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Perché l’Italia non invierà truppe in Ucraina. Crosetto in audizione alla Camera


Si è svolto alla Camera dei Deputati il question time con diversi ministri, trasmesso dalla Rai in diretta televisiva dall’aula di Montecitorio a cura di Rai Parlamento. Insieme al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, al ministro delle Infrastrutture e

Si è svolto alla Camera dei Deputati il question time con diversi ministri, trasmesso dalla Rai in diretta televisiva dall’aula di Montecitorio a cura di Rai Parlamento. Insieme al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, al ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, e alla ministra del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Elvira Calderone, ha risposto alle interrogazioni anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto che si è espresso in merito ad alcuni aspetti sugli aiuti militari a Kiev e sulle ricadute per il settore della Difesa italiano.

Niente truppe italiane in Ucraina

“L’Italia non ha alcuna intenzione di inviare truppe sul campo” in Ucraina, ha subito precisato il ministro Crosetto, volendo spegnere le ultime speculazioni sulla questione. Mentre prosegue, invece, il supporto italiano a Kiev in termini di fornitura di aiuti militari. La cessione di materiale all’Ucraina, come osservato infatti da Crosetto, “si inserisce nel normale ciclo di vita logistico degli equipaggiamenti, che prevede un continuo aggiornamento agli standard tecnologici più avanzati”. Così il nostro Paese si impegna a restare innovativo e a “mantenere lo strumento militare all’avanguardia permettendone la necessaria interoperabilità con le Forze armate dei nostri alleati”, come ha spiegato ancora Crosetto.

La questione delle scorte

Alla luce di questo, si “rende fisiologico procedere a un continuo ripianamento delle scorte, sia per termine di vita operativo sia per l’ammodernamento degli stessi a prescindere dall’esigenza ucraina, è da sempre così”, ha osservato il ministro della Difesa, specificando come il ripristino delle scorte vada fatto a prescindere dalle contingenze ucraine, sia per motivi legati alla fine del ciclo operativo sia per l’ammodernamento dei sistemi. Le esigenze di Difesa nazionale impongono infatti a detta di Crosetto “la disponibilità di scorte adeguate”. Le riflessioni del ministro sulla “necessità di ripristinare le scorte sono riferite al complesso dei materiali ceduti, inclusi quelli ricompresi nei precedenti cinque decreti decisi da un altro governo”.

Il supporto europeo

In questo quadro è bene richiamare in causa lo strumento europeo dell’European peace facility (Epf), istituito a marzo 2021 come strumento fuori bilancio per rafforzare la capacità dell’Ue di agire come fornitore di sicurezza globale. Altra competenza dell’Epf è quello di “reintegrare economicamente lo sforzo profuso dagli Stati membri a supporto dell’Ucraina a seguito dall’aggressione subita da parte della Federazione russa”, come ha ricordo il ministro della Difesa. “L’Italia, al pari di altri Stati membri, ha avuto accesso all’Epf e allo stato attuale vede l’assegnazione di una prima tranche di fondi a parziale rimborso del controvalore economico delle forniture cedute che sarà erogata in tre fasi nel corso del triennio 2023-2025”, ha infine concluso Crosetto spiegando come si andrà a delineare il supporto profuso da parte dell’Ue per venire incontro agli sforzi italiani nel sostenere l’Ucraina.

I sistemi Samp/T

Il ministro nel corso dell’audizione è intervenuto anche in merito alla fornitura – in coordinamento con la Francia – a Kiev dei sistemi Samp/T. Si tratta di un sistema missilistico terra-aria di difesa aerea sviluppato a partire dai primi anni 2000 nell’ambito del programma italo-francese Fsaf (Famille de Sol-Air Futurs, cioè Famiglia di Sistemi superficie aria) dal consorzio europeo Eurosam (formato da Mbda Italia, Mbda Francia e Thales). Il nostro Paese sta “rendendo disponibili alcune componenti di un assetto non operativo, e successivamente il necessario addestramento del personale”, ha spiegato Crosetto. “Ritengo sia giusto addestrare il personale a difendere le città ucraine dagli attacchi missilistici russi”, ha proseguito il ministro precisando infine che: “Non è un materiale che serve ad attaccare ma serve a difendersi dagli attacchi russi e sono contento di poter addestrare le persone che potranno difendere le città, gli ospedali e le infrastrutture ucraine dagli attacchi missilistici ostili”.


formiche.net/2023/03/audizione…



ISRAELE. Orly Noy: “Democrazia vera e che sia di tutti, ebrei e arabi. Basta occupazione dei Territori palestinesi”


Intervista a Orly Noy, attivista dei diritti degli ebrei mediorientali e dei palestinesi. L'articolo ISRAELE. Orly Noy: “Democrazia vera e che sia di tutti, ebrei e arabi. Basta occupazione dei Territori palestinesi” proviene da Pagine Esteri. https://p

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 30 marzo 2023 – Di fronte alla crisi interna alla maggioranza, alle contestazioni emerse nelle Forze armate e ai continui raduni di massa e cortei a Tel Aviv e in altre città contro la riforma giudiziaria, il premier Netanyahu lunedì scorso ha annunciato una sospensione del progetto del governo di estrema destra religiosa. La crisi però pone interrogativi centrali sulla natura stessa della democrazia israeliana, sui diritti delle minoranze e la continuazione dell’occupazione militare dei Territori palestinesi. Abbiamo intervistato Orly Noy, storica attivista dei diritti degli ebrei mizrahim (mediorientali). Noy lancia un appello per una democrazia israeliana nuova, non più ebraica ma per tutti i cittadini.

Netanyahu ha annunciato la sospensione della riforma. Nel frattempo è partito il negoziato tra maggioranza e opposizione. Molti israeliani però credono che tra qualche settimana, se non ci sarà un accordo, il governo accelererà l’iter alla Knesset per far diventare legge al più presto la riforma. Dopo cosa potrebbe accadere?

Non lo sappiamo. La Corte suprema, cioè l’organo di controllo che è tra i principali bersagli della maggioranza di destra estrema al potere, potrebbe non dare la sua approvazione alle nuove leggi. Il ministro della giustizia Yariv Levin ha addirittura minacciato i giudici. Non osate respingere la riforma, ha avvertito. Se invece lo faranno cosa accadrà, avremo due fonti di autorità nel paese, governo e Corte suprema? Giuristi ed esperti non hanno una risposta precisa a questi interrogativi.

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Orly Noy

Al centro di questo scontro ci sono la Corte suprema e l’autonomia dei giudici. Ma c’è anche un aspetto di cui si parla poco. La riforma punta a dare un peso maggiore al ruolo delle corti rabbiniche, religiose.

Si tratta di un punto centrale che la protesta tocca solo in piccola misura. L’espansione delle competenze dei tribunali rabbinici sarà devastante soprattutto per le donne più deboli socialmente, come le mizrahi. Darà più potere agli uomini. Già ora gli uomini sono in grado di estorcere condizioni favorevoli in caso di divorzio davanti ai giudici religiosi che (sulla base della legge ebraica) non garantiscono pari diritti a uomini e donne. Molte donne rinunciano ai loro diritti pur di ottenere il divorzio, persino alla custodia dei figli pur di separarsi da mariti violenti. Dopo la riforma peggiorerà tutto.

Sono previsti cambiamenti anche nell’istruzione.

Quelli del governo puntano alla privatizzazione del sistema scolastico. Le conseguenze saranno negative soprattutto per le comunità tenute ai margini, come i palestinesi (cittadini di Israele) e gli ebrei etiopi. Finiranno per allargare il gap educativo tra bambini di famiglie benestanti e quelli a basso reddito e più in generale tra ebrei e arabi.

Il quotidiano Haaretz ha scritto che la contestazione di Netanyahu è importante ma che questa è la protesta dei privilegiati, sottolineando l’assenza dalle strade della minoranza araba-palestinese così come gli ebrei etiopi e di parte di quelli mizrahim.

Protestano coloro che trovano accettabile la cosiddetta democrazia ebraica e vorrebbero riportare la situazione a prima dell’ascesa al potere dell’estrema destra. Perché i palestinesi (in Israele) non partecipano alle proteste? Per rispondere a questa domanda è sufficiente osservare le manifestazioni. Un mare di bandiere israeliane sventolate da centinaia di convinti sionisti, sì schierati contro Netanyahu ma fortemente nazionalisti. Un mondo al quale la minoranza araba (21% del totale della popolazione, ndr) sente di non appartenere. Le personalità che gli organizzatori delle proteste invitano a parlare durante i raduni sono quasi sempre ex alti ufficiali delle Forze armate ed ex capi della polizia che si descrivono come i veri patrioti a difesa di Israele, ebraico e democratico. Intervengono persone come l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz che ha dedicato la sua vita combattere i palestinesi. La Corte suprema, non lo dimentichiamo, ha approvato la legge che proclama Israele lo Stato della nazione ebraica e non di tutti i suoi cittadini. La comunità araba, perciò, non si sente coinvolta dalla protesta contro Netanyahu, pur sapendo che questo governo di estrema destra la colpirà duramente. Allo stesso modo si tengono a distanza dalle piazze gli ebrei etiopi. Sono contro Netanyahu e consapevoli che l’indipendenza del sistema giudiziario per loro è una protezione. Ma ricordano che la Corte suprema è rimasta in silenzio di fronte alla inaudita violenza della polizia contro la loro comunità. Così come la Corte suprema non è intervenuta davanti alla rimozione di tante famiglie ebree mizrahi povere da Kfar Shalem, Givat Amal e altre aree soggette a una gentrificazione spietata finalizzata a favorire i grandi investimenti edilizi. Queste e altre comunità ai margini chiedono vera giustizia, vera democrazia, vera uguaglianza, non il vecchio ordine.

Quale democrazia propone il Mizrahi Civic Collective di cui lei fa parte.

Siamo un gruppo di attivisti che guarda con orrore alla rivoluzione che sta attuando il governo Netanyahu. Allo stesso tempo non crediamo nella democrazia israeliana alla quale inneggiano nelle strade. Pensiamo che la lotta contro la discriminazione (da parte degli ebrei ashkenaziti, di origine europea, ndr) che ancora colpisce gli ebrei di origine mediorientale debba unirsi a quella dei palestinesi in Israele e nei Territori. Chiediamo una nuova democrazia che includa tutti, senza eccezioni, dai cittadini arabi agli ebrei etiopi, i mizrahi poveri, anche i lavoratori migranti, su di un piano di completa uguaglianza, di giustizia sociale ed economica. Chiediamo che abbia fine subito l’occupazione militare dei Territori e che i palestinesi possano godere di tutti i loro diritti come popolo e come individui. Questo è l’Israele del futuro che vogliamo. Pagine Esteri

L'articolo ISRAELE. Orly Noy: “Democrazia vera e che sia di tutti, ebrei e arabi. Basta occupazione dei Territori palestinesi” proviene da Pagine Esteri.



Perché dovrei andarmene via da twitter, se è così bello essere presi in giro? Una riflessione su mastodon, la libertà e sulla data fatidica del 15 aprile

@Che succede nel Fediverso?

Ma la novità che sta facendo discutere più di tutte è quella uscita in questi giorni e che entrerà in vigore dal 15 aprile: da quella data, infatti, solo gli account verificati (quelli dal cosiddetto Twitter Blue, che pagano 8 euro al mese per avere l’account verificato) potranno partecipare ai sondaggi, vedranno i loro post consigliati ad altri utenti e non saranno inseriti nello stream “Per te”, condannandoli, specie se si tratta di account piccoli, di fatto all’oblio.

Qui il post originale "Ho l'account su Mastodon ma non mi piace“, di @Chiara [Ainur] [Айнұр] e qui il messaggio su mastodon


Questa voce è stata modificata (2 anni fa)

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Unknown parent

@Michele

> in realtà non sei d'accordo su nulla

Non sono d'accordo sul fatto che non ero d'accordo con te. Ho solo espresso alcune puntualizzazioni che non contraddicono il tuo pensiro di fondo:
1) chi parla di questi temi parla spesso di libertà a sproposito, sono d'accordo; ma questo non implica che la questione della libertà non sia fuori luogo quando si parla di queste cose
2) quanto alla visibilità, ti ho spiegato che se i social centralizzati possono condizionare in maniera opaca la visibilità degli utenti, ecco che si pone un problema sociale analogo a quello che si verrebbe a creare se ti facessero sfilare a Spinaceto invece che a Via Cavour (magari facendoti credere che stai a Via Cavour)
3) non c'è il diritto al "tutto gratis", ok; ma questo non è attinente perché la gratuità dei social non è mai esistita
4) non basta che lo spazio sia privato, per applicare le regole, ok; ma devono anche essere compatibili con le leggi vigenti

Detto questo, ero d'accordo con ciò che hai detto.

> la critica non dovresti farla a Twitter, Facebook e co. ma al legislatore italiano o europeo che non ha normato questi aspetti.

A questo proposito, hai mai provato a pensare che se il legislatore italiano o europeo, solitamente sempre prodighi di nuove produzioni normative, siano state rallentate dall'ncessante attività di lobby delle bigtech?

> Attenzione però perché anche l'applicazione di funzioni pubbliche a soggetti privati non è priva di rischi

Sono d'accordo, anche se questa non è un'opinione accolta all'unanimità..

> Ed una terza persona potrebbe imporre che poliverso.org (un nome a caso) ospiti senza limitazioni anche tutti quelli che non intendono rispettare i relativi TOS.

Non è e non sarà mai legalmente possibile. Se poliverso fosse l'unica istanza friendica al mondo, forse sì... Ma in tal caso non mi converrebbe tenerla aperta

Unknown parent

@Michele

> le questioni che pongo spesso riguardano questa mancata visione di insieme; questo guardare il singolo dettaglio e trascurare tutto il resto

La mancata visione di insieme è un problema reale, ma dipende dal fatto che un "digitale" che impatta così tanto sull'analogico, costringe a una riflessione complessiva che nessuno, ma proprio nessuno è in grado di svolgere, sia esso giurista, economista, filosofo, linguista, informatico o politico.

Quando nasce qualcosa di nuovo che ha impatto su privacy, informazione, politica, economia, giurisprudenza, etica è normale che le azioni debbano essere tante ma possano essere di cabotaggio ridotto. Siccume alcune di queste vengono combattute meglio di altre (pensa all'antitrust di inizio secolo contro Microsoft, rispetto all'antitrust degli ultimi anni; o agli interventi del garante privacy, rispetto agli scarsi interenti dell'AGCom), è normale ricevere questa impressione di un modo arbitrario e incoerente di agire.

Ecco, sarebbe importante invocare la coerenza alzando il livello qualitativo dei controllori più scarsi rispetto a quelli più capaci e non lamentandosi dell'eccessivo protagonisto di chi sa essere più efficace



"Ho l'account su Mastodon ma non mi piace"


I cambiamenti di Twitter in versione Elon Musk continuano e non parlo della chiusura dell'ufficio stampa o dei continui licenziamenti di personale.
A nessuno sarà sfuggita la suddivisione della TL tra "Per te" e "Seguiti", con la prima che contiene i tweet selezionati esclusivamente dall'algoritmo (quindi di fatto è Twitter a decidere cosa dobbiamo vedere) e la seconda che contiene i tweet degli account che seguiamo. Come forse avrete notato la TL "Per te" è decisamente preponderante sulla "Seguiti": quando si fa un refresh della pagina si finisce sempre sulla prima, anche se si era sulla seconda, forzando l'utente a guardare quei contenuti. A questa poco gradita novità è seguita la visibilità dei tweet degli utenti bloccati (in pratica se io blocco un utente, lo stesso non vede ovviamente i miei contenuti ma io vedo i suoi, a differenza di quello che accadeva prima).
Ma la novità che sta facendo discutere più di tutte è quella uscita in questi giorni e che entrerà in vigore dal 15 aprile: da quella data, infatti, solo gli account verificati (quelli dal cosiddetto Twitter Blue, che pagano 8 euro al mese per avere l'account verificato) potranno partecipare ai sondaggi, vedranno i loro post consigliati ad altri utenti e non saranno inseriti nello stream "Per te", condannandoli, specie se si tratta di account piccoli, di fatto all'oblio.
E' evidente la volontà della nuova proprietà di portare l'utenza verso gli account a pagamento. con il duplice scopo di aumentare gli introiti e selezionare sempre di più chi è presente sul social.
Queste notizie (l'ultima, in particolare) hanno scatenato una ridda di proteste da parte degli utenti, che non vogliono pagare gli 8€ (e come dargli torto: è un servizio che hanno sempre avuto gratis e poi perché pagare per avere un servizio tutto sommato scadente come quello che offre Twitter Blue?) e minacciano di andarsene o chiudere gli account. Abbiamo già sentito questa storia all'epoca dell'acquisizione del social dell'uccellino blu da parte di Mr.Tesla, centinaia o addirittura migliaia di utenti si sono riversati su Mastodon con le istanze generaliste come mastodon.uno che hanno avuto enormi problemi a gestire questa crescita improvvisa (più utenti significa più risorse necessarie e le istanze Mastodon, compresa la nostra, vivono con le donazioni degli utenti o sono sostenute da privati, non hanno introiti da pubblicità o simili).
Poi, lentamente, la bolla della scorsa primavera si è sgonfiata e ci siamo ritrovati ad essere sempre gli stessi (più o meno, pur se con diverse interessanti new entry).
Mastodon è tornato ad essere un social di nicchia popolato per lo più da nerd o appassionati di tecnologia o di argomenti particolari, senza riuscire a fare davvero il salto verso un social davvero generalista. Leggo continuamente utenti Twitter che, alla proposta di passare su Mastodon in risposta alle nuove politiche di Musk rispondono "non mi piace" o "si parla sempre e solo delle stesse cose, che a me non interessano".
Credo che sia ora di svegliarsi. E lo dico soprattutto agli utenti che vengono da Twitter. Un social è fatto dalle persone che lo vivono. Se volete un social con i contenuti che vi interessano dovete darvi da fare un po' anche voi! Cosa pretendete che sia qualcun altro a fare il social che volete voi? Venite su Mastodon, iniziate a scrivere, anche qualche sana cazzata, non sarete di sicuro bannati per una battuta o un buongiorno e proviamo tutti assieme a fare crescere questa cosa che qualcuno ha creato e qualcun'altro ci mette a disposizone. E lo dico anche agli utenti storici di Mastodon: fate un po' meno i duri e puri o i nostalgici su come era bello Mastodon quando eravamo in quattro gatti (mi ci metto pure io, dato che ci sono dal 2018). Si può mantenere l'ottimo livello delle nostre istanze tenendo fuori troll, politici e tutta la gente di merda che ha avvelenato Twitter senza dover per forza prendersela con chi posta foto di gattini o manda il "buongiornissimo kaffè" del mattino o anche che mette una foto in mutande e reggiseno. Cerchiamo di allargare un po' i nostri orizzonti, senza rinunciare a quelli che per noi sono valori non negoziabili (più o meno quello che c'è nelle regole dei vari server), ma senza nemmeno esagerare nel verso opposto. A meno che...
A meno che gli utenti che vengono da Twitter non trovino piacevole Mastodon perché la visibilità che gli offre è limitata o cose simili.
A meno che i vecchi utenti di Mastodon non vogliano un social di nicchia da gestire come fosse l'orticello di casa.
Perché se fosse così, lasciatemi dire che nessuno ha capito niente. I social commerciali che ci riempiono di merda continueranno a proliferare e l'esperienza di Mastodon, se sopravvivrà, sarà ridotta a una nicchia irrilevante, mentre avremmo la possibilità di far crescere un luogo di incontro virtuale bello e piacevole.
Facciamo uno sforzo tutti quanti.


Israele sta perdendo il sostegno dei democratici USA


Sembra quasi inutile cercare di convincere la stragrande maggioranza degli israeliani che ignorare la questione palestinese non la farà sparire. Che sia il risultato di un pio desiderio o della disperazione per il mancato raggiungimento di un accordo amichevole accettabile per entrambi i popoli, molti israeliani si rifiutano semplicemente di interiorizzare l’occupazione senza fine del […]

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Normalizzazione Iran – Arabia Saudita: un processo regionale con caratteristiche cinesi


L’annuncio di un accordo per riprendere le relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita il 10 marzo non è stato del tutto inaspettato per chi ha familiarità con la politica regionale. L’Arabia Saudita e l’Iran hanno condotto una serie di negoziati a Baghdad negli ultimi anni e, sebbene i colloqui siano stati bloccati dall’ottobre 2022, ci sono stati tentativi di […]

L'articolo Normalizzazione Iran – Arabia Saudita: un processo regionale con caratteristiche cinesi proviene da L'Indro.



La democrazia a rischio che l’America esporta nel mondo


Non crediamo mai abbastanza a ciò in cui non crediamo (M. Conte S. 2004) Questo Quotidiano digitale ospita da tempo mie riflessioni su tematiche sociali riguardanti lo stato della democrazia in America. Ad aprile dell’anno scorso avevo già scritto sui “Libri bruciati in America, nel mondo in guerra”, 12 aprile. Come in “Fahrenheit 451” terribile […]

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Guerra in Ucraina: l’Europa che vuole agire sonda il Dragone


Tre importanti leader del Vecchio Continente si recheranno come noto a Pechino tra fine marzo e inizio aprile. Il primo a presentarsi al cospetto di Xi Jinping sarà il Premier spagnolo Pedro Sànchez, il 30 e 31 marzo. Motivo ufficiale del viaggio sarà la celebrazione dei 50 anni dei rapporti diplomatici tra i due Paesi, oltre […]

L'articolo Guerra in Ucraina: l’Europa che vuole agire sonda il Dragone proviene da L'Indro.



Ecco i nuovi volti di Naviris. Annunciate le nomine per il Cda


Passaggio di testimone ai vertici di Naviris. Sono state deliberate le nomine dei nuovi membri del Consiglio di amministrazione della joint venture tra l’italiana Fincantieri e la francese Naval Group. Questa partnership, nata nel 2020 dal desiderio comun

Passaggio di testimone ai vertici di Naviris. Sono state deliberate le nomine dei nuovi membri del Consiglio di amministrazione della joint venture tra l’italiana Fincantieri e la francese Naval Group. Questa partnership, nata nel 2020 dal desiderio comune delle due società di eccellere nell’industria navalmeccanica, si è sviluppata nel corso degli ultimi anni e si prepara ora ad assumere una nuova guida con l’ufficialità sui volti del nuovo top management.

Il nuovo management

Tra le nuove nomine troviamo l’incarico del presidente della joint venture, ruolo che verrà ricoperto dall’attuale amministratore delegato di Fincantieri, Pierroberto Folgiero. Al suo fianco, Damien Raby nel ruolo di amministratore delegato, che vanta alle sue spalle più di otto anni da direttore a Naval Group. Infine, nella posizione di direttore operativo è stato confermato Enrico Bonetti, che ricopre il ruolo fin dalla nascita di Naviris. Vista la paritaria partecipazione delle due società facenti parte della joint venture, viene garantita una rappresentanza paritetica all’interno dello stesso consiglio di amministrazione.

Le origini

Naviris è nata nel 2020 grazie alla partnership tra Fincantieri, già leader nel settore di costruzione navale per la sua diversificazione e innovazione, e Naval Group, conosciuta in tutto il mondo per la sua tecnologia all’avanguardia nel settore della Difesa navale. Alla base dell’accordo, vi è infatti la convinzione che una solida collaborazione tra le realtà dell’industria navale europea sia necessaria per fare del Vecchio continente un attore leader nel settore della Difesa. La joint venture ha oggi la propria sede centrale a Genova e presenta un’ulteriore filiale a Ollioules, in Francia. Il team di Naviris, composto per metà da dipendenti italiani e per metà da lavoratori francesi, si concentra principalmente su progetti binazionali e orientati all’export.

Il progetto per la sovranità europea nel settore navale

Nel luglio 2022, la Commissione europea ha selezionato la proposta di Naviris nell’ambito del bando Modular and multirole patrol corvette (Mmpc), un progetto di cooperazione strutturata permanente. In tale contesto, la joint venture, a capo di un consorzio composto da Fincantieri, Naval Group e Navantia, proponeva la massimizzazione delle sinergie e della collaborazione tra i cantieri navali europei. Per raggiungere tale obiettivo, il consorzio si proponeva di sviluppare insieme una nuova nave per garantire una sovranità europea nel settore delle navi di secondo linea.

Il rapporto con l’Occar

Nel corso della sua esistenza, Naviris ha operato su una serie di importanti progetti. Poco dopo la sua nascita, nel luglio 2020, Naviris ha concluso un contratto con l’Organizzazione europea per la cooperazione in materia di armamenti (Occar) per avviare uno studio circa la fattibilità sull’ammodernamento di mezza vita (Mlu) dei quattro cacciatorpediniere di classe Horizon francesi e italiani. Nell’ambito dello stesso progetto, completati gli studi, Naviris si è impegnata nella fase di negoziazione con Occar per riuscire a ottenere il contratto che copra l’Mlu per le quattro unità. Non solo, Naviris ha anche concluso con Occar un contratto della durata di quattro anni per svolgere attività di ricerca e sviluppo su temi di ricerca congiunta.


formiche.net/2023/03/nuove-nom…



L'attuale leader del Partito Laburista Keir Starmer ha deciso di negare la ricandidatura a Jeremy Corbyn. Si tratta di un'operazione degna della "caccia alle s

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in reply to Rifondazione Comunista

si tratta che con Corbyn hanno già perso perché in troppi si sono attaccati a vecchie dichiarazioni di nessuna importanza
e non possono correre rischi


Il sogno che manca all’Europa


Povera Europa, trincea estrema dei diritti, delle regole e delle garanzie, oggi così frastornata e genuflessa. Irriconoscibile. A Bruxelles ho visto la notte d’inverno inghiottire il gigantesco palazzo dell’Unione mentre per strada sciami di lobbisti e fu

Povera Europa, trincea estrema dei diritti, delle regole e delle garanzie, oggi così frastornata e genuflessa. Irriconoscibile. A Bruxelles ho visto la notte d’inverno inghiottire il gigantesco palazzo dell’Unione mentre per strada sciami di lobbisti e funzionari andavano in cerca dell’aperitivo. C’erano l’industria farmaceutica, i rappresentanti del gas e del carbone, i venditori di software. Mancava il sogno. Era assente quell’affascinante profumo di diversità che fiutavo già da bambino, a Trieste, nelle ninne nanne in tedesco della nonna, nella nostalgia dei profughi istriani e dalmati, nel confine alle porte di casa e nella quotidiana intimità col mondo slavo…

Per una vita non ho fatto che cercarti, Europa. Ti ho viaggiata per mare e per terra, a piedi e su treni d’inverno, dall’Atlantico all’Egeo, dall’Artico a Odessa, da Trieste a Kiev e Mosca, e da Berlino a Istanbul. Mi sono affacciato dai Carpazi sulla pianura dove il Sole arriva dagli Urali, ti ho seguita lungo il luccichio del Danubio, del Niemen e del Guadalquivir. Dall’Irlanda alla Turchia, ho bussato ai monasteri che ti hanno salvata dalla devastazione barbarica. Ho esposto la tua bandiera, ti ho dedicato libri. Dalle Alpi alla Sicilia, mi sono sfinito per narrarti, nelle piazze, nelle scuole e in compagnia di un’orchestra sinfonica di giovani, stupendi figli tuoi, venuti da Italia, Inghilterra, Austria, Russia e altrove.

Mai ho trovato nel mondo un concentrato di diversità paragonabile al tuo. Ma ora dove sei finita? Nessuna comunione di popoli può reggere in assenza di un epos delle origini. Le regole e i programmi non bastano. Per questo, quando anche il sogno è perduto, non resta che il mito. E per questo ho scritto Canto per Europa: per attivare una narrativa nuova partendo da una storia più antica e radicale di quella dei padri fondatori. Un ancoraggio su cui costruire un patriottismo comune capace di combattere la deriva verso la frammentazione. Europa è «il sogno di chi viene respinto», commenta uno dei protagonisti della storia, intuendo che l’utopia della Terra del tramonto vive più nel cuore stremato dei migranti che in quello dei popoli dell’Unione. Egli sa che in quelle genti in fuga cova un desiderio disperato e lancinante, un “Mal d’Europa” per certi aspetti simmetrico al “Mal d’Africa” che può esistere in alcuni occidentali.

Ma ecco come tutto è cominciato. Era una notte, a Santa Maria di Leuca, dove Jonio e Adriatico si toccano spumeggiando ai piedi di un grande faro. Una chiatta di migranti era naufragata e, alla luce delle fotoelettriche, un sacco bianco era stato deposto sul molo da una motovedetta. Conteneva, mi dissero, il corpo di una somala incinta, una di molte donne annegate, forse scaraventate tra le onde dagli scafisti. Accanto a quel corpo, un uomo in piedi, un ciclope possente, in lacrime come un bambino. Un palombaro, che aveva conosciuto il peggio del mare, un testimone di questo Mediterraneo mattatoio e cimitero. Cosa aveva visto per piangere a quel modo? Da allora, la donna senza volto cominciò a svegliarmi, notte dopo notte. Chiedeva di avere un nome, una storia. Era il gennaio del 2016. Non ebbi pace finché, nel luglio dello stesso anno, in Sicilia, vissi una nuova epifania. Centinaia di profughi stavano sbarcando da una nave di soccorso a Porto Empedocle. Venivano da Siria, Egitto, Afghanistan. Erano stati al largo più di un mese, rifiutati da tutti. Scendevano barcollando da una passerella con addosso dei salvagente gialli. La nave emanava puzza di vomito e cherosene. Le donne, una dozzina, quasi tutte siriane, furono separate dagli uomini e condotte su uno spazio di banchina casualmente coperto da un grande telo turchino. Lì si sedettero in cerchio, come per condividere ritualmente, guardandosi negli occhi, la solennità del momento.

Fu un tuffo al cuore. Il cerchio giallo in campo blu disegnava la mia costellazione, la bandiera dell’Unione. E proprio in quell’attimo una delle donne cominciò a cantare, a bassa voce, un’incantevole nenia d’Oriente che al mio orecchio parve esprimere il dolore della patria perduta e insieme la speranza di un mondo nuovo. La giovane avrà avuto vent’anni. I capelli neri tagliavano come un’ala di corvo un profilo semita affilato che sembrava separare due facce di una stessa moneta. Una era dolce, materna; l’altra esprimeva la durezza della volontà. Un’ambivalenza che riassumeva il mistero del Femminile. La ragazza siriana, che aveva attraversato il mare con paura, dava un’identità alla donna del sacco bianco. Una faccia, una voce, un nome. Come avevo fatto a non accorgermi che il mio continente era femmina, come l’Asia o l’America? Tutta colpa di un inutile articolo. Bastò toglierlo, bastò dire ad alta voce “Europa”, anziché “l’Europa”, e la terra dei miei avi si fece carne. Apparve per ciò che era: una creatura da difendere, non più un brandello di carta geografica. Così riletta, generava un nome proprio, innescava una narrazione, creava un legame, un’appartenenza. Quella che si accende in alcuni di noi quando siamo lontani da casa o quando ci accorgiamo di quanto difficile e precaria sia la vita nel resto del mondo.

Non avrei più dimenticato quella piccola migrante. Mettendomi di fronte al destino di un continente fatto di popoli venuti da lontano, essa reincarnava il mito della principessa fenicia di nome Europa, rapita da Giove-toro e traghettata a forza verso il grande capolinea della notte. A Porto Empedocle capii che la donna, non il dio stupratore, era la protagonista di quella storia. Essa svelava l’essenza femminile del nostro mondo assediato da bellicose autocrazie maschiliste, e la nostra discendenza da una creatura d’Oriente, portatrice di sangue nuovo. Chiariva che il nostro legame con l’Asia era indissolubile e l’unico nostro vero confine stava a ovest, sul grande nulla dell’oceano. Confermava la nostra appartenenza al Mediterraneo, il mare della complessità, dove erano nate la democrazia, la filosofia e la tutela dei diritti. Un mondo baciato dalla fortuna, benedetto da un dio sceso tra i mortali per farsi carne in una donna.

La gente ha sete di senso, di storie. La spasmodica attenzione che esprime quando le racconti il mito denuncia il vuoto narrativo in cui è abbandonata dalla politica e dalle istituzioni. È magnifico vedere centinaia di occhi accendersi quando spieghi che l’Occidente siamo noi, non l’Oltreoceano, perché “Europa” deriva da “Erebu”, parola dell’accadico, antica lingua mesopotamica, e vuol dire “Terra del tramonto”, il luogo dove si inabissa il firmamento; oppure quando ricordi il pensiero che Eschilo espresse dopo la vittoria dei suoi Greci sull’Asia persiana: «I vincitori si salveranno solo se sapranno rispettare i templi e gli dei dei vinti».

Europa è il Partenone che non viene distrutto, ma che da tempio diventa chiesa, poi moschea e poi museo. È civiltà costruita sulle colonne dei vinti. È la tragedia greca che rappresenta il dolore degli sconfitti (vedi la tragedia I Persiani) come le indegnità dei vincitori (vedi l’Iliade, dove gli Achei massacrano donne e bambini a Troia). È una cultura che non nasconde la bestia che è in noi, al contrario della propaganda ipocrita che oggi spaccia per ethos il diritto brutale del più forte. Europa è la generazione immensa dei primi monaci benedettini che, senz’armi, cristianizzano milioni di barbari. È Enea — eroe asiatico come Europa —sconfitto, che fugge da Troia distrutta col padre sulle spalle e il figlioletto per mano, diventa migrante e, attraverso Roma, fonda una potenza continentale dove gli imperatori saranno anche spagnoli, africani, illirici.

Perché le nazioni si imbevono di miti e l’Europa no? In questo vuoto ci ritroviamo soli e balbettanti sul baratro di un mondo virtuale che ci distoglie da una realtà di saccheggio e cinismo. Il paradosso è che, oggi, i popoli dell’Unione si conoscono tra loro assai meno di quando esistevano i confini.

La Repubblica

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Perché la Crimea deve essere restituita all’Ucraina


È stata una settimana ricca di eventi per le forze russe in Crimea. Ci sono state esplosioni vicino alla città di Dzhankoi, un importante nodo ferroviario utilizzato dai militari russi. Si dice che i droni suicidi ucraini abbiano attaccato un treno che trasportava missili da crociera alla flotta russa del Mar Nero. Per la seconda […]

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L’invasione russa dell’Ucraina sta erodendo l’influenza del Cremlino in Kazakistan


L’invasione dell’Ucraina aveva lo scopo di far avanzare la visione di Vladimir Putin di un rinnovato impero russo. Invece, sta costringendo i Paesi vicini a rivalutare le proprie relazioni con Mosca e alimentando crescenti richieste di decolonizzazione e derussificazione in una regione che un tempo era vista da molti osservatori internazionali come un’estensione informale della […]

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Russia – Iran: gerarchie rovesciate


L’invasione russa dell’Ucraina è entrata nel suo secondo anno. Un elemento critico di questa campagna è stato il sostegno militare dell’Iran alla Russia, fornendo a Mosca droni prodotti internamente. Nonostante la frenesia mediatica per il sostegno dell’Iran, la cooperazione militare bilaterale tra i due paesi non è infatti una novità. In effetti, questo rapporto si […]

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Riceviamo e, condividendo in pieno le ragioni della mobilitazione, chiediamo la dovuta attenzione. Giovedì 30 marzo, in Piazza S.S. Apostoli a Roma a partir


Giustizia: il Ministro Nordio batta un colpo!


Della serie: emergenze ignorate. Neppure un trafiletto in fondo alla pagina di un giornale, quanto ai telegiornali neppure parlarne. Eppure la denuncia del segretario generale della UIL Polizia Penitenziaria Gennarino De Fazio è accorata, e mette il dito su una piaga che continua a sanguinare: “La spirale di morte che investe le carceri italiane non […]

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Des Demonas


Questa sensazione, che non provavo da parecchio, me la ha data il disco dei Des Demonas, una band segnalatami da chi, oltre ad avere orecchio, possiede attenzione e curiosità, e della quale io ignoravo l'esistenza. Des Demonas - omonimo - è il loro unico album ed è datato 2017: gli si sono succeduti altri due singoli e un ep il cui valore e livello risultano invariabilmente alti.

iyezine.com/des-demonas



Sostenibilità e sovranità digitale a scuola nel pieno rispetto del CAD e del GDPR - Incontro con le scuole dell'Emilia Romagna


fuss.bz.it/post/2023-03-28_inc…



In Cina e Asia – Ristrutturazione senza precedenti per Alibaba


In Cina e Asia – Ristrutturazione senza precedenti per Alibaba Alibaba
I titoli di oggi:

Ristrutturazione senza precedenti per Alibaba
Pechino lancia campagna per difendere le imprese dai commenti diffamatori
La Cina ha speso 100 miliardi di dollari in tre anni in prestiti di salvataggio
L'ex ceo di Ftx ha pagato miliardi di tangenti alle autorità cinesi
Cina: l'anticorruzione prende di mira il settore sportivo
L'Arabia Saudita diventa dialogue partner della SCO
Giappone, Filippine e Usa lanceranno framework trilaterale di sicurezza
Myanmar: la giunta scioglie il partito di Suu Kyi

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#NotiziePerLaScuola

Anno scolastico 2023/2024, il Decreto di determinazione dei prezzi di copertina dei libri di testo della scuola primaria.

Info ▶️ miur.gov.



Huwara, il tallone di Achille del dominio dei coloni


Nuovo raid degli estremisti nel villaggio già teatro di una spedizione punitiva il 27 febbraio. Uno dei leader dei coloni ha aperto un "ufficio" ad Huwara dopo il ferimento di alcuni israeliani L'articolo Huwara, il tallone di Achille del dominio dei col

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 29 marzo 2023 – La Cisgiordana palestinese occupata dal 1967 non è più governata dall’esercito israeliano. Vi dominano ormai le regole dettate dell’ideologo dell’ultradestra religiosa, il rabbino Yitzhak Ginsburg. E i suoi seguaci, i coloni israeliani, fanno il bello e il cattivo tempo. Lunedì sera mentre Benyamin Netanyahu alzava, tatticamente, la bandiera bianca annunciando la sospensione, ma solo per qualche settimana, della riforma giudiziaria avviata dalla maggioranza di destra alla Knesset, i coloni israeliani hanno lanciato senza alcun impedimento un’altra spedizione punitiva contro il villaggio palestinese di Huwara, a sud di Nablus.

Almeno sei palestinesi sono stati aggrediti e feriti, uno dei quali in modo grave alla testa. Il raid non è stato così violento come quello dello scorso 27 febbraio quando circa 500 coloni hanno ucciso un palestinese e dato alle fiamme 30 case e un centinaio di automobili. Ma due giorni fa gli estremisti israeliani comunque hanno distrutto altre auto, un camion e danneggiato abitazioni e negozi dopo il ferimento di alcuni loro compagni. Il capo delle emergenze della Mezzaluna Rossa, Ahmad Jibrin, ha denunciato attacchi alle ambulanze giunte a portare soccorso ai feriti. I soldati israeliani, ha aggiunto, sono rimasti a guardare, anzi, hanno lanciato lacrimogeni e granate stordenti contro i palestinesi e imposto la chiusura dei negozi. Qualche ora dopo è spirato in ospedale a Nablus, Omayr Lolah, rimasto ferito il mese scorso a Nablus durante una incursione dell’esercito israeliano.

Huwara, è il tallone di Achille della determinazione dei coloni israeliani di muoversi ovunque e senza alcuna limitazione nella Cisgiordania occupata. Una volontà che fa i conti con la crescita della militanza armata palestinese. Nelle ultime settimane sono stato compiuti diversi attacchi a colpi d’arma da fuoco contro coloni (due morti e diversi feriti) che transitavano per il villaggio situato a metà strada tra alcuni insediamenti «ideologici» – Elon Moreh, Yizhar, Itamar – e lo svincolo per la superstrada che da quel punto porta a Tel Aviv in meno di trenta minuti. Un ministro israeliano Bezalel Smotrich, tra i leader dell’ultradestra religiosa, ha auspicato che Huwara «venga spazzato via». Poi si è rimangiato questo suo desiderio di fronte alle proteste palestinesi e internazionali. Non è però azzardato affermare che i coloni vedrebbero con grande favore la «rimozione» del villaggio (abitato da migliaia di persone). Ma non è possibile e, in attesa che sia completata una strada alternativa solo per loro, chiedono che tutta l’area, inclusa Nablus (circa 250mila abitanti), siano blindata e «chiusa» dall’esercito che già presidia quella zona con centinaia di soldati.

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Yossi Dagan nel suo “ufficio” a Huwara

Yossi Dagan, capo del cosiddetto Consiglio regionale (delle colonie) della Samaria, domenica mattina ha eretto una tenda nel centro di Huwara a pochi metri dalla strada, affermando che è «il suo nuovo ufficio». «Se non c’è sicurezza per i miei residenti (i coloni, ndr), mi siederò qui. La vita quotidiana del nemico (palestinese) non viene prima della vita dei cittadini israeliani», ha detto circondato da decine di soldati e guardie private. Dagan ha anche chiesto che le Forze armate lancino in Cisgiordania una nuova «Muraglia di Difesa», l’offensiva che nel 2002 su ordine del premier Ariel Sharon portò alla rioccupazione delle città divenute autonome con gli Accordi di Oslo del 1993. I morti furono centinaia.

Sempre lunedì sera a Gerusalemme altri estremisti di destra si sono lanciati in aggressioni a palestinesi e giornalisti israeliani ritenuti «ostili» durante una manifestazione con migliaia di sostenitori del governo e del premier Netanyahu. Tra gli aggressori spiccavano i membri del gruppo La Familia ripresi dalle telecamere di sorveglianza mentre attaccavano i passanti palestinesi e una troupe della tv israeliana Canale 13: un giornalista e un cameraman sono finiti all’ospedale. Un taxista palestinese preso di mira dagli estremisti è sfuggito per miracolo a un linciaggio ma la sua auto è stata completamente distrutta. La caccia al palestinese dell’altra sera ha ricordato quella della primavera del 2021, poche settimane prima delle forti tensioni esplose a Sheikh Jarrah, dove una trentina di famiglie palestinesi erano state minacciate di espulsione dalle loro case a favore di coloni. Pagine Esteri

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Fr.#23 / Di affitti e bene comune


Nel frammento di oggi: Espropriazione digitale per il bene comune / Francia 2024, le Olimpiadi della sorveglianza / Chi costruirà le strade nel bitcoin standard? / Meme e citazione del giorno.

Venezia e Milano, a tutta forza verso il Bene Comune


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I Sindaci diventano ingegneri sociali con poteri pressoché illimitati di disporre della proprietà edei loro sudditi, con un solo obiettivo: creare la loro personalissima versione di società perfetta. E non c’è nulla di strano: è proprio così che è nato lo stato sociale.

Il caro sindaco Brugnaro torna a far parlare della Sua città, che ormai è una gabbia (fisica e digitale) a cielo aperto. L’obiettivo è combattere gli affitti anonimi e centralizzare il controllo dei flussi turistici con piattaforme per la registrazione. Sì, anche i tuorenti da fuori sono turisti:

“Ci sarà un sistema centralizzato per registrare posti letto, vani e presenze. […]La città non può essere prenotabile all’infinito attraverso canali che sfuggono ad ogni verifica. Non possiamo più permetterlo. Riprendere il controllo delle presenze nelle case private diventa inevitabile […]<z

Non è più tempo di furberie, chi deciderà di affittare solo per 120 giorni deve sapere che in tutti gli altri 245 giorni avrà Polizia locale e Guardia di finanza alla porta. A controllare.”

Agli ingegneri sociali non piace Privacy Chronicles. A te?

A Venezia quindi le persone potranno affittare solo per 120 giorni all’anno. Qualcuno potrebbe dire: perché 120 e non 131 o 47? Non c’è alcun motivo razionale: al sindaco piace il numero 120, sia fatta la Sua volontà.

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Anche l’amico Beppe Sala, invidioso del potere Divino che è stato conferito a Brugnaro, chiede che gli venga concesso. È risaputo: chi affitta ai turisti toglie posti letto a chi a Milano ci vorrebbe vivere. Perché sì: la casa non è di chi la possiede, ma dello Stato, che decide qual è la migliore allocazione delle risorse.

È una lotta ideologica per un nuovo tipo di espropriazione digitale della proprietà privata. Non con poco eleganti e obsoleti atti di confisca, ma tramite sorveglianza di massa, leggi assurde e quel pizzico (q.b.) di ideologia collettivista che possa spingere le persone ad accettare ogni tipo di sacrificio per il bene comune.

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I Sindaci diventano ingegneri sociali con poteri pressoché illimitati di disporre della proprietà dei loro sudditi, con un solo obiettivo: creare la loro personalissima visione di società perfetta. E non c’è nulla di strano: è proprio così che è nato lo stato sociale.

La domanda sorge spontanea. Vi stancherete mai di farvi trattare come bestie da soma?

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Le Olimpiadi della sorveglianza


Recenti notizie1 ci dicono è passata la proposta per introdurre sistemi di riconoscimento facciale durante le Olimpiadi di Francia 2024. Le Olimpiadi, pare, saranno in realtà un test per vedere come si comportano questi sistemi e usarli poi per ogni evento sportivo, ricreativo o culturale su larga scala.

Alla proposta, che viene dai partiti di destra, si sono opposti i partiti di sinistra e i verdi. Non stupisce che sia così, considerando che destra e sinistra hanno da sempre idee diverse sulla sorveglianza di massa. Dimmi perché vorresti sorvegliare il prossimo e ti dirò da che parte stai.

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A destra risponderanno che è giusto sorvegliare la popolazione per finalità sicurezza, controllo dell'ordine pubblico e per combattere il crimine violento. A sinistra risponderanno che è giusto sorvegliare la popolazione per potenziare lo stato sociale, incentivare comportamenti corretti e affidabili e per proteggere donne e bambini.

Ciò che è certo è che la sorveglianza di massa è sempre un’aggressione alla libertà e identità di ogni persona e che in nessun caso è giustificabile. In questo caso poi è assurdo: quanti francesi e turisti, compresi i bambini, finiranno con la loro faccia nei database della polizia francese, colpevoli di aver assistito a un evento sportivo?

Forse, prima di partecipare alle prossime Olimpiadi, sarà bene leggere questo articolo.

Chi costruirà le strade nel Bitcoin Standard?


Domanda provocatoria con cui il 27 marzo abbiamo aperto le danze insieme a Massimo Musumeci e , in una live YouTube.

Dentro la cornice dell’anarco-capitalismo e di Bitcoin sono tanti i temi affrontati e tante le domande da chi ci ha seguito live: strade, monopoli, sicurezza, giustizia, kalashnikov… e molto altro. Vi consiglio di guardare la live prima che i Poteri Forti la rimuovano!

youtube-nocookie.com/embed/ROc…

Meme del giorno


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Citazione del giorno

"Are not highways public goods, that is, items of necessity which cannot be supplied by the market? This is the common wisdom. I challenge it. I maintain that road socialism is no different in kind than any other type of socialism. It, too, suffers from the calculation problem identified by Mises and Hayek. As in the case of all other goods and services, the private sector can do a better job of providing roads."

Walter Block

Articolo consigliato


Immagine/fotoPrivacy Chronicles

Smart city: sorveglianza ed economia comportamentale, i casi di Venezia e Ivrea

Oggi parliamo di due casi diversi ma uniti dallo stesso filo rosso, quello delle smart cities e dell’improvviso boom di sistemi pervasivi di sorveglianza e controllo del comportamento delle persone. La storia inizia con un tweet del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro…
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a year ago · 14 likes · 3 comments · Matte Galt
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france24.com/en/tv-shows/tech-…



Il degrado della Russia: come le istituzioni arcaiche ostacolano lo sviluppo


Il comportamento razionale dei diretti beneficiari di qualsiasi regime politico, che controllano il potere statale, è volto ad evitare stati limite di umore pubblico. Nel paradigma della democrazia competitiva, le élite dominanti sono interessate a massimizzare la soddisfazione delle richieste sociali per essere rielette al prossimo mandato. Nelle autocrazie morbide, le élite dominanti ei loro […]

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Quando finirà la guerra in Yemen?


Lo scorso sabato ha segnato l’ottavo anniversario del lancio dell’operazione Decisive Storm, l’intervento militare a guida saudita nello Yemen. Con l’intelligence e il supporto logistico di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e pochi altri stati arabi, i sauditi hanno condotto una campagna aerea indiscriminata a partire dal 26 marzo 2015, prendendo di mira ospedali, scuole […]

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Russia: la nuova politica estera secondo il Ministro degli Esteri Lavrov


Ripubblichiamo l’articolo scritto dal Ministro degli Esteri Sergey Lavrov per la rivista di notizie Razvedchik *** Viviamo in un momento di storici cambiamenti geopolitici. “Il cambio di epoche è un processo doloroso ma naturale e inevitabile. Un futuro accordo mondiale sta prendendo forma davanti ai nostri occhi”, ha detto il Presidente Vladimir Putin. Oggi il multipolarismo […]

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di Angelo D’Orsi - Ormai non è più neppure russofobia: siamo al cretinismo. Il 23 marzo sul Corriere un commento di Danilo Taino esemplifica questa fase


L’Ucraina e le lezioni della guerra in Iraq


Lasciando da parte le giustificazioni fabbricate, gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq nel 2003 per riaffermare il potere statunitense in Medio Oriente e ridurre l’influenza dell’Iran. Non è stato il terrorismo o la torta gialla e nemmeno le spaventose violazioni dei diritti umani da parte di Saddam Hussein a motivare uno dei più tragici errori […]

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Qual è la migliore via d’uscita dalla guerra in Ucraina?


Alla luce dei recenti sconvolgimenti geopolitici, e in particolare della guerra in Ucraina, non ha senso (e non promette molto successo) costruire una nuova architettura di sicurezza globale basata sulla logica del confronto bipolare per diversi motivi… In primo luogo, un prerequisito principale per il successo di una ‘strategia del conflitto’ conflittuale – un’identità di […]

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Appaltare


Oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe licenziare il testo del nuovo codice appalti. Un adempimento previsto dal Pnrr. Una riforma necessaria. Ci sono indicazioni positive e buone intenzioni, ma farle funzionare è cosa diversa. Se è lecito un consiglio n

Oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe licenziare il testo del nuovo codice appalti. Un adempimento previsto dal Pnrr. Una riforma necessaria. Ci sono indicazioni positive e buone intenzioni, ma farle funzionare è cosa diversa. Se è lecito un consiglio non richiesto, nell’illustrare il nuovo codice sarebbe meglio non utilizzare concetti come: semplificazione, sveltimento e sblocco. Portano sfortuna, sono stati già ripetutamente spesi in passato, salvo complicare, rallentare e bloccare. Veniamo alla sostanza.

Il 9 marzo scorso, riunendosi a Cutro, il governo varò un decreto legge per la costruzione di nuovi centri dove ospitare gli sbarcati. Più che giusto. Per riuscire a realizzarli, però, il decreto prevede che siano derogate le norme del codice appalti, considerate ostative. Si riferisce alle norme in vigore, non alla riforma, ma siccome si tratta del medesimo governo e dato che da quel 9 marzo a oggi non s’è certo costruito alcun centro, c’è da chiedersi se avevano consapevolezza di sospendere quel che si apprestavano a cambiare o se sapevano che il cambiamento non avrebbe dato effetti immediati, quindi compatibili con l’emergenza.

Molte delle norme che saranno introdotte sono di buon senso, ma ce ne sono anche che fanno alzare il sopracciglio. Perché qualsiasi norma non vive di vita propria, ma dentro un sistema di diritto e se quello si storce anche il buon senso devia. Non è un caso che la Corte dei conti, già con riferimento alle altre “semplificazioni” (vedete che porta male?) ha avuto modo di osservare che si deve stare attenti a non favorire la mafia. Ma come è possibile che, ogni volta che si parla di investimenti e appalti, immediatamente dopo arrivino gli allarmi per il crimine? La spiegazione non sta negli appalti e la soluzione del problema, quindi, sta solo marginalmente nelle regole del gioco – codice degli appalti compreso – ma soprattutto nel modo in cui (non) funziona il nostro sistema di diritto. Qualsiasi testo resterà lettera morta, producendo morte degli investimenti, se non si guarda a quel sistema.

Le regole possono essere più o meno appropriate e ragionevoli. Corruzione e malaffare, del resto, non possono essere cancellati dalla storia, non c’è alcun modo di debellarli del tutto e infatti esistono ovunque (con i dispotismi imparagonabilmente più corrotti delle democrazie, con la differenza che nelle seconde se ne parla e nei primi è vietato). Il congegno funziona se comunque delle regole sono fissate, possibilmente chiare e rispettabili, talché ove taluno sia sospettato di averle infrante sia condotto davanti a un giudice, il quale assolverà se l’accusa è infondata e condannerà a giusta pena ove sia dimostrata. Concettualmente è un meccanismo facile. Il difficile, da noi, è trovare il giudice. Il giudizio arriva a babbo morto e opera mai realizzata, lungamente bloccata e spesa lievitata. Nel frattempo è andato in scena il solito e incivile spettacolo dell’accusa, i sospettati sono stati indicati al pubblico disprezzo, sicché i soli determinati a concludere comunque l’affare sono i male intenzionati, che del pubblico disprezzo se ne fregano, mentre i bene intenzionati si chiedono per quale ragione debbano giocarsi la reputazione. In questa palude chiunque abbia perso una gara farà ricorso, chiunque debba esprimere un parere lo renderà sgusciante, chiunque debba mettere una firma sarà preso dai crampi. Per rimediare, allora, s’inventano controlli preventivi e autorità etiche che peggiorano la situazione, moltiplicano i ritardi e non prevengono un bel niente.

Se il governo, come ha fatto a Cutro, deroga e sospende, ammette che con le regole esistenti non si può fare nulla. Se inventa scudi per i sindaci che firmano va a finire che favorisce anche i lestofanti, se per loro li esclude allora non si fideranno gli altri. E nessuna regola potrà mai funzionare se mentre la partita è in corso l’arbitro è in bagno. Un Paese senza giustizia non riesce a far le cose giuste. Il nuovo codice, naturalmente, non cambia il sistema e mantiene in vita la pretesa preventiva. La prima cosa non è di sua competenza, la seconda può indurlo a precoce senescenza.

La Ragione

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In volo verso il futuro. Così l’Aeronautica festeggia i suoi cento anni


L’Aeronautica militare ha compiuto i suoi primi cento anni. “Il 28 marzo del 1923 nasceva la Regia aeronautica indipendente, con una propria uniforme e propri distintivi di grado e specialità” ha raccontato il capo di Stato maggiore dell’Arma azzurra, gen

L’Aeronautica militare ha compiuto i suoi primi cento anni. “Il 28 marzo del 1923 nasceva la Regia aeronautica indipendente, con una propria uniforme e propri distintivi di grado e specialità” ha raccontato il capo di Stato maggiore dell’Arma azzurra, generale Luca Goretti, in occasione delle celebrazioni per il Centenario nella cornice della terrazza del Pincio, a Roma. Un evento che ha permesso di festeggiare lo storico traguardo, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, del ministro della Difesa, Guido Crosetto, del capo di Stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, e degli altri comandanti di Forza armata e autorità civili, militari e religiose. Presenti le bandiere di guerra e d’istituto di tutti i reparti della forza armata e la bandiera di guerra dell’Aeronautica, a cui il Capo dello Stato ha consegnato l’onorificenza di cavaliere dell’Ordine militare d’Italia proprio per il suo impegno secolare sui “cieli d’Italia e del mondo”.

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L’impegno quotidiano dell’Arma azzurra

Una Forza armata centenaria ma che “forte del sui patrimonio, e del supporto delle istituzioni, è sempre riuscita ad anticipare il progresso, oggi anche nei nuovi domini dello spazio e del cyber” ha raccontato ancora Goretti, “sfide del futuro che siamo pronti ad affrontare”. La bandiera, allora, diventa “il simbolo di una storia fatta di valori, passione, attaccamento alle istituzioni e custode del ricordo e della memoria di chi ci ha preceduto e fatto grande l’Aeronautica” ha detto Goretti, che ha voluto ricordare anche coloro che hanno compiuto l’estremo sacrificio tra le fila dell’Aeronautica, fino al recente incidente di Guidoni in cui hanno perso la vita il colonnello Giuseppe Cipriano e il maggiore Marco Menghello. Dal passato arriva la storia di chi ha costruito l’arma aerea, fino a farla diventare oggi “consapevole del suo ruolo, apprezzata nei consessi internazionali, e pronta ad affrontare tutte le sfide che l’aspettano con spirito di squadra”, frutto dell’impegno quotidiano degli uomini e delle donne in uniforme azzurra che quotidianamente “senza mai tirarsi indietro, in silenzio fanno quanto hanno giurato di fare: il proprio dovere, sempre, da cento anni”.

La sicurezza dal cielo

“Una volta che abbiate conosciuto il volo, camminerete sulla terra guardando il cielo, perché là siete stati e là desidererete tornare”. È con questa citazione di Leonardo Da Vinci che il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Cavo Dragone, ha voluto salutare l’Arma azzurra. Non abbiamo mai metabolizzato la conquista dei cieli, e il volo con finisce mai di sorprenderci. L’Aeronautica, con i suoi uomini e donne, dimostra ogni giorno la padronanza dell’ecosistema con i suoi mezzi e la tecnologia all’avanguardia” ha continuato Cavo Dragone, aggiungendo come “noi cittadini sappiamo che qualcuno veglia su di noi, sui cieli, giorno e notte, in qualunque condizione meteo”. Una squadra di eccezionali italiani, concittadini dei quali essere orgogliosi”.

Cento anni e non sentirli

Per il ministro Crosetto, nonostante i cento anni, l’Aeronautica si mantiene giovane “con lo sguardo sempre in avanti e la passione per l’innovazione”. Il Centenario, allora, “non è un punto di arrivo, ma la capitalizzazione di quanto fatto pronti a raggiungere vette sempre più alte”. Tutto dell’Arma azzurro parla di futuro, “una memoria che non trattiene a terra, ma fa volare sempre più in alto”. Il ministro ha poi voluto ricordare i tanti impegni assunti dalla Forza armata a tutela della sicurezza dei cittadini e degli interessi italiani, dal ponte aereo in Afghanistan agli aiuti in Turchia e Siria, dallo sforzo sui fianchi est e nord dell’Alleanza dopo l’invasione russa dell’Ucraina, passando per il supporto insostituibile nel corso della pandemia, con i voli in biocontenimento. “In cento anni il mondo è cambiato, ma non le qualità migliori dell’Aeronautica” che ha saputo costruirsi in questo secolo “qualcosa di oltre al successo delle missioni: l’affetto degli italiani” con la sua capacità di coniugare umanità e tecnica, ben rappresentato dalle Frecce tricolori “che uniscono tutti gli italiani durante i momenti più significativi della Repubblica”. E allora, l’augurio del ministro è che il motto dell’Arma azzurra, “Con valore verso le stelle” rappresenti anche il cammino dell’Italia, nella sicurezza che, “tra cento anni, l’Aeronautica militare sarà ancora qui, a vigilare sui cieli e nello spazio”.

Una parata aerea

Protagonisti della manifestazione, naturalmente, i velivoli dell’Arma azzurra. Hanno infatti attraversato i cieli di Roma, a rappresentare idealmente quelli di tutta la nazione, ben 74 apparecchi della Forza armata, a rappresentare tutte le diverse capacità espresse dall’Aeronautica. Dagli elicotteri multiruolo HH-101 agli arei per il collegamento P-180, passando per i C-130J della Lockheed Martine e i C-27J di Leonardo, velivoli per il trasporto tattico e strategico, fino ai KC767 per il rifornimento in volo. Presenti anche gli assetti per la sorveglianza aerea, come i P-72A per il pattugliamento marittimo, che vede infatti la partecipazione di equipaggi misti Aeronautica-Marina, i G550 CAEW, velivoli all’avanguardia per la sorveglianza con capacità di comando e controllo, in grado di verificare l’impermeabilità dello spazio aereo alleato e di allertare la difesa aerea nel caso di minaccia, e il 350ER per le operazioni Sigint. In volo anche i cosiddetti velivoli bianchi, impiegati per il trasporto delle autorità nazionali e per i voli sanitari d’urgenza, come gli Airbus A319 e i Falcon 50 e 900, e l’addestratore all’avanguardia T-346, realizzato da Leonardo, e utilizzato per formare i piloti destinati ai velivoli di ultima generazione presso la International flight training school di Decimomannu. Non potevano mancare poi i caccia veri e propri, le prime linee della difesa aerea, con i Panavia Tornado, gli Eurofighter, protagonisti dell’Air policing condotta dall’Italia e, naturalmente, gli F-35. A concludere la cerimonia, il passaggio dei nove Aermacchi MB-339PAN delle Frecce tricolori.


formiche.net/2023/03/proiettat…



La complicata e necessaria relazione tra politica e Aeronautica spiegata da Tricarico


Non è una novità che l’Italia sia disattenta ai problemi della sicurezza e della Difesa e che il mondo della politica sia stato e sia fondamentalmente allineato e in sintonia con tale colpevole incultura. Sono pochi i ministri della Difesa che nel secondo

Non è una novità che l’Italia sia disattenta ai problemi della sicurezza e della Difesa e che il mondo della politica sia stato e sia fondamentalmente allineato e in sintonia con tale colpevole incultura. Sono pochi i ministri della Difesa che nel secondo dopoguerra si sono discostati da tale peculiarità socio-politica del nostro Paese, interpretando in maniera più attenta, concreta e professionale il loro mandato.

Pur con una casistica di comportamenti ampia, non è però facile valutare se il generale disinteresse per il mondo militare sia stato un vantaggio o un inconveniente, un peso che abbia influito sulla preparazione e sull’adeguatezza delle Forze armate all’assolvimento della loro missione. Personalmente propendo per la prima ipotesi, ossia che, anche per come il mondo politico è mutato, le Forze armate abbiano potuto agire praticamente “indisturbate”, al riparo dell’attenzione dell’opinione pubblica e della politica.

Immaginiamo, ad esempio, che aiuto avrebbe potuto dare un presidente del Consiglio convinto – come è realmente successo – che i sistemi d’arma siano catalogabili in offensivi e difensivi, e su queste basi approntare lo strumento militare. Sono semplici e pure oscenità che avrebbero segnato la discussione pubblica e impedito un sostanziale processo di allestimento dello strumento militare.

Invece le Forze armate hanno avuto mano libera nelle attività progettuali e operative, pur dovendo tollerare rumori di fondo quali le critiche per fenomeni deleteri interni o scelte messe in sindacato perché in certi momenti era inevitabile che l’opinione pubblica non se ne occupasse.

Fortuna ha voluto che la briglia sia stata lasciata sciolta a servitori dello Stato, a persone perbene che hanno messo l’autonomia loro concessa al servizio del pubblico interesse, impiegando le risorse secondo criteri di buona amministrazione.

L’Aeronautica in particolare si è portata avanti in specifiche capacità pregiate o perfino abilitanti, grazie sia ai criteri di buon management citati, sia all’esperienza sul campo, quando è stata chiamata (praticamente sempre) a integrare missioni internazionali di pace o di guerra. L’armamento di precisione è figlio della prima guerra del Golfo e del ruolo in essa avuto dal generale Mario Arpino, il quale ha promosso e monitorato la crescita nel settore. Anche l’Unmanned è un output della guerra dei Balcani del 1999: il primo vero debutto operativo dei droni allora ancora imperfetti e disarmati, mostrò con estrema chiarezza le loro potenzialità militari. L’Aeronautica militare prese il treno al volo e l’impegno degli anni successivi l’ha portata a essere leader europea nell’utilizzo degli Uav. La guerra dei Balcani ha anche permesso di organizzare meglio le capacità di comando e controllo di operazioni belliche complesse. Le operazioni del 1999 furono un valido banco di prova per professionalizzare gli operatori, mettere a punto le strutture, gli apparati e i collegamenti necessari, individuare le procedure più corrette per gestire con efficacia operazioni militari complesse. Oggi, questo livello di professionalità lo abbiamo noi più di chiunque altro in Europa.

Il caccia di quinta generazione è un rilevante esempio di come la Forza armata sia riuscita a raggiungere traguardi importanti, bruciando sul filo di lana gli altri europei, nonostante la palla al piede di una stampa pessima e di una politica troppo attenta agli umori della gente più che alla Difesa. Quando è scoppiata la polemica sui costi del programma F-35 era ormai tardi per fare dietrofront, i passaggi governativi e parlamentari di autorizzazione al prosieguo nel programma, compiuti nella sonnolenza generale, erano così vincolanti che il treno ha dovuto proseguire senza stop, nonostante un’ipotizzabile paletta rossa della politica e forse anche dell’industria di settore.

Una rassegna delle eccellenze raggiunte dalla nostra Aeronautica negli ultimi anni deve registrare la capacità Caew, che è già ora una componente aggiornata di punta a nostra disposizione e che in prospettiva, con il completamento della flotta di piattaforme airborne, non avrà pari anche dal punto di vista dimensionale, oltre che qualitativo. Oggi però è necessaria un’inversione di tendenza e il quadro politico, anche per le sollecitazioni della guerra in Ucraina, sembra voler accettare un ruolo più attivo. Un’inversione di tendenza in cui la politica può aiutare il mondo militare a portare in Europa le capacità così faticosamente messe a punto, affinché le eccellenze acquisite siano i pilastri su cui edificare uno strumento militare comune.

Sarebbe imperdonabile – ma non incredibile, dati i nostri trascorsi – che l’Italia si presentasse al laboratorio di una Difesa comune come portatrice d’acqua e non come elemento trainante in uno scenario in cui è in grado di esprimere il meglio a livello internazionale. Perché questa è la fine che si farebbe se la politica non comprendesse le prospettive nazionali nell’impresa comune e non rivendicasse un ruolo-guida. Ma per farlo serve un cambio radicale di registro, per acquisire consapevolezza di quanto le nostre Forze armate siano avanti rispetto ad altri Paesi. Pretendendo giustamente di indicare la strada ad altri rimasti più indietro, mediante un ruolo-guida, quando (si spera presto) si comincerà a costruire un dispositivo europeo di Difesa comune e quando le responsabilità andranno suddivise secondo le capacità e non altri parametri in cui il nostro Paese potrebbe ancora essere tenuto fuori dal salotto buono.


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La proiezione globale dell’Aeronautica militare secondo Camporini


In un quadro internazionale che appariva cristallizzato, scosso da un’inattesa, grave emergenza pandemica, ma con rapporti tra Paesi, nazioni e alleanze che apparivano consolidati, certezze date per scontate si sono polverizzate con l’aggressione russa al

In un quadro internazionale che appariva cristallizzato, scosso da un’inattesa, grave emergenza pandemica, ma con rapporti tra Paesi, nazioni e alleanze che apparivano consolidati, certezze date per scontate si sono polverizzate con l’aggressione russa all’Ucraina. Questo evento ha spazzato l’idea che il futuro delle operazioni militari fosse limitato sostanzialmente a quelle di polizia internazionale, con esiti non sempre positivi, come si è visto in Afghanistan, ma che comunque avrebbero utilizzato forze leggere, in ambienti anche ostili ma senza la necessità di capacità di alta valenza.

Erano situazioni di crisi in cui i sistemi dei singoli Paesi avrebbero operato facendo riferimento a un quadro cooperativo che si sarebbe evoluto in una sorta di specializzazione non pianificata, in cui ci si attendeva che strategie, informazioni, Intelligence e comunicazioni fossero uno sfondo predeterminato, cui dare un contributo in termini di capacità operative.

Questa ipotesi, frutto di un ottimismo ontologico, avrebbe potuto portare lo strumento militare italiano a un’evoluzione monodimensionale, evoluzione cui però l’Aeronautica militare ha saputo sfuggire.

Qualcuno avrebbe potuto nutrire delle perplessità di fronte a decisioni che sembravano non privilegiare la punta di lancia, i velivoli da combattimento, reparti con denominazioni gloriose, che sono giustamente da salvaguardare. Decisioni come quella di puntare, primi in Europa, sui sistemi a pilotaggio remoto, cui conferire la coccarda della Strega del 28° Gruppo, oppure quella di investire risorse molto importanti nella guerra elettronica, nella capacità airborne early warning (Aew) e nelle conseguenti capacità di comando e controllo aeroportato hanno forse fatto storcere il naso a chi guardava al passato. Ma i fatti di questi mesi ci dimostrano che chi rimane ancorato alle concezioni del secolo scorso rischia di avere amare sorprese, cui non si può rimediare se non in tempi incompatibili con le urgenze del momento.

Ecco dunque l’Aeronautica militare ben consapevole di avere un ruolo che non si esaurisce nelle classiche missioni di intercettazione, contraerea e supporto aereo ravvicinato, ma operi con successo in un ambiente multidimensionale, dove i rapporti con le altre componenti non si possono limitare a uno scambio di compiti e di mission report, ma devono fondersi in un sistema integrato in cui lo scambio di informazioni avvenga con un flusso continuo multi-direzionale, opportunamente strutturato e filtrato, in modo da fornire ai decisori strategici tutte, e sole, le informazioni necessarie a prendere le decisioni.

Si tratta dunque di una nuova cultura operativa. Acquisirla permette poi di misurarsi e integrarsi in un più ampio ambito multinazionale, che sia quello strutturato dell’Alleanza Atlantica oppure dell’Unione europea, nella sua ancora embrionale capacità militare integrata, oppure quello a volte problematico delle coalizioni di volenterosi che hanno caratterizzato la storia degli ultimi decenni.

È una cultura che sta diventando patrimonio comune e condiviso della Forza armata e sta coinvolgendo anche altre componenti dello strumento militare nazionale. Ma al di là degli aspetti funzionali, per trasformarsi in capacità che possano risultare determinanti serve anche una valenza dimensionale, che può essere assicurata solo da risorse finanziarie superiori a quelle attualmente disponibili e soprattutto garantite nel tempo.

Queste considerazioni valgono per tutte le componenti dello strumento militare ma per l’Aeronautica, attesa l’importanza delle risorse economiche necessarie, hanno una valenza particolare, che non deve essere sottaciuta.

In buona sostanza, oggi l’Aeronautica dispone di tutte, o quasi, le capacità necessarie a dare un contributo alle operazioni delle Alleanze e delle coalizioni cui i decisori politici decidono di partecipare, ma certo non nelle dimensioni quantitative che possano renderla determinante, come invece potrebbe risultare, attese le capacità esprimibili.

È chiaro che i progressi in questa direzione dipendono da fattori in primo luogo politici, ma che necessariamente investono anche la dimensione industriale in un’ottica che non può, né deve, essere limitata all’ambito nazionale. C’è la necessità di un concreto dialogo nel quadro della Nato e in quello dell’Ue, possibilmente allargato alle altre potenze like-minded, per identificare obiettivi cui dare il necessario contributo nazionale, in un quadro armonico di concreta sostenibilità, così da rendere efficace l’azione politica.

La Forza armata in questi decenni ha acquisito una piena consapevolezza delle capacità che deve esprimere per essere uno strumento adeguato della politica di Difesa e in generale della politica estera nazionale. È necessario che tale consapevolezza e questa cultura ormai radicata si consolidino, in modo che il nostro Paese possa agire da protagonista sulla scena internazionale.

Intervista apparsa sul numero 142 della rivista Airpress


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YouTube il censore, l’analisi dei prof. Bassini e Mula


L’oscuramento delle pagine Facebook delle organizzazioni di estrema destra, il bando di Donald Trump da Twitter (prima dell’avvento di Elon Musk) e ora lo stop, per una settimana, al canale YouTube della fondazione Einaudi dopo la pubblicazione di un vide

L’oscuramento delle pagine Facebook delle organizzazioni di estrema destra, il bando di Donald Trump da Twitter (prima dell’avvento di Elon Musk) e ora lo stop, per una settimana, al canale YouTube della fondazione Einaudi dopo la pubblicazione di un video di un intervento di Antonio Martino, morto il 5 marzo 2022, in cui – come racconta qui Andrea Cangini – si esprimeva contro l’uso del green pass e l’obbligo vaccinale. Tre episodi molto diversi tra loro che però attengono all’utilizzo pubblico dei social e, soprattutto, alla difficoltà nel compiere, sulle piattaforme online, quello che in qualsiasi altro luogo (fisico) sarebbe considerato il legittimo esercizio della libertà di esprimere un’opinione. Giusta o sbagliata, condivisibile o deprecabile, che sia. I tre episodi raccontano – o meglio, ricordano – una questione irrisolta: come si articola il rapporto tra i colossi (privati, naturalmente) del web – i grandi social network in questo caso – e la libertà di pensiero, sancita da tutte le costituzioni democratiche? La domanda ha molteplici risposte. Nessuna definitiva.

Come ha spiegato in questa intervista ad HuffPost il professor Luciano Floridi, i social network fanno parte di una terra di mezzo – né pubblica, né privata – che è l’infosfera. Necessiterebbero di regole nuove, partendo dal presupposto che non possono essere ingabbiati in quelle due categorie classiche. Ma fino a quando continueremo a ragionare in termini di pubblico e privato – leggi alla mano, non possiamo fare diversamente – degli interrogativi resteranno aperti. Di questi abbiamo parlato con Marco Bassini, docente di Fundamental Rights and Artificial Intelligence all’Università di Tilburg, nei Paesi Bassi e con Davide Mula, avvocato e professore aggiunto dell’InnoLawLab dell’Università europea di Roma.

“L’equilibrio è difficile da trovare – spiega ad HuffPost Bassini, – perché tutte le piattaforme nascono come soggetti privati, con l’idea di poter stabilire autonomamente le ‘regole della casa’. La situazione è diventata più complessa quando si è passati da un cyberspazio popolato da una moltitudine di piccole comunità virtuali a un ‘ecosistema’ di (pochi) giganti del web, che hanno una crescente dominanza economica ma anche influenza giuridica”. E, verrebbe da aggiungere, portano con sé una contraddizione: “Restano – argomenta il docente – ancora piattaforme private, ma questa connotazione è sempre più stretta rispetto alla realtà dei fatti. Perché, è evidente, se una grande piattaforma digitale esclude un utente o un contenuto dalla propria comunità al giorno d’oggi incide sull’esercizio della libertà di espressione”.

Per il ruolo che hanno assunto le piattaforme digitali nel quotidiano di ogni cittadino, ma anche delle istituzioni pubbliche, si tende spesso a dimenticarsi della loro natura privatistica: “Li usiamo come luoghi pubblici ai quali abbiamo la necessità di accedere per dire la nostra. In alcuni casi, addirittura, li usiamo come piattaforme di lavoro. Il problema, però, è che pur sempre di luoghi privati si tratta. O meglio, di uno spazio vissuto come sostanzialmente pubblico, ma regolato da meccanismi privati”, spiega invece Mula.

Come si gestisce, però, questo dato di fatto? La soluzione è tutt’altro che semplice: “Come per ogni diritto, il rispetto della libertà di espressione si impone in primo luogo in capo agli Stati – spiega Bassini – un soggetto privato, invece, agisce in base a un contratto e quindi, in teoria, secondo regole proprie, anche quando limita la libertà di espressione, per esempio moderando i contenuti pubblicati dai suoi utenti (che quelle regole hanno precedentemente accettato). Dal momento che, però, parliamo di mezzi così importanti si pone un tema: le piattaforme online vanno considerate fornitori di servizi pubblici? Sono degli attori parastatali? Se fossero soggetti o servizi pubblici dovrebbero sottostare ai vincoli che si applicano agli altri attori pubblici. E, quindi, ad esempio, dovrebbero prendere atto del fatto che un discorso critico, un’opinione anche discutibile, non vìola alcuna disposizione di legge. E così come lo Stato non può impedire l’espressione di quell’opinione, non potrebbe farlo neanche la piattaforma”. Allora stato, però, non è così. Perché, argomenta Bassini: “Per la loro conformazione, le piattaforme possono riservarsi il diritto di moderare contenuti secondo i propri termini di servizio, per esempio rimuovendo contenuti non necessariamente illeciti secondo l’ordinamento ma contrari ai propri termini d’uso. Detto ciò, i social sono ben consapevoli di quanto sia importante assicurare agli utenti uno spazio libero e aperto, e tendono a promuovere il pluralismo delle idee”. Ma come fanno a garantirlo? Il docente spiega: “È lo stesso legislatore, in Europa, a richiedere che le piattaforme che mettono a disposizione la loro infrastruttura per la condivisione dei contenuti non siano gravate da un obbligo di selezione alla fonte. In questo modo si tiene fede alla distinzione tra il lavoro degli editori e quello degli intermediari; ciò posto, le piattaforme sono tenute a valutare le segnalazioni di violazioni che ricevono rispetto ai contenuti dei loro utenti”.

Il caso emblematico della censura alla Fondazione Einaudi

Secondo Mula, si dovrebbe agire a monte: “Le policy non sono così chiare, non prevedono meccanismi di reclamo efficaci. Prendiamo il caso della fondazione Einaudi: se anche un singolo video avesse davvero violato le politiche anti Covid della piattaforma, ciò non avrebbe comunque giustificato la sospensione dell’intero canale”. E, invece, è proprio quello che è accaduto: per una settimana il canale YouTube della Fondazione Einaudi è stato inaccessibile. Oscurato, come se avesse contenuti universalmente riconosciuti come inaccettabili: “Nella moderazione delle segnalazioni – spiega ancora l’avvocato – non si dovrebbe dare troppo spazio all’Intelligenza artificiale”. Perché, prosegue l’esperto, il processo è il seguente: “Quando arriva la segnalazione di un contenuto che non corrisponde la policy della piattaforma, l’intelligenza artificiale legge il messaggio, se rileva la ricorrenza di determinate parole viene disposta la rimozione. Bisognerebbe prevedere una sorta di ‘appello’, per impugnare la decisione e fare in modo che il caso fosse valutato da una persona in carne e ossa e non dall’intelligenza artificiale”.

Insomma: un essere umano è in grado di valutare il contesto, di capire, ad esempio, che la frase pronunciata dal prof. Martino altro non era che un’opinione liberamente espressa. L’intelligenza artificiale si limita a bannare il post intercetta una frase che, per usare le parole che YouTube ha scritto alla Fondazione Einaudi, contraddice “il parere di esperti appartenenti ad autorità sanitarie locali o all’Oms”. Con buona pace dell’articolo 21 della Costituzione. Peraltro, aggiunge Mula, “ci troviamo in un contesto in cui quel messaggio (l’opinione di Martino, ndr) non è più attuale, dal momento che non ci troviamo più nella fase in cui i vaccini erano obbligatori o caldamente consigliati”. La decisione di YouTube, insomma, è discutibile da qualunque versante la si guardi. Anche perché, è l’altro spunto che offre Mula, “così una piattaforma digitale interviene nella dinamica della ricostruzione storica di un dibattito pubblico”.

Il caso della fondazione Einaudi, argomenta ancora Bassini, è emblematico: “È un segnale preoccupante. Non parliamo di un quisque de populo ma di un intellettuale (che perdipiù è stato titolare di rilevantissime cariche pubbliche) che ha espresso un’opinione. Una decisione come quella che ha preso Youtube è una deriva pericolosa”. Secondo il docente, bisogna chiedersi se non sia insanabile il conflitto tra due visioni della rete internet: da un lato, un web più democratico e trasparente , dall’altro un web più ordinato. “Possiamo immaginare – continua Bassini – che ci sia un web che funziona, almeno nella moderazione dei contenuti, come un soggetto pubblico. A questo punto, solo i contenuti illeciti finirebbero per essere rimossi dal web. In altri termini: gli standard applicabili ai social sarebbero gli stessi degli attori pubblici. Sarebbe certo il risultato più desiderabile a garanzia della libertà di espressione (espressivo forse di una sfiducia verso la capacità di autoregolazione delle piattaforme). Dall’altra parte, però, c’è forse l’opzione di un web più ordinato ma meno “democratico” e trasparente, in cui per esempio una maggiore moderazione nei contenuti aiuterebbe a combattere la disinformazione. Certo, se poi a essere silenziato è un soggetto come la Fondazione Einaudi, c’è un problema…”.

Da tempo si discute di come normare i social, proprio per evitare che possa essere limitata la libertà di espressione degli utenti. Per ora è stata trovata una strada europea: il Digital services act. “Si tratta – spiega ancora Bassini – di un regolamento approvato a ottobre 2022, le cui previsioni entreranno progressivamente a regime e avranno efficacia dal febbraio 2024. Il Digital services act non cancella l’idea che la piattaforma non sia un editore e non elimina la libertà di moderazione dei contenuti. Quello che fa, invece, è affrontare soprattutto la dimensione della trasparenza. Si chiede, quindi, alle piattaforme di assolvere alcuni obblighi di diligenza rispetto al modo in cui gestiscono i contenuti. In questo modo, per esempio, non si impedisce la rimozione di contenuti ma si insiste sulla motivazione e sulla giustificazione di queste scelte””.

Ma il fatto che le piattaforme del web siano multinazionali, pone problemi per l’applicazione della legge italiana? Per Bassini non è esattamente così: “Le piattaforme sono nate negli Stati Uniti e, almeno culturalmente, in linea di principio, si dovrebbero ispirare al primo emendamento della Costituzione Usa e non dovrebbero interferire nel libero confronto delle idee. Al giudice italiano non è impedito di intervenire, come abbiamo visto in alcuni casi che hanno riguardato l’oscuramento delle pagine social di alcune formazioni di estrema destra. Anche lì, però, le decisioni non sono state univoche: si è spaziati da provvedimenti che hanno affermato che i social hanno una ‘speciale responsabilità’ di garantire la libertà di espressione degli utenti, dovendosi così astenere dal rimuovere contenuti non previamente dichiarati illeciti da un giudice a pronunce che hanno invece sottolineato la doverosità di un intervento dei social per eliminare dal web contenuti ritenuti illeciti, silenziando alcuni attori politici. Insomma, una gran confusione. Ma la vera domanda è: è ancora libero un mercato in cui il potere di moderazione è affidato più alle piattaforme che ai giudici?”. La domanda, al momento, è destinata a rimanere con una pluralità di risposte. Ad ogni modo, secondo il docente, il regolamento europeo va nel verso giusto: “Imporre l’osservanza una serie di misure, anche di carattere procedimentale, soprattutto alle piattaforme online di grandi dimensioni (che possono avere un impatto molto significativo sull’opinione pubblica, favorendo la circolazione di contenuti virali) è un primo strumento per rendere valutabile e più trasparente l’operato dei social. Anche all’esterno”.

Posto che rendere le piattaforme online soggetti pubblici è impresa persa in partenza, c’è una terza via? Per l’avvocato Mula, l’Unione europea dovrebbe fare da sé: un social made in Ue. “Bisognerebbe pensare formule alternative ai social americani. Se è così vivida l’esigenza di un social su cui confrontarsi, potrebbe rendere gli utenti più tranquilli l’idea di agire su una piattaforma posta sotto lo sguardo attento dell’Ue”.

Huffington Post

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Verso un’Autorità per gestire il traffico subacqueo. La proposta di Fondazione Leonardo


Nonostante aumentino le conoscenze sulle galassie più lontane nello Spazio, lo stesso non si può dire per i fondali marini, di cui conosciamo dettagliatamente solo il 20% del totale. Un intreccio complesso di fattori economici, geostrategici e legati alla

Nonostante aumentino le conoscenze sulle galassie più lontane nello Spazio, lo stesso non si può dire per i fondali marini, di cui conosciamo dettagliatamente solo il 20% del totale. Un intreccio complesso di fattori economici, geostrategici e legati alla biodiversità rende la dimensione subacquea un nuovo dominio di confronto tra le potenze sempre più strategico. Ciò è particolarmente evidente nel Mediterraneo allargato, dove l’Italia può giocare un ruolo di primo piano nella dimensione marittima, considerando anche che il 64% delle nostre importazioni e il 50% dell’export transitano via mare. Da queste riflessioni è partito l’evento “Civiltà del mare. Il subacqueo, nuovo ambiente dell’umanità” organizzato dalla Fondazione Leonardo Civiltà delle macchine, all’Accademia navale di Livorno, in collaborazione con la Marina militare, il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l’università La Sapienza.

Il convegno

L’iniziativa ha avuto l’obiettivo di presentare il white paper “Geopolitica, strategia, interessi del mondo subacqueo. Il ruolo dell’Italia”, che rappresenta un primo passo per portare all’attenzione dei decision maker l’esigenza di definire e impostare una governance degli spazi subacquei, attraverso un referente unico in grado di gestire gli aspetti regolatori e di assicurare un’adeguata tutela e osservazione sulle attività che si svolgono sopra e sotto la superficie del mare, attraverso una conoscenza integrata dello stato dei fondali marini. L’evento ha coinvolto numerosi esponenti dei vertici delle Forze armate e dell’industria di settore per approfondire queste tematiche e contribuire alla loro conoscenza presso l’opinione pubblica in due diverse tavole rotonde di discussione: “Il quinto dominio fisico: valenza strategica, profilo giuridico e formazione” e “La sfida tecnologica: capacità industriali e opportunità”. Le conclusioni della giornata sono state affidate al ministro della Difesa, Guido Crosetto.

Un nuovo dominio operativo e frontiera per l’Italia

“Sulla Terra si potrà vivere meglio se ci si occuperà di più del mare” e “il subacqueo va visto come un nuovo dominio operativo”, ha esordito nel corso del suo intervento il presidente della Fondazione Leonardo, Luciano Violante. I fondali marini, infatti, come ha ricordato il presidente, “sono attraversati da sei tipi di infrastrutture essenziali: energetiche, per il trasporto di energia elettrica, comunicazione, minerarie, legate alla biologia, e per stoccaggio dell’anidride carbonica”. In questo quadro, se consideriamo che “attraverso i cavi sottomarini passa il 97% del traffico Internet e dieci miliardi di dollari di transizione finanziaria all’anno e che nel periodo compreso tra il 2019 e il 2027 è prevista una crescita del mercato dei cavi sottomarini da 10,3 a 34,6 miliardi di dollari, possiamo comprendere perché le sfide strategiche e tecnologiche del mondo subacqueo necessitino di una visione olistica, di un approccio multidisciplinare e di un approccio integrato”, ha spiegato invece il presidente di Leonardo, Luciano Carta. Per il nostro Paese sarà infatti sempre più cruciale sorvegliare e proteggere le strategiche linee di comunicazione marittima che convogliano i flussi commerciali e assicurano buona parte del sostentamento energetico nazionale. Come ha ricordato anche il ministro per la Protezione civile e le politiche del mare, Nello Musumeci, “il sistema mare oggi acquista un’importanza straordinaria, specialmente per una nazione come l’Italia che ha circa ottomila km di coste”. Un concetto ribadito anche dal capo di Stato maggiore della Marina, Enrico Credendino: “È necessario disporre di un ampio ventaglio di capacità dispiegabili anche ad altissime profondità, in grado di garantire sia il controllo della dimensione subacquea, comprese le infrastrutture che vi risiedono, sia adeguate capacità di intervento per fronteggiare eventuali minacce”. Affinché ciò avvenga, secondo l’ammiraglio, “è necessario disporre di tecnologie allo stato dell’arte”.

Necessità di nuovi enti e regolamentazioni

Come ha spiegato il presidente Violante, il paper curato dalla Fondazione Leonardo vede la proposta di istituire “un’Autorità nazionale per il controllo del traffico subacqueo”; definita “auspicata” anche dal presidente Carta. Nonostante infatti la prossima apertura del 9 giugno a La Spezia del polo nazionale della dimensione subacquea, che come spiegato da Credendino “funzionerà da incubatore per spin off e start up e le energie che ne scaturiranno alimenteranno un formidabile moltiplicatore di ritorno degli investimenti migliorando la competitività anche internazionale delle aziende italiane”, “è necessario predisporre le condizioni anche giuridiche per un ordinato e coerente accesso agli spazi subacquei effettuando un controllo e coordinamento delle operazioni che vi si svolgono”. La proposta contenuta nel paper per la costituzione di una autorità nazionale per il traffico subacqueo rappresenta dunque “un passo importante nella direzione che la consapevolezza del fatto che la situational awarness subacquea è la precondizione per poter condurre l’intero spettro delle operazioni difensive e offensive”, ha osservato l’amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo. Vi è quindi “l’esigenza di determinare un coordinamento tra le norme esistenti e il varo di nuove norme che devono disciplinare il mondo del subacqueo”, ha sottolineato infine il ministro Musumeci.


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La vera definizione di vittoria per l’Ucraina


Per secoli gli ucraini hanno combattuto per la loro indipendenza. La guerra attuale è una continuazione di questa lotta storica. Oggi gli eroi ucraini muoiono per la causa dell’indipendenza; è proprio questa causa che la Russia sta cercando di negare e distruggere. Come possiamo definire l’indipendenza? Certo, significa un paese veramente sovrano e controlla tutto […]

L'articolo La vera definizione di vittoria per l’Ucraina proviene da L'Indro.



TuorismA: un segnale di rinascita culturale


Ora che è calato il sipario su questa nona edizione di TourismA, il salone dell’archeologia e del turismo culturale, svoltosi al Palazzo dei Congressi di Firenze dal 24 al 26 marzo, tentiamo di tracciare un primo bilancio con Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva, la rivista promotrice di questa iniziativa che negli anni si è […]

L'articolo TuorismA: un segnale di rinascita culturale proviene da L'Indro.



Sono quasi 2.000 i lavoratori irregolari scoperti dalla guardia di finanza nella cantieristica navale di Venezia retribuiti con paghe misere e privati dei più


CULTURA. La parola poetica di Ghassan Zaqtan nel suo In cammino invocano i fratelli


Zaqtan è considerato una delle massime voci della poesia araba e palestinese di oggi. I suoi versi sigillano l’incontro tra la memoria privata, familiare e l’esperienza collettiva di una vasta comunità espulsa dalla propria terra e perduta sui sentieri d’

di Simone Sibilio*

Pagine Esteri, 28 marzo 2023 –

Quattro sorelle da Zakariya

Quattro sorelle scalano il colle

sono sole

vestite di lutto.

Quattro sorelle sospirano davanti al bosco.

Quattro sorelle

madide lettere leggono al buio.

Un treno da ‘Artuf

passava oltre la foto.

Un cavallo portava una ragazza da Zakariya

oltre la curva nitriva in pianura.

Sulla gola le nubi andavano lente.

Quattro sorelle da Zakariya,

sole

sul colle

sono vestite solo di lutto.

Questi versi tratti dalla raccolta Biografia in carbone (2003) del celebre poeta palestinese Ghassan Zaqtan sigillano l’incontro tra la memoria privata, familiare e l’esperienza collettiva di una vasta comunità espulsa dalla propria terra e perduta sui sentieri d’esilio.

Potremmo dire che è una poesia rappresentativa di una tendenza dominante nella letteratura palestinese degli ultimi anni, il ritorno sui luoghi perduti nel ’48 o nelle successive tragiche vicende della storia palestinese, attraverso la descrizione di un’esperienza reale o anche solo attraverso l’immaginazione, motore del dire poetico. Il villaggio di Zakariya menzionato dal poeta e da cui proveniva la madre, venne raso al suolo in seguito alla Nakba e sostituito dall’insediamento israeliano col nome ebraico di Zecharia, in una operazione di “sovrascrittura toponomastica” tipica delle politiche identitarie israeliane. In seguito ad Oslo, Ghassan Zaqtan ritorna su quel sito accompagnando la madre e partecipando a questa esperienza di riconnessione con i luoghi e i ricordi familiari. Quel momento intriso di senso di perdita e di tensione è immortalato in questi toccanti versi.

Zaqtan è uno di quegli intellettuali palestinesi nati negli anni ’50 che dopo un lungo peregrinare tra le numerose méte della diaspora, in seguito agli Accordi di Oslo nel 1993 ha avuto l’opportunità di rientrare in Palestina, ma come spiega in un’intervista:

«Si trattava di un ritorno limitato a una parte ristretta del luogo, regolata dalle condizioni e dalle politiche dell’occupazione, un ritorno incompleto in un luogo incompleto”.

Nato nel 1954 a Beit Jala, nei Territori Occupati, e figlio di Khalīl Zaqtan, noto poeta ed educatore a cui si deve l’apertura della prima scuola nel campo profughi di Deisha, alla periferia di Betlemme, ha vissuto in esilio la maggior parte della sua giovinezza. In Giordania ha insegnato educazione fisica nei programmi educativi dell’UNRWA, poi ha vissuto prima in Siria, poi in Libano e in Tunisia come altri intellettuali palestinesi esuli al seguito dell’OLP.

In ambito giornalistico ed editoriale, è stato caporedattore della prima rivista letteraria palestinese pubblicata nei Territori Occupati, di appartenenza dell’OLP, “al-Bayadir”, poi delle riviste “al-Shu‘ara’” e “Masharif”, e infine della pagina letteraria del quotidiano di Ramallah “al-Ayyam”. Nel 1996 insieme ad altri intellettuali ha fondato la Casa della Poesia di Ramallah, dirigendo dal 2004 al 2011 il Dipartimento Cultura e pubblicazioni del Ministero della Cultura. Oggi vive a Kobar, un paesino nei pressi di Ramallah, punto di osservazione privilegiato sui colli circostanti e da cui cogliere i segni del luogo e del tempo che abbondano nella sua poesia.

È autore di quattro testi in prosa (in italiano è disponibile Ritratto del passato, a cura di L. Ladykoff, Poiesis, Bari, 2008 – 2° ristampa, 2011) e di oltre una decina di raccolte poetiche, di cui l’ultima in uscita: Vado a sentire le meraviglie di mio padre. Ha inoltre conseguito numerosi riconoscimenti arabi e internazionali, tra cui il Griffin Poetry nel 2013 per la raccolta tradotta in inglese da Fady Jouda Like a Straw Bird it follows me and Other Poems e i premi arabi Mahmoud Darwish (2016) e Anwar Salman (2019).

Le sue prime raccolte poetiche apparse tra gli anni ’80 e la fine degli anni ‘90, Primo mattino (1980), Vecchie ragioni, (1982), Stendardi, (1984), L’eroismo delle cose, (1988), sono in parte attraversate dalle domande e istanze della poesia in voga in quegli anni, erede della stagione della letteratura d’impegno sociale e politico, volta alla sublimazione del rapporto del rapporto con la terra e il luogo. Tuttavia serbano già i semi dell’indirizzo estetico che la scrittura di Zaqtan intraprenderà, strutturata attorno a quella “poetica delle piccole cose” – in contrapposizione alle grandi narrazioni, all’eroismo della lotta, al martirio o alle inquietudini della realtà politica a lungo dominanti nella poesia palestinese del ‘900 – condensata in un verso libero tenue e ponderato, pervaso da atmosfere meditative e toni tutt’altro che declamatori.

Ma è in una fase successiva segnata dall’uscita di La tentazione del monte, (1998) e, soprattutto, di Biografia in carbone (2003) che si può tracciare l’inizio di un percorso che renderà la parola poetica di Zaqtan facilmente riconoscibile nel panorama letterario arabo. Da queste due raccolte emergono con più evidenza quelli che saranno inoltre gli elementi portanti attorno a cui si orienterà la sua ricerca poetica, sempre più aperta alle suggestioni della narratività:

– l’illuminazione del particolare, l’attenzione alle piccole cose, siano esse presenze materiali o simboliche del quotidiano che colmano i vuoti o registrano i moti dell’anima; l’attenzione per ciò che apparrebbe marginale o perduto, ma che la poesia recupera o ravviva, rendendolo elemento rivelatore del rapporto con il luogo e con il sé;
– la scrittura del paesaggio, laddove l’avvicendarsi di modalità descrittive naturalistiche o realistiche lascia spazio all’irruzione del surreale e dell’onirico, così trasportando repentinamente il lettore da ambienti naturali, vividi, chiari, a scenari cupi, surreali o persino da incubo;
– a queste due traiettorie è correlata l’articolazione della memoria che assume una pluralità di forme e declinazioni: memoria storica e dei luoghi perduti, attraverso cui poter accedere ad un passato cancellato, al contempo dolente e carico di vita, e dunque alle istanze dell’identità e del discorso politico; memoria intertestuale con cui intraprende il dialogo con i grandi poeti del passato, memoria degli assenti, le cui voci vibrano con vigore in numerosi suoi testi, componendo la partitura della dualità vita/morte.

L’esilio, il movimento nello spazio e nel tempo, il paesaggio, la memoria sono, dunque, componenti centrali nell’opera di Zaqtan, che si ritrovano nelle tre raccolte antologizzate nel volume in italiano In cammino invocano i fratelli. Versi scelti, a cura di S. Sibilio, uscito per le Edizioni Q di Roma nel 2019. Le raccolte, scelte di concerto con l’autore, sono rappresentative di un progetto organico, ovvero presentano tratti, temi, atmosfere comuni e, piùin generale, sono figlie di una comune ricerca. Si tratta di Come uccello di paglia, mi segue del 2008; Nessun neo mi rivela a mia madre del 2014; In cammino invocano i fratelli del 2015, le ultima due inedite in italiano.

In particolare il topos del ricordo e quello dell’assenza vengono articolati all’interno di una poetica dell’ordinario che disvela il suo rapporto con spazi e tempi plurimi, saldato dall’incessante ricerca intertestuale. La Palestina in questo opere dimora sullo sfondo di un poema abitato da soggettività spesso escluse da quelle narrazioni e dettagli di luoghi e scenari descritti. E dunque il paesaggio territoriale e poetico a volte sembrano fondersi in un unico spazio in cui si muovono persone comuni ma anche spettri, visioni, richiami alla tradizione araba o biblica. Particolarmente intenso è quello sguardo sul movimento migratorio di popoli illuminato o solo evocato nella raccolta che dona il titolo al volume In cammino invocano i fratelli. In cammino sono i diseredati, i dispersi, gli esuli che attraversano i territori del sogno e della memoria in cerca di riconnettersi con la propria storia e con il luogo vissuto. Ed è un cammino comune a tanti popoli, dai Palestinesi a partire dalla Nakba ad altri, accolti in questo testo aperto e votato a riferire di esperienze altre di dispersione nella storia. E lungo questo cammino uno dei fratelli invocati è il grande Mahmud Darwish con cui Zaqtan intesse un profondo dialogo, in più di un testo, un dialogo che lega passato a presente in un costante gioco di rimandi e allusioni alla vita di un popolo che resiste dopo ormai 75 anni con ogni mezzo possibile alla minaccia di cancellazione:

Qui c’è un albero rigoglioso che non vediamo, eppure possiamo ancora ricordare

mandorli, fichi, due peschi, molti susini e un albicocco sotto la finestra di tua madre.

Qui è la luce, dove un poeta vide una scala nel vento

e al risvegliò ci scagliò la visione

mentre il luogo a lui destinato era ormai un’orchestra di colombe

“ volano le colombe,

si posano le colombe”.

Zaqtan è in Italia per un giro di presentazioni di In cammino invocano i fratelli. Versi scelti. Sarà a Venezia giovedì 30 per una conferenza (ore 08,45) all’Università Ca’ Foscari nella sede di Ca’ Dolfin in compagnia del docente di letteratura araba e traduttore Simone Sibilio, del docente di arabo Bishara Obeid e del poeta Gianni Montieri; e venerdì 31 marzo, ospite di Incroci di Civiltà (ore 09,00 all’Auditorium Santa Margherita); a Roma il 2 Aprile presso lo spazio artistico RomartFactory con Luisa Morgantini, Wasim Dahmash e Simone Sibilio.

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6211932* Simone Sibilio (Phd) insegna lingua e letteratura araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Le sue principali aree di ricerca sono la poesia araba moderna e contemporanea, la questione palestinese, la traduzione letteraria. Tra le sue maggiori pubblicazioni, Nakba. La memoria letteraria della catastrofe palestinese (Edizioni Q, II, 2015); In guerra non mi cercate. Poesia araba delle rivoluzioni e oltre (in collaborazione con O. Capezio, E. Chiti e F.M. Corrao, Le Monnier, 2018), Poesia araba moderna e contemporanea (Ipocan, Roma, 2022). Ha tradotto numerosi poeti arabi contemporanei tra cui Muhammad al-Fayturi, Talal Haidar, Moncef Ouhaibi, Ghassan Zaqtan, Najwan Darwish. È autore della silloge Una bussola per bandiera (Di Felice Edizioni, 2021).

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