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Ucraina: dietro al piano di pace, l’’interesse’ della Cina


Sorprende un po’, ne parlavo l’altro giorno se non sbaglio, il modo radicale e sgarbato con il quale Biden ha rigettato, quasi lo avesse fatto senza nemmeno leggerlo, la proposta di pace e negoziato della Cina sulla questione ucraina. Intanto e di prim’acchitto sorprende perché, fatta in quel modo plateale e sprezzante, ha mostrato chiaramente […]

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L’Iran aggiorna le percezioni della minaccia saudita


Se c’è un posto in cui l’Arabia Saudita era felice di essere in cattiva considerazione, era l’Iran. Quei giorni sono finiti. I pensatori strategici di Teheran hanno aggiornato la loro percezione della minaccia rappresentata dal regno. Piuttosto che vedere l’Arabia Saudita semplicemente come un’estensione mediorientale degli Stati Uniti e un rivale politico, l’Iran oggi vede […]

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Una biblioteca moderna e aperta a tutti: nasce la #PoliLibrary
Un servizio per l'intera comunità all'interno del Politecnico di Bari
rainews.it/tgr/puglia/video/20…
in reply to Franc Mac

Una biblioteca intelligente, dove prendere e restituire libri in piena autonomia. Ma soprattutto una biblioteca aperta a tutti. Perché la PoliLibrary, il nuovo polo culturale all'interno del Politecnico di Bari, non sarà riservata ai soli studenti.


Taiwan: chiara deterrenza e messaggio forte necessari per scoraggiare la bellicosità di Pechino


La decisione di spostare il potenziale incontro tra il Presidente Tsai e il Presidente della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti Kevin McCarthy in California per evitare la potenziale ira di Pechino è un errore geopolitico che incoraggerà ulteriormente la Cina e indebolirà la determinazione e la deterrenza di principio di Taiwan e dell’Occidente. Fa […]

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Il @GPDP_IT ha annunciato l’avvio di una campagna di comunicazione istituzionale, denominata “Finalmente un po’ di #privacy“, finalizzata alla promozioni dei temi della protezione dei dati, della privacy e dell’educazione digitale.
in reply to Franc Mac

L’obiettivo della campagna è informare i cittadini su alcune situazioni quotidiane e comportamenti che possono avere conseguenze sulla privacy. Il Garante, impersonato da un attore negli spot televisivi, spiega i pericoli e indica come limitare i rischi.
garanteprivacy.it/finalmente-u…

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Dalle munizioni ai carri armati. Il punto dei ministri della Difesa a Stoccolma


È in arrivo una nuova intesa sulle linee guida per aumentare la produzione di munizioni, utili a rifornire le forze ucraine nel conflitto contro la Russia. Ad annunciare la notizia è stato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, presente anch

È in arrivo una nuova intesa sulle linee guida per aumentare la produzione di munizioni, utili a rifornire le forze ucraine nel conflitto contro la Russia. Ad annunciare la notizia è stato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, presente anche lui all’apertura dei lavori della riunione informale dei ministri della Difesa dell’Unione europea, ospitata dalla capitale svedese di Stoccolma. Facendo sapere della presenza di progetti congiunti, il numero uno della Nato ha fatto sapere che “gli alleati hanno già firmato contratti” a questo scopo, dal momento che “il ritmo attuale di consumo rispetto alla produzione non è sostenibile e dobbiamo potenziare l’offerta”. La priorità rimane, quindi, continuare a sostenere Kiev, grazie a dei piani – al momento al vaglio – del valore di circa un miliardo di euro e la decisione della Commissione europea di prorogare la protezione temporanea dell’Ucraina di un altro anno, fino a marzo del 2024. Esprimendosi propensa a prorogarla ancora fino a marzo 2025, se necessario. Finora ammontano a più di quattro milioni il numero di persone che hanno ottenuto protezione immediata nell’Ue, di cui oltre tre milioni nella prima metà del 2022.

Economia di guerra e le tre fasi del piano europeo

“Siamo arrivati a un momento cruciale del nostro sostegno per l’Ucraina, è assolutamente obbligatorio che ci si muova in una sorta di economia di guerra per l’industria della Difesa, dobbiamo fare ‘whatever it takes’ per fornire l’Ucraina di munizioni”, ha spiegato il commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, arrivando alla ministeriale di Stoccolma. Per realizzare l’obiettivo, è stato presentato un piano in tre fasi. A spiegarne i dettagli l’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “In primo luogo, vogliamo assicurarci di mobilitare tutto quello che possiamo dalle scorte esistenti; secondo, ci vogliamo assicurare di aumentare drasticamente la nostra capacità di produrre in Europa, specialmente per potenziare la nostra industria della Difesa; terzo, vogliamo mettere anche dei fondi dal bilancio Ue per velocizzare questo potenziamento dell’industria della Difesa”. Ma quanti fondi saranno destinati a ogni pilastro? Nel suo intervento Borrell ha spiegato che il Fondo europeo per la pace (Epf) è pronto a mobilitare tutte le risorse necessarie. L’Ue si prepara così a finanziare il primo pilastro del piano con un miliardo di euro. Mentre, per il secondo punto, sarà destinata “una cifra significativa”, senza però fornire ulteriori dettagli. Di tutti questi fondi “L’Epf paga il 60%, il restante 40% è a carico degli Stati membri”, ha precisato ancora l’Alto rappresentante.

La situazione sul campo

L’aggressione russa in territorio ucraino prosegue e la situazione sul campo è a un punto critico, considerando anche ciò che sta accadendo intorno a Bakhmut, che ha visto violenti combattimenti negli ultimi giorni. “Bakhmut potrebbe cadere in mani russe nei prossimi giorni”, ha infatti avvisato Stoltenberg. Tuttavia, anche se il territorio venisse preso dalle forze di Mosca, “questo non sarà necessariamente una svolta nella guerra, ma evidenzia solo che non dobbiamo sottovalutare la Russia e dobbiamo continuare a sostenere l’Ucraina”, ha ribadito ancora il segretario dell’Alleanza.

Munizioni a Kiev…

“Abbiamo bisogno di munizioni, munizioni, munizioni”, ha avvertito in modo inequivocabile il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov. L’appello è stato prontamente accolto dai Paesi europei e, mentre la Commissione europea indaga meccanismi che aumentino le capacità di produzione dell’industria militare europea, Borrell ha avvisato di aver presentato una proposta ad hoc – concepita insieme all’Agenzia europea di Difesa (Eda) da lui stesso presieduta – che dovrà essere discussa dai ministri. Nel dettaglio, a detta del ministro ucraino, il suo Paese “ha bisogno di centomila munizioni al mese”. “La nostra priorità numero uno sono i sistemi di difesa aerea, e ancora munizioni da artiglieria da 155 millimetri, veicoli da combattimento per la fanteria e più carri armati come i Leopard”, ha continuato ancora Reznikov, accogliendo poi il piano del ministro della Difesa estone, Hanno Pevkur, che prevede un milione di munizioni da 155 millimetri per l’artiglieria ucraina. Nel fornire nuove munizioni a Kiev, per Borrell, “la prima cosa da fare è usare ciò che abbiamo a disposizione. Se poi gli Stati membri sono pronti a fornire di più, ne sarò felice. Ma oggi dobbiamo essere realistici e pragmatici e discutere delle misure che possono essere adottate oggi”, ha detto Borrell.

… anche da altri Paesi

“Se ci sono consegne di munizioni all’Ucraina da altri Stati non europei non dobbiamo escluderle, il primo focus dovrebbe essere aiutare Kiev e trovare il modo migliore per farlo”, ha osservato il ministro della Difesa svedese, Pål Jonson, in riferimento al nodo delicato e ancora da sciogliere che riguarda la provenienza delle munizioni destinate a Kiev. Puntare soltanto sull’industria europea o acquistare anche dal mercato globale? Al momento sul punto ancora non è stato raggiunto un accordo.

Carri armati in arrivo

La Polonia è pronta a inviare altri dieci carri armati Leopard 2 all’Ucraina nei prossimi giorni. A confermarlo, il ministro della Difesa del Paese, Mariusz Blaszczak. Dopo i quattro mezzi già consegnati a fine febbraio, ora il Paese dovrà mantenere l’iniziale promessa che vedeva la consegna di 14 carri armati. Mentre la Germania ha reso noto che i 18 carri armati promessi da Berlino a Kiev – a cui si aggiungono anche i tre concessi dal Portogallo – sono in consegna in Ucraina questo mese. Nel corso della conferenza stampa a margine della ministeriale, Blaszczak ha anche parlato di una riunione da fare insieme all’omologo tedesco, Boris Pistorius, in merito alla “scarsa disponibilità di pezzi di ricambio per i Leopard”, per ovviare la quale “siamo pronti ad aprire un centro servizi in Polonia che si occupi della riparazione e della manutenzione dei carri armati Leopard inviati all’Ucraina”.

Ucraina nega coinvolgimento nel sabotaggio del Nord Stream

Dopo che il New York Times aveva attribuito il sabotaggio dello scorso settembre del Nord Stream, nel Mar Baltico, a un gruppo filo ucraino, è arrivata la smentita direttamente dalla ministeriale e da Reznikov. “Per me è una storia un po’ strana perché non corrisponde al vero, non siamo implicati. Penso che l’indagine delle autorità ufficiali entrerà nei dettagli…sarebbe quasi un complimento per le nostre forze speciali. Ma non si tratta di una nostra attività”, ha infatti spiegato il ministro ucraino. Sulla questione è intervenuto anche Stoltenberg, precisando che “ci sono indagini nazionali in corso e non possiamo dire nulla finche’ non termineranno”. Gli ultimi sabotaggi delle infrastrutture critiche sottomarine hanno mostrato l’urgenza di provvedere alla loro sicurezza e in questo frangente agirà anche la Nato. A detta di Stoltenberg infatti: “Dopo gli attacchi abbiamo stabilito una cellula per coordinarci, anche con il settore privato, a tale scopo”.


formiche.net/2023/03/riunione-…



RIFORME, IN FONDAZIONE IL CONFRONTO COL MINISTRO CASELLATI. CASSESE: “PER CAMBIARE LA COSTITUZIONE SERVE UNA ASSEMBLEA ELETTA COME DICE LA FLE” 


“Lo strumento principe per una riforma della Costituzione è quello di istituire un’assemblea costituente, come proposto dalla Fondazione Luigi Einaudi”, è quanto ha affermato ieri il professore Sabino Cassese durante un evento organizzato dalla Fondazione

“Lo strumento principe per una riforma della Costituzione è quello di istituire un’assemblea costituente, come proposto dalla Fondazione Luigi Einaudi”, è quanto ha affermato ieri il professore Sabino Cassese durante un evento organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi per parlare di riforme. Insieme al presidente della Fondazione Giuseppe Benedetto, all’incontro ha partecipato il ministro per le Riforme istituzionali e la semplificazione normativa Maria Elisabetta Alberti Casellati.

In un’Aula Malagodi strapiena e con ospiti illustri, parlamentari e giuristi, il presidente Benedetto, nel portare i saluti istituzionali, ha sottolineato come la Fondazione Luigi Einaudi cerchi ancora una volta di anticipare i tempi prospettando al ceto politico la via maestra per la riforma delle Istituzioni: l’elezione con metodo proporzionale di un’Assemblea per la riforma della seconda parte della Costituzione.

“Non ho pregiudizi nei confronti di nessun metodo per arrivare a una riforma costituzionale”, ha detto il ministro Casellati, che ha poi indicato quella che, a suo avviso, è la via da seguire: “Credo che la forma migliore per intervenire sia quella prevista dall’articolo 138. La mia preferenza è imboccare l’art. 138 attraverso il metodo dell’ascolto, perché la maggioranza non ha una posizione precostituita su una forma istituzionale rispetto a un’altra”.

Riguardo all’ipotesi di un’elezione diretta del Capo dello Stato o del governo, il ministro ha però sottolineato: “Qualunque legge riuscissimo a fare ci sarà una norma transitoria, perché sarebbe una sgrammaticatura istituzionale pensare che l’approvazione di una legge possa portare a un’elezione immediatamente diretta e far cadere, per dire, il mandato del presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio”. Una nuova legge che dovesse prevedere l’elezione diretta del presidente della Repubblica, ha concluso, “entrerebbe in vigore nel 2029, dopo la fine del mandato del presidente Mattarella”.

All’inizio dell’incontro, il Segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi, Andrea Cangini, ha presentato il disegno di legge costituzionale, redatto dalla Fondazione e sostenuto dal professor Cassese, per dare vita ad un’Assemblea per la riforma della Costituzione.

“Sono passati esattamente quarant’anni da quando, con la Commissione Bozzi, il Parlamento provò per la prima volta a mettere mano a una riforma organica dello Stato. Il tentativo fallì, così come fallirono gli innumerevoli tentativi successivi. Abbiamo visto costituire ad hoc commissioni bicamerali e monocamerali, abbiamo assistito a tentativi ex articolo 138: è stato vano”, ha detto Cangini.

“La Fondazione Luigi Einaudi – ha sottolineato – ritiene che procedere per temi sia un errore. Serve una riforma di sistema, sottratta alle insidie delle dinamiche politiche contingenti, filtrata dalla competenza e largamente condivisa”.

“C’è solo un modo per conseguire lo scopo: eleggere con metodo proporzionale una snella Assemblea per la riforma della Costituzione composta da cento esperti indicati dai partiti, che passino al vaglio dei cittadini-elettori”, ha concluso Cangini.

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L'articolo RIFORME, IN FONDAZIONE IL CONFRONTO COL MINISTRO CASELLATI. CASSESE: “PER CAMBIARE LA COSTITUZIONE SERVE UNA ASSEMBLEA ELETTA COME DICE LA FLE” proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Per i vent'anni dalla nascita, Iuppiter Group, società di editoria, comunicazione e produzione, dà vita al nuovo progetto editoriale 'Occhio di carta' che promuove il culto del cartaceo, un ribellismo costruttivo, il ritorno al conflitto delle idee e al primato della parola.
in reply to Pëtr Arkad'evič Stolypin

Il primo numero della rivista, 180 pagine con cadenza quadrimestrale, si apre con lo speciale: "Pasolini, che dire? Il poeta, il profeta e il narciso: educazione alla critica totale".


Oggi, 8 marzo, per la Giornata internazionale della donna si è svolto al Ministero un incontro tra il Ministro Giuseppe Vaditara e alcune rappresentanti del mondo della scuola, per valorizzare l’impegno nei confronti delle studentesse, nonché il lavo…


Il termine "Geopolitica", dopo decenni di oblio è tornato alla ribalta del linguaggio mediatico e della pubblicistica. Ciò è senz’altro dovuto all’esaurirsi delle grandi narrazioni novecentesche – comunismo, socialismo, socialdemocrazia, liberalismo, persino la dottrina sociale cristiana – e al ritorno sulla scena politiche dello Stato che i teorici della “fine della storia” avevano bollato come obsoleto.

La cifra di lettura del XXI secolo sembra essere quella del confronto tra stati in un’anarchia delle potenze, e non del confronto tra ideologie o tra classi – ad esempio delle ultime due ideologie a proprio modo universalistiche affacciatesi sulla scena strategica negli ultimi due decenni e cioè il liberalismo e liberismo occidentale contro l’islamismo radicale, esauritasi la prima nella grande crisi del 2008 e la seconda arretrata proprio sul piano geopolitico.

Il risveglio dalle illusioni universalistiche è stato brusco: il mondo intellettuale si è fatto trovare impreparato ed ha dovuto riattivare una linea di pensiero per troppo tempo trascurata. Il termine geopolitica è diventato così vittima di una vera e propria bulimia, sino ad essere utilizzato quale sinonimo di “Relazioni Internazionali”, “Politica Estera” e financo di “Strategia Militare”, discipline imprescindibili alla geopolitica, sicuramente non separabili da questa ma ad ogni modo ben distinte. Occorre ribadirlo: la geopolitica studia il rapporto tra statualità e spazio: chiaramente per farsi un quadro geopolitico della politica di uno stato non si può prescindere dal quadro economico, sociologico, demografico, militare, culturale, antropologico (come correttamente sottolinea il moderno filone della geopolitica critica).

(Continua)

msn.com/it-it/notizie/other/ec…



Contrastare l’Iran in Ucraina e nel Caucaso meridionale


Gli ultimi cinque anni hanno dimostrato che l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva ragione a mollare l’accordo sul nucleare iraniano. Da allora l’Iran si è dimostrato ancora di più agente di instabilità ed esportatore di estremismo e terrorismo. L’Iran ha intrapreso varie forme di aggressione militare e terrorismo contro una serie di paesi […]

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Una crisi incombente nello Stato separatista della Moldavia


Il prossimo conflitto nell’ex Unione Sovietica potrebbe essere in fermento in Transnistria, la regione separatista non riconosciuta della Moldavia. La piccola forza (circa 1.500) di “peacekeeper” russi e altre truppe russe che proteggono la regione dagli anni ’90 si trova ora in una posizione strategicamente disperata, tagliata fuori dalla Russia da un’Ucraina ostile e irrimediabilmente […]

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La regione italiana con più detenuti? L’ Emilia-Romagna


E’ la regione per eccellenza e tradizione progressista e di sinistra. Come dice la canzone, Emilia-Romagna “sognante fra l’oggi e il domani”, “vera, aperta, finta, strana, chiusa, anarchica, verdiana”. La regione dove abita la neo-segretaria del Partito Democratico Elly Schlein; ma è la regione dove abita, e di cui è presidente anche il suo principale […]

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Confronto sulla Separazione delle Carriere con Carlo Calenda


Nel quadro del confronto con tutte le forze politiche interessate e prendendo spunto dal libro del nostro Presidente “Non diamoci del tu”, il giorno 21 marzo 2023 alle ore 17:30 presso la nostra sede, in via della Conciliazione 10, Carlo Calenda si confro

Nel quadro del confronto con tutte le forze politiche interessate e prendendo spunto dal libro del nostro Presidente “Non diamoci del tu”, il giorno 21 marzo 2023 alle ore 17:30 presso la nostra sede, in via della Conciliazione 10, Carlo Calenda si confronterà con il Presidente Giuseppe Benedetto sul tema della Separazione delle Carriere.

Modera il Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi Andrea Cangini

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Il taglio del reddito di cittadinanza proposto dal governo Meloni è un'infamia. Questo è un governo classista che riesce a essere più antipopolare di Draghi.


L’ora dei carosElly | La Fionda

«Poco importa se poi tra il dire “cose di sinistra” e il farle sul serio, c’è di mezzo il mare. Poco importa se l’orizzonte resta sempre quello di un riformismo buono per ogni stagione, in cui la rappresentanza degli interessi dei ceti subalterni rimane confinata in una vaga lotta alle diseguaglianze che negli ultimi anni ha prodotto risultati pressoché nulli. Poco importa se il primato del mercato e il credo atlantista non siano sostanzialmente in discussione. Se i proclami di voler porre un freno alla precarietà arrivino dopo quindici anni di scelte liberiste ed antipopolari, se la guerra va alimentata con nuove armi “finché ci sarà bisogno”. E nulla conta neppure il fatto che fino all’altroieri l’autonomia differenziata, un progetto che potrebbe scardinare l’unità nazionale del paese, piacesse tanto alla neo-segretaria quanto al suo sfidante, quasi al pari dei governatori di centrodestra.»

lafionda.org/2023/03/08/lora-d…



Ucraina: nove anni di guerra e di menzogne | AFV

«Mentre i media occidentali hanno celebrato il falso storico del “primo anniversario della guerra”, sono in realtà nove anni che il popolo ucraino è vittima delle politiche criminali del proprio governo, controllato dai burattinai occidentali e dalle milizie neonaziste.»

ancorafischiailvento.org/2023/…



OPINIONE. Il significato di Sabra e Chatila per una palestinese


I legami tra i profughi palestinesi e la loro terra d'origine non saranno mai annullati da massacri, leggi o risoluzioni. Sono parte della natura stessa di un popolo che ha pagato i crimini commessi dagli europei L'articolo OPINIONE. Il significato di Sa

di Rania Hammad –

Pagine Esteri 8 marzo 2023 – Sabato 4 marzo a RomeArt Factory alla Garbatella c’era una sala piena di gente fervente e commossa per la proiezione del documentario “Il Cielo di Sabra e Chatila” della regista Eliana Riva. Il film, prodotto da Pagine Esteri di Michele Giorgio racconta e ricorda una delle pagine più buie e tragiche della storia palestinese, ma anche del mondo. Erano presente Stefania Limiti del comitato “Per non dimenticare Sabra e Chatila”, comitato che visita e commemora quel genocidio ogni anno da quell’orribile settembre 1982. L’evento era promosso da Assopace Palestina, con la partecipazione di Luisa Morgantini.

Io, Rania Hammad, ho portato la testimonianza di una palestinese della diaspora e discendente di un rifugiato palestinese del 1948. Io, insieme a oltre 7 milioni di palestinesi, richiamo alla memoria e rievoco quel diritto al ritorno, diritto sancito dalla legalità internazionale e inestinguibile. Non è una soluzione politica che rivendica il mio diritto, ma è il fatto stesso di esistere noi come popolo e come identità con i nostri diritti, che lo rivendica.

Vedere un film sui massacri di Sabra e Chatila in un bel pomeriggio quasi primaverile, col contrasto tra la luce fuori e il buio dentro, è stato destabilizzante ed emotivamente pesante, soprattutto per i palestinesi presenti, perché i massacri di Sabra e Chatila, come altri massacri, sono un trauma individuale e collettivo, che subiamo.

Il film suscita emozioni forti e si conclude con un messaggio di speranza, quello di un popolo che resiste e persevera, e che non potrà mai essere sconfitto, perché la sua causa è giusta.

E allora sì, sono una palestinese della diaspora, così mi identifico, così mi definisco, così rispondo alla domanda di dove sei? Sono palestinese. A scapito di tutte quelle narrazioni imposte su di noi, sul fatto che non esistiamo come popolo, o che non siamo né profughi né in diaspora. Noi siamo ancora qui 4 generazioni dopo a dire che siamo noi che definiamo chi siamo e siamo noi a parlare di noi. Esistiamo come palestinesi.

Sono anche figlia e discendente di un palestinese espulso dalla propria terra e casa nel 1948 da un paese vicino a San Giovanni D’acri, Akka, nel Nord della Palestina storica, e quindi faccio parte di quella categoria di palestinesi che sono registrati come profughi del 1948 dall’agenzia ONU Unrwa, agenzia speciale creata ad hoc per occuparsi dei profughi palestinesi fino a quando non sarebbero potuti tornare alle loro case. E stiamo parlando di circa 7 milioni di palestinesi adesso. I miei parenti sono ancora lì nei campi di Beirut, i miei cugini sono nati lì e aspettano di far ritorno nel paese d’origine. Per loro non esiste che una patria, quella patria. Il desiderio di far ritorno non nasce solo dal fatto che non siano integrati in Libano o non ne siano cittadini, o dalla discriminazione che vivono. Questo desiderio di far ritorno è, invece, un fatto scontato, cioè rivendicare e pretendere di ritornare lì da dove sono stati cacciati i loro genitori o nonni. I profughi palestinesi possono essere cittadini in Giordania o avere pari diritti in Siria, ma alla fine la loro terra di origine è la Palestina. Credo sia ovvio, dunque, perché si continui a chiedere di risolvere la questione dei rifugiati e si chieda che si rispetti quel diritto sancito dalla legalità internazionale e ribadito nella risoluzione Onu 194, cioè il diritto al ritorno in Palestina. Ma quel diritto è anche mio, non è che si estingue col tempo né si cancella, solo perché ho un passaporto italiano.

Israele ha certamente tante spine nel fianco, i palestinesi presenti sul territorio, i profughi e le diaspore che rivendicano tutti la stessa e unica cosa, lo Stato indipendente palestinese e pari diritti. Non ci sono altre soluzioni. E siamo un po’ troppi per sparire.

La diaspora palestinese crede e sostiene ancora il ritorno, e crede in un futuro di libertà. Come palestinesi della diaspora manteniamo uno stretto legame con la nostra terra d’origine, e con il nostro popolo dentro e fuori la Palestina, e passiamo il nostro patrimonio e eredità culturale ai nostri figli. Questo avviene in maniera normale e spontanea, come qualsiasi famiglia normalissima che parla delle vicende storiche e politiche, di storia vissuta, di cultura, e valori, siamo gente normale che impara la propria madre lingua, trasmette le proprie tradizioni e usanze, cucina i piatti tipici, ricorda con nostalgia il proprio paese, e quello si tramanda da padre e madre in figli e non morirà mai. D’altronde non è così che i popoli mantengono le loro caratteristiche uniche e speciali? Perché pensiamo che i palestinesi siano diversi? Cioè che la nostra storia o cultura possa sparire, o addirittura noi sparire? Questo legame con la terra e la lotta per i nostri diritti domina la nostra esistenza, e i nostri sogni li passiamo alle future generazioni trasmettendo loro i nostri ideali. Questo ponte tra passato e futuro, questa catena non si può spezzare, muore solo se non facciamo più figli. E detto francamente, Israele non può eliminare 7 milioni di palestinesi dentro, piú altri 7 milioni fuori dai confini, tra cui alcuni anche in Europa e negli Stati Uniti, e politicamente attivi e determinati. Credo che un giorno, non so quando, uno Stato democratico, una Palestina unita e unificata nella quale ci siano condizioni eque e paritarie per tutti, per l’intera popolazione, indipendentemente dalla religione, o dall’etnia, ci sarà.

L’egemonia della narrazione Israeliana ha creato una serie di distorsioni nel modo in cui si inquadrano le vicende in Palestina. Non è uno scontro etnico, o religioso, e non è uno scontro che dura da secoli. E assolutamente non è, e rifiutiamo le accuse dell’odio razziale o dell’antisemitismo, uno scontro con gli ebrei.

È una questione territoriale, di gente che è sempre stata lì e che non è mai stata da nessun’altra parte, cioè è nativa di quella terra, e di persone che invece sono arrivate da tutto il mondo, appoggiati dalle potenze e dagli armamenti, e si sono insediati. Ma questo ormai lo sanno anche i sassi.

La continua presenza dei palestinesi sulla terra rappresenta il principale ostacolo strutturale al colonialismo di insediamento dello Stato di Israele, ma anche le tante diaspore palestinesi che continuano a mettere la Palestina al centro della loro vita, sono un ostacolo all’idea che Israele ha di avere più terra possibile con meno palestinesi possibile. Quindi anche se il movimento di liberazione palestinese è indebolito e frammentato a causa di tutto quello che Israele ha fatto negli anni, espellendo i palestinesi nel ‘48, e poi nel ‘67, causando la dispersione, assediando Gaza e separandola dalla Cisgiordania, colonizzando la Cisgiordania ormai piena di insediamenti di coloni illegali, il popolo palestinese continua a dimostrare di avere una capacità straordinaria di resilienza, mantiene viva la lotta legittima di liberazione attraverso attività di resistenza, manifesta pacificamente nella Cisgiordania e a Gaza con la Marcia del Ritorno, e insieme a loro si uniscono, come abbiamo visto con gli avvenimenti a Gerusalemme Est, anche i palestinesi al interno dei confini dello Stato israeliano. Non mi sembra che nessun palestinese abbia rinunciato alle rivendicazioni storiche o all’autodeterminazione. Gli israeliani possono dire che siamo deboli, e lo siamo militarmente, o che siamo divisi cioè separati, e lo siamo perché sono riusciti nel loro intento a farci questo, ma non siamo così divisi come pensano loro.

Il ruolo della diaspora è quello di sostenere il nostro popolo in Palestina e dentro Israele, chiedendo pari diritti e libertà, diciamo che siamo pienamente consapevoli della superiorità militare israeliana e anche delle continue conquiste territoriali, nonché delle nostre divisioni interne, ma questo non sopprime né spegne la solidità e compattezza di un popolo che resiste e persevera sulla propria terra con il sostegno e l’attivismo delle diaspore che stanno creando reti di solidarietà mai viste prima, cioè si stanno finalmente unendo i movimenti per i diritti umani ed hanno capito di poter diventare molti più forti insieme e che le loro battaglie sono transnazionali e intersezionali, si sta combattendo lo stesso sistema di oppressione.

Lo smembramento e frammentazione del popolo non ha significato l’indebolimento dell’identità palestinese, anche lì dove manca il luogo fisico, la patria alla quale tornare, e neanche la mancanza di una leadership che accontenti tutti, la indebolirà. Nonostante i tentativi di Israele di distruggere il tessuto sociale e legami della società palestinese, i palestinesi, riescono a mantenere una connessione con la loro terra e storia millenaria, e consiglio il libro dello storico palestinese Nur Masalha “Una storia di 4000 anni” e anche quello di Rashid Khalidi “La guerra dei 100 anni”, e il libro del ricercatore storico Salman Abu Sitta, appena tradotto in italiano “La mappa del mio ritorno” insomma, non solo ricordiamo e scriviamo la nostra storia ma diciamo chiaramente che la nostra presenza sulla terra non è mai stata interrotta, c’è la continuità ed è per questo che il patriottismo palestinese e l’identità palestinese continuano a essere forti anzi, sempre piú forti. La pulizia etnica, gli espropri, e l’oppressione che sono iniziati nel 1948 e che non si sono arrestati, sono tuttora in corso da 74 anni, non hanno affievolito l’identità nazionale, anzi è sentita ovunque i palestinesi si trovino, anche nelle giovani generazioni, che attraverso internet e i social sono collegati tra di loro, e sono quelli più attivi nei movimenti di solidarietà e nelle varie campagne, anche quella del boicottaggio, BDS.

Abbiamo grandi scrittori, poeti, musicisti, artisti, docenti universitari, e registi da premio Oscar, che stanno dimostrano ogni giorno la loro dedizione alla Palestina e che con il loro lavoro dentro e fuori la Palestina continuano ad arricchire il nostro patrimonio culturale e contribuiscono a far conoscere e a diffondere la nostra narrativa.

L’esempio più eclatante di questa saldezza la vediamo negli arabi israeliani, e cioè i palestinesi cittadini di Israele: è evidente che loro non solo mantengono fortemente la loro identità nazionale palestinese, ma la proteggono e difendono, e questa è resistenza. Proteggiamo e rivendichiamo il nostro patrimonio culturale anche quando si tenta di rubarcelo, come l’hummus, la dabka, e il tatreez. Eppure, la tutela del patrimonio culturale dei popoli è vista come un valore inestimabile e da salvaguardare, quindi perché a noi questo non viene riconosciuto? Siamo così speciali?

Forse perché non fa comodo a Israele? Perché Israele e i suoi amici ci vorrebbero invisibili?

Bisogna dire però che c’è anche un aspetto più drammatico della nostra condizione di popolo in diaspora, un intreccio molto particolare, è cioè che noi siamo vittime delle vittime, e non solo vittime delle vittime, ma siamo anche la diaspora della diaspora. Pensiamo al fatto assurdo che la nascita dello Stato di Israele e la fine della cosiddetta diaspora ebraica segna la tragedia e la nuova diaspora dei palestinesi.

Io personalmente non riesco a parlare di me, senza parlare di loro. Non riesco a pensare alla mia diaspora senza pensare alla loro, e non solo perché il termine stesso diaspora, è storicamente associato alla diaspora ebraica, è che non riesco a separare noi da loro, non posso non pensare a ciò che hanno subito, come vittime di crimini perpetrati da una Europa violenta e razzista, senza pensare che noi abbiamo pagato ma non abbiamo nessuna colpa, e non abbiamo mai nutrito quel disprezzo gratuito dentro di noi verso di loro. Per quello ripongo la mia speranza negli ebrei della diaspora e in Israele, negli ebrei degli Stati Uniti, e spero che siano loro a cambiare rotta, senza dover essere costretti, sanzionati. Che lo capiscano da soli. Ecco, i palestinesi hanno a che fare con tutto questo, con il colonialismo di insediamento mantenuto attraverso la mitologia e la religiosità.

Non è una realtà facile nemmeno per loro.

Edward Said diceva che siamo come parte di una sinfonia, e che il nostro destino è la storia disperata degli estremi, con tragedie, perdite, e sacrifici e dolore ma non c’è simmetria, c’è un lato colpevole e ci sono le vittime e oggi i palestinesi sono le vittime.

È un rapporto unico e molto particolare ma che non può restare irrisolto, solo perché non osiamo parlarne chiaramente, cioè dobbiamo affrontare tutti questi temi, della nostra storia, della loro storia, ed avere il coraggio di essere onesti e di dire cosa sta succedendo davvero, dobbiamo o dovete scrollarvi di dosso tutti i sensi di colpa, anche perché ora abbiamo all’interno della società israeliana e soprattutto tra gli ebrei “nella diaspora” anti-sionisti, o ebrei che rifiutano che questi crimini vengano perpetrati a nome loro, e che vogliono difendere e proteggere la loro fede, perché non accettano di vederla deformata dallo Stato di Israele. Ci dobbiamo unire a loro, noi tutti, e anche i palestinesi e condannare insieme a voce alta la violazione dei diritti umani, per non dimenticare che avevamo detto mai più. Mai più per proteggere loro, ma adesso mai più per proteggere noi.

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Oggi, 8 marzo, si celebra la Giornata internazionale della donna, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Qui il videomessaggio del Ministro Giuseppe Valditara ▶ youtu.be/Sjcft9U1_pQ



a cura di Alba Vastano - Prima era soltanto la solitudine, la vergogna, il malessere delle donne molestate sul lavoro (‘che vuoi che sia’). Poi è inizia


IRAN. Migliaia di studentesse avvelenate, così il regime si vendica sulle donne


Oltre mille ragazze, da novembre ad oggi, hanno presentato sintomi da esposizione a gas tossici nelle loro scuole. L’avvelenamento silenzioso, a lungo tenuto segreto, è stato di recente definito dall’ayatollah Khamenei un “crimine imperdonabile”. Secondo

di Valeria Cagnazzo –

Pagine Esteri, 8 marzo 2023 – Almeno un migliaio di studentesse di 52 scuole iraniane hanno presentato, da novembre a oggi, sintomi da avvelenamento, in particolare da esposizione a gas tossici. Difficoltà respiratoria, vertigini, nausea, cefalea, i problemi più comunemente riportati. Alcuni media parlano addirittura di 5.000 ragazze avvelenate in oltre 230 scuole. Una ragazza sarebbe persino morta nella città di Qom. Alcune studentesse hanno riferito ai media di aver sentito odore di mandarini, cloro o detergenti prima di accusare la sintomatologia, altre hanno parlato di odore di frutta o uova marce. Il mistero degli avvelenamenti delle ragazze è arrivato a interessare ormai almeno 21 province in Iran, e il 6 marzo scorso anche il leader supremo, l’ayatollah Ali Khamenei, ha dovuto pronunciarsi pubblicamente sul fenomeno, definendolo un “crimine imperdonabile”.

I casi di avvelenamento, negli ultimi quattro mesi, si sono, infatti, progressivamente accumulati, fino a costringere le autorità a riconoscerne la gravità e la natura evidentemente non casuale. Un membro della commissione parlamentare per la salute, il dottor Homayoun Sameyah Najafabadi, è stato tra i primi, nel mese di febbraio, ad ammettere che l’avvelenamento delle studentesse “in città come Qom e Borujerd” fosse stato commesso “intenzionalmente”.

Il 27 febbraio scorso, sul Guardian è stata riportata la versione, in anonimato, di un medico iraniano impegnato nel trattamento di alcuni dei casi di avvelenamento, secondo il quale il più verosimile agente causa dei sintomi riportati da tutte le ragazze sarebbe un organofosfato. Un composto chimico, cioè, comunemente utilizzato nella produzione di insetticidi o agenti nervini, capace di agire sull’acetilcolinesterasi, con un effetto altamente neurotossico.

Quando i casi di avvelenamento sono diventati così numerosi da non potere più essere celati, è partita la corsa delle autorità alla ricerca di un responsabile. Secondo il Presidente Ebrahim Raisi si tratterebbe di una cospirazione da parte dei “nemici” del governo per generare disordine pubblico e paura nella popolazione. Le stesse accuse rivolte da Raisi ai manifestanti che dalla morte di Mahsa Amini nel settembre scorso protestano nelle strade chiedendo il rispetto dei diritti umani, in particolare dei diritti delle donne, e le dimissioni del governo: agitatori, secondo il Presidente, e nemici, capaci di avvelenare centinaia di ragazze per alimentare il caos. “La nuova cospirazione del nemico per creare paura nel cuore degli studenti, dei nostri cari ragazzi e dei loro genitori”, ha, infatti, dichiarato Raisi il 6 marzo a proposito dell’inchiesta sugli avvelenamenti, “è un crimine e un atto disumano”.

Dell’inchiesta è stato incaricato il ministro dell’interno Ahmad Vahidi, che ha, però, esortato la popolazione a mantenere la calma. Più che sugli avvelenamenti anche le sue parole si sono concentrate sulla paura: ha invitato, infatti, a difendersi dal “terrorismo mediatico del nemico” e ha addirittura dichiarato che “oltre il 90% degli avvelenamenti non sono causati da fattori esterni ma per la maggior parte dallo stress e dalla preoccupazione causati dalle notizie”. A fargli eco è stato il capo della protezione civile iraniana, il generale di brigata Gholamreza Jalali, dichiarando: “Non sto dicendo che i casi di avvelenamento non siano reali, ma instillare la paura nell’opinione pubblica può aumentare notevolmente il numero delle vittime”.

Solo un giorno dopo le dichiarazioni pubbliche del leader supremo sugli avvelenamenti delle ragazze, il 7 marzo il viceministro dell’interno Majid Mirahmadi ha annunciato l’arresto dei primi responsabili. “Un certo numero di persone è stato arrestato in cinque province e le agenzie competenti stanno conducendo un’indagine completa”, ha dichiarato, senza, tuttavia, rivelare la matrice degli attentati.

Sui veri responsabili, le ipotesi dell’opposizione, dell’opinione pubblica internazionale e non solo, sono sempre state ben lontane da quelle di Raisi e dei suoi investigatori. Aveva fatto discutere la dichiarazione di un uomo del governo, il viceministro alla salute Younes Panahi, che aveva insinuato una responsabilità dei gruppi di estremismo religioso negli avvelenamenti diffusi a macchia d’olio nel Paese. “È diventato evidente che alcune persone vogliono che tutte le scuole, in particolare le scuole femminili, vengano chiuse”, aveva dichiarato. Gli avvelenamenti, secondo questa tesi, sarebbero quindi un diretto attacco al diritto all’istruzione femminile.

L’idea più diffusa rimane, però, quella che gli avvelenamenti delle studentesse non siano altro che la vendetta del regime nei confronti delle donne, in prima linea in questi mesi nelle proteste contro il governo. La rivolta contro l’hijab, le campagne social in cui, scoprendosi o tagliandosi i capelli, le ragazze avevano attirato l’attenzione internazionale sulla repressione dei diritti delle donne in Iran, gli attacchi al governo e all’ayatollah: secondo molti attivisti e analisti, il regime da quattro mesi avrebbe deciso di soffocare letteralmente il dissenso non più con scontri di piazza, ma con avvelenamenti disseminati nelle scuole femminili del Paese. Una morsa letale, che prenderebbe ancora una volta in ostaggio i corpi delle donne, e lo farebbe tra i banchi scolastici.

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La guerra è l’espressione più violenta del patriarcato. Vogliamo gridarlo ancora più forte, oggi che l’Europa e l’Italia sono in guerra. Oggi che torn


Scafando


Nel corso del 2022 la Guardia di Finanza e la Guardia Costiera, in operazioni di sicurezza o soccorso, hanno aiutato ad approdare o materialmente salvato e portato a terra 95.535 emigranti. Dall’inizio del 2023 il numero degli arrivi è significativamente

Nel corso del 2022 la Guardia di Finanza e la Guardia Costiera, in operazioni di sicurezza o soccorso, hanno aiutato ad approdare o materialmente salvato e portato a terra 95.535 emigranti. Dall’inizio del 2023 il numero degli arrivi è significativamente cresciuto. Come è tristemente noto, l’ultima operazione non è partita ed è finita nel peggiore dei modi. La procura indaga sulle cause, il governo si adoperi a perfezionare la procedura, ma tutto si può dire tranne che l’Italia abbia i porti chiusi e non si adoperi nei salvataggi.

Il governo si accinge a una riforma del sistema, sostituendo il Reddito di cittadinanza con la Mia. Misura inclusione attiva: 500 euro mensili ai poveri, 375 a quanti hanno bisogno, ma sono occupabili. Questo nel Paese in cui mancano lavoratori e il sistema produttivo reclama immigrati. Sicché se si continua a spendere in assistenzialismo e non in servizi (pasti, alloggi, formazione), si prova a ridurre la spesa, ma non si affronta il problema.

Nei prossimi giorni il Consiglio dei ministri si riunirà in Calabria, per affrontare il tema dell’immigrazione. Abbiamo già sostenuto che non esiste soluzione che non sia europea, abbiamo fatto proposte specifiche e ricordiamo che non è mai l’Unione europea a prendersi una competenza, ma gli Stati nazionali a delegarla, con le conseguenze finanziarie e di sovranità che ciò comporta. In vista di quel Consiglio sottolineiamo il vantaggio che un governo politico ha rispetto a uno tecnico: nel secondo caso (come è stato con Draghi) nessuno si sente veramente partito di governo e ciascuno continua con la propria propaganda, nel primo i vincitori delle elezioni sono responsabili di quel che fanno o non fanno. Lo si è ben visto con il superbonus: finché era il governo a dire che andava smontato, i partiti giocavano a far finta di difendere i proprietari di casa dalla stretta, sicché al governo, privo di maggioranza propria, non restava che lavorare sulle questioni tecniche, come la cessione dei crediti; quando il governo politico s’è trovato davanti all’enorme buco nei conti e all’esilità del contributo alla crescita (1.4 punti di pil su 10.5 nel biennio ’21-’22, a fronte di un aumentato deficit di 2.4 punti e all’avere fatto schizzare i prezzi, un disastro) non ha esitato a dimenticare la propaganda e imporre la stretta. Vediamo se qualche cosa di simile è possibile sul fronte immigrazione.

1. Si possono aumentare finché si vuole le pene per gli scafisti e si può convenire con il pontefice sul fatto che vanno cancellati, ma agiscono in zone che non controlliamo e quelli che pigliamo sono manovalanza (mi ricorda la soluzione definitiva del problema droga: fermare la produzione, tanto giusto quanto inutile anche solo da dirsi). 2. I profughi, che hanno diritto ad essere accolti, scappano illegittimamente (per il diritto di chi li perseguita), sicché non possono arrivare legittimamente, gli scafisti sono dei profittatori, ma anche, a loro sudicio modo, dei salvatori. 3. Se non impariamo a riconoscere i profughi subito fuori dai loro confini di partenza, quello continuerà ad essere il solo modo per scappare. 4. Se imparassimo a farlo diventerebbero molto più numerosi. 5. Il tema non è affatto se facciamo entrare o no degli immigrati, ma se far entrare quelli che scegliamo noi o quelli che scelgono (e pagano) i trafficanti. 6. Il che significa avere canali non solo efficienti, ma assai più larghi d’immigrazione regolare, con decreti flussi in linea con le richieste del mercato produttivo e della famiglie (il 64.2% dei lavoratori domestici sono immigrati, di cui meno della metà in regola).

Passi per la retorica della punizione degli scafisti, ma al governo siano scafati da quanto hanno giustamente fatto sul superbonus: la favola del blocco e dei confini chiusi vada ufficialmente nel campo delle bubbole. Si deve puntare alla regolarità, non allo stop, si devono organizzare gli arrivi, non impedirli. Sarebbe un merito, anche se una contraddizione.

La Ragione

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In Cina e Asia – Pechino annuncia massiccia riforma degli organi statali


In Cina e Asia – Pechino annuncia massiccia riforma degli organi statali partito-stato
Pechino annuncia massiccia riforma degli organi statali
Diritti umani in Cina: l'Onu esprime preoccupazione
Scandalo banche: i manifestanti sono ancora controllati
Corea del Nord: Kim ha un primogenito maschio

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Meno male che Mattarella c’è!


Per la terza volta, spero l’ultima, alla incapacità e alla indifferenza al limite della strafottenza, risponde Mattarella, interpretando in prima persona ciò che manca del tutto a questo Governo, non di principianti come si cerca di accreditare, ma di persone dedite ed interessate solo al potere e alla imposizione della propria volontà: autoritaria. Lo ho […]

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Taiwan verso il super-invecchiamento


Come la maggior parte dei paesi industrializzati occidentali, Taiwan ha registrato un calo sostenuto dei tassi di fertilità e un aumento dell’aspettativa di vita che insieme hanno provocato l’invecchiamento della popolazione. Ma a causa del rapido declino della fertilità negli ultimi decenni, il ritmo dell’invecchiamento è in continua accelerazione: Taiwan è diventata una “società che […]

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Biden deve resistere alle richieste per dare a Zelensky tutto ciò che vuole


Dopo un anno di guerra, gli ucraini stanno comprensibilmente cercando tutto l’aiuto possibile dai loro partner occidentali per cacciare le forze russe fuori dal loro paese. Il fatto che questo sostegno possa potenzialmente portare a un intervento diretto della NATO nel conflitto e nella guerra tra NATO e Russia non sembra preoccupare il governo ucraino, […]

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Perché Putin non può porre fine alla sua guerra contro l’Ucraina


Tra le tante terribili conseguenze dell’aggressione su vasta scala della Russia contro l’Ucraina lanciata da Vladimir Putin un anno fa, una dovrebbe essere individuata, ovvero l’incapacità del presidente russo di porre fine al conflitto nella sua attuale costituzione. Diversi fattori primari sottolineano questo fatto. In primo luogo, la guerra ha suscitato un livello insolitamente alto […]

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Ucraina: la completa sconfitta della Russia non è nell’interesse degli Stati Uniti


Il documento sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti del 2022 mostra che gli Stati Uniti stanno pianificando una nuova era nell’ordine mondiale. La grande competizione bellica ha sostituito la guerra contro il terrorismo. Nonostante si accetti il ​​fatto che attualmente la competizione strategica con altre grandi potenze sia la principale sfida della politica estera e […]

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Ucraina: alternative alla guerra? Rinnovamento e impatto


A un anno dall’inizio della guerra Russia-Ucraina, si ha la sensazione di “ci sono stato, l’ho fatto”. Risolvere le discussioni con la guerra non è un’idea nuova. Ci possono essere modifiche nel tempo. I conflitti armati in Siria vanno avanti da 12 anni. Ci possono essere modifiche nel numero di giocatori. Si dice che ci […]

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Incidente a Guidonia. Cosa è successo ai due piloti dell’Aeronautica


La Difesa si è stretta intorno all’Aeronautica militare nel cordoglio per i due piloti deceduti in un incidente sui cieli di Guidonia. A dare notizia dell’accaduto è stata la stessa Arma azzurra, che ha notificato l’avvenuto impatto tra due velivoli U-208

La Difesa si è stretta intorno all’Aeronautica militare nel cordoglio per i due piloti deceduti in un incidente sui cieli di Guidonia. A dare notizia dell’accaduto è stata la stessa Arma azzurra, che ha notificato l’avvenuto impatto tra due velivoli U-208 in forze al 60° Stormo di base proprio nella cittadina alle porte di Roma. A perdere la vita sono il tenente colonnello Giuseppe Cipriano e il maggiore Marco Menghello. “Cieli blu, Giuseppe e Marco” è stato il saluto ai due militari del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha voluto esprimere anche la vicinanza, sua personale e di “tutta la famiglia della Difesa” al capo di Stato maggiore dell’Aeronautica generale Luca Goretti. Anche il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha espresso, a nome del governo, “le mie più profonde condoglianze e la mia vicinanza alle famiglie, ai colleghi del 60° Stormo e all’intero corpo dell’Aeronautica militare”.

L’incidente

La dinamica dell’incidente è ancora da chiarire, e sull’accaduto l’Aeronautica militare ha avviato un’inchiesta di sicurezza del volo. Secondo le prime ricostruzioni, i mezzi sarebbero entrati in collisione a pochi chilometri di distanza dall’aeroporto di Guidonia nel corso di una missione addestrativa pre-pianificata, precipitando al suolo in un’area nei pressi dell’aerostazione. Uno dei due velivoli è caduto in un’area rurale, mentre il secondo è caduto su un’area urbana, senza fare vittime. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, le forze dell’ordine e le squadre di soccorso e team di specialisti dell’Aeronautica militare che stanno continuando a operare per mettere in sicurezza e circoscrivere le aree dell’impatto.

I velivoli

Gli U-208° sono monomotori ad ala bassa impiegati dall’Aeronautica per il collegamento e il traino degli alianti. I velivoli erano in servizio presso il 60° Stormo, alle dipendenze Comando scuole/3a Regione aerea, un reparto impegnato nella formazione al volo su aliante per gli allievi dell’Accademia aeronautica e della Scuola militare Douhet, oltre al personale delle altre Forze armate. La formazione sugli alianti, infatti, fa parte dell’iter formativo dei piloti. Lo stormo è anche impegnato nella diffusione della cultura aeronautica. I due piloti deceduti erano esperti aviatori e istruttori di volo. Il colonnello Cipriano, nato a Taranto classe 1975, aveva all’attivo seimila ore di volo; il maggiore Meneghello, di Legnago classe 1977, aveva 2600 ore di volo.

Il cordoglio del Paese

Cordoglio è arrivato anche dal capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, che ha espresso ai familiari dei militari e al generale Goretti il “profondo cordoglio e sentimenti di affettuosa vicinanza a nome delle Forze Armate e suo personale”. Le condoglianze sono arrivate anche dalle istituzioni. “Con grande tristezza ho appreso la notizia del tragico incidente che ha coinvolto due velivoli della nostra Aeronautica militare nei cieli di Guidonia” ha detto il sottosegretario alla Difesa, Matteo Perego di Cremnago, esprimendo la sua vicinanza alle famiglie dei piloti deceduti. Una notizia dolorosa anche per il presidente della Commissione Difesa della Camera, Antonino Minardo. Che ha espresso la sua “più commossa vicinanza alle donne e uomini dell’Arma azzurra e alle famiglie dei due aviatori”.


formiche.net/2023/03/incidente…



INTERVISTA A TAMARA ESSENZA E A MR FA


Oggi presentiamo TAMARA ESSENZA e MR FA. Salve a tutti sono tamara_essenza, questo è un nome inventato. Penso tantissimo, sento tantissimo, ho amato tre volte nella vita, adoro gli animali.

iyezine.com/intervista-a-tamar…

#arte #dipinti



Il Ministero dell’Istruzione e del Merito celebra la Giornata internazionale della donna con un’esposizione di libri di Grazia Deledda, una delle più grandi scrittrici del Novecento, premio Nobel per la letteratura e simbolo straordinario di riscatto…


Illusioni e paradossi delle politiche per il Sud


E se le politiche per ridurre le diseguaglianze territoriali in Italia finissero per acuire le disparità all’interno dei singoli territori? Capirlo è fondamentale, sia perché esse mobilitano risorse ingenti, sia perché il loro obiettivo è di primaria impo

E se le politiche per ridurre le diseguaglianze territoriali in Italia finissero per acuire le disparità all’interno dei singoli territori? Capirlo è fondamentale, sia perché esse mobilitano risorse ingenti, sia perché il loro obiettivo è di primaria importanza. A maggior ragione questa domanda andrebbe presa sul serio ora che il Pnrr destina il 40 per cento dei fondi al Mezzogiorno. Negli ultimi anni la ricerca economica ha contribuito a gettare luce su tali problemi, aiutando i decisori (se ne hanno la volontà) a disegnare policy più efficaci e mirate. Da ultimo, uno studio di Giuseppe Albanese, Guglielmo Barone e Guido de Blasio, di prossima pubblicazione sulla rivista “Economica”, fa suonare un campanello d’allarme. Gli autori sfruttano quello che in gergo si chiama “esperimento naturale”: nel 2007 il Molise è uscito dal cosiddetto obiettivo 1, e quindi ha perso il diritto a ricevere gli aiuti più generosi.

Così, i finanziamenti sono crollati da 137 a 66 euro pro capite, determinando non solo una discontinuità nel tempo, ma anche un trattamento diverso rispetto alle regioni limitrofe che hanno continuato a beneficiare di sussidi più elevati. Confrontando i comuni al di qua e al di là del confine – che hanno caratteristiche socioeconomiche molto simili – si può osservare l’impatto del cambiamento. Come spiega Barone in una sintesi pubblicata su lavoce.info, “Prima del 2007, la differenza è sostanzialmente nulla. Dal 2007 in poi, si osserva un calo in Molise rispetto a Campania e Puglia che diventa statisticamente significativo a partire dal 2009. In media, uscire dall’Obiettivo 1 ha implicato un calo dell’indice di Gini di 0,007”, pari all’incirca alla metà dell’aumento di tale indice (0,014) occorso nella media italiana tra il 2007 e il 2013”. Questo risultato implica che la spesa pubblica ha determinato un aumento del reddito medio nei territori coinvolti, ma questo è andato prevalentemente a vantaggio dei più benestanti.

Questo non è necessariamente un male, ma non è neppure un fattore secondario. Solleva, in particolare, tre domande. In primo luogo, se e come sia possibile mantenere l’effetto pro-crescita mitigandone le conseguenze sulla disuguaglianza. Secondariamente, se c’è un trade-off, quanta disuguaglianza sia accettabile in cambio di quanta crescita. Terzo, se davvero il gioco valga la candela. Perché queste nuove evidenze si aggiungono a una copiosa letteratura che ha mostrato che gran parte degli aiuti hanno sortito qualche impatto nell’immediato, lasciando ben poco nel lungo termine.

In altre parole, come conferma anche la vicenda del Molise, la crescita stimolata dai sussidi sparisce non appena il flusso di soldi pubblici viene meno. Cioè, per essere chiari, queste politiche producono redistribuzione ma non sviluppo. Tali questioni raramente vengono calate nella loro dimensione empirica. E qui sta una grande scommessa che il ministro Raffaele Fitto dovrebbe mettere a fuoco: tra Pnrr e fondi ordinari, il Mezzogiorno riceverà una gran massa di denari. Ma c’è il rischio che, oltre ai soldi non spesi, ci siano quelli spesi inutilmente. Per
correggere il tiro bisogna anzitutto varare un programma di monitoraggio e valutazione sulle spese in essere e su quelle previste.

Sfortunatamente il sito ItaliaDomani, creato dal Governo Draghi per fornire gli strumenti per controllare l’andamento delle cose, ammassa documenti ma non mette a disposizione alcun dato in formato fruibile. Non siamo ancora fuori tempo massimo: il governo dovrebbe mettere seriamente mano alla questione, e l’opposizione farebbe bene a incalzarlo su questo. Non solo serve un monitoraggio più capillare, ma occorre anche rendere possibile la realizzazione di studi e valutazioni da parte di terzi. L’intelligenza collettiva dei ricercatori sarebbe un potente strumento per migliorare la qualità delle nostre politiche pubbliche. La politica tutta, la destra che governa oggi e la sinistra che ha governato fino a ieri, dovrebbero capire che questa è un’opportunità, non una minaccia.

di Sergio Boccadutri e Carlo StagnaroIl Foglio

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New Kind of Kicks-Febbraio 2023


🎧 #RECENSIONE:

👉 New Kind of Kicks-Febbraio 2023

Questo mese vi presentiamo :66cl, Adwud,Autobahns/S.G.A.T.V., Beta Maximo/Teo Wise/Deebeat Ramone/Emitter, Bibione, Duodenum, Punk Xerox, Buio Omega, Burnout Ostwest, Carvento, Falana, Class, Contra/Spam , Day Residue, Flipe VI/Kamuflase, Geishas Of Doom, Gobs, Joaco Van, Les Lullies , Mind/Knot , Mirth ,Ponys Auf Pump, Schwund, Splizz, Szlauch, Tetsuo Punk Terror/Dr. Wolfenstein, Yonic South....

iyezine.com/new-kind-of-kicks-…



ISRAELE. Netanyahu perde anche i piloti militari


Si allarga alle Forze armate la protesta contro la riforma giudiziaria. Il gesto senza precedenti dei riservisti dell'unità 69. Giovedì i manifestanti proveranno ad impedire la partenza del primo ministro per Roma L'articolo ISRAELE. Netanyahu perde anch

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 7 marzo 2023 – Chissà se il presidente del Senato Ignazio La Russa nei 15 minuti del colloquio avuto ieri con il premier israeliano Netanyahu – al quale ha assicurato che «Giorgia (Meloni) sarà molto contenta» di riceverlo a Roma il 9 marzo «per rinsaldare l’amicizia fra Italia ed Israele» – e nell’incontro con il suo omologo alla Knesset Amir Ohana – a cui ha espresso la fermezza dell’Italia «contro ogni forza terroristica che attenti alla libertà, alla esistenza ed alla indipendenza di Israele» – ha chiesto almeno qualche chiarimento sulla riforma della giustizia avviata dal governo in Parlamento che da settimane porta in strada centinaia di migliaia di israeliani in difesa del ruolo della Corte suprema al grido di «Democrazia, democrazia». Solo a Tel Aviv erano 160mila sabato scorso (200/300mila in 90 località).

Difficile immaginare che La Russa si sia spinto a tanto considerando anche le affinità tra la destra di cui è in Italia uno dei principali rappresentanti e la destra estrema che è al potere in Israele. Altrettanto arduo è immaginare che possa farlo Antonio Tajani, anch’egli atteso in Israele, che in quanto ministro degli esteri dovrebbe rivolgere ai suoi interlocutori israeliani anche qualche domanda sulle dichiarazioni del ministro delle finanze Bezalel Smotrich che pochi giorni fa ha evocato la distruzione di Huwara. Si tratta della cittadina cisgiordana già presa d’assalto dai coloni israeliani, con incendi di decine di edifici e automobili e l’uccisone di un palestinese, dopo che due israeliani erano stati colpiti a morte in un agguato. E nessun interrogativo, possiamo scommetterci, sarà posto dal governo italiano a Netanyahu il 9 marzo, per «non interferire» nelle vicende interne israeliane. Vicende che invece interessano molto ad altri paesi occidentali a cominciare dagli Usa che, tra le altre cose, hanno accolto con gelo la notizia che Bezalel Smotrich progetta di recarsi a Washington per un incontro con dirigenti della locale comunità ebraica.

Ciò mentre la protesta di almeno la metà degli israeliani contro la riforma giudiziaria ha raggiunto livelli mai toccati. Proprio giovedì prossimo, quando Netanyahu sarà a Roma, gli israeliani terranno un nuovo «Giorno di resistenza» nazionale in tutto il paese. La contestazione si allarga ora anche alle Forze armate, che erano e restano la base della coesione sociale in Israele. Se alla fine il volo di Benyamin Netanyahu per Roma partirà regolarmente perché l’El Al, la compagnia di bandiera, ha imposto ai suoi equipaggi di interrompere il boicottaggio del primo ministro, altri piloti, ben più strategici per Israele, hanno avviato una protesta senza precedenti. La stragrande maggioranza di piloti riservisti di un’unità dell’aviazione (37 su 40) hanno notificato ai loro comandanti che non parteciperanno questa settimana al loro addestramento. Si tratta dell’unità 69 che opera sugli F-15 a lungo raggio. Domani i suoi piloti non parteciperanno a un briefing di squadra perché intendono utilizzare la giornata per discutere della crisi politica e delle minacce ai poteri di controllo della Corte suprema. Anche se non ci sono danni immediati alle capacità dell’aviazione, a lungo termine il suo impatto si farà sentire, avvertono i vertici militari.

Netanyahu ha reagito con rabbia. «La disobbedienza non deve mettere radici. Non ci fu spazio per la disobbedienza nella guerra di indipendenza (1948), né con gli accordi di Oslo (1993), né con il ritiro da Gaza (2005), né ci può essere oggi o in futuro», ha affermato il premier che nei giorni scorsi ha discusso dell’estendersi della protesta nei suoi confronti con il capo di stato maggiore Herzi Halevi. I leader dell’opposizione, Yair Lapid e Benny Gantz, hanno preso le distanze dalla protesta nelle forze armate ma ieri altri riservisti, questa volta dell’esercito, si sono uniti a quella che ormai è vista come una sollevazione sempre più ampia contro Netanyahu e il suo governo che pure ha vinto agevolmente le elezioni dello scorso 1° novembre.

Per Amos Harel, editorialista del quotidiano Haaretz, «Nonostante i suoi sforzi, l’esercito israeliano si trova ora al centro della crisi costituzionale». La notizia dell’azione dei piloti di riserva del 69° squadrone di jet da combattimento, aggiunge Harel, «segna uno sviluppo drammatico nella campagna dei riservisti dell’esercito contro il colpo di stato governativo». Questo, prosegue l’editorialista, «potrebbe essere l’inizio della valanga che il governo teme mentre continua a perseguire aggressivamente il suo programma legislativo».

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«Non solo le dichiarazioni vergognose delle prime ore ma, ogni giorno che passa emergono elementi di misero cinismo politico come causa della strage di Cutro -