GUATEMALA. Sconfitta la tattica golpista, Arévalo si prepara a combattere la corruzione
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Tiziano Ferri
Paine Esteri, 16 gennaio 2024. Alla fine ha giurato. Bernardo Arévalo, presidente eletto del Guatemala, evita, per il momento, il prolungato tentativo di golpe architettato contro di lui. E
contro la democrazia guatemalteca. Nel paese si sta consumando, come negli ultimi anni in altri stati latinoamericani, un episodio di lawfare, cioè l’utilizzo del potere giudiziario per sovvertire il risultato del voto. A volte succede quando il
governo è in carica, come in Brasile con Dilma Rousseff, altre volte a ridosso del giuramento presidenziale, come capitato in Honduras con Xiomara Castro.
Nel caso di Arévalo, i problemi iniziano da prima della sua elezione, quando il suo movimento Semilla (sinistra) è privato della personalità giuridica con l’accusa di firme false per la propria registrazione. L’accusa della procura arriva
all’indomani del primo turno delle presidenziali (25 giugno 2023), quando il candidato anti-corruzione, dato dai sondaggi all’ottavo posto, arriva inaspettatamente secondo. Seguono denunce, riconteggio dei voti, occupazione di uffici elettorali da parte della polizia, un processo che alla fine conferma il risultato del primo turno, e quindi il ballottaggio del 20 agosto per
Arévalo. Al secondo turno il candidato del movimento Semilla vince con il 61%, con la sconfitta Sandra Torres (già primera dama dal 2008 al 2011) che non riconosce il risultato. Il conflitto tra procura, tribunale supremo elettorale e corte costituzionale, per non riconoscere la legittimità del presidente e del suo
partito, continua per tutti i mesi che separano l’elezione di Arévalo dal giorno del giuramento, fissato per il 14 gennaio. Da un lato, dei parlamentari corrotti contrari a lasciare il potere, sostenuti da parte della magistratura, dall’altro gli
organi di controllo elettorale, la pressione internazionale e le manifestazioni di piazza (animate dai popoli nativi) per il rispetto della volontà popolare.
La tattica golpista, una volta riconosciuta dal tribunale supremo l’elezione di Arévalo, punta a far decadere i congressisti eletti nel movimento Semilla, così impossibilitati a ricevere il giuramento del nuovo presidente.
La convulsa giornata di ieri parte da qui. Il presidente eletto ha già denunciato il tentativo di golpe dal settembre scorso, perciò sa che il giorno
dell’insediamento non scorrerà via liscio. La cerimonia è prevista per il mattino, con presidenti di altri paesi latinoamericani invitati, consapevoli di ciò che sta succedendo. Mentre la piazza dinanzi al congresso si riempie di manifestanti accorsi per festeggiare, gli oppositori all’interno mettono le catene alle porte
per sequestrare gli eletti del movimento Semilla.
Arévalo fa sapere che il giuramento è rimandato alle 16, e chiede ai cittadini di mantenere la calma, cosciente che eventuali disordini di piazza possono favorire chi lavora per il caos istituzionale. Il tempo passa, la situazione non si sblocca, e la protesta cresce, davanti alla polizia in assetto antisommossa. Boric, Petro, Castro, e gli
altri mandatari invitati alla cerimonia chiedono che la democrazia e la volontà popolare espressa col voto siano rispettate, emettendo un comunicato firmato anche dal segretario dell’Organizzazione degli stati americani (Oea) e dall’alto rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell. Col sole già tramontato da
ore, in diretta dal teatro del centro culturale Miguel Ángel Asturias, appare sui maxischermi il giuramento di Bernardo Arévalo (e della vicepresidente Karin Herrera) nelle mani del nuovo presidente del congresso, l’esponente di Semilla Samuel Pérez. Migliaia di persone, in piazza a Città del Guatemala, possono
festeggiare con balli e fuochi d’artificio, al termine di una giornata impegnativa.
Il governo che Arévalo si appresta a presiedere includerà diverse tendenze politiche, poiché gli eletti di Semilla non hanno la maggioranza al congresso, necessaria per l’approvazione delle leggi. La compattezza della coalizione
governativa è solo uno dei problemi del nuovo corso: funzionari, politici e magistrati ostili si batteranno per mantenere privilegi e corruzione, come si è visto negli ultimi mesi. Ormai giunte le 5 del mattino, Arévalo è andato in piazza per ringraziare i capi ancestrali, protagonisti di una resistenza di 106 giorni in difesa della democrazia. Dovrà ricambiare con una politica di vero cambiamento, se vuole mantenerne l’appoggio, e provare a portare a termine
un mandato pieno di insidie.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo GUATEMALA. Sconfitta la tattica golpista, Arévalo si prepara a combattere la corruzione proviene da Pagine Esteri.
Taiwan Files – Lai presidente ma senza maggioranza. Bilancio e scenari
La vigilia del voto, il weekend elettorale, le 48 ore post urne. Con bilanci, scenari, interviste, voci da Taipei e la prospettiva cinese secondo Da Wei. Tutti i contenuti a cura di Lorenzo Lamperti da Taipei (e dintorni)
L'articolo Taiwan Files – Lai presidente ma senza maggioranza. Bilancio e scenari proviene da China Files.
La ricetta liberale di Einaudi contro le diseguaglianze
Il 17 marzo 1874 nasceva Luigi Einaudi e quindi in questo 2024 si preparano i festeggiamenti (sobri, nello stile del personaggio) del 150° anniversario. II miglior modo per ricordare l’economista piemontese, che fu anche Governatore della Banca d’Italia, ministro del bilancio e Presidente della Repubblica dal 1948 al 1955, è ripercorrerne il lascito ideale che emerge dagli scritti di economia, politica e filosofia. Analizzare le sue idee e rivolgerle al presente fa emergere l’attualità del suo pensiero. Partiamo dalla questione più dibattuta di questo periodo, la diseguaglianza. La diseguaglianza dovuta al merito è accettabile? Nella nostra società si produce per motivi legati al talento e all’impegno o per fattori esterni come la famiglia o l’intervento ottuso dello Stato e delle corporazioni? È comunque desiderabile limitarla? Per ragioni etiche o di efficienza del sistema economico?
Einaudi ha sempre inquadrato la sua visione nell’ottica della libertà. In questo senso era crociano, in quanto la libertà era vista come l’obbiettivo cui tendeva l’umanità e il liberismo era l’insieme delle teorie economiche per raggiungerla in modo efficiente. Tale sistema di pensiero, però, non implicava l’adesione ad un laissez-faire senza vincoli così come lo descriveva Croce (sul fatto che sia mai esistito questo famoso laissez-faire ci sarebbe da discutere. ma transeat). Lo statista di Dogliani, infatti, sulle orme di Adam Smith riteneva che lo Stato liberale avesse alcune funzioni essenziali come il mantenimento della pace interna ed esterna, la giustizia, le opere pubbliche, l’istruzione. In generale «lo Stato interviene per fissare le norme di cornice entro le quali le azioni degli uomini possono liberamente muoversi; non ordina come gli uomini debbono comportarsi nella loro
condotta quotidiana». È altrettanto vero, però, che se il criterio di giustizia operante nel mercato è quello del merito, per il quale ciascuno viene retribuito in proporzione all’apporto che dà alla produzione, è necessario che la competizione tra individui sia equa. Il modo per assicurare l’equità è la riduzione della disuguaglianza dei punti di partenza. Einaudi non era un’utopista, sapeva che una completa uguaglianza non sarà mai possibile: talento, capacità fisiche, ambiente di crescita incidono comunque sulle chance delle persone.
A meno che si voglia procedere ad una trasformazione distopica della società che si può trovare in alcuni romanzi in cui si costringono i belli a diventare brutti come in Harrison Bergeron di Kurt Vonnegut, bisogna intervenire in modo ragionevole. In Einaudi questo si traduce nella possibilità di accesso per tutti all’istruzione: «L’ente pubblico dovrà, fra l’altro, gradualmente provvedere a fornire ai ragazzi istruzione elementare, refezione scolastica, vestiti e calzature convenienti, libri e quaderni e ai giovani volenterosi, i quali diano prova di una bastevole attitudine allo studio, la possibilità di frequentare scuole medie ed università a loro scelta senza spesa». L’educazione potrà essere impartita da scuole pubbliche e private in competizione tra loro. L’economista si spinge ad ipotizzare un reddito minimo (il che può voler dire erogazioni in denaro o prestazioni di welfare, «l’estensione del campo dei servizi pubblici gratuiti»): «Il minimo di esistenza non è un punto di arrivo, ma di partenza: un’assicurazione data a tutti perché possano sviluppare le loro attitudini». È chiara la differenza con il reddito di cittadinanza all’amatriciana: si parla di un’associazione per sviluppare le attitudini, non per evitare il lavoro. Persino la pensione di vecchiaia è vista come atta a incoraggiare il risparmio.
Inoltre, Einaudi si rende conto che l’uguaglianza «nel punti di partenza» è ostacolata dal corporativismo che limita l’accesso alle professioni e nelle attività economiche (taxisti, balneari, notai: suona familiare?) e dalle situazioni di monopolio limitative della concorrenza (che per Einaudi è il vero motore dell’innovazione e della ricchezza) nonché l’emergere di nuove imprese che ovviamente redistribuiscono il reddito in modo efficiente. Interessante è un’ulteriore considerazione molto attuale vista l’emersione dei cosiddetti “super-ricchi” (i Musk, Zuckerberg e Bezos della situazione, oltre agli oligarchi dei regimi autoritari). Einaudi, difatti, riteneva che si potessero avvicinare i punti di partenza «secondo due linee: una è quella dell’abbassamento delle punte; l’altra quella dell’innalzamento dall’alto». Di qui la preferenza, pur all’interno di un regime di tassazione bassa e non opprimente, per le imposte di successione. Questa veloce panoramica mi sembra significativa di come il grande economista liberale avesse un approccio realista e riformista anche sulla diseguaglianza, sempre avendo in mente che il bene supremo da conservare era la libertà.
Affari & Finanza, Repubblica
L'articolo La ricetta liberale di Einaudi contro le diseguaglianze proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Consegnate le borse di studio della Scuola di Liberalismo – Gazzetta del Sud
L'articolo Consegnate le borse di studio della Scuola di Liberalismo – Gazzetta del Sud proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
feddit.it: tutte le criticità e le potenzialità dell’alternativa italiana a Reddit tra bloggingverso e fediverso
Che succede nel Fediverso? reshared this.
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.Telegram
L’altra Asia – Il cessate il fuoco (che non c’è) in Myanmar
Il cessate il fuoco nel nord-est del Myanmar già scricchiola, e nel resto del paese si continua a combattere. Il Laos intanto ha già mandato il suo inviato speciale ASEAN a Nay Pyi Taw.
L'articolo L’altra Asia – Il cessate il fuoco (che non c’è) in Myanmar proviene da China Files.
In Cina e Asia – Nauru interrompe le relazioni diplomatiche con Taiwan
Nauru interrompe le relazioni diplomatiche con Taiwan
Gaza, Cina ed Egitto preoccupate per la sicurezza di navigazione sul Mar Rosso
Prima di Davos l'Ucraina invita la Cina ai colloqui di pace
Cina, per la prima volta il Documento centrale nr.1 mette al primo posto la "costruzione di una bella Cina"
L'articolo In Cina e Asia – Nauru interrompe le relazioni diplomatiche con Taiwan proviene da China Files.
L’avvelenamento di Gaza – da sopra e dal sottosuolo
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Joshua Frank* –
responsiblestatecraft.org/gaza…
(Traduzione a cura di Federica Riccardi) –
Pagine Esteri, 15 gennaio 2024. Su una pittoresca spiaggia nel centro di Gaza, un miglio a nord del campo profughi di Al-Shati, ormai ridotto in macerie, lunghi tubi neri serpeggiano tra colline di sabbia bianca prima di scomparire nel sottosuolo. Un’immagine rilasciata dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF) mostra decine di soldati che posano condotte e quelle che sembrano essere stazioni di pompaggio mobili che devono prelevare l’acqua dal Mar Mediterraneo e convogliarla in tunnel sotterranei. Il piano, secondo vari rapporti, è quello di allagare la vasta rete di pozzi e tunnel sotterranei che Hamas avrebbe costruito e utilizzato per condurre le sue operazioni.
“Non parlerò dei dettagli, ma includono esplosivi e altri mezzi per distruggere i tunnel e impedire agli operatividi Hamas di usarli per danneggiare i nostri soldati”, ha detto il capo di Stato Maggiore dell’IDF, il tenente generale Herzi Halevi. “Qualsiasi mezzo che ci dia un vantaggio sul nemico che [usa i tunnel], privandolo di questa risorsa, è un mezzo che stiamo valutando. È una buona idea…”
Sebbene Israele stia già sperimentando la sua strategia di inondazione, non è la prima volta che i tunnel di Hamas sono sabotati con l’acqua del mare. Nel 2013, il vicino Egitto ha iniziato a inondare i tunnel controllati da Hamas, che sarebbero stati usati per contrabbandare merci tra la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza. Per più di due anni, l’acqua del Mediterraneo è stata riversata nel sistema di tunnel, causando danni ambientali a Gaza. Le falde acquifere sono state rapidamente inquinate dalla salamoia salina e, di conseguenza, la terra è diventata satura e instabile, causando il crollo del suolo e uccidendo numerose persone. I campi agricoli, un tempo fertili, sono stati trasformati in pozzi di fango salato e l’acqua potabile, che già scarseggiava a Gaza, è stata ulteriormente degradata.
L’attuale strategia di Israele per inondare i tunnel di Hamas causerà senza dubbio danni simili e irreparabili. “È importante tenere presente”, avverte Juliane Schillinger, una ricercatrice dell’Università di Twente nei Paesi Bassi, “che non stiamo parlando solo di acqua ad alto contenuto salino: l’acqua di mare lungo la costa mediterranea è anche inquinata da acque reflue non trattate, che vengono continuamente scaricate nel Mediterraneo dal disfunzionale sistema fognario di Gaza”.
Questo, ovviamente, sembra essere parte di un obiettivo israeliano più ampio: non solo smantellare le capacità militari di Hamas, ma anche degradare e distruggere ulteriormente le già minacciate falde acquifere di Gaza (inquinate dalle acque reflue che fuoriescono da tubature fatiscenti). I funzionari israeliani hanno ammesso apertamente che il loro obiettivo è di assicurare che Gaza sia un luogo invivibile una volta terminata la loro spietata campagna militare.
“Stiamo combattendo contro animali umani e stiamo agendo di conseguenza”, ha dichiarato il ministro della Difesa Yoav Gallant poco dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. “Elimineremo tutto – se ne pentiranno”.
E Israele sta mantenendo la sua promessa.
Come se non bastassero i bombardamenti indiscriminati, che hanno già danneggiato o distrutto fino al 70% delle case di Gaza, l’inondazione di questi tunnel con acqua inquinata farà sì che anche alcuni degli edifici residenziali rimasti soffriranno di problemi strutturali. E se il terreno è debole e malfermo, i palestinesi avranno difficoltà a ricostruire.
L’allagamento dei tunnel con acque sotterranee inquinate “causerà un accumulo di sale e il crollo del suolo, portando alla demolizione di migliaia di case palestinesi nella striscia densamente popolata”, afferma Abdel-Rahman al-Tamimi, direttore del Palestinian Hydrologists Group, la più grande ONG che monitora l’inquinamento nei territori palestinesi. La sua conclusione non potrebbe essere più sconvolgente: “La Striscia di Gaza diventerà un’area spopolata e ci vorranno circa 100 anni per liberarsi degli effetti ambientali di questa guerra”.
In altre parole, come sottolinea al-Tamimi, Israele sta ora “uccidendo l’ambiente”. E per molti versi, tutto è iniziato con la distruzione dei rigogliosi uliveti della Palestina.
Non ci sono più olive
In un anno normale, Gaza produceva più di 5.000 tonnellate di olio d’oliva da oltre 40.000 alberi. Il raccolto autunnale di ottobre e novembre è stato a lungo una stagione di festa per migliaia di palestinesi. Famiglie e amici cantavano, condividevano i pasti e si riunivano negli uliveti per festeggiare sotto gli antichi alberi, che simboleggiavano “pace, speranza e sostentamento”. È stata una tradizione importante, un legame profondo con la terra e una risorsa economica vitale. L’anno scorso, le coltivazioni di olive hanno rappresentato più del 10% dell’economia gazawi, per un totale di 30 milioni di dollari.
Naturalmente, dal 7 ottobre, la raccolta è cessata. Le tattiche di terra bruciata di Israele hanno invece causato la distruzione di innumerevoli uliveti. Le immagini satellitari diffuse all’inizio di dicembre attestano che il 22% della terra agricola di Gaza, compresi innumerevoli uliveti, è stato completamente distrutto.
“Siamo affranti per le nostre coltivazioni, che non possiamo raggiungere”, spiega Ahmed Qudeih, un agricoltore di Khuza, una città nel sud della Striscia di Gaza. “Non possiamo irrigare, osservare la nostra terra o prendercene cura. Dopo ogni guerra devastante, paghiamo migliaia di shekel per garantire la qualità dei nostri raccolti e per rendere il nostro terreno nuovamente adatto all’agricoltura”.
L’implacabile attacco militare di Israele a Gaza ha comportato un tributo insostenibile di vite umane (più di 22.000 morti, tra cui un numero significativo di donne e bambini, e altre migliaia di corpi che si ritiene siano sepolti sotto le macerie e che quindi non possono essere contati). E considerate quest’ultima serie di orrori solo una continuazione particolarmente cupa di una campagna di 75 anni di annientamento del patrimonio culturale palestinese. Dal 1967, Israele ha sradicato più di 800.000 ulivi palestinesi, a volte per far posto a nuovi insediamenti ebraici illegali in Cisgiordania; in altri casi, per presunti problemi di sicurezza o per pura e viscerale rabbia sionista.
Gli uliveti selvatici sono stati sfruttati dagli abitanti della regione per migliaia di anni, a partire dal periodo Calcolitico nel Levante (4.300-3.300 a.C.), e il loro abbattimento ha avuto conseguenze ambientali disastrose. “Secondo un rapporto della Yale Review of International Studies del 2023, la rimozione degli alberi è direttamente collegata a cambiamenti climatici irreversibili, all’erosione del suolo e alla riduzione dei raccolti. “La corteccia legnosa e perenne funge da serbatoio di carbonio… Un ulivo assorbe 11 kg di CO2 per ogni litro di olio d’oliva prodotto”.
Oltre a rappresentare un valore economico e culturale, gli uliveti sono vitali per l’ecosistema della Palestina. Numerose specie di uccelli, tra cui la ghiandaia eurasiatica, il fringuello verde, la cornacchia con cappuccio, la nettarinia della Palestina e l’occhiocotto, si affidano alla biodiversità fornita dagli alberi selvatici della Palestina, di cui sei specie si trovano spesso negli oliveti autoctoni: il pino d’Aleppo, il mandorlo, l’olivello spinoso, il biancospino e il fico.
Come hanno scritto Simon Awad e Omar Attum in un numero del 2017 del Jordan Journal of Natural History:
“[Gli uliveti] in Palestina potrebbero essere considerati paesaggi culturali o essere designati come sistemi agricoli di importanza globale a causa della combinazione del loro valore culturale, economico e di biodiversità”. Tale valore è stato riconosciuto in altre parti del Mediterraneo e alcuni propongono di proteggere queste aree perché sono habitat in cui vivono alcune specie rare e minacciate e per la loro importanza nelmantenimento della biodiversità regionale”.
Un antico ulivo autoctono dovrebbe essere considerato una testimonianza dell’esistenza stessa dei palestinesi e della loro lotta per la libertà. Con il suo folto tronco a spirale, l’ulivo è un ammonimento per Israele, non per i frutti che porta, ma per le storie che le sue radici raccontano di un paesaggio sfregiato e di un popolo martoriato, assediato in modo crudele e implacabile da più di 75 anni.
Fosforo bianco e bombe, bombe e ancora bombe
Mentre contamina le falde acquifere e sradica gli uliveti, Israele sta avvelenando Gaza anche dall’alto. Numerosi video analizzati da Amnesty International e confermati dal Washington Post mostrano razzi e scie di fosforo bianco che piovono su aree urbane densamente popolate. Utilizzato per la prima volta sui campi di battaglia della Prima guerra mondiale per fornire copertura ai movimenti delle truppe, il fosforo bianco è noto per essere tossico e pericoloso per la salute umana. Il suo lancio su zone urbane è oggi considerato illegaledal diritto internazionale, e Gaza è uno dei luoghi più densamente popolati del pianeta. “Ogni volta che il fosforo bianco viene utilizzato in aree civili affollate, comporta un rischio elevato di ustioni atroci e sofferenze che durano tutta la vita”, afferma Lama Fakih, direttrice per il Medio Oriente e il Nord Africa di Human Rights Watch (HRW).
Sebbene il fosforo bianco sia altamente tossico per l’uomo, concentrazioni significative hanno effetti deleterianche su piante e animali. Può alterare la composizione del suolo, rendendolo troppo acido per le coltivazioni. E questa è solo una parte della montagna di munizioni che Israele ha sparato contro Gaza negli ultimi tre mesi. La guerra (se si può chiamare “guerra” un assalto così asimmetrico) è stata la più letale e distruttivadella storia recente, secondo alcune stime almeno quanto i bombardamenti alleati sulla Germania durante la Seconda Guerra Mondiale, che hanno annientato 60 città tedesche e ucciso circa mezzo milione di persone.
Come le forze alleate della Seconda Guerra Mondiale, Israele sta uccidendo indiscriminatamente. Delle 29.000 munizioni terra-aria sparate, il 40% sono state bombe non guidate lanciate su aree residenziali affollate. Le Nazioni Unite stimano che, a fine dicembre, il 70% delle scuole di Gaza, molte delle quali servivano da rifugio per i palestinesi in fuga dall’assalto israeliano, erano state gravemente danneggiate. Anche centinaia di moschee e chiese sono state colpite e il 70% dei 36 ospedali di Gaza è stato colpito e non è più funzionante.
Una guerra che supera ogni previsione
“Gaza è una delle campagne di punizione di massa dei civili più intense della storia”, sostiene Robert Pape, storico dell’Università di Chicago. “Ora si colloca a pieno titolo nel quartile superiore delle campagne di bombardamento più devastanti di sempre”.
È ancora difficile comprendere il tributo che viene inflitto, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, non solo alle infrastrutture e alla vita civile di Gaza, ma anche al suo ambiente. Ogni edificio che esplode lascia una nuvola persistente di polvere tossica e vapori che riscaldano il clima. “Nelle aree colpite da conflitti, la detonazione degli esplosivi può rilasciare quantità significative di gas serra, tra cui anidride carbonica, monossido di carbonio, ossidi di azoto e particolato”, afferma il dottor Erum Zahir, professore di chimica all’Università di Karachi.
La polvere delle torri del World Trade Center crollate l’11 settembre ha devastato i primi soccorritori. Uno studio del 2020 ha rilevato che i soccorritori avevano “il 41% di probabilità in più di sviluppare la leucemia rispetto agli altri individui”. Circa 10.000 newyorkesi hanno sofferto di disturbi di salute a breve termine in seguito all’attacco e c’è voluto un anno perché la qualità dell’aria a Lower Manhattan tornasse ai livelli precedenti all’11 settembre.
Sebbene sia impossibile analizzare tutti gli impatti dei bombardamenti incessanti di Israele, è lecito supporre che il continuo livellamento di Gaza avrà effetti ben peggiori di quelli che l’11 settembre ha avuto sulla città di New York. Nasreen Tamimi, responsabile dell’Autorità palestinese per la qualità dell’ambiente, ritiene che una valutazione ambientale di Gaza in questo momento “supererebbe ogni previsione”.
Il dilemma centrale per i palestinesi di Gaza, anche prima del 7 ottobre, era l’accesso all’acqua potabile e il problema è stato terribilmente aggravato dai bombardamenti ininterrotti di Israele. Un rapporto del 2019 dell’UNICEF aveva già rilevato che “il 96% dell’acqua proveniente dall’unica falda acquifera di Gaza non è adatta al consumo umano”.
L’intermittenza dell’elettricità, conseguenza diretta del blocco imposto da Israele, ha danneggiato anche le strutture igienico-sanitarie di Gaza, provocando un aumento della contaminazione delle falde acquifere, che a sua volta ha portato a varie infezioni e a massicce epidemie di malattie di origine idrica prevenibili. Secondo HRW, Israele sta usando la mancanza di cibo e acqua potabile come arma di guerra, il che, secondo molti osservatori internazionali, è una forma di punizione collettiva, un crimine di guerra di prim’ordine. Le forze israeliane hanno intenzionalmente distrutto terreni agricoli e bombardato strutture idriche e sanitarie in quello che sembra essere uno sforzo per rendere Gaza letteralmente invivibile.
“Devo camminare per tre chilometri per avere un gallone [d’acqua]”, ha detto Marwan, 30 anni, a HRW. Insieme a centinaia di migliaia di altri gazawi, Marwan è fuggito a sud con la moglie incinta e i due figli all’inizio di novembre. “E non c’è cibo. Se riusciamo a trovare del cibo, è cibo in scatola. Non tutti stanno mangiando bene”.
Nel sud di Gaza, vicino alla città sovraffollata di Khan Younis, le acque reflue grezze scorrono per le strade perché i servizi igienico-sanitari hanno cessato di funzionare. Nella città meridionale di Rafah, dove molti gazawi sono fuggiti, le condizioni sono più che disastrose. Gli ospedali di fortuna delle Nazioni Unite sono sovraccarichi, il cibo e l’acqua scarseggiano e la fame è in forte aumento. A fine dicembre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha documentato più di 100.000 casi di diarrea e 150.000 infezioni respiratorie in una popolazione gazawi di circa 2,3 milioni di persone. E questi numeri sono probabilmente sottostimati e aumenteranno senza dubbio con il protrarsi dell’offensiva israeliana, che ha già sfollato 1,9 milioni di persone, ovvero più dell’85% della popolazione, metà della quale rischia ora di morire di fame, secondo le Nazioni Unite.
“Per oltre due mesi, Israele ha privato la popolazione di Gaza di cibo e acqua, una politica incoraggiata o approvata da alti funzionari israeliani che riflette l’intenzione di affamare i civili come metodo di guerra”, riferisce Omar Shakir di Human Rights Watch.
Raramente, o quasi mai, gli autori di omicidi di massa (che ora sembrano temere il ricorso del Sudafrica presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, con l’accusa di genocidio da parte di Israele) hanno esposto in modo così chiaro le loro crudeli intenzioni. Come ha detto il presidente israeliano Isaac Herzog in un insensibile tentativo di giustificare le atrocità di cui sono vittime i civili palestinesi, “è un’intera nazione ad essere responsabile [del 7 ottobre]. Questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti, non è assolutamente vera. Avrebbero potuto ribellarsi, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio”.
La violenza, inflitta ai palestinesi da un Israele sostenuto in modo così eclatante dal Presidente Biden e dal suo team di politica estera, è diversa da qualsiasi cosa a cui avevamo assistito in precedenza, più o meno in tempo reale, sui media e sui social media. Gaza, la sua gente e le terre che l’hanno sostenuta per secoli sono state profanate e trasformate in un paesaggio infernale e invivibile, il cui impatto si farà sentire – è una garanzia – per le generazioni a venire.
Questo articolo è stato ripubblicato con il permesso di TomDispatch.
*Joshua Frank è un pluripremiato giornalista californiano e condirettore di CounterPunch. È autore di un nuovo libro, Atomic Days: The Untold Story of the Most Toxic Place in America (Haymarket Books).
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo L’avvelenamento di Gaza – da sopra e dal sottosuolo proviene da Pagine Esteri.
StatusSquatter 🍫 reshared this.
News da Marte #24 l Coelum Astronomia
"Questo primo aggiornamento dell’anno è dedicato a Ingenuity che dopo la congiunzione ha eseguito cinque voli, purtroppo non tutti eseguiti esattamentecome da programmi."
Le tre priorità della US Navy (guardando alla Cina) secondo Lisa Franchetti
“Negli anni Trenta, le ristrettezze del bilancio della difesa seguite alla Grande Depressione portarono a una riduzione delle costruzioni, a una contrazione dell’industria navale e a un crescente divario tra le capacità della nostra Marina e quelle del Giappone imperiale. L’America degli anni ’30 possedeva una flotta troppo piccola e non sufficientemente equipaggiata per la guerra”. Con queste parole l’ammiraglio Lisa Franchetti, divenuta ufficialmente capo della US Navy nel novembre scorso, ha lanciato l’allarme sull’impreparazione della componente navale delle forze armate Usa durante l’annuale conferenza della Surface Navy Association.
Nel periodo interbellico, il Giappone nazionalista e revisionista aveva intrapreso un programma di riarmo navale che lo aveva fatto assurgere al rango di potenza marittima nel teatro del Pacifico. Per fronteggiare questa sfida, la marina di Washington aveva dovuto riformare sé stessa, dotandosi di nuove navi e sviluppando nuove tattiche capaci di integrare le novità più recenti, come ad esempio lo strumento aereonautico.
Con l’aiuto degli esperti del Naval War College, i vertici della US Navy realizzarono molteplici simulazioni di campagne navale, ipotizzando secondo quali dinamiche avrebbe potuto svolgersi una guerra futura contro i giapponesi e altri potenziali avversari. I risultati di queste simulazioni hanno sono stati utilizzati nel processo di pianificazione di una nuova dottrina navale, che includeva non solo le tattiche di combattimento, ma anche la composizione della flotta stessa. Passando da una strategia incentrata sulle grandi navi da guerra di superficie alla strategia di una forza navale che integrasse perfettamente asset di superficie, asset aerei e asset sottomarini. La stessa che avrebbe portato alla vittoria gli Stati Uniti contro il Giappone nella seconda guerra mondiale.
La Marina degli Stati Uniti si trova oggi in una situazione simile a quella di quasi cento anni fa (al posto del Giappone oggi c’è la Repubblica Popolare, che non viene però mai nominata direttamente nel discorso), con una piccola finestra per innovare e rafforzare rapidamente la flotta. “Abbiamo potenziato capacità come il Naval War College e i nostri centri di sviluppo per il combattimento bellico al fine di permettere a tutti coloro che abbiano responsabilità dirigenziali a qualsiasi livello di pensare in modo diverso a come dobbiamo operare in ambienti complessi e in rapido cambiamento. La Marina cercherà di mettere in grado le nuove generazioni di leader di sperimentare nuovi concetti e tattiche in una serie di esercitazioni della flotta e non solo” ha detto Franchetti. La Chief of Naval Operations ha poi individuato nel combattimento, nei combattenti e nelle loro rispettive fondamenta le tre priorità su cui concentrerà gli sforzi durante il suo mandato.
La prima priorità comprende l’identificazione di ciò che è necessario per la capacità operativa della US Navy e per la sua collaborazione con gli alleati. La seconda include l’empowering dei leader e l’attenzione al reclutamento: la Marina non ha raggiunto gli obiettivi di reclutamento nell’anno fiscale 2023 e ha fissato obiettivi più alti per l’anno fiscale 2024. Infine, l’attenzione per le fondamenta inquadrate nella terza priorità si riferisce al miglioramento della fiducia del pubblico americano nella Marina, assieme all’incoraggiamento di una collaborazione continua con l’industria della difesa e il Congresso.
È uscita una nuova versione di Framalibre, l'annuario del software libero di Framasoft
Alla fine dello scorso anno è uscita una nuova versione di #Framalibre, l'annuario del #SoftwareLibero che è stato il primo mattone di #Framasoft:
framalibre.org/
Questa nuova versione presenta diverse novità sia nell'organizzazione dei contenuti che nell'interfaccia grafica. Qui la presentazione su #Framablog:
framablog.org/2023/12/26/offre…
Una funzione particolarmente interessante è la possibilità di creare una propria lista di software consigliati utilizzando il software libero Scribouilli per creare e condividere uno o più "mini-siti", il programma richiede il collegamento a un repository GIT.
Ho provato a giocare con questa funzione creando una mia piccola lista e traducendo alcune parti dell'interfaccia in italiano, naturalmente le schede dell'annuario sono in francese, ma rimangono sempre un utile punto di riferimento per la ricerca di software liberi.
Ecco la mia lista di prova, per semplicità e provvisoriamente, ho utilizzato il mio account su GitHub:
nilocram.github.io/edusoft/
@macfranc @Framasoft @epanto @Marco Ciampa
Offrez le cadeau du logiciel libre, avec Framalibre !
Il restait un cadeau au pied du sapin... L'annuaire du logiciel libre et projet fondateur de Framasoft évolue à nouveau, en un site plus beau, plus simple, plus ergonomique… et beaucoup plus...Framablog
reshared this
VIDEO GERUSALEMME. A rischio lo storico quartiere armeno
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
Pagine Esteri, 14 gennaio 2023. Lo storico quartiere armeno di Gerusalemme è a rischio demolizione. Una società immobiliare israeliana, la Xana Gardens Ltd, afferma di aver ottenuto dal patriarca armeno un leasing di 99 anni che le permetterebbe di costruire un hotel di lusso su tutta l’area, cinque dei quali sono stati arrestati con l’accusa di aver provocato disordini.
Gli armeni hanno alzato una piccola recinsione per proteggere le loro case e gestiscono un presidio permanente per il timore di nuove incursioni da parte della società immobiliare e degli estremisti israeliani.
La contesa immobiliare non è finita in tribunale ma con le ruspe della società e con decine di coloni israeliani che hanno tentato di cacciare con la forza i membri della comunità armena. Servizio video di Eliana Riva
player.vimeo.com/video/9026498…
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo VIDEO GERUSALEMME. A rischio lo storico quartiere armeno proviene da Pagine Esteri.
Opportunismo
youtube.com/embed/sOvrAzFWmdc?…
L'articolo Opportunismo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Perché la missione Axiom è una lezione per l’Europa. Il punto del Gen. Bianchi
Siamo in trepida attesa per l’evento di lancio in orbita che interesserà il nostro astronauta, il colonnello del Genio aeronautico Walter Villadei, il quale, dopo aver diretto il team italiano composto da personale dell’Aeronautica militare e del Cnr nella missione commerciale in suborbitale con la Virgin Galactic, porterà i colori della nostra bandiera anche nella missione commerciale statunitense Axiom 3, suggellando così una presenza italiana continuativa e rilevante nel panorama delle iniziative commerciali della New space economy di questi ultimi mesi.
La partecipazione del colonnello Villadei prende origine da un’iniziativa del ministero della Difesa e si inserisce nell’ambito del posizionamento nazionale avviato con il memorandum of understanding, siglato tra governo italiano e Axiom Space lo scorso 19 maggio 2022, in prospettiva della prossima fase della presenza umana nell’orbita terrestre e che vedrà anche i contributi dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) e di alcune industrie nazionali, in rappresentanza delle eccellenze del sistema-Italia, provenienti non solo dal settore spaziale.
La Stazione spaziale internazionale (Iss) terminerà la propria vita operativa entro il 2030. In previsione di questo phase-out, la Nasa ha quindi affidato ad Axiom Space la costruzione e la gestione di una nuova stazione, che sarà inizialmente aggiunta alla Iss, ma avrà l’obiettivo finale di staccarsi da essa ed operare autonomamente fornendo servizi in orbita alla Nasa e supportando commercialmente le attività private nell’orbita bassa. Quest’operazione delinea una delle caratteristiche della New space economy di stampo americano, in cui gli attori istituzionali potrebbero non occuparsi più della realizzazione e gestione delle infrastrutture spaziali, ma diverrebbero meri utilizzatori e acquirenti, sulla base dei propri requisiti, dei servizi che operatori commerciali, in regime di “competizione” (si spera) renderebbero disponibili.
Il colonnello Walter Villadei avrà un ruolo centrale ed abilitante, nel corso dei quattordici giorni di impegno a bordo della Iss, ovvero coordinare e svolgere diversi esperimenti scientifici nazionali, promossi dal ministero della Difesa e dall’Asi, in cooperazione con centri di ricerca, università e industrie nazionali.
L’importanza della presenza di un ufficiale dell’Aeronautica militare in questa missione va ben al di là della esecuzione della serie di esperimenti pianificati; dobbiamo infatti non solo ringraziare il nostro amico e collega Walter per la perseveranza della sua azione sempre indirizzata a costruire una coerente preparazione tecnica e professionale e ad evitare che potesse poi non essere utilizzata in pieno dal sistema paese, ma anche dare merito alla leadership della nostra Forza armata per le doti di visione, autorevolezza, competenza e per gli sforzi profusi affinché l’Italia fosse presente in queste rivoluzionarie iniziative con le migliori forze disponibili (che per tradizione hanno sempre fatto riferimento al personale dell’Aeronautica militare); tutto questo ha consentito che la politica e le altre istituzioni si muovessero insieme per raggiungere questo grande obiettivo.
La partecipazione italiana alle attività Axiom 3 ha permesso di mettere a sistema una serie di capacità industriali che abilitino la crescita di competenze in ottica Space economy e permettano l’acquisizione di un vantaggio competitivo del sistema Italia nelle attività umane in orbita bassa dopo la Iss, e che, va detto, sono sempre state rivendicate ed enfatizzate da un altro astronauta di lungo corso dell’Aeronautica militare, il generale Roberto Vittori.
Tali attività, oltre ad assicurare all’Italia un canale di accesso privilegiato allo spazio, a beneficio della nostra comunità scientifica, accademica e industriale, permetteranno al paese di guardare con maggiori ambizioni anche alla prospettiva delle future attività di colonizzazione lunare e di esplorazione marziana, già prefigurate con il programma Artemis americano ed a cui l’Italia è stata una delle prime nazioni ad aderire. Di questa forte presenza italiana nella missione americana, ci deve ringraziare anche l’Europa perché, anche se con colpevole ritardo e in ragione di un certo immobilismo burocratico da parte delle agenzie nazionali, tutte imbrigliate dall’agenzia europea e dal corpo degli astronauti europei (che Villadei ha avuto modo di conoscere bene), grazie al nostro Walter, l’Europa potrà essere meglio predisposta ad adottare una visione leggermente più in linea con le raccomandazioni espresse del Report di Marzo 2023 dell’High level advisiory group on human and robotic space exploration for Europe (gruppo che ha operato sotto gli auspici dell’Esa).
L’iniziativa italiana infatti, in qualche modo si può considerare inserita nel solco che le conclusioni delineate dai lavori del citato Advisory group, quando si raccomanda che l’Europa condivida, come attore principale e non come comparsa, la rivoluzione della esplorazione spaziale. Forse questa presenza italiana così forte nel panorama delle attività di esplorazione commerciale, potrebbe convincere l’Europa ad osare di più ed andare oltre i timidi passi del recente Consiglio Esa di Siviglia in relazione alle missioni di esplorazione umane. La prudenza della Germania ha condizionato le altre nazioni meglio predisposte verso questi progetti come Francia, Spagna, Italia e Belgio. A fronte delle raccomandazioni del report, forse poco realistiche, in cui l’Europa avrebbe dovuto impegnarsi a progettare e implementare una missione spaziale europea per stabilire una presenza umana europea indipendente nelle orbite terrestri basse, oltre alla creazione di una stazione commerciale europea, una capacita di trasporto materiali e personale per il Gateway e per le orbite lunari nonché per una presenza sostenuta e permanente sulla superficie lunare, i paesi di Esa hanno approvato di spendere cifre molto contenute indirizzate al solo svolgimento di una missione cargo di ritorno dalla Stazione spaziale internazionale, entro la fine 2028. Occorre prendere atto che la Space economy associata alla esplorazione lunare vivrà un boom economico a cui l’Europa non potrà partecipare a pieno titolo, ma solo come comprimario se non attiverà un cambio di passo epocale. Si può sperare che la partecipazione italiana alla missione Axiom si innesti nel solco di quelle iniziative che, in grado di produrre un focus per l’opinione pubblica, diano l’impulso ad una nuova definizione della politica europea per il settore. Non ci resta quindi che salutare con orgoglio, tutto italiano, il volo di Walter Villadei e augurarci che l’intervento della Aeronautica militare in questo ambito possa essere utile a smuovere l’inerzia e, soprattutto, bilanci e aspirazioni dell’Unione europea.
Perché il voto di Taiwan è importante
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Michelangelo Cocco*
(questo articolo è stato pubblicato in origine da Rassegna Cina)
Pagine Esteri, 13 gennaio 2024 – Oggi 19,5 milioni di taiwanesi saranno chiamati alle urne per scegliere un nuovo presidente e rinnovare il parlamento, lo Yuan legislativo (113 seggi). Gli elettori avranno tre schede: per il presidente (vince chi ottiene anche solo un voto in più); per la camera-maggioritario, con cui vengono eletti 3/4 dei parlamentari; per la camera-proporzionale, con cui viene eletto 1/4 dei deputati.
Per la presidenza è corsa a tre, tra William Lai Ching-te (Partito progressista democratico, Dpp), Hou Yu-ih (Kuomintang, Kmt) e Ko Wen-jie (Partito popolare, Tpp). Per quanto riguarda lo Yuan legislativo, c’è grande attesa per il possibile exploit del Tpp – fondato nel 2019 da Ko – che, spinto dal voto dei giovani e degli indecisi, potrebbe infrangere il tradizionale duopolio politico Dpp-Kmt.
A determinare chi la spunterà saranno le proposte dei candidati su lavoro, tasse, ambiente… non soltanto le rispettive posizioni sul futuro delle relazioni tra Taiwan e la Repubblica popolare cinese. Quest’ultimo aspetto resta tuttavia molto rilevante, dal momento che Pechino e Washington hanno trasformato Taiwan in uno degli hotspot della loro rivalità geostrategica.
Se William Lai diverrà presidente (dopo due mandati della sua collega di partito Tsai Ing-wen), confermerà la linea di un continuo allontanamento dalla Rpc, che considera Taiwan una sua provincia, da “riunificare”. Se invece a prevalere fossero Ho o Ko, potrebbe verificarsi un’inversione di tendenza rispetto agli ultimi otto anni, con la ripresa del dialogo interrotto da Pechino nel 2016 per il rifiuto di Tsai e del Dpp di riconoscere il Consenso del 1992 raggiunto tra rappresentanti del Kmt e del Partito comunista cinese.
Lai e la sua vice in pectore Hsiao Bi-kim sono stati sempre in testa nei sondaggi. Come reagirà Pechino in caso di vittoria dei due che considera “indipendentisti irriducibili”? Una risposta militare è improbabile: le presidenziali e legislative non sono un referendum sull’indipendenza di Taiwan, e alle ultime due consultazioni vinte dal Dpp (nel 2016 e nel 2020) la Rpc non ha replicato sfoggiando i muscoli. Anche la fragile “tregua” siglata tra Xi Jinping e Joe Biden il 15 novembre scorso a San Francisco induce la leadership cinese a un approccio prudente, così come la possibilità che il prossimo presidente di Taiwan si ritrovi con un parlamento diviso o un governo di minoranza, assai meno gestibile della camera uscente, nella quale il Dpp ha 63 deputati su 113.
Il 32,1% dei taiwanesi è favorevole al mantenimento dello status quo a tempo indeterminato, il 28,6% al mantenimento dello status quo da ridiscutere più avanti, il 21,4% al mantenimento dello status quo ma facendo passi in direzione dell’indipendenza.
Tuttavia la terza presidenza di seguito agli “indipendentisti” rappresenterebbe un problema politico per Xi, che nel suo discorso di Capodanno ha ripetuto che «la riunificazione della madrepatria è una certezza storica». Intanto però soltanto il 7,4 per cento dei taiwanesi è favorevole ad associarsi alla Rpc. Nel 1994 erano il triplo, da allora sono diminuiti costantemente.
E l’economia dell’isola sta compiendo passi concreti per dipendere meno dall’altra sponda dello Stretto e avvicinarsi sempre più ad altri partner. Con 152 miliardi di dollari Usa di esportazioni nel 2023 la Rpc è rimasta il primo mercato per i prodotti taiwanesi, ma in flessione del 18%, al 35,2% del totale delle esportazioni taiwanesi, il minimo da 21 anni. Gli Stati Uniti e i paesi dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean) hanno accolto entrambi prodotti taiwanesi per circa 72 miliardi di dollari Usa, con gli Usa che ne ricevono ormai il 17,6% del totale, il massimo negli ultimi 21 anni.
Xi ha fissato l’orizzonte per la “riunificazione” di Taiwan al 2049, centenario della fondazione della Rpc. A Taiwan i governi cambiano e in futuro potrebbero formarsene di più dialoganti con Pechino. Intanto però Taiwan è sempre più lontana. Pagine esteri
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo Perché il voto di Taiwan è importante proviene da Pagine Esteri.
USA e Gran Bretagna attaccano lo Yemen. Navi, sottomarini e aerei colpiscono la capitale e le città portuali
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
AGGIORNAMENTI
Le forze Houthi hanno fatto sapere che i bombardamenti di Stati Uniti e Gran Bretagna hanno ucciso 5 persone e ferito altre 6. I raid sono stati 73 e hanno colpito 5 regioni dello Yemen controllate dagli Houthi.
Pagine Esteri, 12 gennaio 2023. USA e Gran Bretagna hanno bombardato nella notte lo Yemen, colpendo obiettivi logistici e militari Houthi nella capitale Sanaa e in altre città, compresa Hodeidah, la più grande città portuale controllata dagli Houthi.
Il viceministro degli Esteri Houthi ha dichiarato “Il nostro paese è stato sottoposto a un massiccio attacco aggressivo da parte di navi, sottomarini e aerei da guerra americani e britannici. Dovranno ora prepararsi a pagare un prezzo pesante e a sopportare tutte le terribili conseguenze di questa palese aggressione”.
L’attacco è stato supportato da Bahrain, Canada e Paesi Bassi. Il primo ministro inglese Rishi Sunak ha definito i bombardamenti del Regno Unito allo Yemen un “atto di autodifesa”.
Il presidente USA Joe Biden ha dichiarato che “sono un chiaro messaggio che gli Stati Uniti e i nostri partner non tollereranno attacchi al nostro personale o permetteranno agli attori ostili di mettere in pericolo la libertà di navigazione in una delle rotte commerciali più critiche del mondo. Non esiterò a indirizzare ulteriori misure per proteggere la nostra gente e il libero flusso del commercio internazionale, se necessario”.
Alcuni membri democratici del Congresso USA non hanno però accolto con favore la decisione del presidente Biden, sottolineando che secondo la Costituzione statunitense solo il Congresso può autorizzare il coinvolgimento militare nei conflitti all’estero.
pagineesteri.it/wp-content/upl…
Gli Houthi hanno attaccato ripetutamente le navi israeliane e quelle dirette verso Israele in risposta ai bombardamenti di Tel Aviv nella Striscia di Gaza che hanno causato più di 23.000 morti. I loro portavoce hanno più volte dichiarato che non vogliono mettere a rischio il commercio mondiale nel Mar Rosso ma che non intendono permettere il passaggio di navi israeliane o con carichi diretti a Tel Aviv.
La Russia ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per discutere degli attacchi allo Yemen.
Il portavoce di Ansarallah (Houthi), Mohammed AI-Bukhait, ha dichiarato: “Se non fosse stato per la follia di Bush nello spingere Ali Saleh ad attaccarci a Saada nel 2004, il popolo yemenita non avrebbe lanciato la rivoluzione del 2014 che ha posto fine al governo dell’ambasciatore americano a Sana’a e ne ha espulso i Marines.
Se non fosse stato per la follia di America e Gran Bretagna nello spingere l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti a dichiararci guerra nel 2015, lo Yemen non sarebbe stato in grado oggi di adempiere al proprio dovere religioso, morale e umanitario nel sostenere la Palestina.
Non c’è dubbio che l’America e la Gran Bretagna oggi rimpiangano le loro precedenti follie, e presto si renderanno conto che l’aggressione diretta contro lo Yemen è stata la più grande follia della o loro storia”. Pagine Esteri
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo USA e Gran Bretagna attaccano lo Yemen. Navi, sottomarini e aerei colpiscono la capitale e le città portuali proviene da Pagine Esteri.
Ministero dell'Istruzione
#NoiSiamoLeScuole questa settimana è dedicato all’IC “Villasimius” nel Comune di Castiadas (SU), e al Plesso di via Caravaggio dell’IC “Sinnai 2” (CA) che, grazie al #PNRR, saranno demolite e ricostruite secondo criteri di una didattica moderna e di …Telegram
Avere le armi migliori non basta. Cosa dice la strategia industriale del Pentagono
L’ambiente strategico attuale e futuro richiede un’azione immediata, completa e decisiva per rafforzare e modernizzare l’ecosistema industriale della difesa degli Stati Uniti per garantire la sicurezza degli Usa e dei suoi alleati e partner. Con queste parole la vicesegretaria alla Difesa, Kathleen Hicks, apre la prima Strategia industriale della Difesa nazionale degli Stati Uniti (Ndis). Nelle sue circa cinquanta pagine, il documento illustra una serie di raccomandazioni indirizzate al dipartimento della Difesa e all’intero sistema industriale a stelle e strisce con l’obiettivo di “costruire un settore della difesa del XXI secolo pienamente capace”. Nel testo sono sintetizzate le principali riflessioni del Pentagono sullo stato di salute delle proprie catene di approvvigionamento, seriamente messe alla prova dall’invasione russa dell’Ucraina e, prima ancora, dalla pandemia di Covid. Come si legge nella strategia, gli Stati Uniti “continuano a costruire le migliori armi del mondo, ma questo da solo non basta”.
Attenzione alla Cina
In particolare, il testo pone l’accento sulla crescente minaccia rappresentata dall’emergere della Cina come “potenza industriale globale”, la Ndis si concentra sulla necessità di aumentare la capacità delle aziende nazionali di produrre più rapidamente sistemi d’arma, e in quantità maggiori, per garantire il vantaggio delle forze armate statunitensi in qualsiasi conflitto futuro. Secondo il documento, l’industria della difesa americana ha bisogno di un cambiamento “generazionale” per tenere il passo con competitor come la Russia e, soprattutto, la Cina. Anche l’invio di aiuti ai vari partner minacciati dalle potenze concorrenti, a partire dall’Ucraina e da Israele, ma comprendendo anche Taiwan e gli altri partner dell’Indo-Pacifico, costringono gli Usa a un’attenta revisione dei propri sistemi di procurement. Secondo il nuovo documento, infatti, se non si corre ai ripari il vantaggio competitivo degli Stati Uniti sui suoi competitor potrebbe ridursi: negli ultimi 30 anni, si legge nel documento, la Cina “è diventata la potenza industriale globale in molti settori-chiave – dalla costruzione navale ai minerali critici alla microelettronica”. La capacità della Cina, si legge nel documento, in alcuni casi supera quella statunitense e dei suoi alleati in Asia e in Europa.
Le criticità dell’ecosistema
La strategia, inoltre, identifica soprattutto le principali criticità che il Pentagono e l’amministrazione Usa devono affrontare per garantire al proprio ecosistema industriale della difesa un livello di preparazione e capacità adeguato alle sfide. Questi gap vanno dalla mancanza di manodopera qualificata all’incapacità del Pentagono di sfruttare le tecnologie innovative, fino al riconoscimento che le Forze armate statunitensi sono un “cliente poco attraente” a causa dei “modelli di acquisto a basso volume, dei lunghi periodi che intercorrono tra un ammodernamento e l’altro e delle specifiche di progettazione spesso inutilmente troppo personalizzate”.
Le soluzioni della strategia
L’obiettivo generale del documento, allora, è quello di “rendere l’ecosistema industriale dinamico, reattivo, all’avanguardia, resiliente e un deterrente per i nostri avversari”. A tal fine, la Ndis stabilisce quattro priorità “che serviranno da faro guida per l’azione industriale e per settare le priorità delle risorse a sostegno dello sviluppo di un moderno ecosistema industriale che supporti la difesa della nazione”: Catene di approvvigionamento resilienti; prontezza della forza lavoro; acquisizione flessibile e deterrenza economica. Per ciascuno di questi settori, il documento indica delle azioni concrete da seguire, illustrando anche i possibili risultati auspicati. Per quanto riguarda le supply chain, per esempio, il documento indica come necessaria una migliore gestione degli arsenali e degli inventari, con un’attenta pianificazione. Questo permetterebbe di assicurare al contempo sia la difesa dei Paesi alleati e minacciati, come l’Ucraina e – potenzialmente – Taiwan, sia quella diretta degli Stati Uniti. Altri esempli includono incentivi per i programmi di formazione nelle cosiddette materie Stem (Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), indispensabili per avere quella forza lavoro qualificata alla base di un settore all’avanguardia come quello della difesa.
Contenuti e schieramenti
Da una parte ci sono i partiti nazionali, presi in anticipo dalla frenesia del chi candidiamo e del come ci presentiamo alle elezioni europee di giugno. Accanto a loro ci sono le famiglie politiche europee, intente a contendersi gli alleati con cui formare la maggioranza nel futuro Parlamento. Da un’altra parte c’è Mario Draghi, che incontra gli imprenditori europei e discute con loro di come conciliare la transizione energetica con la competitività. Iniziativa che non ha preso per i fatti suoi, ma per l’incarico ricevuto dalla presidente della Commissione europea. Con una interessante postilla: il rapporto che preparerà sarà presentato al Parlamento europeo, dopo le elezioni.
Insomma, siamo di fronte a una sostanziale certificazione del divorzio fra schieramenti e contenuti, sicché i secondi vengono elaborati in una sede diversa da quella in cui i partiti cercano di definire i primi. Ma la logica, la coerenza e la moralità politica vorrebbero l’esatto opposto: prima i contenuti e poi gli schieramenti. Prima si stabilisce che cosa si vuole fare e come si vuole cambiare e poi si cerca di aggregare le forze per riuscirci. Il che vale a qualsiasi livello, laddove invece a tutti i livelli – dal Comune al Continente – lo scopo dei partiti sembra essere diventato quello di vincere, lavorando sulle suggestioni, talché si sente il bisogno di una sede diversa per lavorare alle idee, senza farsi troppo suggestionare.
In triste sintesi: il fallimento della politica.
La Ragione
L'articolo Contenuti e schieramenti proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
REPORTAGE. Afghanistan, una giornata nell’ospedale di Emergency
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 11 gennaio 2024 – Sono le 8.00 di mattina e S., l’infermiera capo turno, sta controllando sulla lavagna i numeri dei neonati ricoverati, prima dell’inizio di una nuova giornata. Otto in terapia intensiva, undici in quella sub-intensiva, quattro nell’isolamento per le malattie infettive, cinque in osservazione e cinque nella stanza di kangaroo mother care, dove i più piccoli crescono grazie al contatto pelle a pelle con le loro madri. Nella Neonatologia dell’ospedale di Emergency ad Anabah, nella valle del Panshir, trentatré su quarantaquattro posti letto sono occupati prima di iniziare il turno.
La maternità dell’ospedale nacque come una scommessa. Lo raccontava Gino Strada, il fondatore dell’ONG insieme alla moglie Teresa Sarti Strada, nel libro “Una persona alla volta” (Feltrinelli, 2022): “Ricordo le prime reazioni quando decidemmo di aprire un ospedale di maternità in Panshir, in una valle dove la mortalità materna e infantile era tra le più alte al mondo. (…) Le voci più preoccupate erano qui, in Europa: “Come potete pensare di aprire una maternità in Afghanistan? I mariti non permetteranno mai alle mogli di partorire in un ospedale gestito da occidentali. Vi aspetteranno con i kalashnikov ai cancelli, il Mullah vi maledirà”. (…) Oggi in quell’ospedale nascono venti bambini al giorno, le madri si sottopongono regolarmente ai controlli in attesa del parto, le ragazze studiano per diventare ostetriche e moglie e marito vengono normalmente a discutere di pianificazione familiare, affidandosi anche al consiglio di ostetriche e ginecologhe occidentali. Ho visto fallimenti peggiori”.
(Anabah, Emergency, credits Carlotta Marrucci)
Nato nel 1999 come ospedale per la chirurgia di guerra in una valle tra le montagne dell’Hindu Kush, a 200 km da Kabul, in una regione abitata da 250.000 persone, il centro nel 2003 fu predisposto per accogliere anche una maternità, che fornisse cure gratuite alle donne incinte e ai loro figli. L’altissimo tasso di natalità e l’affluenza di pazienti, resero necessario nel 2016 l’ampliamento del progetto, che adesso ospita quattro sale parto, due sale operatorie, una terapia intensiva per le donne che hanno avuto complicazioni durante il parto, un ambulatorio, un reparto di ginecologia, un’area per i follow-up, una per il travaglio, i reparti di neonatologia e l’ambulatorio neonatologico.
La mortalità materno-infantile in Afghanistan resta tra le più alte al mondo. Secondo una ricerca realizzata nel 2019 dalla UNFPA (United Nations Population Fund) in sei regioni afghane, il tasso di mortalità femminile in età riproduttiva supera del 50% quello maschile, circa una morte su due avviene al momento del parto. Secondo un altro studio nazionale, l’incidenza di mortalità materna sarebbe di una donna su 14. Non meno confortanti i numeri della mortalità infantile: circa un bambino su 18 non supera i 5 anni di età, con la maggior incidenza di esiti infausti nel periodo perinatale. Con i suoi 600 parti al mese, circa 5.000 ogni anno, l’ospedale di Emergency di Anabah cerca di sopperire con le sue cure gratuite a un bisogno abissale.
R. lavora come ostetrica da quattro anni. Sotto al velo si scorge una treccia di capelli neri che le avvolge il capo come una coroncina, un piercing rosa al naso è in pendant con l’uniforme lilla che indossano lei e le sue colleghe. Nella sala d’attesa degli ambulatori ginecologici, ci racconta dell’ultima IUFD, morte fetale intra-uterina, alla quale ha appena assistito. “La madre ha raccontato che non sentiva i movimenti del feto da almeno due giorni, ma il suocero, il suo capo-famiglia, si è rifiutato di accompagnarla in ospedale fino a oggi. Adesso, però, è troppo tardi”. I fattori culturali rappresentano, insieme a quelli socio-economici, i principali determinanti dell’aumentato rischio per le gravidanze in questo Paese.
Dare alla luce molti figli è un requisito spesso fondamentale per le donne per essere accettate dai mariti, dalle loro famiglie e dal tessuto sociale in cui vivono, ma ogni gravidanza rappresenta un pericolo ulteriore di complicazioni per le successive. Come per il suocero della sua paziente, l’ostetrica di guardia racconta che spesso per le famiglie far sottoporre le donne incinte agli screening di routine è facoltativo, spesso non necessario. “Quando arrivano qui, spesso hanno già le membrane rotte. Non hanno mai fatto una visita medica, hanno diverse gravidanze alle spalle, spesso alcune terminate con tagli cesarei, una pratica molto remunerativa negli ospedali privati nazionali. A volte non ci riferiscono di aver subito quei cesarei e il rischio di complicanze estreme durante il parto aumenta drammaticamente”.
Nella stanza dell’isolamento in neonatologia, l’unico suono che si sente ogni tanto è quello dei monitor, che si illuminano per segnalare una desaturazione o l’accelerazione improvvisa di una frequenza cardiaca. Attorno all’incubatore numero uno, i medici discutono del colore grigio-verde, così lo chiamano, del neonato. Nel suo sangue, gli antibiotici di terza linea trattengono a stento la forza replicativa del germe che continua a replicarsi da quando è nato. Le infezioni congenite sono un’altra conseguenza delle gravidanze non seguite. Spesso conducono a nascite premature, come quelle di B., nato nel mese di novembre a 27 settimane e 700 grammi di peso. Quando sua madre ci incontra, nelle corsie dell’ospedale, con il suo velo rosso e gli occhi nerissimi affilati come aghi, allarga le braccia per salutarci e sussurra ringraziamenti in farsi. Il suo piccolo continua a crescere, viene definito da tutti un piccolo miracolo.
(Anabah, Emergency, credits Carlotta Marrucci)
Lo scarso accesso alle cure è determinato anche dai costi e dalle distanze che le coppie devono coprire per raggiungere le strutture sanitarie. La scelta alla quale le donne si trovano di fronte se vogliono eseguire degli screening in gravidanza è tra le strutture private e quelle pubbliche. Negli ospedali privati, i costi delle prestazioni, dei medicinali, della degenza sono proibitivi per la maggioranza della popolazione afghana. La crisi economica in cui versa il Paese, d’altro canto, continua a svuotare la sanità pubblica di beni e servizi.
F. è l’infermiera della sala parto, ha almeno vent’anni di esperienza in quest’ospedale. Mentre avvolge un nuovo nato, il quindicesimo della giornata alle 17.00 del pomeriggio, in un telo asciutto e riscaldato, ci tiene a precisare che la sanità nazionale dovrebbe essere gratuita: “Spesso non ci sono le medicine, però, così i parenti devono andare a comprarle da fuori. Né le garze, né le siringhe. A volte mancano proprio i medici. Di notte, per esempio, nessuno resta di guardia. Al pomeriggio spesso si assentano per arrotondare facendo visite negli ambulatori privati. E quanti medici hanno già lasciato questo Paese, e quanti vogliono farlo”, sospira, aggiustandosi il velo. Secondo un rapporto pubblicato da Emergency e CRIDEMIM nel marzo 2023, un afghano su due non avrebbe accesso ai medicinali e oltre l’85% della popolazione avrebbe contratto dei debiti per potersi permettere le cure mediche.
La povertà continua a rappresentare in tutte le sue forme il più grave pericolo per la salute materno-infantile in Afghanistan. Secondo le Nazioni Unite, almeno 29 milioni di abitanti saranno dipendenti dagli aiuti umanitari nel 2024, la maggior parte di loro in condizioni di difficoltà “estrema”. A preoccupare le organizzazioni internazionali è la possibilità che dal prossimo anno la situazione in Afghanistan non sarà più considerata un’”emergenza”, con una conseguente contrazione dei finanziamenti per il terzo settore, nonostante il 4 dicembre scorso l’UNHCR, l’Agenzia Onu per i rifugiati, abbia definito quella nel Paese “un’emergenza per sempre”.
Alla fine della giornata, l’infermiera T. si lava le mani insaponandosi fino ai gomiti, poi è pronta per la notte, è lei la nuova capo turno. E’ orgogliosa del suo lavoro, nonostante avrebbe voluto continuare a studiare, per diventare un medico, ci dice. Come lei, sono tante le donne che hanno dovuto rinunciare agli studi, da quando, nel dicembre del 2022, il decreto del governo de facto ha vietato alle donne di frequentare l’università. Nella maternità, però, le infermiere, le ostetriche e le specializzande in ginecologia hanno ancora la possibilità di imparare e di diventare delle brave professioniste. T., per questo, sorride sempre, anche se a volte, racconta, “la situazione è davvero difficile”. E’ l’unica a portare uno stipendio a casa, nella sua famiglia numerosa, ma non è solo la sua situazione personale a preoccuparla. “Qui la gente ha fame, non ha niente. Io mi sento fortunata”. Come le sue colleghe, quando le si chiede come immagina il futuro, scrolla le spalle, dice che proprio non lo sa. Poi va verso la lavagnetta in corridoio, quella che tiene il conto dei neonati. Corregge il numero dei pazienti in terapia intensiva, ne aggiunge uno, ricoverato mezz’ora fa. Un altro nato prematuro da una gravidanza non seguita, una nuova incubatrice sulla quale vigilare con pazienza.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo REPORTAGE. Afghanistan, una giornata nell’ospedale di Emergency proviene da Pagine Esteri.
USA e Gran Bretagna attaccano lo Yemen. Navi, sottomarini e aerei colpiscono la capitale e le città portuali l Pagine Esteri
"USA e Gran Bretagna hanno bombardato nella notte lo Yemen, colpendo obiettivi logistici e militari Houthi nella capitale Sanaa e in altre città, compresa Hodeidah, la più grande città portuale controllata dagli Houthi."
Nessun vanto, ma salvi
Dunque vantarsi è escluso. Ma il vanto è anche la conseguenza di un mondo competitivo, in cui devi sempre dimostrare di essere all’altezza, di essere migliore… Ci si vanta infine perché siamo riusciti a prevalere in qualche ambito.
Invece, il non aver niente per cui vantarci, ci toglie da questo schema competitivo con gli altri, con noi stessi e con il nostro Signore. Per la sua croce, Gesù proclama beati i miti, i poveri di spirito, coloro che cercano sì giustizia, ma non se la possono fare da soli, e ci dà speranza di resurrezione.
Non siamo più in competizione, dunque e riceviamo la grazia di Dio e viviamo liberi dalla paura di non farcela, di non essere in grado. In questo modo daremo il meglio di noi e saremo gli uni con gli altri fraterni.
pastore D'Archino - Nessun vanto, ma salvi
La comunità di Corinto a cui l’apostolo Paolo scrive è attratta da eloquenti predicatori e da teorie filosofiche, che quelli presentano come potenti e salvifiche. Paolo ribadisce invece che lui ha …pastore D'Archino
L'antifascismo da salotto del PD e la tolleranza all'olio di ricino dei liberali l L'Antidiplomatico
"L'indignazione del centro-sinistra, che per decenni ha lavorato con solerzia alla riabilitazione dei neofascisti e alla revisione storica della Resistenza, non può che apparire come un gioco delle parti, un'occasione per PD e Italia viva di simulare l'opposizione che non c'è al governo di Giorgia Meloni."
Ben(e)detto del 12 gennaio 2024
Cerimonia conclusiva Scuola di Liberalismo Messina 2023 – Servizio TV Gazzetta del Sud
Scuola di Liberalismo, cerimonia conclusiva – Gazzetta del Sud
L'articolo Scuola di Liberalismo, cerimonia conclusiva – Gazzetta del Sud proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Ben(e)detto dell’11 gennaio 2024
La parabola di Chiang Wan-an, sindaco di Taipei
Una storia che riflette il rapporto dell'isola di Taiwan con l'ex presidente (e suo bisnonno) Chiang Kai-shek
L'articolo La parabola di Chiang Wan-an, sindaco di Taipei proviene da China Files.
In Cina e Asia – Cina e Usa accelerano il dialogo prima delle elezioni a Taiwan
Cina e Usa accelerano il dialogo prima delle elezioni a Taiwan
Cina e Russia insieme contro la “politica conflittuale” dell'Occidente
Mar cinese meridionale, la ministra tedesca Baerbock: “Azioni rischiose che violano i diritti e lo sviluppo delle Filippine e preoccupano l’Europa”
Seul accusa la Corea del Nord di vendere nuovi missili alla Russia
Papua Nuova Guinea: distrutte proprietà cinesi, Pechino protesta
L'articolo In Cina e Asia – Cina e Usa accelerano il dialogo prima delle elezioni a Taiwan proviene da China Files.
USA e Gran Bretagna attaccano lo Yemen. Navi, sottomarini e aerei colpiscono la capitale e le città portuali
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
Pagine Esteri, 12 gennaio 2023. USA e Gran Bretagna hanno bombardato nella notte lo Yemen, colpendo obiettivi logistici e militari Houthi nella capitale Sanaa e in altre città, compresa Hodeidah, la più grande città portuale controllata dagli Houthi.
Il viceministro degli Esteri Houthi ha dichiarato “Il nostro paese è stato sottoposto a un massiccio attacco aggressivo da parte di navi, sottomarini e aerei da guerra americani e britannici. Dovranno ora prepararsi a pagare un prezzo pesante e a sopportare tutte le terribili conseguenze di questa palese aggressione”.
L’attacco è stato supportato da Bahrain, Canada e Paesi Bassi. Il primo ministro inglese Rishi Sunak ha definito i bombardamenti del Regno Unito allo Yemen un “atto di autodifesa”.
Il presidente USA Joe Biden ha dichiarato che “sono un chiaro messaggio che gli Stati Uniti e i nostri partner non tollereranno attacchi al nostro personale o permetteranno agli attori ostili di mettere in pericolo la libertà di navigazione in una delle rotte commerciali più critiche del mondo. Non esiterò a indirizzare ulteriori misure per proteggere la nostra gente e il libero flusso del commercio internazionale, se necessario”.
Alcuni membri democratici del Congresso USA non hanno però accolto con favore la decisione del presidente Biden, sottolineando che secondo la Costituzione statunitense solo il Congresso può autorizzare il coinvolgimento militare nei conflitti all’estero.
Gli Houthi hanno attaccato ripetutamente le navi israeliane e quelle dirette verso Israele in risposta ai bombardamenti di Tel Aviv nella Striscia di Gaza che hanno causato più di 23.000 morti. I loro portavoce hanno più volte dichiarato che non vogliono mettere a rischio il commercio mondiale nel Mar Rosso ma che non intendono permettere il passaggio di navi israeliane o con carichi diretti a Tel Aviv.
La Russia ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per discutere degli attacchi allo Yemen.
Il portavoce di Ansrallah (Houthi), Mohammed AI-Bukhait, ha dichiarato: “Se non fosse stato per la follia di Bush nello spingere Ali Saleh ad attaccarci a Saada nel 2004, il popolo yemenita non avrebbe lanciato la rivoluzione del 2014 che ha posto fine al governo dell’ambasciatore americano a Sana’a e ne ha espulso i Marines.
Se non fosse stato per la follia di America e Gran Bretagna nello spingere l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti a dichiararci guerra nel 2015, lo Yemen non sarebbe stato in grado oggi di adempiere al proprio dovere religioso, morale e umanitario nel sostenere la Palestina.
Non c’è dubbio che l’America e la Gran Bretagna oggi rimpiangano le loro precedenti follie, e presto si renderanno conto che l’aggressione diretta contro lo Yemen è stata la più grande follia della o loro storia”. Pagine Esteri
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo USA e Gran Bretagna attaccano lo Yemen. Navi, sottomarini e aerei colpiscono la capitale e le città portuali proviene da Pagine Esteri.
Le Maldive mollano l’India e rafforzano i legami con la Cina
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Redazione
Pagine Esteri, 11 gennaio 2024 – La Cina e le Maldive hanno rafforzato in maniera sostanziale le loro relazioni, dopo il rapido peggioramento dei rapporti tra l’arcipelago e l’India, storica rivale regionale della Repubblica Popolare.
Mercoledì il neoeletto presidente maldiviano Mohamed Muizzu ha compiuto la sua prima visita a Pechino. Il presidente cinese Xi Jinping, parlando alla Grande Sala del Popolo, ha definito Muizzu “un vecchio amico” dopo aver posto le basi per ulteriori investimenti nell’arcipelago dell’Oceano Indiano con la firma di un “partenariato cooperativo strategico globale”. I due presidenti hanno assistito alla firma di venti accordi di cooperazione e Pechino si è detta disponibile a contribuire allo sviluppo delle scarse infrastrutture maldiviane. «Le relazioni tra Cina e Maldive si trovano di fronte a un’opportunità storica per avanzare verso il futuro» ha detto il leader cinese.
Muizzu è entrato in carica nel novembre scorso, dopo aver vinto una campagna incentrata soprattutto sullo slogan “India Out” (Fuori l’India) in cui definiva l’enorme influenza di Nuova Delhi una «minaccia per la sovranità» dello stato insulare. Dopo la vittoria di Muizzu, sostenuto dal Progressive Party of Maldives (PPM) e dal People’s National Congress (PNC) il governo di Malé ha chiesto ai 75 militari indiani di stanza alle Maldive di abbandonare il paese, tentando al tempo stesso di incrementare gli investimenti di aziende cinesi .
Rafforzando i legami con le Maldive, la Cina sta ponendo le basi per un aumento della propria egemonia economica e politica nell’area dopo aver già fatto lo stesso con lo Sri Lanka, anch’esso allontanatosi da Nuova Delhi. Tradizionalmente le Maldive, pur essendo un paese a maggioranza islamica, è rimasto nell’orbita politica, economica e militare della vicina India prima di un avvicinamento a Pechino iniziato nell’ultimo decennio e consolidatosi rapidamente. Stando ai dati della Banca Mondiale, la Cina è il primo creditore delle Maldive con 1,4 miliardi di dollari, seguita a grande distanza da Arabia Saudita (124 milioni) e India (123 milioni).
All’inizio della settimana India e Maldive hanno convocato i rispettivi rappresentanti diplomatici dopo che il governo di Malé ha sospeso tre viceministri responsabili di aver diffuso commenti caustici nei confronti del premier indiano Narendra Modi. I tre esponenti dell’esecutivo maldiviano non hanno preso bene la visita del leader della destra induista indiana nell’arcipelago di Lakshadweep (note in Italia come Isole Laccadive), al largo della costa indiana del Malabar, allo scopo di promuovere il turismo nell’area, definendo Modi un “pagliaccio”, un “terrorista” e un “burattino di Israele”.
Il progetto di promozione turistica delle Lakshadweep sembra destinato al lancio su vasta scala di una meta tropicale domestica alternativa proprio alle Maldive, visitate ogni anno da molti facoltosi villeggianti indiani. – Pagine Esteri
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo Le Maldive mollano l’India e rafforzano i legami con la Cina proviene da Pagine Esteri.
Palestina, la pace attraverso il diritto. Hanno detto… a proposito del conflitto (7) l Pressenza
Understanding Body-Related Data Practices and Ensuring Legal Compliance in Immersive Technologies
Organizations are increasingly incorporating immersive technologies like extended reality (XR) and virtual worlds into their products and services, blurring the boundaries between the physical and digital worlds. Immersive technologies hold the potential to transform the way people learn, work, play, travel, and take care of their health, but may create new privacy risks as well. Many of these technologies rely on large amounts of data about individuals’ bodies, without which they would be less immersive, and in some cases couldn’t function at all.
Body-related data raises particular privacy risks, and leading organizations in the immersive technology space are adopting risk-based approaches for handling this type of data. Focusing on the risks—to the organization and to those impacted by the organization’s data practices—makes it easier not only to comply with the law but also to ensure more ethical data practices.
There are concrete steps organizations can take to ensure that body-related data is handled safely and responsibly. As part of their data protection strategies, organizations should:
- Understand their data practices: mapping these practices, specifying their purposes, and identifying all relevant stakeholders.
- Evaluate their legal obligations: analyzing existing legal obligations, as well as how they may change in the near future based on emerging trends.
- Identify risks to individuals, communities, and society: cataloging the features of their data and data practices that create greater risks.
- Implement best practices: operationalizing technical, organizational, and legal safeguards to prevent or mitigate the identified risks.
To guide organizations as they develop their body-related data practices, the Future of Privacy Forum created the Risk Framework for Body-Related Data in Immersive Technologies. This framework serves as a straightforward, practical guide for organizations to analyze the unique risks associated with body-related data, particularly in immersive environments, and to institute data practices that are capable of earning the public’s trust. Developed in consultation with privacy experts and grounded in the experiences of organizations working in the immersive technology space, the framework is also useful for organizations that handle body-related data in other contexts as well. This post will explore the first two stages of the risk framework: understanding an organization’s data practices, and evaluating legal obligations to ensure compliance.
I. Understanding how organizations handle personal data
The first step to handling body-related data is for organizations to understand how they handle personal data. Doing so will help them communicate these practices to their users, regulators, the general public, and other relevant stakeholders. Developing a comprehensive understanding of an organization’s data practices is also critical for identifying potential privacy risks and implementing best practices to mitigate them. Organizations should bring together experts from different teams to document how they collect, use, and onwardly transfer body-related data. The following steps help organizations conduct these processes effectively.
Create data maps of data practices, particularly in regard to body-related data
Data mapping is the process of creating an inventory of all the personal data an organization handles, including how it’s used, to whom it is transferred, and how long it is kept. While tools exist to assist organizations with data mapping, it is helpful to assign a designated person within an organization, such as a chief privacy officer or data protection officer, to be responsible for completing the data map. Data mapping also helps organizations in certain jurisdictions maintain compliance with legal obligations related to data practice documentation. Certain kinds of body-related data—such as data about people’s faces, hands, voices, and body movements—will be particularly relevant in immersive environments, and organizations operating in this space should pay special attention to them.
Document the purpose of each data practice
In order to determine which data practices are necessary, and which may be adjusted, organizations must be able to specify what goal or purpose each practice serves. Organizations might engage in a particular data practice for a variety of purposes: enabling relevant features or products, improving a product’s technical performance, facilitating targeted advertising, or customizing a user’s experience, to name a few. This documentation will help inform an organization’s evaluations of its privacy risks and legal obligations, and generate buy-in from business stakeholders within the organization by linking their interests to privacy compliance.
Identify all relevant stakeholders impacted by data practices
Evaluating an organization’s legal obligations and privacy risks requires key organizational leaders to understand which stakeholders are implicated—both as partners in data transfer agreements and as people impacted by the organization’s data practices. Organizations must understand the kinds of entities with whom they are transferring data, and who specifically within these third parties are handling the data. They should also understand who is impacted by their data practices, including data subjects or users as well as bystanders whose data may also be implicated. Special attention should be paid to individuals and communities whose data may raise additional legal or ethical considerations, such as children and teens, and people from historically marginalized or vulnerable communities.
II. Analyzing relevant legal frameworks and ensuring compliance
Once an organization has established a thorough understanding of its data practices, the next step in preparing to handle body-related data is to evaluate whether the enumerated data practices are in compliance with the law. Collecting, using, or transferring body-related data may implicate a number of issues under current U.S. privacy law. However, most existing regulations were not drafted with immersive technologies in mind. It can therefore sometimes be unclear how these rules apply to immersive technologies, and an organization’s obligations will depend on where it operates, what kind of data it handles and why, and the size and nature of the organization, among other factors.
To understand and comply with all existing obligations, organizations need to know the scope of data types covered by current laws, the requirements and rights that attach to them, and the unique considerations that may apply in immersive spaces and in regard to body-related data. Existing privacy laws in the U.S. apply, depending on jurisdiction, to body-related data involving personal, biometric, sensitive, health, and publicly available data, and organizations should pay special attention to the specific requirements under such laws.
Organizations dealing with these data types have certain legal obligations, including:
- Granting users access, correction, and deletion rights
- Providing opportunities to provide consent
- Avoiding “dark patterns” and manipulative or deceptive design
- Being transparent and providing notice to users
- Minimizing data collection and retention when necessary
- Conduct data protection impact assessments (DPIAs)
- Institute protections for kids and teens
2023 proved to be a significant year for state privacy laws, and new legislation and regulations will continue to impact the data privacy legal landscape. Organizations should keep an eye on the major areas for emerging legislation such as youth privacy and safety, as well as consumer health data. They should also monitor how emerging litigation impacts current requirements through interpreting current legislative language.
For more information on what organizations can do to ensure they handle body-related data safely and responsibly, stay tuned for the next post in our series, focusing on identifying risks and implementing best practices. For a comprehensive guide to body-related data practices in immersive technologies, see FPF’s Risk Framework for Body-Related Data in Immersive Technologies.
In Cina e in Asia – Dialogo aperto sul gasdotto Balticconnector danneggiato da un mercantile cinese
I titoli di oggi: Dialogo aperto sul gasdotto Balticconnector danneggiato da un mercantile cinese La corruzione colpisce anche il calcio Le aziende cinesi usano le schede grafiche dei videogames Nvidia per l’Ai Le Maldive a caccia di turisti cinesi Dialogo aperto sul gasdotto Balticconnector danneggiato da un mercantile cinese Dialogo costruttivo. È questo il risultato della videochiamata tra il presidente ...
L'articolo In Cina e in Asia – Dialogo aperto sul gasdotto Balticconnector danneggiato da un mercantile cinese proviene da China Files.
Dialoghi. La battaglia legale tra Temu e Shein
A dicembre la piattaforma di shopping online Temu ha fatto causa al brand di fast fashion Shein per “intimidazioni di stampo mafioso”, riaprendo una battaglia legale dopo neanche due mesi di tregua
L'articolo Dialoghi. La battaglia legale tra Temu e Shein proviene da China Files.
GAZA. Israele sul banco degli imputati alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
DI CRAIG MOKHIBER – PHYLLIS BENNIS – COUNTERPUNCH
(Pagine Esteri pubblica i punti principali dell’articolo)
Il 1948 fu un anno di tragica ironia. Quell’anno vide l’adozione sia della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che della Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, che insieme promettevano un mondo in cui i diritti umani sarebbero stati protetti dallo stato di diritto. Nello stesso anno, il Sudafrica adottò l’apartheid e le forze israeliane attuarono la Nakba, la violenta espropriazione di massa di centinaia di migliaia di palestinesi. Entrambi i sistemi facevano affidamento sul sostegno coloniale occidentale…
…Gli orrori della Nakba originaria si sono scontrati con decenni di assoluta impunità per Israele, alimentando ulteriore violenza. Ma questa volta, a tre decenni dal rovesciamento dell’apartheid in Sud Africa, la “Nazione Arcobaleno” post-apartheid sta prendendo l’iniziativa di sfidare l’assalto genocida di Israele. Il 29 dicembre, il Sud Africa è diventato il primo paese a presentare un ricorso all’alto braccio giudiziario delle Nazioni Unite, la Corte internazionale di giustizia, avviando un procedimento di genocidio contro Israele per “atti minacciati, adottati, condonati, commessi e perpetrati dal governo, dai militari dello Stato di Israele contro il popolo palestinese”.
Con dettagli strazianti e terrificanti, il documento di 84 pagine del Sud Africa descrive una litania di azioni israeliane come “di carattere genocida, poiché sono commesse con l’intento specifico richiesto… di distruggere i palestinesi a Gaza come parte del più ampio sistema nazionale, razziale, sociale palestinese. e gruppo etnico”.
Un terribile bilancio per i civili a Gaza e in Cisgiordania
Il 2023 è stato l’anno più sanguinoso nei territori palestinesi dalla distruzione della Palestina storica e dalla fondazione dello Stato di Israele.
Nella prima metà dell’anno, gli attacchi israeliani contro i palestinesi in Cisgiordania avevano già raggiunto il culmine, con ondate successive di arresti di massa, pogrom di coloni e attacchi militari contro città e campi profughi palestinesi, compresa la pulizia etnica di interi villaggi. Allo stesso tempo, milioni di civili a Gaza già soffrivano difficoltà insopportabili sotto un assedio imposto da Israele durato 17 anni.
Il 7 ottobre, i militanti con sede a Gaza hanno lanciato un attacco devastante contro obiettivi militari e civili israeliani e hanno sequestrato più di 200 militari e ostaggi civili. Con uno spaventoso atto di punizione collettiva di massa, Israele ha immediatamente tagliato tutto il cibo, l’acqua, le medicine, il carburante e l’elettricità ai 2,3 milioni di civili palestinesi intrappolati a Gaza. Poi è iniziata un’incessante campagna di annientamento attraverso massicci bombardamenti e attacchi missilistici, seguita da un’invasione a livello del suolo che ha portato resoconti scioccanti di massacri, esecuzioni extragiudiziali, torture, percosse e detenzioni di civili di massa.
Da allora sono stati uccisi a Gaza più di 22.000 civili , in stragrande maggioranza bambini e donne, insieme a un numero record di giornalisti e operatori umanitari delle Nazioni Unite rispetto a qualsiasi altra situazione di conflitto. Altre migliaia sono ancora intrappolate sotto le macerie, morte o morenti per ferite non curate, e ora altre muoiono per malattie dilaganti causate dalla negazione da parte di Israele di acqua pulita e assistenza medica, anche se l’assalto militare israeliano continua. L’85% di tutti gli abitanti di Gaza sono stati costretti a lasciare le proprie case. E ora la fame imposta da Israele sta prendendo piede .
Lo standard legale per il genocidio
Gli analisti del genocidio, gli avvocati, gli attivisti e gli specialisti dei diritti umani di tutto il mondo – non estranei alla crudeltà umana – sono rimasti scioccati sia dalla brutalità degli atti di Israele sia dalle sfacciate dichiarazioni pubbliche di intenti genocidari da parte dei leader israeliani. Centinaia di questi esperti hanno lanciato l’allarme genocidio a Gaza, sottolineando l’allineamento punto per punto tra le azioni di Israele e le intenzioni dichiarate dei suoi funzionari da un lato, e i divieti enumerati nella Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite dall’altro.
La richiesta sudafricana “condanna inequivocabilmente tutte le violazioni del diritto internazionale da parte di tutte le parti, compresi gli attacchi diretti contro civili israeliani e altri cittadini e la presa di ostaggi da parte di Hamas e altri gruppi armati palestinesi”. Ma ricorda alla Corte: “Nessun attacco armato sul territorio di uno Stato, non importa quanto grave – nemmeno un attacco che comporti crimini atroci – può, tuttavia, fornire alcuna possibile giustificazione o difesa per violazioni della [Convenzione sul genocidio] sia come una questione di diritto o di moralità”.
A differenza di molti aspetti del diritto internazionale, la definizione di genocidio è piuttosto semplice. Per qualificarsi come genocidio o tentato genocidio, sono necessarie due cose. In primo luogo, l’intento specifico dell’autore del reato di distruggere tutto o parte di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso identificato. In secondo luogo, la commissione di almeno uno dei cinque atti specificati volti a realizzare ciò.
La petizione del Sud Africa all’ICJ è piena di esempi chiari e terribilmente convincenti, che identificano le azioni israeliane che corrispondono ad almeno tre dei cinque atti che costituiscono genocidio quando collegati a intenti specifici. Queste includono l’uccisione di membri del gruppo, la causa di gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo e, forse più indicativo di uno scopo genocida, la creazione di “condizioni di vita calcolate per provocare la loro distruzione fisica”. Come documenta il Sudafrica, Israele ha mostrato al mondo, a livelli senza precedenti nel 21 ° secolo , quali sono queste condizioni.
Il Sudafrica fa riferimento a dozzine di dichiarazioni rilasciate da leader israeliani, tra cui il presidente, il primo ministro e altri funzionari di gabinetto, nonché membri della Knesset, comandanti militari e altro ancora.
Abituati a decenni di impunità sostenuta dagli Stati Uniti, i funzionari israeliani sono stati incoraggiati, descrivendo apertamente la loro intenzione di realizzare “un’altra Nakba”, di spazzare via tutta Gaza, di negare qualsiasi distinzione tra civili e combattenti, di radere al suolo Gaza, ridurlo in macerie e seppellire vivi i palestinesi, tra molte altre dichiarazioni simili.
Il loro linguaggio deliberatamente disumanizzante include descrizioni dei palestinesi come animali, sub-umani, nazisti, cancro, insetti, parassiti – tutto linguaggio progettato per giustificare l’eliminazione totale o parziale del gruppo. Il primo ministro Netanyahu è arrivato al punto di invocare un versetto biblico sull’Amalek, ordinando che “l’intera popolazione sia sterminata, che nessuno venga risparmiato, uomini, donne, bambini, lattanti e bestiame”.
Anche gli Stati Uniti potrebbero essere complici del genocidio di Israele
La petizione all’ICJ è fortemente incentrata sulle violazioni da parte di Israele della Convenzione sul genocidio. Non si occupa della complicità di altri governi, e soprattutto del ruolo degli Stati Uniti nel finanziare, armare e proteggere Israele mentre porta avanti i suoi atti genocidi.
Ma il ruolo attivo degli Stati Uniti nell’assalto israeliano, anche se non sorprende, è stato particolarmente scioccante. In quanto Stato parte della Convenzione sul genocidio, gli Stati Uniti sono obbligati ad agire per prevenire o fermare il genocidio. Invece, abbiamo visto gli Stati Uniti non solo venire meno ai propri obblighi di prevenzione, ma invece fornire attivamente sostegno economico, militare, di intelligence e diplomatico a Israele mentre era impegnato nelle sue atrocità di massa a Gaza.
In quanto tale, questo non è semplicemente un caso di inazione degli Stati Uniti di fronte al genocidio (di per sé una violazione dei suoi obblighi legali), ma anche un caso di complicità diretta – che è un crimine distinto ai sensi della Convenzione sul genocidio. Il Centro per i Diritti Costituzionali , a nome delle organizzazioni palestinesi per i diritti umani e dei singoli palestinesi e palestinesi-americani, ha intentato una causa presso la corte federale statunitense in California incentrata sulla complicità degli Stati Uniti negli atti di genocidio di Israele.
La denuncia del genocidio del Sudafrica è un grido di battaglia per la società civile.
In una situazione come questa, incorniciata dalla scioccante complicità occidentale da un lato e da un massiccio fallimento delle istituzioni internazionali alimentato dalla pressione degli Stati Uniti dall’altro, l’iniziativa del Sud Africa presso l’ICJ potrebbe avere un significato che va oltre la decisione finale della Corte.
Questo caso si inserisce nel contesto di una mobilitazione straordinaria di proteste, petizioni, sit-in, occupazioni, disobbedienza civile, boicottaggi e molto altro ancora da parte di difensori dei diritti umani, attivisti ebrei, organizzazioni religiose, sindacati e organizzazioni ad ampio spettro. movimenti negli Stati Uniti e nel mondo.
In quanto tale, questa mossa pone il Sudafrica, e potenzialmente la stessa Corte Internazionale di Giustizia, dalla parte della mobilitazione globale per il cessate il fuoco, per i diritti umani e per la responsabilità. Uno dei valori più importanti di questa petizione della Corte internazionale di giustizia potrebbe quindi essere il suo utilizzo come strumento per intensificare le mobilitazioni della società civile globale che chiedono ai loro governi di rispettare gli obblighi imposti a tutte le parti della Convenzione sul genocidio.
Com’era prevedibile, Israele ha già respinto la legittimità del caso davanti alla Corte. Fiducioso che gli Stati Uniti e i loro alleati non permetteranno che Israele venga ritenuto responsabile, il governo israeliano continua con aria di sfida il suo sanguinoso assalto a Gaza (così come alla Cisgiordania). Se Israele e i suoi collaboratori occidentali riusciranno ancora una volta a bloccare la giustizia, la prima vittima sarà il popolo palestinese. Allora la credibilità del diritto internazionale stesso potrebbe andare perduta come danno collaterale.
Ma l’azione della Corte Internazionale di Giustizia del Sud Africa ha aperto una crepa in un muro di impunità vecchio di 75 anni attraverso il quale una luce di speranza ha cominciato a risplendere. Se le proteste globali riuscissero a cogliere l’attimo per trasformare quella crepa in un portale più ampio verso la giustizia, potremmo vedere l’inizio di una reale responsabilità per i colpevoli, di un risarcimento per le vittime e di un’attenzione alle cause profonde della violenza a lungo trascurate: colonialismo di coloni, occupazione, disuguaglianza e apartheid.
Craig Mokhiber è un avvocato internazionale per i diritti umani ed ex direttore dell’ufficio di New York dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, che si è dimesso dal suo incarico nel 2023 e ha scritto una lettera ormai virale sul genocidio in corso e sui fallimenti delle Nazioni Unite. Phyllis Bennis è membro dell’Institute for Policy Studies e funge da consulente internazionale per Jewish Voice for Peace.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo GAZA. Israele sul banco degli imputati alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia proviene da Pagine Esteri.
Meta ignora il diritto degli utenti di revocare facilmente il consenso Se gli utenti di Instagram e Facebook vogliono revocare il loro consenso, devono acquistare un costoso abbonamento
reshared this
The Privacy Post likes this.
damtux
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •In diversi casi sono comunità molto piccole, quasi neonate, e diventate subito inattive perché il mod spesso era ancora l'unico a postare contenuti.....finché non è sparito.
like this
Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ likes this.
Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂
in reply to damtux • •damtux
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ likes this.
AnagrammadiCodeina
in reply to damtux • • •like this
Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ likes this.
damtux
in reply to AnagrammadiCodeina • • •ce ne sono altre che sono molto morte 😀 Intendevo molte delle community che sono verso il fondo della classifica su feddit.it (es Protezione Civile, Emergenza24 e altre simili)
Cucina e Ricette se la cavicchia ancora secondo me...anch'io quando posso posto lì.
Per questo tempo fa avevo proposto di allargare un po' la tematica all'alimentazione in generale, quindi compreso news su allerte alimentari, storia di alimenti, ricerche sull'alimentazione, ecc....
like this
Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ likes this.
Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂
in reply to AnagrammadiCodeina • •@AnagrammadiCodeina e allora dài dài dài! (cit) 😄
@damtux