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Seminario di studio: “Infinitamente Piccolo”


La Fondazione Luigi Einaudi ha presentato il seminario di studio realizzato in collaborazione con la Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella, dal titolo “Infinitamente Piccolo”. Una due giorni di approfondimento che si configura come un vero e proprio

La Fondazione Luigi Einaudi ha presentato il seminario di studio realizzato in collaborazione con la Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella, dal titolo “Infinitamente Piccolo”.

Una due giorni di approfondimento che si configura come un vero e proprio festival sul patrimonio culturale, librario, naturalistico e artistico della Villa e della Famiglia Piccolo. I destinatari privilegiati di questo seminario sono gli studenti neodiplomati del liceo artistico e classico di Capo d’Orlando, oltre agli studenti universitari di diversi Atenei e a tutti gli interessati.

L’evento si è svolto in diversi spazi della Villa, nelle giornate di sabato 9 e domenica 10 luglio 2022, secondo il programma dettagliato nella locandina.

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Italia – Turchia, tra affari e migranti


Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto; è quanto mi hanno dato al posto di un fucile (Philip Roth) In questi giorni il demo pratico pragmatico Presidente Mario Draghi è andato in terra turca per un incontro intergovernativo dopo un decennio di distanza diplomatica. Il premier italiano ormai in fase di bollitura personale tra [...]

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#NotiziePerLaScuola

Piano Estate Minori Stranieri 2022, pubblicato l’avviso per la realizzazione di percorsi didattico/educativi destinati ad alunne e alunni provenienti da contesti migratori, con particolare riferimento all'Ucraina.



DdL costituzionale per l’Istituzione di un’Assemblea per la riforma della II parte della Costituzione in deroga all’Art. 138 Cost.


La Fondazione Luigi Einaudi ha elaborato un disegno di legge costituzionale per l’ Istituzione di un’Assemblea per la riforma della Parte II della Costituzione in deroga all’Art. 138 Cost. La conferenza stampa di presentazione di questo DdL si terrà doman

La Fondazione Luigi Einaudi ha elaborato un disegno di legge costituzionale per l’ Istituzione di un’Assemblea per la riforma della Parte II della Costituzione in deroga all’Art. 138 Cost.

La conferenza stampa di presentazione di questo DdL si terrà domani, alle ore 14.00, presso la Sala Caduti di Nassirya, del Senato della Repubblica.

Cliccando i due pulsanti qui sotto è possibile leggere il disegno di legge costituzionale e la rispettiva relazione.

LEGGI IL TESTO DEL DDL
LEGGI LA RELAZIONE

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DdL costituzionale per l’Istituzione di un’Assemblea per la riforma della II parte della Costituzione in deroga all’Art. 138 Cost.


La Fondazione Luigi Einaudi ha elaborato un disegno di legge costituzionale per l’ Istituzione di un’Assemblea per la riforma della Parte II della Costituzione in deroga all’Art. 138 Cost. La conferenza stampa di presentazione di questo DdL si terrà doman

La Fondazione Luigi Einaudi ha elaborato un disegno di legge costituzionale per l’ Istituzione di un’Assemblea per la riforma della Parte II della Costituzione in deroga all’Art. 138 Cost.

La conferenza stampa di presentazione di questo DdL si terrà domani, alle ore 14.00, presso la Sala Caduti di Nassirya, del Senato della Repubblica.

Cliccando i due pulsanti qui sotto è possibile leggere il disegno di legge costituzionale e la rispettiva relazione.

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Sri Lanka: tanto ricco da finire fallito


Lo Sri Lanka è tutt'altro che un Paese povero, è (era) il più ricco in termini pro capite della regione. Ora è sull'orlo di diventare uno Stato fallito

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Giustizia e carceri: emergenze ‘non-emergenze’


‘Notizie’ ed ‘emergenze’ di cui i notiziari televisivi, i cosiddetti programmi di approfondimento, i grandi giornali trascurano. Evidentemente non le ritengono “notizie” notiziabili. Sulla giustizia e il suo epifenomeno le carceri, c’è il silenzio di sempre. Eppure la situazione è a dir poco drammatica. La gravità della situazione è data da un numero: 35 suicidi [...]

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Second € 20 Mio Fine for Clearview AI


Seconda multa da 20 milioni di euro per Clearview AI L'azienda non può più elaborare i dati biometrici delle persone in Grecia e deve cancellare tutti i dati esistenti. Clearview AI fine


noyb.eu/en/second-eu-20-mio-fi…

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Le follie del viaggio in Medio Oriente di Biden


Il viaggio del Presidente Biden in Medio Oriente rischia di provocare un momento di autoironia, portando a un nuovo massimo l’incredulità degli sforzi dell’amministrazione per esprimere le sue reazioni all’invasione russa dell’Ucraina sulla base di principi universalmente applicati di diritto e democrazia. L’Arabia Saudita accoglierà un Presidente degli Stati Uniti che aveva promesso un cambiamento [...]

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Eutanasia della democrazia, intervista a Giuseppe Benedetto su La Voce Repubblicana


A trent’anni da Mani pulite, c’è chi non si rassegna all’evidenza, cioè che la corruzione è continuata, la politica è finita. Una politica che prima si è frantumata, vittima dello strapotere della magistratura, per poi dissolversi nell’illusorio scontro

A trent’anni da Mani pulite, c’è chi non si rassegna all’evidenza, cioè che la corruzione è continuata, la politica è finita. Una politica che prima si è frantumata, vittima dello strapotere della magistratura, per poi dissolversi nell’illusorio scontro tra coalizioni. Questa degenerazione del sistema democratico è il tema principale dell’ultimo libro del presidente della Fondazione Einaudi Giuseppe Benedetto: L’eutanasia della democrazia, Rubbettino editore. Un testo che analizza i peccati originari della seconda Repubblica e delle derive dello strapotere giudiziario, capaci di inquinare il quadro politico nazionale. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Dopo l’approvazione della riforma Cartabia è possibile una ricostruzione del sistema giudiziario italiano in termini garantisti per i cittadini? E se si in che modo?


«Sarebbe possibile solo con una riforma costituzionale. Il limite della cosiddetta riforma Cartabia, che ha degli aspetti positivi, uno su tutti il fascicolo sulle performance dei magistrati, è che si applichi a costituzione invariata, non potendo inserire la separazione tra le carriere tra funzione requirente e giudicante. Per questo motivo la Fondazione Einaudi ha presentato un disegno di legge costituzionale al fine di trovare un accordo con tutte le forze politiche, non sul contenuto, ma sulle regole del gioco, attraverso una costituente capace di compiere una riforma organica a partire dalla giustizia, un cambiamento che a costituzione invariata non sarebbe possibile».

Secondo lei il paese è pronto per un dialogo serio sui temi della giustizia?


«Bisogna riflettere su alcuni dati. Prima di tutto i quesiti referendari sono stati tutti vinti dal si ed è troppo facile appellarsi al quorum, che purtroppo è un dato patologico della politica italiana recente, ma soprattutto ancora una volta il 75% degli italiani hanno confermato la volontà di riformare il csm, per porre fine a quella vergogna della spartizione correntizia delle cariche, e della separazione delle carriere. Ora tocca alle forze politiche organizzare la volontà popolare per fare entrare questi temi nei loro programmi».

Nel suo ultimo libro L’eutanasia della democrazia, ha mostrato come le conseguenze di Tangentopoli hanno cambiato il volto del nostro paese. Quali anomalie ha portato Mani pulite e che effetti collaterali ha subito il sistema democratico dopo esso?


«Le anomalie che richiamo riguardano la fuoriuscita dell’Italia dal sistema europeo sia dal punto di vista della giustizia, in senso stretto, sia dal punto di vista della politica nazionale, in senso più ampio. Un sistema giudiziario che, prevedendo la carriera unica del magistrato giudicante e quello requirente, da una parte, e l’obbligatorietà dell’azione penale e una serie di altri fattori, dall’altra, diviene un unicum sia a livello europeo sia rispetto ai paesi anglosassoni. Una irregolarità che è stato dovuta a quanto è successo negli anni 92-94 del secolo scorso, dove l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale e il rito accusatorio sono stati frenati dai fatti di quegli anni e che hanno portato ad una ulteriore conseguenza a livello politico che consiste nel bipolarismo tra coalizioni di centro destra e centro sinistra».

Una divisione utile alla vita del paese?


«Una divisione che ha fossilizzato il sistema politico nello scontro tra queste due coalizioni che tra l’altro per la loro instabilità e litigiosità non possono dirsi tali e capace di impedire la nascita di un terzo polo. Cioè una ulteriore anomalia a livello europeo, dove invece esiste a fianco di una destra, o di una sinistra una forza liberale che partecipa alla vita politica del paese».

Di fronte al fallimento delle grandi coalizioni e dei partiti di protesta, crede che oggi sia possibile la nascita di una opzione alternativa a destra e sinistra?


«Non solo è possibile, ma è auspicabile poiché necessario al nostro paese. Però occorre essere chiari, un eventuale terzo polo non deve essere sbilanciato e si deve porre in una posizione equidistante e centrale tra gli altri due. Esso non deve orientarsi da una parte o dall’altra prima delle elezioni, ma deve valutare le proprie alleanze dopo esse. Un esempio di cosa dovrebbe essere è l’FDP tedesco, un partito squisitamente liberale che ha cercato prima di portare avanti il suo programma col CDU e che poi ha invece deciso di realizzarlo con i socialisti del SPD. Poiché un polo liberaldemocratico deve vivere di vita autonoma. Qualsiasi opzione sbilanciata mi vedrà sempre contrario».

Come valuta, quindi, la proposta del segretario del pri Corrado De Rinaldis Saponaro di una costituente liberaldemocratica e repubblicana?


«La valuto in maniera assolutamente positiva, con le caratteristiche espresse prima».

Nella formazione di nuove forze e idee alternative per ricostruire il paese quanto possono essere utili gli insegnamenti di Luigi Einaudi?


«Luigi Einaudi ha una caratteristica impressionante, sia dagli articoli che nei testi, ovvero la sua perenne attualità, che deve essere non solo un esempio, ma il fondamento di questa esperienza liberaldemocratica».

L’intervista di Francesco Subiaco su La Voce Repubblicana

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Biden nel campo minato del conflitto israelo-palestinese


Oggi Biden sbarca in Israele, la sua sarà “una passeggiata sul filo del rasoio tenendo un palo di bilanciamento con promesse non mantenute agli israeliani e ai palestinesi alle due estremità”

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EU Rule of Law Report: Data Retention is a blind spot


Today, the European Union Commission will publish the annual Rule of Law Report. According to MEP and civil rights activist Patrick Breyer (Pirate Party, Greens/EFA Group in … https://ec.europa.eu/info/policies/justice-and-fundamental-rights/upholding-ru

Today, the European Union Commission will publish the annual Rule of Law Report. According to MEP and civil rights activist Patrick Breyer (Pirate Party, Greens/EFA Group in the EU Parliament), the European Union has a serious rule of law problem with disrespecting the rulings of the EU Court of Justice on the issue of bulk collection and retention of location and communications data of the entire population.

In May 2022, the EU’s highest court reaffirmed its fundamental ruling from October 2020, according to which the storage of citizens’ telephone and internet data without any reason is only permissible in limited exceptional cases. In general, the Court has made it illegal to retain citizen’s communications data by default. Patrick Breyer explains:

“We see a dangerous cycle in which governments use all sorts of tricks to keep illegal mass surveillance going. In doing so, they disrespect rulings of the highest courts. The rule of law in the EU and the fundamental rights of citizens suffer from the surveillance greed of governments and law enforcement agencies. The EU Commission is standing idly by. The persistent violation of fundamental rights, circumvention of case-law, pressuring of judges and ignorance of facts is an attack on the rule of law we need to stop. The EU Commission now finally needs to do its job and start enforcing the landmark rulings, instead of plotting to bring back data retention.”

EU Commission in charge

The EU Commission ignored a 2020 European Union Parliament resolution calling for infringement proceedings against member states that maintain illegal data retention regimes. Instead, the EU Commission has been working on new plans for data retention, and in 2021 it proposed to governments some possible ways of de facto re-establishing mass surveillance in a way that, on paper, appears to respect the Courts’ requirements.

The new generation of mass surveillance

Even only this year, two new data retention laws were passed which do not comply with the CJEU jurisprudence. Denmark and Belgium took up the EU Commission’s suggestions, and passed laws this year to maintain blanket data retention. Patrick Breyer explains:

“We see a dangerous cycle in which governments use all sorts of tricks to keep illegal mass surveillance going. In doing so, they disrespect rulings of the highest courts. The rule of law in the EU and the fundamental rights of citizens suffer from the surveillance greed of governments and law enforcement agencies. The EU Commission is standing idly by. The persistent violation of fundamental rights, circumvention of case-law, pressuring of judges and ignorance of facts is an attack on the rule of law we need to stop. The EU Commission now finally needs to do its job and start enforcing the landmark rulings, instead of plotting to bring back data retention.”

patrick-breyer.de/en/eu-rule-o…



The Queen Is Dead Volume 62 - As Paradise Falls / Process Of Guilt / Desert Twelve


Si inizia con gli australiani As Paradise Falls, notevole gruppo deathcore con un ottimo ep. a seguire la recensione del bellissimo quarto disco dei portoghesi Process Of Guilt. Dopo di loro il debutto dei piacentini Desert Twelve con Gabriele Finotti vecchia conoscenza dai tempi dei Misfatto.

iyezine.com/as-paradise-falls-…

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È stato pubblicato sul sito del MI l'Avviso pubblico per la selezione di 6 esperti da assegnare all’Ufficio di Gabinetto del Ministro dell’istruzione per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza finanziato dall’Unione europea – Next G…

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A giugno, l’inflazione in Eurozona ha fatto segnare l’8,6% su base annua. È un ennesimo record da quando esiste l’Unione economia monetaria, che infrange quello di maggio (+8,1%).


In Burkina Faso la “riconciliazione nazionale” rievoca i fantasmi del passato


Storico incontro a Ouagadougou con i cinque ex Presidenti in vita del Paese, compreso Compaoré, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Thomas Sankara e in esilio in Costa d’Avorio. Per Damiba anche il suo parere è importante, mentre i burkinabé insorg

di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri – Il Presidente Paul-Henri Sandaogo Damiba, al potere dal golpe militare del 24 gennaio scorso, lo ha voluto con forza, e così l’8 luglio scorso il palazzo presidenziale della capitale Ouagadougou ha ospitato un inedito incontro ai vertici. Per consultarsi sulla situazione di emergenza del Burkina Faso in termini di sicurezza e di povertà, per Damiba era necessario sentire il parere degli ex Presidenti del Paese tuttora in vita. Cinque leader molto distanti gli uni dagli altri, con un passato più o meno trasparente, una fedina penale più o meno integra, chiamati a discutere di persona sullo stato di una Nazione che in un modo o nell’altro li ha rigettati.

In un Paese in ginocchio a causa della crisi economica e soprattutto della violenza jihadista, che provoca quotidianamente attentati e stragi, per Damiba è essenziale un confronto a larghe intese. Secondo il Presidente, che guiderà il Burkina per un periodo di transizione di massimo tre anni, l’obiettivo di questo incontro è “la ricerca della coesione sociale di fronte alla situazione difficile che attraversa” il Paese.

A Ouagadougou sono quindi arrivati i Presidenti Michel Kafando, Yacouba Isaac Zida (in esilio in Canada dopo le accuse di appropriazione illecita di fondi pubblici) e Jean-Baptiste Ouédraogo. Marc Christian Kaboré, primo Presidente eletto democraticamente nel Paese nel 2015 e destituito con il colpo di stato del gennaio scorso dallo stesso Damiba, è stato costretto a partecipare al vertice con la forza. Un gesto che fa vacillare molto il significato della definizione di “riconciliazione nazionale” con la quale il golpista Damiba ha battezzato i tentativi, compreso questo incontro, volti a riappacificare un Burkina Faso alla deriva dopo decenni di golpe, guerra civile e terrorismo jihadista.

La presenza più discussa di tutte è, però, quella del quinto di questi ex Presidenti, di fatto il primo di loro cronologicamente: Blaise Compaoré. Al potere per ventisette anni fino al 2014, quando un colpo di stato destituì il suo governo e lo costrinse a rifugiarsi in Costa d’Avorio, sotto la protezione francese. Da otto anni, Compaoré non varcava il confine burkinabé. Non è rientrato nel Paese neanche nell’aprile scorso, per sedere al banco degli imputati nel processo per l’omicidio dell’ex Presidente del Burkina Faso, Thomas Sankara.

Il 6 aprile scorso il tribunale di Ouagadougou lo ha condannato all’ergastolo in contumacia per essere il responsabile dell’uccisione di Sankara e di 14 suoi collaboratori nel colpo di stato che lo portò poi al potere nel 1987. Una condanna pesantissima alla quale Compaoré si è sottratto grazie all’esilio ivoriano.

Il 7 luglio, invece, dimenticando ergastoli e anni di lontananza, Blaise Compaoré è tornato in Burkina Faso viaggiando a bordo di un Gulfstream G500, un business jett di proprietà della presidenza ivoriana, accanto alla moglie Chantal. Il giorno dopo ha raggiunto il palazzo di Kosyam per incontrare Damiba calpestando un tappeto rosso.

All’incontro della mattina seguente alla presenza di Compaoré, né Kafando, né Zida, né Kaboré hanno voluto partecipare. Si è trattato quindi di un vertice a tre, tra Ouédraogo, Compaoré e Damiba, che ha colto l’occasione per precisare alla stampa come la situazione attuale del Paese non consenta di “concedersi il lusso di perdere il tempo in polemiche”. E ha aggiunto: “Ai burkinabè che si sono espressi contro il nostro approccio, diciamo che questo processo non è fatto per consacrare l’impunità, ma per contribuire alla ricerca di soluzioni per un Burkina Faso di pace e coesione. Chiediamo loro di porre i migliori interessi della Nazione al di sopra di qualsiasi considerazione politica o di parte”.

L’arrivo di Compaoré nel Paese ha, infatti, scatenato vivaci proteste da parte di burkinabé. Sebbene una parte della popolazione abbia accolto la notizia del rientro dell’ex Presidente con entusiasmo, invocando i tempi della sua Presidenza dominati dalla sicurezza e dalla pace interna, le critiche non sono mancate. Secondo alcuni, dietro al tentativo di “riconciliazione nazionale” si nasconde il progetto di riabilitare il ruolo politico di Compaoré, addirittura di riesumare il suo regime. La consultazione presidenziale di un uomo condannato all’ergastolo per l’omicidio di Sankara è stata vista come l’offerta di un’amnistia per le sue responsabilità in quella morte.

All’uscita dalla riunione, Damiba, accanto a Compaoré e Ouédraogo, ha dichiarato che l’oggetto dell’incontro è stata principalmente “la ricerca di una pace duratura per il Paese”. I due ex presidenti, in tarda mattinata, hanno poi diramato un comunicato congiunto, in cui hanno sottolineato la drammaticità delle situazioni del Paese, dal quale due milioni di persone sono fuggite a causa del terrorismo jihadista e in cui “metà del territorio è fuori controllo”. Hanno quindi invocato il “superamento delle convinzioni politiche, generazionali, etniche, religiose e di altro tipo tradizionale”, essenziale per riuscire “a ricostruire insieme le fondamenta del Paese in un sussulto patriottico“,

Intervistato dall’agenzia di notizie Jeune Afrique, l’avvocato della famiglia dell’ex Presidente Thomas Sankara, Me Bénéwendé Stanislas Sankara, ha dichiarato: “Blaise Compaoré si è sottratto alla giustizia di quello che è ormai il suo vecchio Paese, dal momento che ha ottenuto la cittadinanza ivoriana. E dal momento che è rientrato in Burkina, egli deve, in conformità con le disposizioni legali, essere arrestato e portato davanti alla giustizia militare”.

Non solo non è stato arrestato, ma dopo l’incontro Compaoré è stato ospitato nella villa Khadafi, di proprietà dello Stato. Secondo alcune indiscrezioni, si sarebbe poi recato nel suo villaggio natale, Ziniaré, per trascorrere il fine settimana nella casa di famiglia, insieme alla sorella Antoinette. Secondo l’avvocato, questa impunità è legata al fatto che “la politica e l’esercito hanno preso il sopravvento sulla legalità. Per me è un abuso di potere e una negazione della giustizia”.

Quanto alle intenzioni dichiarate da Damiba di una “riconciliazione interna” del Paese per giustificare il vertice con Compaoré, Stanislas Sankara ha spiegato di non crederci affatto: “L’annuncio dell’arrivo di Blaise Compaoré ha diviso profondamente anche il Burkinabè e ha esacerbato le divisioni all’interno della popolazione. Non è certo il miglior alibi”.

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Draghi e le ‘nientità’


La pantomima dei quasi-ultimatum degli stellini. Le grida e le proteste sono propaganda...ma tutti o quasi fanno finta di crederci

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Tecnologia a scuola: né McDonald's alla mensa, né Google in aula


È iniziato oggi a Barcellona il primo congresso internazionale sull’educazione digitale democratica e l’open edtech: congress.democratic-digitalisa…

La conferenza ha le sue radici nella Proposal for a Democratic and Sovereign Digitalisation of Europe presentata dalla associazione catalana Xnet e pubblicata dall'Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione europea.

Questi gli obiettivi dell’incontro internazionale:
1 - Fornire strumenti di analisi alle scuole, agli insegnanti, alla comunità educativa, ai legislatori e al pubblico in generale per comprendere, in primo luogo, il contesto, la cultura digitale, i problemi e le opportunità che offre nel contesto educativo e, in secondo luogo, per proporre la progettazione di una didattica e di strategie educative digitali da una prospettiva innovativa, agile, umanistica e rispettosa dei diritti umani.

2 - Condividere il codice pubblico creato a Barcellona sulla base del Piano di Digitalizzazione Democratica per l'Educazione di Xnet per aggiungere talenti e generare opportunità e crescita: presentazione internazionale della suite DD a codice pubblico open source che prevede, fin dalla progettazione e per default, la protezione dei diritti digitali e della sovranità dei dati della comunità educativa. Attualmente è in fase di implementazione in 12 scuole della città.
Qui sotto il link al video della presentazione della Suite Educativa DD:
yewtu.be/watch?v=MJdXgW-XxWw


Come si vede, il secondo obiettivo prevede la presentazione della piattaforma didattica Suite Educativa DD, una reale alternativa al modello dominante di Google Classroom.

Il quotidiano di Barcellona El periodico, in un articolo intitolato Tecnologia a scuola: né McDonald's alla mensa, né Google in aula, presenta così l’iniziativa: “Xnet ha sviluppato un'alternativa all'offerta di Google: un software libero e verificabile: Suite Educativa DD. [...] Per chi non vede la portata del problema, Xnet usa un semplice paragone: come tutte le famiglie hanno chiaro che non vogliono McDonald's nella mensa scolastica, così Google è l'equivalente a livello tecnologico in classe. Quindi, dicono, non dovremmo nemmeno volere Google nelle aule. "Si tratta di porre fine al monopolio di Google in classe. Vivere senza Google a scuola", riassumono.

@maupao @informapirata :privacypride: @Scuola - Gruppo Fediverso @Alexis Kauffmann

in reply to nilocram

frequento barcellona e sono disgustato dai miasmi fognari che si aspirano in ogni via, ma godo al pensiero di tutti quei riccastri che hanno acquistato immobili premium e condividono con me, povirazzo da 700€ di affitto, il fetore!😂 💩

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A un anno dallo strappo del presidente Kais Saied la Tunisia è chiamata ad approvare una nuova Costituzione. Ma in molti temono che la nuova Carta possa allontanare il paese dalla democrazia.


Tanti volti nuovi8 miliardi di persone. Secondo le nuove proiezioni della Nazioni Unite, questa è la soglia che la popolazione mondiale supererà il prossimo 15 novembre.


Istituzione di un’Assemblea per la riforma della Parte II della Costituzione in deroga all’Art. 138 Cost.


Il 14 luglio 2022, alle ore 14.00, presso la Sala Caduti di Nassirya, del Senato della Repubblica, si terrà la conferenza stampa di presentazione del disegno di legge costituzionale della Fondazione Luigi Einaudi “Istituzione di un’Assemblea per la riform

Il 14 luglio 2022, alle ore 14.00, presso la Sala Caduti di Nassirya, del Senato della Repubblica, si terrà la conferenza stampa di presentazione del disegno di legge costituzionale della Fondazione Luigi Einaudi “Istituzione di un’Assemblea per la riforma della Parte II della Costituzione in deroga all’Art. 138 Cost.”

Interverranno:

Giuseppe Benedetto, Presidente della Fondazione Luigi Einaudi

Davide Giacalone, Vicepresidente della Fondazione Luigi Einaudi e Direttore de La Ragione

Carlo Nordio, Consigliere di Amministrazione della Fondazione Luigi Einaudi

Gippy Rubinetti, Consigliera di Amministrazione della Fondazione Luigi Einaudi

Per partecipare è necessario accreditarsi, inviando un’e-mail a: munari@fondazioneluigieinaudi.it

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Political instability continues in Central Asia. A series of protests that began on 1 July in Nukus, the capital of Karakalpakstan, an autonomous region of western Uzbekistan, has turned into tragedy.


Biden e l’accordo incendiario, pro-Israele e anti-Iran


Si cerca di estendere all'Arabia Saudita gli Accordi di Abramo per poi includerla in un accordo regionale di difesa anti-Iran, mentre l'Iran batte un colpo

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C’entro


Cantiere Il cantiere centrista è attivo, ricorrente e inconcludente. Non può che avere queste caratteristiche, perché i carpentieri hanno in mente realizzazioni diverse, sono incapaci di cooperare e va già alla grande se non s’industriano gli uni a demoli

Cantiere


Il cantiere centrista è attivo, ricorrente e inconcludente. Non può che avere queste caratteristiche, perché i carpentieri hanno in mente realizzazioni diverse, sono incapaci di cooperare e va già alla grande se non s’industriano gli uni a demolire quel che approntano gli altri.

L’errore ricorrente consiste nel credere che quel cantiere abbia lo scopo di “rappresentare” questa o quella cultura politica del passato, dimenticando che quel che ha bisogno d’essere testimoniato da rappresentanza è segno che è già morto. Difficile costruire un futuro con i morti.

Ciascuno accende lumini ai propri cari – che siano liberali, liberaldemocratici, socio-liberali, liberal-socialisti, popolari e così via – percorrendo i viali contornati d’alberi pizzuti. Ciascuno si duole non si riconosca la vitalità dei trapassati, non accorgendosi che nella rivendicazione stessa è contenuta una nota sepolcrale, senza neanche aspirazioni foscoliane.

Coltivare la memoria è cosa buona e giusta, possibilmente studiando il passato anziché inventarlo. Ma se si vuole costruire una forza politica occorre parlare la lingua del presente e sapere indicare una prospettiva futura. Che abbia radici nel passato è molto bello, ma se non sboccia nel presente tradisce le radici stesse.

Servono almeno quattro paletti, indicazioni di crescita, sicurezze politiche. Altrimenti si parla del nulla.

  • Il primo scopo, immediato, è impedire che si trascini oltre la commedia avviata nel 1994, già divenuta tragedia nel 2018. Sulla scena pretendono di sfidarsi due falsi: il presunto centrodestra e il presunto centrosinistra. La ragione d’essere di ciascuno è l’esistenza dell’altro, da battere. Ma non esistono né l’uno né l’altro. Questa falsa rappresentazione, questo inganno propagandistico ha ridotto non i “centristi” ma i pragmatici, i ragionevoli, i riformisti a restare ostaggio degli estremisti e dei populisti presenti in ciascuna delle due false coalizioni. Alle scorse politiche sono stati entrambi spazzati via dalla sbornia populista, che ha aperto la porta alla più oscena orgia trasformista mai vista. Una cosa alternativa, quindi, ha senso immediato se serve a fermare – impedendole di avere la maggioranza – questa oscenità.
  • Bisogna essere ci e chi per non avvedersi del fatto che gli equilibri internazionali hanno ricreato un discrimine. Nella stagione della globalizzazione, che ha enormemente aumentato la ricchezza e diminuitole disparità nel mondo, poteva anche capitare che il nemico di ieri influisse nelle faccende interne. È capitato con Brexit e con i sovranisti filorussi. Ma da quando il nemico di ieri ha deciso di tornare il nemico di oggi no, non può capitare. La collocazione atlantica riprende il suo ruolo di discrimine. Una forza che non voglia essere sommatoria di incompatibilità, come lo sono le due false coalizioni, è atlantica. O non è.
  • Questo non è un ritorno alla Guerra fredda di ieri, perché c’è una condizione nuova e decisiva: l’Europa che ieri era divisa oggi è unita. Anche nell’alleanza difensiva, la Nato, ieri era impossibile una forza armata europea: oggi è possibile. Ragione per cui la scelta europeista non è una scampagnata negli ideali (nobili) di Ventotene ma un indirizzo politico.
  • Quel che rende ricco un Paese è la libera intrapresa, la collaborazione di capitale e lavoro, con l’investimento pubblico indirizzato a correggere gli squilibri che ostacolano l’economia di mercato. L’uso della spesa pubblica per difendere le arretratezze e le rendite genera arretramento e debito. Il discrimine non è ideologico, fra privato e pubblico, ma d’indirizzo politico, fra investimenti e spesa corrente assistenzialista.

Per raccogliere consensi, senza partecipare alla fiera demagogica, occorre non solo essere chiari ma anche credibili. Il che richiede una buona dose di coerenza. Nessuno può essere buono per tutte le stagioni, tutti i partiti e tutte le coalizioni. Altrimenti siamo al centro con l’apostrofo: c’entro. Con il risultato che tutto il resto esce.

La Ragione

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Tik Tok rinvia la pubblicità basata sul legittimo interesse. Per il Garante privacy “una decisione responsabile”


Tik Tok rinvia la pubblicità basata sul legittimo interesse Per il Garante privacy “una decisione responsabile” A seguito dell’avvertimento del Garante Privacy, Tik Tok ha sospeso il passaggio al legittimo interesse come base giuridica per la pubblic...


gpdp.it:443/web/guest/home/doc…



Presentazione del Comitato di garanzia dei Liberali Democratici Repubblicani Europei


Il 7 luglio, alle ore 11.00, presso l’Associazione della Stampa Estera, in Via dell’Umiltà 83, a Roma, si è tenuta la Conferenza Stampa di presentazione del Comitato di garanzia dei Liberali Democratici Repubblicani Europei. Sono intervenuti: Carlo Calend

Il 7 luglio, alle ore 11.00, presso l’Associazione della Stampa Estera, in Via dell’Umiltà 83, a Roma, si è tenuta la Conferenza Stampa di presentazione del Comitato di garanzia dei Liberali Democratici Repubblicani Europei.

Sono intervenuti:

Carlo Calenda, Segretario di Azione

Benedetto della Vedova, Segretario di +Europa

Giuseppe Benedetto, Presidente della Fondazione Luigi Einaudi

Alessandro De Nicola,

L’evento è stato anche trasmesso in diretta streaming su tutti i canali social della Fondazione, di Azione e di +Europa.

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I dati Istat e l’Italia immobile


Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto; è quanto mi hanno dato al posto di un fucile (Philip Roth) Il tradizionale Rapporto annuale dell’Istat consegna immagini e fotogrammi di un Paese il cui sicuro lento declino costituisce il tratto connotativo del suo divenire. Già i Rapporti Svimez ci hanno raccontato di anni regressivi e [...]

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Biden in Arabia Saudita: realismo, ma non come Trump


Al centro di un dibattito politico statunitense sui meriti del pellegrinaggio del presidente Joe Biden, questa settimana in Medio Oriente c’è la questione del modo migliore per garantire la stabilità regionale e proteggere gli interessi degli Stati Uniti. Perso nel dibattito è se il costo per mantenere la stabilità sostenendo il governo autocratico sia inferiore [...]

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Ucraina: la fine dell’ordine mondiale USA è una buona notizia?


La guerra per procura condotta dagli Stati Uniti contro la Russia in Ucraina può essere vista come una continuazione della stessa parola chiave usata da Clinton nella guerra del Kosovo: ‘globalizzazione’. Rivolgendosi al popolo americano nel mezzo degli attacchi aerei statunitensi del 1999 in Kosovo, ha affermato che la questione dell’indipendenza del Kosovo riguardava la [...]

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Political instability continues in Central Asia. A series of protests that began on 1 July in Nukus, the capital of Karakalpakstan, an autonomous region of western Uzbekistan, has turned into tragedy.


Perché la Russia non è riuscita a raggiungere i suoi obiettivi in Ucraina


Non sorprende che molto sia stato scritto sull’illegalità e l’illegittimità degli obiettivi di guerra della Russia in Ucraina. Dopotutto, cercare di annettere parti dell’Ucraina o rovesciare il suo governo legittimo sono evidenti violazioni del diritto internazionale. Meno è stato scritto, tuttavia, sul motivo per cui la Russia non è riuscita così miseramente a raggiungere i [...]

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The war in Ukraine is further diverting US attention from the Middle East and North Africa (MENA) region, where Russia and China have expanded their footprint over the past decade.


I Supereroi anti-spreco


In Italia nel 2022 è stato registrato uno spreco alimentare pari a 30,95 Kg di cibo a persona, un dato disarmante e in netta crescita, che non può essere più ignorato. Ogni giorno tantissimi prodotti alimentari vengono sprecati perché lasciati scadere, deteriorare in frigo o conservati in maniera scorretta. Solo nell’ultimo anno in Italia è [...]

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Il Paese di Abbastanza: piccola (tragica) favola ucraina


L'Imperatore Scorbutico dell'Impero degli Undici Fusi, il Presidente Simpatico del Paese di Abbastanza, il Paese d’Oltremare e il suo Presidente … e poi la guerra, ma anche quella finisce e passa, annegata in un bicchiere di ...gas

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Con l’approvazione in terza lettura da parte della Camera dei deputati, diviene legge la riforma organica degli Istituti Tecnici Superiori.


EU lawmakers criticise Commission’s Plans to eliminate Net Neutrality


Today, 54 Members of the European Parliament called on the Commission to consult experts and the public before pursuing plans to end Net Neutrality in the upcoming … https://www.patrick-breyer.de/wp-content/uploads/2022/07/20220712_COM_Access-Fees-MEP-Le

Today, 54 Members of the European Parliament called on the Commission to consult experts and the public before pursuing plans to end Net Neutrality in the upcoming Connectivity Infrastructure Act. Among the signatories are Renew’s Sophie in ‘t Veld, Internal Market Committee chair Anna Cavazzini, S&D’s Tiemo Wölken, and the Pirate Party’s Patrick Breyer. In the letter the MEPs outline that adopting a model that allows for or mandates access feed would be a disastrous return to the old economic model for telephony, where telecommunications companies and countries leveraged their termination access monopolies to make communication expensive. “We call on you to pursue a better strategy for promoting connectivity in Europe” the MEPs write.

According to statements made by Commissioners Vestager and Breton, Internet access providers could be allowed to require payments from online platforms in the upcoming Connectivity Infrastructure Act. “This kind of access fee would radically abolish the longstanding internet principle of net neutrality, which requires internet service providers to provide access to all sites, content, and applications at the same speed, under the same conditions without blocking or giving preference to any content. By experience access fees risk to make Internet access expensive, slow down or even disrupt access to important Internet services. Pirates fought hard for net neutrality and we will not watch this Commission dismantle it”, explains Patrick Breyer MEP (Pirate Party), one of the letter’s initiators.

Immediately after the draft letter was circulated for signature within the European Parliament, telecoms started to lobby against it. “Net Neutrality is not at stake when looking at the relationship of ISPs and large content providers” claims Deutsche Telekom in a response to Breyer. According to media reports European Union governments support the Commission’s aim for platform services to “make a fair and proportionate contribution to the costs of public goods, services and infrastructures.”


patrick-breyer.de/en/eu-lawmak…

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L’Albania si offre alla Nato come avamposto nei Balcani


L'Albania si propone come avamposto nei Balcani Occidentali contro l'influenza di Russia e Cina. Il governo di Tirana offre alla Nato due basi navali e una base aerea L'articolo L’Albania si offre alla Nato come avamposto nei Balcani proviene da Pagine E

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 12 luglio 2022 – Nonostante il suo ingresso nella Nato risalga già al 2009, l’Albania è rimasta a lungo in una posizione defilata e periferica rispetto al processo di riorganizzazione dell’alleanza militare capitanata da Washington nel continente europeo. Negli ultimi mesi, però, il governo della piccola repubblica balcanica ha deciso di candidare il paese ad un ruolo assai più attivo e strategico nello schieramento atlantista, approfittando anche delle tensioni causate dalla crisi ucraina e dall’invasione russa. Il vertice della Nato svoltosi alla fine di giugno, in particolare, ha costituito l’occasione per una serie di incontri che hanno ulteriormente accelerato il processo di riconversione di alcune delle installazioni militari già esistenti nell’Adriatico meridionale.

Rama offre la base navale di Porto Romano

In occasione dello storico summit di Madrid dell’Alleanza Atlantica, il primo ministro di Tirana, Edi Rama, ha dichiarato che il suo paese è impegnato in una serie di colloqui con i collaboratori di Jens Stoltenberg allo scopo di realizzare una base navale nei pressi di Durazzo, per destinarla ad offrire supporto logistico e militare alle operazioni della Nato nel Mediterraneo.
L’area prescelta è quella di Porto Romano e la realizzazione dell’installazione dovrebbe essere cofinanziata dall’Albania e dal Patto Atlantico; secondo la proposta del premier socialista, la realizzazione della base militare nel porto marittimo sarebbe a carico della Nato mentre dell’area commerciale si occuperebbe Tirana. Grazie all’ampliamento di quest’ultima, il nuovo porto mercantile di Durazzo diventerebbe il più importante del paese.
«Un incontro speciale tra il team di esperti albanesi e della Nato si terrà presto per svelare il progetto dettagliato e proseguire con ulteriori colloqui e discussioni sul progetto» ha affermato Rama nel corso di una conferenza stampa. Intanto con un comunicato l’Alleanza ha informato che il 13 luglio il segretario generale della Nato riceverà a Bruxelles il premier albanese.

Lavori in corso alla base di Pashaliman

Già a maggio Rama ha offerto all’Alleanza Atlantica l’utilizzo della base navale di Pashaliman, che si trova 180 km a sud della capitale. L’installazione, che Tirana si è impegnata ad ampliare ed ammodernare, è stata costruita negli anni ’50 nel quadro della cooperazione militare con l’Unione Sovietica. Fino alla rottura tra Enver Hoxha e Mosca, nel 1960-61, Pashaliman ospitò 12 sottomarini sovietici, che in seguito si ridussero a quattro. Dopo l’implosione del regime socialista l’area venne in gran parte abbandonata e poi saccheggiata durante gli scontri del 1997, per poi essere ristrutturata dalla Turchia; da allora viene utilizzata come approdo logistico per alcune navi militari dell’Albania e di altri paesi che pattugliano lo Ionio e l’Atlantico. «In questi tempi difficili e pericolosi, credo che la Nato dovrebbe prendere in considerazione l’idea di avere una base navale in Albania» ha spiegato Rama.

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La base aerea di Kuçovë

In attesa di capire se Stoltenberg accetterà l’offerta di Tirana, la Nato ha comunque già avviato dall’inizio dell’anno i lavori per potenziare la base aerea di Kuçovë, 85 km a sud di Tirana, in modo che possa essere utilizzata dai caccia dell’Alleanza, che per ora ha deciso di investire nell’operazione circa 50 milioni di euro sulla base di un accordo che risale al 2018.

La base originaria – all’epoca la località era stata ribattezzata Qyteti Stalin (“Città di Stalin”) – venne realizzata tra il 1952 e il 1955, e fu utilizzata dal governo albanese per ospitare decine di caccia prima sovietici (MiG, Yakovlev e Antonov) e poi, dopo la rottura con Mosca, di fabbricazione cinese (Shenyang J-5 e J-6), alcuni dei quali sono stati impiegati fino al 2005. Poi negli anni ’90 l’area venne di fatto abbandonata e saccheggiata, finché tra il 2002 e il 2004 il campo d’aviazione di Kuçovë fu rinnovato e adeguato agli standard minimi della Nato.

Ora la vecchia base aerea nell’Albania centro-meridionale, che verrà estesa oltre i suoi 350 ettari attraverso un certo numero di espropri, diventerà una base operativa tattica della Nato – la prima dell’Alleanza nei Balcani occidentali – in grado di ospitare una squadriglia di caccia F-16. «La posizione del quartier generale avanzato in Albania fornirà una maggiore interoperabilità con i nostri alleati albanesi, un importante accesso agli hub di trasporto nei Balcani e una maggiore flessibilità logistica» recitava a gennaio un comunicato diffuso dal Comando per le operazioni speciali degli Stati Uniti in Europa (Soceur) basato a Stoccarda, in Germania.

Il 20 gennaio scorso a Kuçovë si è svolta la cerimonia di inaugurazione dei nuovi importanti lavori, alla presenza del primo ministro Rama, del Ministro della Difesa Niko Peleshi e dell’ambasciatrice degli Stati Uniti in Albania Yuri Kim. Come ha annunciato nel dicembre del 2021 Peleshi, la struttura è stata anche già scelta come quartier generale dell’Aviazione Militare albanese, al momento ridotta al lumicino e formata di fatto soltanto da alcuni elicotteri Cougar (in attesa di alcuni Blackhawk) ma da nessun caccia.

Il primo ministro socialista considera l’operazione una grande occasione per modernizzare e rafforzare le capacità operative delle forze armate albanesi e per accrescere il ruolo dell’Albania nell’Alleanza Atlantica e supportare la procedura di ingresso di Tirana nell’Unione Europea, approfittando di una fase segnata dall’aumento della conflittualità con Russia e Cina.

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Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il premier albanese Edi Rama

Un avamposto Nato contro Russia e CinaDi fatto Tirana si candida a costituire un avamposto della Nato in grado di contenere le influenze di Mosca e Pechino su alcuni paesi dell’area come la Serbia, supportando al tempo stesso il processo di cooptazione nell’Alleanza di nuovi paesi dell’area come la Bosnia-Erzegovina e il Kosovo, dopo l’ingresso della Macedonia del Nord. In alcune sue dichiarazioni il titolare della Difesa Peleshi è stato molto esplicito: «La costruzione di questa base è un chiaro messaggio inviato ad altri attori con cattive intenzioni nella regione dei Balcani occidentali. (…) La crescente presenza occidentale in tutta la nostra regione non consentirà la penetrazione e l’influenza di questi rivali, che hanno programmi e interessi diversi da quelli in cui crediamo e condividiamo».

Stando alle stesse dichiarazioni di alcuni generali della Nato, si evince che l’Albania viene considerata un avamposto strategico per l’addestramento e il dispiegamento rapido delle forze speciali di Washington, da utilizzare nel corso di un’eventuale crisi bellica in tutta l’area balcanica.
«Grazie al supporto che stiamo trovando da parte delle strutture di difesa statunitensi, stiamo prendendo coscienza che se investiamo in modo intelligente e affrontiamo il nostro percorso di rafforzamento e miglioramento della qualità delle nostre forze militari, possiamo essere un valore aggiunto per la NATO, anche per eventuali altri progetti. Del resto, stiamo assistendo alla concretizzazione di qualcosa che, inizialmente, sembrava irrealizzabile» ha spiegato Rama, per il quale i progetti da realizzare in ambito Nato dovrebbero costituire un volano per lo sviluppo di varie opportunità di carattere economico e commerciale.

Proprio nei giorni scorsi, tra l’altro, il premier Rama ha annunciato la scoperta nel paese di importanti riserve di gas e di petrolio – ancora da quantificare – ad opera della compagnia energetica anglo-olandese Shell.

1719714* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale.


LINK E APPROFONDIMENTI

apnews.com/article/nato-edi-ra…

france24.com/en/live-news/2022…

ilpiccolo.gelocal.it/trieste/c…

balkaninsight.com/2022/01/07/u…

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GIAPPONE. Dietro la pistola di Yamagami, un problema sociale


Nel paese del G7 con il più alto tasso di suicidi e con la morale tradizionale tra le più repressive dell'Oriente, il gesto di un folle come il killer di Abe non può stupire. L'articolo GIAPPONE. Dietro la pistola di Yamagami, un problema sociale provien

Due colpi per uccidere il più influente leader politico giapponese degli ultimi anni, a cui mancavano solo quattro giorni per diventare il più longevo. A spararli un 41enne, Tetsuya Yamagami, nella cui casa è stato trovato altro esplosivo, e che tempo fa era membro della Japan Self-Defense Forces, il corpo dell’elite militare dell’esercito nipponico. Ma forse non importa più di tanto chi li ha sparati – visto anche che il killer ha specificato che non ha agito per “motivazioni politiche – perché presto o tardi, il Giappone si sarebbe potuto trovare di fronte a una tragedia simile. Forse sarebbero cambiati i protagonisti, l’occasione, ma è noto che l’estremo conservatorismo di parte non indifferente della società giapponese abbia prodotto negli anni parecchi casi di assassini motivati da follia o depressione, che hanno mietuto non poche vittime. Colpa anche dello stigma nei confronti di chi si affida a psicologi e psicoterapisti, etichettato come “debole”. Così il Giappone, dal punto di vista delle armi da fuoco uno dei paesi più sicuri con quasi zero vittime di arma da fuoco , deve comunque fare i conti con eventi di questo tipo perché incapace di gestire una polveriera instabile e pronta a esplodere: quella di chi soffre di disturbi psicologici e psichiatrici.

Certo va dato atto che proprio leggi repressive come quelle giapponesi hanno fatto del Sol Levante un paese sicuro in termini di sparatorie. Sicuramente molto più del loro alleato, gli Stati Uniti, che soltanto il 4 di Luglio, festa nazionale, hanno registrato almeno 220 vittime, tra cui le 7 vittime del killer di Highland Park. Ma negli Stati Uniti, paradossalmente, è più semplice comprare un fucile d’assalto che una bottiglia di liquore. In Giappone il percorso per poter possedere un’arma da fuoco è fatto di 13 step che includono visite medico psicologiche, interrogatori della polizia, iscrizioni a gruppi controllati e qualificati di cacciatori o amatori e corsi obbligatori di gestione e manutenzione delle armi. Inoltre la possibilità di aprire negozi dedicati è estremamente limitata – circa 3 ogni prefettura – e vige l’obbligo di restituire arma e licenza dopo la morte del possessore, vale a dire una pistola non può essere ereditata e trasmessa all’interno di una famiglia. Dei soli 20 arresti in Giappone nel 2020 per possesso illegale di armi, 12 erano legate al fenomeno delle gang.. Grazie alle norme introdotte da questa legge del 1956, per quanto in seguito resa meno stringente, il Giappone mantiene il rischio di sparatorie a punti 0.02, mentre negli Stati Uniti l’indice è decisamente più alto. Gli Usa guidano infatti la classifica dei paesi industrializzati per numero di decessi dovuti ad omicidio, staccando gli altri con 4.12. Per capirsi in l’Italia, che pure si trova al quinto posto, l’indice di rischio è 0.35.

Questo controllo serrato funziona molto bene per gestire il traffico e l’uso di armi, e l’omicidio di Abe è più una conferma che un’eccezione. L’intervento della sicurezza dopo i due colpi ha evitato altre vittime, Yamagami non ha potuto utilizzare un’arma regolare, ma ha invece costruito in casa la pistola con cui ha sparato. Il capo della polizia di prefettura Tomoaki Onizuka ha detto di “sentire un grave responsabilità” per l’accaduto, ammettendo falle nel piano di sicurezza. Ma era lo stesso Abe a preferire misure meno stringenti, per incoraggiare i “bagni di folla” che portano elettori alle urne. Anche oggi, dopo la morte di Abe anzi forse proprio anche grazie ad essa, milioni di giapponesi si sono presentati ai seggi per eleggere i 125 rappresentanti delle Camera bassa del parlamento giapponese. E hanno così regalato a Kishida, delfino di Abe, 75 seggi che gli permettono di blindare la maggioranza che gli serve per governare serenamente. Il partito dell’ex premier assassinato e il Nippon Ishin no Kai (Partito Giapponese per il rinnovamento) sono le due falangi politiche dell’ala destra che grazie alla promessa di emendare la costituzione pacifista – un programma molto sostenuto da Abe – stanno ora guadagnando punti secondi i primi exit poll. Sicuramente, la tragica fine di uno dei simboli del Sol Levante degli ultimi anni ha incentivato questo risultato.

Del vero killer in realtà non si parla molto. E non si intende Yamagami, di cui man mano vengono fuori maggiori dettagli: disoccupato dopo un periodo in azienda a seguito del servizio militare, la madre forse seguace di una setta religiosa (alcune fonti citano la Chiesa del reverendo Moon) a cui avrebbe fatto una troppo generosa donazione, dilapidando i propri risparmi e innescando la molla omicida di Yamagami. Il vero killer è probabilmente una deriva psicologica che accomuna Yamagami ad altri soggetti in Giappone. Le descrizioni dei colleghi di lavoro parlano di un uomo laconico, che non interagiva se non per motivi strettamente legati al lavoro e passava la pausa pranzo mangiando in macchina. Un parente invece parla di come la famiglia di Yamagami si sia sfasciata in seguito alle donazioni della madre. Se l’associazione fosse confermata, il rapporto con Abe nato nell’immaginazione di Yamagami potrebbe essere plausibile. Il reverendo Moon è stato il fondatore, nel 1954, della Chiesa dell’Unificazione, una setta basata su un’interpretazione peculiare della Bibbia e che proprio a Nara, dove si è svolto l’ultimo atto della vita di Abe, ha una propria sede. Il nonno di Abe, criminale di guerra di classe A per crimini perpetrati contro prigionieri di guerra (anche coreani vista l’occupazione del territorio coreano durante la seconda guerra mondiale) ma soprattutto primo ministro dal 1957, aveva preso contatti con la setta per avere un “cuneo” strategico in corea del Sud. Nella mente confusa di Yamagami, la figura del nonno dell’ex primo ministro nipponico e di Abe stesso potrebbero essersi sovrapposte, facendo di Abe il responsabile dello sfascio della famiglia dell’attentatore. Anche la particolare dottrina della setta, secondo la quale le disgrazie dell’individuo sono causate da colpe pregresse degli antenati, potrebbe aver spinto il già non equilibrato Yamagami a cercare vendetta.

Il problema è che di persone come Yamagami, in Giappone, non si sa quale sia l’esatto numero. Dal 2021 la salute mentale e la prevenzione dei suicidi sono diventati un tema di attualità, anche a seguito del propagarsi di disturbi depressivi e dissociativi associabili ai diversi lockdown. Inoltre ha un nome giapponese, hikikomori, la sindrome sempre più diffusa di ritiro sociale e autoisolamento, diffusa propria nel Sol Levante e stimata in mezzo milione circa di pazienti, prevalentemente uomini tra i 15 e i 39 anni. Ma i dati potrebbero essere sottostimati, perché possono passare anni prima della presa di coscienza e della richiesta di aiuto dei soggetti. La morale tradizionale ultraconservatrice, fondata sui cardini di onore e reputazione e addizionata al senso di fallimento che la crisi economica e i conseguenti licenziamenti hanno generato, ha portato a un aumento dei suicidi, con una “discriminazione di genere”: se infatti i suicidi tra gli uomini sono leggermente diminuiti, nel 2021 (ultimo dato pubblicato) quelli delle donne, cioè quelle tra di cittadini più propense ad essere licenziate o a lasciare il lavoro per occuparsi di attività di cura della famiglia, sono aumentati per il secondo anno di seguito. Nel Sol Levante secondo solo agli Stati Uniti tra i paesi del G7 quanto a tasso di suicidi, non è la prima volta che la follia di un singolo porta a tragedie collettive. E il caso di Abe non è nemmeno l’evento più tragico degli ultimi anni, considerando il numero di vittime. Solo nel 2019 un incendio doloso aveva ucciso 36 persone alla Kyoto Animation, innescato da un 41enne già noto per disturbi psichici e per un tentativo di rapina con arma bianca.

Quali che siano i progetti del governo giapponese, la salute mentale e la gestione dei rischi ad essa connessi dovrebbe essere al primo posto nella sua agenda. Soprattutto dopo il tragico epilogo della vita del suo ex premier Shinzo Abe.

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INTERVISTA. Tony Abu Akleh: «Gli Usa hanno tradito Shireen. Vogliamo dirlo a Biden»


Parla il fratello della giornalista Shireen uccisa due mesi fa a Jenin, conferrma l'intenzione della famiglia di incontrare il presidente americano dopo che gli esperti statunitensi hanno di fatto assolto Israele dalle sue responsabilità L'articolo INTER

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 11 luglio 2022 – Si chiama Anton ma per tutti è Tony. E da due mesi è il portavoce della sua famiglia, Abu Akleh, che non si rassegna e chiede giustizia per sua sorella Shireen, nota giornalista palestinese, con passaporto statunitense, uccisa sul colpo due mesi fa, l’11 maggio, da un proiettile mentre per la sua emittente, Al Jazeera, seguiva un’incursione di reparti speciali dell’esercito israeliano a Jenin. Tony rispondendo alle nostre domande non nasconde il suo stato d’animo, un misto di frustrazione e delusione. «Le inchieste svolte dalla Cnn e altri giornali americani – ci dice – come dall’Autorità nazionale palestinese e dall’Onu non lasciano dubbi: dicono tutte che Shireen è stata uccisa da spari giunti dagli israeliani. E a nostro avviso sono stati intenzionali. Ci aspettavamo perciò che gli Stati uniti, di cui siamo cittadini, affermassero in maniera netta e chiara che mia sorella, una civile innocente, una giornalista, è stata colpita da spari israeliani mentre svolgeva il suo lavoro di informazione e che la sua morte è un crimine non può restare impunito. E invece…».

Tony non ha peli sulla lingua: «quella che hanno svolto una settimana fa gli esperti americani – spiega – sul proiettile che ha ucciso Shireen non è stata una perizia ma un’operazione politica. Non hanno riferito i risultati di una indagine tecnica, come ci aspettavamo. Piuttosto hanno emesso un comunicato politico per salvaguardare Israele e gli interessi americani. Ma noi non ci rassegneremo». Tony ci ripete che gli Abu Akleh faranno il possibile per ottenere un’indagine internazionale. E che sono intenzionati ad incontrare Joe Biden quando la prossima settimana sarà in Israele e nei Territori palestinesi occupati. «L’ambasciata Usa tace, non abbiamo più avuto contatti dal giorno precedente a quello della cosiddetta perizia» prosegue «per gli Stati uniti la faccenda è chiusa, per noi no! Shireen avrà giustizia».

Gli Abu Akleh hanno indirizzato una lettera all’Amministrazione Biden in cui definiscono l’uccisione di Shireen non un incidente causato da un proiettile vagante, come sostengono Israele e gli Stati uniti, bensì un «omicidio extragiudiziale» eseguito da soldati israeliani. Rivolgendosi al presidente americano, aggiungono che «la sua Amministrazione ha completamente fallito nel soddisfare le aspettative minime di una famiglia in lutto…gli Stati uniti si sono mossi per la cancellazione di qualsiasi illecito da parte delle forze israeliane» e non hanno condotto proprie indagini ma si sono limitati a «riassumere e adottare l’indagine delle autorità israeliane». «La sua Amministrazione – concludono – ha ritenuto necessario perpetuare la conclusione infondata e dannosa che l’omicidio non sia stato intenzionale, scegliendo apparentemente l’opportunità politica rispetto alla responsabilità effettiva per l’uccisione di un cittadino statunitense da parte di un governo straniero». Alla fine della lettera chiedono a Biden di incontrarli.

Non si può escludere del tutto che questo incontro possa avvenire. Forse non sarà più di una stretta di mano e qualche frase di cordoglio da parte del presidente Usa. Ma la possibilità è remota. Biden arriverà mercoledì in Israele non per accusarlo dell’omicidio di una giornalista ma per rassicurarlo della protezione militare americana e dell’alleanza con Washington. Non solo. Potrebbe avere in tasca un’intesa preliminare per la normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e l’Arabia saudita. E dovrebbe dare la sua benedizione al programma di difesa aerea integrata tra Israele e i suoi alleati arabi contro l’Iran. Proprio con Teheran al centro dei suoi pensieri, Biden visiterà alcuni apparati di sicurezza israeliani presso la base aerea di Palmachim, una batteria missilistica Iron Dome, il sistema di difesa laser Iron Beam.

Venerdì incontrerà a Betlemme il presidente dell’Anp Abu Mazen al quale non garantirà alcun appoggio politico ma solo un pacchetto di misure economiche e qualche gesto simbolico. Biden quindi andrà all’aeroporto Ben Gurion da dove partirà per l’Arabia saudita dove parteciperà al vertice del GCC+3 a Gedda con i leader del Consiglio di cooperazione del Golfo: Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati insieme a Iraq, Egitto e Giordania. Pagine Esteri

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YEMEN. Le mine antiuomo fanno strage di civili e bambini


C'è la tregua ma gli incidenti causati dalle mine antiuomo e dagli ordigni inesplosi continuano, con una media stimata di uno al giorno che ucciso 49 civili tra cui almeno otto bambini L'articolo YEMEN. Le mine antiuomo fanno strage di civili e bambini p

della redazione con informazioni di Save the Children

Pagine Esteri, 8 luglio 2022 – Le mine antiuomo e gli ordigni inesplosi sono stati i più grandi assassini di bambini nello Yemen da quando è stata annunciata una tregua ad aprile. Lo denuncia Save the Children. L’aumento delle morti a causa di queste armi si considera sia dovuto al trasferimento delle famiglie in aree precedentemente inaccessibili a seguito della diminuzione delle ostilità. Una nuova analisi dell’Organizzazione mostra che le mine antiuomo e le munizioni inesplose sono state responsabili di oltre il 75% di tutte le vittime di guerra tra i bambini, uccidendone e ferendone più di 42 tra aprile e la fine di giugno.

Da quando è iniziata la tregua dopo sette anni di conflitto, il numero di vittime legate al conflitto armato è diminuito in modo significativo, con 103 civili uccisi in conflitto negli ultimi tre mesi, mentre nei tre mesi precedenti la tregua sono stati uccisi 352 civili. Tuttavia, gli incidenti relativi alle mine antiuomo e agli ordigni inesplosi sono continuati a un livello simile, con una media stimata di un incidente al giorno, che ha provocato la morte di 49 civili tra cui almeno otto bambini. Nei tre mesi precedenti la tregua, 56 civili sono stati uccisi da mine e ordigni inesplosi.

I resti esplosivi della guerra rimangono una minaccia ereditata dai combattimenti, rappresentando un pericolo duraturo per i civili in tutto il Paese anche dopo la cessazione delle ostilità. I bambini, in particolare, hanno una maggiore vulnerabilità agli ordigni inesplosi e alle mine antiuomo a causa della percezione del basso rischio e dell’elevata curiosità. Inoltre, il senso di relativa sicurezza ha portato a una maggiore mobilità tra i civili, in particolare tra gli sfollati, che potrebbero sentirsi sicuri di tornare nelle aree in cui le ostilità si sono attenuate.

“Anche se i combattimenti sono stati meno frequenti negli ultimi mesi, i residuati bellici esplosivi continuano a mietere vittime quotidianamente. Le mine antiuomo e le munizioni inesplose rappresentano una grave minaccia per tutti nello Yemen, in particolare per i bambini, che sono curiosi per natura, vogliono esplorare il loro mondo e conoscerlo. E quando vedono qualcosa di brillante o interessante, non possono trattenersi dal toccarlo. Ecco perché così tanti bambini sono stati uccisi o feriti in incidenti di ordigni inesplosi. Raccolgono l’oggetto sconosciuto pensando che sia un giocattolo, solo per scoprire che si tratta di una bomba a grappolo inesplosa. Cresce ancora di più nella stagione delle piogge, quando la terra si bagna e le mine sepolte nelle secche possono andare alla deriva in aree precedentemente ritenute sicure. Nelle ultime due settimane, abbiamo visto molte segnalazioni di adulti e bambini uccisi o mutilati mentre svolgevano le faccende quotidiane, come andare a prendere l’acqua, lavorare nelle loro fattorie o prendersi cura del loro bestiame. Non c’è un posto sicuro per i bambini nello Yemen, nemmeno quando il pericolo dei combattimenti è diminuito. I bambini in Yemen hanno sopportato per troppo tempo violenze sbalorditive e immense sofferenze e, a meno che le parti in guerra e la comunità dei donatori non diano la priorità alla protezione dei bambini, la triste eredità del conflitto li perseguiterà per gli anni a venire”, dichiara Rama Hansraj, direttore di Save the Children in Yemen.

Save the Children chiede alle parti in guerra un impegno urgente e pieno per la bonifica delle mine e degli ordigni inesplosi e invita ad adottare misure pratiche e immediate per ridurre l’impatto crescente di questi esplosivi. L’Organizzazione chiede inoltre alla comunità dei donatori di sostenere l’ampliamento e la fornitura delle attrezzature tecniche necessarie per la marcatura e lo sgombero degli ordigni e delle mine inesplose, in modo che i bambini e le loro comunità siano consapevoli del rischio e siano maggiormente in grado di mitigarlo in sicurezza. Pagine Esteri

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Onu: in sei mesi 60 palestinesi uccisi in Cisgiordania e Gerusalemme Est, +46% rispetto al 2021


L'ultimo in ordine di tempo è Rafiq Ghannam, colpito durante un blitz dell'esercito israeliano nella cittadina di Jabaa a sud di Jenin. 18 gli israeliani rimasti uccisi in attentati quest'anno. In Cisgiordania nel 2021 sono stati uccisi 78 palestinesi e 2

della redazione –

Pagine Esteri, 7 luglio 2022 – Erano in centinaia ieri ai funerali di Rafiq Ghannam, il palestinese di 20 anni ucciso durante un blitz dell’esercito israeliano nella cittadina di Jabaa a sud di Jenin, in Cisgiordania. Testimoni hanno raccontato che Ghannam è stato colpito davanti casa mentre erano in corso scontri tra soldati e giovani manifestanti. Per il portavoce militare israeliano, Ghannam era un ricercato e sarebbe stato abbattuto dal fuoco dei soldati perché avrebbe cercato di sottrarsi all’arresto. I media palestinesi ieri riferivano anche di decine di arresti effettuati dalle forze di occupazione nel corso della notte nei villaggi palestinesi nel nord della Cisgiordania e intorno a Ramallah.

Quella di ieri è la seconda uccisione di un abitante di Jabaa in due giorni. Prima di Ghannam era stato colpito a morte Kamel Alawneh. Domenica scorsa l’Onu ha riferito che da gennaio a giugno, 2022 esercito e polizia di Israele hanno ucciso oltre 60 palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme est, il 46% in più rispetto alla prima metà dello scorso anno. Nel 2021 sono stati uccisi 78 palestinesi e 24 del 2020. Questi numeri includono anche alcuni palestinesi armati rimasti uccisi in scontri con l’esercito o dopo aver compiuto attacchi. Tra questi i responsabili degli attentati compiuti in Israele tra marzo e maggio che hanno causato 18 morti.

Intanto l’agenzia di stampa statunitense Associated Press ha inaugurato la sua nuova sede a Gaza, un anno dopo la distruzione dei suoi uffici in un attacco della aviazione israeliana. Secondo Israele nell’edificio, sede anche di altri mezzi d’informazione come Al Jazeera, operavano uomini del movimento islamico Hamas. Ma non ha mai fornito le prove della sua tesi contestata dai giornalisti della Ap e di altri media.

A Gaza, come nel resto dei Territori palestinesi occupati, hanno destato curiosità e una certa sorpresa le immagini provenienti dall’Algeria – in festa per il 60esimo anniversario della sua storica indipendenza dal colonialismo francese – della stretta di mano tra il presidente dell’Anp Abu Mazen e del leader del movimento islamico Hamas, Ismail Haniyeh. I due non si incontravano da anni. Tuttavia, il gesto distensivo tra i due leader rivali, di fatto nemici, è avvenuto solo per l’insistenza della presidenza algerina e non pare destinato a favorire il riavvicinamento le due parti. Hamas e il partito Fatah, spina dorsale dell’Anp, sono ai ferri corti da anni e nulla lascia immaginare l’avvio di un negoziato per la riconciliazione. Tutti i tentativi in quella direzione fatti negli anni passati sono falliti finendo per allargare la distanza tra le due parti.

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ILARIA ALPI. Assassinato il capro espiatorio Hashi Omar Hassan


Ad ucciderlo a Mogadiscio è stata una autobomba. Fu risarcito dallo Stato Italiano per aver scontato una pena ingiusta con 3milioni e 181mila euro. Ma dal primo giorno della sua assoluzione, sapeva che tornare in Somalia gli sarebbe potuto costare la vita

di Alessandra Mincone

Pagine Esteri, 7 luglio 2022 – Un’autobomba è esplosa a Modagiscio uccidendo Hashi Omar Hassan, il quarantunenne somalo che nel ‘98 fu incriminato per le morti della giornalista Ilaria Alpi e del suo collega Miran Hrovatin a Bosaso. Il testimone chiave dell’accusa, Ahmed Ali Rage, solo nel 2015 confessò di aver fatto il suo nome in cambio di denaro, quando Hassan aveva già trascorso nel carcere di Padova più di 16 anni. Fu risarcito dallo Stato Italiano per aver scontato una pena ingiusta con 3milioni e 181mila euro. Ma dal primo giorno della sua assoluzione, sapeva che tornare in Somalia gli sarebbe potuto costare la vita.

Da quanto riporta il sito somalo Garowe, nessuna milizia ha rivendicato il gesto, ma non è da escludere che l’attacco sia stato organizzato dal movimento islamico “Al-Shabaab”, storica cellula somala di Al-Qaida. Uno dei due legali di Hashi Omar, Antonio Moriconi, ha dichiarato alla stampa italiana che a parer suo, dietro l’attentato ci sarebbero stati dei tentativi di estorsione da parte di gruppi terroristici, venuti a conoscenza dell’enorme cifra di risarcimento ottenuta da poco, e che Hassan voleva investire nel settore dell’import-export. Lo avrebbe fatto “per migliorare la stabilità politica della Somalia”, all’interno del suo clan, l’abgal, attualmente vicino al governo, e che all’epoca dei viaggi di Ilaria Alpi a Mogadiscio veniva organizzato dall’ex- Presidente del Governo di transizione somala, Ali Mahdi.

Ali Madhi Mohammed e il suo oppositore, Mohammed Farah Aidid, furono entrambi sospettati di aver cospirato per l’uccisione della giornalista e del cineoperatore. Al centro delle ricerche investigative di Ilaria e Miran, quelle a cui si riconducono i motivi delle loro assassinio, c’erano i rapporti tra servizi segreti e istituzioni italiane con l’ex dittatore Mohammed Siad Barre; le successive operazioni di cooperazione dell’ONU allo scoppio della guerra civile; e conseguentemente, il traffico di rifiuti radioattivi che i signori della guerra accettavano di smaltire in cambio di armi clandestine, soprattutto a fronte dell’embargo sulle armi del gennaio ’92. Mentre il governo di transizione poteva rafforzare la propria autorità dal contrabbando di armi, i gruppi islamisti si accaparravano una percentuale del traffico illegale perseguendo una guerra civile che divise in due aree Mogadiscio.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nel 2003, in un report in merito alle violazioni dell’embargo sulle armi in Somalia, osservava che il traffico di cannoni anticarro, mitragliatrici pesanti, fucili d’assalto, pistole, bombe e munizioni che arrivava al Porto di Bosaso era in crescente aumento già dagli anni settanta. L’ex Unione Sovietica, dal ‘73 al ’77, esportò ben 260milioni di dollari in armi; l’Italia, dal ‘78 al 1982 ne esportò da sola 380milioni. Dagli anni ’80, anche Stati Uniti d’America e China favorivano la dittatura somala con ingenti regali bellici. Dal gennaio 1992, l’embargo è sempre stato raggirato dai somali con la complicità e gli interessi anche di Egitto, Etiopia, Eritrea, Sudan, Djibouti e Yemen.

Pochi giorni prima di morire, Ilaria aveva conosciuto il Sultano di Bosaso, Abdullahi Moussa Bogor. È ancora possibile ritrovare online l’intervista con cui chiedeva, con destrezza, cosa ne era stato della nave cargo della Shifco – l’azienda peschiera italiana, con a bordo soldati italiani e croati, sequestrata al Porto di Bosaso, uno snodo cruciale per i traffici somali. La gran parte delle riprese di Miran di quella intervista sarebbero andate disperse, non senza manovre rocambolesche che sin da subito hanno fatto presagire il depistaggio delle indagini, per culminare in una epopea giudiziaria che ancora non ha un finale.

Ad oggi, anche le violazioni dell’embargo sulle armi non trovano un epilogo. È del 5 luglio la notizia dell’emittente televisivo somalo “Al-Arabya”, dove si denunciava il sequestro di due barche yemenite che trasportavano armi al gruppo terroristico “Al-Shabaab”. Le barche sarebbero risultate di proprietà di un contrabbandiere somalo, Ahmed Matan, che già in passato avrebbe fornito materiale esplosivo allo stesso gruppo terroristico probabilmente direzionandole al Golfo di Aden.

La tragica storia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sembrava non poter più interferire con quella di Hashi Omar Hassan, e invece nella morte raccontano entrambe la stessa disgrazia, quella del traffico di armi a Mogadiscio. Pagine Esteri

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GIAPPONE. Dietro la pistola di Yamagami, un problema sociale


Nel paese del G7 con il più alto tasso di suicidi e con la morale tradizionale tra le più repressive dell'Oriente, il gesto di un folle come il killer di Abe non può stupire. L'articolo GIAPPONE. Dietro la pistola di Yamagami, un problema sociale provien

Due colpi per uccidere il più influente leader politico giapponese degli ultimi anni, a cui mancavano solo quattro giorni per diventare il più longevo. A spararli un 41enne, Tetsuya Yamagami, nella cui casa è stato trovato altro esplosivo, e che tempo fa era membro della Japan Self-Defense Forces, il corpo dell’elite militare dell’esercito nipponico. Ma forse non importa più di tanto chi li ha sparati – visto anche che il killer ha specificato che non ha agito per “motivazioni politiche – perché presto o tardi, il Giappone si sarebbe potuto trovare di fronte a una tragedia simile. Forse sarebbero cambiati i protagonisti, l’occasione, ma è noto che l’estremo conservatorismo di parte non indifferente della società giapponese abbia prodotto negli anni parecchi casi di assassini motivati da follia o depressione, che hanno mietuto non poche vittime. Colpa anche dello stigma nei confronti di chi si affida a psicologi e psicoterapisti, etichettato come “debole”. Così il Giappone, dal punto di vista delle armi da fuoco uno dei paesi più sicuri con quasi zero vittime di arma da fuoco , deve comunque fare i conti con eventi di questo tipo perché incapace di gestire una polveriera instabile e pronta a esplodere: quella di chi soffre di disturbi psicologici e psichiatrici.

Certo va dato atto che proprio leggi repressive come quelle giapponesi hanno fatto del Sol Levante un paese sicuro in termini di sparatorie. Sicuramente molto più del loro alleato, gli Stati Uniti, che soltanto il 4 di Luglio, festa nazionale, hanno registrato almeno 220 vittime, tra cui le 7 vittime del killer di Highland Park. Ma negli Stati Uniti, paradossalmente, è più semplice comprare un fucile d’assalto che una bottiglia di liquore. In Giappone il percorso per poter possedere un’arma da fuoco è fatto di 13 step che includono visite medico psicologiche, interrogatori della polizia, iscrizioni a gruppi controllati e qualificati di cacciatori o amatori e corsi obbligatori di gestione e manutenzione delle armi. Inoltre la possibilità di aprire negozi dedicati è estremamente limitata – circa 3 ogni prefettura – e vige l’obbligo di restituire arma e licenza dopo la morte del possessore, vale a dire una pistola non può essere ereditata e trasmessa all’interno di una famiglia. Dei soli 20 arresti in Giappone nel 2020 per possesso illegale di armi, 12 erano legate al fenomeno delle gang.. Grazie alle norme introdotte da questa legge del 1956, per quanto in seguito resa meno stringente, il Giappone mantiene il rischio di sparatorie a punti 0.02, mentre negli Stati Uniti l’indice è decisamente più alto. Gli Usa guidano infatti la classifica dei paesi industrializzati per numero di decessi dovuti ad omicidio, staccando gli altri con 4.12. Per capirsi in l’Italia, che pure si trova al quinto posto, l’indice di rischio è 0.35.

Questo controllo serrato funziona molto bene per gestire il traffico e l’uso di armi, e l’omicidio di Abe è più una conferma che un’eccezione. L’intervento della sicurezza dopo i due colpi ha evitato altre vittime, Yamagami non ha potuto utilizzare un’arma regolare, ma ha invece costruito in casa la pistola con cui ha sparato. Il capo della polizia di prefettura Tomoaki Onizuka ha detto di “sentire un grave responsabilità” per l’accaduto, ammettendo falle nel piano di sicurezza. Ma era lo stesso Abe a preferire misure meno stringenti, per incoraggiare i “bagni di folla” che portano elettori alle urne. Anche oggi, dopo la morte di Abe anzi forse proprio anche grazie ad essa, milioni di giapponesi si sono presentati ai seggi per eleggere i 125 rappresentanti delle Camera bassa del parlamento giapponese. E hanno così regalato a Kishida, delfino di Abe, 75 seggi che gli permettono di blindare la maggioranza che gli serve per governare serenamente. Il partito dell’ex premier assassinato e il Nippon Ishin no Kai (Partito Giapponese per il rinnovamento) sono le due falangi politiche dell’ala destra che grazie alla promessa di emendare la costituzione pacifista – un programma molto sostenuto da Abe – stanno ora guadagnando punti secondi i primi exit poll. Sicuramente, la tragica fine di uno dei simboli del Sol Levante degli ultimi anni ha incentivato questo risultato.

Del vero killer in realtà non si parla molto. E non si intende Yamagami, di cui man mano vengono fuori maggiori dettagli: disoccupato dopo un periodo in azienda a seguito del servizio militare, la madre forse seguace di una setta religiosa (alcune fonti citano la Chiesa del reverendo Moon) a cui avrebbe fatto una troppo generosa donazione, dilapidando i propri risparmi e innescando la molla omicida di Yamagami. Il vero killer è probabilmente una deriva psicologica che accomuna Yamagami ad altri soggetti in Giappone. Le descrizioni dei colleghi di lavoro parlano di un uomo laconico, che non interagiva se non per motivi strettamente legati al lavoro e passava la pausa pranzo mangiando in macchina. Un parente invece parla di come la famiglia di Yamagami si sia sfasciata in seguito alle donazioni della madre. Se l’associazione fosse confermata, il rapporto con Abe nato nell’immaginazione di Yamagami potrebbe essere plausibile. Il reverendo Moon è stato il fondatore, nel 1954, della Chiesa dell’Unificazione, una setta basata su un’interpretazione peculiare della Bibbia e che proprio a Nara, dove si è svolto l’ultimo atto della vita di Abe, ha una propria sede. Il nonno di Abe, criminale di guerra di classe A per crimini perpetrati contro prigionieri di guerra (anche coreani vista l’occupazione del territorio coreano durante la seconda guerra mondiale) ma soprattutto primo ministro dal 1957, aveva preso contatti con la setta per avere un “cuneo” strategico in corea del Sud. Nella mente confusa di Yamagami, la figura del nonno dell’ex primo ministro nipponico e di Abe stesso potrebbero essersi sovrapposte, facendo di Abe il responsabile dello sfascio della famiglia dell’attentatore. Anche la particolare dottrina della setta, secondo la quale le disgrazie dell’individuo sono causate da colpe pregresse degli antenati, potrebbe aver spinto il già non equilibrato Yamagami a cercare vendetta.

Il problema è che di persone come Yamagami, in Giappone, non si sa quale sia l’esatto numero. Dal 2021 la salute mentale e la prevenzione dei suicidi sono diventati un tema di attualità, anche a seguito del propagarsi di disturbi depressivi e dissociativi associabili ai diversi lockdown. Inoltre ha un nome giapponese, hikikomori, la sindrome sempre più diffusa di ritiro sociale e autoisolamento, diffusa propria nel Sol Levante e stimata in mezzo milione circa di pazienti, prevalentemente uomini tra i 15 e i 39 anni. Ma i dati potrebbero essere sottostimati, perché possono passare anni prima della presa di coscienza e della richiesta di aiuto dei soggetti. La morale tradizionale ultraconservatrice, fondata sui cardini di onore e reputazione e addizionata al senso di fallimento che la crisi economica e i conseguenti licenziamenti hanno generato, ha portato a un aumento dei suicidi, con una “discriminazione di genere”: se infatti i suicidi tra gli uomini sono leggermente diminuiti, nel 2021 (ultimo dato pubblicato) quelli delle donne, cioè quelle tra di cittadini più propense ad essere licenziate o a lasciare il lavoro per occuparsi di attività di cura della famiglia, sono aumentati per il secondo anno di seguito. Nel Sol Levante secondo solo agli Stati Uniti tra i paesi del G7 quanto a tasso di suicidi, non è la prima volta che la follia di un singolo porta a tragedie collettive. E il caso di Abe non è nemmeno l’evento più tragico degli ultimi anni, considerando il numero di vittime. Solo nel 2019 un incendio doloso aveva ucciso 36 persone alla Kyoto Animation, innescato da un 41enne già noto per disturbi psichici e per un tentativo di rapina con arma bianca.

Quali che siano i progetti del governo giapponese, la salute mentale e la gestione dei rischi ad essa connessi dovrebbe essere al primo posto nella sua agenda. Soprattutto dopo il tragico epilogo della vita del suo ex premier Shinzo Abe.

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Il Garante privacy con un provvedimento d’urgenza ha avvertito TikTok che è illecito utilizzare i dati archiviati nei dispositivi degli utenti per profilarli e inviare pubblicità in assenza di un esplicito consenso. Ne parliamo con Matteo Flora
su #Garantismi.

Guarda il video: youtube.com/watch?v=c-sgV30Yn1…


in reply to Andrea Russo

da quando la meloni è diventata il boss dell'accozzaglia di destra il confronto sarà tra centro sinistra e centrofascista!😜


Ucraina: la beffa di Wimbledon


Era, tutto sommato, uno spettacolo strano. La vincitrice del Ladies’ Singles per Wimbledon 2022 aveva tutte le credenziali che altrimenti le avrebbero garantito l’esclusione. Essendo nata in Russia, le testate giornalistiche britanniche hanno esaminato con cautela la decisione dell’All England Club di bandire i giocatori russi ma consentire a Elena Rybakina di giocare. Sky News [...]

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Biden ‘risposa’ l’Arabia Saudita … con la Cina nel letto


Gli USA pronti a un 'patto di cooperazione strategica per la difesa vincolante' in cambio una collaborazione tattica contro Russia e Cina nel breve periodo

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Lutto elettoraleDomenica in Giappone il Partito liberal democratico (LDP) ha ottenuto oltre metà dei 125 seggi contesi alle elezioni per il rinnovo della Camera Alta.



La Cina è la prossima nella lista della NATO?


Il vertice dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) tenutosi a Madrid lo scorso giugno ha rafforzato la posizione storica della Russia come principale avversario del blocco, ma ha anche segnato altri importanti cambiamenti nella geopolitica globale. Sebbene tutti gli occhi fossero puntati sulla guerra in Ucraina e persino sul via libera della Turchia per [...]

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L’economia è al collasso e il paese sull’orlo della crisi umanitaria. I manifestanti scesi in piazza si accampano nel palazzo presidenziale: “Restiamo finché il presidente non andrà via”.

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Cina: la trappola del debito per i Paesi BRI


E' facile vedere come il rapido abbassamento delle barriere commerciali possa minare le industrie locali nei Paesi BRI e far scattare la trappola del deficit commerciale

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L’agenda di Biden per il Medio Oriente aumenta i rischi di guerra


Il rafforzamento dei regimi repressivi e sconsiderati in Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti non è nell'interesse degli Stati Uniti, né promuoverà una maggiore stabilità nella regione, anzi

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Ucraina: Occidente militarista bypassando la democrazia


La guerra in Ucraina ha infranto l’immobilità della storia e ha costretto il mondo a muoversi verso tensioni politiche e geopolitiche. Alcuni Paesi sono stati persino costretti a riconsiderare le loro identità estere e di sicurezza, nonché il loro ruolo nelle relazioni internazionali. Finlandia e Svezia, ad esempio, sono tra i Paesi che si stanno [...]

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L’arma energetica di Putin: l’Europa si prepari al ricatto russo del gas


Da metà giugno, il produttore russo Gazprom ha ridotto i flussi di gas attraverso il corridoio Nord Stream 1 verso la Germania di circa il 60% delle quantità contrattuali giornaliere, spingendo il governo federale di Berlino ad alzare il livello di allarme per allertare (il secondo su tre livelli) e per prepararsi al peggio a [...]

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L’arma energetica di Putin: l’Europa deve essere pronta al ricatto russo del gas


Da metà giugno, il produttore russo Gazprom ha ridotto i flussi di gas attraverso il corridoio Nord Stream 1 verso la Germania di circa il 60% delle quantità contrattuali giornaliere, spingendo il governo federale di Berlino ad alzare il livello di allarme per allertare (il secondo su tre livelli) e per prepararsi al peggio a [...]

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Spazio: Copasir, molte buone intenzioni ma l’Italia ha bisogno di maggiori attenzioni


Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha approvato la ‘Relazione sul dominio aerospaziale quale nuova frontiera della competizione geopolitica’, un documento di sette capitoli stesi dopo 13 audizioni tra cui il Ministro per l’Innovazione Vittorio Colao, il Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana Giorgio Saccoccia, il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, Gen. di squadra aerea [...]

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In assenza di un divieto esplicito, le telecamere cinesi trovano il modo di restare in gara per gli appalti pubblici della videosorveglianza.

«L’ultima gara #Consip per la #videosorveglianza non mette divieti espliciti. In lizza ci sono anche impianti prodotti da #Dahua, colosso del Dragone. Che ha una strategia per affrontare gli eventuali paletti alla tecnologia made in China»

L'articolo di Raffaele #Angius e Luca #Zorloni su #Wired denuncia tutta l'incoerenza o l'ignoranza (o la malafede) di un apparato incapace di comprendere come si subisce l'egemonia tecnologica altrui.

wired.it/article/telecamere-ci…



Ucraina: regioni occupate dalla Russia a rischio di infezioni ed epidemie


Circa il 20% dell’Ucraina è attualmente sotto l’occupazione russa. Insieme alle pressioni su questioni militari e sui diritti umani che questa situazione crea, l’invasione in corso della Russia ha anche prodotto una serie di sfide per la salute pubblica che richiedono un’urgente attenzione internazionale. Uno dei problemi principali che devono affrontare le autorità ucraine è [...]

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Collasso economico senza il gas russo in Europa - Contropiano

«Il piano italiano prevede che se la Russia dovesse sospendere in via definitiva le forniture di gas alla Ue (a cui l’anno scorso aveva assicurato il 44% del suo fabbisogno), il governo sarebbe costretto a far scattare la fase di emergenza. Secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica, il piano prevede una serie di interventi che vanno dal “razionamento” del gas alle industrie energivore al maggior utilizzo delle centrali a carbone per la produzione di elettricità. Ma anche l’introduzione di politiche di austerity dei consumi: riscaldamento più contenuto, con tagli fino a due gradi della temperatura nelle abitazioni e negli uffici, risparmi sull’illuminazione pubblica, con orario ridotto di accensione dei lampioni sulle strade.

E l’emergenza durererebbe fino a quando il gas russo non sarà sostituito da forniture provenienti da altri Paesi produttori. Le previsioni più ottimistiche parlano del 2024, quelle più pessimistiche vanno oltre. Le sanzioni alla Russia si confermano una scelta suicida.»

contropiano.org/news/politica-…

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Elie Kedourie – Nazionalismo


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Fulvio Ronchi: quattro mostre lasciate in eredità


Morto improvvisamente un creativo rigoroso figlio della Scuola grafica dell’Umanitaria. Grandi maestri, grandi esperienze, progetti da continuare

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LogoLogoLogoLogo THE QUEEN IS DEAD VOLUME 61 – INDUS VALLEY KINGS / MIRROR QUEEN / FATSO JETSON / DEEP SPACE MASK


Puntata psichedelica e di musica onirica. Si comincia con i newyorchesi Indus Valley Kings e il loro gran bel stoner metal. continuando con l'hard rock psichedelico venato di NWOBHM dei concittadini Mirror Queen. Ci spostiamo poi in California a Palm Desert da dove sono partiti i Fatso Jetson, qui catturati dal vivo in Italia nel 2013.

iyezine.com/indus-valley-kings…



Just as Joe Biden is set to visit the Kingdom of Saudi Arabia, a US district federal judge sprung on him a thorny legal question: do US interests call for granting sovereign immunity to Mohammed Bin Salman over the murder of the Saudi journalist and …



- English version Tik Tok: Altolà del Garante Privacy alla pubblicità “personalizzata” basata sul legittimo interesse Base giuridica inadeguata e rischi che la pubblicità arrivi anche ai minori Il Garante per la protezione dei dati personali manda ...

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione.

🔸 Il Ministro Patrizio Bianchi alla presentazione dei risultati #INVALSI2022

🔸 Protocollo d’intesa con Unione Nazionale Pro Loco d’Italia

🔸…

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Se questo è un uomo di Primo Levi


Dalla prefazione del ’47, dell’autore: A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, (…), allora, al termine della catena, sta il Lager.

iyezine.com/se-questo-e-un-uom…



Asini


Guardi la scuola e vedi l’abisso. Non si tratta solo di strutture, organizzazione o spesa, perché l’abisso più preoccupante è quello morale. Ciò che inquieta non è la politica parolaia, a sua volta ricettacolo di titolati senza formazione e non titolati d

Guardi la scuola e vedi l’abisso. Non si tratta solo di strutture, organizzazione o spesa, perché l’abisso più preoccupante è quello morale. Ciò che inquieta non è la politica parolaia, a sua volta ricettacolo di titolati senza formazione e non titolati dotati di furbizia e insulsa logorrea. A inquietare è lo sguardo rivolto verso le famiglie, verso gli studenti, verso quanti stanno ricevendone un danno enorme e sembrano gradirlo come un dono.

Una asineria dimentica di Lucignolo, dimentica del riscatto del suo amico, dimentica del dolore. Ammesso e non concesso si sia mai letto il libro, si sappia della morte che coglie il primo e della degradazione cui è destinato il secondo. I più son paghi del cartone animato, senza insegnamento, senza morale, senza sacrificio. E il risultato è qui, in questi numeri che condiscono il mondo dei diritti senza doveri.

Leggiamoli, ma non prendiamoci in giro: il Covid non c’entra nulla. Due anni di scuola frastagliata, di digitale paleolitico, hanno aggravato le disparità. Ma di poco, di un nulla. Il problema c’era prima ed è ancora tutto lì.

In questi giorni i maturandi ottengono la loro licenza si scuola media superiore. Saranno promossi in massa, come è tradizione, da lustri. Ma i dati Invalsi dicono che la metà di loro dovrebbe essere bocciata, perché incapaci di compitare, di calcolare per non dire di esprimersi o capire una lingua straniera. Il loro titolo è la certificazione di una presa in giro. Ma questo è nulla, il peggio è ancora nascosto dietro il macigno della metà analfabeta.

Solo il 52% è in grado di leggere e capire l’italiano. Ma quella è la media nazionale. È il 63% nel Nord Est e Nord Ovest; il 51 al Centro; il 40 al Sud; il 38 a Sud e Isole. Qui il 62% avrà un titolo senza sapere leggere e capire. Solo il 50% sa decentemente far di conto, ma è la media nazionale. 63 nel Nord Ovest; 66 nel Nord Est; 48 al Centro; 37 al Sud; 33 Sud e Isole. E se disaggregate quei dati non solo per macro aree, ma andando provincia per provincia e città per città, trovate sempre lo stesso risultato: gli svantaggi culturali, sociale ed economici si accrescono con la scuola anziché diminuire.

Chi è in vantaggio lo sarà di più, chi è indietro anche. Se solo il 38% è in grado di ascoltare e capire l’inglese (elementare) state sicuri che la pressoché totalità di quella minoranza è composta da ragazzi le cui famiglie li hanno spediti all’estero in vacanza. Questo è il feroce classismo della scuola pubblica italiana, generato dall’assenza di meritocrazia e selettività. Che manca fra i banchi, ma anche fra le cattedre.

Serve a nulla spendere di più o assumere di più, devi capovolgere quel che alla scuola chiedi: che chi vale vada avanti, non che si promuovano tutti. Abbiamo fior d’insegnanti bravi e dediti al loro lavoro, ma non li distinguiamo dagli ignoranti incattedrati e solitamente anche assenti. Abbiamo fior di ragazzi di valore, ma se partono svantaggiati li lasciamo dove si trovano.

Ma, ed è qui la bancarotta morale, non sono le famiglie a reclamare formazione e selezione, non sono gli studenti a pretendere insegnanti all’altezza. Le aspettative puntano alla promozione senza valorizzazione. I genitori hanno smesso di fare i genitori e sono divenuti gli amici o i nonni molli dei figli. Ovvio che non si deve generalizzare, ma è sicuro che quei risultati portano a un generale decadimento, solo temporaneamente anestetizzato dalla spesa pubblica improduttiva e assistenzialista.

Dovremmo mettere quei numeri dentro una sola banca dati, controllare quali docenti migliorano la condizione dei discenti e promuoverli, pagarli di più, aprire una concorrenza fra loro e mandare a casa gli altri. Perché il loro contratto sicuro non vale la sicura fregatura a un ragazzo lasciato ignorante. Dovremmo usare quei dati per indirizzare i soldi, che è poi il solo modo per rendere evidente che l’ignoranza impoverisce. Li usiamo per contare gli asini, ragliando al punto da dimenticarcene in poche ore.

La Ragione

L'articolo Asini proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



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Il provvedimento non ha fatto notizia, non ha destato clamore, magari pensando che si tratti dell’ennesimo codicillo per maniaci del diritto amministrativo. Che, di suo, assopisce il pubblico. Ma è una colpevole sottovalutazione, perché dietro l’apparente

Il provvedimento non ha fatto notizia, non ha destato clamore, magari pensando che si tratti dell’ennesimo codicillo per maniaci del diritto amministrativo. Che, di suo, assopisce il pubblico. Ma è una colpevole sottovalutazione, perché dietro l’apparente tecnicismo si cela un mondo e si dischiude una prospettiva.

Prima particolarità: s’interviene per decreto legge. In questo caso varato dal Consiglio dei Ministri di giovedì 7 luglio. Non una novità, oramai si legifera quasi solo per decreto legge. Solo che è una stortura, una anomalia, nonché una responsabilità di forze politiche che dei provvedimenti di legge fanno oggetto di propagande tribali, ma raramente di decisioni finali. Il decreto in questione interviene su un tema giurisdizionale, il che amplifica l’anomalia.

Da noi qualsiasi atto amministrativo è appellabile al Tribunale amministrativo regionale, che può decidere di sospenderlo in attesa di discuterlo. Non annoiatevi, è anche divertente: la settimana scorsa il Tar pugliese aveva sospeso la realizzazione di un nuovo nodo ferroviario, perché l’apposito comitato locale aveva lamentato possibili danni a taluni ulivi e carrubi.

Al prossimo frontale sul binario unico nessuno se ne ricorderà. Ma già alla fine del 2021, sempre per decreto, il governo aveva avvertito che per le gare relative ai fondi europei, al Pnrr, il Tar avrebbe dovuto fare in fretta. Mica si possono perdere soldi perché ci vuol tempo a decidere! Giusto. Giovedì è andato oltre: neanche li si può perdere per i ricorsi amministrativi sui lavori legati al Pnrr, quindi, come per le gare, fate in fretta: prima udienza utile dopo trenta giorni.

Al Tar, però, non langue solo l’Italia del Pnrr, ci s’impantana tutta. E intervenire per decreto su una questione di giustizia ha dell’ardito. Siccome, però, sappiamo che è necessario, siccome il sistema non funziona: amen. Ma, allora, procediamo anche oltre.

Solo a Roma, che annega nel pattume, mandare fuori l’indifferenziata che non si riesce a trattare costa 180 milioni l’anno. Nei termovalorizzatori, che non ci sono, si smaltisce il 6% della spazzatura, contro il 60 di Parigi, il 58 di Londra e il 46 di Berlino. L’Italia è costantemente sotto procedura d’infrazione per l’inciviltà delle discariche.

Usiamo i sistemi più dannosi per l’ambiente e più costosi per i cittadini (che non evadono). Non è neanche una generica vergogna, ma una puteolente schifezza. E non prendiamoci in giro: non si è in grado di provvedere, mancando coraggio, capacità e inceppandosi tutto nei ricorsi. E allora che eccezione sia e facciamola finita: commissario unico per la monnezza, decisioni centralizzate, soldi non distribuiti, ma investiti. E se qualcuno ricorre al Tar: si sbrighi, un mese o viene smaltito.

Dario Scannapieco, amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, ricorda quel che qui abbiamo tante volte scritto: parliamo di siccità, ma intanto i nostri acquedotti perdono il 42% dell’acqua che trasportano, facendone scempio e spreco, contro l’8% tedesco; la materia è gestita da una giungla di 2.500 operatori pubblici incapaci di investire, talché a quello dedichiamo la metà della media europea.

Un letterale colabrodo senza speranza. Anche qui: basta. S’è santificata la spartitocrazia municipalizzata con apposito referendum demagogico, è ora di raccontare la verità agli italiani, responsabili dell’abboccare a tutte le minchionerie. Commissario unico etc. etc..

So benissimo che lo stato d’eccezione porta male, che il diritto non può essere storto senza conseguenze profonde e il mercato violentato senza generare bastardi, ma il fallimento del tutto fermo in tribunale è talmente evidente da far dire: non sblocchiamo solo il Pnrr (che è già tanto), disincagliamo l’Italia e aiutiamola a smaltire la lunga sbornia di costosa incapacità. E facciamolo ora, prima che tutto torni nelle mani di falso bipolarismo e vera inconcludenza.

La Ragione

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Casino per soldi veri in Italia con il ritorno al giocatore migliore


Giocare al casinò online è un’attività molto diffusa che attira giocatori di ogni tipo. Per quanto sia innegabile che il gioco d’azzardo procura forti emozioni e divertimento anche senza promettere premi in denaro, quando si ha la possibilità di portare a casa soldi è indubbiamente più divertente. Per questo motivo, quando si sceglie un casino [...]

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Le Grandi Dimissioni, tra favola e realtà

"Non è difficile, in realtà, capire che la favoletta messa in giro da Repubblica e dal Sole24Ore rientra nel solito racconto di un mondo parallelo in cui i giovani non vogliono il posto fisso, la stabilità e il contratto a tempo indeterminato. I giovani di oggi sarebbero dunque dinamici e propensi al cambiamento, proprio per questo presentano le dimissioni quando un mercato del lavoro più flessibile come quello attuale lo consente. Questa storiella è dunque utile ai padroncini italiani per dire che la precarietà è apprezzata dai lavoratori, che avrebbero così la possibilità di cambiare di tanto in tanto, perseguendo le proprie passioni e conciliando meglio la propria attività lavorativa con la propria vita privata, anche accettando retribuzioni più basse! Come abbiamo argomentato, una marea di panzane messe in fila."

coniarerivolta.org/2022/07/09/…



INTERVISTA. Tony Abu Akleh: «Gli Usa hanno tradito Shireen. Vogliamo dirlo a Biden»


Parla il fratello della giornalista Shireen uccisa due mesi fa a Jenin, conferrma l'intenzione della famiglia di incontrare il presidente americano dopo che gli esperti statunitensi hanno di fatto assolto Israele dalle sue responsabilità L'articolo INTER

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 11 luglio 2022 – Si chiama Anton ma per tutti è Tony. E da due mesi è il portavoce della sua famiglia, Abu Akleh, che non si rassegna e chiede giustizia per sua sorella Shireen, nota giornalista palestinese, con passaporto statunitense, uccisa sul colpo due mesi fa, l’11 maggio, da un proiettile mentre per la sua emittente, Al Jazeera, seguiva un’incursione di reparti speciali dell’esercito israeliano a Jenin. Tony rispondendo alle nostre domande non nasconde il suo stato d’animo, un misto di frustrazione e delusione. «Le inchieste svolte dalla Cnn e altri giornali americani – ci dice – come dall’Autorità nazionale palestinese e dall’Onu non lasciano dubbi: dicono tutte che Shireen è stata uccisa da spari giunti dagli israeliani. E a nostro avviso sono stati intenzionali. Ci aspettavamo perciò che gli Stati uniti, di cui siamo cittadini, affermassero in maniera netta e chiara che mia sorella, una civile innocente, una giornalista, è stata colpita da spari israeliani mentre svolgeva il suo lavoro di informazione e che la sua morte è un crimine non può restare impunito. E invece…».

Tony non ha peli sulla lingua: «quella che hanno svolto una settimana fa gli esperti americani – spiega – sul proiettile che ha ucciso Shireen non è stata una perizia ma un’operazione politica. Non hanno riferito i risultati di una indagine tecnica, come ci aspettavamo. Piuttosto hanno emesso un comunicato politico per salvaguardare Israele e gli interessi americani. Ma noi non ci rassegneremo». Tony ci ripete che gli Abu Akleh faranno il possibile per ottenere un’indagine internazionale. E che sono intenzionati ad incontrare Joe Biden quando la prossima settimana sarà in Israele e nei Territori palestinesi occupati. «L’ambasciata Usa tace, non abbiamo più avuto contatti dal giorno precedente a quello della cosiddetta perizia» prosegue «per gli Stati uniti la faccenda è chiusa, per noi no! Shireen avrà giustizia».

Gli Abu Akleh hanno indirizzato una lettera all’Amministrazione Biden in cui definiscono l’uccisione di Shireen non un incidente causato da un proiettile vagante, come sostengono Israele e gli Stati uniti, bensì un «omicidio extragiudiziale» eseguito da soldati israeliani. Rivolgendosi al presidente americano, aggiungono che «la sua Amministrazione ha completamente fallito nel soddisfare le aspettative minime di una famiglia in lutto…gli Stati uniti si sono mossi per la cancellazione di qualsiasi illecito da parte delle forze israeliane» e non hanno condotto proprie indagini ma si sono limitati a «riassumere e adottare l’indagine delle autorità israeliane». «La sua Amministrazione – concludono – ha ritenuto necessario perpetuare la conclusione infondata e dannosa che l’omicidio non sia stato intenzionale, scegliendo apparentemente l’opportunità politica rispetto alla responsabilità effettiva per l’uccisione di un cittadino statunitense da parte di un governo straniero». Alla fine della lettera chiedono a Biden di incontrarli.

Non si può escludere del tutto che questo incontro possa avvenire. Forse non sarà più di una stretta di mano e qualche frase di cordoglio da parte del presidente Usa. Ma la possibilità è remota. Biden arriverà mercoledì in Israele non per accusarlo dell’omicidio di una giornalista ma per rassicurarlo della protezione militare americana e dell’alleanza con Washington. Non solo. Potrebbe avere in tasca un’intesa preliminare per la normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e l’Arabia saudita. E dovrebbe dare la sua benedizione al programma di difesa aerea integrata tra Israele e i suoi alleati arabi contro l’Iran. Proprio con Teheran al centro dei suoi pensieri, Biden visiterà alcuni apparati di sicurezza israeliani presso la base aerea di Palmachim, una batteria missilistica Iron Dome, il sistema di difesa laser Iron Beam.

Venerdì incontrerà a Betlemme il presidente dell’Anp Abu Mazen al quale non garantirà alcun appoggio politico ma solo un pacchetto di misure economiche e qualche gesto simbolico. Biden quindi andrà all’aeroporto Ben Gurion da dove partirà per l’Arabia saudita dove parteciperà al vertice del GCC+3 a Gedda con i leader del Consiglio di cooperazione del Golfo: Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati insieme a Iraq, Egitto e Giordania. Pagine Esteri

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EGITTO. Il “Dialogo nazionale” secondo il dittatore Al Sisi


Proposto dal Presidente egiziano e inaugurato il 5 luglio, dovrebbe permettere ai partiti di opposizione di confrontarsi pubblicamente con il governo, sottoponendogli critiche e proposte di riforme politiche. Secondo molti critici, si tratta solo di un te

di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 11 luglio 2022 – Il 5 luglio scorso in Egitto è stato ufficialmente inaugurato il cosiddetto “dialogo nazionale”. Da un’idea del Presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi, nasce una piattaforma pubblica che accoglierà rappresentanti della società civile e della politica all’interno della quale si potranno discutere i problemi politici, economici e sociali del Paese. L’obiettivo, secondo le intenzioni dichiarate da Al Sisi, è riaprire un dialogo con i partiti di opposizione e ricevere da loro critiche e proposte di riforme per governare l’Egitto. Una drastica “riforma politica” in quello che Al Sisi ha battezzato come “l’anno della società civile”. “Vogliamo che l’opposizione critichi il nostro lavoro e dica ciò che gli piace, ed è mio dovere rispondere”, così lo ha descritto il suo ideatore.

La proposta era stata lanciata dal Presidente egiziano nell’aprile scorso, nel bel mezzo del banchetto annuale dell’”Iftar della famiglia egiziana”. Durante il pranzo, Al Sisi aveva rivolto un appello a tutti i partiti politici e le correnti giovanili del Paese – eccezion fatta per i Fratelli Musulmani, pochi giorni prima confermati da un tribunale egiziano nella lista dei gruppi terroristici per altri cinque anni – a elaborare insieme, attraverso un dialogo tra maggioranza e opposizione, un nuovo “piano d’azione nazionale”. L’Egitto, aveva dichiarato il Presidente, “accoglie tutti e le differenze d’opinione non rovinano la causa della Nazione”.

Una svolta sotto i migliori auspici quella che aveva annunciato Al Sisi in primavera e che adesso sembrerebbe prendere forma. La riapertura al dialogo ha richiesto un’organizzazione scrupolosa. Il risultato è un apparato complesso in cui le diverse voci del Paese saranno chiamate a confrontarsi secondo le regole di uno Statuto di 19 articoli.

A regolare il dialogo sarà la National Training Academy, un’istituzione di formazione politica diretta dallo stesso Al Sisi. Gli ordini del giorno saranno stabiliti dal coordinatore generale del dialogo nazionale. Per ricoprire l’incarico è stato nominato il capo del sindacato dei giornalisti egiziani, Diaa Rashwan. Una scelta accolta felicemente da molti commentatori in Egitto come prova di un progetto serio e neutrale. E’ stato Rashwan a eleggere, dopo varie consultazioni politiche, i 19 membri del consiglio del dialogo nazionale: tra di loro senatori, avvocati, giornalisti, femministe. Il loro compito sarà quello di selezionare le proposte da portare direttamente alle orecchie di Al Sisi. Per il dialogo nazionale è necessaria, infine, una segreteria tecnica, presieduta da Mahmoud Fawzy, già segretario generale del governo del Consiglio supremo per la regolamentazione dei media.

Il fulcro di questa raffinata organizzazione saranno, di fatto, le sessioni di dibattito pubblico. Queste si terranno presso la National Training Academy di Al Sisi nelle date stabilite dal coordinatore generale. Ufficialmente, tutti sono invitati a candidarsi al dialogo e a partecipare alle sessioni di discussione. Sul sito della Conferenza Nazionale della Gioventù è, infatti, disponibile un modulo che i cittadini possono compilare per registrarsi al dialogo: finora, sarebbero pervenute oltre 700.000 candidature. Non è chiaro, tuttavia, quanti comuni cittadini prenderanno parte al dialogo, e in quali modalità.

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Diverse sono state le reazioni dei partiti a questa improvvisa apertura al dialogo con le opposizioni. Alcune formazioni politiche, tra le quali Al-Wafd e il National Progressive Unionist Party, hanno aderito entusiasticamente al progetto. Secondo l’ex candidato alla presidenza del governo, Hamdeen Sabahi, si tratta di un passo avanti: “Il dialogo può consentire il ripristino della pluralità di voci in Egitto, di sapere come essere d’accordo e come dissentire, anche se, affinché il dialogo abbia successo, deve essere organizzato dalla Presidenza”, ha dichiarato a The Africa Report.

Tarek Fahmy, professore di scienze politiche all’Università del Cairo, ha detto ad Al Monitor: “Ci sono diverse condizioni che devono essere soddisfatte affinché il dialogo nazionale possa raccogliere i suoi frutti. Il principale tra questi è che la questione venga presa sul serio”. Attraverso “la partecipazione di tutte le forze politiche, ad eccezione dei Fratelli musulmani”, “il dialogo nazionale alla fine avrà luogo ed è importante che ci siano meccanismi esecutivi affinché si svolga senza intoppi”, secondo lo studioso.

Più cauta è stata la risposta di altri partiti. Dopo diverse consultazioni avvenute nel mese di maggio, serie criticità sono state avanzate dal Movimento Civile Democratico, che riunisce al suo interno sette partiti di opposizione, che ha comunque accettato l’invito al dialogo. “Negli ultimi otto anni, le voci dei partiti politici liberali” ha dichiarato ad Al Monitor il giornalista Khaled Dawoud, ex segretario generale del Partito della Costituzione liberale, “Sono stati messi a tacere in seguito alla detenzione di un numero significativo dei loro membri per le loro opinioni politiche e ideologiche; è giunto il momento di consentire ai partiti liberali di impegnarsi politicamente”.

Non tutti si sono lasciati trascinare dall’entusiasmo per il dialogo politico in Egitto. E’ un’impressione comune, anche al di fuori dei confini egiziani, che le intenzioni reali di Al Sisi non nascano dall’improvviso desiderio di trasformare il suo regime autoritario in un governo democratico. Secondo molti studiosi e analisti, il “nuovo corso” di dialogo politico che la Presidenza del Cairo sembra voler aprire deriva piuttosto dal tentativo di smacchiarsi la coscienza dei propri crimini davanti alla comunità internazionale. La svolta avviene, del resto, in un periodo di estrema difficoltà e di bisogno per l’Egitto, prostrato dalla crisi economica, dal rincaro di materie prime e carburante. Un’immagine edulcorata potrebbe giovare nelle relazioni internazionali – come l’impressione di una distensione del regime potrebbe alleggerire gli animi di un popolo impoverito e arrabbiato.

Il governo vuole fare un carnevale per mostrare al mondo che abbiamo una democrazia, mentre il regime ha le sue impronte su molti crimini contro il popolo e continua ad arrestare, torturare e detenere egiziani“, ha dichiarato a The Africa Report un vecchio componente dei Socialisti Rivoluzionari, tra i partiti che guidarono la rivoluzione del 2011.

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Proprio sulla questione dei detenuti politici in Egitto, il Movimento civile democratico e diverse organizzazioni per i diritti umani, tra le quali Amnesty International e Human Rights Watch, hanno iniziato a fare pressione all’indomani dell’annuncio dell’apertura al dialogo da parte di Al Sisi. Sono, infatti, decine di migliaia i prigionieri per reati d’opinione attualmente rinchiusi nelle carceri egiziane.

Le proposte che sono state redatte dai partiti di opposizione nel loro contenuto e nella ridondanza danno un’idea della situazione sociale e politica e del grado di esasperazione raggiunto nel Paese. Tra i suggerimenti, o meglio gli spunti di discussione, si legge: “Dovrebbe essere definito un calendario per il lavoro della Commissione della grazia, insieme all’annuncio di una sede della Commissione dove le famiglie possano presentare le loro domande di liberazione dei propri cari”; “Amnistia per tutti i casi politici, come quelli accusati di pubblicazione di notizie false e uso improprio dei social media, manifestazioni e raduni”; “Prevenire e criminalizzare l’arresto delle famiglie dei ricercati come strumento di ricatto e vendetta, insieme al loro rilascio immediato”; “Amnistia per i detenuti condannati in un tribunale militare con accuse politiche”; “Indagine su episodi di tortura e processo di valutazione delle sentenze giudiziarie emesse dal 24 luglio 2013 in tutti i casi politici”; “Fine della revoca della cittadinanza egiziana come strumento punitivo per i presunti dissidenti”. Insieme a questi punti, anche proposte di riforme economiche, democratiche e altri aspetti relativi alla tutela dei diritti umani in Egitto. Richieste che recano in sé drammatiche denunce – e che adesso, alla luce del nuovo clima di “dialogo politico”, il Presidente egiziano apparentemente non potrà ignorare nella sua agenda.

Anche Reporters Sans Frontières (RSF) ha colto l’occasione dell’annuncio del dialogo politico per fare pressione sul governo Al Sisi: “RSF chiede al governo egiziano di sbloccare i siti web di notizie e di rilasciare i giornalisti incarcerati nel “dialogo nazionale” che inizia oggi”, si legge in un comunicato del 5 luglio sul sito dell’organizzazione. “Questo dialogo nazionale deve portare a risultati concreti, compreso lo sblocco dei siti di notizie e il rilascio di tutti i giornalisti e blogger”, secondo Sabrina Bennoui, capo dell’ufficio Medio Oriente di RSF. Si intuisce scetticismo da parte di RSF, che, ripercorrendo i primi nove mesi del piano quinquennale annunciato nel settembre 2021 da Al Sisi come “Strategia per i diritti umani”, precisa: “Da allora, cinque giornalisti sono stati rilasciati e uno è stato messo in detenzione, con il risultato che il numero di giornalisti detenuti in Egitto è ora pari a 22. I tribunali egiziani hanno anche denunciato due blogger, Mohamed Oxygen e Alaa Abdel Fattah, e due giornalisti, Hisham Fouad e Alia Awad”. Dati che ancora non permettono di concedere molta fiducia al governo del Cairo in fatto di libertà d’espressione.

Perplessità sono state espresse anche da altre organizzazioni di attivisti. Ferma la denuncia di Human Rights Watch: “L’Egitto sotto il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi sta vivendo una delle peggiori crisi dei diritti umani da molti decenni. Il governo ha cercato di mascherare gli abusi ma non ha preso misure serie per affrontare la crisi. Decine di migliaia di critici del governo, inclusi giornalisti, attivisti pacifici e difensori dei diritti umani, rimangono incarcerati con accuse abusive di “terrorismo”, molti in una lunga detenzione preventiva. Le autorità molestano e trattengono i parenti dei dissidenti all’estero”.

Resta, dunque, da aspettare e stare a vedere in che cosa si tradurrà questo “dialogo nazionale” voluto da Al Sisi e valutare che non sia, come nei presagi del dissidente anonimo dei Socialisti Rivoluzionari, soltanto “un carnevale”, una celebrazione della farsa e del grottesco. Proprio nei giorni dell’apertura del “dialogo”, arriva l’accusa alle autorità egiziane da parte di Amnesty e Human Rights Watch di aver manomesso le indagini sulla morte del ricercatore Ayman Hadhoud, 48 anni, secondo le organizzazioni torturato e ucciso in carcere. E’ del 7 luglio, inoltre, la notizia dell’arresto della blogger e attivista Aya Kamal el-Din, prelevata dalla propria abitazione nella giornata di domenica e, secondo quanto riferito dal suo avvocato, comparsa in una stazione di polizia del Cairo solo due giorni dopo. Un’utente egiziana ha commentato sarcasticamente la notizia sui social scrivendo che l’arresto di Aya Kamal el-Din era un passo necessario ad “aprire la via del dialogo nazionale”.

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Draghi in questo mondo di oscuri vacanzieri del pensiero


La politica è confronto, ma per confrontarsi bisogna avere un 'altro' (pensante) con cui farlo. In assenza del quale Draghi propone e agisce: o stai con lui o ti attacchi

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