VIDEO. Raid esercito israeliano a Dheisheh. Ucciso un 14enne, arrestata ed espulsa una italiana
della redazione
Pagine Esteri, 16 gennaio 2023 – Un palestinese di 14 anni, Omar Al Khamour, è deceduto poco dopo essere stato ferito gravemente questa mattina da colpi sparati dell’esercito israeliano durante un raid nel campo profughi di Dheisheh (Betlemme). ll Ministero della Salute palestinese ha riferito che il ragazzo è stato colpito alla testa. I suoi funerali si sono già svolti. Al Khamour è stato avvolto oltre che nella bandiera bandiera anche in quella del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp, sinistra marxista). Il 3 gennaio, sempre a Dheisheh, era stato ucciso in un’altra incursione di soldati israeliani, un 15enne, Adam Ayyad.
Sabato scorso tre palestinesi erano stati uccisi in seguito a scontri con forze israeliane in Cisgiordania. Due, il 24enne Izz Eddin Basem Hamamreh e il 23enne Amjad Adnan Khalilieh erano membri del Jihad islamico. Il terzo, Yazan Al Jaabari, 20 anni, è morto per le ferite riportate il 2 gennaio quando fu colpito da fuoco israeliano. Ieri inoltre è stato ucciso un palestinese che, secondo la versione fornita dalle autorità israeliane, aveva tentato di accoltellare dei militari.
Nel raid di questa mattina a Dheisheh i soldati israeliani hanno anche arrestato una italiana, Stefania Costantini, che si trovava nel campo per attività di volontariato e solidarietà. La donna, 52 anni di Pisa, si trovava a casa di amici della famiglia Abu Aker e, come mostra un video, è stata portata via a spalla dai militari. Ha avuto il tempo solo di prendere il passaporto e il telefono. I soldati non le hanno permesso di prendere il bagaglio e gli occhiali, di cui ha bisogno per una forte miopia. Nel pomeriggio è stata espulsa dalle autorità israeliane ed imbarcata su di un volo ITA da Tel Aviv per Roma. In seguito le autorità israeliane hanno comunicato che la Costantini è sospettata di aver collaborato con una organizzazione palestinese considerata “terrorista”. L’accusa, molto grave per l’ordinamento israeliano, tuttavia contrasta con il suo rilascio immediato. Pagine Esteri
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In Cina e Asia – Cina, nuovo piano per l’uso dei robot
Cina, nuovo piano per l’uso dei robot
Covid: "L'80% della popolazione cinese è già stata infettata"
Bonus di Capodanno ridotti per i "colletti bianchi" cinesi
Il lassismo dei funzionari al Gran Gala per il Capodanno
Progetti BRI con materiali "difettosi"
Giappone: "Il calo demografico minaccia le funzioni sociali"
L'India censura il documentario della BBC su Modi
La Corea del Sud vuole aumentare gli straordinari e renderli flessibili
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Sì alle intercettazioni ai fini delle indagini, no alla gogna mediatica. Scrive l’avv. Benedetto
Niente bavagli, ma siccome non possiamo appellarci all’etica della responsabilità in un campo minato come è quello delle intercettazioni, agiamo a monte. L’opinione dell’avvocato Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Luigi Einaudi
Diciamocelo con franchezza cosa sono divenute oggi le intercettazioni? Rappresentano la tortura dei giorni nostri, perché chi ci incappa, vede il suo nome e la sua vita spesso rovinati per sempre. Non per le intercettazioni, ma per le successive, a volte indiscriminate, pubblicazioni. Oggi non c’è bisogno della violenza fisica, basta quella informatica.
Quando dopo il XIII secolo tramontò l’Inquisizione, la frase tipica che da quel momento si trova nelle minute degli interrogatori è “confessionem esse veram, non factam vi tormentorum” (la confessione è valida, non resa sotto la violenza). Ecco, riguardo alle intercettazioni oggi si dovrebbe scrivere a verbale: le intercettazioni sono da portare a processo, solo se non preventivamente diffuse e pubblicate erga omnes. Come si ottiene ciò?
Questo è un problema. In realtà un falso problema. Perché ha ragione il sottosegretario Andrea Ostellari quando dice: la libertà di una democrazia si misura anche dalla possibilità della stampa di pubblicare opinioni (e ci mancherebbe altro!) e notizie scomode, ma questo non può trasformarsi in diritto alla gogna”.
E allora, niente bavagli. Ma siccome non possiamo appellarci all’etica della responsabilità in un campo minato come è quello delle intercettazioni, agiamo a monte. Enrico Costa segnala un dato giustissimo, ben conosciuto da tutti gli operatori della giustizia, quello di passare ai giornali le ordinanze di custodia cautelare in versione integrale. E poiché li sono riportate, per l’appunto “integralmente” tutte le intercettazioni, ecco che il gioco è fatto.
Il detto popolare “fatta la legge (divieto di pubblicazione delle intercettazioni irrilevanti) gabbato lo Santo” trova sostanza.
Altra cautela possibile quella proposta dall’U.C.P.I., per cui sono utilizzabili solo le intercettazioni relative ai reati per i quali un Giudice le ha specificatamente autorizzate. Dunque niente intercettazioni “a strascico”.
Insomma la questione centrale è sempre la stessa, l’uso di uno strumento importante per le indagini e l’abuso che se ne fa.
Uso o abuso.
Sempre nel quadro della nostra carta fondamentale che recita all’art. 15 “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”.
È la Costituzione della Repubblica Italiana.
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Armeni sotto assedio, emergenza umanitaria in Nagorno Karabakh
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 23 gennaio 2023 – Il cibo scarseggia e gli abitanti di Stepanakert e dei piccoli centri contigui sono obbligati a ricorrere alla tessera annonaria istituita dal governo del Nagorno Karabakh per accedere a quel minimo di beni di prima necessità che le autorità dell’enclave riescono a distribuire alla popolazione.
Da giorni mancano anche l’energia elettrica, l’acqua potabile e il gas, perché le condotte e gli elettrodotti provenienti dall’Armenia sono stati bloccati da Baku o sono stati sabotati. Anche internet funziona a singhiozzo. Scuole e uffici pubblici sono chiusi o lavorano a ritmo ridotto per l’impossibilità di illuminare e riscaldare gli edifici.
Gli scaffali di negozi e supermercati sono vuoti e le attività produttive sono per lo più bloccate; migliaia di persone hanno già perso il lavoro.
La situazione è tragica soprattutto negli ospedali dove i medicinali scarseggiano o sono esauriti e i malati gravi possono essere trasferiti in Armenia solo in circostanze eccezionali e grazie all’intervento della Croce Rossa Internazionale. Alcuni pazienti sono già morti per mancanza di cure adeguate e tempestive.
Il disastro umanitario è dietro l’angolo. Circa 120 mila persone sono bloccate, ormai da sei settimane, all’interno di ciò che rimane della Repubblica dell’Artsakh assediata dalle forze azere. Niente e nessuno può entrare o uscire nell’isola armena incastonata in territorio azero.
120 mila persone sotto assedio
Fino al 12 dicembre, ogni giorno a Stepanakert arrivavano circa 400 tonnellate di merci dall’Armenia. Ma quel giorno un folto gruppo di cittadini azeri ha deciso di bloccare il “corridoio di Lachin”, l’unica strada che collega l’Armenia con l’ex territorio azero dichiaratosi unilateralmente indipendente da Baku nel 1991.
Ufficialmente, a trasformare in ostaggi i 120 mila abitanti dell’enclave è una “protesta ambientalista”. A bloccare l’unica via di comunicazione terrestre esistente con Erevan, infatti, sarebbe un gruppo di attivisti ecologisti azeri desiderosi di impedire che le miniere di oro, rame e molibdeno di Drombon e Kashen, nel territorio della provincia ribelle, continuino a sfornare materiali di scarto altamente inquinanti. Ma nel paese guidato da trent’anni dal clan Aliyev non si muove nulla senza il consenso del regime; nessun’altra protesta è stata inoltre inscenata per denunciare l’inquinamento, altrettanto grave, provocato dalle attività estrattive disseminate nel resto dell’Azerbaigian, alcune di proprietà dello stesso presidente Ilham.
I presunti ambientalisti, denunciano Erevan e Stepanakert, altro non sono che militari e attivisti di organizzazioni azere riconducibili al regime di Baku, che assediando il Nagorno Karabakh sperando di convincere molti dei suoi abitanti ad abbandonare quei territori per rifugiarsi in Armenia. Mostrano cartelli contro l’inquinamento, ma intonano slogan e canti ultranazionalisti. «Coloro che non vogliono essere cittadini dell’Azerbaigian sono liberi di farlo; il corridoio di Lachin è aperto, nessuno gli impedirà di andarsene» ha tuonato il dittatore azero.
Il blocco azero a Lachin
Il cessate il fuoco firmato il 10 novembre 2020 da Erevan e Baku dopo la “guerra dei 44 giorni” (durante la quale le truppe azere sostenute da Turchia e Israele hanno strappato agli armeni la maggior parte dei territori conquistati da questi ultimi all’all’inizio degli anni ’90) stabilisce che la percorribilità del “corridoio di Lachin” debba essere garantita dai 2000 soldati inviati da Mosca per monitorare il rispetto dell’accordo imposto dalla Russia per porre fine all’ennesimo scontro armato tra armeni e azeri.
Ma i membri delle forze di sicurezza azere travestiti da difensori dell’ambiente non hanno subito alcun intervento da parte dei peacekeeper russi, rimasti in disparte in prossimità della strada bloccata.
Mosca è impegnata nella difficile avventura ucraina e non vuole aprire altri fronti. Soprattutto, per quanto l’Armenia goda tradizionalmente della protezione russa, a Mosca ora interessa assai di più la proficua relazione con Baku e con Ankara, lo sponsor principale della repubblica turcofona ex sovietica divenuta negli ultimi anni una potenza regionale grazie al gas e al petrolio estratti nel Mar Caspio. E anche alle armi copiosamente acquistate proprio dalla Russia, che tramite una triangolazione con l’Azerbaigian riesce ad esportare in Europa quantità copiose di gas nonostante l’embargo decretato da Bruxelles dopo l’invasione dell’Ucraina. Forte della dipendenza russa dall’asse azero-turco, Aliyev ne approfitta per stringere la corda attorno alla comunità armena del Nagorno Karabakh, per costringerla ad abbandonare un territorio che abita da secoli e ogni pretesa di indipendenza. Baku, poi, vuole imporre all’Armenia l’apertura di un passaggio – il corridoio di Zangezur – che connetta l’Azerbaigian alla Repubblica Autonoma di Nakhchevan (una provincia azera separata dalla madrepatria dal territorio armeno) e di lì direttamente con la Turchia e il Mediterraneo.
Peacekeepers russi
Il tradimento di Mosca
Del resto, il contingente russo non mosse un dito neanche quando, il 13 settembre 2022, le truppe azere lanciarono l’ennesimo attacco militare questa volta direttamente contro il territorio dell’Armenia. L’aggressione militare azera durò alcuni giorni senza che Mosca intervenisse se non invitando entrambe le parti alla moderazione, generando così un’ondata di disillusione nei confronti di Mosca tra la popolazione e la diaspora armena.
Erevan ospita alcune basi militari russe, e l’Armenia e la Russia sono legate da un’alleanza militare diretta. Di fronte alle incursioni e ai micidiali bombardamenti azeri, Erevan chiese esplicitamente l’intervento militare russo a difesa della sua integrità territoriale, invocando l’articolo 4 del Trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO) al quale l’Armenia aderisce insieme a Mosca e ad altre repubbliche ex sovietiche.
La Russia, però, si guardò bene dall’intervenire contro gli azeri e a quel punto il leader armeno Nikol Pashinyan da un lato si dichiarò pronto ad abbandonare a sè stessi gli abitanti dell’Artsakh pur di salvare l’Armenia (scatenando feroci manifestazioni di protesta), dall’altra riprese a invocare la protezione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.
Nel 2018, del resto, Nikol Pashinyan era stato eletto premier a capo di una coalizione politica filo-occidentale e anti-russa che poi però si era dovuta riavvicinare a Mosca sia per motivi economici sia per evitare che il paese fosse completamente sopraffatto dall’Azerbaigian. Ma ora molti armeni si sentono traditi da Vladimir Putin.
Se in precedenza il 64% degli armeni considerava la Russia un paese amico, nel 2021 la quota era scesa al 35%. Secondo un sondaggio pubblicato a gennaio dal Caucasus Research Resource Center, quasi la metà dei residenti dell’Alto Karabakh considerano necessaria l’indipendenza. Un quarto degli intervistati, invece, sceglierebbe l’annessione alla Federazione Russa in forma di repubblica autonoma; una quota di poco inferiore, infine, difende l’unificazione con la Repubblica Armena.
L’Armenia non si fida più di Mosca
Mentre nel territorio assediato – a rischio di essere del tutto abbandonato da Mosca – le critiche all’immobilismo russo sono moderate – in Armenia le denunce nei confronti del doppiogiochismo di Putin si fanno sempre più esplicite.
A fine dicembre, centinaia di manifestanti hanno marciato per 11 km da Stepanakert ad una base del contingente militare russo per chiedere a Mosca di intervenire per sbloccare l’assedio. Nei giorni scorsi alcune forze politiche ultranazionaliste armene hanno manifestato di fronte all’ambasciata russa, perorando un intervento militare di Erevan contro Baku che visti gli attuali rapporti di forza si rivelerebbe suicida. L’8 gennaio un’altra manifestazione è stata organizzata da movimenti nazionalisti a Gjumri, città al confine della Turchiadove si trova la principale base militare russa in Armenia; 65 manifestanti sono stati arrestati.
Pashinyan ha criticato la mancanza di iniziativa di Mosca ed ha annunciato che l’Armenia non ospiterà le esercitazioni militari delle truppe del CSTO guidate dalla Russia previste nel 2023. Per la prima volta, poi, il premier ha affermato che non solo «la presenza militare russa non garantisce la sicurezza armena, ma costituisce una minaccia», anticipando che potrebbe chiedere al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di inviare i caschi blu per sostituire il contingente militare di Mosca.
Le promesse di Washington e Bruxelles
Ovviamente, sia l’amministrazione Biden che l’Unione Europea cercano di approfittarne per aumentare la propria influenza nel Caucaso a scapito di quella russa. In Europa si distingue soprattutto la Francia – paese nel quale, tradizionalmente, la diaspora armena possiede una qualche forza economica e politica – che ha alzato i toni contro Baku. Il governo italiano, al contrario, non prende posizione ed anzi il 12 gennaio il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha incontrato a Baku il presidente Aliyev in cerca di nuove forniture di gas e di commesse per le armi italiane.
Dichiarazioni roboanti a parte, comunque, né Bruxelles né Washington hanno finora intrapreso alcuna iniziativa concreta nei confronti dell’Azerbaigian. Il rapporto col regime di Aliyev e con quello turco, per l’Occidente, è importante quanto per la Russia di Putin. L’Unione Europea pretende che l’Armenia abbandoni l’Unione Economica Eurasiatica guidata dalla Russia per siglare un trattato di associazione con Bruxelles, ma a Erevan non offre alcuna garanzia contro il regime azero.
Anche Pashinyan, da parte sua, è conscio della fortissima dipendenza di Erevan dall’economia (nel 2022 gli scambi commerciali tra Erevan e Mosca sono cresciuti del 67%), dalle forniture energetiche e dalla presenza militare russa e al tempo stesso dell’estrema debolezza del suo paese rispetto alla crescente potenza militare, economica e diplomatica azera.
Manifestazione a Stepanakert contro il blocco azero
“Pulizia etnica”
Finora l’appello delle comunità armene isolate da sei settimane e delle piazze delle città armene affollate di manifestanti è stato raccolto solo dal Tribunale Internazionale dell’Aia, che ha convocato Baku per il 30 gennaio. Anche la Corte Europea dei Diritti Umani ha redarguito gli azeri, mentre il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione di condanna del blocco del corridoio di Lachin. A detta del Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, invece, la Russia «è pronta a dispiegare truppe al confine tra Armenia e Azerbaigian per sedare le tensioni nel Corridoio di Lachin» (cosa che avrebbe già dovuto fare in base dell’accordo del 2020) e starebbe pensando di inviare una missione della CSTO nella regione per “monitorare la situazione”.Dopo aver informato di aver chiesto al suo omologo azero Jeyhun Bayramov di sbloccare il corridoio di Lachin, Lavrov ha aggiunto che «una missione europea nella regione sarebbe controproducente».
Intanto, in mancanza di iniziative rapide e concrete, nell’enclave armena stretta nel gelido inverno caucasico, la situazione si fa ogni giorno più insostenibile. Le autorità dell’Armenia e dell’Artsakh chiedono all’ONU e ai paesi amici di organizzare un ponte aereo per rifornire di cibo e medicinali la popolazione stremata, ma finora nulla si è mosso. Mentre le condizioni di vita all’interno dell’enclave si fanno sempre più difficili, un migliaio di persone che era in territorio armeno al momento dell’inizio del blocco stradale non è potuto rientrare in Artsakh. Tra questi, decine di bambini di Stepanakert che si erano recati a Erevan per partecipare all’Eurovision Junior e ai quali da un mese e mezzo viene impedito di ricongiungersi ai genitori.
«L’assenza di una reazione adeguata all’aggressione azera potrebbe causare nuovi tragici sviluppi» avvertono i ministri degli Esteri di Armenia e Artsakh, mentre la diaspora armena in tutto il mondo lancia l’allarme sul rischio che nel Caucaso si realizzi un nuova ondata di pulizia etnica. Ma finora l’appello ad un intervento della comunità internazionale è rimasto inascoltato. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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Sarà l’ultima generazione cinese?
Sarà l'ultima generazione cinese? Secondo un recente sondaggio comparso su Weixin, su oltre 20.000 persone intervistate (per lo più donne tra i 18 e i 31 anni) ben due terzi ha dichiarato di non volere figli. Cosa frena veramente le coppie cinesi? Uno studio condotto da McKinsey a ottobre e pubblicato a dicembre attesta che circa il 62% della Gen Z cinese è preoccupato per la propria carriera mentre il 56% ambisce a ottenere uno stile di vita migliore. Molto più delle generazioni più anziane. Quando si parla di ostacoli economici, l’istruzione è al primo posto.
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China Briefing – 5 settori chiave da tenere d’occhio in Cina nel 2023
La crescita economica della Cina nel 2023 sarà guidata da diversi settori chiave che si stima cresceranno grazie all’abolizione delle restrizioni COVID, oltre che grazie al sostegno e agli incentivi governativi. Tra questi, il turismo, i veicoli a nuova energia, lo shopping online, lo sviluppo di software e ’il settore sanitario. Con Dezan Shira & Associates discutiamo dei cinque principali settori cinesi che saranno di grande interesse per gli investitori stranieri nel 2023.
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#uncaffèconluigieinaudi☕ – La sostanza dell’economia trafficante
La sostanza dell’economia trafficante o capitalistica che gli affiliati chiamano «economia di concorrenza», non sta nel rendere schiavi gli uomini delle cose, si nell’opposto concetto di liberare gli uomini dalla schiavitù di lavorare così duramente come prima per ottenere la stessa quantità di cose.
da Dell’uomo, fine o mezzo, e dei beni d’ozio, «Rivista di storia economica», settembre-dicembre 1942
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Le opere di Gramsci su LiberLiber
Liber Liber è una biblioteca digitale accessibile gratuitamente, creata da una organizzazione di volontariato che ha come obiettivo la promozione di ogni espressione artistica e intellettuale.
Nella biblioteca si possono trovare alcune opere di Antonio Gramsci.
liberliber.it/online/autori/au…
Antonio Gramsci
Antonio Francesco Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937) è stato un politico, filosofo, giornalista, linguista e critico letterario italiano.Liber Liber
Che tempo che fa
Scoperti due buchi neri supermassicci in collisione | Passione Astronomia
"In mezzo a una collisione galattica, ci sono i due buchi neri supermassicci in rotta di collisione tra i più vicini mai osservati.
[...]
Una tale fusione può apportare sufficiente materiale nei buchi neri da innescare violente esplosioni che modellano la formazione stellare e altri processi astrofisici che hanno luogo nelle galassie che ospitano i buchi neri stessi."
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Vuoi vedere le tendenze in tutto il Fediverso?
Dai un'occhiata: freebird.network/
Ti mostrerà gli hashtag di tendenza entro intervalli di 1 ora, 12 ore e 24 ore.
Come possiamo sostenere la privacy dei dati e la libertà personale mentre facciamo passi da gigante verso un mondo di trasparenza del cervello? L'intervento di @nxthompson e @NitaFarahany
COME POSSIAMO SOSTENERE LA PRIVACY DEI DATI E LA LIBERTÀ PERSONALE MENTRE FACCIAMO PASSI DA GIGANTE VERSO UN MONDO DI TRASPARENZA DEL CERVELLO? LA CONFERENZA DI NICHOLAS THOMPSON E NITA A. FARAHANY
Siamo pronti alla trasparenza del cervello?
Segnaliamo a tutta la comunità @Etica Digitale una discussione con Nicholas Thompson e Nita A. Farahany che si è tenuta giovedì a Davos durante il World Economic Forum (WEF) che immaginiamo possa interessare gli account di coloro che si interessano di tecnologia, lavoro e risvolti etici (per esempio i follower di @informapirata :privacypride: @Etica Digitale @Tech Workers Coalition Italia ).
In particolare, Nita Farahany, avvocato interessato ai temi etici del Transumanesimo e autrice di "The Battle for Your Brain", durante il suo intervento "Ready for Brain Transparency?" ha affrontato diverse questioni nodali e ha previsto che nel "futuro a breve termine" i dispositivi di interfaccia mentale diventeranno "il modo principale con cui interagiamo con tutto il resto della nostra tecnologia"; ha anche sottolineato che le principali aziende tecnologiche come Meta stanno "studiando modi per rendere questi dispositivi universalmente applicabili" al resto della nostra tecnologia.
La promessa della neurotecnologia di migliorare la vita e di ottenere informazioni sul cervello umano sta crescendo: quella sulla trasparenza del cervello sarà quindi una battaglia fondamentale per evitare che un sogno transumanista divenga un incubo del controllo
Il video dell'intervento è disponibile a questo link
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Il Massacro di Istakhr (651)
Il massacro di Istakhr del 651 è un evento brutale che si è verificato durante la conquista araba della Persia. Il massacro è stato il risultato della sconfitta della nobiltà persiana di Ishakr da parteContinue reading
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Isabella Rauti racconta il mondo della Difesa. In punta di anfibi
Dal sostegno alla difesa transatlantica all’attenzione per il Mediterraneo, passando per le necessità e le fide delle nostre Forze armate, fino al ruolo fondamentale ricoperto dalle donne in uniforme. Questi alcuni dei temi toccati dall’ebook “In punta di anfibi” del sottosegretario alla Difesa, Isabella Rauti, presentato ieri presso lo Studio Curtis, Mallet-Prevost, Colt & Mosle LLP alla presenza di vertici politici, militari e industriali del Paese. Un volume che ha raccolto alcune delle rubriche tenute dal sottosegretario sulla rivista Airpress tra il 2017 e la sua nomina al governo. Un racconto esaustivo, che attraversa periodi diversi delle recenti vicende delle Forze armate nazionali, ponendo l’accento sull’importanza che lo sviluppo di una “cultura della Difesa” ha per il Paese e l’opinione pubblica.
Per una cultura strategica
“La guerra in Ucraina ha fatto da effetto disvelante per l’opinione pubblica, che la guerra è un fenomeno presente, possibile, e pende sulle nostre teste”, ha spiegato Gabriele Natalizia, coordinatore del Centro Studi Geopolitica.info che ha curato l’introduzione al volume del sottosegretario. Secondo il ricercatore, la guerra in ucraina ha “scioccato l’opinione pubblica”, un fenomeno ritenuto ormai passato, o relegato ad aree geografiche percepite come periferiche, è tornato in Europa, a pochi chilometri dall’Italia. “Già da un decennio gli esperti parlavano di questa possibilità”, ha sottolineato, ricordando come di questi temi le riviste Airpress e Formiche ne parlavano già dal 2017 “dedicando una rubrica speciale alla politica militare, di cui il sottosegretario Rauti era l’autrice, in una fase dove a livello di opinione pubblica, non se ne parlava”. Un lavoro che ha contribuito ad alimentare il dibattito e che è capace di definire in maniera specifica l’interesse nazionale grazie alla definizione di una “cultura strategica”.
Donne e forze armate
Sicuramente, un aspetto molto presente nel volume del sottosegretario è il ruolo delle donne in uniforme. “La data fondamentale è il 1999, quando con la legge 380 si apre all’ingresso delle donne nelle Forze armate”, avvenuto effettivamente nel 2000. “Cadeva un muro che nessuno voleva mantenere in piedi”, ha raccontato ancora Rauti, “ma i tempi sono andati un po’ lunghi. Una data non solo simbolica, ma concretamente importante”. Sulla domanda se il Paese sia indietro da questo punto di vista, il sottosegretario risponde: “La crescita è costante, e siamo gli unici, tra gli Alleati, ad avere una sezione dedicata presso lo Stato maggiore della Difesa a politiche di genere”. Tema importante è stato anche quello della maternità. “Le scelte di maternità non sono assorbite in qualsiasi ambito lavorativo, risultando penalizzanti ovunque”. Tuttavia, nelle Forze armate, dove “le gerarchie le fanno i gradi”, il pregiudizio e la discriminazione verso le donne che caratterizzano ancora diversi settori produttivi trovano minore radicamento. “Il grado fa gerarchia, fa disciplina e fa sistema” indipendentemente dal genere.
Gli impegni della Difesa
Per quanto riguarda gli impegni attuali delle Forze armate, dal Baltico all’oceano Indiano, il sottosegretario ha commentato come ci siano scenari di instabilità “aperti a tutte le latitudini”. Massima attenzione va naturalmente al Mediterraneo allegato, ai Balcani, al Medio oriente, ai fronti sud ed est dell’Alleanza. “Tutto è diventato strategico, e la postura aggressiva russa ha creato ulteriori instabilità”. Oggi più che mai, dunque, diventa importante l’impegno Nato, Onu e Ue. Nonostante questo impegno, che vede l’Italia protagonista, rimangono alcune lacune nella cultura della Difesa nazionale. “Non penso che ci sia una avversione culturale – specifica però Rauti – gli italiani amano le Forze armate. Il problema è la percezione, legata a scarsa conoscenza” di quello che concretamente fanno i militari italiani. “Dobbiamo comunicare di più e meglio quello che facciamo nel mondo come costruttori di pace”.
Realismo politico e militare
Di fronte alle instabilità globali, c’è bisogno di un’assunzione di “realismo politico e militare”, ha detto ancora Rauti, chiamando in causa gli aspetti addestrativi delle forze militari italiane. “Dobbiamo guardare la realtà del conflitto, che undici mesi fa nessuno aveva immaginato; siamo ripiombati in un clima di guerra vicino casa”. In questo contesto, allora, “l’addestramento è fondamentale, non può essere eluso. Dobbiamo prepararci a fronteggiare sfide diverse, multi-dominio, una complessità che richiede una formazione sempre più sofisticata”.
Obiettivo 2%
Per quanto riguarda l’obiettivo del 2% da destinare alla Difesa, il sottosegretario è stata chiara: “Abbiamo preso degli impegni, e siamo abituati a rispettarli”. Naturalmente permangono le criticità, non tutti i Paesi hanno raggiunto la quota stabilita in Galles, tra cui l’Italia. Tuttavia, il nostro Paese “ha dedicato l’1,17% nel 2019 e l’1,54 nel 2021. Non siamo lontanissimi dall’obiettivo”. Per Rauti “quello che conta è che abbiamo approvato un emendamento per il raggiungimento della quota entro il 2028, che può significare anche prima”. Ma per questo “l’assenso parlamentare è fondamentale”.
Industria della Difesa e programmi
Sulle dotazioni e gli equipaggiamenti per le Forze armate italiane di domani “l’obiettivo del governo è quello di avere uno strumento militare bilanciato, equilibrato in tutte le sue componenti terrestri, navali, aeree”. Questo obiettivo si intreccia naturalmente con gli sviluppi dell’industria della Difesa “e con la sempre più necessaria sovranità tecnologica che dobbiamo garantire, tutelare e monitorare”. C’è quindi la necessitò di uno sviluppo capacitivo da intrecciare con la competenza, l’innovazione e la competitività internazionale dell’industria. Naturalmente, “l’Italia non può farlo da sola, ma deve sapersi porre con in partner a testa alta”, assumendo la leadership laddove in grado di farlo e stabilendo accordi di collaborazione negli altri settori.
Ma chi costruirebbe le strade?
Ieri ho avuto il piacere di parlare di anarco-capitalismo, scuola austriaca e molto altro insieme a TheOrangeWay (@Nespa_Bis) in un’intervista del suo Arancione Podcast. Durante l’intervista abbiamo ripercorso e discusso insieme di un interessante episodio del podcast di Saifedean “Who will build the roads w/ Walter Block”, in cui ha intervistato Walter Block.
Walter Block è un economista austriaco e anarco-capitalista che insegna alla School Business di New Orleans. Come moltissime persone, anche lui da giovane era il tipico statalista “liberal” (cioè di sinistra). Fu lui stesso ad affermare: "In the fifties and sixties, I was just another commie living in Brooklyn”. Il suo percorso di redenzione iniziò però nel migliore dei modi, assistendo a una lezione di Ayn Rand. Fu sufficiente una chiacchierata con lei e la lettura di Atlas Shrugged per rinnegare le sue radici socialiste. Fu poi grazie a Rothbard che si convertì definitivamente all’anarco-capitalismo.
Block è famoso per aver scritto il libro Defending the Undefendable in cui affronta e demolisce diversi dogmi statalisti da un punto di vista libertario. La sua intervista offre molti spunti interessanti su cui discutere, che volevo riproporvi anche in forma scritta.
Non tratterò tutti i temi affrontati durante la puntata, quindi per chi volesse qui è disponibile il podcast in cui ne parlo con TheOrangeWay:
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La prassiologia e l’azione umana
Il primo argomento toccato da Saifedean e Block è quello della scuola austriaca e della praxeology. Per praxeology o prassiologia s’intende quella teoria della scuola austriaca che sostiene che:
- Esistono assiomi fondamentali (leggi economiche) che sono assolutamente veri
- I teoremi dedotti sulla base di questi assiomi sono quindi assolutamente veri
- Di conseguenza, non c’è alcun bisogno di testare né premesse né conclusioni
- In ogni caso, questi teoremi non sarebbero testabili
L’assioma fondamentale della prassiologia è l’esistenza dell’azione umana, di cui Mises scrisse sapientemente. Gli esseri umani esistono ed agiscono. Da questo assioma fondamentale e assolutamente vero nasce e si sviluppa poi tutta la teoria economica austriaca. Alcune delle implicazioni più dirette che arrivano da questo assioma fondamentale sono: la relazione tra scopo e mezzo, le preferenze temporali (alte o basse), la legge del beneficio marginale decrescente, e così via. È l’assioma dell’azione umana che distingue la teoria economica austriaca da tutte le altre.
Rothbard definisce questo assioma come una “legge della realtà”, derivante proprio dall’osservazione della realtà che ci circonda.
Attenzione però: né Mises né libertari o austriaci dicono nulla sulle ragioni dell’azione umana. Non c’è alcun assioma in merito alla razionalità o correttezza dell’azione umana. L’unico postulato è che gli esseri umani agiscono: hanno uno scopo e usano ogni mezzo possibile per raggiungerlo.
Secondo Ayn Rand sono i “valori” ciò che spingono l’uomo ad agire. I valori sono ciò che un individuo agisce per ottenere e perseguire così la sua felicità. Potrebbe essere denaro, ma anche un altro tipo di beneficio psicologico. Un esempio calzante arriva proprio dal protagonista di The Fountainhead, l’architettoHoward Roark. In un passaggio del libro decide di rifiutare un’importante commessa che gli avrebbe fatto guadagnare una piccola fortuna, perché il progetto non era ciò che lui avrebbe voluto fare. Ad Howard Roark piacciono i soldi e gli sono utili, ma non è il denaro il “valore” che lo spinge ad agire. Bensì, la voglia di creare qualcosa di suo, senza ingerenze.
È anche per questo motivo che Rothbard disse che nella “scienza dell’azione umana” è impossibile testare le conclusioni che arrivano dalle leggi economiche fondamentali: i fatti che riguardano la vita e la storia umana sono talmente complessi e con cause diverse tra loro che è impossibile isolarli e testarli in laboratorio.
Il socialismo stradale
Block prosegue poi su quello che lui chiama socialismo stradale: il monopolio di Stato sulle strade. Lo fa partendo da una semplice osservazione: più di 35.000 persone muoiono ogni anno sulle strade in america.
Gli osservatori dicono che le cause sono molte e diverse: velocità elevata, errori del guidatore, guida in stato di ebrezza, eccetera. Nessuno osa però constatare una verità banale: quando un bene o servizio ha dei problemi, solitamente è colpa del management.
Facciamo l’esempio di un ristorante che fallisce. I motivi, superficialmente, possono essere molti: il cibo faceva schifo, il posto era sporco, la posizione non era ideale, e così via. Ma queste sono solo cause indirette. La causa primaria del fallimento è il proprietario, che non ha assunto uno chef migliore, non ha assicurato un’adeguata pulizia del locale, e non ha scelto con accortezza la posizione in cui aprire il ristorante. La causa ultima ricade sempre sul management.
Chi è il manager del servizio di mercato chiamato strada? Lo Stato. Ciò che è vero per il restante 99.9% dei beni e servizi di mercato deve necessariamente essere vero anche per le strade. Non è quindi assurdo dire che lo Stato è la principale causa delle morti sulle strade.
Il problema principale, derivante proprio dal monopolio assoluto dello stato, è che non possiamo sperimentare soluzioni diverse. Ad esempio, non possiamo differenziare le velocità in base al contesto specifico o sperimentare tipologie diverse di corsie. Non possiamo neanche sperimentare con diversi materiali e soluzioni di manutenzione.
Se ci fossero strade private con diversi proprietari potremmo verificare empiricamente le differenze sul numero di morti in base alle soluzioni proposte. Magari scopriremmo che la velocità non è sempre un fattore rilevante. O magari scopriremmo che in alcune strade, per il contesto specifico, è opportuno aumentare alcuni tipi di controlli o prevedere specifiche misure di sicurezza. Quello che invece abbiamo oggi è un monopolista che applica le stesse regole e le stesse tecnologie a condizioni estremamente diverse.
Lo abbiamo studiato tutti e non c’è nessuno che oserebbe negarlo: i monopoli sono sempre a danno dei clienti. La competizione libera crea sempre prodotti migliori proprio grazie alla trial & error e ai meccanismi premiali di mercato. Ciò che funziona viene usato e acquistato, ciò che non funziona muore. Lo vediamo con qualsiasi altra attività: servizi postali, sanità, scuola, sicurezza. In tutti questi casi la soluzione privata è più efficiente e meno costosa dell’alternativa statale.
A questo punto lo statalista dirà: ma se le strade fossero tutte private qualcuno potrebbe decidere di non farti più uscire di casa!
Certo, amico statalista. Ma considera questo: un’attività imprenditoriale nasce per servire i clienti. È l’unico modo in cui l’imprenditore — che ha investito tempo e risorse per costruire e mantenere la strada — può guadagnare e rimanere sul mercato. Inoltre, è chiaro che in un mondo dove le strade sono tutte private l’acquisto di una casa si porterebbe dietro anche un contratto per l’utilizzo delle strade adiacenti. Se l’imprenditore decidesse di violare unilateralmente quel contratto, i clienti avrebbero mezzi per rivalersi. E in ogni caso, non passerebbe molto tempo prima che tutti i clienti a cui è stato vietato l’ingresso si trasferiscano altrove, andando a premiare il competitor. Il mercato tenderebbe naturalmente ad eliminare gli attori malevoli, perché nessuno li pagherebbe.
Le strade sono beni essenziali, sì. Come il cibo. Eppure mi sembra che il (semi)libero mercato alimentare funzioni bene. In 35 anni di vita devo ancora trovare qualcuno che si rifiuti di vendermi cibo per qualche motivo. E se anche fosse, il mondo è pieno di altri che non vedono l’ora di farlo. Perché per le strade dovrebbe essere diverso?
La confusione tra moralità e legalità
Passiamo ora ad un altro argomento amato dagli statalisti: vietare le attività che non gradiscono. L’errore gravissimo e imperdonabile di tutti gli statalisti, socialisti e comunisti in generale è di sovrapporre moralità e legalità fino a non distinguerli più.
Per lo statalista è assolutamente corretto vietare, quindi rendere illegale, ciò che reputa immorale. Nella storia, e ancora oggi, abbiamo innumerevoli esempi: divieto di vendita degli alcolici, di droga, di armi, o di organi umani; divieto di fumo; divieto di prostituzione o rapporti omosessuali; divieto di aborto; divieto dello sport e delle attività ludiche la domenica.
Tutte queste attività a un certo punto della nostra storia sono state vietate in quanto considerate immorali. Non è un caso che lo stato sociale, massima espressione dello statalismo, sia nato proprio da radici religiose (protestanti): da uomini che volevano usare lo Stato come strumento per epurare la società da vizi e azioni che ritenevano immorali. Per chi non l’avesse ancora fatto, consiglio di leggere questo articolo sul tema.
Eppure, moralità e legalità sono questioni ben distinte tra loro. La moralità — o etica — è ciò che guida l’azione dell’uomo e ci permette di distinguere tra giusto e sbagliato. Ma ciò che è giusto e sbagliato non può mai acquisire una dimensione collettivista e statalista. Sia Mises che Ayn Rand ci ricordano che ognuno di noi agisce con tutti i mezzi possibili per conseguire la propria felicità. I valori che ci permettono di conseguire la nostra felicità potrebbero però essere immorali per gli altri.
L'anarco-capitalista, al contrario degli statalisti, distingue invece tra moralità e legalità. La filosofia libertaria non è una teoria morale, ma una teoria legale. Questo è particolarmente vero se guardiamo alla filosofia di Rothbard e Hoppe. Tutto ciò che non viola la proprietà privata e la vita di una persona dovrebbe essere legale, pur se immorale.
Esempi palesi sono la prostituzione, l’omossessualità o le droghe. Molti pensano che sia immorale prostituirsi, avere rapporti omosessuali o vendere droga. Per questo, secondo loro, dovrebbero anche essere attività illegali. Ma da un punto di vista libertario non ha senso. Queste attività non violano in alcun modo il principio di non aggressione e dovrebbero pertanto essere libere.
In linea teorica, in un mondo libertario perfino i supermercati potrebbero scegliere di vendere eroina. L’eroina è una brutta storia, ma non per questo dovrebbe esserne vietata la vendita. E non sarebbe neanche un problema, poiché il mercato riuscirebbe ad equilibrarsi senza alcun bisogno di divieti. Nessun supermercato si sognerebbe di vendere eroina in una comunità che lo reputa generalmente immorale, per non rischiare di perdere clienti e fallire.
Purtroppo, quando agli statalisti non piace qualcosa e hanno un sufficiente numero di persone che la pensano come loro, allora credono sia giusto assumere qualcuno (le forze dell’ordine) per aggredire coloro che invece la pensano diversamente. Se vogliamo, è proprio questa scelta di aggredire con la forza qualcuno che agisce in modo pacifico per il raggiungimento della propria felicità ad essere immorale.
Attenzione al momento in cui qualcuno reputerà immorale inquinare, mangiare carne o proteggere le proprie comunicazioni e transazioni economiche attraverso protocolli di crittografia. Se ci pensate, è già un processo in atto.
Perché è accettabile proporre l’uso di sistemi di monitoraggio e analisi dell’impatto CO2 delle transazioni personali o di limitazione all’uso delle automobili? Perché inquinare è immorale.
Perché è accettabile proporre leggi di sorveglianza di massa delle transazioni economiche e per il divieto di strumenti di crittografia per la protezione della privacy delle comunicazioni e delle transazioni? Perché nascondersi dallo stato è immorale.
E così via.
Non tutto è un diritto
Infine, vorrei accennare a un’osservazione molto acuta di Block: bisogna distinguere tra la capacità di ferire le persone a livello emotivo o psicologico e violare i loro diritti (proprietà, vita, libertà).
Ad esempio, se chiedo a una bella ragazza di uscire e lei mi ride in faccia mandandomi via, potrei essere ferito emotivamente. Ma lei è libera di farlo. Ho il diritto di chiedere che sia vietato di rifiutare malamente le persone? Non credo.
O ancora, se nessuno chiede alla ragazza brutta della classe di andare al ballo della scuola, lei potrebbe rimanerci molto male e magari anche arrivare a deprimersi e suicidarsi. Qualcuno dovrebbe essere obbligato legalmente a chiederle di ballare? Non credo.
E questo è molto importante, perché oggi si fa una gran confusione tra azioni che possono avere un impatto negativo sulla persona, senza però violare il principio di non aggressione, e azioni che invece lo violano. Un pugno in faccia non è allo stesso livello di un brutto insulto.
Oggi invece vediamo sempre più spesso la nascita di leggi che vorrebbero tutelare la salute emotiva delle persone contro il cosiddetto "hate speech". Il Digital Services Act in UE è un esempio: c'è un paragrafo specifico in cui si afferma che i social network dovrebbero censurare ogni contenuto che possa ferire o mettere a repentaglio la salute mentale di qualcuno.
Questa è la follia dello statalista woke, che giustifica la violazione di libertà altrui per evitare che qualcuno lo ferisca dicendogli che solo le donne possono partorire o che le tasse sono un furto.
Ascolta l’intervista su Arancione Podcast per approfondire tutti gli altri temi di cui abbiamo parlato e facci sapere cosa ne pensi:
Tigray, Etiopia – Report Food Cluster – Gennaio 2023
Nel Tigray, 1,32 milioni di persone sono rimaste senza assistenza alimentare urgente per mesi.
Di questi, 1,3 milioni (98 %) si trovano in tre zone (ovest, nordovest, centro), che sono tutte territorio detenuto dal governo federale.
Continuano a essere compiuti progressi nell’ampliamento dell’accesso nella zona nord-ovest e le aree che sono rimaste nelle mani di TDF vengono sbloccate.
L’accesso è ancora bloccato nella zona centrale, ma il volume di distribuzione in quella zona è rimasto al 50% del fabbisogno per la seconda settimana consecutiva, il che è un progresso. Ma non dovrebbero esserci distretti nel Tigray ancora bloccati. Questa è una chiara violazione del CoH.
L’esercito eritreo si rifiuta ancora di consentire aiuti a Irob e in altre aree della zona orientale. I civili dovrebbero attraversare la linea di confine perché i camion degli aiuti sono bloccati.
Irob è bloccato.
Zalambessa è bloccata.
Metà della Zona Centrale è bloccata.
Il WFP e altri partner umanitari nel Tigray non possono togliere l’assedio.
La comunità occidentale dovrebbe smettere di chiedere implicitamente alle famiglie tigrine di _morire di fame in pace_
FONTE:
Quelli con portalampada sono una selezione ridotta, scarsamente disponibile anche perché giustamente preferita quando si trova in negozio.
Come può essere una scelta sensata un lampadario da buttare via quando muore il led?
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Il cambio di passo di Ramstein. Tocci (Iai) legge il vertice per l’Ucraina
Si è aperta una fase nuova del supporto occidentale all’Ucraina aggredita e potenzialmente un cambio di passo per l’andamento dello stesso conflitto. È accaduto ieri al vertice di Ramstein, in Germania, del Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina, l’iniziativa lanciata dal segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin per coordinare gli sforzi degli oltre 40 Stati che inviano materiali miliari a Kiev. Al netto delle titubanze che ancora permangono a Berlino sulla concessione o meno dei carri armati Leopard, è innegabile che gli alleati abbiano aumentato il livello del materiale che intendono inviare.
Le nuove dotazioni
In prima linea ancora gli Stati Uniti, con un pacchetto da 2,5 miliardi di dollari: veicoli corazzati da combattimento (Bradley e Stryker) e antimine, veicoli da trasporto M998 Humvee. Il Regno Unito ha promesso 600 missili Brimstone, che si aggiungono ai carri armati pesanti Challenger 2. La Danimarca una ventina di cannoni Caesar. La Svezia i semoventi Archer. La Polonia si è detta pronta a consegnare 14 carri Leopard. Anche l’Italia, per voce del ministro della Difesa Guido Crosetto, continuerà a fare la sua parte “bisogna passare dalle parole ai fatti nel più breve tempo possibile”. Tutti i mezzi decisi al vertice segnano un cambio di passo. Sono mezzi più pesanti, con gittate maggiori e potenze di fuoco più elevate. Sono i segni che qualcosa sta cambiando.
Una fase di svolta nel conflitto
“Al netto del dettaglio tecnico ‘Leopardi sì, Leopard no’, il punto di fondo è che Ramstein si colloca in quella che andrei a definire una fase di svolta, una inflection politica della guerra”, spiega ad Airpress Nathalie Tocci, direttore dell’Istituto affari internazionali (Iai). Una fase la cui specificità può essere determinata da due fattori principali. Il primo: “c’è una crescente consapevolezza diffusa che il presidente russo Vladimir Putin non vuole negoziare e che l’assetto del Cremlino è quello di continuare a pianificare una escalation da parte russa”. L’aspetto da comunicare, spiega ancora Tocci, è che “Ramstein, o le decisioni occidentali sugli armamenti, non segnano o causano una escalation con Mosca, ma sono una risposta a un piano russo di escalation, di trasformazione dell’operazione speciale in una nuova guerra patriottica, anche in vista di una eventuale seconda mobilitazione”.
Per Kiev non ci sarà una seconda opportunità
Il secondo, più implicito, “è il fatto che Putin è intenzionato a continuare senza limitazioni, al contrario dell’Occidente, a partire dagli Stati Uniti, non vogliono che la guerra continui”. Per il direttore dello Iai si sta dunque aprendo una fase nuova, che porterà alla controffensiva ucraina “verosimilmente nella tarda primavera”. Questa controffensiva “sarà frutto delle decisioni sugli armamenti che i Paesi occidentali stando dando a Kiev”. Infatti, in questa fase del conflitto Kiev “dovrà liberare più territorio possibile, perché probabilmente non ci sarà una seconda occasione: quello che c’è da mettere in campo va messo adesso”. Con Ramstein, questa consapevolezza sembra essersi consolidata in Occidente. Si è superato, conclude Tocci, “il pensiero di non volere l’escalation. A escalation russa verificata, il passaggio successivo dell’Occidente deve essere ‘come reagiamo?’”.
Can Kicker - Can Kicker
Per un certo periodo, a sangue ormai caldo e con un po’ di buon tempo libero, mi sono molto concentrato sul termine “Grunge” e ho riflettuto su cosa mai volesse significare in musica. @Musica Agorà @Poliverso notizie dal fediverso
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20 gennaio 2023. Messaggio di Alfredo Cospito al proprio difensore
Il sottoscritto Alfredo Cospito comunica al proprio avvocato Flavio Rossi Albertini che in pieno possesso delle mie capacità mentali mi opporrò con tutte le forze all'alimentazione forzata.
Saranno costretti a legarmi nel letto.
Dico questo perché ultimamente mi è stata adombrata la possibilità di un T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio). Alla loro spietatezza ed accanimento opporrò la mia forza, tenacia e la volontà di un anarchico e rivoluzionario cosciente.
Andrò avanti fino alla fine. Contro il 41 bis e l'ergastolo ostativo.
La vita non ha senso in questa tomba per vivi.
Cospito Alfredo.
Just € 5,5 Million on WhatsApp. DPC finally gives the finger to EDPB.
Solo 5,5 milioni di euro su WhatsApp. La DPC finalmente dà il benservito all'EDPB. Dopo Facebook e Instagram, è stata emessa una terza decisione su WhatsApp. Il DPC sembra aver limitato il caso al "miglioramento del servizio" e alla "sicurezza", ignorando le questioni fondamentali.
Non sono d'accordo con quanto scrive Concita De Gregorio su La Stampa...
(testo ed immagine dalla pagina FB de La Stampa)
Non mi preoccuperò, nello scrivere queste righe, delle reazioni che scatenerà sui social domattina. Ce la posso fare, devo solo pensare alla vita di prima. Era sano lavorare senza la preoccupazione preventiva del sabba infernale che comunque, anche se ti sforzi di ignorarlo, non ignora te. […]
Amici: usciamo dai social. Non esistono senza di noi. Si sono impadroniti delle nostre vite per il semplice motivo che gliele abbiamo consegnate. Vivono del nostro sangue che gli forniamo ogni giorno […]. Ma se non gli dessimo materia, ai mangiamorte, ci pensate? Non esisterebbero. […]
Le persone migliori che conosco non sono sui social. Senza offesa per chi ci campa e lo capisco: i mestieri di una volta non ci sono più, questo è il mondo come va, bisogna arrangiarsi e starci. Però ripeto: statisti, inventori, poeti, navigatori, gente che pensa e scrive e lavora a costruire mondi. Gente che accudisce persone. Gente che lavora tutto il giorno e che poi si dedica a chi ha intorno, fisicamente: che parla e guarda in faccia chi c'è. Non sono sui social. Non hanno il tempo per farlo, né l'interesse. Hanno da fare.
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MASTICA ‘ZINE “ERO UNA FANZINE” (AGENZIA X)
Ancora una volta Agenzia X si conferma come una delle realtà più intimamente connesse con il tessuto sociale. “Mastica ‘zine, Ero una fanzine” ne è l’ennesima riprova. Il volume, dato alle stampe nell’estate dello scorso anno, ribadisce ulteriormente come la necessità di confrontarsi e analizzare quelle zone “meno nobili” della società italiana, debba essere vista come azione prioritaria. Non fosse altro che per provare a capire il mondo che ci circonda, anziché viverlo passivamente, o ancor peggio giudicarlo da lontano, per sentito dire. Anziché unirsi al coro dei (finti) indignati, le ragazze di Mastica ‘zine scelgono di andare a fondo nell’analisi di un problema più che mai vivo, anche se poco considerato dai media mainstream.
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MASTICA ‘ZINE “ERO UNA FANZINE” (AGENZIA X)
Ancora una volta Agenzia X si conferma come una delle realtà più intimamente connesse con il tessuto sociale. “Mastica ‘zine, Ero una fanzine” ne è l’ennesima riprova. Il volume, dato alle stampe nell’estate dello scorso anno, ribadisce ulteriormente come la necessità di confrontarsi e analizzare quelle zone “meno nobili” della società italiana, debba essere vista come azione prioritaria. Non fosse altro che per provare a capire il mondo che ci circonda, anziché viverlo passivamente, o ancor peggio giudicarlo da lontano, per sentito dire. Anziché unirsi al coro dei (finti) indignati, le ragazze di Mastica ‘zine scelgono di andare a fondo nell’analisi di un problema più che mai vivo, anche se poco considerato dai media mainstream.
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Campagna "Noi non paghiamo": al Centro Popolare Autogestito Firenze Sud cena e concerto
Il 14 gennaio 2023 il Centro Popolare Autogestito Firenze Sud ha ospitato una cena di sottoscrizione e un concerto dei cuneesi #LouTapage e dei #MalasuerteFiSud, band che attorno al CPAFiSud gravita da quasi venticinque anni. Entrambe le iniziative, gremite, sono servite a sostenere la campagna #Noinonpaghiamo.
La #Lega ha deplorato anche di recente l'esistenza del Centro Popolare Autogestito Firenze Sud -che da trentaquattro anni ospita iniziative in cui i "valori" occidentali sono volta per volta confutati, svalutati, disprezzati, disconfermati o semplicemente derisi- e ha deplorato anche l'iniziativa specifica.
Due ottimi motivi per dare a entrambe le cose rilievo in ogni sede. Si è quindi pensato di pubblicare qualche video su Youtube, di scriverne sul Cinguettatore, su Instagram e su Blogger.
Tra i brani suonati dai Lou Tapage una cover di Fabrizio de André esplicitamente dedicata a Alfredo #Cospito, al momento in cui scriviamo vicino ai novanta giorni di sciopero della fame in segno di protesta contro il duro regime carcerario cui è sottoposto al sostanziale fine di chiudergli la bocca.
Ripetiamo.
Cospito è nato a #Pescara e non a #Shiraz e non è nemmeno una bella ragazza.
Soprattutto, certe cose vanno benissimo se fatte a #Tehran, a l'#Avana, a #Minsk o a #Caracas: gli appassionati di #raveparty si mettano fiduciosi sulla strada per #Kiev, troveranno l'approvazione dell'intero gazzettificio peninsulare e delle madri non sposate che si atteggiano a difensori dei valori cattolici cui il gazzettame ha tirato la volata per anni. Attenzione a non sbagliare latitudini perché nell'"Occidente" della democrazia da esportazione l'esistenza delle pecore nere non è prevista e basta una scritta su un muro per vedersela con la gendarmeria politica nel tripudio delle tolleranze zero e dei giri di vite che sono la passione degli stessi gazzettieri di cui sopra.
Fitness normativa: TLC vs OTT. Ora che la multa del #GarantePrivacy irlandese a #Meta ha cambiato lo scenario della pubblicità online, 4 Tlc europee ambiscono a rivoluzionare il settore
FITNESS NORMATIVA: TLC VS OTT. ORA CHE LA MULTA DEL #GARANTEPRIVACY IRLANDESE A #META HA CAMBIATO LO SCENARIO DELLA PUBBLICITÀ ONLINE, 4 TLC EUROPEE AMBISCONO A RIVOLUZIONARE IL SETTORE!
Quattro delle più grandi società di telecomunicazioni europee hanno formalmente informato la Commissione europea di una joint venture per costruire una piattaforma tecnologica per la pubblicità digitale, secondo una comunicazione depositata, pubblicata lunedì (9 gennaio).
Secondo il documento pubblicato un gruppo di pesi massimi delle telecomunicazioni, tra cui Deutsche Telecom, Orange, Telefonica e Vodafone, vuole "offrire una soluzione di identificazione digitale a norma privacy per supportare le attività di marketing e pubblicità digitale di marchi ed editori".
L'articolo di Luca Bertuzzi continua su Euractiv
Big European telecom operators seek EU antitrust clearance for online advertising bid
Four of Europe’s largest telecom companies formally informed the European Commission of a joint venture to bLuca Bertuzzi (EURACTIV)
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Irish Data Protection Authority gives € 3.97 billion present to Meta. Authority allegedly unable to assess financial benefit from Meta's GDPR violations.
L'Autorità irlandese per la protezione dei dati personali consegna a Meta 3,97 miliardi di euro. L'Autorità non sarebbe in grado di valutare i benefici finanziari derivanti dalle violazioni del GDPR da parte di Meta. Il DPC ha chiuso un occhio sui ricavi generati da Meta dalla violazione del GDPR dal 2018. Ignorando la richiesta dell'EDPB di includere le entrate illecite di Meta, ha ridotto la multa di 3,97 milioni di euro.
Prova di invio con menzione @ alla comunità feddit test e successiva menzione con @ al forum libri di poliverso
@Test: palestra e allenamenti :-)
Testo testo
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CONFESSIONI DI UNA MASCHERA GENNAIO MMXXIII
CONFESSIONI DI UNA MASCHERA GENNAIO MMXXIII
Si è chiuso un anno. Nel peggiore dei modi? Probabilmente, ma non per i motivi che si potrebbe essere portati a pensare. Non sono e non possono essere gli imbarazzanti elementi che rappresentano le tre forze di governo a condizionare il nostro umore. Ci sono cose ben più gravi a cui pensare, ad esempio, restando in tema, consideriamo molto peggio l’assenza di un’alternativa a trio di cui sopra. Che sono, è bene ricordarlo, non la causa del male ma i suoi sintomi, la manifestazione conseguente. Il nostro ragionamento deve quindi, per forza di cose, andare oltre, alzarsi da un punto di vista concettuale.
iyezine.com/confessioni-di-una…
CONFESSIONI DI UNA MASCHERA GENNAIO MMXXIII - 2023
È l'uomo, come sempre, la più grande delusione dell'anno. Lo diciamo da talmente tanto tempo che forse stiamo diventando stucchevoli nel nostro ripeterci.Marco Valenti (In Your Eyes ezine)
ah, ok... 😁 😄 🤣
Per quanto mi riguarda, io l'avrei pubblicato comunque in "musica", ma capisco le tue perplessità, perché in effetti il pezzo ha un perimetro più ampio
La mamma umana di Lillo
in reply to Antonino Campaniolo 👣 • • •Non mi è mai piaciuto essere iscritta ad un social, ma in questo finalmente si 😄
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