GAZA. Delegazione italiana in Egitto: “Immediato cessate il fuoco e corridoi umanitari”
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Pagine Esteri, 4 marzo 2024. La delegazione organizzata da AOI (Associazione Ong Italiane), insieme ad Arci e Assopace Palestina, è arrivata in Egitto per chiedere l’immediato “cessate il fuoco” e l’apertura di corridoi umanitari che consentano di portare aiuti e far uscire le persone che necessitano di cure e supporto. La delegazione, che comprende operatrici e operatori umanitari, giornalisti e parlamentari, arriverà al Valico di Rafah, al confine con la Striscia. Dal Cairo, Meri Calvelli, cooperante italiana che da anni porta avanti progetti di sviluppo a Gaza. Pagine Esteri
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Gli USA non hanno morale da insegnare agli altri paesi del mondo. E il mondo se ne sta accorgendo.
P.A.C.E. Partito Alternativo per la Coabitazione Euroasiatica
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🔵 La vicenda di Julian Assange riguarda noi tutti. Non possiamo ignorarla. Non possiamo far finta di non vedere quanto sta accadendo per volere dei democratici e liberi governi occidentali. Per questo abbiamo deciso di ripercorrerla per intero all’interno del nuovo Monthly Report.
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L'indipendente
🔻Quella di Julian Assange è certamente una storia di giustizia e di coraggio, ma anche di una persecuzione politico-giudiziaria senza sosta, pianificata, progettata e realizzata paradossalmente dagli stessi paladini della democrazia e della libertà di espressione a livello globale: gli Stati Uniti d’America. […]
Era “solo” un drone. Il punto di Arditti
Nave Caio Duilio ha abbattuto un drone giunto a sei chilometri di distanza con aria minacciosa, nel corso della missione appena iniziata per la protezione delle vie di navigazione che passano per il Mar Rosso. Un drone certamente spedito dalle milizie Houthi, che operano sulle coste dello Yemen con il supporto tecnico e finanziario dell’Iran (e non solo).
L’atto di guerra difensiva viene oggi commentato con pacatezza dal ministro della Difesa in una lunga intervista sul Corriere della Sera, nella quale Guido Crosetto ricorda i limiti costituzionali in cui operano le nostre forze armate e poi però aggiunge, ancora una volta, un deciso appello alle nazioni europee affinché prendano con decisione la strada della difesa comune.
Tutto di buon senso, dunque, a cominciare dalle parole del ministro.
Però dobbiamo anche avere il coraggio di guardare le cose come stanno nel loro insieme, proprio a partire dall’episodio che ha coinvolto il cacciatorpediniere lanciamissili italiano, una delle unità di punta della nostra Marina Militare.
E allora se vogliamo fare questo esercizio fino in fondo dobbiamo dire che il ministro della Difesa dovrà prepararsi a molte occasioni di commento ad azioni che coinvolgono le nostre forze armate, perché nel futuro (quello prossimo, non quello lontano) lo scenario richiederà necessariamente un impegno massicciamente rafforzato.
Anzi, dico di più: l’episodio che oggi conduce Crosetto a una intervista di commento, episodio che oggi ci appare rilevante (è in prima pagina su tutti i giornali stamattina), ha buone possibilità di finire presto al posto giusto nella gerarchia delle notizie di carattere militare, cioè al fondo della classifica.
Un drone in volo verso una nave è certamente un atto ostile (sarebbe interessante capire di che tipo, sempre che esista questa informazione), ma è soprattutto un test, per vedere la reazione.
Nel mondo, infatti, è forte la convinzione che le forze armate dei Paesi europei sono pronte alle azioni militari “a distanza” (raccolta informazioni con ogni mezzo disponibile, supporto alla logistica, addestramento truppe, assistenza sanitaria, fornitura armamenti) ma assai meno in grado di operare in un teatro bellico reale e di ampia portata, cioè non circoscritto nel tempo e nello spazio (come sta accadendo in Ucraina e anche in Medio Oriente, per non parlare della Siria, della Libia e di varie zone dell’Africa).
Forze Armate cioè dotate di elevata capacità tecnologica e di personale ad alta specializzazione, ma fragili sotto il profilo dell’esperienza sul campo e anche della dotazione adeguata a operare per settimane o mesi in zona di combattimento, chiarito (per chi legge) che se vi è una certezza nelle guerre moderne (e ibride) è l’enorme consumo di materiali di ogni genere.
Allora è il caso di ribadire che il ministro dice cose sagge e lungimiranti.
Ma è anche il caso di ricordare che l’abbattimento di un drone da parte di una nave moderna (il sistema Paams disponibile su Caio Duilio e su Andrea Doria costa circa 200 milioni di euro) è tecnicamente poco più che ordinaria amministrazione.
Diventa eccezionale per forze armate sin qui relativamente poco abituate a operare.
Ma il futuro prossimo ha ottime possibilità (purtroppo) di essere assai diverso dal recente passato.
Il tempo stringe.
Solo contro
L'articolo Solo contro proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
L’Italia spara nel Mar Rosso. Roma è parte della difesa collettiva
Quello che accade nel Mar Rosso “dimostra quanto ci sia bisogno di essere concentrati su un quadrante fondamentale per i nostri interessi”, perché “lì passa il 15 per cento del commercio globale: in mancanza di questa rotta, passando per il Capo di Buona Speranza, rischiamo di avere un incremento del prezzo dei prodotti”. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando dal Canada – seconda tappa del tour nordamericano da leader annuale del G7 – parla del tema del giorno: l’Italia è tornata a sparare. Sabato pomeriggio, il cannone da 76mm della Caio Duilio ha abbattuto un drone nel Mar Rosso, uno di quelli di fabbricazione iraniana che da mesi la milizia yemenita Houthi utilizza per bersagliare il traffico commerciale tra Europa e Asia.
La connettività lungo le rotte indo-mediterranee è stata disarticolata di fatto, le condizioni di sicurezza depauperate, tempi (e dunque costi) delle spedizioni stanno già aumentando. Per l’Italia, che dalla guida del G7 intende dare particolare rilievo al tema “connettività”, è una questione di politica internazionale tanto quanto di sicurezza collettività – come già dimostrato nella riunione ministeriale sui Trasporti che ha anticipato in via eccezionale l’incontro del gruppo previsto a Milano, ad aprile, proprio per affrontare insieme la questione dei collegamenti euro-asiatici messi in crisi dagli Houthi.
“Gli attacchi terroristici degli Houti sono una grave violazione del diritto internazionale e un attentato alle sicurezza dei traffici marittimi da cui dipende la nostra economia. Questi attacchi sono parte di una guerra ibrida, che usa ogni possibilità, non solo militare, per danneggiare alcuni paesi e agevolarne altri”, spiega nel comunicato della Difesa il ministro Guido Crosetto, che già in passato, in occasione dell’audizione alla Commissione Esteri e Difesa del Senato aveva parlato di “guerra ibrida”, alludendo al fatto che gli Houthi hanno fornito a Mosca e Pechino un lasciapassare – garantendo che le navi russe e cinesi non sarebbero finite sotto i loro colpi.
Secondo le informazioni diffuse dalla Difesa, l’analisi del tracciato del drone yemenita dimostrava che si sta dirigendo verso il cacciatorpediniere lanciamissili italiano, il quale, valutata la telemetria, ha preferito l’uso del sistema Ciws, il cannone Super Rapido. Il drone era a 6 chilometri dell’imbarcazione della Marina. Già successo nei giorni scorsi qualcosa di simile alla tedesca Hessen – che ha a sua volta fatto fuoco, non senza aver rischiato prima di abbattere un drone americano – e alla francese Languedoc, da tempo impegnata in attività nella regione. Era dalla Seconda guerra mondiale che una nave italiana non veniva attivata in un confronto cinetico del genere.
È in questo contesto che l’Italia si avvia al passaggio parlamentare definitivo per dare effettivo mandato alle forze che Roma ha promesso alla missione “Aspides” – avviata dal 19 febbraio dall’Ue per proteggere la sicurezza collettiva lungo quelle rotte. Quando martedì inizierà la discussione in Senato, sui nostri legislatori peserà un’agenda europea: Bruxelles ha infatti affidato il ruolo di Force Commander all’Italia, e il Caio Duilio dovrà dirigere il teatro operativo. Il voto dovrà essere rapido, come fatto da altri partecipanti europei come Francia, Germania e Grecia, perché l’emergenza è in atto e gli assetti in acqua sono già impegnati in attività contro forze ostili. Dal cacciatorpediniere della Marina dipenderà il coordinamento generale, dunque il suo valore è cruciale.
Contestualmente, il Parlamento andrà anche ad autorizzare la guida italiana della missione EuNavFor “Atalanta”, per la lotta alla pirateria nell’Oceano Indiano occidentale, e della CTF 153, task force delle Combined Maritime Forces – forze multinazionali attive sempre nella stessa regioni a cui è ascritta l’operatività di “Prosperity Guardian”, operazione a guida americana pensata proprio come forma di difesa dagli attacchi degli Houthi, parallela a quella offensiva anglo-americano, “Poseidon Archer”.
Oltre al Caio Duilio, altri due assetti italiani saranno attivati nel quadrante, dove Roma proietta il suo interesse nazionale, in un contesto effettivamente delicatissimo che ha già comportato un impegno tecnico-militare pro-attivo. Contesto che potrebbe inasprirsi, perché gli Houthi sono abituati alla guerra guerreggiata almeno da un decennio e – nonostante gli attacchi a guida statunitense abbiamo in parte degradato le loro capacità di azione – non sembrano interessati a fermarsi.
I miliziani yemeniti, connessi al network internazionale dei Pasdaran, dicono di colpire i mezzi alleati d’Israele per difendere i palestinesi della Striscia di Gaza invasa, ma in realtà sfruttano l’occasione per darsi una standing internazionale da sfruttare al tavolo negoziale sulla guerra civile in Yemen (su cui hanno già ottenuto risultati). Anche questa sovrapposizione di interessi, oltre ai rischi ibridi espressi da Crosetto, rende chiaro il livello dell’impegno non-ordinario che l’Italia si trova davanti, dal quale però non può sottrarsi. A maggiore ragione in questo momento di centralità internazionale del governo Meloni – che ha l’occasione di essere Paese riferimento nel Mediterraneo.
#laFLEalMassimo – Roberto Redsox e altri eroi silenziosi
La scorsa settimana, in questa rubrica che parla di libertà ho tracciato un parallelo tra due
Eroi silenziosi Alexei Navalny e Giacomo Matteotti, auspicando che Putin possa fare la fine di Mussolini e sperando che non ci voglia una guerra mondiale per ottenere questo risultato.
In un periodo caratterizzato dal rumore mediatico e dalle distorsioni generate dalla
propaganda di regime è importante prendere una posizione chiara e senza ambiguità,
questa rubrica si schiera dalla parte dalla parte del popolo ucraino e di tutti coloro che in
Russia, si oppongo a un regime che minaccia la pace e la libertà di tutte le società aperte.
Si licet magnis componere parva in questo episodio vorrei parlare di un altro eroe silenzioso,
il tassista Roberto Redsox, che viene perseguitato perché ha l’ardire di affermare la verità e
rispettare la legge, in circostanze surreali, che sembrano tratte da un libro di Kafka e sono
indegne di una paese civile.
A qualcuno può sembrare esagerato parlare di eroe silenzioso e di coraggio a fronte della
pubblicazione di qualche post si social, ma siamo ancora una volta al dito che indica la luna:
Roberto si oppone a una prassi diffusa e incredibilmente tollerata e incoraggiata dalle
istituzioni, nel farlo si mette contro un’intera categoria e uno strato di popolazione ottuso,
conservatore e illiberale.
Ognuno di noi ha la possibilità nel quotidiano di dare un contributo proporzionato alle
circostanze in cui si trova, ma la maggioranza di noi preferisce voltarsi altrove, far finta di
niente, per pigrizia, indolenza, irresponsabilità. Mahatma Gandi ci invitava ad essere il
cambiamento che vogliamo nel mondo e Rooberto a suo modo lo sta facendo
La FLE al massimo si schiera senza ombra di dubbio dalla parte di tutte le battaglie di libertà
da quelle grandi come la resistenza eroica del popolo Ucraino e dei martiri come Navalny a
alle quelle piccole, ma non meno rilevanti degli eroi come Roberto Red Sox.
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Shakespeare racconta Dante
RASSEGNA PER I 460 ANNI DALLA NASCITA DI SHAKESPEARE
READING TEATRALE DI GIUSEPPE PAMBIERI E MICOL PAMBIERI
OLTRE AGLI AUTORI INTERVERRANNO
STEFANO CAMPAGNOLO, Direttore Biblioteca Nazionale Centrale di Roma
ANDREA CANGINI, Segretario Generale Fondazione Luigi Einaudi
ELENA CATOZZI, Biblioteca Museo Teatrale SIAE
GIANNI PITTIGLIO, Storico dell’arte e docente presso la Saf ICPAL
MODERA
MARIA LETIZIA SEBASTIANI, Responsabile Biblioteca della Fondazione Luigi Einaudi
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Tutti i rischi della disinformazione. Dall’IA agli impatti sulle elezioni
Nel solo 2023 ci sono stati quasi cinquecento milioni di account finti rimossi a livello globale. Solo in Italia, i contenuti segnalati come fake news sono stati oltre sette milioni, e 45mila sono stati quelli rimossi perché in violazione degli standard delle piattaforme su cui comparivano. Sono solo alcuni dei dati che danno il segno del peso che la disinformazione ha nell’epoca digitale presentati nel corso dell’evento Definanziare la disinformazione, promosso alla Camera dei deputati dal Comitato atlantico italiano e da Balkan free media iniative. “La disinformazione è ormai il secondo pilastro, dopo le armi, del confronto internazionale”, ha sottolineato l’onorevole Lorenzo Cesa, presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato e promotore dell’iniziativa. Per questo, ha continuato Cesa, “compito dei legislatori sarà aumentare le difese immunitarie del sistema Paese per resiste agli attacchi alla libertà e alla democrazia”. Una sfida che dovrà coinvolgere l’intera comunità internazionale, dato che tra l’altro a breve “quasi metà della popolazione mondiale andrà al voto; dobbiamo reagire facendo squadra”. Ci troviamo in una vera è propria “infodemia”, ha registrato Antoinette Nikolova della Balkan free media initiative, nella quale “le notizie girano a grande velocità, come i virus, e ne approfittano forze che vogliono influenzare le nostre opinioni per il loro interesse, che non è quello delle società democratiche”.
Ad illustrare i numeri è stato Alessio De Giorgi, responsabile comunicazione del Partito democratico europeo, che ha ripercorso l’evoluzione della minaccia della disinformazione all’interno delle nostre società. Proprio le prossime elezioni, in diversi Paesi, nell’Unione europea e le presidenziali degli Stati Uniti, dovrebbero allarmare circa l’urgenza di dotarsi di contromisure adeguate. “Le campagne di disinformazione hanno una proiezione molto reale” ha concordato l’avvocato Stefano Mele, del Comitato atlantico italiano, “durante il Covid è aumentato il consumo di vodka perché si pensava aiutasse contro il covid, e le fake news hanno avuto un impatto drammatico quando centinaia di cittadini hanno invaso il tempio della democrazia Usa a Capitol Hill”. La posta in gioco per le democrazie occidentali è allora “trovare il giusto equilibrio tra il contrasto alla disinformazione e la garanzia democratica della libertà di espressione” ha sottolineato il direttore di Formiche, Flavia Giacobbe, sottolineando come la “disinformazioni punti a disorientare le opinioni pubbliche, con una narrativa di sfiducia verso le istituzioni”.
Ma perché la disinformazione sembra essere così pervasiva? Una spiegazione sta anche nel sistema di finanziamento su cui le campagne di fake news si basano. Infatti, come ha spiegato Sarah Kay Wiley, del Check My Ads Institute, una società che controlla la pubblicità sul web, “la prima fonte di finanziamento dei media internazionali è la pubblicità”. Ma cosa succede quando le aziende vogliono fare pubblicità online? “A volte basta contattare le riviste online e, come per i media tradizionali, si ha la certezza di dove vanno a finire le Adv”. Invece a volte si possono usare algoritmi, che in base al monitoraggio delle proprie audience forniscono le pubblicità in maniera automatica “e spesso le aziende non sanno dove finisce la propria pubblicità” con il rischio che vadano a finanziare piattaforme di disinformazione. La credibilità di marchi riconosciuti, infatti, aumenta a sua volta la credibilità degli stessi siti che diffondono fake news.
Alcuni casi eclatanti di questo trend arrivano proprio dai Balcani, ha registrato Peter Horrocks, membro di Ofcom, l’ente regolatore delle comunicazioni britannico, e già direttore della Bbc. “Su alcuni media serbi e bulgari il 24 febbraio del 2022 girò la notizia che l’Ucraina aveva invaso la Russia. Recentemente, invece, in Serbia è girata la notizia che l’Occidente avesse ucciso Navalny”. Il problema è che notizie di questo genere possono avere un impatto profondo sulla fiducia delle istituzioni, ma definanziarle è molto complesso. “Nello spazio digitale è più difficile il controllo sulla qualità delle informazioni” ha detto ancora Horrocks. Questo richiederà una maggiore attenzione da parte delle aziende, che dovranno controllare dove finiscono le proprie pubblicità, e dei governi, che devono vigilare sulla trasparenza dei media nei loro Paesi.
In questo contesto si inserisce anche il Digital service act (Dsa) europeo che, come illustrato da Giacomo Lasorella, dell’Agcom, ha inserito delle linee guida per procedere a un assessment del rischio da parte delle piattaforme della diffusione di informazioni false o rischiose per il discorso pubblico. Le piattaforme, per esempio, sono chiamate ad avere personale adeguato a fare fact checking, gli account devono essere riconoscibili, e i messaggi politici a pagamento bene evidenziati. Altro problema rilevante è l’impatto dell’intelligenza artificiale nella diffusione di false notizie, come il deep fake. L’obiettivo del prossimo futuro, allora, è “togliere acqua a disinformazione e aumentarla all’informazione di qualità”, ha registrato Alberto Baracchini, sottosegretario di Stato con delega all’informazione e all’editoria.
Crisi russo-ucraina, è tempo di decidere. L’analisi del gen. Del Casale
A due anni di distanza dall’attacco russo al territorio ucraino, è possibile ipotizzare un’uscita dalla crisi? E in che modo? Gli scontri si sono cristallizzati su un fronte dal quale è difficile progredire. Gli ucraini lamentano carenze nelle scorte, soprattutto di munizioni. Se, infatti, Corea del Nord, Iran e Cina alimentano con continuità l’arsenale russo, forti di un sistema industriale organizzato per la produzione bellica, il sostegno occidentale all’Ucraina dà invece segni di stanchezza. Biden deve fronteggiare il Congresso che blocca gli aiuti militari.
L’Unione europea ha invece liberato altri cinquanta miliardi di euro a favore di Kiev, varando anche il tredicesimo pacchetto di sanzioni contro il governo russo. Ma le difficoltà dell’Occidente sono molteplici. Tutti i paesi, ad esclusione degli Usa, hanno dato fondo alle scorte di ricambi e di munizioni – soprattutto di artiglieria e missili –, al punto da risultare difficile ripristinare i livelli minimi, a causa di bilanci che non tengono conto della “doppia esigenza” e di un sistema industriale che non fa riferimento a un’economia di guerra.
Il 2024 ci dirà molto sul futuro. A giugno, si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Anche se dovesse prevalere una politica più attenta al rispetto delle sovranità statuali dei paesi membri, l’Ue sosterrà sempre Kiev. Ma è anche l’anno delle presidenziali negli Stati Uniti. E sarà, quasi certamente, ancora una volta un confronto tra Donald Trump e Joe Biden. Qualora il presidente uscente dovesse essere confermato, il governo di Kiev potrà ancora contare sul sostegno occidentale e su quello americano, in particolare.
Putin sarebbe indotto a dialogare, di fronte a perdite sempre più pesanti (ad oggi, quelle di Mosca sono stimate in non meno di 120mila morti) e senza aver perseguito tutti gli obiettivi dichiarati: liberazione del Donbass, abbattimento del governo “neonazista” di Zelensky e, non ultimo, conquista militare dell’intera costa del mar Nero, sino al ricongiungimento con la Transnistria, la provincia russofona della Moldavia, dalla quale anche in questi giorni continuano a levarsi invocazioni di intervento della “madre” Russia. Dal canto suo, Trump ha ripetutamente dichiarato che con lui presidente la crisi russo-ucraina terminerebbe nel giro di 24/48 ore, lasciando intendere che non vi sarebbe più spazio per gli aiuti militari a Kiev, senza perdere l’occasione per bacchettare gli alleati che dovrebbero iniziare a badare da soli alla loro Difesa: pura sinfonia alle orecchie di Putin. Un tavolo della trattativa non può aprirsi senza considerare la situazione sul campo.
La Russia fa quadrato attorno al mantenimento dei territori occupati. Rientrare nei confini ante 24 febbraio significherebbe perdere la guerra. Uno smacco gravissimo. Lo stesso Putin vedrebbe minacciato il proprio orizzonte politico e non solo. Di contro, una vittoria russa creerebbe le premesse per una spinta egemonica sia verso i paesi dell’ex Patto di Varsavia, ora nella Nato, a partire dall’area baltica, sia a est, verso gli Stati centroasiatici a forte presenza russofona.
Il tutto, per riaffermare l’autorità di Mosca su un suo spazio post-zarista. Sul fronte ucraino, innanzi al 20% del territorio occupato e a un discontinuo supporto occidentale, ritenere di poter sfondare le linee russe e riguadagnare i confini originari appare velleitario. Negli stessi ambienti occidentali viene da tempo invocata la “pace giusta”, ma nessun leader politico osa più sbilanciarsi definendone i contenuti. Nella recente riunione del G7, tenutasi a Kiev, la presidente Meloni ha ribadito come l’Ucraina sia “un pezzo della nostra casa” e che “faremo la nostra parte per difenderla”, ma gli interrogativi sul futuro degli Stati Uniti e dei rapporti con gli alleati suscitano incertezze.
Macron, assente a Kiev, ha persino ipotizzato un impiego di soldati Nato in Ucraina restando però isolato tra gli alleati. Affermazioni apparse più come un tentativo per recuperare influenza sull’Occidente, avendone persa sulle ex colonie africane. Dopo le armi, ora deve parlare la diplomazia. È importante che Kiev inizi a lavorare per una pace accettabile. Un punto fondamentale è l’eventuale adesione dell’Ucraina alla Nato, considerata dalla Russia una minaccia diretta alla propria sicurezza. Questo non va ignorato, ma può certamente diventare un’opzione nel caso di futuri atteggiamenti ostili verso l’Occidente.
Altro è l’ingresso nella Ue, dato ormai per scontato e persino non escluso da parte russa. Ma quando arriverà il momento, si dovranno verificare tutti quegli indicatori utili a fornire garanzie in termini di democraticità, di lotta alla corruzione e di tutela dei diritti umani nei confronti della popolazione. Non è né semplice né scontato, se solo guardassimo le vicissitudini interne ucraine negli ultimi vent’anni. Certo, la guerra, con le sofferenze che comporta, stende sempre una coltre di oblio. Ma occorre tenere a mente il recente passato e applicare le regole, con coerenza e senza isterismi.
Se a questi mancano le basi (militari)... l Contropiano
"Il problema non è cosa è la Russia, il problema è cosa stiamo diventando noi. Se non si chiudono le basi militari USA e se non si esce da quell'organizzazione criminale internazionale che, dal dopoguerra in poi, ha soltanto seminato morte, distruzione e miseria (NATO), ogni nuovo o vecchio partito, ogni programma politico, ogni movimento di opinione è/sarà semplice operetta, avanspettacolo."
News da Marte #26 I Coelum Astronomia
"In questa puntata riprendiamo la ricostruzione degli eventi che hanno portato al termine della missione di Ingenuity con nuove immagini e nuovi video."
Su Kiev trionfa l’Europa dei ragionieri
L’unica cosa peggiore del dividersi fra alleati, nel momento più drammatico di una guerra, è il farlo pubblicamente. E l’unica cosa peggiore del dividersi pubblicamente, di fronte a una minaccia che di comune accordo viene definita «esistenziale», è il gestirla come fosse un problema contabile. Eppure, di fronte all’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina e all’ordine internazionale, i governi europei stanno riuscendo a inanellare tutti questi errori con stupefacente naturalezza. Rientra senz’altro in questa categoria l’ultima uscita di Emmanuel Macron. Lunedì il presidente francese si è rifiutato di escludere un impegno dei militari europei in Ucraina contro la Russia, ma lo ha fatto senza prima aver costruito neanche un embrione di consenso su un’idea dirompente come sfidare sul campo di battaglia la seconda superpotenza nucleare del pianeta. Così, in un colpo solo, Macron è riuscito in una serie di evitabili sbandate. Ha esposto le divisioni fra i Paesi europei, ma soprattutto la loro confusione strategica quanto alla risposta da dare a Vladimir Putin. Ed ha esposto se stesso ad accuse di ipocrisia da parte degli altri governi, perché la Francia non sembra affatto primeggiare in Europa per il sostegno all’Ucraina.
Secondo i dati riportati dal Kiel Institute for the World Economy, gli aiuti francesi a Kiev varrebbero in totale 640 milioni di euro: in valore assoluto, circa la metà di quelli della Repubblica Ceca; in percentuale alle dimensioni dell’economia, il totale del sostegno di Parigi all’Ucraina sarebbe inferiore a quello dell’Ungheria filorussa di Viktor Orbán. Va aggiunto qui per onestà che, secondo lo stesso istituto di Kiel, il sostegno militare italiano all’Ucraina sarebbe di appena 30 milioni di euro superiore a quello di Parigi; e che la Germania in due anni ha fornito dieci volte più aiuti di Italia e Francia, in proporzione alle dimensioni delle rispettive economie. A Roma si contestano queste cifre, osservando che esse non terrebbero conto di certi aiuti che il governo italiano preferisce non rendere noti. Ma, anche così, incolpare il Congresso americano perché tiene bloccato il pacchetto da 60 miliardi di dollari per Kiev sarebbe ipocrita: i nodi europei ormai vengono al pettine, impossibili da dissimulare.
Prendiamo quel che è accaduto mercoledì a Bruxelles fra gli ambasciatori dei Ventisette. Si discuteva dello «Ukraine Assistance Fund», un fondo da cinque miliardi l’anno per comprare armi da dare a Kiev. Servono, urgentemente, tre milioni di proiettili da 155 millimetri all’anno. È il razionamento in Ucraina di queste munizioni che spiega le recenti avanzate russe. Il problema è che in Europa — per ragioni che spiegheremo tra un attimo — mancano i proiettili da comprare. Mercoledì Italia e Olanda hanno dunque proposto di usare i fondi europei per comprare al più presto pezzi da 155 millimetri sul mercato mondiale, in modo da mandarli a Kiev prima che sia tardi. La proposta non è passata: la Francia si è opposta. Il motivo? Dovremmo comprare solo munizioni «made in the EU», cioè spesso «in France», perché va costruita l’«autonomia strategica» dell’industria europea della difesa: obiettivo in sé nobile, peccato che nel frattempo l’Ucraina viene distrutta dall’artiglieria russa. Usare una tragica guerra come strumento di politica industriale non sembra un colpo di genio. Ma prendersela con i protagonismi di Macron sarebbe troppo facile, perché gli errori sono di tutti. Italia e Germania incluse.
Berlino, quanto allo «Ukraine Assistance Fund», sembra ossessionata da un astruso problema di contabilità del suo contributo. E l’Italia è fra i governi che hanno insabbiato a Bruxelles l’idea di dare priorità all’invio di munizioni a Kiev, rispetto alle spedizioni già concordate verso Paesi terzi. La Commissione Ue si era persino offerta di pagare lei stessa le penali, in caso di problemi sui contratti per forniture in ritardo a governi lontani (spesso, del Golfo). Invece l’interesse commerciale immediato ha prevalso – «teniamoci buoni nostri clienti» – quindi quasi metà delle munizioni europee continua a partire per continenti lontani, mentre l’Ucraina sanguina. Difficile perseguire degli obiettivi strategici, quando prevalgono le frasi grandiose, gli approcci ragionieristici, i calcoli commerciali. Correttamente, i governi europei definiscono «esistenziale» la minaccia di Putin e vogliono contrastarla. È ora di mettere più coerenza fra le parole, le photo opportunity e gli atti. Non è tardi per riuscirci.
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Le novità dell’Esercito Usa. Ecco le task force multi-dominio
Lo US Army ha pubblicato i progetti che modificheranno la struttura delle sue forze. La motivazione di questo sviluppo è il bisogno di abbandonare la struttura ideata per affrontare guerre di counter-insurgency e operazioni peacekeeping per focalizzarsi sul combattere guerre su larga scala contro avversari di un simile livello tecnologico. Ad oggi, l’esercito americano, soffre di un divario tra la dimensione per cui era stata modellato, 494mila uomini, e la sua dimensione permessa dal congresso, 445 mila. Il primo obiettivo è di aumentare il numero di effettivi a 470mila riducendo la dimensione ideale ma, in pratica, aggiungendo 25mila nuove posizioni alle forze di terra americane entro il 2029. Facendo congiungere il numero ideale e le dimensioni effettive la US Army potrà assicurarsi di avere sempre un livello adeguato di combat readiness.
Le Multi-domain task forces
La prima rivoluzione sarà la strutturazione definitiva delle cinque Task force multi-dominio (Multi-domain task force, Mdtf). Queste unità, nate nel 2017, sono lentamente aumentate di numero, fino alle cinque definitive di oggi, venendo schierate nei teatri europei e asiatici. Il concetto dietro quest’unità è di sviluppare un raggruppamento di forze mobile e di dimensioni ridotte capace di emanare e rispondere a minacce su tutti i domini dello scontro, dallo spazio a quello terrestre passando per il cyber e l’elettromagnetico. L’ammiraglio Harry Harris riassunse la funzione delle Mdtfs dicendo che dovevano “affondare navi, neutralizzare satelliti, abbattere missili e aeroplani e hackerare o interferire con le abilità di command and control del nemico”. Nel futuro le Mdtfs saranno composte da un centro di comando con un suo battaglione, un battaglione di effetti multi-dominio, un battaglione di fuoco a lungo raggio, un battaglione di protezione dal fuoco indiretto (Ifcp) e un battaglione di supporto alla brigata.
La ristrutturazione del personale
Nel contesto di ristrutturazione la US Army modificherà anche la sua distribuzione di uomini eliminando le figure che erano incentrate sulle capacità counter-insurgency, ricollocando i soldati che coprivano quei ruoli in posizioni più adatte al nuovo concetto di esercito. Ad esempio, le forze speciali verranno ridotte di circa tremila uomini, ciò avverrà andando ad eliminare le posizioni, oggi scoperte, che, storicamente, risultano più difficili da occupare. L’obbiettivo è, però, di ridurre i numeri delle forze speciali conservando, al contempo, le capacità operative attualmente disponibili. Inoltre, molti ingegneri, appartenenti a battaglioni per le operazioni di counter-insurgency, verranno spostati al livello divisionale formando, così, una riserva strategica impiegabile dal comando nelle operazioni su larga scala a cui la US Army prevede di prendere parte.
Le capacità antiaeree
Dal punto di vista organizzativo e dell’equipaggiamento il focus sarà sull’incremento delle capacità antiaeree dell’esercito americano. Verranno aggiunti quattro battaglioni Ifcp per potenziare le capacità a medio e corto raggio di abbattere Uav, missili e colpi di mortaio. Verranno aggiunte nove batterie di difesa contro gli Uav sia ai battaglioni Ifcp che a quelli antiaerei delle divisioni. Inoltre, verranno creati quattro nuovi battaglioni Maneuver short range air defense (M-Shorad) per rispondere a minacce aeree ad ala rotante e fissa e agli Uav.
Il sistema di reclutamento
Infine, la US Army vuole professionalizzare e razionalizzare le sue forze di reclutamento. Il primo obbiettivo sarà ottenuto aumentando il numero di laureati all’interno del US Recruiting command, facendolo arrivare ad un terzo del totale entro il 2028. Il secondo, invece, si otterrà rendendo il Recruiting command un comando a tre stelle che controlla le cinque brigate di reclutamento, il comando dei cadetti dell’esercito e l’Army’s enterprise marketing office rispondendo direttamente al segretario e al capo di Stato maggiore dell’Esercito.
Le ragioni dei cambiamenti
Questi sviluppi sono il prodotto dell’esperienza russa in Ucraina che, come dichiarato dalla pubblicazione stessa, ha dimostrato la necessità di rimodellare l’esercito verso il combattimento di guerre convenzionali. Anche l’enorme attenzione data alle capacità antiaeree è un prodotto dei recenti sviluppi, dato il ruolo centrale dei droni nelle operazioni in Ucraina, e della crescente minaccia dell’arsenale missilistico di Pechino. Le riforme al corpo di reclutamento, invece, sono la conseguenza delle difficoltà dell’esercito nel raggiungere i suoi obbiettivi di personale qualificato. Le Mtdfs rappresentano un’unità costantemente pronta a impiegare e rispondere a ogni tipo di minaccia sul campo di battaglia. Solo il battesimo del fuoco potrà mostrare se le Mtdfs rispetteranno le aspettative.
APPELLO. Gaza. Basta sangue sui nostri giubbotti
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COMUNICATO
A seguito dell’appello sulla libertà di informazione a Gaza che in pochi giorni ha raggiunto quasi mille firme di operatori di media e l’adesione di numerose organizzazioni, ci troveremo per un sit-in di denuncia 1 MARZO ore 11.00 in VIA DI SAN NICOLA DE’CESARINI (area sacra di Largo Argentina) per ricordare tutti i giornalisti uccisi nella guerra a Gaza e chiedere di cessare il fuoco.
In quattro mesi di guerra i giornalisti palestinesi sono stati decimati impunemente: hanno perso la vita almeno 123 giornalisti e operatori dei media [ifj.org/war-in-gaza] e molti altri sono feriti, arrestati o dispersi.
Il bilancio delle vittime è senza precedenti. Colpire i giornalisti mentre svolgono il loro lavoro di documentazione è un crimine di guerra. Impedire che i crimini di guerra vengano raccontati da voci indipendenti è un crimine contro l’Umanità.
La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha ordinato a Israele di “prendere tutte le misure in suo potere per smettere di uccidere i palestinesi, in violazione della Convenzione sul genocidio”.
Oggi di nuovo e con forza condanniamo le uccisioni e i continui attacchi su giornalisti e altri operatori dei media, e sosteniamo indagini indipendenti e immediate sulla loro morte, ferimento, detenzione o sparizione.
Invitiamo inoltre le nostre istituzioni a fare pressioni in tutte le sedi competenti, per porre fine a questa strage e alla continua violazione dei diritti umani, alla luce e in coerenza con la mozione sul cessate il fuoco approvata in Parlamento.
Durante il sit-in si alterneranno al microfono firme del giornalismo, fotoreporter, fixer, videomaker, producers, editors, analisti.
Invitiamo tutte e tutti coloro che operano nei media a partecipare per difendere la libertà di stampa senza rischiare la vita.
ADERISCONO
Amnesty International, Italia
ANAC, Associazione Nazionale Autori Cinematografici
AOI Associazione delle ong italiane
Assopace Palestina
Atlante delle Guerre e Conflitti nel Mondo
Articolo 21
100 autori Associazione dell’Autorialità Cinetelevisiva
COSPE Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti
DIG Association, DIG Festival
Doc/it Associazione Documentaristi italiani
FNSI, Federazione Nazionale Stampa Italiana
Free Assange, Italia
GV Press, Italian Videomaker association
LEA Laboratorio Ebraico Antirazzista
Pressenza, Agenzia di Stampa internazionale
Rete NoBavaglio Liberi di essere informati,
Unimondo.org
Pagine Esteri
Un Ponte Per, Associazione per la solidarietà internazionale
USIGRAI, Sindacato Giornalisti Rai -Radiotelevisione Italiana,
Associazione Disciplinare CONSCOM, Press group Agency
WGI – Writers Guild Italia
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Elettronica ed elicotteri. Così Leonardo chiude il 2023
È la componente europea dell’elettronica per la difesa e sicurezza, insieme alla tradizionale buona performance degli elicotteri, a trainare i numeri di Leonardo per il 2023. Lo certifica l’analisi preliminare della performance per l’anno scorso completata dal consiglio di amministrazione del gruppo di piazza Monte Grappa, evidenziando una performance addirittura superiore a quella prevista dalla Guidance dalla società. Leonardo presenterà i dettagli relativi alla performance del 2023 in occasione dell’approvazione del bilancio prevista per l’11 marzo 2024.
I numeri
Il Gruppo prevede di chiudere l’anno con ricavi ed Ebita in linea con quelli della Guidance e ordini addirittura al di sopra. Spiccano in particolare dell’elettronica per la difesa e sicurezza. Nel comparto elicotteristico, la crescita commerciale è ancor più rilevante considerando che gli ordini del 2022 riflettevano quello maxi ricevuto dalla Polonia relativo agli elicotteri AW149. Sul fronte finanziario si registra il miglioramento del flusso di cassa operativo (Focf) pari a circa 635 milioni di euro, una crescita del 17% rispetto all’anno precedente. Crescono anche i ricavi, che hanno accelerato a 15,3 miliardi (+3,9%). L’ebitda, ovvero il margine operativo dell’azienda, è stato pari a 1,29 miliardi (+3,9%). Ma le buone notizie non sono finite. Al netto delle poste in crescita, c’è infatti da registrate un contenimento del debito, sceso a due miliardi e 323 milioni, in ripiegamento del 23% sul 2022 e in linea con il trend indicato nei piani industriali del gruppo.
Riduzione dell’indebitamento
Non è tutto. L’Indebitamento netto di Gruppo continua a ridursi, con un miglioramento del 23% rispetto al 2022, e si attesta a € 2,3 miliardi, grazie alla significativa generazione di cassa e alle cessioni dei business di Leonardo Drs (la vendita del business Global Enterprise Solutions a Ses per un importo pari a 450 milioni di dollari, ndr) che hanno permesso a Leonardo di ridurre l’indebitamento e al tempo stesso rafforzare il core business.
Il commento
Soddisfatto l’amministratore delegato Roberto Cingolani, alla guida di Leonardo da maggio del 2023. “Andamento commerciale nei diversi business, flessibilità finanziaria, politica disciplinata dei costi e degli investimenti sono alla base dei risultati positivi raggiunti.”, ha esordito, commentando i conti del gruppo. “Le performance ottenute stanno riscontrando un apprezzamento anche da parte delle principali agenzie di credit rating e il giudizio di investment grade ne è esemplificativo”.
In Cina e Asia – Gli Usa aprono indagine sulle auto cinesi. "Minacciata la sicurezza nazionale”
I titoli di oggi: Gli Usa aprono indagine per verificare se le auto cinesi sono una minaccia alla sicurezza nazionale Accordi Australia-Filippine. Marcos: “Fermo nella difesa della sovranità nazionale” Chip, assolta azienda cinese accusata di furto di proprietà intellettuale dal Dipartimento del Commercio americano Rapporto think tank Usa: in crescita la presenza militare cinese nel Mar cinese meridionale Kim Jong ...
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lindipendente.online/2024/03/0…
Meloni da Biden e Trudeau in vista del G7: confronto su Gaza, Kiev, Africa e IA - L'INDIPENDENTE
È atterrata oltreoceano la premier Giorgia Meloni che, in veste di presidente di turno del G7, prosegue la visita nelle capitali del gruppo in vista del summit di giugno in Puglia.Iris Paganessi (Lindipendente.online)
imolaoggi.it/2024/03/01/pentag…
Pentagono: "Se Kiev perde, la Nato combatterà contro la Russia" • Imola Oggi
"Sappiamo che se Putin avrà successo non si fermerà. Continuerà a essere più aggressivo nella regione. E altri leader in tutto il mondo, altri autocratiImola Oggi
Provvedimenti da copiare: il Presidente USA Biden emetterà un ordine esecutivo che si pone l’obiettivo di proteggere i dati personali degli americani dagli abusi dei Paesi che vengono identificati come a rischio.
L’ordine consente al Procuratore generale di impedire il trasferimento su larga scala dei dati sensibili, come quelli genomici, biometrici, sanitari, di localizzazione e finanziari. Questi dati possono essere usati per tracciare le persone, violare la loro privacy e consegnarli anche a servizi di intelligence stranieri. Le aziende raccolgono una quantità enorme di dati che possono essere venduti e finire nelle mani di governi o servizi segreti stranieri, con rischi significativi per la privacy e la sicurezza nazionale, specialmente per i militari.
L’ordine esecutivo di Biden rappresenta una delle azioni più significative mai intraprese per proteggere i dati degli americani.
whitehouse.gov/briefing-room/s…
FACT SHEET: President Biden Issues Executive Order to Protect Americans’ Sensitive Personal Data | The White House
Today, President Biden will issue an Executive Order to protect Americans’ sensitive personal data from exploitation by countries of concern.The White House
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NYT: “In Ucraina 12 basi della CIA”. Von der Leyen: “guerra non impossibile”
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di Marco Santopadre
Pagine Esteri, 1 marzo 2024 – La Central Intelligence Agency ha creato dodici basi segrete in Ucraina per spiare «i movimenti delle forze armate russe». A diffondere la notizia non è stato né qualche organo di stampa putiniano né qualche sito web complottista, bensì il New York Times, uno dei più autorevoli quotidiani statunitensi.
Secondo un lungo reportage firmato dal due volte vincitore del Premio Pulitzer Adam Entous e dal giornalista d’inchiesta Michael Schwirtz, la CIA ha realizzato dodici diverse basi in altrettanti bunker sotterranei al confine con la Federazione Russa, nascosti nei boschi e dotati delle apparecchiature elettroniche più sofisticate.
Operazione Goldfish
Il programma – ribattezzato “Operazione Goldfish” – sarebbe stato approvato e gestito da tre diverse amministrazioni – quelle di Obama, Trump e Biden – e sarebbe stato applicato già a partire nel 2016. Il reportage del New York Times si basa su 200 interviste e conversazioni e sulle rivelazioni di alcuni agenti e funzionari ucraini, tra i quali Ivan Bakanov, ex capo dell’SBU, i servizi segreti interni di Kiev.
Dal reportage emerge, in generale, che i servizi statunitensi hanno non solo collaborato, ma di fatto ricostruito, finanziato, addestrato e guidato passo dopo passo le agenzie di intelligence ucraine in funzione antirussa. Tra gli agenti addestrati dai servizi statunitensi ci sarebbe anche Kyrylo Budanov, prima messo a capo di un’unità speciale destinata a catturare droni russi per tentare di decodificare i sistemi di crittografia di Mosca e poi scelto per comandare lo spionaggio militare di Kiev.
Quando all’inizio del 2022 la Casa Bianca ordinò l’evacuazione del personale statunitense in Ucraina, poco prima l’inizio dell’invasione russa, nel paese rimase comunque un gruppo di agenti della Cia, di base in una località non rivelata dell’Ucraina occidentale (oltre a un consistente gruppo di consiglieri militari statunitensi e di altri paesi della Nato, circostanza nota per quanto mai ammessa esplicitamente dai vari governi occidentali). Poche settimane più tardi, una volta chiaro che i russi non sarebbero riusciti ad occupare Kiev e ad insediare un governo fantoccio, molti degli agenti e dei tecnici americani che avevano lasciato il paese tornarono nel paese e furono schierati nelle basi ucraine.
Una postazione ucraina
I servizi ucraini dipendono dalla CIA
Dal reportage emerge che i servizi ucraini sono di fatto un’estensione di quelli statunitensi (e di quelli britannici), senza i quali avrebbero assai poche possibilità di competere con quelli russi. Come scrive il reportage, sono la CIA e altre agenzie di intelligence statunitensi a fornire agli ucraini le «informazioni per attacchi missilistici mirati, tracciano i movimenti delle truppe russe e aiutano a sostenere le reti di spionaggio».
Il governo e i comandi militari ucraini temono ora, dopo l’allentamento del sostegno statunitense, che Washington tiri i remi in barca e abbandoni Kiev. Il precedente afghano è il peggiore incubo di Zelensky e dei suoi più stretti collaboratori. Forse è per rassicurare il presidente ucraino che la scorsa settimana il direttore della CIA, William Burns, ha compiuto il decimo viaggio a Kiev dall’inizio dell’invasione.
Lo scontro tra Nato e Russia sempre più vicino
Con l’improvviso annuncio delle dimissioni per motivi di salute del leader dei Repubblicani al Senato di Washington, Mitch McConnell, Zelensky perde ora anche l’unico influente sostenitore del sostegno militare all’Ucraina nel partito di Donald Trump.
Il parziale disimpegno statunitense ha convinto il presidente francese Emmanuel Macron a proporre ai partner occidentali un’operazione congiunta e volontaria per inviare truppe nel paese, allo scopo di contrastare l’avanzata russa che, dopo la presa di Avdiivka, prosegue spedita soprattutto in Donbass.
Macron, spiazzando i partner dell’Unione Europea e della Nato e suscitando la contrarietà degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica, con la sua provocazione pensa probabilmente di soffiare a Washington la leadership del fronte antirusso, ruolo che nei fatti non è preparata a sostenere.
Anche se – come è probabile – né la Francia né altri paesi occidentali daranno seguito alla suicida proposta di Macron, l’asticella dello scontro con Mosca si è nuovamente alzata, superando decisamente il livello di guardia.
L’Europarlamento vota guerra a oltranza
Da parte sua, nel corso di un intervento al parlamento europeo, la presidente della Commissione Europea, ieri la tedesca Ursula von der Leyen, ha chiesto più armi e più spese militari ed ha avvertito che «la guerra (con la Russia) non è imminente ma non più impossibile».
Dopodiché la maggioranza degli eurodeputati – ben 451 voti favorevoli, 46 contrari e 49 astensioni – ha votato una risoluzione che impegna i governi a sostenere militarmente l’Ucraina, stanziando allo scopo almeno lo 0,25% del proprio Pil, fino alla riconquista di tutti i territori occupati da Mosca, Crimea compresa. Un obiettivo che anche Washington, da tempo, considera inattuabile e velleitario. Pagine Esteri
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Future of Privacy Forum Awarded National Science Foundation and Department of Energy Grants to Advance White House Executive Order on Artificial Intelligence
The Future of Privacy Forum (FPF) has been awarded grants by the National Science Foundation (NSF) and the Department of Energy (DOE) to support FPF’s establishment of a Research Coordination Network (RCN) for Privacy-Preserving Data and Analytics. FPF’s work will support the development and deployment of Privacy Enhancing Technologies (PETs) for socially beneficial data sharing and analytics. Most notably, the RCN will bring together a multi-stakeholder community of academic researchers, industry practitioners, policymakers, and other stakeholders to advance the trustworthy adoption of PETs in the context of AI and other key technologies as directed in the Biden-Harris Administration’s Executive Order on Artificial Intelligence (AI).
“The Biden Administration’s Executive Order rightly puts significant emphasis on the incorporation of equity principles in AI-enabled technologies,” said John Verdi, FPF’s Senior Vice President for Policy, who will serve as the RCN’s principal investigator. “Since its founding, FPF’s work has been driven by a belief in the fair and ethical use of technology to improve people’s lives. We are convening a multidisciplinary, cross-sector, and international group of experts to better understand the risks of data sharing and analytics and how PETs can and cannot mitigate those risks, with particular attention to the implications for marginalized and vulnerable groups.”
The NSF-DOE grants will enable FPF to establish a robust expert network with members from academia, industry, government, and civil society to discuss and develop best practices for advancing PETs. Its goals are to facilitate ethical data use, stimulate responsible scientific research and innovation, and enable individuals and society to benefit equitably from data sharing and analytics.
The RCN is in direct response to the goals of the National Strategy to Advance Privacy-Preserving Data Sharing and Analytics. It’s intended to advance the National Strategy and EO on AI through two interrelated networks:
- An interdisciplinary and cross-sector Expert Group on Privacy Enhancing Technologies for Research and Analysis focused on advancing PETs to support responsible scientific research and innovation in ways that protect privacy, civil rights, and civil liberties and promote equity; and
- A Regulator Sub-Group, focused specifically on legal and regulatory mechanisms supporting the development and use of PETs.
“Privacy-enhancing technologies are increasingly important in today’s data-driven landscape. They allow us to safeguard sensitive datasets and information needed to advance a broad research, development, and demonstration portfolio,” said Asmeret Asefaw Berhe, Director of DOE’s Office of Science. “This Research Coordination Network will help us move toward the shared goal of establishing new standards for data safety and security that will allow us to continue to develop the innovations and scientific discoveries we need to achieve our clean energy and industrial goals.”
The awarded grants build on FPF’s years-long track record of convening private-sector stakeholders and regulators to discuss responsible data sharing and the deployment and regulation of PETs, including its Privacy Research and Data Responsibility RCN and Global PETs Network.
“This crucial investment represents our commitment to advancing the foundations of responsible AI and privacy-enhancing technologies,” said Dilma DaSilva, Acting Assistant Director for NSF’s Computer and Information Science and Engineering Directorate. “This effort supports research and development that enables individuals and society to benefit equitably from the value derived from privacy preserving data sharing and analytics.”
The RCN will inform the public debate on PETs, provide useful information to policymakers, and contribute to the development of systems and products to support the equitable use of AI. For more information about the RCN and how to get involved, please contact rcn@fpf.org. To keep updated on similar issues and emerging topics, apply to join the Ethics and Data in Research Working Group.
“L’Occidente non tramonta”, Giacalone in Fondazione per la seconda lezione della Scuola di Liberalismo
“Dopo la fine della Guerra fredda e il crollo dell’Unione sovietica, con l’avviarsi della globalizzazione, il mondo è cresciuto quanto mai prima. Centinaia di milioni di persone sono state sottratte alla fame. Se la globalizzazione è una colpa allora va rivendicata con orgoglio”. Lo ha detto il direttore de La Ragione, Davide Giacalone, che questa sera ha tenuto, nell’aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi, di cui è vicepresidente, la seconda lezione, dal titolo: “L’Occidente non tramonta”, della Scuola di Liberalismo 2024.
Viviamo nell’area più ricca, libera, sana e longeva del mondo, ha osservato, “eppure non si sente che parlare delle colpe occidentali, del declino, della soccombenza, della debolezza, della povertà e così andando con difetti e drammi. Che non mancano, perché le cose peggiori prodotte dalla storia sono quelle che pensano d’essere perfette. Mentre noi siamo orgogliosamente imperfetti”.
Di fronte ai numerosi partecipanti, che al termine della lezione hanno dato vita a un interessante dibattito sul tema oggetto della lezione, Giacalone ha spiegato il perché di questo lento e progressivo mutamento. “C’è una radice profonda, in quell’antioccidentalismo degli occidentali, e va cercata nella paura della libertà, che comporta sempre una collettiva e personale responsabilità. Molti orfani delle ideologie novecentesche non apprezzano la libertà di sognare e realizzare, ma tremano alla mancanza delle false certezze. Senza le quali si vive assai meglio”.
L'articolo “L’Occidente non tramonta”, Giacalone in Fondazione per la seconda lezione della Scuola di Liberalismo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.