The Cleopatras Bikini Grill
Le Cleopatras sono, in un mondo nelle quali troppo spesso queste latitano, una vera e propria garanzia.
Le vedi agli eventi che "contano", le senti dal vivo e ti fanno la solita - ma niente affatto scontata - grandissima impressione. Insomma sono come la Y10, piacciono alla gente che piace.
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The Cleopatras Bikini Grill - 2022
The Cleopatras Bikini Grill // Le Cleopatras sono, in un mondo nelle quali troppo spesso queste latitano, una vera e propria garanzia.In Your Eyes ezine
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Impoverita e divisa, Libia in piazza contro tutti
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 4 luglio 2022 – «Le manovre militari hanno accresciuto la fiducia tra i paesi partecipanti e migliorato la comprensione e la cooperazione reciproche». È una parte del comunicato diffuso venerdì sera dall’ambasciata Usa a Tripoli per sottolineare la soddisfazione di Washington per la partecipazione della Libia alle recenti esercitazioni Phoenix Express 22 in Tunisia assieme a 11 Stati arabi ed europei. In quello stesso momento stava esplodendo nel paese la protesta popolare più ampia dal 2011, per il netto peggioramento delle condizioni di vita e la paralisi della politica. È solo uno dei paradossi che strangolano il paese nordafricano oggetto degli appetiti dell’Occidente, per i suoi giacimenti di petrolio e la sua posizione nel Mediterraneo, e allo stesso tempo abbandonato al suo destino.
A Tobruk venerdì sono divampate le proteste più ampie e dure. I dimostranti hanno dato alle fiamme spazzatura e copertoni davanti alla sede della Camera dei Rappresentanti. Poi sono entrati nell’edificio distruggendo documenti, scrivanie, scaffali mentre la piazza scandiva lo slogan più noto delle rivolte arabe del 2011: «Il popolo vuole la caduta del regime». La protesta in poche ore si è allargata ad altre città. A Bengasi, roccaforte dell’uomo forte, il generale Khalifa Haftar, centinaia di persone hanno scandito «Libia, Libia» e chiesto migliori condizioni di vita. A Misurata i manifestanti hanno cercato di fare irruzione nella sede della municipalità. Poi l’onda ha raggiunto Tripoli dove centinaia di persone, soprattutto giovani, si sono radunate nella Piazza dei Martiri, l’ex Piazza Verde, per chiedere lo svolgimento di elezioni presidenziali e parlamentari. Quindi i manifestanti si sono diretti verso il quartier generale del primo ministro. Le forze di sicurezza li hanno allontanati sparando in aria. Ma la protesta non è cessata. Ieri sono state alzate barricate sulle principali arterie stradali a est della capitale, in particolare a Tajoura.
Impoveriti, penalizzati da interruzioni di corrente elettrica fino a 18 ore al giorno con temperature che arrivano anche a 45 gradi, danneggiati dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari, senza carburante anche se il paese ha tra le più grandi riserve di petrolio accertate dell’Africa, i libici sono impantanati nel caos provocato dalle varie fazioni, spesso anche armate, e dai ripetuti round di conflitto tra i leader di Tripoli e Bengasi. Ciò mentre i colloqui di questa settimana a Ginevra, volti a rompere la situazione di stallo tra le istituzioni libiche rivali, non sono riusciti ad accorciare le differenze.
Le elezioni presidenziali e parlamentari, originariamente fissate per il 24 dicembre dello scorso anno, avevano lo scopo di concludere il processo avviato dall’Onu dopo la fine dell’ultimo round di guerra e violenze nel 2020. Ma il voto non ha mai avuto luogo a causa di candidature controverse e profondi disaccordi tra i centri di potere contrapposti a est e ovest. A febbraio lo stallo si è persino aggravato. Il primo ministro ad interim Abdulhamid Dabaiba ha proclamato di non voler lasciare il governo di Tripoli, mentre l’ex ministro degli interni Fathi Bashagha, sostenuto dalla Camera dei rappresentanti (assaltata a Tobruk) e dall’uomo forte Khalifa Haftar, si è proclamato nuovo premier. Da lì non si sono fatti passi in avanti. Eppure, l’economia dovrebbe essere la priorità assoluta perché il paese importa quasi tutto il suo cibo e la guerra in Ucraina ha fatto salire i prezzi al consumo a livelli insostenibili. Il settore energetico, che durante l’era Gheddafi finanziava il welfare, è vittima di divisioni politiche, con un’ondata di chiusure forzate di impianti petroliferi. La cosiddetta l’amministrazione orientale ha chiuso i rubinetti del petrolio per imporre il trasferimento del potere a Bashagha. E la National Oil Corporation ha annunciato perdite per oltre 3,5 miliardi di dollari a causa delle chiusure e del calo della produzione di gas, che ha un effetto a catena sulla rete elettrica. Un clima che il premier di Tripoli Dabaiba ieri ha colto per cavalcare la protesta e attaccare i suoi avversari. Pagine Esteri
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Diritti Digitali per la Comunità Queer
Camilla Quaresmini L’intelligenza artificiale (IA) pervade le nostre vite tramite app di varia tipologia, assistenti digitali, sistemi di rating, dispositivi smart. Diversamente dalla prospettiva che la presenta come strategia oggettiva ed equa per la gestione di determinati compiti, l’IA è intrinsecamente priva di neutralità, in quanto potenzialmente soggetta ad un uso duale.
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Italia nello Stretto di Hormuz in funzione anti-Iran
di Antonio Mazzeo
Pagine Esteri, 4 luglio 2022 – A fine estate l’Italia sarà a capo dell’operazione militare europea nello Stretto di Hormuz a “difesa” degli interessi delle transnazionali dell’energia e per il “contenimento” della presenza iraniana. Ad annunciare la provocatoria missione nel conflittuale corridoio marittimo tra il Golfo Persico e il Golfo di Oman è il ministero della Difesa, a conclusione della visita in Pakistan del Capo di Stato Maggiore, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. “Tra gli argomenti trattati durante gli incontri con i vertici delle forze armate pakistane – si legge nella nota emessa il 24 giugno – il Capo di Stato Maggiore italiano ha sottolineato l’accresciuto impegno del nostro Paese nell’area con l’assunzione del Comando della Missione NATO in Iraq e con la prossima assunzione del Comando della missione di coalizione Europea EMASOH”. (1).
Acronimo di European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz, EMASOH è la “missione di sorveglianza marittima” promossa nel gennaio 2020 – in modo autonomo – dai governi di Danimarca, Belgio, Francia, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Portogallo e Italia, dopo una serie di attacchi contro le unità utilizzate per il trasporto di gas e petrolio negli stretti di Hormuz e Bab el-Mandeb (tra il Mar Rosso e il Golfo di Aden) e ai terminali petroliferi di Abqaiq e Khurais in Arabia Saudita. Principali responsabili delle incursioni a petroliere e navi metaniere, secondo Stati Uniti, Unione europea e petroregimi arabi, i pasdaran, i guardiani della rivoluzione islamica dell’Iran.
“La crescente insicurezza e instabilità nel Golfo e nello Stretto di Hormuz a partire del 2019 con numerosi incidenti marittimi e non, è il risultato delle crescenti tensioni regionali e ha influenzato negativamente la libertà di navigazione e la sicurezza delle unità europee ed extraeuropee nell’area”, riportano i paesi membri di EMASOH. (2) Nonostante l’apertura di nuove rotte commerciali e l’espansione del mercato globale, dallo Stretto di Hormuz continua a transitare il 21% delle risorse petrolifere (circa 21 milioni di barili al giorno). Attraverso questo tratto di mare lungo 150 Km. e largo 33, l’Arabia Saudita fa passare 6,4 milioni di barili di petrolio al giorno, l’Iraq 3,4, gli Emirati Arabi Uniti 2,7, il Kuwait 2, mentre il Qatar, il più grande produttore mondiale di gas naturale liquefatto (LNG), quasi tutto il suo gas destinato all’esportazione. (3) Da qui l’esigenza di alcuni dei principali clienti europei di concorrere alla rimilitarizzazione della regione anche in concorrenza con gli stessi Stati Uniti d’America e i partner del Golfo.
Quartier generale di EMASOH è la base navale francese di Camp de la Paix ad Abu Dhabi (la Francia di Macron è il paese che più ha spinto per il lancio della missione aeronavale). La componente militare (Operation Agénor, nome di matrice classica, sinonimo di molto virile, coraggioso, condottiero dei prodi) include sette unità da guerra e un pattugliatore aereo delle forze armate degli stati promotori più la Norvegia. “Nei primi due anni di vita, EMASOH-Agénor ha visto operare complessivamente tredici fregate e dodici differenti velivoli di pattugliamento e riconoscimento marittimo”, riporta la nota emessa dal Comando il 25 febbraio 2022. “In totale gli assetti aerei hanno condotto più di 1.000 ore di volo mentre le imbarcazioni hanno navigato per 750 giorni, attraversando lo Stretto di Hormuz oltre 170 volte. Tuttavia la sicurezza nel Golfo e nello Stretto rimane volatile. Nonostante il rafforzamento della collaborazione con il Consiglio di Cooperazione del Golfo (paesi membri Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi, Kuwait, Oman e Qatar, Nda), persistono le tensioni regionali pre-esistenti e il rischio di escalation e di potenziali nuovi incidenti. (…) Riconoscendo l’effetto preventivo duraturo della presenza di EMASOH, cercheremo adesso di migliorarne l’efficienza sviluppando sinergie con differenti iniziative europee nell’Oceano indiano nord-occidentale”. (4) Una missione destinata dunque a rafforzare la propria componente militare e il raggio operativo geo-strategico e che sarà a guida italiana molto presumibilmente dal semestre 2022 fino al febbraio 2023.
La nuova avventura militare nelle acque del Golfo non prenderà il via di certo con i migliori auspici. Voluta dall’allora governo Conte bis (Pd-LeU-M5S) sull’onda del rinnovato asse diplomatico-economico-militare tra Roma e Parigi, la partecipazione italiana ad EMASOH è stata inaspettatamente bloccata per tutto il corso del primo anno di attività. Il 30 maggio 2020, prima dell’approvazione del decreto di finanziamento delle operazioni all’estero delle forze armate italiane, il governo decideva l’annullamento della partecipazione di un’unità della Marina ad EMASOH, così come era stato previsto a gennaio. L’allora premier Giuseppe Conte e il (riconfermato) ministro della difesa Lorenzo Guerini non vollero spiegare la ragione della decisione; Analisi Difesa puntò il dito contro una supposta “pressione” esercitata dal Ministero degli Affari Esteri (allora come adesso, responsabile del dicastero l’on. Luigi Di Maio), “non nuovo a entrare a gamba tesa nel campo delle missioni militari all’estero, finanziate da un decreto annuale che stanzia anche i fondi per la cooperazione e sviluppo della Farnesina”. (5)
Dopo la falsa partenza, indigesta per ampi settori politici e delle forze armate, il via alla partecipazione italiana a EMASOH fu annunciato dal ministro Guerini in un’audizione nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, nel marzo 2021. (6) Il successivo 5 agosto, con l’approvazione in Parlamento del documento di proroga delle missioni internazionali, veniva predisposta una copertura finanziaria di 9.032.736 euro (di cui 2 milioni esigibili nell’anno 2022) per l’operazione navale nello Stretto di Hormuz. “La missione prevede l’impiego di un dispositivo aeronavale nazionale per attività di presenza, sorveglianza e sicurezza nella regione che comprende il Golfo dell’Oman e l’intero Golfo Persico, un’area storicamente caratterizzata da interessi vitali per l’economia nazionale e dei paesi europei”, scrive lo Stato Maggiore della Difesa. “Essa è finalizzata a tutelare il naviglio mercantile nazionale, supportare il naviglio mercantile non nazionale, rafforzare la cooperazione con le altre iniziative nell’area e contribuire alla maritime situational awareness dello spazio aeromarittimo al fine di garantire la libertà di navigazione e il libero flusso del commercio globale”. “L’Italia – enfatizza la Difesa – alla luce del ruolo strategico di quest’area per gli interessi nazionali, intende dispiegare un sistema di sicurezza, mantenendo una posizione neutrale nei confronti degli Stati regionali, nel rispetto del diritto internazionale, al fine di contribuire alla stabilità dell’area”. (7) Il decreto fissa un tetto massimo nell’impiego del dispositivo militare: 193 unità di personale, una unità navale, due mezzi aerei e un non meglio specificato supporto ISR Intelligence, Surveillance and Reconnaissance, successivamente identificato dalla stampa estera specializzata in un drone MQ-9 Reaper dell’Aeronautica militare, precedentemente schierato in Kuwait per la “sorveglianza” dello scacchiere iracheno. (8)
L’isola di Hormuz (foto di Farsnews)
Oltre al velivolo senza pilota, la presenza militare italiana nelle acque del Golfo è stata limitata al dispiegamento dal 1° ottobre al 15 dicembre 2021 della fregata missilistica “Federico Martinengo”, assegnata nei mesi precedenti all’Operazione Atalanta dell’Unione europea contro la pirateria a largo delle coste somale e nel Mar Rosso, nell’ambito della European Union Naval Force for Somalia (EU-NavFor Somalia). Nel corso della sua partecipazione a EMASOH, la fregata ha effettuato soste tecniche nei porti di Mascate (Oman), Doha (Qatar) e Manama (Bahrein), sapientemente utilizzate dalle autorità nazionali per propagandare il Sistema Italia (armi e tecnologie belliche) e rafforzare le relazioni diplomatico-militari con i paesi ospiti. Ciò è comunque bastato per irritare Teheran. “La Repubblica Islamica dell’Iran ha protestato contro la presenza di forze straniere nella regione, in particolar modo europee, che non può che creare le condizioni per esacerbare le tensioni già esistenti”, riportava il 14 ottobre 2021 l’agenzia di stampa iraniana Fars. “E’ stato altresì sottolineato che la sicurezza della zona del Golfo dovrebbe essere assicurata soltanto dai Paesi vicini”. (9)
Il regime iraniano aveva già espresso disappunto e risentimento per la decisione del Comando centrale delle forze armate USA di dar vita, nel luglio 2019, alla “missione internazionale di sicurezza marittima” – sempre nello Stretto di Hormuz e nelle acque del Golfo Persico – denominata IMSC – International Maritime Security Construct. “IMSC è nata in risposta alla crescita delle minacce alla libertà di navigazione e al libero flusso del commercio per le legittime marinerie nelle acque internazionali della regione mediorientale”, spiega il Dipartimento della difesa USA. “La task force multinazionale Sentinel, braccio operativo di IMSC, è stata istituita il 7 novembre 2019 con lo scopo di scoraggiare le attività maligne sponsorizzate dallo stato in tutta l’area operativa in modo da ridare sicurezza all’industria navale commerciale”. A IMSC-Sentinel oltre agli Stati Uniti contribuiscono Albania, Bahrain, Estonia, Lituania, Romania, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Regno Unito, mentre hanno espresso l’intenzione di offrire una forma di cooperazione Corea del Sud, Qatar e Kuwait. Il 6 agosto 2019, nella sessione di chiusura della Knesset, l’allora ministro degli esteri di Israele, Israel Katz, aveva espresso la volontà di fornire intelligence alla missione a guida USA. Alle dichiarazioni di Tel Aviv è seguita una dura presa di posizione dell’ammiraglio Alireza Tangsiri, comandante delle Guardie del Corpo Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran. “Ogni illegittima presenza di Israele nel Golfo Persico potrebbe sfociare in un confronto militare nella regione e la responsabilità per quanto accadrà sarà di Stati Uniti e Regno Unito”. (10)
Inutile dire come le politiche delle cannoniere promosse in prima istanza da Washington e Parigi (con scarsa coordinazione tra le parti, nonostante le identiche finalità anti-Iran), congiuntamente al dirompente attivismo di Israele nel “controllo” delle rotte petrolifere e del gas dell’intero Medio Oriente, abbiano esacerbato gli animi contribuendo ad aggravare le tensioni, specie tra Teheran e Tel Aviv. “L’attacco mortale ai danni di una petroliera a largo delle coste dell’Oman alla fine del luglio 2021 rappresenta un ulteriore sviluppo sia del rischio generale per la navigazione nel Golfo, dello Stretto di Hormuz e del mare Arabico, sia per la ribollente guerra ombra che viene condotta da Iran e Israele”, scrivono gli analisti militari Hugo Decis e Charlotte Le Breton dell’International Institute for Strategic Studies (IISS) di Londra. “L’attacco è stato condotto con un velivolo senza pilota apparentemente decollato dall’Iran, che ha colpito la nave cisterna MV Mercer Street, gestita da una società israeliana. Questo evento segna un’indubbia escalation. L’Iran ha minacciato ripetutamente di chiudere lo Stretto di Hormuz in passato. Finora non è riuscito a portare a termine queste minacce parzialmente per preservare i propri interessi economici, ma ha anche continuato ad accumulare strumenti ed assetti finalizzati a questo obiettivo. Ciò indica che permane il rischio di escalation”. (11)
All’aggravamento della crisi nell’area ha concorso inevitabilmente la decisione assunta a Bruxelles dal Consiglio dell’Unione Europea, lo scorso mese di febbraio, che ha esteso all’Oceano Indiano nord-occidentale il cosiddetto Coordinated Maritime Presence Concept con cui sono stati predisposti misure ed interventi a difesa degli interessi strategici europei e della navigazione nel Golfo di Guinea (documento varato nell’agosto 2019). In particolare il Consiglio Ue ha suggerito di rafforzare il coordinamento e la cooperazione con la missione EMASOH e di “considerare un’Area Marittima di Interesse l’Oceano Indiano nord-occidentale, una regione che si estende dallo Stretto di Hormuz al Tropico meridionale e dal nord del Mar Rosso fino al centro dell’Oceano Indiano”. (12)
La decisione di Bruxelles non potrà non avere conseguenze a breve termine anche di ordine militare. “La Coordinated Maritime Presence consentirà all’Unione europea di condividere intelligence e coordinamento operativo nella regione del Golfo, stabilendo effettivamente legami tra EMASOH e l’Operazione Atalanta che combatte la pirateria a largo della Somalia”, scrivono i ricercatori Cinzia Bianco dell’European Council on Foreign Relations di Berlino e Matteo Moretti dell’Istituto di Affari Internazionali di Roma. “Convertire lo Stretto di Hormuz e il Mar Rosso in un’area integrata rafforza la capacità di dare sicurezza a entrambi (…) L’abbraccio Ue di EMASOH è l’ultima luce verde a una nuova generazione di missioni flessibili create ad hoc e che possono essere dislocate in aree sensibili per gli interessi dell’Unione europea, compensando il lungo processo decisionale della Politica Comune su Difesa e Sicurezza della Ue. Questa principale categoria di missioni, che include l’Operazione Takuba nel Sahel e l’European Naval Engagement nell’Indo-Pacifico, diverrà ancora più comune e rafforzerà le capacità di proiezione europea. EMASOH dovrà rafforzare la sua presenza navale e gli assetti per la sorveglianza aerea se vuole essere credibile in mezzo a una forte competizione multipolare nella regione”.
Ancora più militari, navi e aerei da guerra Ue nel Golfo, dunque. Specie adesso che è partita una dissennata corsa per “differenziare” i mercati di approvvigionamento delle risorse energetiche, così da ridurre la dipendenza dalla Russia e aumentare l’import dagli impresentabili regimi super-armati della Penisola arabica. In pole position tra i paesi in gara per più gas e più petrolio dalla regione del Golfo c’è ovviamente l’Italia di Mario Draghi, Lorenzo Guerini e Luigi Di Maio, per nome e per conto dell’holding a capitale statale ENI. A metà febbraio, prima dell’aggressione russa contro l’Ucraina, il governo ha sottoscritto un accordo strategico con il Qatar per accrescere le forniture di GNL. L’emirato fornisce già il 10% circa del gas naturale importato dall’Italia; inoltre la Qatar Petroleum, l’azienda petrolifera statale, possiede il 23% della joint venture che controlla il Terminale GNL Adriatico, l’impianto di rigassificazione posto a circa 15 km al largo di Porto Levante, Rovigo (le altre quote sono per il 70% della statunitense ExxonMobil e per il 7% di Snam SpA, società di infrastrutture energetiche controllata in parte dalla Cassa Depositi e Prestiti). (14)
Tutti “buoni” motivi per indossare baionetta ed elmetto e proiettarsi nello Stretto di Hormuz e nel Golfo Persico a difendere quello che Guerini e Stato maggiore definiscono ormai il Mediterraneo Mare Nostrum super-allargato. Ci inimichiamo di sicuro ancora di più l’Iran ma se si chiude una porta si apre un portone, anzi tanti portoni per fare nuovi e più lucrosi affari di gas e petrolio con emiri e sceicchi…
Note e Link
(1) difesa.it/SMD_/CaSMD/Eventi/Pa…
(2) fmn.dk/en/topics/operations/ig…
(3) ilpost.it/2019/08/04/stretto-h…
(4) hellenicshippingnews.com/emaso…
(5) analisidifesa.it/2020/05/il-go…
(6) sicurezzainternazionale.luiss.…
(7) difesa.it/OperazioniMilitari/o…
(8) air-cosmos.com/article/golfe-p…
(9) themeditelegraph.com/it/market…
(10) globalsecurity.org/military/op…
(11) iiss.org/blogs/military-balanc…
(12) consilium.europa.eu/media/5443…
(13) mei.edu/publications/europes-r…
(14) formiche.net/2022/02/gas-ue-ru…
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NUCLEARE. Nessun progresso nei colloqui indiretti tra Usa e Iran a Doha. La guerra all’orizzonte
di Michele Giorgio –
(nella foto di archivio, il giorno in cui fu raggiunto nel 2015 a Vienna l’accordo Jcpoa)
Pagine Esteri, 1 luglio 2022 – Ora o mai più. Sotto la pressione di questo imperativo erano ripresi nei giorni scorsi a Doha, nel Qatar, negoziati decisivi, ma indiretti, tra Iran e Stati uniti per il ripristino dell’accordo del 2015 sul programma nucleare iraniano (Jcpoa). Enrique Mora, uno dei collaboratori più stretti del «ministro degli esteri» dell’Ue Josep Borrell, ha incontrato la delegazione iraniana capeggiata dal viceministro degli esteri iraniano Ali Bagheri Kani. Poi ha visto l’inviato speciale degli Usa, Robert Malley. Al momento prevale il pessimismo. Non c’è stato alcun «progresso sperato dall’Ue» nelle trattative sul nucleare iraniano, ha comunicato ieri Enrique Mora. Gli Stati Uniti si dicono «delusi» e un portavoce del Dipartimento di stato ha aggiunto che «I colloqui indiretti a Doha sono terminati». L’Iran da parte sua fa sapere che rimarrà in contatto con Mora per prossimi incontri. Il portavoce del ministero degli esteri di Teheran, Nasser Kanani ha comunque confermato che rimangono “questioni irrisolte”.
Gli ultimi mesi hanno visto crollare gran parte dell’impianto del nuovo accordo Jcpoa quando sembrava a portata di mano ai colloqui avviato nel 2021 a Vienna. A un certo punto l’Amministrazione Biden è stata sul punto di accettare la richiesta iraniana di rimuovere i Guardiani della rivoluzione (Pasdaran) dalla lista delle organizzazioni terroristiche compilata dal Dipartimento di stato. Biden ha poi fatto retromarcia di fronte alle proteste del governo israeliano. Quindi, i negoziati sono stati sospesi a marzo a causa delle crescenti divergenze tra la Casa Bianca e Teheran, alle quali si è aggiunto il gelo sceso tra Mosca e Washington – entrambe garanti del Jcpoa (nel 2018 però gli Usa sono usciti dall’accordo) – per l’inizio della guerra in Ucraina.
Il passo all’indietro fatto quattro anni fa dall’ex presidente Donald Trump, in apparente accordo con l’ex premier israeliano Netanyahu, non solo ha portato allo stop del Jcpoa dopo tre anni in cui le parti coinvolte avevano (più o meno) rispettato i punti dell’accordo. Ha anche dato il via prima a un intenso scambio di accuse e poi ha innescato incidenti nel Golfo che per un soffio non sono sfociati in una guerra. L’Iran ha sempre negato di volersi dotare di ordigni nucleari ma dopo il 2018 ha utilizzato nelle sue centrali centrifughe avanzate e scorte crescenti di uranio arricchito lasciando intendere di essere in grado di raggiungere la soglia nucleare. Ora è il momento della verità, un fallimento avrebbe conseguenze drammatiche.
A inizio settimana a Teheran si respirava un clima più positivo. «La Coppa del Mondo Jcpoa in Qatar» aveva scritto in prima pagina il foglio riformista Mardom Salari. Per il moderato Arman-e Emruz «L’accordo tra Iran e America dovrebbe arrivare…ma una tale opportunità non può realizzarsi senza la flessibilità di entrambe le parti». Duro invece il conservatore Keyhan – fa capo alla Guida suprema iraniana Khamenei – che ha messo in guardia Ali Bagheri Kani: «I negoziati in Qatar sono una trappola, non si può premiare l’America che vara sanzioni, compie omicidi, pirateria e approva risoluzioni anti-iraniane».
Il ritorno al tavolo delle trattative è stato anche frutto anche dell’aumento del costo dell’energia causato dalla guerra tra Mosca e Kiev. Il rilancio del Jcpoa e la fine delle sanzioni Usa sulla vendita del greggio (e del gas) iraniano, andrebbe incontro al proposito di Biden di trovare fonti alternative all’energia russa. Israele, nemico dell’Iran, invece spera nel fallimento, vuole che le sanzioni contro Teheran non siano revocate e si prepara a un possibile scontro militare. «Proseguiremo a lavorare insieme agli Stati uniti e ad altri paesi per rendere chiara la nostra posizione e influenzare la realizzazione dell’accordo, se mai ci sarà», ha avvertito il ministro della difesa uscente Benny Gantz confermando che sta nascendo un’alleanza contro l’Iran con partner regionali non meglio identificati. Ma non è un mistero che Tel Aviv stia costruendo una sorta di Nato israelo-araba con Arabia saudita, Qatar, Emirati, Egitto, Bahrein e Giordania, guidata dagli Usa, per contrastare eventuali lanci di missili e droni iraniani in caso di una guerra. Domenica il Wall Street Journal aveva riferito che su iniziativa statunitense, alti ufficiali israeliani hanno avuto a marzo a Sharm El Sheikh incontri segreti con i rappresentanti di vari paesi arabi, tra i quali l’Arabia saudita, per coordinare strategie militari contro Teheran. Pagine Esteri
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STATI UNITI. Sdegno per la strage di 51 migranti. Il Messico avvia una indagine
della redazione
(la foto è di Martin Leveneur)
Pagine Esteri, 29 giugno 2022 – Non cessano sdegno e dolore per i 51 migranti, tra i quali si contano 22 cittadini messicani, morti per asfissia in un Tir nei pressi di San Antonio, in Texas. Altri due messicani si trovano in ospedale, con segni di grave disidratazione. È stata la tragedia più grave legata alla migrazione nella storia recente degli Stati uniti, paese che negli ultimi anni, specialmente sotto la presidente Trump, ha adottato misure drastiche contro la migrazione violando gravemente i diritti della persona e dei minori. L’amministrazione Biden da parte sua ha fatto sino ad oggi poco per mettere fine a queste violazioni.
Il “Los Angeles Times” ha riportato che lo scorso lunedì un cittadino ha sentito grida di aiuto provenire da un camion frigorifero e ha allertato i servizi di emergenza. I soccorritori, inorriditi, hanno trovato decine di corpi senza vita, ammassati uno sopra l’altro, e sopravvissuti in gravi condizioni o sul punto di esalare l’ultimo respiro. All’interno del camion frigorifero con a bordo le decine di migranti non era stato accesso il sistema di aria condizionata e non c’era acqua con temperature molto alte all’esterno dell’automezzo. L’accaduto ricorda la strage del dicembre del 2021 nello stato messicano del Chiapas quando si ribaltò il rimorchio di un autocarro con un centinaio di migranti di diverse nazionalità. Persero la vita 56 persone e altre 50 rimasero ferite.
La magistratura messicana ha aperto una indagine sull’accaduto. Al momento tre persone sono state fermate dalla polizia, senza però che sia stata ancora formalizzata nessuna incriminazione. “E’ una disgrazia tremenda, stiamo fornendo assistenza alle famiglie”, ha commentato il presidente messicano Andrés Manuel Lopez Obrador. Il 12 luglio Obrador si incontrerà con Biden proprio per discutere la questione dei flussi migratori. “Non possiamo affrontare il fenomeno migratorio solo con valichi di frontiera, con leggi più severe con muri o agenti di polizia, ma con il benessere, la sicurezza e la pace nei punti di partenza dei viaggiatori”, ha esortato il presidente messicano durante un recente viaggio in Guatemala in palese riferimento alle severe misure degli Stati uniti in materia di migrazione.
I flussi migratori sono stati tra i temi portanti del IX Vertice delle Americhe, tenutosi a inizio mese giugno a Los Angeles. Al termine Biden e i leader dei paesi dell’America Latina e dei Caraibi hanno adottato una dichiarazione congiunta che punta su stabilità e assistenza alle comunità; i percorsi legali più larghi; gestione umana della migrazione e risposta coordinata alle emergenze. Il Dipartimento di Stato Usa metterà 25 milioni di dollari a disposizione del meccanismo Global Concessional Financing Facility (Gcff) a sostegno dei Paesi dell’America Latina e 65 milioni di dollari per supportare gli agricoltori statunitensi che assumono contadini dai paesi latinoamericani. Provvedimenti giudicati insufficienti per affrontare l’enorme flusso migratorio, frutto delle crisi economiche che affliggono diversi paesi dell’area ma anche di cambiamenti climatici che colpiscono l’agricoltura fonte di sostentamento di milioni di persone. Pagine Esteri
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𝐏𝐀𝐋𝐄𝐑𝐌𝐎, 𝐋𝐀 𝐂𝐇𝐈𝐄𝐒𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐆𝐀𝐍𝐂𝐈𝐀 𝐄 𝐋𝐀 𝐁𝐔𝐂𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐀𝐋𝐕𝐄𝐙𝐙𝐀
All’interno del quartiere arabo della Kalsa, la Chiesa di Santa Maria degli Angeli, meglio conosciuta col nome di “Gancia”, ossia ospizio per malati e forestieri, è un complesso architettonico risalente al 1490 ed edificata dai frati francescani.
Un pò prima di entrare nella Chiesa, sul muro esterno vi è una curiosa lastra di marmo scavata affiancata da una lapide che ne commemora l’evento, essa è la "𝐁𝐮𝐜𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐒𝐚𝐥𝐯𝐞𝐳𝐳𝐚".
Nell'Aprile del 1860 gli antiborbonici insorgono a #Palermo contro il Re napoletano. La sommossa, scoppiata a pochi passi dalla Chiesa della Gancia in quel che un tempo veniva definito il quartiere degli “scopari” (famoso per le vivacissime zuffe tra donne), viene soffocata nel sangue. Due dei capi rivolta scampati al massacro, per sfuggire alla cattura da parte dei gendarmi borbonici, si rifugiano nella cripta della chiesa, tra le sepolture dei frati del convento.
Dopo cinque giorni senza né cibo né acqua i due insorti, attraverso una breccia sul muro del convento, riescono ad attirare l’attenzione di una donna che d’accordo con alcune comari mette in scena una grande rissa, distogliendo in questo modo l’attenzione dei gendarmi. In un attimo la stradina si trasforma in teatro di urla e spinte e i due fuggiaschi, approfittando di questo sotterfugio, allargano la breccia nel muro riuscendo a scappare indisturbati. Da quel momento la breccia nel muro della Gancia prese il nome di “𝐁𝐔𝐂𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐀𝐋𝐕𝐄𝐙𝐙𝐀“.
Online la versione beta della nuova piattaforma europea per l’istruzione scolastica della Commissione europea.
Info ▶️ indire.it/2022/06/23/online-la…
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Three years into the digital fight for freedom in Brussels – Pirates matter!
Three years ago, I entered the European Parliament thanks to 240,000 votes for the German Pirate Party and no blocking threshold (which the German Federal Constitutional Court had declared unconstitutional). Three exciting years in which my team and I fought against the full force of surveillance and data exploitation mania of the Ursula von der Leyen Commission. In accordance with the results of a member survey in my party, I voted against the election of von der Leyen, who had already supported unconstitutional data retention as a member of the German Bundestag and was silent on the issues of lobbying, transparency and citizen participation. Jointly, the three Czech Pirate MEPs and me rejected von der Leyen.
The work of the Pirate movement in the European Parliament is characterised by our close cooperation and cross-border division of labour. I am also proud that we Pirates are now in the government in the Czech Republic and the Ministers of Foreign Affairs and Digital Affairs are Pirates. This will be particularly helpful in the next six months, when the Czech Republic holds the EU Presidency and negotiates for the Council.
One thing has been clear since my election: our fundamental rights and freedoms in the digital age are being attacked and dismantled across Europe. Industry, the EU Commission and the governments of the member states are responsible for this. And yet I was able to achieve successes in the fight against surveillance and screening mania.
Major success: EU Parliament calls for ban on biometric mass surveillance
In October 2021, a large majority of EU MEPs rejected biometric facial recognition and other forms of biometric mass surveillance in public spaces. Amendments proposed by the conservatives to call for “exceptions” were defeated. The vote was a crucial milestone for us in the fight against the discriminatory use of mass surveillance tools in public spaces. Previously, I had campaigned for a ban on these highly intrusive and error-prone technologies in public spaces, because biometric mass surveillance wrongly implicates large numbers of innocent citizens, systematically discriminates against under-represented groups and threatens our free and diverse society. I coordinated a campaign by my group to ban biometric mass surveillance, where we commissioned studies and mapping, hosted events and provided a free video game (biometric outrun) – try it, it’s not so easy to escape the scanners!
Biometric Outrun greens-efa.eu/tools/game/index…
This clear message from Parliament to take civil society’s warnings seriously and ban biometric mass surveillance in public spaces in the proposed Artificial Intelligence Act was a great success for me and my team. Now it is a top priority for us four Pirate MEPs in Brussels to make sure the ban is implemented in the currently negotiated Artificial Intelligence Act (AIA). There is a majority in parliament in favour of a ban on biometric mass surveillance. However, the negotiations with the national governments next year will be decisive. So far, they have strictly rejected such a ban.
Decision-makers often learn best what surveillance means when they are affected by it themselves. This became obvious in May 2022 when the Parliament by a large majority rejected a project of the parliamentary administration to collect fingerprints of all MPs for a “biometric attendance register”. We must not allow the mass processing of biometric data to become the new normal!
Digital Services Act: Fighting against industry and government interests
As rapporteur for the Civil Liberties Committee (LIBE), I fought for digital citizens’ rights in the trilogue negotiations on the Digital Services Act – unfortunately largely unsuccessfully. The EU governments in the Council stubbornly defended industrial and governmental interests, and the Parliament agreed to this in exchange for a speedy conclusion of the negotiations. At least we were able to prevent the indiscriminate collection of the mobile phone numbers of all uploaders on adult platforms, which would have endangered the privacy of users and especially the safety of sex workers due to foreseeable data hacks and leaks. We also successfully fought against removal obligations for search engines. And at least minors will be protected from being manipulated by way of targeted advertising in the future.
Video: Patrick Breyer explains the Digital Services Act
peertube.european-pirates.eu/v…
Chat control 2.0: We can still stop it
As shadow rapporteur for the Greens/EFA Group, I fought without success against the adoption of voluntary chat control in July 2021. However, I and my fellow campaigners from politics and civil society managed to mobilise a lot of attention and protest in the media, politics and the population in Germany with targeted campaigning and public relations work when the plans for the introduction of mandatory chat control were presented in 2022. When the proposal was finally published in May 2022, the public outcry was great. Even the German Child Protection Association has described the EU Commission’s planned scanning of private communications via messenger or email without any reason as disproportionate. The majority of child pornography material is shared via platforms and forums, they say. What is needed is “above all the expansion of human and technical resources at the law enforcement agencies, more visible police presence on the net, more state-run reporting centres as well as the decriminalisation of the dissemination of self-generated material among young people”.
With chatcontrol.eu I provide a comprehensive website on the topic. I commissioned a former judge with the European Court of Justice to write a legal opinion, finding that the proposed chat control violates fundamental rights. Now it is time to forge an international civil society alliance against chat control!
TERREG: Attack on freedom of expression
I achieved partial successes in the controversial EU regulation to prevent the dissemination of terrorist content on the internet (TERREG), which allows national authorities to have alleged terrorist internet content deleted within one hour without a court order – even if it was published in another member state. As the negotiator for my group Greens/EFA, I helped prevent, for example, an obligation to use error-prone upload filters, ensured special protection of journalism, art and science and secured an exception for small and non-commercial platforms from the 1-hour deletion deadline. Unfortunately, the TERREG regulation still remains problematic.
Digital learning during the pandemic
Is copyright hampering schools, universities and research in the Covid 19 pandemic? The proposal by Felix Reda and me to have this investigated received a majority and will be taken up. Background: Digital lending and digitisation of books is legally permitted, but in practice books are still rarely available digitally. This is especially disadvantagous when libraries are closed due to a pandemic. Thanks to the pilot project it can now be investigated what practical improvements are needed in order for libraries to actually use the exemption for public lending of e-books.
By the way, I regularly call publicly for project proposals. Everyone can contribute their ideas.
Stop data retention!
The generalised and indiscriminate retention of information on contacts, movements and internet use of the entire population is an unprecedented attack on our right to privacy and the most profound form of mass surveillance. It captures highly sensitive information about our daily lives and excludes no one. Following the annulment of the EU Data Retention Directive, we have so far been able to prevent a new attempt. However, the EU Commission and member states’ governments are already planning it behind closed doors.
A study I commissioned shows that data retention of telephone, mobile phone and internet use has no measurable impact on crime rates or clearance rates in any EU country. An opinion poll I commissioned (summary, full text) showed that in nine EU countries data retention causes massive social problems because it discourages confidential communication – and that it is generally widely opposed. In a legal opinion commissioned by me, former EU judge Prof. Dr. iur. Vilenas Vadapalas states that two of the most widespread methods of data retention (national security, geographical limitation) are envisaged in a manner “not compatible with ECJ case law and fundamental rights”. A summary can be found here.
Nomination of Julian Assange for the Nobel Peace Prize
Together with my three fellow Czech Pirates in the European Parliament, I proposed the nomination of Julian Assange for the Nobel Peace Prize to the Norwegian Nobel Committee in January 2022. For the Pirates, the case of Assange is a symbol of the suppression of freedom of expression and the public’s right to information.
My legal successes
In January 2021, the European Court of Justice made a landmark judgment of great importance for EU-funded “security research” following my legal action (Case T-158/19). Under the “iBorderCtrl” project, the EU tested the use of alleged “video lie detector” technology on travellers. I had filed a lawsuit on 15 March 2019 for the release of secret documents on the ethical justifiability, legal admissibility and results of the technology. According to the court ruling, the EU research agency can no longer keep these documents completely secret. For example, the ethical and legal evaluation of technologies for “automated deception detection” or automated “risk assessment” must be published, as long as they do not relate specifically to the iBorderCtrl project. Yet, in order to protect commercial interests, the examination of the ethical risks (e.g. risk of stigmatisation and false reports) and the legal admissibility of the concrete iBorderCtrl technology and reports on the results of the project were allowed to be kept secret. I filed an appeal against this continuing lack of transparency. Throughout the procedure, I was able to achieve critical reporting repeatedly. The proposed AI regulation could ban video lie detectors.
I achieved another important success before the German Federal Constitutional Court in July 2020: Investigators are not allowed to access the identity of internet and mobile phone users without cause. The court declared parts of the German law on subscriber data disclosure unconstitutional. The ruling followed a collective constitutional complaint against state access to passwords and the identity of internet users (so-called subscriber data disclosure, case no. 1 BvR 1873/13, 1 BvR 2618/13). This complaint was filed in 2013 by myself and Katharina Nocun as the first complainants, along with 6,373 other citizens.
Outlook
Until the next European elections, I will be involved in negotiating the proposed “European Digital Identity” (keyword: personal identification number), the regulation on the targeting of political advertising (keyword: Cambridge Analytica), the regulation on the creation of a European space for health data, the regulation on privacy in electronic communications (ePrivacy) and the chat control regulation.
Electoral Threshold: Attack on Democracy
Whether the German Pirate Party can continue to defend digital fundamental rights in Brussels depends on whether the political establishment succeed in grabbing the seats of smaller parties by mandating a minimum percentage of votes for entering the parliament (electoral threshold). The ruling coalition in Germany could ratify an electoral law amendment from 2018 that provides for such a 2% blocking clause. Another electoral law amendment is currently negotiated which, according to the proposal of the European Parliament, would even introduce a 3.5% blocking clause. Due to the primacy of European law, several rulings of the Federal Constitutional Court on the unconstitutionality of blocking clauses would be undermined.
With the planned 3.5% blocking clause, 3.1 million votes for six small parties such as the Pirate Party would have had to be discarded in the last European elections and their parliamentary seats would have had gone to the political establishment instead. The EU electoral law reform must not be a vehicle for self-serving blocking clause plans of the governing parties, which want to compensate for their collapsed election results! Europe needs more openness and more diverse political ideas, not less. Leaving millions of citizens who are disillusioned with the established parties with no other choice will either drive them into the arms of anti-democratic parties or make them turn their backs on the ballot altogether. Both damages our democracy and endangers Europe.
Now it is up to us to fight for democracy and diversity in parliament. In the digital age, Europe needs us Pirates as digital freedom fighters more urgently than ever!
#Telegram ha trasformato il canale "transparency" in un bot che per ogni paese consente di sapere se sono stati rivelati IP e numeri di telefono alle autorità; questo varrà solo per i paesi considerati "pienamente democratici" (no, l'Italia non è tale secondo l'indice redatto dalla divisione di ricerca dell'Economist Group!).
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È stato pubblicato il calendario delle prove del concorso pubblico per esami indetto dal Ministero dell’Istruzione per il reclutamento di 304 funzionari a tempo indeterminato.
Lo trovate qui ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/pubbli…
Ecuador: dopo 18 giorni di sciopero si giunge a un accordo
Davide Matrone, da Quito –
Pagine Esteri, 2 luglio 2022 – Alle ore 14 del 30 giugno presso la Basilica di Quito Leonidas Iza (CONAIE), Eustaquio Tuala (FEINE), Gary Espinoza (FENOCIN) e Francisco Jiménez, in qualità di Ministro del Governo per conto del Presidente della Repubblica dell’Ecuador, hanno firmato l’Accordo e posto fine al conflitto sociale.
Dopo 18 giorni di forti proteste popolari contro le politiche neoliberiste del governo Lasso, la Confederazione Episcopale dell’Ecuador ha insistito affinché si trovasse un accordo tra le parti in conflitto. In realtà, le pressioni son giunte da più parti e cioè, dal mondo imprenditoriale e dal commercio che messo alle strette ha pressato a sua volta la Conferenza Episcopale affinché giocasse un ruolo determinante in questo duro scontro. La sistuazione era giunta all’apice e gli ultimi 3 giorni sono stati incandescenti dopo la sollevazione del quartiere popolare di San Miguel de los Bancos di Calderón in cui ci sono stati scontri durissimi con le forze dell’ordine. Altri espisodi analoghi si erano registrati al Puyo, in Amazzonia e nella località di Sant’Antonio del Pichincha dove erano state incediante le caserme della polizia dopo uno spargimento di sangue. Il bilancio di questo sciopero è pesante: 8 morti, centinaia di feriti e violazioni dei diritti umani come dichiara il rapporto della Commissione di Solidarietà dei Diritti Umani di Argentina in visita nel paese dal 24 al 26 giugno.
Grazie alla lotta popolare del movimento indigeno, dei lavoratori, degli studenti, degli operatori sanitari, dei docenti e finanche del settore dei trasporti, il Governo ha dovuto cedere e negoziare alcuni dei 10 punti rivendicati della CONAIE. In definitiva, si può concludere che dopo 18 giorni di lotta il movimento indigeno dell’Ecuador porta a casa quanto segue:
- Riduzione dei carburanti di 0,15 centesimi per ogni gallone,
- Derogazione del Decreto 95 che vieta l’ampiamento della frontiera petrolifera per proteggere i territori e i diritti collettivi dei popoli indigeni,
- Riforma del Decreto 151 con il quale si vieta lo sfruttamento delle risorse naturali nelle aree protette, nelle zone dichiarate intangibili, nelle zone archelogiche. Inoltre, si garantisce la consulta previa e libera nei territori interessati allo sfruttamento delle risorse naturali d’accordo a quanto stabilito dalla Corte Interamericana dei Diritti e dalla Corte Costituzionale dell’Ecuador,
- Emanazione del Decreto 456 che prevede l’aumento del Bonus sociale da 50 a 55 dollari che beneficierà a 1,4 milioni di ecuadoriani, riduzione dei tassi d’interessi dal 10% al 5% per crediti fino a 3000 dollari e i prestiti scaduti fino a 3000 dollari saranno condonati,
- Si elabora un progetto di Legge di riforma dell’articolo 66 della Legge Organica della Circoscrizione Territoriale Speciale Amazzonica,
- Raddoppio delle risorse dello Stato per l’Educazione Bilingue e Interculturale.
Inoltre, per 90 giorni si istallerà un tavolo di concertazione per continuare il dialogo tra le due parti per risolvere i temi questionati durante lo sciopero nazionale. Tra i quali l’aumento delle risorse statali per l’Educazione pubblica, l’attuazione di politiche statali che aumentino l’occupazione e intervento dello Stato in materia di prevenzione alla delinquenza.
Potremmo trarre alcune conclusioni da questo sciopero popolare e nazionale:
- Il Governo neoliberista del banchiere Lasso ne esce più indebolito e con pochissima legittimità popolare. Dopo 1 anno di governo (24 maggio) i sondaggi registravano una disapprovazione del 72%, oggi è aumentata al 88%. È di fatti un governo impopolare. Inoltre, si registra una delegittimazione all’interno del Parlamento in quanto la mozione di sfiducia, presentata dal partito dell’opposizione UNES, pur non riuscendo nell’intento ha raccolto 82 voti che rappresenta la maggioranza del parlamento. Lasso ha raccolto 44 voti e, se dovesse continuare così, non riuscirebbe a governare.
- Il costo politico ed elettorale di 2 partiti del Parlamento e cioè la Izquierda Democratica e il Partito Social Cristiano: dopo l’appoggio a Lasso verranno quasi sicuramente ridimensionati i voti alle prossime elezioni.
- Il Movimento Indigeno ne esce rafforzato, dimostrando una grande capacità organizzativa in tutto il territorio nazionale. La strategia di accendere fuochi e rivolte in tutto il paese ha raggiunto un risultato vittorioso. Inoltre, il leader Leonidas Iza aumenta il suo capitale politico e simbolico riposizionandosi molto bene all’interno del Movimento Indigeno e dentro dello schiacchiere politico nazionale.
- C’è un malcontento generale contro le politiche neoliberiste che negli ultimi 5 anni hanno aumentato la povertà relativa ed assoluta nel paese, hanno incrementato la precarizzazione del lavoro, hanno smantellato il sistema di salute pubblica e svenduto il patrimonio pubblico del paese.
- Si sono aperte delle interessanti contraddizioni in termini politici, all’interno del campo politico, che possono determinare una serie di alleanze all’interno della compagine di centro / sinistra che potrebbe vincere le destre alle prossime elezioni amministrative del 2023.
Inoltre, questo sciopero si inserisce in un quadro regionale interessante che vede nuovamente la vittoria delle sinistre latinoamericane che criticano il paradigma di sviluppo neoliberista. Le ultime vittorie in Cile e in Colombia danno speranza anche per l’Ecuador, se si riuscisse a unire le forze politiche progressiste contro le destre reazionarie e fasciste.
L'articolo Ecuador: dopo 18 giorni di sciopero si giunge a un accordo proviene da Pagine Esteri.
🏫 Sul nostro sito trovate pubblicato il bando per la progettazione di 212 nuove scuole finanziate dal #PNRRIstruzione.
Il concorso, indetto dal Ministero dell’Istruzione con l'utilizzo della piattaforma concorsi del Consiglio Nazionale Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori, prevede l'ideazione, da parte di architetti e ingegneri, di edifici innovativi dal punto di vista architettonico, strutturale, e impiantistico.
Una chiamata rivolta alle migliori professionalità del Paese per la costruzione di scuole sostenibili, inclusive, accessibili, dove si possa fare didattica in modo innovativo.
Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/pubbli…
Graduatorie di Istituto di I fascia: aperte le funzioni telematiche per la scelta delle istituzioni scolastiche per gli a.s. 2022/23 e 2023/24.
Info ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/gradua…
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MADRID. Per Sánchez e la Nato anche l’immigrazione è un nemico
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 2 luglio 2022 – Nel corso di una lunga conferenza stampa, il premier spagnolo Pedro Sánchez ha rivendicato con orgoglio i risultati politici incassati durante il vertice Nato di Madrid. Il leader socialista puntava a rafforzare le relazioni con Washington e a questo scopo martedì ha siglato una dichiarazione congiunta tra Stati Uniti e Spagna. Il “governo più progressista” che Madrid abbia avuto dalla morte di Franco, paradossalmente, ripercorre i passi del premier di destra José Maria Aznar, che nel 2001 siglò un’intesa simile con George W. Bush subito dopo l’intervento militare della Nato in Afghanistan, conclusosi con un eclatante fallimento lo scorso anno.
Tra i punti fondamentali del documento che porta la firma di Sánchez e Biden c’è una gestione comune dei “flussi migratori illegali”. Per quanto il punto 9 raccolga le raccomandazioni dell’ONU sulla promozione di una «immigrazione sicura, ordinata e regolare», il testo fa un ulteriore passo nella tendenza a considerare i flussi migratori una minaccia da affrontare anche attraverso appositi meccanismi militari.
La strage di Melilla
Un obiettivo che chiarisce il senso delle dichiarazioni del premier socialista a proposito della strage di migranti a Melilla, che hanno creato sconcerto e indignazione nella sinistra iberica e sono state accolte con stupore da molti sostenitori dell’attuale esecutivo. Il 24 giugno, 37 profughi subsahariani (per lo più sudanesi) sono morti asfissiati o schiacciati nel tentativo di superare le recinzioni che blindano l’enclave spagnola in Marocco. Associazioni e Ong hanno denunciato la brutalità dei gendarmi marocchini, che hanno aggredito i migranti con manganelli, lacrimogeni e pietre, picchiando persone inermi già a terra e tirando o spingendo giù dalle reti e dai cancelli chi riusciva ad arrampicarsi. Le crude immagini della strage hanno fatto il giro del mondo: decine di corpi senza vita o agonizzanti impilati uno sull’altro e vigilati da un cordone di gendarmi marocchini in assetto antisommossa.
Morti e feriti a Melilla, ai piedi di una recinzione
L’immigrazione irregolare come minaccia
Il presidente del governo spagnolo e alcuni dei suoi ministri – tutti socialisti – hanno però elogiato l’operato della Gendarmeria marocchina, sottolineando la proficua collaborazione con le forze di sicurezza di Madrid. Sánchez ha denunciato addirittura un «attacco violento all’integrità territoriale della Spagna» e ha puntato il dito contro «le mafie responsabili del traffico di esseri umani».
In molti hanno sottolineato il cinismo e l’ipocrisia di una presa di posizione che considera il disperato tentativo del 24 giugno addirittura un’aggressione all’integrità territoriale spagnola, quando Madrid ha finora accolto senza colpo ferire più di 170 mila rifugiati ucraini, bianchi, cristiani e “politicamente corretti” perché provenienti da un paese aggredito da un nemico strategico della Nato come la Russia.
Per masse crescenti di diseredati in fuga da guerre, dittature e catastrofi climatiche, Ceuta e Melilla – territori retaggio del passato coloniale spagnolo incastonati in territorio marocchino – rappresentano delle fondamentali porte d’ingresso nel continente europeo, le uniche a disposizione via terra nel continente africano. Per questo, avvisano sinistre e associazioni, la strage di Melilla non sarà l’ultima se Spagna, Unione Europea e Nato non cambieranno le proprie politiche migratorie.
Ma il nuovo Concetto Strategico approvato a Madrid e i toni e gli argomenti utilizzati dal premier spagnolo sembrano andare esattamente nella direzione opposta.
La Nato contro l’immigrazione irregolare
Nell’agenda del vertice, infatti, l’immigrazione illegale è stata affrontata come una “minaccia all’integrità degli stati” ai quali far fronte in maniera organizzata e decisa, al pari dei ricatti energetici. Gongolante, nel corso di un intervento con il segretario di stato Usa Antony Blinken durante il Nato Public Forum, il ministro degli Esteri spagnolo Josè Manuel Albares ha spiegato che il nuovo Concetto Strategico considera le migrazioni irregolari, quando vengono usate come arma politica, delle minacce alla sicurezza degli stati. «Il rischio è sempre, come abbiamo visto al confine tra Bielorussia e Polonia, che qualcosa possa usare l’immigrazione contro la nostra integrità territoriale o la nostra sovranità» ha ribadito l’esponente socialista.
Intervistata dal quotidiano progressista spagnolo Público, la ricercatrice del CIDOB (Barcelona Center for International Affairs) Blanca Garcés spiega: «Si sta creando un concetto di minaccia ibrida che intende trasformare le politiche migratorie in una questione di difesa» attraverso due narrazioni complementari, quella dell’immigrazione come minaccia alla sicurezza degli stati e quella della gestione dei flussi migratori da parte delle mafie. Questo discorso, sottolinea Garcés, permette di «trasformare le migrazioni in una questione di sicurezza nazionale e di legittimare la creazione di situazioni emergenziali che prevedono la sospensione del diritto di asilo, l’intervento degli eserciti alle frontiere e la sospensione della possibilità di operare per i giornalisti e le organizzazioni sociali».
Da parte sua, un dossier del “Centro Delàs d’Estudios por la Paz” denuncia i meccanismi – ad esempio l’operazione Sea Guardian condotta dalla Nato nel Mediterraneo – attraverso i quali «gli stati europei deviano i flussi migratori fuori dal territorio dell’UE, privando i migranti della protezione» loro accordata dalle convenzioni internazionali. Il riferimento ai lauti finanziamenti concessi dall’Ue al regime turco per “contenere” l’immigrazione verso il continente, infischiandosene delle modalità utilizzate dalle forze di sicurezza di Ankara, è obbligato. Ma di fatto la Spagna di Sánchez sta utilizzando lo stesso meccanismo demandando alle forze di sicurezza marocchine – costi quel che costi – il compito di impedire che migliaia di disperati arrivino a Ceuta e Melilla.
Queste considerazioni gettano una luce più chiara sulle argomentazioni utilizzate dai dirigenti socialisti spagnoli per giustificare il brutale comportamento della gendarmeria marocchina, certo non estraneo alla morte di decine di persone.
Joe Biden e Pedro Sanchez durante il vertice della Nato a Madrid
La realpolitik di Sánchez
Gli elogi di Sánchez e Albares nei confronti delle autorità marocchine riflettono anche i nuovi rapporti di Madrid con Rabat. Nel maggio del 2021, infatti, dopo l’ingresso a Ceuta – agevolato dalla «distrazione» della gendarmeria marocchina – di circa 8000 profughi, i toni usati dal leader del Psoe contro Rabat erano stati durissimi. Ma nel marzo scorso Sánchez ha cambiato registro, riconoscendo la sovranità marocchina sui territori saharawi illegalmente occupati dal regno di Mohammed VI e avviando nuove relazioni di amicizia con Rabat. Il premier spagnolo non ha desistito neanche dopo che la sua intelligence lo ha informato che il suo cellulare era stato spiato dalle autorità marocchine tramite il malware israeliano Pegasus, o dopo la reazione stizzita dell’Algeria che, dopo aver bloccato il trasferimento del suo gas al Marocco ha sospeso il Trattato di amicizia e di buon vicinato firmato con Madrid nel 2002, riducendo le esportazioni di gas anche in Spagna.
Sánchez non vuole ora mettere a rischio i rapporti con il paese nordafricano e non vuole fare a meno dell’esternalizzazione del compito di “difendere” le proprie frontiere meridionali dai flussi migratori.
Ceuta e Melilla contese
D’altra parte, però, con il Marocco la Spagna ha ancora aperta la questione della sovranità su Ceuta e Melilla che il governo di Rabat non ha smesso di rivendicare.
Nei giorni che hanno preceduto il vertice di Madrid, infatti, ha insistito con i suoi partner dell’Alleanza affinché i due territori coloniali venissero esplicitamente citati come protetti dall’ombrello della difesa collettiva in caso di attacco, sulla base di quanto previsto dell’Articolo 5 del Trattato Atlantico. Un’esplicita menzione del tema all’interno del nuovo Strategic Concept avrebbe concesso numerosi punti a Sánchez, delegittimando le richieste marocchine di restituzione dei due territori. Il Marocco è uno dei principali partner della Nato in tutta l’Africa – particolarmente prezioso ora che occorre contenere l’Algeria legata a Mosca o la presenza russa in Libia – ma Mohammed VI non potrebbe non tener conto di un simile pronunciamento da parte del Patto Atlantico.
Ma per non indispettire i marocchini gli statunitensi non hanno accettato del tutto le richieste di Madrid. Alla fine Sánchez si è dovuto accontentare di un riferimento indiretto e generico alla questione, ottenendo che nel Concetto Strategico fosse inserito un passaggio che recita: la Nato ha l’obiettivo di «difendere ogni centimetro del territorio alleato, preservando la sovranità e l’integrità territoriale di tutti gli aderenti». «Appare chiaro il concetto che la Nato difende ogni centimetro di tutti i paesi che ne fanno parte senza eccezione – ha spiegato Albares – Nei documenti non appaiono mai i nomi di città specifiche».
* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale.
LINK E APPROFONDIMENTI
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Gesto intelligente, utile e saggio!
#Google cancellerà i dati sulla posizione che mostrano quando gli utenti visitano una clinica per aborti.
Lo ha dichiarato venerdì il gigante della ricerca online, a seguito della preoccupazione che una traccia digitale possa informare le forze dell'ordine se una persona interrompe una gravidanza illegalmente.
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Google to delete location history of visits to abortion clinics
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Il 29 giugno è arrivato il via libera alla legge che contiene la riforma della formazione e dell'assunzione dei docenti della scuola secondaria.
Percorsi certi per chi vuole insegnare. Una definizione più chiara degli obiettivi e delle modalità della formazione dei docenti. Concorsi annuali per reclutare con costanza il personale. Queste le principali novità.
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