Le Grandi Dimissioni, tra favola e realtà
"Non è difficile, in realtà, capire che la favoletta messa in giro da Repubblica e dal Sole24Ore rientra nel solito racconto di un mondo parallelo in cui i giovani non vogliono il posto fisso, la stabilità e il contratto a tempo indeterminato. I giovani di oggi sarebbero dunque dinamici e propensi al cambiamento, proprio per questo presentano le dimissioni quando un mercato del lavoro più flessibile come quello attuale lo consente. Questa storiella è dunque utile ai padroncini italiani per dire che la precarietà è apprezzata dai lavoratori, che avrebbero così la possibilità di cambiare di tanto in tanto, perseguendo le proprie passioni e conciliando meglio la propria attività lavorativa con la propria vita privata, anche accettando retribuzioni più basse! Come abbiamo argomentato, una marea di panzane messe in fila."
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INTERVISTA. Tony Abu Akleh: «Gli Usa hanno tradito Shireen. Vogliamo dirlo a Biden»
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 11 luglio 2022 – Si chiama Anton ma per tutti è Tony. E da due mesi è il portavoce della sua famiglia, Abu Akleh, che non si rassegna e chiede giustizia per sua sorella Shireen, nota giornalista palestinese, con passaporto statunitense, uccisa sul colpo due mesi fa, l’11 maggio, da un proiettile mentre per la sua emittente, Al Jazeera, seguiva un’incursione di reparti speciali dell’esercito israeliano a Jenin. Tony rispondendo alle nostre domande non nasconde il suo stato d’animo, un misto di frustrazione e delusione. «Le inchieste svolte dalla Cnn e altri giornali americani – ci dice – come dall’Autorità nazionale palestinese e dall’Onu non lasciano dubbi: dicono tutte che Shireen è stata uccisa da spari giunti dagli israeliani. E a nostro avviso sono stati intenzionali. Ci aspettavamo perciò che gli Stati uniti, di cui siamo cittadini, affermassero in maniera netta e chiara che mia sorella, una civile innocente, una giornalista, è stata colpita da spari israeliani mentre svolgeva il suo lavoro di informazione e che la sua morte è un crimine non può restare impunito. E invece…».
Tony non ha peli sulla lingua: «quella che hanno svolto una settimana fa gli esperti americani – spiega – sul proiettile che ha ucciso Shireen non è stata una perizia ma un’operazione politica. Non hanno riferito i risultati di una indagine tecnica, come ci aspettavamo. Piuttosto hanno emesso un comunicato politico per salvaguardare Israele e gli interessi americani. Ma noi non ci rassegneremo». Tony ci ripete che gli Abu Akleh faranno il possibile per ottenere un’indagine internazionale. E che sono intenzionati ad incontrare Joe Biden quando la prossima settimana sarà in Israele e nei Territori palestinesi occupati. «L’ambasciata Usa tace, non abbiamo più avuto contatti dal giorno precedente a quello della cosiddetta perizia» prosegue «per gli Stati uniti la faccenda è chiusa, per noi no! Shireen avrà giustizia».
Gli Abu Akleh hanno indirizzato una lettera all’Amministrazione Biden in cui definiscono l’uccisione di Shireen non un incidente causato da un proiettile vagante, come sostengono Israele e gli Stati uniti, bensì un «omicidio extragiudiziale» eseguito da soldati israeliani. Rivolgendosi al presidente americano, aggiungono che «la sua Amministrazione ha completamente fallito nel soddisfare le aspettative minime di una famiglia in lutto…gli Stati uniti si sono mossi per la cancellazione di qualsiasi illecito da parte delle forze israeliane» e non hanno condotto proprie indagini ma si sono limitati a «riassumere e adottare l’indagine delle autorità israeliane». «La sua Amministrazione – concludono – ha ritenuto necessario perpetuare la conclusione infondata e dannosa che l’omicidio non sia stato intenzionale, scegliendo apparentemente l’opportunità politica rispetto alla responsabilità effettiva per l’uccisione di un cittadino statunitense da parte di un governo straniero». Alla fine della lettera chiedono a Biden di incontrarli.
Non si può escludere del tutto che questo incontro possa avvenire. Forse non sarà più di una stretta di mano e qualche frase di cordoglio da parte del presidente Usa. Ma la possibilità è remota. Biden arriverà mercoledì in Israele non per accusarlo dell’omicidio di una giornalista ma per rassicurarlo della protezione militare americana e dell’alleanza con Washington. Non solo. Potrebbe avere in tasca un’intesa preliminare per la normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e l’Arabia saudita. E dovrebbe dare la sua benedizione al programma di difesa aerea integrata tra Israele e i suoi alleati arabi contro l’Iran. Proprio con Teheran al centro dei suoi pensieri, Biden visiterà alcuni apparati di sicurezza israeliani presso la base aerea di Palmachim, una batteria missilistica Iron Dome, il sistema di difesa laser Iron Beam.
Venerdì incontrerà a Betlemme il presidente dell’Anp Abu Mazen al quale non garantirà alcun appoggio politico ma solo un pacchetto di misure economiche e qualche gesto simbolico. Biden quindi andrà all’aeroporto Ben Gurion da dove partirà per l’Arabia saudita dove parteciperà al vertice del GCC+3 a Gedda con i leader del Consiglio di cooperazione del Golfo: Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati insieme a Iraq, Egitto e Giordania. Pagine Esteri
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EGITTO. Il “Dialogo nazionale” secondo il dittatore Al Sisi
di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 11 luglio 2022 – Il 5 luglio scorso in Egitto è stato ufficialmente inaugurato il cosiddetto “dialogo nazionale”. Da un’idea del Presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi, nasce una piattaforma pubblica che accoglierà rappresentanti della società civile e della politica all’interno della quale si potranno discutere i problemi politici, economici e sociali del Paese. L’obiettivo, secondo le intenzioni dichiarate da Al Sisi, è riaprire un dialogo con i partiti di opposizione e ricevere da loro critiche e proposte di riforme per governare l’Egitto. Una drastica “riforma politica” in quello che Al Sisi ha battezzato come “l’anno della società civile”. “Vogliamo che l’opposizione critichi il nostro lavoro e dica ciò che gli piace, ed è mio dovere rispondere”, così lo ha descritto il suo ideatore.
La proposta era stata lanciata dal Presidente egiziano nell’aprile scorso, nel bel mezzo del banchetto annuale dell’”Iftar della famiglia egiziana”. Durante il pranzo, Al Sisi aveva rivolto un appello a tutti i partiti politici e le correnti giovanili del Paese – eccezion fatta per i Fratelli Musulmani, pochi giorni prima confermati da un tribunale egiziano nella lista dei gruppi terroristici per altri cinque anni – a elaborare insieme, attraverso un dialogo tra maggioranza e opposizione, un nuovo “piano d’azione nazionale”. L’Egitto, aveva dichiarato il Presidente, “accoglie tutti e le differenze d’opinione non rovinano la causa della Nazione”.
Una svolta sotto i migliori auspici quella che aveva annunciato Al Sisi in primavera e che adesso sembrerebbe prendere forma. La riapertura al dialogo ha richiesto un’organizzazione scrupolosa. Il risultato è un apparato complesso in cui le diverse voci del Paese saranno chiamate a confrontarsi secondo le regole di uno Statuto di 19 articoli.
A regolare il dialogo sarà la National Training Academy, un’istituzione di formazione politica diretta dallo stesso Al Sisi. Gli ordini del giorno saranno stabiliti dal coordinatore generale del dialogo nazionale. Per ricoprire l’incarico è stato nominato il capo del sindacato dei giornalisti egiziani, Diaa Rashwan. Una scelta accolta felicemente da molti commentatori in Egitto come prova di un progetto serio e neutrale. E’ stato Rashwan a eleggere, dopo varie consultazioni politiche, i 19 membri del consiglio del dialogo nazionale: tra di loro senatori, avvocati, giornalisti, femministe. Il loro compito sarà quello di selezionare le proposte da portare direttamente alle orecchie di Al Sisi. Per il dialogo nazionale è necessaria, infine, una segreteria tecnica, presieduta da Mahmoud Fawzy, già segretario generale del governo del Consiglio supremo per la regolamentazione dei media.
Il fulcro di questa raffinata organizzazione saranno, di fatto, le sessioni di dibattito pubblico. Queste si terranno presso la National Training Academy di Al Sisi nelle date stabilite dal coordinatore generale. Ufficialmente, tutti sono invitati a candidarsi al dialogo e a partecipare alle sessioni di discussione. Sul sito della Conferenza Nazionale della Gioventù è, infatti, disponibile un modulo che i cittadini possono compilare per registrarsi al dialogo: finora, sarebbero pervenute oltre 700.000 candidature. Non è chiaro, tuttavia, quanti comuni cittadini prenderanno parte al dialogo, e in quali modalità.
Diverse sono state le reazioni dei partiti a questa improvvisa apertura al dialogo con le opposizioni. Alcune formazioni politiche, tra le quali Al-Wafd e il National Progressive Unionist Party, hanno aderito entusiasticamente al progetto. Secondo l’ex candidato alla presidenza del governo, Hamdeen Sabahi, si tratta di un passo avanti: “Il dialogo può consentire il ripristino della pluralità di voci in Egitto, di sapere come essere d’accordo e come dissentire, anche se, affinché il dialogo abbia successo, deve essere organizzato dalla Presidenza”, ha dichiarato a The Africa Report.
Tarek Fahmy, professore di scienze politiche all’Università del Cairo, ha detto ad Al Monitor: “Ci sono diverse condizioni che devono essere soddisfatte affinché il dialogo nazionale possa raccogliere i suoi frutti. Il principale tra questi è che la questione venga presa sul serio”. Attraverso “la partecipazione di tutte le forze politiche, ad eccezione dei Fratelli musulmani”, “il dialogo nazionale alla fine avrà luogo ed è importante che ci siano meccanismi esecutivi affinché si svolga senza intoppi”, secondo lo studioso.
Più cauta è stata la risposta di altri partiti. Dopo diverse consultazioni avvenute nel mese di maggio, serie criticità sono state avanzate dal Movimento Civile Democratico, che riunisce al suo interno sette partiti di opposizione, che ha comunque accettato l’invito al dialogo. “Negli ultimi otto anni, le voci dei partiti politici liberali” ha dichiarato ad Al Monitor il giornalista Khaled Dawoud, ex segretario generale del Partito della Costituzione liberale, “Sono stati messi a tacere in seguito alla detenzione di un numero significativo dei loro membri per le loro opinioni politiche e ideologiche; è giunto il momento di consentire ai partiti liberali di impegnarsi politicamente”.
Non tutti si sono lasciati trascinare dall’entusiasmo per il dialogo politico in Egitto. E’ un’impressione comune, anche al di fuori dei confini egiziani, che le intenzioni reali di Al Sisi non nascano dall’improvviso desiderio di trasformare il suo regime autoritario in un governo democratico. Secondo molti studiosi e analisti, il “nuovo corso” di dialogo politico che la Presidenza del Cairo sembra voler aprire deriva piuttosto dal tentativo di smacchiarsi la coscienza dei propri crimini davanti alla comunità internazionale. La svolta avviene, del resto, in un periodo di estrema difficoltà e di bisogno per l’Egitto, prostrato dalla crisi economica, dal rincaro di materie prime e carburante. Un’immagine edulcorata potrebbe giovare nelle relazioni internazionali – come l’impressione di una distensione del regime potrebbe alleggerire gli animi di un popolo impoverito e arrabbiato.
“Il governo vuole fare un carnevale per mostrare al mondo che abbiamo una democrazia, mentre il regime ha le sue impronte su molti crimini contro il popolo e continua ad arrestare, torturare e detenere egiziani“, ha dichiarato a The Africa Report un vecchio componente dei Socialisti Rivoluzionari, tra i partiti che guidarono la rivoluzione del 2011.
Proprio sulla questione dei detenuti politici in Egitto, il Movimento civile democratico e diverse organizzazioni per i diritti umani, tra le quali Amnesty International e Human Rights Watch, hanno iniziato a fare pressione all’indomani dell’annuncio dell’apertura al dialogo da parte di Al Sisi. Sono, infatti, decine di migliaia i prigionieri per reati d’opinione attualmente rinchiusi nelle carceri egiziane.
Le proposte che sono state redatte dai partiti di opposizione nel loro contenuto e nella ridondanza danno un’idea della situazione sociale e politica e del grado di esasperazione raggiunto nel Paese. Tra i suggerimenti, o meglio gli spunti di discussione, si legge: “Dovrebbe essere definito un calendario per il lavoro della Commissione della grazia, insieme all’annuncio di una sede della Commissione dove le famiglie possano presentare le loro domande di liberazione dei propri cari”; “Amnistia per tutti i casi politici, come quelli accusati di pubblicazione di notizie false e uso improprio dei social media, manifestazioni e raduni”; “Prevenire e criminalizzare l’arresto delle famiglie dei ricercati come strumento di ricatto e vendetta, insieme al loro rilascio immediato”; “Amnistia per i detenuti condannati in un tribunale militare con accuse politiche”; “Indagine su episodi di tortura e processo di valutazione delle sentenze giudiziarie emesse dal 24 luglio 2013 in tutti i casi politici”; “Fine della revoca della cittadinanza egiziana come strumento punitivo per i presunti dissidenti”. Insieme a questi punti, anche proposte di riforme economiche, democratiche e altri aspetti relativi alla tutela dei diritti umani in Egitto. Richieste che recano in sé drammatiche denunce – e che adesso, alla luce del nuovo clima di “dialogo politico”, il Presidente egiziano apparentemente non potrà ignorare nella sua agenda.
Anche Reporters Sans Frontières (RSF) ha colto l’occasione dell’annuncio del dialogo politico per fare pressione sul governo Al Sisi: “RSF chiede al governo egiziano di sbloccare i siti web di notizie e di rilasciare i giornalisti incarcerati nel “dialogo nazionale” che inizia oggi”, si legge in un comunicato del 5 luglio sul sito dell’organizzazione. “Questo dialogo nazionale deve portare a risultati concreti, compreso lo sblocco dei siti di notizie e il rilascio di tutti i giornalisti e blogger”, secondo Sabrina Bennoui, capo dell’ufficio Medio Oriente di RSF. Si intuisce scetticismo da parte di RSF, che, ripercorrendo i primi nove mesi del piano quinquennale annunciato nel settembre 2021 da Al Sisi come “Strategia per i diritti umani”, precisa: “Da allora, cinque giornalisti sono stati rilasciati e uno è stato messo in detenzione, con il risultato che il numero di giornalisti detenuti in Egitto è ora pari a 22. I tribunali egiziani hanno anche denunciato due blogger, Mohamed Oxygen e Alaa Abdel Fattah, e due giornalisti, Hisham Fouad e Alia Awad”. Dati che ancora non permettono di concedere molta fiducia al governo del Cairo in fatto di libertà d’espressione.
Perplessità sono state espresse anche da altre organizzazioni di attivisti. Ferma la denuncia di Human Rights Watch: “L’Egitto sotto il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi sta vivendo una delle peggiori crisi dei diritti umani da molti decenni. Il governo ha cercato di mascherare gli abusi ma non ha preso misure serie per affrontare la crisi. Decine di migliaia di critici del governo, inclusi giornalisti, attivisti pacifici e difensori dei diritti umani, rimangono incarcerati con accuse abusive di “terrorismo”, molti in una lunga detenzione preventiva. Le autorità molestano e trattengono i parenti dei dissidenti all’estero”.
Resta, dunque, da aspettare e stare a vedere in che cosa si tradurrà questo “dialogo nazionale” voluto da Al Sisi e valutare che non sia, come nei presagi del dissidente anonimo dei Socialisti Rivoluzionari, soltanto “un carnevale”, una celebrazione della farsa e del grottesco. Proprio nei giorni dell’apertura del “dialogo”, arriva l’accusa alle autorità egiziane da parte di Amnesty e Human Rights Watch di aver manomesso le indagini sulla morte del ricercatore Ayman Hadhoud, 48 anni, secondo le organizzazioni torturato e ucciso in carcere. E’ del 7 luglio, inoltre, la notizia dell’arresto della blogger e attivista Aya Kamal el-Din, prelevata dalla propria abitazione nella giornata di domenica e, secondo quanto riferito dal suo avvocato, comparsa in una stazione di polizia del Cairo solo due giorni dopo. Un’utente egiziana ha commentato sarcasticamente la notizia sui social scrivendo che l’arresto di Aya Kamal el-Din era un passo necessario ad “aprire la via del dialogo nazionale”.
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Draghi in questo mondo di oscuri vacanzieri del pensiero
La politica è confronto, ma per confrontarsi bisogna avere un 'altro' (pensante) con cui farlo. In assenza del quale Draghi propone e agisce: o stai con lui o ti attacchi
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Governo e M5S: … e la quadra verrà
Draghi darà soddisfazione apparente a Conte, e gli consentirà una via d’uscita per salvare un minimo la faccia
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La piaga di Ottana
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La Schengen digitale di Colao
Il ministro Vittorio Colao ha dichiarato in questi giorni che la “trasformazione digitale” della pubblica amministrazione, coi fondi del PNRR, sta andando a gonfie vele, e che entro il 2023 prevede anche di creare i primi tasselli di una “Schengen digitale” capitanata dall’Italia, fino al 2026 - anno in cui prevede di conseguire una piena “cittadinanza digitale”.
L’idea è di arrivare a creare un ecosistema di servizi, pagamenti e documenti digitali, senza frontiere, al cui centro ci sarebbe un portafoglio digitale europeo - uno strumento di identità digitale omnicomprensivo, con cui poter gestire tutti i documenti e attributi necessari per essere cittadini digitali: patente, carta d’identità, fascicolo sanitario elettronico, pagamenti digitali, servizi e molto altro.
Secondo l’idea di Colao già il prossimo anno potremo gestire i nostri documenti in forma digitale, in modo analogo al Green Pass: verrà erogato un QR code dalla pubblica amministrazione e sarà verificabile in tempo reale da forze dell’ordine e ogni altro ente pubblico grazie a una “banca dati nazionale per i controlli” (così l’ha chiamata Colao).
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One Month for European DPAs to decide Facebook's EU-US Data Transfers
Un mese di tempo per le autorità di protezione dei dati europee per decidere i trasferimenti di dati UE-USA di Facebook
Abominio scolastico
Il test Invalsi del 2022 e il dato inquietante che riguarda i ragazzi che stanno ora sostenendo la maturità…
Dai test Invalsi del 2022 risulta in maniera chiara che la metà dei ragazzi che in questo momento stanno facendo gli esami di maturità non sarebbe dovuto essere ammesso, perché insufficiente in italiano e/o in matematica. Lasciamo perdere le lingue straniere.
Non è una novità di quest’anno. Non c’entrano niente né il Covid, né la didattica a distanza, che sono solo scuse. Questo è il fallimento della scuola italiana. Anche perché lo spirito della scuola pubblica consiste – ed è sanissimo – nell’idea che l’istruzione, intesa come consegna di strumenti critici e culturali, serva a ciascuno per uscire da una condizione di eventuale svantaggio che può essere geografico, economico o culturale.
La scuola pubblica serve per colmare questi svantaggi e, ove possibile, annullarli. Invece, vediamo l’esatto opposto, perché prendiamo i risultati degli Invalsi 2022, troviamo che la metà dei maturandi dovrebbe essere bocciato e, invece, verranno tutti promossi. Ovviamente, lo stesso discorso vale anche per le altre classi: ho preso i maturandi per esemplificare.
Se io prendo l’insieme di questi ragazzi, la metà non è preparata. Ma non è mica così in tutta Italia. In italiano raggiunge e supera la sufficienza il 63% degli studenti del nord-est, il 60% nel nord-ovest, il 51% nel centro Italia, il 40% al sud e il 38% al sud e nelle isole.
In matematica dovrebbero essere bocciati, perché non raggiungono la sufficienza sempre la metà dei ragazzi. Però raggiunge e supera la sufficienza il 73% nel nord-ovest, il 75% nel nord-est, il 59% in centro, il 50% al sud e il 33% nel sud e nelle isole.
Tutto questo è profondamente ingiusto. Se poi si prendono questi dati, disaggregandoli ulteriormente per area della città o centro-provincia si scopre sempre la stessa regola. Più si è in una condizione avvantaggiata, più si è in una condizione socialmente, culturalmente ed economicamente più protetta e più si hanno a disposizione delle scuole che ti consegnano quantomeno la capacità di saper leggere e far di conto. Più si è in una condizione svantaggiata, più in quella condizione si rimane.
Poi, non c’è dubbio che c’è ci siano tantissimi docenti che fanno col cuore e con l’anima oltre, che con il cervello, il loro mestiere, ma ce ne sono tanti altri che sono lì solo per prendere lo stipendio. Ci sono ragazzi che studiano, che sono volenterosi, che si impegnano e ce ne sono altri che sono lì che aspettano la promozione e la avranno tutti.
Il problema non è cercare di chi è responsabilità. Il tema è questo schifo di scuola conferma le distanze sociali. È una scuola classista, non meritocratica e non selettiva.
Chi l’ha voluta? La vogliono le famiglie, la vogliono i cittadini italiani, la vogliono quelli che votano la classe politica che non indovina un congiuntivo nemmeno per scherzo, la vogliono quelli che votano una classe politica che non vuole e non sa fare di conto, sa fare solo debito. L’Italia che vota tutto questo è l’Italia che chiede la promozione per il proprio figlio, perché lo ritiene un incapace: non vorrete mica sfidarlo, misurarlo, sottoporlo ad una competizione, altrimenti perde.
E, invece, non è vero! Quei ragazzi meriterebbero maggiore fiducia, meriterebbero di essere sfidati, sottoposti a competizione, ma prepararti prima. E quelli che non si vogliono preparare, devono essere bocciati prima.
La severità a scuola serve ad agevolare la vita, mentre il lassismo a scuola serve a renderla una schifezza, una corsa al ribasso. Viviamo in un mondo aperto e, checché se ne dica, la concorrenza esiste. Sì, forse per una generazione il figlio del farmacista farà il farmacista, quello del notaio il notaio, quello del meccanico il meccanico.
Ma dopo finisce, perché il benessere rende sempre meno desiderosi di sacrificarsi. È questo che desideriamo? Perché questo è esattamente quello che il sistema scolastico sta preparando e lo sta preparando per le zone meno avvantaggiate del nostro Paese e, in special modo, per il sud per le aree meno ricche.
Complimenti per la performance! A me sembra un abominio.
L'articolo Abominio scolastico proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Ucraina: Putin, Erdogan e l’espansione della NATO
Dal crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, non meno di quattordici dei suoi Stati satelliti dell’Europa orientale hanno aderito alla NATO. Il Presidente russo Vladimir Putin ha osservato con crescente preoccupazione il confine della NATO avanzare inesorabilmente verso il suo confine occidentale. In particolare, la Lettonia e l’Estonia ora sono faccia a faccia con la Russia, [...]
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USA – Regno Unito: dopo Johnson, aggiustamenti, non cambiamenti
La crisi del governo Johnson proietta la Gran Bretagna verso un periodo di incertezza sia sul piano interno sia su quello internazionale, incertezza i cui effetti sono resi più gravi dal contesto di questi mesi. La dimissioni di Boris Johnson da leader del Partito conservatore aprono formalmente il processo destinato a portare alla nascita di un nuovo [...]
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Storie di ordinario volontariato che generano extraprofitto sociale
L’EXTRAPROFITTO del Volontariato e delle Imprese Sociali non profit non è uno slogan per narrare, ma un’opzione operativa e strumento per far stare meglio i cittadini, i pazienti, i degenti e le fasce deboli. Cerchiamo di dimostrarlo. La parola EXTRAPROFITTO, in questo periodo, è una interpretazione deteriore del profitto visto nella fattispecie interpretativa di un sovraprofitto opportunistico [...]
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Borsa: canapa, USA e Canada appena sopra la soglia minima positiva
Le due principali piazze borsistiche mondiali nel settore della produzione, trattamento e commercializzazione della canapa, ovvero Canada e USA, questa settimana chiudono convalori lievemente positivi (non tutti). Continua a pesare notevolmente la stasi pessimistica sulle piazze borsistiche internazionali dovuta principalmente all’impatto che su tutto questo esplica la guerra in Ucraina causata dall’invasione russa e dall’atteggiamento [...]
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Italia, il futuro è già passato di qua
2018-2022: inizio e (quasi) fine della diciottesima legislatura
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NATO mediorientale? Anche no!
I Paesi arabi dicono un doppio NO. No a una coalizione militare anti-Iran; No a una coalizione con Israele
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Lavoro Milano: punto d’incontro tra domanda e offerta nel settore Ho.Re.Ca.
Il settore Ho.Re.Ca. (Hospitality, Restaurant, Cafè) sta attraversando, da anni ormai, una grave crisi concernente la ricerca e assunzione di nuovo personale. Eppure questo ambito lavorativo è stato, da sempre, uno dei più prosperi al quale affidarsi se si è in cerca di un lavoro stagionale, di una semplice occupazione occasionale che aiuti gli studenti [...]
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L’invasione russa dell’Ucraina è anche una sconfitta dell’Iran
Come mostrano i recenti incontri ad alto livello tra i leader russi e iraniani, i legami Mosca-Teheran sono rimasti forti dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022. La guerra in corso in Ucraina, tuttavia, ha avuto alcune conseguenze gravemente negative per l’Iran – conseguenze che possono solo peggiorare man mano che la guerra continua. Nonostante [...]
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Taxi vs Uber, tra corporativismi e liberalizzazioni
Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto; è quanto mi hanno dato al posto di un fucile (Philip Roth) Assentatomi qualche giorno dai temi della realtà sociale per un gradevole sposalizio familiare mi imbatto nel rinnovato esplodere di proteste dei guidatori di taxi per un’ennesima come la chiamano, liberalizzazione del servizio. Controversia legata all’approvazione del controverso [...]
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Ucraina: l’ora dell’alternativa possibile
I Paesi della vecchia Europa chiamati a fare quadrato e rilanciare un dialogo 'con' e non 'contro' al Federazione russa
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Germania: sulla cannabis ricreativa, mancano ancora parecchie risposte
La Germania sta portando avanti i piani per creare il primo mercato nazionale europeo della cannabis a scopo ricreativo, ma i dettagli sulle regole che governeranno l’industria rimangono scarsi. Una volta lanciato, il mercato tedesco della cannabis ricreativa, che vale un miliardo di euro, sarà a una sola cifra, a due cifre o a una [...]
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Boris il russo fra Russia e caduta
Simpatie e contraddizioni di Jhonson
Non ha quel nome per caso, semmai è il cognome ad avere basi meno solide. Boris, per la precisione: Alexander Boris, si chiama in quel modo perché di origini anche russe, oltre che turche e musulmane. Di lui si possono dire molte cose, ma “russofobo” proprio no. Il bisnonno paterno, di cognome faceva Kemal. Ali Kemal, ministro dell’impero ottomano.
Fu suo figlio, il nonno di Boris, a cambiare il cognome di una famiglia imparentata con la nobiltà tedesca ed inglese, usando quello di Johnson. Lui, Boris, è americano, nato a New York. In queste ore il suo governo vacilla, ma nel suo dna e nelle sue contraddizioni c’è un pezzo importante di storia europea.
Esageratamente simpatico, anche nel suo essere bugiardo. Qualcuno lo ricorderà a Roma, in occasione di un vertice, nel mentre elenca i sette colli capitolini, ma non riesce a ricordarne uno. Davanti a lui il nostro presidente della Repubblica e quello del Consiglio, che non è non sappiamo aiutarlo, è che non sarebbero arrivati a sei. Perché Johnson ha una cultura classica a prova di bomba, capace di recitare in greco (antico) e latino. Laureato a Oxford, in lettere classiche. Ma quando lo prendono a fare il giornalista, al The Times, redige un pezzo su scavi archeologici, inventando citazioni e attribuendole a casaccio, allo scopo di rendere più accattivante l’articolo. Licenziato. Riesce a farsi assumere altrove.
Il padre di Boris è stato a lungo parlamentare europeo conservatore. Super europeista, al punto di essere uno degli animatori del “Club del Coccodrillo”, dal nome del ristorante dove s’incontravano. Su quella posizione si trova anche il figlio, fin quando non crede il vento tiri per Brexit.
A esito del referendum, per dire, il padre ha cambiato cittadinanza, per restare europeo. Boris aveva cambiato posizione, per restare in vetta. E qui si apre la contraddizione politica, che prescinde totalmente dai rimproveri d’incoerenza o altre facezie non commestibili: cavalca alla grande Brexit, la usa anche per far fuori Theresa May e prenderle il posto, mentre ora è uno dei più determinati e netti interpreti della linea anti Putin, però lo stesso Putin aveva dato una mano eccome, a Brexit.
Si era pronunciato a favore dell’elezione di Obama, ma all’arrivo del virus prende la posizione di Trump e Bolsonaro: chi se ne frega, è un’influenza. Un negazionista. Ma mentre quei due restano appiccicati a quel che dissero, Boris realizza che è una cretinata e cambia: chiusure e vaccinazioni. E Uk è in testa alla partenza (noi sorpassiamo in corsa), un buon successo. Così lo scapigliato viene ammirato da gente che la pensa all’opposto. Poi lo beccano a far festini. Lui ammette, ma con l’aria di dire: che sarà mai.
Salva la ghirba dalla sfiducia interna al partito conservatore, ma perde ministri. Vince le elezioni politiche (anche grazie ai labouristi, che si fanno guidare da un antisemita socialista della prima metà del secolo scorso) e perde tutto il resto. Procedendo con la Brexit ideologica rischia di sfasciare l’intero Regno Unito.
E ora s’appresta al capolinea, sfiduciato dai suoi. Il tutto senza mai smarrire ironia e una piacioneria così smodata da essere a sua volta piacevole. Ed è questo il punto: Boris ha capito e interiorizzato la politica al debutto di questo secolo, vivendola come palestra di trasformismo e protagonismo. Ma all’appuntamento con la storia si presenta puntuale: Putin deve perdere. Ed è a quel punto che ti dici: magari tutti i populisti trasformisti fossero così.
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ILARIA ALPI. Assassinato il capro espiatorio Hashi Omar Hassan
di Alessandra Mincone
Pagine Esteri, 7 luglio 2022 – Un’autobomba è esplosa a Modagiscio uccidendo Hashi Omar Hassan, il quarantunenne somalo che nel ‘98 fu incriminato per le morti della giornalista Ilaria Alpi e del suo collega Miran Hrovatin a Bosaso. Il testimone chiave dell’accusa, Ahmed Ali Rage, solo nel 2015 confessò di aver fatto il suo nome in cambio di denaro, quando Hassan aveva già trascorso nel carcere di Padova più di 16 anni. Fu risarcito dallo Stato Italiano per aver scontato una pena ingiusta con 3milioni e 181mila euro. Ma dal primo giorno della sua assoluzione, sapeva che tornare in Somalia gli sarebbe potuto costare la vita.
Da quanto riporta il sito somalo Garowe, nessuna milizia ha rivendicato il gesto, ma non è da escludere che l’attacco sia stato organizzato dal movimento islamico “Al-Shabaab”, storica cellula somala di Al-Qaida. Uno dei due legali di Hashi Omar, Antonio Moriconi, ha dichiarato alla stampa italiana che a parer suo, dietro l’attentato ci sarebbero stati dei tentativi di estorsione da parte di gruppi terroristici, venuti a conoscenza dell’enorme cifra di risarcimento ottenuta da poco, e che Hassan voleva investire nel settore dell’import-export. Lo avrebbe fatto “per migliorare la stabilità politica della Somalia”, all’interno del suo clan, l’abgal, attualmente vicino al governo, e che all’epoca dei viaggi di Ilaria Alpi a Mogadiscio veniva organizzato dall’ex- Presidente del Governo di transizione somala, Ali Mahdi.
Ali Madhi Mohammed e il suo oppositore, Mohammed Farah Aidid, furono entrambi sospettati di aver cospirato per l’uccisione della giornalista e del cineoperatore. Al centro delle ricerche investigative di Ilaria e Miran, quelle a cui si riconducono i motivi delle loro assassinio, c’erano i rapporti tra servizi segreti e istituzioni italiane con l’ex dittatore Mohammed Siad Barre; le successive operazioni di cooperazione dell’ONU allo scoppio della guerra civile; e conseguentemente, il traffico di rifiuti radioattivi che i signori della guerra accettavano di smaltire in cambio di armi clandestine, soprattutto a fronte dell’embargo sulle armi del gennaio ’92. Mentre il governo di transizione poteva rafforzare la propria autorità dal contrabbando di armi, i gruppi islamisti si accaparravano una percentuale del traffico illegale perseguendo una guerra civile che divise in due aree Mogadiscio.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nel 2003, in un report in merito alle violazioni dell’embargo sulle armi in Somalia, osservava che il traffico di cannoni anticarro, mitragliatrici pesanti, fucili d’assalto, pistole, bombe e munizioni che arrivava al Porto di Bosaso era in crescente aumento già dagli anni settanta. L’ex Unione Sovietica, dal ‘73 al ’77, esportò ben 260milioni di dollari in armi; l’Italia, dal ‘78 al 1982 ne esportò da sola 380milioni. Dagli anni ’80, anche Stati Uniti d’America e China favorivano la dittatura somala con ingenti regali bellici. Dal gennaio 1992, l’embargo è sempre stato raggirato dai somali con la complicità e gli interessi anche di Egitto, Etiopia, Eritrea, Sudan, Djibouti e Yemen.
Pochi giorni prima di morire, Ilaria aveva conosciuto il Sultano di Bosaso, Abdullahi Moussa Bogor. È ancora possibile ritrovare online l’intervista con cui chiedeva, con destrezza, cosa ne era stato della nave cargo della Shifco – l’azienda peschiera italiana, con a bordo soldati italiani e croati, sequestrata al Porto di Bosaso, uno snodo cruciale per i traffici somali. La gran parte delle riprese di Miran di quella intervista sarebbero andate disperse, non senza manovre rocambolesche che sin da subito hanno fatto presagire il depistaggio delle indagini, per culminare in una epopea giudiziaria che ancora non ha un finale.
Ad oggi, anche le violazioni dell’embargo sulle armi non trovano un epilogo. È del 5 luglio la notizia dell’emittente televisivo somalo “Al-Arabya”, dove si denunciava il sequestro di due barche yemenite che trasportavano armi al gruppo terroristico “Al-Shabaab”. Le barche sarebbero risultate di proprietà di un contrabbandiere somalo, Ahmed Matan, che già in passato avrebbe fornito materiale esplosivo allo stesso gruppo terroristico probabilmente direzionandole al Golfo di Aden.
La tragica storia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sembrava non poter più interferire con quella di Hashi Omar Hassan, e invece nella morte raccontano entrambe la stessa disgrazia, quella del traffico di armi a Mogadiscio. Pagine Esteri
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📰 Il bollettino di #MonitoraPA 📰
Dopo la presa di posizione del Garante, ancora nuove email e qualche interessante fenomeno di emulazione!
monitora-pa.it/2022/07/07/1311…
1311 nuove PEC da Monitora PA
Abbiamo chiesto a 1311 Pubbliche Amministrazioni di aggiornare la propria anagrafica AgID-IPA.Monitora PA
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DOCUMENTARIO. Gli stupri delle native americane, strumento di colonizzazione
di Nello del Gatto –
Pagine Esteri, 8 luglio 2022 – Nei secoli l’aggressione sessuale nei confronti delle donne native americane è stato uno strumento di sopraffazione e colonizzazione, un modo per dimostrare il potere degli invasori nei confronti delle popolazioni locali. Ancora oggi, un buco legislativo nella giurisprudenza americana impedisce di perseguire i non nativi colpevoli di violenze nei confronti delle donne native americane.
Secondo dati del Dipartimento di Giustizia, una donna nativa su tre viene violentata nel corso della sua vita, mentre altre fonti riferiscono che molte donne native sono troppo demoralizzate per denunciare lo stupro.
Più dell’80 per cento dei crimini sessuali nelle riserve sono commessi da uomini non indiani, che sono immuni da procedimenti giudiziari da parte dei tribunali tribali, mentre i pubblici ministeri federali rifiutano di perseguire il 67% dei casi di abusi.
player.vimeo.com/video/7280538…
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Nello del Gatto è corrispondente estero, autore e conduttore per Radio 3 Rai. Dopo aver lavorato come giornalista di nera e giudiziaria si è dedicato agli esteri, occupandosi di diritti civili. Ha trascorsi sei anni in India come corrispondente dell’ANSA e successivamente a Shanghai con lo stesso ruolo. Dal 2019 è a Gerusalemme.
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YEMEN. Le mine antiuomo fanno strage di civili e bambini
della redazione con informazioni di Save the Children
Pagine Esteri, 8 luglio 2022 – Le mine antiuomo e gli ordigni inesplosi sono stati i più grandi assassini di bambini nello Yemen da quando è stata annunciata una tregua ad aprile. Lo denuncia Save the Children. L’aumento delle morti a causa di queste armi si considera sia dovuto al trasferimento delle famiglie in aree precedentemente inaccessibili a seguito della diminuzione delle ostilità. Una nuova analisi dell’Organizzazione mostra che le mine antiuomo e le munizioni inesplose sono state responsabili di oltre il 75% di tutte le vittime di guerra tra i bambini, uccidendone e ferendone più di 42 tra aprile e la fine di giugno.
Da quando è iniziata la tregua dopo sette anni di conflitto, il numero di vittime legate al conflitto armato è diminuito in modo significativo, con 103 civili uccisi in conflitto negli ultimi tre mesi, mentre nei tre mesi precedenti la tregua sono stati uccisi 352 civili. Tuttavia, gli incidenti relativi alle mine antiuomo e agli ordigni inesplosi sono continuati a un livello simile, con una media stimata di un incidente al giorno, che ha provocato la morte di 49 civili tra cui almeno otto bambini. Nei tre mesi precedenti la tregua, 56 civili sono stati uccisi da mine e ordigni inesplosi.
I resti esplosivi della guerra rimangono una minaccia ereditata dai combattimenti, rappresentando un pericolo duraturo per i civili in tutto il Paese anche dopo la cessazione delle ostilità. I bambini, in particolare, hanno una maggiore vulnerabilità agli ordigni inesplosi e alle mine antiuomo a causa della percezione del basso rischio e dell’elevata curiosità. Inoltre, il senso di relativa sicurezza ha portato a una maggiore mobilità tra i civili, in particolare tra gli sfollati, che potrebbero sentirsi sicuri di tornare nelle aree in cui le ostilità si sono attenuate.
“Anche se i combattimenti sono stati meno frequenti negli ultimi mesi, i residuati bellici esplosivi continuano a mietere vittime quotidianamente. Le mine antiuomo e le munizioni inesplose rappresentano una grave minaccia per tutti nello Yemen, in particolare per i bambini, che sono curiosi per natura, vogliono esplorare il loro mondo e conoscerlo. E quando vedono qualcosa di brillante o interessante, non possono trattenersi dal toccarlo. Ecco perché così tanti bambini sono stati uccisi o feriti in incidenti di ordigni inesplosi. Raccolgono l’oggetto sconosciuto pensando che sia un giocattolo, solo per scoprire che si tratta di una bomba a grappolo inesplosa. Cresce ancora di più nella stagione delle piogge, quando la terra si bagna e le mine sepolte nelle secche possono andare alla deriva in aree precedentemente ritenute sicure. Nelle ultime due settimane, abbiamo visto molte segnalazioni di adulti e bambini uccisi o mutilati mentre svolgevano le faccende quotidiane, come andare a prendere l’acqua, lavorare nelle loro fattorie o prendersi cura del loro bestiame. Non c’è un posto sicuro per i bambini nello Yemen, nemmeno quando il pericolo dei combattimenti è diminuito. I bambini in Yemen hanno sopportato per troppo tempo violenze sbalorditive e immense sofferenze e, a meno che le parti in guerra e la comunità dei donatori non diano la priorità alla protezione dei bambini, la triste eredità del conflitto li perseguiterà per gli anni a venire”, dichiara Rama Hansraj, direttore di Save the Children in Yemen.
Save the Children chiede alle parti in guerra un impegno urgente e pieno per la bonifica delle mine e degli ordigni inesplosi e invita ad adottare misure pratiche e immediate per ridurre l’impatto crescente di questi esplosivi. L’Organizzazione chiede inoltre alla comunità dei donatori di sostenere l’ampliamento e la fornitura delle attrezzature tecniche necessarie per la marcatura e lo sgombero degli ordigni e delle mine inesplose, in modo che i bambini e le loro comunità siano consapevoli del rischio e siano maggiormente in grado di mitigarlo in sicurezza. Pagine Esteri
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Finlandia Svezia: (ex) rispettabili violatori
Una sola certezza: quando il principio sarà violato, vorrà dire che l’accordo era di violarlo
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Varianti del gioco di carte Bestia
La bestia è uno stretto parente della briscola, dal momento che ha per lo più le stesse regole. Varianti: • con Briscola dominante, viene posta a fianco alla briscola una carta coperta, scoperta solo dopo che i giocatori hanno bussato e cambiato carta. Se la carta risulta più bassa della prima, si gioca normalmente coprendola, [...]
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I crimini di guerra russi in Ucraina si stanno ritorcendo contro Mosca
La tattica di Vladimir Putin di prendere di mira le popolazioni civili si è finalmente ritorta contro. Invece di demoralizzare gli ucraini stanchi della guerra, ha galvanizzato i suoi vicini europei e rinvigorito la NATO. Ciò arriva quando due missili russi hanno colpito un affollato centro commerciale nella città di Kremenchuk, uccidendo oltre 20 persone [...]
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Rwanda – Uganda: quando due ‘presidentissimi’ fanno scintille
Relazioni burrascose e pericolose tra i Presidenti di Rwanda e Uganda alle prese con l'M23 in Congo, dove è in atto un conflitto di geoeconomia delle risorse
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Di Maio, da Grillo a Feydeau
Insieme per il futuro di Luigi Di Maio
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Ucraina: una scorta a guida USA per rompere il blocco russo sarebbe pericolosa
Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina a febbraio, relativamente pochi nel commentatore occidentale sono stati disposti a chiedere agli Stati Uniti di impegnarsi in una guerra diretta contro Mosca. Le ragioni di questa cautela sono ovvie: la Russia è uno stato nucleare e ha un esercito che, nonostante la sua recente sottoperformance, è ancora [...]
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PATHS Summer School, dal 12 al 14 luglio: tre giorni di esperienze immersive, webinar e laboratori di rinnovamento della didattica della Filosofia per la scuola del futuro con docenti, dirigenti, esperti, accademici.
Info ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/paths-…
Iscrivetevi per rimanere sempre aggiornati ▶️ miur.gov.it/web/guest/iscrizio…
NATO – Turchia: Erdogan sugli altari
Erdoğan ottiene, oltre alla legittimazione delle sue operazioni belliche, anche le armi e i rinforzi militari di cui aveva bisogno. Ottimo posizionamento per le elezioni 2023
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Di Joseph #Cox su #Vice
vice.com/en/article/v7veg8/ano…
This Is the Code the FBI Used to Wiretap the World
Motherboard is publishing parts of the code for the Anom encrypted messaging app, which was secretly managed by the FBI in order to monitor organized crime on a global scale.Joseph Cox (VICE)
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Quanto costa ricostruire l’Ucraina, corruzione esclusa?
L'Unione Europea ha detto che sborserà circa 100 miliardi di dollari, che potrebbero essere in parte condizionati all'attuazione di alcune importanti riforme anti-corruzione
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Cieco e nano
Follemente corretto
Che, da tempo, il politicamente corretto stia evolvendo in follemente corretto lo sapevo. È questo, del resto, il motivo per cui ho cominciato a scriverne su “LaRagione” (vedi articolo di martedì scorso).
Di vere e proprie follie ne ho scovate decine, soprattutto nei Paesi di lingua inglese, a partire dagli Stati Uniti. Per esempio che non si può vendere uno shampoo per capelli “normali”, perché altrimenti qualcuno potrebbe sentirsi anormale se compra uno shampoo per capelli secchi.
Però qualche giorno fa, girovagando su Internet, mi sono imbattuto in un caso che supera tutti quelli che avevo incontrato e catalogato (sì, ho questa perversione, faccio collezione di follie).
Ebbene, si tratta di questo: in un breve editoriale pubblicato sul portale dell’Università di Padova, uno studioso che si occupa di biologia evoluzionistica racconta che sta per pubblicare negli Stati Uniti un testo di argomento scientifico (l’evoluzione) e che la correttrice di bozze della casa editrice gli ha chiesto di cambiare alcune parole.
Due in particolare: “cieco” e “nano”, in quanto offensive per i non vedenti e le persone di bassa statura. La solita ipocrisia degli eufemismi, penserete voi. E invece no. Lo studioso nel suo libro usava l’aggettivo “cieco” per parlare della selezione naturale che è cieca (cioè non segue un piano). E usava la parola “nano” per parlare di una specie particolare di elefanti, detti elefanti nani, le cui dimensioni ridotte possono essere vantaggiose in quanto abitanti di isole piccole.
Ho pensato a uno scherzo. Magari lo studioso in questione non esiste o è un dottorando burlone che si diverte a prenderci in giro o vuole denigrare gli Stati Uniti. Quindi ho controllato: in realtà lo studioso in questione esiste, si chiama Telmo Pievani, ha studiato in Italia e negli Stati Uniti, attualmente è docente ordinario di Filosofia delle scienze biologiche, ha incarichi nazionali e internazionali prestigiosi, un mare di pubblicazioni, un curriculum accademico splendido.
Quindi la mia ipotesi era sbagliata: non siamo davanti a uno scherzo. Dobbiamo trovare un’altra spiegazione. Se una correttrice di bozze non capisce che “evoluzione cieca” e “elefante nano” sono espressioni che non possono offendere nessuno, una ragione deve esserci. Ma quale può essere? È a questo punto che mi sono tornati in mente alcuni studi recenti che, come sociologo che per trent’anni ha lavorato con gli psicologi, mi avevano molto incuriosito.
Secondo questi studi il quoziente intellettivo (QI) dei cittadini dei Paesi sviluppati sarebbe aumentato sistematicamente per più di mezzo secolo (dagli anni Quaranta alla fine degli anni Novanta del secolo scorso) ma nel nuovo millennio sarebbe in diminuzione. Il primo effetto (aumento QI) viene chiamato effetto Flynn, il secondo (diminuzione QI) viene chiamato effetto Flynn inverso o retrogrado.
Ho sempre guardato con scetticismo a questo tipo di studi, pieni di insidie statistico-matematiche. Ma, dopo aver appreso quel che è capitato al professor Pievani, sono meno scettico.
E se fosse proprio così, che stiamo diventando meno intelligenti? Dopotutto quel che la correttrice di bozze ha manifestato è una totale mancanza di ironia. E la letteratura scientifica su una cosa è concorde: l’ironia è la testimone migliore dell’intelligenza.
L'articolo Cieco e nano proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
One Month for European DPAs to decide Facebook's EU-US Data Tranfers
Un mese di tempo per le autorità di protezione dei dati europee per decidere i trasferimenti di dati UE-USA di Facebook
Onu: in sei mesi 60 palestinesi uccisi in Cisgiordania e Gerusalemme Est, +46% rispetto al 2021
della redazione –
Pagine Esteri, 7 luglio 2022 – Erano in centinaia ieri ai funerali di Rafiq Ghannam, il palestinese di 20 anni ucciso durante un blitz dell’esercito israeliano nella cittadina di Jabaa a sud di Jenin, in Cisgiordania. Testimoni hanno raccontato che Ghannam è stato colpito davanti casa mentre erano in corso scontri tra soldati e giovani manifestanti. Per il portavoce militare israeliano, Ghannam era un ricercato e sarebbe stato abbattuto dal fuoco dei soldati perché avrebbe cercato di sottrarsi all’arresto. I media palestinesi ieri riferivano anche di decine di arresti effettuati dalle forze di occupazione nel corso della notte nei villaggi palestinesi nel nord della Cisgiordania e intorno a Ramallah.
Quella di ieri è la seconda uccisione di un abitante di Jabaa in due giorni. Prima di Ghannam era stato colpito a morte Kamel Alawneh. Domenica scorsa l’Onu ha riferito che da gennaio a giugno, 2022 esercito e polizia di Israele hanno ucciso oltre 60 palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme est, il 46% in più rispetto alla prima metà dello scorso anno. Nel 2021 sono stati uccisi 78 palestinesi e 24 del 2020. Questi numeri includono anche alcuni palestinesi armati rimasti uccisi in scontri con l’esercito o dopo aver compiuto attacchi. Tra questi i responsabili degli attentati compiuti in Israele tra marzo e maggio che hanno causato 18 morti.
Intanto l’agenzia di stampa statunitense Associated Press ha inaugurato la sua nuova sede a Gaza, un anno dopo la distruzione dei suoi uffici in un attacco della aviazione israeliana. Secondo Israele nell’edificio, sede anche di altri mezzi d’informazione come Al Jazeera, operavano uomini del movimento islamico Hamas. Ma non ha mai fornito le prove della sua tesi contestata dai giornalisti della Ap e di altri media.
A Gaza, come nel resto dei Territori palestinesi occupati, hanno destato curiosità e una certa sorpresa le immagini provenienti dall’Algeria – in festa per il 60esimo anniversario della sua storica indipendenza dal colonialismo francese – della stretta di mano tra il presidente dell’Anp Abu Mazen e del leader del movimento islamico Hamas, Ismail Haniyeh. I due non si incontravano da anni. Tuttavia, il gesto distensivo tra i due leader rivali, di fatto nemici, è avvenuto solo per l’insistenza della presidenza algerina e non pare destinato a favorire il riavvicinamento le due parti. Hamas e il partito Fatah, spina dorsale dell’Anp, sono ai ferri corti da anni e nulla lascia immaginare l’avvio di un negoziato per la riconciliazione. Tutti i tentativi in quella direzione fatti negli anni passati sono falliti finendo per allargare la distanza tra le due parti.
L'articolo Onu: in sei mesi 60 palestinesi uccisi in Cisgiordania e Gerusalemme Est, +46% rispetto al 2021 proviene da Pagine Esteri.
L’euro e l’inflazione
Dannazione che fu
L’euro chiuse la dannazione dell’inflazione e assicurò stabilità monetaria. Per noi fu la fine della più iniqua delle tasse. Al contrario che in altre parti dell’Euro-area, però, i salari si sono da noi fermati. Perché s’è fermata la crescita. Inchiodata da arretratezze cui sembriamo affezionati. Ora l’inflazione ricompare, spinta dall’esterno. Sarà domata, se non si commetteranno i vecchi errori. Servono riforme e soldi che vadano a investimenti, non all’assistenzialismo.
La prima volta della moneta unica
Questo luglio si è tornato a parlare di inflazione. Dopo circa un trentennio di quiete caratterizzato da una sostanziale stabilità dei prezzi, si è osservato un rapido e ripido incremento dell’inflazione. Quest’ultima, passata dal 4,8% di gennaio agli 8 punti percentuali di fine giugno, ha raggiunto il valore più alto da quando è stato introdotto l’euro nel nostro Paese.
Se la perdita di potere d’acquisto rappresenta una novità per la moneta unica, lo stesso non si può dire per la lira. Il vecchio conio, come evidenziato dal primo grafico, ha conosciuto un lungo periodo di crisi (dal 1972 al 1985) caratterizzato da un’inflazione stabilmente e abbondantemente sopra il 10%, con un picco massimo del 21,2% raggiunto nel 1980.
Dal 1985 in poi assistiamo a un decremento abbastanza costante dell’inflazione che nel 1999, in concomitanza con l’introduzione dell’euro come valuta contabile, giunge all’1,70%. L’esordio dell’euro come denaro contante avviene nel 2002, anno nel quale l’inflazione si attesta al 2,50%. Negli anni successivi la moneta unica si conferma una valuta stabile e abbastanza forte, capace di mantenere bassi (sempre sotto al 3,5% fino al 2022) i livelli dell’inflazione.
L’aumento sopraggiunto quest’anno, dunque, rappresenta un’assoluta novità e costringe gli esperti a domandarsi quale sia la migliore strategia possibile per arginare gli effetti negativi della perdita del potere di acquisto. I sindacati spingono per un adeguamento dei salari ai prezzi correnti, trovando però opposizione da parte della Banca d’Italia che teme che questo tipo di soluzione finirebbe per spingere ancora più in alto l’inflazione, innescando una spirale salari-prezzi come quella degli anni Settanta e Ottanta.
Il terzo grafico, che mette a confronto l’andamento dell’inflazione con il livello dello stipendio medio negli ultimi 30 anni (stipendio nominale, non corretto per il livello dei prezzi), sembrerebbe dare qualche supporto all’istanza dei sindacati in quanto all’aumento del salario parrebbe corrispondere addirittura un decremento dell’inflazione.
Tuttavia, dato che sia il valore dell’inflazione che quello dello stipendio medio vengono influenzati da un complesso sistema di variabili, la relazione apparente tra questi due termini potrebbe essere casuale o legata all’influenza di altre variabili in grado di incidere su entrambi i valori in maniera opposta.
Inoltre, va sottolineato come il livello degli stipendi in oggetto sia rimasto sostanzialmente stabile lungo tutto il trentennio e che anzi, trattandosi di stipendi nominali, il loro valore reale (confrontato quindi con l’indice del livello dei prezzi) sia addirittura diminuito nel corso del tempo.
È dunque plausibile che negli scorsi 30 anni si sia verificata una riduzione del valore dei salari reali accompagnata da tassi di inflazione decrescenti e una produttività stagnante.
Oggi la situazione appare più complessa: il valore reale degli stipendi continua a decrescere, però l’inflazione è in forte ascesa. Sarà necessario quindi incrementare la produttività al fine di non scivolare nella stagflazione.
a cura di Luca Ricolfi e Luca Princivalle (Fondazione David Hume) su La Ragione
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ILARIA ALPI. Assassinato il capro espiatorio Hashi Omar Hassan
di Alessandra Mincone
Pagine Esteri, 7 luglio 2022 – Un’autobomba è esplosa a Modagiscio uccidendo Hashi Omar Hassan, il quarantunenne somalo che nel ‘98 fu incriminato per le morti della giornalista Ilaria Alpi e del suo collega Miran Hrovatin a Bosaso. Il testimone chiave dell’accusa, Ahmed Ali Rage, solo nel 2015 confessò di aver fatto il suo nome in cambio di denaro, quando Hassan aveva già trascorso nel carcere di Padova più di 16 anni. Fu risarcito dallo Stato Italiano per aver scontato una pena ingiusta con 3milioni e 181mila euro. Ma dal primo giorno della sua assoluzione, sapeva che tornare in Somalia gli sarebbe potuto costare la vita.
Da quanto riporta il sito somalo Garowe, nessuna milizia ha rivendicato il gesto, ma non è da escludere che l’attacco sia stato organizzato dal movimento islamico “Al-Shabaab”, storica cellula somala di Al-Qaida. Uno dei due legali di Hashi Omar, Antonio Moriconi, ha dichiarato alla stampa italiana che a parer suo, dietro l’attentato ci sarebbero stati dei tentativi di estorsione da parte di gruppi terroristici, venuti a conoscenza dell’enorme cifra di risarcimento ottenuta da poco, e che Hassan voleva investire nel settore dell’import-export. Lo avrebbe fatto “per migliorare la stabilità politica della Somalia”, all’interno del suo clan, l’abgal, attualmente vicino al governo, e che all’epoca dei viaggi di Ilaria Alpi a Mogadiscio veniva organizzato dall’ex- Presidente del Governo di transizione somala, Ali Mahdi.
Ali Madhi Mohammed e il suo oppositore, Mohammed Farah Aidid, furono entrambi sospettati di aver cospirato per l’uccisione della giornalista e del cineoperatore. Al centro delle ricerche investigative di Ilaria e Miran, quelle a cui si riconducono i motivi delle loro assassinio, c’erano i rapporti tra servizi segreti e istituzioni italiane con l’ex dittatore Mohammed Siad Barre; le successive operazioni di cooperazione dell’ONU allo scoppio della guerra civile; e conseguentemente, il traffico di rifiuti radioattivi che i signori della guerra accettavano di smaltire in cambio di armi clandestine, soprattutto a fronte dell’embargo sulle armi del gennaio ’92. Mentre il governo di transizione poteva rafforzare la propria autorità dal contrabbando di armi, i gruppi islamisti si accaparravano una percentuale del traffico illegale perseguendo una guerra civile che divise in due aree Mogadiscio.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nel 2003, in un report in merito alle violazioni dell’embargo sulle armi in Somalia, osservava che il traffico di cannoni anticarro, mitragliatrici pesanti, fucili d’assalto, pistole, bombe e munizioni che arrivava al Porto di Bosaso era in crescente aumento già dagli anni settanta. L’ex Unione Sovietica, dal ‘73 al ’77, esportò ben 260milioni di dollari in armi; l’Italia, dal ‘78 al 1982 ne esportò da sola 380milioni. Dagli anni ’80, anche Stati Uniti d’America e China favorivano la dittatura somala con ingenti regali bellici. Dal gennaio 1992, l’embargo è sempre stato raggirato dai somali con la complicità e gli interessi anche di Egitto, Etiopia, Eritrea, Sudan, Djibouti e Yemen.
Pochi giorni prima di morire, Ilaria aveva conosciuto il Sultano di Bosaso, Abdullahi Moussa Bogor. È ancora possibile ritrovare online l’intervista con cui chiedeva, con destrezza, cosa ne era stato della nave cargo della Shifco – l’azienda peschiera italiana, con a bordo soldati italiani e croati, sequestrata al Porto di Bosaso, uno snodo cruciale per i traffici somali. La gran parte delle riprese di Miran di quella intervista sarebbero andate disperse, non senza manovre rocambolesche che sin da subito hanno fatto presagire il depistaggio delle indagini, per culminare in una epopea giudiziaria che ancora non ha un finale.
Ad oggi, anche le violazioni dell’embargo sulle armi non trovano un epilogo. È del 5 luglio la notizia dell’emittente televisivo somalo “Al-Arabya”, dove si denunciava il sequestro di due barche yemenite che trasportavano armi al gruppo terroristico “Al-Shabaab”. Le barche sarebbero risultate di proprietà di un contrabbandiere somalo, Ahmed Matan, che già in passato avrebbe fornito materiale esplosivo allo stesso gruppo terroristico probabilmente direzionandole al Golfo di Aden.
La tragica storia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sembrava non poter più interferire con quella di Hashi Omar Hassan, e invece nella morte raccontano entrambe la stessa disgrazia, quella del traffico di armi a Mogadiscio. Pagine Esteri
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Il piano del governo Draghi per aumentare gli stipendi
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HUAWEI FreeBuds Pro 2: recensione
Gli auricolari wireless Huawei vi offrono alte prestazioni e funzionalità avanzate, a un rapporto qualità prezzo imperdibile. Sono dotati di un’avanzata tecnologia di cancellazione del rumore, comandi touch, funzioni automatiche e doppio driver. Sono facili da indossare, si mettono in pausa quando li rimuovi e si avviano automaticamente quando li metti nelle orecchie. Rendono una [...]
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Questa mattina si è svolta la presentazione dei risultati delle prove #INVALSI2022 presso l'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma.
All’evento è intervenuto il Ministro Patrizio Bianchi.
Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/invals…
IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO DI ITALO CALVINO
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Di questo libro Italo Calvino ha detto: “Questo romanzo è il primo che ho scritto. … Al tempo in cui l'ho scritto, creare una letteratura della Resistenza era ancora un problema aperto, scrivere il romanzo della Resistenza si poneva come un imperativo; … ogni volta che si è stati testimoni o attori d'un'epoca storica ci si sente presi da una responsabilità speciale …
iyezine.com/il-sentiero-dei-ni…
Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino
Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino: al tempo in cui l'ho scritto, creare una letteratura della Resistenza era ancora un problema aperto, scrivere il romanzo della Resistenza si poneva come un imperativoIn Your Eyes ezine
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UPDATE: Further EU DPA orders stop of Google Analytics
AGGIORNAMENTO: Un'altra DPA dell'UE ordina l'interruzione di Google Analytics L'autorità italiana per la protezione dei dati (GPDP) si è unita al consenso condiviso dal GEPD, nonché dall'autorità per la protezione dei dati francese e austriaca e ha vietato l'uso di Google Analytics (GA)
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Alle 8.30 la chiave ministeriale per aprire il plico telematico della prima prova scritta per la sessione suppletiva è stata inviata alle scuole e pubblicata sul nostro sito.
La trovate qui ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/6-lugl…
vdnews.tv/article/lavorassimo-…
Se lavorassimo quattro ore al giorno non ci sarebbero disoccupazione né burnout
Se lavorassimo tutti la metà del tempo, la produzione non calerebbe e, contemporaneamente, la disoccupazione svanirebbe come la sindrome di burnout.Melissa Aglietti (Content Farm)
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Medicina democratica: «Ichnusa, eccesso di fluoruri». E tira in ballo Giulini. Il birrificio: «Birra sicura, analisi perfette»
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Al via la presentazione telematica delle istanze di scioglimento delle riserve nelle GaE e nelle GPS e di conferma dei servizi nelle GPS.
Info ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/gradua…
Iscrivetevi per rimanere sempre aggiornati ▶️ miur.gov.it/web/guest/iscrizio…
Digital Services Act no game-changer: Industry and government interests prevailed
Today, one day ahead of the final approval, the European Parliament debated the EU Digital Services Act (DSA) establishing new rules for online platforms. Patrick Breyer MEP, who participated in the negotiations as rapporteur for the Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs, delivered the following speech:
“Mr PresidentOn behalf of my civil liberties committee, let me be honest to our citizens:
We tried to make the Digital Services Act a game-changer and overcome the surveillance capitalist business model of pervasive tracking online but failed. We failed to provide you with alternatives to toxic platform algorithms that will push the most controversial and extreme content to the top of your timelines. And we failed to protect legal content, including media content, from being overblocked by error-prone upload filters or arbitrarily set platform rules.
But before industry and governments – consistently supported by the Commission – celebrate too quickly, I have a message to them: There is more legislation coming up, such as on political advertising and ePrivacy. We‘ll fight all the harder against surveillance advertising, we will fight for a do not track button in every device, we will fight a right to encryption, and we will fight against indiscriminate data retention.
Defending fundamental rights in the digital age is a marathon, not a sprint – you‘ll see!“
IL DESERTO DEI TARTARI DI DINO BUZZATI
Pubblicato nel 1940, “Il deserto dei Tartari” narra le vicende del tenente Giovanni Drogo, inviato a prestare servizio nell’isolata e inutile Fortezza Bastiani, a sorvegliare un deserto da cui non arriva mai alcun nemico. Consumerà la sua esistenza aspettando la guerra, l’azione, il giorno in cui potrà farsi valere e rimarrà invischiato in questa vana attesa anche quando avrà la possibilità di andarsene.
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CRISIS BENOIT, EL CULTO DE LA MUERTE (SLAUGHTERHOUSE RECORDS, 2022)
Un cimitero in piena notte illuminato da una gigantesca luna piena, un'orda di zombi affamati di carne viva che fuoriescono dalle tombe, pronti a seminare il panico in città e scatenare l'apocalisse.
Crisis Benoit, el culto de la muerte (Slaughterhouse Records, 2022)
Crisis Benoit, el culto de la muerte : la disperazione che qui si canta attinge a piene mani dal classico repertorio horror, splatter e gore, in un mix classicamente nostalgico, o nostalgicamente classico se preferite.In Your Eyes ezine
Andrea Russo
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