crawler che hanno scritto in un fine settimana come un gioco leale, indipendentemente da quale fosse l'intenzione originale dell'utente.
Ripubblicare, riformattare, archiviare, aggregare, il tutto senza che l'utente ne sia pienamente consapevole, perché se lo fosse, si opporrebbe.
È disonesto come un ca**o, e non è diverso dagli atteggiamenti coloniali nei confronti delle risorse naturali.
"È lì, quindi possiamo prenderlo."😒
Oh, e anche, vaff****lo con il condiscendente "lawl, non sai che la NSA ti controlla comunque?!" che sembra diffuso tra le persone dei circoli infosec.
La gente lo sa. Solo perché è difficile combattere contro un'agenzia di tre o quattro lettere non significa che l'obiezione contro il prossimo tecnico che vuole indicizzare in modo invisibile i nostri dati non sia valida.
Consenso informato, consenso entusiastico, consenso revocabile. Oppure vattene.
PS: riguardo a questo posto c'è stata segnalata una lunga conversazione in inglese sull'istanza lemmy.ml. gli utenti feddit.it potranno partecipare accedendo a questo link mentre gli utenti lemmy.ml potranno accedere direttamente a quest'altro link
Il post di @Sindarina, Edge Case Detective è disponibile qui
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Il sesto decreto armi la prossima settimana. La conferma di Crosetto a Formiche
facebook.com/plugins/video.php…
“Oggi per la prima volta posso dirvi che penso che la prossima settimana potrebbe nascere il sesto decreto, che potrebbe diventare operativo nelle settimane successive”. Lo ha dichiarato Guido Crosetto, a margine dell’evento odierno organizzato da Formiche e Airpress allo Spazio Europa di Roma.
L’INCONTRO CON LECORNU
È stato un colloquio “lungo e cordiale” quello con collega Sébastien Lecornu, ministro delle Forze armate francese. I due, si apprende da una nota, hanno confermato la sintonia e il comune impegno nel sostegno all’Ucraina e per la difesa del fianco Est della Nato ribadendo, ancora una volta, che l’obiettivo principale è sempre il raggiungimento di una pace giusta. “La guerra scatenata dalla Russia rappresenta la più grave minaccia per la pace e la stabilità del continente europeo a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, una chiara violazione dei principi di integrità e inviolabilità dei confini territoriali, del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite”, si legge.
FOCUS MEDITERRANEO
Inoltre, Italia e Francia riconoscono la vitale importanza del Mediterraneo per la sicurezza e gli interessi comuni. Questa regione, confine dell’Europa, è interessata dalla maggior parte delle sfide geopolitiche internazionali: l’inasprimento della concorrenza strategica, la libertà di navigazione e il rischio di conflitti ad alta intensità potrebbero mettere in pericolo le rotte commerciali, i rifornimenti energetici e le principali dorsali di comunicazione. Numerosi sono i fattori di crisi, legati tra loro, fortemente destabilizzanti tra cui l’aumento della minaccia terroristica, la crisi migratoria e il cambiamento climatico. Uno scenario geostrategico complesso, ulteriormente peggiorato a causa dell’aggressione subita dall’Ucraina il 24 febbraio scorso. I due ministri hanno poi approfondito ulteriori tematiche di interesse, quali la sicurezza del fianco Sud dell’Alleanza, l’impegno dell’Europa in Africa, il rafforzamento della difesa europea e della collaborazione tra le rispettive Forze armate.
LE PAROLE DI CROSETTO…
“È importante che Italia e Francia e che le Forze armate dei nostri Paesi, cooperino progettando quella che sarà la nostra sicurezza del futuro”, ha detto il ministro Crosetto, che, nel tracciare un quadro del colloquio odierno, ha aggiunto: “Oggi abbiamo affrontato numerosi temi, in primis la sicurezza dei nostri due Paesi partendo dal fronte Est e quello che sta succedendo e continua a succedere in Ucraina. Abbiamo parlato anche della sicurezza del Mediterraneo allargato, del Centro e Nord Africa, della cooperazione in campo militare e industriale e della possibilità di costruire insieme una visione di sicurezza e difesa che abbia il coraggio di pensare non soltanto ai nostri due Paesi e al Mediterraneo allargato ma al futuro della difesa europea”.
… E QUELLE DI LECORNU
“I rapporti nel settore della Difesa fra Francia e Italia sono solidi”, ha dichiarato il ministro Lecornu. “Oggi a Roma con Guido Crosetto abbiamo avuto uno dei nostri scambi regolari, iniziati in occasione di una bilaterale a Tolone pochi giorni dopo la sua nomina. Con lo stesso spirito costruttivo abbiamo riaffermato la nostra volontà di portare avanti la nostra agenda di sostegno militare all’Ucraina, di proteggere il Mediterraneo dalle nuove minacce e dì studiare l’accrescimento delle capacità di produzione comuni per quanto riguarda la difesa terra-aria”, ha aggiunto. Il riferimento sembra essere ai Samp/T, un sistema missilistico terra-aria sviluppato a partire dai primi anni 2000 nell’ambito del programma italo-francese Fsaf e richiesto dalle autorità ucraine.
LA SINTONIA
Perfetta sintonia tra i due ministri anche riguardo gli altri diversi punti in agenda, recita ancora la nota. Prioritariamente, il rafforzamento della cooperazione tra Italia e Francia nell’ambito della difesa, come già emerso durante l’incontro bilaterale dello scorso novembre a Tolone, e in occasione dei consessi e delle riunioni internazionali avvenuti negli ultimi mesi.
I carri armati occidentali faranno la differenza in Ucraina. Parola del generale Davis
La decisione di inviare carri armati occidentali è rilevante (cioè, farà la differenza?)
Sì, i carri armati occidentali sono importanti. I carri armati in generale potrebbero fare la differenza per l’Ucraina, ma quelli occidentali in particolare hanno più probabilità di farla, in quanto sono in grado di offrire prestazioni superiori rispetto a quelli russi. Essi rappresentano la principale risorsa per le manovre in combattimenti ad alta intensità. Forniscono la capacità di difendersi o di attaccare, di mantenere il terreno o di riprendere il territorio. Offrono una combinazione di potenza di fuoco precisa, protezione e velocità che, in numero sufficiente, può rompere l’attuale situazione di stallo.
Le prime due domande fondamentali per l’Ucraina saranno: quanti e quando? A partire dal 25 gennaio, il numero di carri armati occidentali potrebbe superare di gran lunga il centinaio. Il tempismo è fondamentale. Ci vorrà tempo per preparare, spedire, trasferire, addestrare (equipaggi, leader e unità), organizzare il combattimento e fare esercitazioni per le future operazioni. Solo le ultime due cose devono avvenire in Ucraina.
L’altra questione fondamentale sarà la sostenibilità, che sarà determinata dalle risposte a diverse domande. Per esempio, che prestazioni potranno avere questi carri armati (e i veicoli di recupero) nelle dure condizioni di combattimento invernali attese? In che misura i tecnici della logistica saranno in grado di fornire le munizioni, i pezzi giusti e il carburante sufficiente dove/quando necessario? Le nazioni donatrici forniranno le munizioni, i prodotti lubrificanti e le parti di ricambio in modo tempestivo? In che misura gli equipaggi e le unità saranno in grado di mantenere i vari carri armati pronti all’uso? Ci saranno grandi strutture di riparazione con gli strumenti e i meccanici esperti necessari per riportare in battaglia i carri armati danneggiati?
Queste e altre domande fanno certamente parte della pianificazione in corso da parte degli alleati e dell’Ucraina.
Cosa ne faranno (cioè, che tipo di unità si formeranno intorno a loro?)
I comandanti militari ucraini dovranno considerare diverse opzioni. Dato che gli Stati Uniti e la Germania stanno inviando veicoli da combattimento di fanteria meccanizzati (IFV) e la Francia sta inviando carri armati leggeri, i comandanti ucraini potrebbero impiegare carri armati e IFV in schieramenti di carri armati puri o di “armi combinate”.
Il numero di carri armati di cui si parla potrebbe essere utilizzato per costituire tre battaglioni di carri armati e forse uno o più battaglioni di “armi combinate” contenenti una singola compagnia di carri armati e diverse compagnie di fanteria meccanizzata.
In alternativa, i carri armati e gli IFV potrebbero formare battaglioni di carri armati pesanti o di fanteria meccanizzata ad “armi combinate”, in cui una o due compagnie di carri armati sono abbinate a una o due compagnie di fanteria meccanizzata in formazioni di battaglione. I numeri annunciati potrebbero supportare nove battaglioni di armi combinate o di carri/IFV puri organizzati in tre brigate pesanti.
Sono (Leopard, Challenger e Abrams) migliori di quelli che hanno i russi?
Tutti e tre sono migliori di quelli che i russi stanno usando attualmente e significativamente migliori di quelli che le forze ucraine hanno attualmente (compresi i carri armati russi catturati). Per un buon confronto si veda qui.
Quando potrebbero essere pronte ad entrare in azione queste unità?
Al momento ci sono troppe incognite per stabilire quando i carri armati saranno pronti per essere utilizzati dalle forze ucraine. Le nazioni che li inviano capiscono l’urgenza di far entrare in azione questi carri armati e altri veicoli da combattimento. Una stima prudente è di tre mesi. Ma la necessità è madre dell’invenzione e padre dell’adattamento. I tecnici logistici, i soldati e i leader ucraini probabilmente ci sorprenderanno per la loro capacità di acquisire competenze sufficienti e di integrare i veicoli e gli equipaggi nelle formazioni da combattimento in tempi record.
I numeri per paese sono relativamente piccoli e teoricamente potrebbero essere preparati per la spedizione in poche settimane. Per i carri armati statunitensi potrebbe essere necessario un mese o poco più. Tuttavia, le nazioni dovranno inviare parti e strumenti, lubrificanti, forse rimorchi pesanti e veicoli di recupero. Dovranno inviare una serie di addestratori per equipaggi, leader, meccanici e logisti. Potrebbero inviare squadre di assistenti nella vicina Polonia per aiutare nelle riparazioni specialistiche e nella pianificazione logistica.
I Paesi donatori e l’Ucraina dovranno identificare i luoghi per l’addestramento individuale, dei leader e delle unità. L’Ucraina dovrà identificare e spostare equipaggi, quadri, meccanici e logistici. Un addestramento individuale, dei leader e delle unità di qualità sarà fondamentale per il successo e l’impiego. Idealmente, l’addestramento delle unità sarà fino al livello di battaglione, simulerà le condizioni di combattimento e sarà di tipo combinato, comprendendo fanteria, artiglieria, ingegneri e difesa aerea. Una volta in Ucraina, il movimento nascosto verso il fronte, l’integrazione e le prove prima del combattimento saranno probabilmente le fasi finali.
Possono essere mantenuti?
Finché i Paesi donatori saranno in grado di garantire la catena di rifornimento per ottenere i pezzi di ricambio, i lubrificanti, gli strumenti e le munizioni giusti nelle quantità e con la tempestività di cui le forze ucraine hanno bisogno per sostenere i vari veicoli e le armi inviate, sono certo che i leader e i soldati ucraini faranno il resto.
Il primo non sarà un compito facile, poiché i carri armati (come gli IFV, l’artiglieria e le attrezzature di difesa aerea) hanno motori complessi, comunicazioni, elettronica, armamenti, dispositivi di visione e navigazione, telemetrie e altro ancora. I Leopard 2 possono essere più facili da mantenere rispetto ai Challenger o agli Abrams, ma sono tutti sistemi complessi. Senza dubbio ci saranno delle sfide.
Tuttavia, scommetto sugli ucraini, che ci hanno sorpreso più volte con la loro intraprendenza, ingegnosità e, soprattutto, con la loro capacità di imparare, adattarsi e migliorare nelle condizioni più difficili.
I comandanti russi dovrebbero essere preoccupati dall’arrivo dei carri armati occidentali?
Sì. Sono già preoccupati dalle prospettive e lo è anche la leadership russa. Possiamo aspettarci sia una campagna di propaganda a tutto campo per minimizzare l’importanza del loro arrivo sul campo di battaglia ucraino, sia affermazioni opposte secondo cui si tratterebbe di un’escalation inaccettabile da parte dei Paesi occidentali e della Nato, con l’obiettivo di seminare dubbi tra le fazioni politiche occidentali meno convinte.
Questo articolo è apparso per la prima volta sul sito del Center for European Policy Analysis con il titolo “How Western Tanks Will Make a Difference in Ukraine” (traduzione di Formiche.net).
Ucraina: perché Bakhmut è importante per la Russia?
Da quando la controffensiva dell’esercito ucraino ha iniziato a prendere slancio nel settembre 2022, l’esercito russo è stato in gran parte sulla difensiva. Gli attacchi di droni e missili russi continuano a prendere di mira le principali città ucraine, ma le sue forze militari si sono ritirate dai tentativi di prendere Kherson, Kharkiv o qualsiasi […]
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Ucraina: carri armati, fine della prudenza USA?
Il recente impegno di Germania e Stati Uniti a fornire carri armati Leopard 2 e M1A1 Abrams all’Ucraina chiude — almeno per il momento – un dibattito intorno al quale la coalizione internazionale che sostiene il governo di Kiev si è divisa nei mesi scorsi. L’opportunità di garantire a Kiev l’accesso ad armamenti non esclusivamente difensivi è […]
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Fondazioni d’impresa: ‘spin off‘ etico per le imprese?
Le Fondazioni di Impresa nascono per volontà di un imprenditore come persona fisica o di una impresa. Dagli anni 2000, questa tipologia di imprese sociali si è sviluppata in Italia ed in Europa. In Italia sono 111, secondo l’ultima ricerca di Sodalitas e fondazione Bracco (2019), e già alcuni nomi ci indicano i settori dell’impresa […]
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Misurando l’efficacia delle sanzioni occidentali contro la Russia
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Borsa: canapa, continua la discesa nel profondo rosso per USA e Canada
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Gli USA dimostrano in Ucraina di aver dimenticato le lezioni del Vietnam
Oggi, venerdì 27 gennaio ricorre il 50° anniversario della firma degli Accordi di pace di Parigi da parte dei rappresentanti degli Stati Uniti, del Vietnam del Nord e del Sud, ponendo effettivamente fine alla partecipazione americana al conflitto civile vietnamita. Quello che lo studioso di relazioni internazionali della Georgetown University Charles Kuphan chiama un “impulso […]
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Le relazioni USA-Cina stanno diventando un disastro
Nel suo incontro online con il Presidente cinese Xi Jinping nel novembre 2021, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha proposto contorni per le relazioni USA-Cina. La sua proposta rifletteva profonde preoccupazioni circa il potenziale di uno scontro militare a causa di un errore di calcolo o di un incidente. È passato più di […]
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Smontando gli argomenti per la ‘sconfitta totale’ della Russia in Ucraina
I fautori zelanti del sostegno occidentale alla sconfitta totale della Russia in Ucraina – compreso, se necessario, l’intervento occidentale diretto e la guerra NATO-Russia – basano il loro caso su una serie di argomenti disparati, quasi tutti all’esame risultano essere o esagerati o del tutto sbagliati. La più estrema è che la difesa della ‘civiltà’ […]
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Ministero dell'Istruzione
Oggi, in occasione del #GiornodellaMemoria, sono stati premiati le studentesse e gli studenti vincitori del concorso “I giovani ricordano la Shoah”, bandito dal Ministero dell’Istruzione e del Merito sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubb…Telegram
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CBD: dalla Francia un’ altra ventata verso la libertà
Francia: A fine dicembre, il Consiglio di Stato – l’organo che consiglia il governo sulla legislazione e agisce come corte suprema per la giustizia amministrativa – ha stabilito che un divieto generale e assoluto sulla commercializzazione della sostanza allo stato grezzo è “sproporzionato”, come riporta RFI.La più alta corte francese ha stabilito che la vendita […]
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ho una curiosità sistemistica, sicuramente molto ingenua:
due macchine virtuali ospitate dallo stesso server e in rete tra loro, per scambiarsi dati devono far passare il flusso attraverso la scheda di rete "fisica" del server?
Giornata della Memoria 2023
Il 27 gennaio 1945 l'Armata Rossa abbatté i cancelli di #Auschwitz.
Il 25 gennaio 2023 la Repubblica di #Polonia ha estromesso i rappresentanti russi dalle celebrazioni della liberazione. La guerra all'#Ucraina ha imposto l'adozione di una "cultura della cancellazione" che definire ridicola è limitativo, ma pare che a #Varsavia non aspettassero di meglio.
Il 27 gennaio 2023 si licet parva componere, i micropolitici "occidentalisti" in forza all'amministrazione comunale fiorentina Emanuele #Cocollini, Ubaldo #Bocci e Antonio #Montelatici hanno ribadito in un comunicato stampa (lo fanno circa una volta al mese) che "serve impegno costante per combattere ogni giorno tutte le forme di #antisemitismo, anche quella più moderna che si palesa come #antisionismo".
Nelle stesse ore l'esercito dello stato sionista ha compiuto una delle sue solite incursioni nella città di #Jenin facendo una decina di morti. Nel solo 2022 sono morte in episodi dello stesso genere circa centosettanta persone.
No, signori Cocollini, Bocci e Montelatici.
Criticare in modo puntuale, pedissequo e circostanziato l'operato dello stato sionista e la sua linea politica non fa di noi dei nostalgici delle camere a gas.
Fa di noi delle persone serie.
Con buona pace della vostra ostinazione.
MÄRVEL – DOUBLE DECADE
@Musica Agorà
#metal #musica
iyezine.com/marvel-double-deca…
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ANALISI. Egitto: il Golfo si è comprato El Sisi ma ora è stanco di pagare
di Michele Giorgio
(Abdel Fattah el Sisi e gli altri leader arabi al vertice di Abu Dhabi – foto Presidenza Emirati arabi uniti) –
Pagine Esteri, 27 gennaio 2023 – Accompagnato da cinque ministri e da alti funzionari governativi, Abdel Fattah el Sisi martedì è arrivato a New Delhi per una visita di stato di tre giorni e ha avuto colloqui con il primo ministro Narendra Modi con il quale condivide una visione a dir poco autoritaria del potere. Le due parti firmeranno accordi importanti ma l’India non potrà fare molto per aiutare l’Egitto alle prese con una crisi finanziaria ed economica devastante che rischia di farlo precipitare nel baratro in cui è già caduto il Libano. I punti in comune tra i due paesi arabi sono parecchi, a cominciare dal crollo della sterlina egiziana nel cambio con il dollaro simile a quello della lira libanese, passando per l’inflazione galoppante fino al rapido impoverimento della classe media in un paese dove già il 30% dei 104 milioni di abitanti vive in miseria. Un quadro che inquieta gli Stati arabi. Anche Israele osserva con attenzione gli sviluppi alla luce dei rapporti stretti con il Cairo nelle questioni di sicurezza.
Come dare una mano a El Sisi è stato uno dei temi del vertice «Prosperità e stabilità nella regione» tenuto ad Abu Dhabi il 18 gennaio dove ufficialmente si sarebbe discusso solo di cooperazione, di Yemen e delle provocazioni sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme da parte del nuovo governo israeliano. Le ricche monarchie del Golfo, che già hanno aiutato con non pochi miliardi di dollari El Sisi dopo il suo colpo di stato nel 2013 contro il nemico comune, i Fratelli Musulmani, sono pronte a fare la loro parte ma solo entro una certa misura. Il sostegno richiesto invece è ingente. L’Egitto ha urgente bisogno di valuta estera. Le sue riserve ammontano a soli 24 miliardi di dollari e una parte di esse sono dell’Arabia saudita e degli Emirati che hanno depositato diversi miliardi di dollari nelle banche egiziane per garantire gli aiuti finanziari internazionali richiesti dal Cairo. Di recente l’Egitto ha ottenuto un prestito dal Fondo monetario internazionale di tre miliardi di dollari. Ma è una goccia di fronte al mare del debito complessivo egiziano di oltre 220 miliardi di dollari di cui quello estero sfiora i 160 miliardi.
Così non mancano gli interrogativi anche tra gli alleati arabi sulle politiche economiche del presidente egiziano e le sue manie di grandezza che si sono materializzate in questi anni in faraonici progetti infrastrutturali che hanno svuotato le casse pubbliche, come l’espansione del Canale di Suez, la costruzione di una nuova capitale nel deserto e varie superstrade. Progetti che El Sisi difende con forza. Il commentatore arabo Mashari a Dhayidi qualche giorno fa sulle pagine del quotidiano saudita Asharq al Aswat, megafono della famiglia reale, è andato in soccorso del presidente egiziano descrivendolo come un alleato «prezioso» per Riyadh e il leader di un paese «fondamentale per la difesa della sicurezza regionale». Dhayidi ha ricordato che il coordinamento tra Egitto, Arabia saudita ed Emirati è essenziale per sconfiggere le «minacce esistenziali» (l’Iran) e per «eliminare il caos nella regione» (gli Houthi yemeniti). Malgrado ciò l’Arabia saudita non ha partecipato al vertice di Abu Dhabi alimentando voci secondo le quali la famiglia Saud non sarebbe più disposta ad immettere altri miliardi di dollari nell’economia egiziana fuori controllo.
Riyadh non ha più bisogno di comprare la politica estera di El Sisi, quindi non regalerà al Cairo decine di miliardi di dollari. Anche perché il principe ereditario Mohammed bin Salman ha bisogno di quei miliardi per completare il suo piano nazionale Vision 30 persino più faraonico dei progetti di El Sisi. Al World Economic Forum di Davos, il ministro delle finanze saudita Mohammed al Jadaan ha chiarito che il regno cambierà la sua politica di aiuti esteri. «Eravamo soliti concedere sovvenzioni dirette e depositi senza alcun vincolo. Ora lavoriamo con le istituzioni internazionali per vedere che siano prima attuate riforme (nei paesi da sovvenzionare, ndr)» ha affermato. Personalità dei media vicine ai leader arabi del Golfo, come il giornalista Amr Adib, hanno apertamente criticato le politiche economiche del Cairo. Così lo scorso autunno El Sisi aveva mestamente riconosciuto che «Amici e alleati credono che lo Stato egiziano non sia in grado di rialzarsi dopo avergli fornito per anni l’assistenza per risolvere crisi e problemi». Il presidente egiziano comunque non sarà abbandonato al suo destino. Un El Sisi debole è ancora più manipolabile a favore degli interessi dei paesi del Golfo. Pagine Esteri
L'articolo ANALISI. Egitto: il Golfo si è comprato El Sisi ma ora è stanco di pagare proviene da Pagine Esteri.
Il potere politico è stato “invaso” dall’ordine giudiziario
Se i problemi della giustizia continuano ad essere trattati come ai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini (e dei Neri e dei Bianchi), non vi sono vie di uscita. Vediamo quali sono i problemi, uno per uno, e quale giudizio dare sulla situazione e sulle proposte.
1) Lo stato della giustizia.
Al termine del terzo trimestre dell’anno scorso, erano pendenti complessivamente 4 milioni e 400 mila cause civili e penali. La situazione dell’arretrato è migliorata nell’ultimo decennio, ma è egualmente grave: è da maglia nera nell’area del Consiglio d’Europa, secondo i dati della Commissione europea per l’efficienza della giustizia. Perché un giudizio di primo grado, civile o penale, venga concluso è necessario, in media, un tempo tre volte superiore a quello europeo; in appello il tempo è sei volte superiore per un giudizio civile e dieci volte superiore per un giudizio penale; in Cassazione è nove volte superiore per un giudizio civile e due volte superiore per un giudizio penale. Se questi sono i dati, si può dire che la giustizia non abbia bisogno di una riforma profonda?
2) L’opera della ministra Marta Cartabia.
Ha avviato e realizzato la creazione dell’ufficio per il processo, ha avviato, con due apposite deleghe, seguite dai decreti delegati, la riforma dei processi civili e penali, ha affrontato la questione della separazione delle carriere, delle porte girevoli tra politica e magistratura, dell’ordinamento giudiziario e dell’elezione del CSM. Si è discusso a lungo, animatamente e con ingiustificato allarmismo, nei giorni scorsi, della questione dell’ampliamento dei processi a querela di parte per i reati minori. E si è rilevato che non dovevano esservi inclusi i reati contro la persona e il patrimonio, quando aggravati dal metodo mafioso (un problema, peraltro, che già si poneva per qualsiasi reato procedibile a querela da quando esiste l’aggravante mafiosa, cioè dagli anni Novanta). Il governo in carica ha preparato un correttivo, esteso a un altro problema che addirittura esiste dal 1930 e che riguarda tutti reati procedibili a querela: non si può eseguire un arresto in flagranza se è assente o irreperibile la vittima e non può quindi essere presentata una querela. Si può negare che mai era stato fatto tanto, nella direzione giusta, in così poco tempo, e che il giudizio positivo sull’intero disegno di riforma — assai esteso — non può esser diminuito dalla correzione operata, limitata ad aspetti molto circoscritti e peraltro prevista dalla stessa legge di delega, che dava al governo il potere di correggere i decreti delegati?
3) La disciplina delle intercettazioni.
I dati del Ministero della Giustizia dicono che nel 2021 sono state 95 mila, tre volte quelle che si fanno in Francia e più di trenta volte quelle che si fanno nel Regno Unito, due Paesi che hanno ora più di 8 milioni di abitanti rispetto all’Italia (ma meno infiltrazioni mafiose di quelle del nostro Paese). Il costo annuale, in Italia, è di 200 milioni, e ogni Procura faceva fino a ieri per conto suo, tanto che un decreto interministeriale del 6 ottobre dell’anno scorso ha dovuto definire in maniera uniforme prestazioni, obblighi dei fornitori, garanzie di durata, comunicazioni amministrative, procedure di fatturazione, controlli e monitoraggio. Sulle intercettazioni la questione è se debbano essere uno strumento generale o (come oggi avviene) limitato a taluni reati particolarmente gravi; se possano essere estese a procedimenti penali o persone diverse da quelle per cui le intercettazioni sono autorizzate dal giudice; se debbano coinvolgere anche i reati connessi; se e in quali limiti debbano essere rese pubbliche. Alcuni limiti sono stati disposti due anni fa con la riforma del ministro Orlando, ma sembrano insufficienti. Lo dimostra la pubblicità data a una conversazione intercettata in Veneto qualche giorno fa, tra persone non indagate. Come si può negare che il rispetto della libertà e della vita privata delle persone richieda norme più stringenti, limitate strettamente a particolari reati, alle sole persone indagate e con rigido rispetto della riservatezza, come dispone espressamente anche la Costituzione? Tanto più che le intercettazioni non possono esser considerate mezzo esclusivo di prova e che la pubblicità che in modi diversi finiscono per avere inquina il dibattito pubblico e si presta ad usi politici diparte.
4) La giustizia nello spazio pubblico.
Rispetto all’immagine tradizionale del magistrato appartato, silenzioso, che parla con le sentenze, rispettato nella società, l’attuale immagine pubblica del magistrato (quale si evince dal comportamento di quelli più chiassosi) è molto diversa: loquace, battagliero, onnipresente, sindacalizzato, circondato da crescente sfiducia. Il pubblico ha l’impressione che la magistratura costituisca un corpo che prende parte alla politica dei partiti, quindi non imparziale: vede magistrati in servizio attivo impegnati nella preparazione delle leggi, ai vertici del corpo esecutivo della giustizia (il ministero), operanti in regioni ed enti locali con funzioni amministrative. E tutto questo mentre più di 4 milioni di controversie attendono un giudizio. Qualche volta, il magistrato-procuratore appare come un giustiziere pronto a comprimere quelle libertà di cui dovrebbe essere il difensore istituzionale. La stessa circostanza che la giustizia sia divenuta uno dei principali problemi politico-partitici segnala un’anomalia del sistema, perché dalla giustizia ci si aspetta un passo diverso rispetto a quello della politica, in quanto essa è legittimata dal diritto, non dal voto. Si ha, quindi, l’impressione che i magistrati che stanno sulla ribalta stiano facendo un danno a sé stessi, al proprio ruolo e alla categoria alla quale appartengono, perdendo autorevolezza, apparendo meno imparziali e distruggendo quell’immagine di terzietà e quel patrimonio di fiducia che la magistratura deve assolutamente conservare.
5) Che cosa è urgente fare.
Se questa è la situazione della giustizia, occorre porre rapidamente rimedio alle principali disfunzioni. L’ordine giudiziario non sarà veramente indipendente finché occuperà i vertici del ministero, perché indipendenza comporta separatezza dal potere esecutivo. In secondo luogo, una giustizia che arriva in ritardo — generando nel processo penale elevati tassi di prescrizione dei reati — è necessariamente ingiusta e quindi occorre misurare la performance e aumentare la produttività, anche attraverso la digitalizzazione su cui ha puntato la recente riforma, ciò che si può fare senza interferire con la piena indipendenza. In terzo luogo, occorre creare un archivio e un osservatorio delle migliori pratiche (che vi sono e sono facilmente identificabili), perché tutti vi si ispirino. Infine, ci si dovrebbe rendere conto che magistrati combattenti, anche negli studi televisivi e sui giornali, finiscono per essere (o per essere considerati) magistrati di parte. La Costituzione si preoccupa di assicurare l’indipendenza dell’ordine giudiziario da invasioni esterne. È accaduto il contrario: l’affermarsi di magistrati combattenti, organizzati in associazioni che ritengono l’ordine giudiziario un corpo separato dotato di autogoverno, salvo partecipare all’attività legislativa e amministrativa, e quindi scavalcare la separazione dei poteri, ha finito per creare una politicizzazione endogena del corpo.
L'articolo Il potere politico è stato “invaso” dall’ordine giudiziario proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
VIDEO. Bombe su Gaza, lanci di razzi, scontri tra coloni israeliani e palestinesi a Gerusalemme
della redazione
Pagine Esteri, 27 gennaio 2023 – Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si riunirà oggi per una sessione di emergenza sul raid sanguinoso compiuto ieri dall’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, in cui sono stati uccisi nove palestinesi, tra cui una donna anziana. La riunione è stata richiesta da Cina, Francia e anche dagli Emirati, il principale alleato arabo di Israele nel Golfo. Un dato che testimonia la grande risonanza che hanno avuto nella regione le uccisioni a Jenin. La tensione dopo il raid è molto alta ed è stato ucciso un altro palestinese a Ram, a nord di Gerusalemme. Da Gaza sono stati lanciati razzi verso il sud di Israele. Alcuni sono stati intercettati, altri sono caduti senza fare danni. L’aviazione israeliana ha poi colpito presunti siti del movimento islamico Hamas. Le prossime ore si annunciano cariche di tensione in Cisgiordania e anche Gerusalemme dove migliaia di palestinesi affluiranno sulla Spianata delle moschee per le preghiere del venerdì. Ieri in tarda serata gruppi di coloni e di estremisti di destra israeliani sono scontrati con i residenti palestinesi nella zona di Porta Nuova nella città vecchia di Gerusalemme. Intanto si cerca di interpretare la decisione dell’Autorità nazionale palestinese di interrompere, in risposta al raid a Jenin, il coordinamento di sicurezza con Israele. Un passo invocato da anni dalla popolazione palestinese che, se confermato, potrebbe avere importanti riflessi. In passato però è già stato annunciato in diverse occasioni dall’Anp senza che la decisione avesse poi riscontri concreti sul terreno. Pagine Esteri
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Certo che i medici italiani hanno l’età media più alta d’Europa. Ma questa non è l’eccezione cui rimediare, bensì la regola di cui tenere conto. Quell’età media è la più alta non perché i giovani non vogliano fare i medici, ma perché i giovani scarseggiano e la nostra età media cresce ogni anno. Il che discende dall’andamento demografico, sicché si tratta di una questione con cui si devono necessariamente fare i conti.
Spostare l’età di pensionamento dei medici a 72 anni, sebbene su base volontaria, serve a ridurre l’emergenza nell’immediato, non a risolvere il problema. Se la metà a più di 60 anni, comunque, al massimo entro un decennio, ammesso vogliano tutti lavorare più a lungo, ce ne saranno la metà di oggi. E se l’età media degli infermieri è più bassa ciò non discende da una maggiore vocazione giovanile a quel lavoro, ma dal fatto che molti sono immigrati.
Il lato positivo di questa assai difficile situazione è che dimostra quanto sia illusorio continuare a spostare in avanti l’affrontare tre problemi: a. la natalità; b. l’immigrazione (e di che qualità); c. il sistema pensionistico. Non potremo essere un mondo di vecchi assistiti da vecchi con vecchi che finanziano la pensione dei vecchi. Dopo di che gli stessi che sostengono sia un diritto andare in pensione il prima possibile si ritrovano, una volta cambiato argomento, a sperare che i medici non ci vadano neanche all’età prevista dalla legge (che è ben più alta di quella reale, 67 contro 63). Politica cieca.
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In Cina e Asia – Biden estende l’accoglienza ai cittadini di Hong Kong
Biden estende l'accoglienza ai cittadini di Hong Kong
Gli Usa sanzionano azienda cinese vicina al Wagner Group
Capodanno cinese: siti turistici presi d'assalto
HRW: decine di manifestanti della "A4 revolution" sono ancora agli arresti
Gli Usa potenziano le forze militari nel Pacifico
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Italy’s Role in the Wider Mediterranean: Is It Just About Energy?
The MED This Week newsletter provides expert analysis and informed insights on the MENA region's most significant issues and trends, bringing together unique opinions on the topic and reliable foresight on possible future scenarios.
Ministero dell'Istruzione
Oggi, #27gennaio, è il #GiornodellaMemoria. Il Ministero dell’lstruzione e del Merito si unisce ai momenti di riflessione sul significato profondo di questa giornata.Telegram
Data Protection Day: Are Europeans really protected?
Giornata della protezione dei dati: Gli europei sono davvero protetti? La Giornata europea della protezione dei dati ricorda la firma del primo quadro europeo di protezione dei dati nel 1981. Oggi, il GDPR ha lo scopo di consentire ai cittadini di esercitare il loro diri
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VIDEO. Bombe su Gaza, lanci di razzi, scontri tra coloni israeliani e palestinesi a Gerusalemme
della redazione
Pagine Esteri, 27 gennaio 2023 – Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si riunirà oggi per una sessione di emergenza sul raid sanguinoso compiuto ieri dall’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, in cui sono stati uccisi nove palestinesi, tra cui una donna anziana. La riunione è stata richiesta da Cina, Francia e anche dagli Emirati, il principale alleato arabo di Israele nel Golfo. Un dato che testimonia la grande risonanza che hanno avuto nella regione le uccisioni a Jenin. La tensione dopo il raid è molto alta ed è stato ucciso un altro palestinese a Ram, a nord di Gerusalemme. Da Gaza sono stati lanciati razzi verso il sud di Israele. Alcuni sono stati intercettati, altri sono caduti senza fare danni. L’aviazione israeliana ha poi colpito presunti siti del movimento islamico Hamas. Le prossime ore si annunciano cariche di tensione in Cisgiordania e anche Gerusalemme dove migliaia di palestinesi affluiranno sulla Spianata delle moschee per le preghiere del venerdì. Ieri in tarda serata gruppi di coloni e di estremisti di destra israeliani sono scontrati con i residenti palestinesi nella zona di Porta Nuova nella città vecchia di Gerusalemme. Intanto si cerca di interpretare la decisione dell’Autorità nazionale palestinese di interrompere, in risposta al raid a Jenin, il coordinamento di sicurezza con Israele. Un passo invocato da anni dalla popolazione palestinese che, se confermato, potrebbe avere importanti riflessi. In passato però è già stato annunciato in diverse occasioni dall’Anp senza che la decisione avesse poi riscontri concreti sul terreno. Pagine Esteri
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ANALISI. Perché i palestinesi in Israele non partecipano ai raduni anti-Netanyahu
di Michele Giorgio
(le foto e il video sono di Michele Giorgio)
Pagine Esteri, 23 gennaio 2023 – Un successo delle proteste contro il governo in corso nelle strade di Israele. Così osservatori e giornali giudicano il licenziamento annunciato ieri dal premier Netanyahu del ministro dell’interno e della salute Aryeh Deri, leader del partito religioso ultraortodosso Shas, che la scorsa settimana i giudici della massima corte di Israele avevano dichiarato non idoneo a far parte dell’esecutivo in quanto condannato per gravi reati fiscali. Netanyahu durante la riunione di governo ha detto di essere “molto dispiaciuto” e ha accusato giudici di non aver rispettato la volontà espressa dagli elettori lo scorso primo novembre. Certo è che la sentenza della Corte suprema ha creato un primo serio problema alla stabilità del governo di estrema destra religiosa poiché Deri e lo Shas sono una colonna della coalizione. Netanyahu non può fare a meno dell’appoggio di questo suo alleato e ora cerca un modo per tenerlo nel governo. Forse nominerà Deri primo ministro supplente ma la procedura è molto complessa e non è escluso un nuovo intervento della Corte suprema.
Sulle dimissioni di Deri insistevano i partiti di opposizione e il Movimento per un governo di qualità (Mgq), divenuto il principale organizzatore delle manifestazioni a Tel Aviv a scapito del gruppo ebraico-arabo Standing Together che due settimane fa aveva portato in strada circa 15mila persone. Sabato scorso circa 200 israeliani, in prevalenza giovani, hanno scandito slogan in Via Kaplan e in via Leonardo da Vinci a sostegno dei diritti dei palestinesi in Israele e nei Territori occupati. Ma lo spostamento in una posizione di secondo piano di Standing Together ha contribuito a tenere gli arabo israeliani, ossia i palestinesi con cittadinanza israeliana, lontano dalle manifestazioni contro l’autoritarismo.
Pochi israeliani ebrei si sono posti domande sull’assenza da Piazza Habima dei cittadini arabi che pure è il segmento della società israeliana (21% della popolazione) che con ogni probabilità sarà tra i primi a finire nel mirino dell’estrema destra al governo. I palestinesi d’Israele spiegano che l’agenda della protesta non affronta i problemi più ampi del sistema. Difendere la democrazia, aggiungono, deve significare anche la fine della discriminazione aperta o strisciante contro i cittadini arabi e dell’occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est.
Rana Bishara
«Gli israeliani ebrei, o la maggior parte di essi, vivono in una bolla. Persino molti di quelli che si considerano progressisti non sembrano porsi il problema centrale dei diritti della minoranza araba», ci dice Rana Bishara, un’artista molto nota nella sua comunità. Un sondaggio pubblicato questa settimana dall’Israel Democracy Institute rivela che circa la metà degli ebrei in Israele pensa di dover avere più diritti rispetto ai cittadini arabi. «Gli ebrei – aggiunge Bishara – si stanno rendendo conto della deriva estremista che domina la politica in questo paese, noi lo denunciano da sempre». Anche la Corte suprema, che la folla di piazza Habima difende dalla riforma della giustizia del ministro Yariv Levin, è vista in modo diverso da ebrei e arabi in Israele. «Non ne sottovaluto l’importanza – spiega Bishara – ma questi giudici sono gli stessi che hanno sentenziato la legalità della legge fondamentale che (nel 2018) ha proclamato Israele come lo Stato degli ebrei e non anche dei suoi cittadini arabi, in cui la priorità è data allo sviluppo dell’insediamento ebraico».
Che le questioni dei diritti della minoranza araba e dell’occupazione dei Territori non siano parte dell’agenda delle proteste anti-Netanyahu lo ha confermato in interviste date a media locali il portavoce del Mgq, Nadav Lazare. «Ci occupiamo della natura del governo in Israele. Siamo un movimento centrista. L’occupazione non è l’oggetto delle manifestazioni», ha puntualizzato. Di fronte a ciò l’ex ministro arabo Issawi Frej, del partito sionista di sinistra Meretz, pur prendendo parte ai raduni a Tel Aviv, dice di capire i cittadini arabi. «Quando non parli di uguaglianza non aspettarti che venga il pubblico arabo. La democrazia non è solo rafforzare la Corte suprema».
Si lamenta Sally Abed di Standing Together. «Da una settimana all’altra è cambiato tutto» racconta «la prima volta c’erano quattro palestinesi (cittadini di Israele) su nove oratori, un religioso ortodosso e una donna transessuale. Ora è molto diverso». Pagine Esteri
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Armeni sotto assedio, emergenza umanitaria in Nagorno Karabakh
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 23 gennaio 2023 – Il cibo scarseggia e gli abitanti di Stepanakert e dei piccoli centri contigui sono obbligati a ricorrere alla tessera annonaria istituita dal governo del Nagorno Karabakh per accedere a quel minimo di beni di prima necessità che le autorità dell’enclave riescono a distribuire alla popolazione.
Da giorni mancano anche l’energia elettrica, l’acqua potabile e il gas, perché le condotte e gli elettrodotti provenienti dall’Armenia sono stati bloccati da Baku o sono stati sabotati. Anche internet funziona a singhiozzo. Scuole e uffici pubblici sono chiusi o lavorano a ritmo ridotto per l’impossibilità di illuminare e riscaldare gli edifici.
Gli scaffali di negozi e supermercati sono vuoti e le attività produttive sono per lo più bloccate; migliaia di persone hanno già perso il lavoro.
La situazione è tragica soprattutto negli ospedali dove i medicinali scarseggiano o sono esauriti e i malati gravi possono essere trasferiti in Armenia solo in circostanze eccezionali e grazie all’intervento della Croce Rossa Internazionale. Alcuni pazienti sono già morti per mancanza di cure adeguate e tempestive.
Il disastro umanitario è dietro l’angolo. Circa 120 mila persone sono bloccate, ormai da sei settimane, all’interno di ciò che rimane della Repubblica dell’Artsakh assediata dalle forze azere. Niente e nessuno può entrare o uscire nell’isola armena incastonata in territorio azero.
120 mila persone sotto assedio
Fino al 12 dicembre, ogni giorno a Stepanakert arrivavano circa 400 tonnellate di merci dall’Armenia. Ma quel giorno un folto gruppo di cittadini azeri ha deciso di bloccare il “corridoio di Lachin”, l’unica strada che collega l’Armenia con l’ex territorio azero dichiaratosi unilateralmente indipendente da Baku nel 1991.
Ufficialmente, a trasformare in ostaggi i 120 mila abitanti dell’enclave è una “protesta ambientalista”. A bloccare l’unica via di comunicazione terrestre esistente con Erevan, infatti, sarebbe un gruppo di attivisti ecologisti azeri desiderosi di impedire che le miniere di oro, rame e molibdeno di Drombon e Kashen, nel territorio della provincia ribelle, continuino a sfornare materiali di scarto altamente inquinanti. Ma nel paese guidato da trent’anni dal clan Aliyev non si muove nulla senza il consenso del regime; nessun’altra protesta è stata inoltre inscenata per denunciare l’inquinamento, altrettanto grave, provocato dalle attività estrattive disseminate nel resto dell’Azerbaigian, alcune di proprietà dello stesso presidente Ilham.
I presunti ambientalisti, denunciano Erevan e Stepanakert, altro non sono che militari e attivisti di organizzazioni azere riconducibili al regime di Baku, che assediando il Nagorno Karabakh sperando di convincere molti dei suoi abitanti ad abbandonare quei territori per rifugiarsi in Armenia. Mostrano cartelli contro l’inquinamento, ma intonano slogan e canti ultranazionalisti. «Coloro che non vogliono essere cittadini dell’Azerbaigian sono liberi di farlo; il corridoio di Lachin è aperto, nessuno gli impedirà di andarsene» ha tuonato il dittatore azero.
Il blocco azero a Lachin
Il cessate il fuoco firmato il 10 novembre 2020 da Erevan e Baku dopo la “guerra dei 44 giorni” (durante la quale le truppe azere sostenute da Turchia e Israele hanno strappato agli armeni la maggior parte dei territori conquistati da questi ultimi all’all’inizio degli anni ’90) stabilisce che la percorribilità del “corridoio di Lachin” debba essere garantita dai 2000 soldati inviati da Mosca per monitorare il rispetto dell’accordo imposto dalla Russia per porre fine all’ennesimo scontro armato tra armeni e azeri.
Ma i membri delle forze di sicurezza azere travestiti da difensori dell’ambiente non hanno subito alcun intervento da parte dei peacekeeper russi, rimasti in disparte in prossimità della strada bloccata.
Mosca è impegnata nella difficile avventura ucraina e non vuole aprire altri fronti. Soprattutto, per quanto l’Armenia goda tradizionalmente della protezione russa, a Mosca ora interessa assai di più la proficua relazione con Baku e con Ankara, lo sponsor principale della repubblica turcofona ex sovietica divenuta negli ultimi anni una potenza regionale grazie al gas e al petrolio estratti nel Mar Caspio. E anche alle armi copiosamente acquistate proprio dalla Russia, che tramite una triangolazione con l’Azerbaigian riesce ad esportare in Europa quantità copiose di gas nonostante l’embargo decretato da Bruxelles dopo l’invasione dell’Ucraina. Forte della dipendenza russa dall’asse azero-turco, Aliyev ne approfitta per stringere la corda attorno alla comunità armena del Nagorno Karabakh, per costringerla ad abbandonare un territorio che abita da secoli e ogni pretesa di indipendenza. Baku, poi, vuole imporre all’Armenia l’apertura di un passaggio – il corridoio di Zangezur – che connetta l’Azerbaigian alla Repubblica Autonoma di Nakhchevan (una provincia azera separata dalla madrepatria dal territorio armeno) e di lì direttamente con la Turchia e il Mediterraneo.
Peacekeepers russi
Il tradimento di Mosca
Del resto, il contingente russo non mosse un dito neanche quando, il 13 settembre 2022, le truppe azere lanciarono l’ennesimo attacco militare questa volta direttamente contro il territorio dell’Armenia. L’aggressione militare azera durò alcuni giorni senza che Mosca intervenisse se non invitando entrambe le parti alla moderazione, generando così un’ondata di disillusione nei confronti di Mosca tra la popolazione e la diaspora armena.
Erevan ospita alcune basi militari russe, e l’Armenia e la Russia sono legate da un’alleanza militare diretta. Di fronte alle incursioni e ai micidiali bombardamenti azeri, Erevan chiese esplicitamente l’intervento militare russo a difesa della sua integrità territoriale, invocando l’articolo 4 del Trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO) al quale l’Armenia aderisce insieme a Mosca e ad altre repubbliche ex sovietiche.
La Russia, però, si guardò bene dall’intervenire contro gli azeri e a quel punto il leader armeno Nikol Pashinyan da un lato si dichiarò pronto ad abbandonare a sè stessi gli abitanti dell’Artsakh pur di salvare l’Armenia (scatenando feroci manifestazioni di protesta), dall’altra riprese a invocare la protezione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.
Nel 2018, del resto, Nikol Pashinyan era stato eletto premier a capo di una coalizione politica filo-occidentale e anti-russa che poi però si era dovuta riavvicinare a Mosca sia per motivi economici sia per evitare che il paese fosse completamente sopraffatto dall’Azerbaigian. Ma ora molti armeni si sentono traditi da Vladimir Putin.
Se in precedenza il 64% degli armeni considerava la Russia un paese amico, nel 2021 la quota era scesa al 35%. Secondo un sondaggio pubblicato a gennaio dal Caucasus Research Resource Center, quasi la metà dei residenti dell’Alto Karabakh considerano necessaria l’indipendenza. Un quarto degli intervistati, invece, sceglierebbe l’annessione alla Federazione Russa in forma di repubblica autonoma; una quota di poco inferiore, infine, difende l’unificazione con la Repubblica Armena.
L’Armenia non si fida più di Mosca
Mentre nel territorio assediato – a rischio di essere del tutto abbandonato da Mosca – le critiche all’immobilismo russo sono moderate – in Armenia le denunce nei confronti del doppiogiochismo di Putin si fanno sempre più esplicite.
A fine dicembre, centinaia di manifestanti hanno marciato per 11 km da Stepanakert ad una base del contingente militare russo per chiedere a Mosca di intervenire per sbloccare l’assedio. Nei giorni scorsi alcune forze politiche ultranazionaliste armene hanno manifestato di fronte all’ambasciata russa, perorando un intervento militare di Erevan contro Baku che visti gli attuali rapporti di forza si rivelerebbe suicida. L’8 gennaio un’altra manifestazione è stata organizzata da movimenti nazionalisti a Gjumri, città al confine della Turchiadove si trova la principale base militare russa in Armenia; 65 manifestanti sono stati arrestati.
Pashinyan ha criticato la mancanza di iniziativa di Mosca ed ha annunciato che l’Armenia non ospiterà le esercitazioni militari delle truppe del CSTO guidate dalla Russia previste nel 2023. Per la prima volta, poi, il premier ha affermato che non solo «la presenza militare russa non garantisce la sicurezza armena, ma costituisce una minaccia», anticipando che potrebbe chiedere al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di inviare i caschi blu per sostituire il contingente militare di Mosca.
Le promesse di Washington e Bruxelles
Ovviamente, sia l’amministrazione Biden che l’Unione Europea cercano di approfittarne per aumentare la propria influenza nel Caucaso a scapito di quella russa. In Europa si distingue soprattutto la Francia – paese nel quale, tradizionalmente, la diaspora armena possiede una qualche forza economica e politica – che ha alzato i toni contro Baku. Il governo italiano, al contrario, non prende posizione ed anzi il 12 gennaio il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha incontrato a Baku il presidente Aliyev in cerca di nuove forniture di gas e di commesse per le armi italiane.
Dichiarazioni roboanti a parte, comunque, né Bruxelles né Washington hanno finora intrapreso alcuna iniziativa concreta nei confronti dell’Azerbaigian. Il rapporto col regime di Aliyev e con quello turco, per l’Occidente, è importante quanto per la Russia di Putin. L’Unione Europea pretende che l’Armenia abbandoni l’Unione Economica Eurasiatica guidata dalla Russia per siglare un trattato di associazione con Bruxelles, ma a Erevan non offre alcuna garanzia contro il regime azero.
Anche Pashinyan, da parte sua, è conscio della fortissima dipendenza di Erevan dall’economia (nel 2022 gli scambi commerciali tra Erevan e Mosca sono cresciuti del 67%), dalle forniture energetiche e dalla presenza militare russa e al tempo stesso dell’estrema debolezza del suo paese rispetto alla crescente potenza militare, economica e diplomatica azera.
Manifestazione a Stepanakert contro il blocco azero
“Pulizia etnica”
Finora l’appello delle comunità armene isolate da sei settimane e delle piazze delle città armene affollate di manifestanti è stato raccolto solo dal Tribunale Internazionale dell’Aia, che ha convocato Baku per il 30 gennaio. Anche la Corte Europea dei Diritti Umani ha redarguito gli azeri, mentre il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione di condanna del blocco del corridoio di Lachin. A detta del Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, invece, la Russia «è pronta a dispiegare truppe al confine tra Armenia e Azerbaigian per sedare le tensioni nel Corridoio di Lachin» (cosa che avrebbe già dovuto fare in base dell’accordo del 2020) e starebbe pensando di inviare una missione della CSTO nella regione per “monitorare la situazione”.Dopo aver informato di aver chiesto al suo omologo azero Jeyhun Bayramov di sbloccare il corridoio di Lachin, Lavrov ha aggiunto che «una missione europea nella regione sarebbe controproducente».
Intanto, in mancanza di iniziative rapide e concrete, nell’enclave armena stretta nel gelido inverno caucasico, la situazione si fa ogni giorno più insostenibile. Le autorità dell’Armenia e dell’Artsakh chiedono all’ONU e ai paesi amici di organizzare un ponte aereo per rifornire di cibo e medicinali la popolazione stremata, ma finora nulla si è mosso. Mentre le condizioni di vita all’interno dell’enclave si fanno sempre più difficili, un migliaio di persone che era in territorio armeno al momento dell’inizio del blocco stradale non è potuto rientrare in Artsakh. Tra questi, decine di bambini di Stepanakert che si erano recati a Erevan per partecipare all’Eurovision Junior e ai quali da un mese e mezzo viene impedito di ricongiungersi ai genitori.
«L’assenza di una reazione adeguata all’aggressione azera potrebbe causare nuovi tragici sviluppi» avvertono i ministri degli Esteri di Armenia e Artsakh, mentre la diaspora armena in tutto il mondo lancia l’allarme sul rischio che nel Caucaso si realizzi un nuova ondata di pulizia etnica. Ma finora l’appello ad un intervento della comunità internazionale è rimasto inascoltato. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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Taiwan Files – Tra Chen Chien-jen, Kevin McCarthy e Wang Huning
Il rimpasto di governo a Taipei con Chen Chien-jen nuovo premier. Foxconn tra Messico, multe e la possibile candidatura di Terry Gou. Il Pelosi-bis con la visita a Taipei del nuovo speaker (repubblicano) della Camera dei Rappresentanti Usa. Le possibili reazioni di Pechino. Xi Jinping incarica Wang Huning di fornire un nuovo modello per la "riunificazione" (nuovo segnale politico dopo "un paese, molti sistemi" di Da Wei). Qualche dato politico a meno di un anno dalle elezioni presidenziali. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
L'articolo Taiwan Files – Tra Chen Chien-jen, Kevin McCarthy e Wang Huning proviene da China Files.
La memoria della Shoah e l’inevitabile estinzione dei suoi sopravvissuti
“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) Ogni anno che il pianeta Terra completa il suo anno tropico o solare rinnova negli esseri umani il […]
L'articolo La memoria della Shoah e l’inevitabile estinzione dei suoi sopravvissuti proviene da L'Indro.
Privacy e sicurezza degli smartphone: sistemi operativi alternativi
Recentemente su Privacy Chronicles abbiamo parlato del concetto di comunità virtuale e di comunità cripto-anarchica, ripercorrendo il pensiero di Timothy May — cofondatore dei Cypherpunk e autore del Crypto Anarchist Manifesto e molti altri interessanti saggi.
Come visto, per costruire comunità cripto-anarchiche abbiamo bisogno di tre elementi1 essenziali. Uno di questi è il possesso di nodi (computer) privati, cioè senza la presenza di spyware. Più facile a dirsi che a farsi. Oggi infatti molti software e sistemi operativi pre-installati nei nostri dispositivi (laptop, tablet, smartphone, ecc.) possono essere considerati a tutti gli effetti degli spyware, anche se non direttamente “malevoli”.
Oltre ad essere un elemento fondamentale per la costruzione di comunità libertarie, avere un computer o smartphone privo di spyware è anche un ottimo punto di partenza per migliorare la propria privacy e sicurezza dei dati.
Mi piacerebbe quindi oggi iniziare a parlare proprio di come ottenere uno smartphone sufficientemente privato. Per farlo, ho deciso di scrivere questo articolo con l’aiuto di turtlecute.
Seguo turtlecute su diversi canali e, come me, è impegnato nella divulgazione per temi come privacy e Bitcoin. Potete seguirlo sia sul suo canale Telegram @privacyfolder che nel suo podcast “Il Priorato di Bitcoin”.
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Cos’è la privacy
Per prima cosa, come già specificato più volte su queste pagine, è bene chiarire ancora cosa si intende per privacy2:
Privacy non è:
- Avere qualcosa da nascondere
- Anonimato (per capire meglio la differenza leggi questo articolo)
Privacy è:
- Il diritto di essere liberi da ingerenze di terzi nella nostra vita privata
- Una meta-libertà: una libertà che abilita e rende possibili altre libertà, come la libertà di pensiero, la libertà di espressione, o la libertà di movimento
- È anche il potere di mantenere alcune informazioni confidenzialirispetto alla collettività. Ad esempio, le nostre comunicazioni o transazioni. La privacy ha quindi a che fare con ciò che diciamo o facciamo.
Purtroppo la condizione di default oggi è invece l’opposto: siamo spesso totalmente esposti a espropriazioni forzate di dati e attività di sorveglianza, oltre che inermi contro ingerenze di terzi nella nostra vita. Possiamo però fare qualcosa per mitigare questi problemi.
La (mancanza di) privacy nel quotidiano
È una normalissima mattina, ti alzi dal letto e il tuo assistente Google ti dice che il tempo nella tua zona è sereno. Mentre aspetti il caffé leggi il feed delle notizie del giorno, tutte in sintonia con le tue opinioni e interessi.
Salendo in macchina noti subito che Google Maps ti segnala un ingorgo prima del semaforo fuori casa. Chissá come fa a sapere che proprio in quel preciso punto ci sono un numero definito di auto in fila, tanto da avvertirti e informarti anche sul ritardo previsto. Finalmente arrivi in ufficio e inizi a organizzare la tua prossima trasferta: prenoti il volo e l'hotel e in automatico il tuo smartphone aggiunge tutte le informazioni sul volo e sul pernottamento al tuo Google Calendar.
In pausa pranzo, mentre guardi un video su YouTube ti esce una pubblicitá sul cibo per cani. Tu non hai un cane, ma la tua nuova fidanzata sì. Di ritorno a casa, ricordi al tuo assistente vocale di impostare la sveglia e attivare l’app di monitoraggio del sonno.
Questo è uno spaccato di quotidianeità come quella di tante persone. La tecnologia ci assiste e supporta in ogni aspetto della nostra vita, ma uno strumento in particolare è particolarmente pericoloso: lo smartphone. Che siate dall'amante, in bagno, al lavoro o a ballare in discoteca non lo lasciate mai a casa — è parte integrante della vostra vita; un’estensione della vostra mano, nonché la maggiore miniera di estrazione dati al momento sulla faccia della terra.
Google Play Services: il peggior spyware
Possiamo dividere il mondo dei dispositivi mobili in due grandi famiglie principali: il mondo Apple con sistema operativo iOS e il mondo Google con Android.
Questi sistemi operativi non sono cosi diversi nel modo in cui tracciano gli utenti, ma hanno una grossa differenza alla base: il sistema Android è open source, totalmente visibile, modificabile e copiabile in ogni sua parte — l’iOS di Apple invece no. Se siete interessati a potenziare la vostra privacy, Android è sicuramente il miglior sistema operativo da cui partire.
Andiamo però con ordine: come fa il telefono a monitorare tutto ció che facciamo?
In ogni dispositivo Android è installata a livello di sistema un’applicazione chiamata Google Play Services. Questa ha potere di amministratore sul vostro dispositivo e serve, a detta di Google, a far funzionare parti fondamentali delle applicazioni e del sistema operativo. Cosa può fare un applicativo come questo? Risposta veloce e semplice: tutto!
Google Play Services ha i permessi per visualizzare ogni cosa sia installata e presente sul dispositivo, leggere quello che scrivete, acquisire dati sui vostri copia-incolla, accedere alla fotocamera e attivare il microfono senza che possiate saperlo, analizzare i vostri file, monitorare i tempi e modalità d’uso del telefono. Ma può anche analizzare acquisire dati sulla vostra posizione, analizzare la rete wi-fi a cui siete collegati e aggregare questi dati con le persone geo-localizzate vicino a voi.
Ad esempio, se un altro dispositivo passa 12 ore al giorno nel vostro stesso luogo — che su Google Maps risulta essere un appartamento privato e non un azienda — gli algoritmi lo identificheranno come un coinquilino/convivente, e di conseguenza i network pubblicitari di profilazione proporranno inserzioni riguardanti anche i loro interessi e abitudini.
Le enormi capacità di acquisizione e aggregazione di questi dati da parte dei sistemi operativi permettono anche agli Stati di sviluppare tecnologie e servizi per utilizzarli come preferiscono. Ad esempio, conoscere in anticipo e bloccare manifestazioni di protesta mentre queste si stanno organizzando, o tracciare gli spostamenti di specifiche persone in modo molto semplice.
Come proteggersi? I sistemi operativi alternativi
Il primo passo per potenziare la propria privacy è sicuramente cambiare il sistema operativo con uno open source. Android ci permette ampia libertà di modificare il sistema operativo, in quanto sistema open source basato su linux android.
Sui dispositivi Android possiamo installare sistemi operativi alternativi, togliere i maledetti Google Play Services e adottare protezioni aggiuntive come Tor e VPN che, se usate in maniera corretta, possono dare un enorme supporto nel difendere privacy e dati.
Al momento il 'gold standard' dei sistemi operativi privacy-oriented è sicuramente GrapheneOS, disponibile peró solo per i dispositivi Google Pixel. Questo sistema operativo è particolarmente incentrato sulla sicurezza del dispositivo. Come saprà chi ha già letto questo articolo, la sicurezza al 100% non esiste. È molto importante quindi ridurre il più possibile la superficie di rischio adottando le misure migliori per proteggere gli asset da minacce plausibili, che è quello che fa GrapheneOS. Ad esempio, eliminando il codice non necessario e configurando in modo più sicuro alcune funzioni tipiche degli smartphone come NFC, Bluetooth, Wi-Fi e telecamera.
Per approfondire il modo in cui GrapheneOS riduce la superficie di rischio contro vulnerabilità e vettori di attacco consiglio la lettura di questa pagina sul loro sito. Oltre a GrapheneOS esistono anche altri buoni sistemi operativi alternativi, come CalyxOS, LineageOS, DivestOS e E/OS.
Descrivere in questo articolo per filo e per segno tutto il procedimento per creare un setup di privacy con ognuno di questi sistemi operativi sarebbe estremamente lungo e complesso, però oggi possiamo dare qualche consiglio.
- Utente novizio: potrebbe essere molto complicato cambiare sistema operativo del telefono. L’ideale è provare per lo meno a disinstallare tutte le app che non usate sul telefono, tenere il piú possibile wi-fi, bluetooth e le funzioni di localizzazione disattivate. Rimuovete dalle impostazioni i permessi superflui alle app e usate il piú possibile i servizi da browser (cose come paypal, facebook, twitter ecc).
- Utente interessato: oltre le cose sopra citate, potrebbe essere opportuno disattivare le app Google, grazie a software come Android Gui Debloater, e valutare di usare applicazioni come orbot o invisible pro per sfruttare Tor — proteggendo così anche i dati durante il transito.
- Utente avanzato: l’ideale sarebbe usare un dispositivo Pixel, installare GrapheneOS, seguire una guida per configurare il sistema, come questa (turtlecute.org/android) ed eventualmente personalizzarlo in base alle esigenze.
Per chi non avesse tempo, capacità o voglia, turtlecute offre anche servizi per la configurazione di smartphone con sistemi operativi alternativi, attraverso il canale Telegram privacyphoneita.
Vantaggi e svantaggi
I vantaggi principali, per quanto riguarda il dispositivo, sono diversi. Ad esempio, telefono più veloce, senza inutili spyware, e molta più batteria disponibile durante il giorno. Sarete inoltre al sicuro da accessi nascosti ai vostri dati a livello di sistema operativo e si avrà una drastica riduzione di condivisione e trasferimento di dati verso soggetti terzi. Infine, avrete la gestione di ogni aspetto del dispositivo nelle vostre mani.
Gli svantaggi invece sono principalmente due, ma probabilmente minori rispetto ai benefici. Alcune applicazioni purtroppo necessitano di Google Play Services per funzionare. Nello specifico, tutti gli applicativi di casa Alphabet — tranne Maps e qualche altra app super spiona come Tinder. In ogni caso, la maggior parte delle app funzionano perfettamente. Occasionalmente, potrebbero arrivare notifiche in ritardo, in quanto solitamente passa tutto attraverso i server Google.
Come valutare i rischi di sicurezza?
Usare un sistema operativo alternativo e open source è sicuramente utile, ma sarebbe anche utile imparare a valutare i rischi di sicurezza a cui tutti noi siamo soggetti. Quale modo migliore di farlo se non attraverso la metodologia OpSec?
Threat modeling, l'arte di valutare i rischi
A maggio vi ho raccontato la storia dell’Operations Security — dalle sue origini, parlando dell’inchiesta Purple Dragon della NSA (National Security Agency) durante guerra del Vietnam, fino alla National Security Decision Directive (NSDD) 298 di Reagan nel 1988…
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8 months ago · 2 likes · Matte Galt
Per approfondire leggi l’articolo “Isole dei pirati e utopie cripto-anarchiche”
Per i più interessati, qui c’è anche una breve antologia sul concetto di privacy
Calcio, un mondo ‘montato’ e di ‘montati’
A fare discorsi impopolari a me riesce, temo, abbastanza bene. Ma mai come in questi giorni, si affastellano una serie di notizie, molto sottovalutate e marginalizzate dalla stampa, che hanno attinenza con quello che ho definita più volte come una bruttura che sarebbe venuto il momento di regolamentare in maniera seria e responsabile. Certo non […]
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#Maturità2023, annunciate le discipline della seconda prova scritta dell’Esame conclusivo del secondo ciclo.
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#Maturità2023, annunciate le discipline della seconda prova scritta dell’Esame conclusivo del secondo ciclo. Potete cercarle attraverso l'apposito motore di ricerca ▶ https://visualizzamaterieesame.static.istruzione.Telegram
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Arthur Besse
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Great fedi thread on consent - Lemmy
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Che succede nel Fediverso? e Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ reshared this.
Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂
in reply to Arthur Besse • •@Arthur Besse Thank you for reporting this nice previous thread that already appeared on another Lemmy instance, also because this way I can re-share it from my account. And thanks to your comment, there won't even be a need to edit the original post to report the long thread on Lemmy.ml.
However, I would still have decided to publish an Italian version on feddit.it. Indeed, feddit.it is an instance dedicated to discussions in Italian that we do not crosspost conversations in English, unless at least translating the title. But in this case I had seen the original link from Friendica and I saw that it came from a post on mastodon and not on Lemmy.
I also point out that the link you sent is the right one to link the conversation on the lemmy.ml instance, but if someone wants to search for the post to interact with mastodon or Friendica or pleroma, they will have to enter the native link https in the search box ://szmer.info/post/251205 since the user is seated on the lemmy instance szmer.info
Versione in italiano:
Ti ringrazio per aver segnalato questo bel thread precedente già apparso su un'altra istanza Lemmy, Anche perché in questo modo potrò ricondividerlo dal mio account. E grazie al tuo commento non ci sarà neanche bisogno di modificare il post originario per segnalare il lungo tread su Lemmy.ml .
Tuttavia, avrei comunque deciso di pubblicare una versione italiana su feddit.it. Infatti, feddit.it è un'istanza dedicata alle discussioni in lingua italiana che non facciamo crossposting di conversazioni in inglese, se non traducendo almeno il titolo. Ma in questo caso il link originario l'avevo visto da Friendica e ho visto che nasceva da un post su mastodon e non su Lemmy.
Ti segnalo inoltre che il link che hai inviato tu è quello giusto per linkare la conversazione sull'istanza lemmy.ml, ma Se qualcuno volesse ricercare il post per interagirvi con mastodon o Friendica o pleroma, dovrà inserire nella casella di ricerca il link nativo szmer.info/post/251205 dal momento che l'utente è insediato sull'istanza lemmy szmer.info
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