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Guerra in Ucraina: se Putin è Hitler, Zelensky è Churchill


Mentre la guerra infuria in Ucraina, tutto è beatamente pacifico sul fronte interno. Gli americani hanno abbracciato la narrativa ufficiale. Nessun film western ha mai tracciato la linea del bene contro il male in modo così chiaro o crudo. La Casa Bianca, il Congresso e la stampa insistono sul fatto che l’Ucraina è la vittima […]

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Anna Maria Luisa de’ Medici, colei che salvò l’intero patrimonio artistico


Il 18 febbraio scorso, Firenze ha festeggiato come mai era avvenuto prima una donna straordinaria, Anna Maria Luisa de’ Medici, conosciuta come l’Elettrice Palatina, l’ultima discendente di una delle più importanti e famose casate quella dei Medici appunto, che per oltre 3 secoli ha imposto il proprio potere politico, economico e culturale, la propria egemonia […]

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Manifesto “Per un Iran libero”


Per ogni donna, piccola o grande che sia Per ogni ragazzo e per ogni uomo Per ogni essere umano che ami la libertà Non è tempo di tiepide condanne. Non si può restare indifferenti di fronte a quello che da mesi accade in Iran. Dobbiamo condannare con forz

Per ogni donna, piccola o grande che sia

Per ogni ragazzo e per ogni uomo

Per ogni essere umano che ami la libertà

Non è tempo di tiepide condanne. Non si può restare indifferenti di fronte a quello che da mesi accade in Iran. Dobbiamo condannare con forza e senza compromessi le violenze del regime degli ayatollah, autorità guidate dall’odio e dal fanatismo religioso, che opprimono, seviziano e uccidono qualsiasi persona ritenuta impura. Le loro sono regole macchiate di sangue. Il loro credo è morte e violenza.

Eppure, il desiderio di libertà è più forte del terrore imposto dal regime. A differenza del passato, le proteste a Teheran e in tutto il Paese si stanno rivelando insopprimibili. Quella a cui assistiamo è una lotta tenace senza leader, ma guidata da una semplice richiesta: Jin, Jian, Azadi. Donna, vita, libertà.

Cancellare la femminilità e la bellezza è quello che desidera il regime. Comprimere ogni spazio di libertà è la sua missione, con la polizia morale che ritiene di rafforzare i propri principi con le bastonate e le autorità religiose che erogano condanne a morte contro “i nemici di Dio”.

Non possiamo restare inerti di fronte a minorenni violentate e uccise perché non indossano un velo, a madri costrette a tacere o a mentire per non fare la stessa fine delle figlie, a padri privati di ogni prospettiva per le proprie famiglie.

Le donne e gli uomini iraniani sanno che il tempo del regime sta finendo, in loro arde la fiamma della libertà. Le violenze e le minacce del regime non riusciranno a spegnerla.

Di fronte a tutto questo l’Occidente deve alzare la voce. La Fondazione Luigi Einaudi ha scelto di non voltare lo sguardo e di agire con ogni mezzo. Essere messaggeri di quello che sta accadendo, mettere a nudo i fatti anche quando rimordono la coscienza. Questa è la nostra scelta. Di più, questo è il nostro dovere. Un dovere morale, ancor prima che “politico”.

La nostra attenzione sarà costante. Incessante sarà la nostra richiesta alla classe politica italiana ed europea di azioni concrete. Solo un “salto di qualità” nella reazione internazionale potrà fermare le autorità iraniane.

Ricordiamoci di non dare per scontati i privilegi di cui gode il nostro mondo libero. Sono stati raggiunti dopo secoli di guerre e conflitti sociali: difendiamoli sempre e sempre con la stessa intensità.

La libertà è universale, né occidentale né orientale. Oggi ha un nuovo volto, è quello sorridente e radioso delle donne assembrate nelle piazze iraniane.

Non lasciamole sole. Uniamoci a loro e sosteniamole con ogni mezzo nella riconquista dei loro incomprimibili diritti. Per un Iran libero.

Firma il manifesto su Change.org

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Caccia o droni? Il governo studia il settimo decreto armi a Kyiv


Si va verso un salto di qualità nel sostegno militare dell’Italia all’Ucraina. Lo rivela Francesco Verderami nel suo retroscena sul Corriere della Sera. Il governo sta elaborando il settimo decreto di aiuti alle autorità di Kyiv. “Abbiamo appena varato il

Si va verso un salto di qualità nel sostegno militare dell’Italia all’Ucraina. Lo rivela Francesco Verderami nel suo retroscena sul Corriere della Sera. Il governo sta elaborando il settimo decreto di aiuti alle autorità di Kyiv. “Abbiamo appena varato il decreto e dall’Ucraina ci sono arrivate altre richieste. Toccherà farne un altro”, diceva un paio di settimane fa Guido Crosetto, ministro della Difesa, a un collega di governo secondo quanto ricostruito da Verderami. Il sistema di difesa missilistico Samp-T promesso a Kiev arriverà a destinazione solo “nelle prossime settimane”, come ha annunciato il Antonio Tajani, ministro degli Esteri, perché bisogno superare un problema di allineamento tecnico tra i pezzi italiani e quelli francesi che compongono l’arma.

IL SALTO DI QUALITÀ

La dotazione bellica salirà di livello, scrive il Corriere della Sera nel giorno della visita di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, a Kyiv: “Sarà un’altra fattispecie di armi”, confermano rappresentanti del governo italiano al giornale. C’è scetticismo sulla possibilità che Roma invii dei caccia, ma si parla di una nuova partita di droni – “che hanno un mercato a metà strada tra il militare e il civile” – e non si esclude la fornitura di “missili a lunga gittata”. Se sarà confermata, sarà davvero una svolta, dato che “finora, per evitare il coinvolgimento nel conflitto, i Paesi della Nato avevano posto delle limitazioni nell’assegnazione di certi armamenti”. E anche perché la formula che Roma finisce a Kyiv “solo armi difensive”, usata finora per placare i settori della maggioranza e i pezzi di opinione pubblica meno favorevoli all’invio di armi, sarebbe superata nella sostanza. Ecco, dunque, cosa porta Giorgia Meloni al presidente ucraino Volodymyr Zelensky secondo il Corriere.

LE PAROLE DI CIRIELLI…

Nei giorni scorsi si è parlato dell’ipotesi di invio di caccia all’Ucraina da parte dell’Italia: “Quanto ai jet, dipende quali”, ha spiegato Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri (Fratelli d’Italia), al Messaggero. “Gli F-35 sono fuori discussione, si può avviare un discorso sui caccia bombardieri Amx. Ascolteremo le richieste ucraine”, ha aggiunto.

… E QUELLE DI TAJANI

Il ministro Tajani, coordinatore nazionale di Forza Italia di Silvio Berlusconi, ha ribadito che l’Italia andrà avanti con l’invio delle armi all’Ucraina: “Abbiamo già approvato il sesto pacchetto e l’invio del materiale è in via di perfezionamento. Tra qualche settimana, in collaborazione con i francesi, manderemo in Ucraina anche il sistema missilistico Samp-T per la difesa aerea”, ha detto in un’intervista al giornale La Stampa. Potremmo mandare anche nostri caccia? “Ancora non ne abbiamo parlato, ma nel caso dovremo coordinarci con gli alleati, capire che tipo di aerei manderanno loro, perché non ha senso consegnare agli ucraini modelli diversi, poi c’è il problema di addestrare i piloti. Insomma, mi pare praticamente impossibile che vengano inviati caccia italiani”, ha risposto. “Se vogliamo arrivare alla pace”, ha continuato, “dobbiamo fare in modo che l’Ucraina resti indipendente e difenda il proprio territorio, altrimenti non si potrà costruire un accordo”.


formiche.net/2023/02/settimo-d…



Carnevale


I tempi cambiano e dalle sfilate sono quasi del tutto scomparse le maschere di zorro, pierrot, arlecchino, indiani e cowboy (se da bambini ci avessero rivelato che cowboy significava "mandriano", ci saremmo rifiutati anche noi di vestirci con lo Stetson in testa, il gilet e il cinturone). I punk sono stati sostituiti dai maranza. Resiste qualche pagliaccio, i darth fener, gli harry potter e le tartarughe ninja, ma solo perché i costumi sono stati conservati nell'armadio per farli indossare ai fratelli più piccoli. Le principesse e i supereroi rimangono sempre i più gettonati. Oggi che è martedì grasso va forte la maschera di Mercoledì.


Il biliardino delle #cosedagarante si arricchisce di un nuovo pezzo di storia: l’illustrazione che racconta della prima puntata di “A little privacy, please!” , il podcast di Radio Activa Plus, al quale ho avuto il privilegio di essere ospite e di presentare “La privacy degli ultimi”. Grazie a Sergio Aracu, Marco Trombadore e ad Alterales per il...


Giorgia Meloni va a Kiev in missione di guerra per accreditarsi a livello internazionale. È lì per assicurare a Zelensky la prosecuzione della fornitura di ar


La vicenda dei giornalisti italiani cui è stato revocato l'accredito o semplicemente è stato impedito di entrare in Ucraina. Di @Vincenzo_vita su @art_ventuno


Una triste coltre di silenzio avvolge la vicenda dei giornalisti italiani cui è stato impedito di entrare in Ucraina o è stato revocato l’accredito per poter svolgere la propria attività professionale. Vi è l’ordine di non parlarne?

@Giornalismo e disordine informativo

La prevista conferenza stampa di Giorgia Meloni, attesa in queste ore a Kiev dopo la visita di Biden, sarà l’occasione per sollevare il problema: quali sono le accuse mosse dai servizi segreti nei riguardi di chi non fa propaganda, bensì informazione sulla guerra? Vale anche in tale circostanza la solita terribile strategia del segreto, in base alla quale i misfatti e le atrocità non devono venire a conoscenza dell’opinione pubblica?

Il post di Vincenzo Vita è stato pubblicato su Articolo21



Unione Popolare aderisce e invita a partecipare a tutte le iniziative territoriali indette dal coordinamento Europe for peace dal 23 al 26 febbraio. Il 25 fe

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Meno festa, più guerra. La Danimarca dice “no”


Il governo della Danimarca, impegnato nel sostegno militare a Kiev, vuole cancellare una festività per aumentare le spese militari e pensa alla leva obbligatoria femminile. Sindacati e sinistre scendono in piazza L'articolo Meno festa, più guerra. La Dan

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 13 febbraio 2023 – Ormai, ovunque, la parola d’ordine è aumentare le spese militari, e per trovare risorse aggiuntive molti governi non si fanno scrupoli a saccheggiare i bilanci dell’istruzione, della sanità, del welfare. Alcuni esecutivi, poi, pur di fare cassa orchestrano soluzioni “creative”.

Via il “Grande giorno della preghiera”
È il caso del nuovo governo danese che, pur di rastrellare fondi da destinare al bilancio della Difesa, ha deciso di abolire lo “store bededag”, il “Grande giorno della preghiera”.
La premier socialdemocratica Mette Frederiksen – che a dicembre ha formato una coalizione con Liberali e Moderati, due formazioni rispettivamente di centrodestra e di centro – ha inserito la cancellazione della festività nel programma di governo, insieme ai tagli fiscali per i redditi più alti e a una riforma della sanità che premia i gruppi privati.
L’esecutivo assicura che la misura porterebbe a maggiori introiti per lo stato di 430 milioni di euro, che permetterebbero al paese di portare la spesa militare al 2% del Pil – come richiesto dall’Alleanza Atlantica – già nel 2030, raggiungendo l’obiettivo con tre anni di anticipo rispetto a quanto concordato nel marzo 2022 da socialdemocratici, Partito Socialista-Popolare, Liberali e Conservatori.
Per l’esecutivo i quasi 4 miliardi di euro che il paese ha speso per la Difesa nel 2022 – l’1% del Pil – sono troppo pochi per far fronte alla “minaccia russa” e per continuare a sostenere militarmente l’Ucraina. A gennaio, tra l’altro, un rapporto semestrale della NATO criticava la Danimarca per non aver investito sufficienti risorse nelle sue forze armate.

La Danimarca dice no
Ma il disegno di legge presentato dalla coalizione di governo ha scatenato nel piccolo paese nordico una levata di scudi generalizzata. Secondo un recente sondaggio ben il 75% dei danesi sarebbe contrario al provvedimento che pretende di eliminare, già dal 2024, la festa tradizionale che cade il quarto venerdì successivo alla domenica di Pasqua, istituita nel lontano 1686.
Sul piede di guerra ci sono sia le chiese protestanti sia i sindacati che, per motivi in parte diversi, nel paese nordico hanno dato vita ad una mobilitazione senza precedenti.
Una petizione online ha raccolto in pochi giorni quasi 500 mila firme, e domenica 5 febbraio quasi 50 mila persone provenienti da tutta la Danimarca hanno protestato nella piazza del palazzo di Christiansborg a Copenaghen, sede del Parlamento, per chiedere all’esecutivo di ritirare il provvedimento. Era da almeno un decennio che in Danimarca non si assisteva a una manifestazione così partecipata.

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La protesta dei sindacati
In piazza sono scesi, soprattutto, i militanti della FH, la Confederazione dei Sindacati, un’organizzazione che riunisce 79 organizzazioni e conta 1,3 milioni di affiliati in un paese di appena 6 milioni di abitanti. In prima fila nella protesta anche tutti i partiti di sinistra, dall’Alleanza rosso-verde fino ai comunisti passando per il Partito Socialista Popolare e formazioni ecologiste.
La Chiesa Evangelico-Luterana, ovviamente, è nettamente schierata contro la decisione di Frederiksen, ma l’opinione contraria è sorretta nella maggioranza dei casi da considerazioni di ordine politico e sociale piuttosto che religiose.
Genera indignazione il fatto che l’esecutivo abbia scelto di penalizzare la classe lavoratrice per recuperare risorse da destinare alla spesa bellica.
«Non credo sia un problema dover lavorare un giorno in più. Stiamo affrontando enormi spese per la difesa e la sicurezza» ha detto Mette Frederiksen presentando al parlamento il proprio programma di governo. Ma i sindacati insistono nel difendere un giorno di riposo, per quanto la Danimarca sia tra i paesi europei in cui si lavora meno ore. «Abbiamo bisogno di tempo per riprenderci fisicamente e mentalmente, e per concentrarci sulle nostre famiglie e su noi stessi» ha spiegato all’emittente pubblica danese DR un educatore che partecipava alla manifestazione.
Inoltre, ha accusato la segretaria generale della Confederazione dei Sindacati Lizette Risgaard, la decisione del governo attacca il “modello danese”, nel quale la retribuzione e l’orario di lavoro vengono regolati da accordi bilaterali negoziati dalle organizzazioni dei lavoratori e da quelle degli imprenditori, senza l’intervento dello stato. Anche i sindacati dei dipendenti del settore militare hanno protestato contro il provvedimento.

Il no all’escalation
Non mancano poi gli economisti che contestano gli studi governativi, secondo i quali l’aggiunta di una giornata lavorativa permetterebbe di generare maggiori introiti per 3,2 miliardi di corone, attraverso l’aumento delle entrate fiscali e la riduzione dei sussidi. Le risorse rastrellate, secondo alcuni studi, sarebbero assai più contenute, rendendo la misura inutile, oltre che ingiusta. Oltretutto nelle scorse settimane, nel tentativo di ammorbidire i sindacati, l’esecutivo ha offerto un aumento dei salari dello 0,45% come compensazione per la perdita di un giorno di ferie pagate.
Una parte dell’opinione pubblica, poi, sia per motivi etici sia politici, rimane contraria all’aumento della spesa militare, anche se alcuni dei partiti della sinistra l’hanno sostenuto nella precedente legislatura e, assieme alle opposizioni di destra, hanno presentato per gonfiare comunque il budget della Difesa che non prevede l’abolizione di una delle undici festività annuali.
Molti manifestanti, domenica scorsa, portavano cartelli che recitavano «Dì no alla guerra».
Il quotidiano Politiken, il più prestigioso del Paese e con una linea editoriale di centrosinistra, ha definito un “autogol incomprensibile” il piano della premier, che però sembra non voler tener conto delle proteste, anche se secondo i sondaggi il suo partito ha subito un tracollo nelle intenzioni di voto.
Già dieci anni fa un altro governo, sempre a guida socialdemocratica, tentò di eliminare lo “store bededag” ma dovette rinunciare a causa delle forti proteste.

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Militari dell’esercito danese

Sostegno a Kiev e coscrizione obbligatoria per le donne
Nelle ultime settimane, intanto, l’esecutivo ha deciso di inviare a Kiev un certo numero di tank Leopard1, dopo aver già ceduto all’Ucraina 19 sistemi Caesar di fabbricazione francese, degli obici montati su camion che possono colpire bersagli anche a sei chilometri di distanza.
Come se non bastasse, in un’intervista alla tv pubblica danese, il ministro della Difesa e vicepremier di Copenaghen Jakob Ellemann-Jensen ha affermato che il governo intende imporre la coscrizione militare obbligatoria a sorteggio anche per le donne, al fine di aumentare le dimensioni e l’efficienza delle proprie forze armate.
Attualmente, le donne possono entrare nell’esercito solo su base volontaria mentre se vengono scelti tramite un sistema a sorteggio, gli uomini sono obbligati a prestare il servizio militare; normalmente la naia dura quattro mesi, ma in alcune circostanze può arrivare fino a dodici. Nei fatti, sebbene la legge consenta alle forze armate di imporre il servizio militare, attualmente solo l’1% degli effettivi delle forze armate del paese nordico viene arruolato in questo modo. Evidentemente l’esecutivo sta pensando di aumentare questa quota.
In Europa solo due paesi prevedono la coscrizione militare obbligatoria per le donne: la Norvegia dal 2013 e la Svezia dal 2018. – Pagine Esteri

5533488* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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Andrea Russo
@Andrea non so come funzioni e quanto duri la leva militare in Danimarca, ma la leva obbligatoria femminile mi sembra una stronzata.
Diverso sarebbe la possibilità di istituire e promuovere un vaido addestramento periodico e breve e soprattutto non obbligatorio per tutti i cittadini. Maschi e femmine


ARABIA SAUDITA. Condanne a morte e carcere duro per chi si oppone a NEOM


Il Centro per i diritti umani Alqst denuncia che 47 membri della tribù Howeitat sono stati arrestati e condannati a pesanti pene detentive, 3 a morte, per essersi opposti allo sgombero dalle loro case per far posto alla megalopoli progettata dal principe

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 21 febbraio 2023 – Gli Howeitat nella regione nordoccidentale dell’Arabia saudita ci vivono da secoli. Da prima che i Saud, adottato il wahhabismo, si proclamassero unilateralmente custodi di Mecca e Medina e realizzassero poi le loro ambizioni territoriali grazie al petrolio e agli appetiti del colonialismo occidentale. E credevano di poter continuare la loro tranquilla esistenza in quell’area lontana dallo sfarzo edilizio e tecnologico delle grandi città saudite. Non avevano fatto i conti con i progetti oltremodo ambiziosi del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Mbs), di fatto già alla guida del regno, uno che non si fa scrupoli quando deve liberarsi di chi prova ad ostacolare il suo cammino. Lo provano gli arresti qualche anno fa di decine di principi e membri della sua famiglia e nel 2018 l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi di cui è ritenuto il mandante da più parti, anche dalla Cia. Un rapporto, The Dark Side of Neom, dell’organizzazione per i diritti umani araba Alqst, pubblicato il 16 febbraio, denuncia che circa 47 membri della tribù Howeitat sono stati arrestati con l’accusa di resistenza allo sgombero dall’area in cui è in costruzione la megalopoli Neom, il più faraonico dei progetti avviati dall’erede al trono saudita per soddisfare la sua mania di grandezza.

Quindici membri della tribù, rivela Alqst, sono stati condannati a pene che vanno da 15 fino a 50 anni di carcere, otto sono stati rilasciati dalla detenzione, altri 19 sono detenuti in attesa di verdetto. Lo scorso ottobre un tribunale saudita aveva condannato a morte tre Howeitat: Shadli, Atallah e Ibrahim al Howeiti. Tutti e tre si erano espressi contro lo sfratto della loro tribù decisa dalle autorità saudite per far posto a Neom. «Queste sentenze scioccanti – ha scritto Alqst – mostrano le misure crudeli che le autorità saudite sono disposte a prendere pur di punire i membri della tribù Howeitat che hanno protestato contro lo sgombero forzato dalle loro case». Tutto è cominciato nel marzo 2020 quando le forze speciali saudite fecero irruzione nelle case di coloro che si opponevano allo sgombero. Venti Howeitat furono ammanettati per aver protestato contro l’arresto di un ragazzino. Poi Abdul Rahim al Howeiti, attivista dei diritti della sua tribù, fu ucciso a colpi di arma da fuoco poco dopo aver realizzato video su quanto stava accadendo. Suo nipote Ahmed al Huwaiti venne arrestato e condannato prima a cinque anni e poi in appello a 21 anni di carcere per «aver cercato di destabilizzare e lacerare il tessuto sociale e la coesione nazionale». Maha al Huwaiti è stata arrestata nel febbraio 2021 per aver twittato sull’aumento del costo della vita e pianto la morte di al Huwaiti. Inizialmente è stata condannata a un anno di reclusione poi in appello a tre anni. Nell’agosto 2022 è stata processata nuovamente per le stesse accuse e punita con 23 anni di prigione.

Il rapporto rileva che la repressione e le pene detentive si sono fatte più dure in coincidenza con la riabilitazione da parte dell’Occidente di Mohammed bin Salman per l’omicidio di Jamal Khashoggi. «La correlazione è chiara. Più Mbs viene riabilitato più le cose peggiorano», ha dichiarato a un giornale online Lina al Hathloul, attivista saudita dei diritti umani e responsabile delle comunicazioni di Alqst. Al Hathloul ha fatto notare che in seguito alle visite ufficiali in Arabia saudita dell’ex primo ministro britannico Boris Johnson e del presidente degli Stati uniti Joe Biden c’è stata «un’ondata di esecuzioni» e di «condanne a lunghe detenzioni senza precedenti».

Neom costerà 500 miliardi di dollari, sarà 33 volte più grande di New York e si estenderà per 170 chilometri in linea retta nella provincia di Tabuk. Avrà anche una stazione sciistica, Trojena, unica candidata per i Giochi asiatici invernali del 2029. L’Arabia saudita sarà il primo paese del Medio oriente ad ospitarli. Il resort dovrebbe essere completato nel 2026 e offrirà sci all’aperto, un lago d’acqua dolce artificiale e una riserva naturale. Di fronte ai tanti miliardi che saranno investiti per Neom, alle famiglie Howeitat sono state fatte promesse di risarcimento mai mantenute. Le autorità hanno respinto le richieste di chi voleva essere reinsediato nelle immediate vicinanze delle loro case offrendo loro 620.000 riyal (150mila euro) per essere ricollocati più lontano. In realtà, ha riferito Alqst, ai destinatari sono dati solo 17.000 riyal (4200 euro). Così la maggior parte degli sfrattati è stata costretta ad acquistare case nelle aree più povere e degradate della provincia di Tabuk.

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AFGHANISTAN. Donne e lavoro. Attesa per le linee guida dei Talebani


Erano state promesse alla fine di gennaio a una delegazione delle Nazioni Unite e dovrebbero regolamentare il ruolo delle donne nelle ONG, dalle quali sono state bandite alla fine del 2022. L'articolo AFGHANISTAN. Donne e lavoro. Attesa per le linee guid

di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 20 febbraio 2023 – Si fanno ancora attendere le linee guida promesse dal governo de facto dei Talebani per regolamentare il ruolo delle donne nelle Organizzazioni Non Governative e riabilitarle al loro lavoro. Sono trascorse, infatti, tre settimane dalla missione ONU a Kabul dalla quale Martin Griffiths e gli altri delegati erano tornati con “risposte incoraggianti”, così avevano detto, da parte dei ministri talebani. Al centro dell’incontro c’era stata la discussione in merito al divieto per le donne afghane di lavorare nelle ONG, ratificato dal regime il 24 dicembre scorso. La causa della legge era, a detta del regime, il mancato rispetto da parte delle operatrici delle ONG delle norme di abbigliamento imposte dalla sharia.

Dopo il bando emesso dal governo talebano, alcune ONG avevano momentaneamente sospeso le loro attività nel Paese, e per tutte erano seguite ore di gelo di fronte all’incertezza di poter continuare ad adoperare personale femminile per le proprie missioni, ovvero di poter continuare a impiegare, in condizioni di sicurezza, almeno la metà dei propri dipendenti. Al decreto, che aveva gettato nello sconforto la comunità internazionale, aveva poi fatto seguito una correzione del tiro da parte dei Talebani, che avevano escluso dalle destinatarie del bando le donne che operavano negli ospedali e nel settore sanitario. L’International Rescue Committee (IRC), Save the Children e CARE avevano quindi riavviato in parte le proprie attività nel Paese.

Il 24 gennaio scorso, i Talebani avevano ricevuto una delegazione dell’ONU guidata da Martin Griffiths, Sottosegretario dell’Agenzia delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari e Presidente dell’Inter-Agency Standing Committee (IASC), un forum che riunisce i leader di 18 organizzazioni umanitarie. In tale occasione, il governo afghano avrebbe, appunto, dichiarato di essere al lavoro nella redazione di “linee guida”, sic, per regolamentare il lavoro delle donne nelle ONG senza infrangere la legge islamica.

“Un certo numero di leader talebani mi ha detto che l’amministrazione talebana sta lavorando a linee guida che forniranno più chiarezza sul ruolo, la possibilità e auspicabilmente la libertà delle donne di lavorare nel settore umanitario”, aveva dichiarato Griffiths. Una promessa interpretata come un tenue segnale di speranza nonostante la sua vaghezza e malgrado la consapevolezza che un incontro con i leader talebani di Kandahar, roccaforte dei capi spirituali in grado di dire effettivamente l’ultima parola in tema di politica, sarebbe prezioso per sigillare l’accordo sul lavoro delle donne.

Pochi giorni prima, un’altra delegazione ONU aveva raggiunto a Kabul e Kandahar i leader talebani, sempre a proposito del divieto di lavorare nelle ONG per le operatrici afghane. Questa volta a guidarla era stata una donna, Amina Mohammed, Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite, accompagnata da Sima Bahous, Direttore Esecutivo dell’Agenzia ONU per le Donne, e da Khaled Khiari, Segretario Generale aggiunto del Dipartimento di Costruzione politica e Operazioni di Pace. Mohammed si era detta “incoraggiata” dalle eccezioni fatte per le operatrici sanitarie, ma al tempo stesso aveva dichiarato che le conversazioni con la controparte erano state particolarmente “difficili”.

A tre settimane dall’ultimo incontro con i rappresentanti dell’ONU, il decalogo che dovrebbe permettere alle donne afghane di tornare a operare nelle ONG senza infrangere le norme di vestiario e di comportamento non è stato apparentemente ancora pubblicato. Le conseguenze dell’allontanamento delle dipendenti dal lavoro di soccorso alla popolazione afghana sono disastrose.

Il bando delle donne dalle attività assistenziali, infatti, colpisce non solo le lavoratrici e le loro famiglie, ma tutte le donne e i bambini destinatari dell’assistenza umanitaria. Le donne afghane, infatti, possono accettare aiuti – denaro, cibo, medicinali, vestiti – solo da altre donne, e comunicare solo con personale femminile.

Secondo i Gruppi di Lavoro sul “Genere nell’Azione Umanitaria” (Giha) e sull’”Accesso Umanitario”, entrambi operanti all’interno delle Nazioni Unite, il decreto di fine dicembre continua a danneggiare il lavoro umanitario e di conseguenza la popolazione afghana. Dalle risposte di un’intervista rivolta a 129 operatori di organizzazioni nazionali e internazionali e agenzie ONU, emerge, infatti, come a tre settimane di distanza dal bando il 93% delle ONG abbia assistito a un deterioramento delle proprie capacità di portare assistenza alle donne afghane.

Secondo l’inchiesta, inoltre, nell’81% delle ONG lo staff femminile non può più recarsi sul posto di lavoro. Al tempo stesso, le attività di protezione specifica per le donne, così come di monitoraggio dei loro bisogni assistenziali, sono state interrotte forzatamente dal bando.

Non è difficile immaginare quale danno stia rappresentando quindi il decreto nelle attività di aiuto in un Paese che attraversa una drammatica crisi dei diritti delle donne e una altrettanto tragica emergenza umanitaria. I numeri della sofferenza del popolo afghano rimangono raccapriccianti, nonostante il progressivo disinteresse di gran parte dei media per le sorti del Paese. Oltre 28 milioni di abitanti, più della metà della popolazione, secondo l’Ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari, dipendono dagli aiuti umanitari. Tra questi, 6 milioni di persone, in gran parte bambini, patiscono letteralmente la fame.

Come dichiarato da Save the Children, che ha riavviato solo una parte delle sue attività nel Paese, “il bando alle lavoratrici delle ONG non sarebbe potuto arrivare in un momento peggiore”. “La severità dell’emergenza umanitaria in Afghanistan è qualcosa che non ho mai visto prima”, ha dichiarato il Direttore delle operazioni sul campo della ONG. “Quasi 20 milioni di bambini e adulti stanno affrontando la fame. Molte famiglie vanno avanti a pane e acqua per settimane”. A tutto ciò si aggiunge il freddo, che ancora non dà tregua. “I bambini stanno lottando per sopravvivere a un gelido, terribile inverno. E riscaldare le abitazioni è fuori questione”. Non poteva esserci periodo peggiore per recidere le braccia delle donne dagli aiuti a un Paese distrutto – sempre ammesso che un periodo “migliore” per farlo si possa mai immaginare. Pagine Esteri

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Domani – dalle ore 15.00 – parteciperò alla presentazione del volume “La Privacy dell’Era Digitale. Le Relazioni dei Presidenti dell’Autorità Garante 1997-2022”, a cura del nostro Presidente Pasquale Stanzione. L’evento, che si terrà a Roma presso Esperienza Europa – David Sassoli, potrà essere anche seguito in diretta streaming collegandosi al sito del Garante www.gpdp.it.


John Fante – Aspetta Primavera, Bandini


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#Risentiamoli Cypress Hill - Black Sunday


“Black sunday” è stato il secondo disco del gruppo hip hop americano Cypress Hill, pubblicato il 20 luglio del 1993 da Ruffhouse e Columbia Records. Grande successo commerciale, “Black sunday” è un gigante dell’hip-hop, un monolite che diverte ancora a trent’anni esatti di distanza.

iyezine.com/risentiamoli-cypre…



La sinistra liberal progressista cancella l'idea stessa di sinistra | Kulturjam

«C’è oggi una sinistra liberal progressista che non ha niente a che fare con quella tradizione nel suo complesso, una sinistra neoliberale che tutta la sinistra, in tutte le sue varianti, ha sempre combattuto e che ha chiamato “destra”.

Ad accomunarla è l’odio con tutto ciò che è storia e ha storia, un odio verso la vita che nelle tradizioni prende forme, evolve, cresce. Il disprezzo verso le comunità, il tentativo di imporre un individualismo è isola, pensando che esista una sola forma di legame, quello che produce il consumo.»

kulturjam.it/costume-e-societa…



Oggi, alle 12.00, si terrà al Ministero dell’Istruzione e del Merito la presentazione del programma della sesta edizione di Fiera Didacta Italia, il più importante appuntamento fieristico dedicato all’istruzione e all’innovazione scolastica.


L’accordo transatlantico sui dati personali naviga in acque cattive. Contro il patto concordato dal Governo degli Stati Uniti e dalla Commissione Europea si è sollevata, infatti, una fronda parlamentare in seno all’Eurocamera. Così, secondo quanto rivelato dal quotidiano tedesco Die Welt, dopo tre anni di negoziati il “Trans-Atlantic Data Privacy Framework” (TADPF) rischia di subire...

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#uncaffèconLuigiEinaudi☕ – Così dovrà essere ancora una volta per la nuova Italia…


Così dovrà essere ancora una volta per la nuova Italia. Nei consessi internazionali, l’Italia non chiederà diritto ad avere materie prime a prezzi di favore, che sarebbe elemosina avvilente e servile, ma diritto a comprare liberamente dappertutto le mater
Così dovrà essere ancora una volta per la nuova Italia. Nei consessi internazionali, l’Italia non chiederà diritto ad avere materie prime a prezzi di favore, che sarebbe elemosina avvilente e servile, ma diritto a comprare liberamente dappertutto le materie prime a prezzo di mercato.

da Lineamenti di una politica economica liberale, Movimento Liberale Italiano, 1943

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fondazioneluigieinaudi.it/unca…



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Tutte caratteristiche che ho ritrovato in "New York City", nuovo album dei garage rockers statunitensi Men, sulle scene da ormai tre lustri e giunti oggi al nono album ufficiale, uscito a inizio mese su Fuzz Club Records (e che segna il debutto del quartetto di Brooklyn sull'etichetta inglese) e arrivato a tre anni dall'ultima fatica discografica "Mercy".
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@Musica Agorà

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Cuba, un paese di 11 milioni di persone, è sotto un embargo illegale da parte del governo degli Stati Uniti da oltre sei decenni. Nonostante questo embargo, i


Esplosivo


L’arma del debito è puntata contro di noi. Da molto tempo e per nostra responsabilità. Dovendo ora aumentare il debito per comprare armi, ottemperando a un obbligo di sicurezza e corresponsabilità Nato, abbiamo la possibilità di non essere il bersaglio, m

L’arma del debito è puntata contro di noi. Da molto tempo e per nostra responsabilità. Dovendo ora aumentare il debito per comprare armi, ottemperando a un obbligo di sicurezza e corresponsabilità Nato, abbiamo la possibilità di non essere il bersaglio, ma di potere prendere la mira.

Dovendo far crescere la spesa per la difesa dall’1.38% del Prodotto interno lordo ad almeno il 2%, così come stabilito in sede Nato nel 2014, e così come è ora saggio e urgente che sia, perché la guerra che la Russia ha scatenato in Ucraina comporta il trasferimento di armi e lo sguarnirsi degli arsenali, dovendo, quindi, affrontare una spesa che era prevista, ma ora non rinviabile, il ministro della difesa, Guido Crosetto, ha chiesto che quei soldi non siano contabilizzati ai fini del patto di stabilità. Se tale richiesta fosse accolta sarebbe per noi un danno. Dobbiamo chiedere e proporre molto di più.

I celebri e vituperati “parametri europei” non solo sono l’ultimo dei problemi, ma comportano un vantaggio, giacché sono i cardini di una protezione. Più alto è il rischio di speculazione sul debito nazionale, più alto il valore della protezione. Potere fare debiti in deroga a quei parametri non è un privilegio, ma una fregatura, proprio perché aggira la protezione. Di quel debito aggiuntivo non dovremmo discutere con la Commissione Ue, ma dovremmo comunque chiederlo al mercato e adeguatamente remunerarlo. Non c’è alcun vantaggio. Mentre l’aumento delle spese per la difesa è una necessità che risponde ad una preziosa unità europea, che ha un alto valore sia politico che morale. E siccome non siamo una parte del mondo senza produttori di sistemi d’arma e tecnologia d’avanguardia, quel che dovremmo proporre è mettere a sistema quel mondo produttivo, lavorare all’eliminazioni delle sovrapposizioni disfunzionali e alimentarlo con investimenti europei, retti da debito comune. Non sarebbe una furbata per non fare debito italiano, ma una spinta seria alla difesa comune. Che, in ambito Nato, è anche la sola possibile e immaginabile.

Il governo Meloni avrebbe qualche credibilità in più, per proporlo. A partire da tre premesse. 1. In campagna elettorale FdI è stata la sola forza di destra (a parte Azione la sola in generale) ad opporsi agli scostamenti di bilancio, mentre gli altri reclamavano debito aggiuntivo per distribuire quattrini. Come è noto FdI ha trionfato e gli altri tonfato. 2. Ereditati i conti dal governo Draghi s’è posto in coerenza, tanto che nessuno ha potuto seriamente avanzare dubbi di affidabilità e lo spread se ne è stato a cuccia. 3. È stato capace di due scelte coraggiose e giuste: a. cancellare la sospensione delle accise sui carburanti (salvo pasticciare nel decreto); b. cancellare lo sconto in fattura e la cessione del credito di quella roba allucinante con denominazione circense, ovvero il “superbonus 110%”.

Naturale che avrebbero accusato il governo del caro carburanti, anche se i prezzi calavano. Naturale che ora si paventi la morte del mercato edilizio, che dopo essere stato a lungo drogato non potrà non avere una crisi d’astinenza. (Dei 372.303 cantieri aperti solo 51.247 sono relativi a condomini e di 65.2 miliardi di investimento ammessi solo 30.4 riguardano condomini, il resto sono ville ed edifici unifamiliari, quindi gli immobili che se ne sono giovati sono pochi e moltissimi a favore di soggetti che avrebbero potuto spendere da soli, invece si sono usati soldi del contribuente e alimentato l’inflazione favorendo la crescita dei prezzi). Queste cose il governo ha avuto il coraggio di farle e ciò rende credibile la proposta cui si faceva cenno, non intestandola a chi sa solo spendere soldi che non ha.

Il “dettaglio” è che sia la difesa europea che il debito condiviso rispondono ai nostri interessi, ma sono anche potenti vettori di maggiore e indissolubile unità europea. Sarebbe interessante, sarebbe esplosivo e rigenerativo veder realizzare questo disegno da chi lo avversò. Ma Brexit è lì a dimostrare quanto fosse folle.

La Ragione

L'articolo Esplosivo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.




La scoperta di Antonio Gramsci - Giovanni D'Anna


Sin dai primissimi giorni del suo rientro in Italia, Togliatti iniziò una incessante opera di “divulgazione” della figura gramsciana

gramscionline.org/2020/09/29/g…

#gramsci



Nuovo appuntamento con la rubrica #iprovvedimentispiegatisemplice su Agenda Digitale. In questo numero parliamo dell’illecito trattamento dei dati biometrici dei dipendenti che è costato alla società Sportitalia una sanzione di 20 mila euro da parte del Garante privacy.


I falsari di André Gide


Primo e unico vero romanzo di André Gide, “I falsari” (1925) è un atto d’accusa nei confronti della letteratura per la mancanza di coraggio, lo scarso approfondimento e l’essere complice nella costruzione della menzogna; sorprendente e affascinante, diverso da qualsiasi altra cosa, mette in scena le vicende di un gruppo di personaggi disparati, moltiplicando i punti di vista, i generi e le linee narrative secondarie, distaccandosi così dalla tradizionale narrazione lineare.

iyezine.com/i-falsari-di-andre…

@L’angolo del lettore

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.



Gli adulti che questa mattina al liceo Michelangiolo di Firenze hanno aggredito studenti di un collettivo antifascista con inaudita violenza, hanno un volto ben


HO PERSO IL GUSTO, NON HA SAPORE


A scoppio ritardato scrivo anche io qualcosa di non-necessario su Sanremo.
Quest’anno non c’è stata una canzone che mi ha colpito particolarmente. È vero che a più riprese mi sono addormentato davanti alla TV, ma le esibizioni che perdevo, le recuperavo il giorno dopo su RaiPlay.
Ho visto qualche gag simpatica (gli interventi del solito immarcescibile Fiorello) e qualche piacevole sorpresa (Paola Egonu è stata la co-conduttrice più spontanea, paradossalmente anche quando leggeva). In generale però lo spettacolo mi è sembrato un po’ troppo costruito e in alcuni momenti anche un po’ stucchevole. Sarà che con il passare degli anni trovo sempre più noiose le confessioni e le prediche televisive fatte da chi ha il cXXo al caldo.
Per attirare l’attenzione su di sé, qualche artista ha azzardato – o “ha simulato” – uno scandaloso passionale colpo di testa: prendere a calci le rose, allungare il brodo all'infinito obbligando il pubblico a cantare un ritornello che non conosce, strusciarsi e baciarsi con l’influencer di turno, ecc... Ma dopo decenni di TV spazzatura oramai siamo tutti vaccinati (compreso i bambini) e la provocazione è diventata “Mission: impossible”.

Con questo non voglio dire che il Sanremo che ho visto sia tutto da buttare. Ci mancherebbe. Si sono esibiti anche dei bravi artisti. Qualcuno si è impegnato e ha fatto anche bene, tuttavia a distanza di una settimana dalla chiusura di Sanremo Venti23 (chiamarlo duemilaventitré non è più di moda) ricordo soprattutto due cose: la sanguigna “American Woman” di Elodie e Big Mama (per la cronaca: alla fine della canzone si sono baciate anche loro, ma nessuno ha montato polemiche) e la superba “Quello che non c’è” di Manuel Agnelli e gIANMARIA.
Lo so che sono di parte, perché adoro quella canzone e quel disco. E’ vero che gIANMARIA sembrava un pulcino bagnato, ma la performance di Manuel Agnelli e di Fabio Rondanini, batterista dei Calibro 35, è stata strepitosa.
Ma questo è camminare alto sull’acqua e su quello che non c’è.



Siamo tutti supereroi


Quando le masse, la stampa e il mondo intero ti dicono di muoverti, il tuo compito è di piantarti come un albero accanto al fiume della verità e dire a tutto il mondo - 'No, muovetevi voi.’

Tra il 2006 e il 2007 uscì uno degli archi narrativi più belli, secondo me, dell’universo Marvel: Civil War. Qualcuno magari avrà visto l’omonimo film, che però non c’entra niente.

Oggi voglio raccontarvi questa storia perché ha molto a che fare con la realtà che ci circonda e con l’attualissima diatriba tra chi vorrebbe incatenarci tra mille algoritmi e sistemi di sorveglianza di massa e chi invece preferirebbe semplicemente essere libero. C’è molto da imparare anche dai fumetti.

Civil War è una storia che parla di libertà, di privacy e dell’ingerenza arbitraria del governo. Potremmo dire che Civil War descrive ciò di cui parliamo ogni settimana su Privacy Chronicles.

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I veri supereroi sono iscritti a Privacy Chronicles

Civil War, la storia


Tutto iniziò con una squadra di giovani supereroi, i New Warriors. I sei si trovavano a Stamford, in Connecticut, per girare un reality-show chiamato “Superhuman High”. Durante le riprese vennero a sapere che nella città si trovava anche un gruppo di super-criminali, la Skeletal League, che proprio in quei giorni stavano progettando di rapinare una banca. L’occasione sembrò ghiotta per aumentare il rating televisivo del reality-show, così i New Warriors decisero di attaccare e cercare di catturare la Skeletal League in diretta TV.

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Purtroppo le cose non andarono come previsto. Durante i combattimenti uno dei supercriminali — Nitro — provocò un’esplosione proprio nel mezzo della città, che distrusse diversi quartieri e anche una scuola, uccidendo più di 600 persone — tra cui molti bambini.

Il drammatico episodio fu presto strumentalizzato dalla politica per attaccare tutti i supereroi che fino a quel momento agivano in modo indisturbato e spesso anonimo nel territorio degli Stati Uniti. Nel giro di pochissimo tempo il governo presentò un nuovo disegno di legge, chiamato Superhuman Registration Act.

L’atto, se approvato, avrebbe obbligato ogni “superumano” a registrarsi presso il governo e rendere nota la sua identità. Questo avrebbe consentito alle autorità di regolamentare le attività dei “supereroi”, supervisionarli, e — se necessario — sanzionarli. Il dibattito fu subito infuocato.

Da una parte c’era chi, come Tony Stark (Iron Man), prese subito le parti del governo. Secondo lui il Registration Act era semplicemente un atto dovuto. Un gesto di civiltà. La legge e la supervisione del governo avrebbero responsabilizzato tutti i supereroi, che quindi avrebbero smesso di agire in modo indipendente e al di fuori della legge.

Stark voleva evitare a tutti i costi il ripetersi di incidenti come quelli di Stamford ed era convinto che questo sarebbe stato possibile grazie a una forte legislazione per delimitare e regolamentare il campo d’azione dei supereroi.

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Dall’altra c’erano invece persone convinte che il Registration Act non fosse altro che un modo per violare le libertà fondamentali dei superumani, costringendoli a rivelare le loro identità segrete e rinunciare a ogni indipendenza.

Il principale sostenitore di questa tesi era Steve Rogers (Captain America). Secondo lui i supereroi avevano il dovere di agire moralmente e responsabilmente, ma come individui e non come macchine controllate dallo Stato. Steve credeva che il Registration Act avrebbe tolto ogni libertà di autodeterminazione ai supereroi, consegnando invece al governo il potere di manipolarli per finalità politiche.

I mass media, il pubblico e diversi gruppi di supereroi si divisero presto in due fazioni: da una parte quella pro-governo, capitanata pubblicamente da Tony Stark; dall’altra quella “ribelle”, condotta da Steve Rogers.

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Le due forze in campo divennero sempre più violente, fino a sfociare in una violenta guerra civile tra alcuni gruppi di supereroi fedeli a Tony Stark o Steve Rogers. La battaglia finale, che vide diversi feriti e morti, portò alla sconfitta di Captain America, che venne catturato e arrestato in quanto leader della fazione ribelle e anti-governativa.

L’arco narrativo si chiude con l’emblematica morte di Captain America, ucciso da un cecchino mentre veniva accompagnato in manette sulla scalinata del tribunale dove avrebbe dovuto essere giudicato per i suoi crimini durante la guerra civile.

Insieme a lui, morivano anche le speranze di libertà dei superumani, ormai condannati alla schedatura governativa.

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Qualche anno dopo gli eventi di Civil War si scoprì che il governo degli Stati Uniti da molto tempo era infiltrato fino alle sue posizioni apicali da agenti HYDRA (i nazisti dell’universo Marvel), e che il Superhuman Registration Act fu in verità un piano dei nazisti per sorvegliare e controllare i supereroi — unico vero ostacolo ai loro piani.

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Tony Stark o Steve Rogers?


Il mondo è in piena guerra civile. Proprio come raccontavano i fumetti Marvel 17 anni fa, anche oggi siamo circondati da due fazioni capitanate da vari Tony Stark e Steve Rogers. E come in Civil War, anche oggi la fazione vincente è quella dei Tony Stark.

Noi non abbiamo un Superhuman Registration Act, ma sistemi e leggi che Steve Rogers non avrebbe mai immaginato nel 2007. Schemi globali di identità digitale; sorveglianza totale delle comunicazioni; progetti per lo sviluppo di monete digitali di Stato e sorveglianza finanziaria; sistemi decisionali automatizzati e social scoring ; scatole nere obbligatorie sulle nostre auto…

L’effetto è lo stesso, anzi peggiore: sorveglianza totale delle nostre identità e delle nostre azioni. Per il “bene comune”.

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I Tony Stark del mondo ci dicono che l’anonimato e la privacy devono essere combattuti, perché deresponsabilizzano le persone. Essere anonimi è pericoloso; la libertà è pericolosa. Tenere alla propria privacy significa avere qualcosa da nascondere, o essere dei criminali.

Questi sono convinti di essere circondati da imbecilli senza alcuna moralità né principi. Il prossimo è un potenziale criminale o qualcuno talmente inaffidabile da non poter neanche gestire la sua stessa vita. E come Tony Stark, credono di essere tra i pochi illuminati a poter guidare il gregge con quel bastone chiamato governo. La legge è uno strumento di dominio per la creazione di una “società migliore”, a loro immagine e somiglianza.

E poi ci sono gli Steve Rogers. Loro sono convinti che l’essere umano abbia in sé tutti gli strumenti per agire moralmente, in modo autonomo e libero — senza per questo essere perseguito. Queste persone sanno che per agire moralmente, bisogna prima essere liberi. Che ogni individuo ha il diritto di creare la sua strada e agire secondo i suoi principi; che non può esserci alcuna libertà senza privacy, e che il governo non è altro che uno strumento di controllo delle persone per fini politici (di specifici gruppi di potere). Sì, la libertà è sporca. È caotica. A volte, pericolosa. Ma non importa.

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Paradimatico di questo pensiero è il celebre discorso di Steve Rogers a Peter Parker proprio durante la Civil War. Probabilmente uno dei migliori di tutto l’universo Marvel:

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Non importa ciò che dice la stampa. Non importa ciò che dicono i politici o le masse.

Non importa se l'intero Paese decide che qualcosa di sbagliato è qualcosa di giusto.

Questa nazione è stata fondata su un principio sopra ogni altro: la necessità di difendere ciò in cui crediamo, senza tener conto delle probabilità o delle conseguenze. Quando le masse, la stampa e il mondo intero ti dicono di muoverti, il tuo compito è di piantarti come un albero accanto al fiume della verità e dire a tutto il mondo -

'No, muovetevi voi.’

Tu, da che parte stai?





Mentre in UE l'identità digitale è tra i temi nodali, l'Italia sta facendo morire #SPID, la conquista più importante per la nostra cittadinanza digitale.
Perché da noi l'unica #eutanasialegale è quella sui nostri diritti...
Di @Luke_like su @wireditalia
wired.it/article/spid-c…

Immagine/foto

Gabriel reshared this.



Con la scomparsa di Maurizio Scaparro la cultura italiana perde un punto di riferimento. Lo ricordo non solo come amico ma anche come compagno di strada e uomo

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Oggi il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha incontrato al Ministero il Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola (Fonags), per istituire un Tavolo permanente di confronto tra le associazioni delle famiglie e…


I due Hotel Francfort di David Leavitt


Dopo sei anni di silenzio, nel 2013 Leavitt torna con “I due Hotel Francfort”, un romanzo ambientato nel giugno del 1940, sui modi in cui le persone possono cambiare in circostanze eccezionali e non essere più le stesse.

È la fotografia di un’Europa alla viglia del disastro, che fa fatica a tenere in vita gli ultimi equilibri mentre dai confini di molte nazioni risuonano colpi di mortaio; una storia immersa nell’atmosfera tanto precaria quanto seducente del neutrale porto di Lisbona, città affollata di espatriati preoccupati di quello che stanno per perdere, in attesa di essere portati in salvo a New York dalla nave SS Manhattan. @L’angolo del lettore

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Firenze: le foibe furono una vendetta


A #Firenze hanno intitolato ai "#martiri delle #foibe" uno slargo con un muro sbrecciato lordo di #graffiti, usato come parcheggio e come ricettacolo per i cassonetti della spazzatura.
Un gesto più di scherno che di omaggio.
Ogni tanto qualcuno spezza o danneggia in altro modo la targa con il nome, che nel febbraio 2023 è stato sostituita per la terza volta almeno.
Giusto in tempo perché venisse corretta con la scritta "#Vendetta".
Una valutazione gelida e realistica. Imporre a Firenze i piagnistei della propaganda difficilmente avrebbe portato a risultati diversi: in città è diffusa da decenni, specie tra le persone serie, la propensione a non sentire alcuna appartenenza per lo stato che occupa la penisola italiana e a comportarsi di conseguenza nei confronti dei suoi propagandisti.



YO LA TENGO – THIS STUPID WORLD


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Questa prima parte di 2023, per fortuna, non ci sta riservando soltanto addii dolorosi a musicisti amati (Van Conner, Tom Verlaine e altri) ma anche eccellenti ritorni discografici, e uno di questi, senza dubbio, è rappresentato dal nuovo disco degli statunitensi Yo La Tengo, ormai veterani indie rockers sulle scene da quasi quattro decadi, che hanno dato alla luce il loro diciassettesimo album ufficiale, “This stupid world“. @Musica Agorà

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Il Consiglio dei Ministri ha approvato oggi il decreto che ridisegna in parte la governance del #PNRR, presentato dal Ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto.
#pnrr

Poliverso & Poliversity reshared this.



Pubblicata #ThePETGuide, la guida dell' ONU sulle tecnologie di miglioramento della #privacy per operare statistiche ufficiali


Il task team UNCEBD Privacy Enhancing Techinques ha pubblicato un pamphlet con metodologie e approcci per mitigare i rischi per la privacy quando si utilizzano dati sensibili o riservati, che sono collettivamente indicati come tecnologie di miglioramento della privacy (PET).

@Etica Digitale

Agli Uffici nazionali di statistica (NSO) sono affidati dati che hanno il potenziale per guidare l'innovazione e migliorare i servizi nazionali, la ricerca e i benefici sociali. Tuttavia, c'è stato un aumento delle minacce informatiche sostenute, reti complesse di intermediari motivati ​​a procurarsi dati sensibili e progressi nei metodi per reidentificare e collegare i dati a individui e tra più fonti di dati. Le violazioni dei dati erodono la fiducia del pubblico e possono avere gravi conseguenze negative per individui, gruppi e comunità.

Le statistiche ufficiali sono una fonte attendibile di informazioni per i governi di tutto il mondo per prendere decisioni informate e basate sui dati. Pertanto, l'ampiezza delle informazioni viene raccolta da una serie di fonti di dati come indagini sulle famiglie e sulle imprese, censimenti della popolazione, economici o agricoli, una varietà di registri amministrativi o persino dati del settore privato. Tali fonti di dati sono gli input per la compilazione di statistiche e indicatori sull'economia, l'ambiente e la società. In molti modi, le statistiche ufficiali offrono un'istantanea dello sviluppo e del tasso di progresso di un paese. Naturalmente, quanto più dettagliato è il livello dei dati di input, tanto più sfumate possono essere le statistiche ufficiali. Tuttavia, la raccolta, il trattamento e la diffusione di dati spesso sensibili devono proteggere la privacy delle persone e delle imprese. Inoltre, considerando gli uffici nazionali di statistica (NSO) come parte degli ecosistemi di dati nazionali e internazionali, gli NSO potrebbero potenzialmente condividere molti più dati se in grado di proteggere la loro privacy. Questo inevitabile compromesso è il fulcro di questo documento, o più concisamente: come possiamo utilizzare la tecnologia per mitigare i rischi per la privacy e fornire garanzie dimostrabili sulla privacy durante l'intero ciclo di raccolta, elaborazione, analisi e distribuzione di informazioni potenzialmente sensibili.

Questo documento esplora gli attuali approcci alla protezione dei dati (ad esempio, l'anonimizzazione dei dati, il calcolo delle parti di input, i controlli e gli accordi contrattuali) e le relative limitazioni. Al fine di facilitare la sperimentazione su progetti pilota e una collaborazione efficace su casi d'uso del "mondo reale", il Task Team delle tecniche di tutela della privacy delle Nazioni Unite ha fondato il laboratorio PET delle Nazioni Unite.

Vengono introdotte due grandi categorie di PET (ad es. privacy di input, privacy di output), tra cui calcolo multipartitico sicuro, crittografia omomorfica, privacy differenziale, dati sintetici, apprendimento distribuito, zero-knowledge proof e ambienti di esecuzione attendibili.

Vengono presentati studi di casi dettagliati che comprendono una vasta gamma di casi d'uso in tutti i settori, sfruttano combinazioni di PET e coinvolgono la collaborazione tra le parti (come più NSO che lavorano insieme, NSO che lavorano con altre agenzie governative e NSO che lavorano con organizzazioni del settore privato). Quindici casi di studio descrivono implementazioni che si trovano nella fase concettuale o pilota e tre che sono state implementate in ambienti di produzione.

Questo documento fornisce una panoramica delle attività di definizione degli standard e identifica diversi nuovi standard rilevanti per il trattamento dei set di dati, compresi gli standard in fase di sviluppo e alcuni che sono un prodotto del principio di precauzione applicato alla definizione degli standard per l'intelligenza artificiale (IA).

Data l'espansione dell'attività che si occupa di PET e il contesto in cui possono essere applicati, gli standard sono presentati in due parti. La prima identifica gli standard essenziali con sezioni sulla crittografia e sulle tecniche di sicurezza. Il secondo considera gli standard indirettamente correlati che potrebbero influenzare l'ambiente - tecnico e organizzativo - in cui i PET possono essere implementati, con argomenti secondari su cloud computing, big data, governance, intelligenza artificiale e qualità dei dati. Per coloro che sono interessati al "quadro più ampio", è disponibile una sezione aggiuntiva sugli standard correlati.

Qui il link per scaricare la guida

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