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#NotiziePerLaScuola

"Ambiente, Mercato, Comunità: spunti per l'educazione alla Ragione", disponibili tutti i materiali del seminario nazionale che si è tenuto al Ministero il 21 giugno.

Li trovate qui ▶️ miur.gov.



L’Azerbaigian, l’Unione Europea e il partenariato strategico nel settore energetico


Il 18 luglio la Commissione Europea ha firmato il nuovo Memorandum of Understanding su un partenariato strategico nel campo dell’energia con l’Azerbaigian per aumentare le importazioni di gas naturale azero in Europa di almeno 20 miliardi di metri cubi (bcm) all’anno entro il 2027. “Oggi… apriamo un nuovo capitolo nella cooperazione energetica con l’Azerbaigian, un partner [...]

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L’agenzia perquisisce la casa in Florida dell’ex presidente, in cerca di materiale che avrebbe illegalmente sottratto dalla Casa Bianca Lunedì l’ex presidente americano Donald Trump ha rivelato che l’FBI ha perquisito la sua casa in Florida, aprendo …


Invadere Taiwan non è un compito facile per la Cina


Le tensioni nello Stretto di Taiwan hanno raggiunto un livello che non si vedeva dai primi anni della Guerra Fredda sulla scia della visita di stato di Nancy Pelosi a Taipei. Il Partito Comunista Cinese ha intensificato la retorica militaristica nei confronti degli Stati Uniti e di Taiwan, che considera una ‘provincia ribelle’. Eppure, nonostante [...]

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Aumenta l'occupazione? Sì, quella avvelenata | La Fionda

«Di nuovo, in realtà, in queste forme di occupazione c’è l’espulsione del lavoro contrattato, regolamentato, stabile. Apparentemente fuori dal rapporto produttivo, appaltati per compiere una piccola mansione in un breve tempo, “prestati” a chi formalmente non è il datore di lavoro, senza relazioni sociali, politiche, sindacali, perennemente affacciati sul baratro, i cosiddetti “soci” o “collaboratori” assistono soli e impotenti all’assottigliamento di salari e tutele e i cosiddetti “imprenditori” all’evaporazione del reddito, senza riuscire a capirne le ragioni. [...]
Ci sorprende tutto questo? Ciò che talvolta non si considera è che nelle pieghe di questo massacro del lavoro ci sono anche le ceneri della sinistra. Della finta sinistra, la maggiore responsabile di questo massacro, assimilabile in tutto e per tutto alla destra filo-capitalista e liberista, ma anche di quella sinistra cinica e ondivaga, rimasta senza bussola e senza punti di riferimento. Quando manca il punto di riferimento fondamentale ogni nuovo tentativo è un vagare senza meta, sempre più fiacco, una sorta di truccata riproposizione di giochi di ruolo e di formule alchemiche senza prospettiva.
ll nodo centrale di qualsiasi piattaforma di sinistra non può che essere la riapertura della conflittualità, in virtù del riconoscimento e con esso del rovesciamento del lavoro salariato, ricattato, umiliato, sottopagato, precarizzato, pena il confinamento all’impotenza, determinata dall’impossibilità di spostare i rapporti di forza.»

lafionda.org/2022/08/09/aument…



Gaza: l’insostenibilità del conflitto perpetuo


Tra morte e distruzione, l'ultimo conflitto a Gaza mette in luce la profondità della sua crisi umanitaria

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Putin ha costretto gli ucraini a considerare la cultura russa un’arma di guerra


L’invasione russa dell’Ucraina ha amplificato il dibattito in corso sulla presenza culturale della Russia nella società ucraina e ha accelerato gli sforzi per rimuovere le vestigia del passato imperiale. Alcuni intellettuali russi hanno espresso preoccupazione per la presa di mira della cultura russa in Ucraina, con l’autore Mikhail Shishkin che è arrivato al punto di [...]

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Il mito di Marilyn Monroe


60 anni fa, la notte fra il 4 e il 5 agosto del 1962, nel suo bungalow di Brentwood (Los Angeles) veniva scoperto il corpo inerte di Norma Jeane Mortenson, nome d’arte Marilyn Monroe, attrice, cantante, modella e produttrice cinematografica statunitense, tra le più celebri attrici della storia del cinema. Un mito allora, un mito ancora [...]

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Gaza: “con le armi falciamo il prato, con la burocrazia li teniamo al guinzaglio”


Nel nuovo fascicolo di Breaking the silence le testimonianze di militari israeliani dell’Amministrazione Civile: la burocrazia nei Territori palestinesi occupati ha la stessa violenza dell'occupazione. L'articolo Gaza: “con le armi falciamo il prato, con

di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 9 agosto 2022 – “Penso che la parte più significativa dell’occupazione [israeliana] sia l’oppressione burocratica, quella con cui hai a che fare quando hai bisogno dei permessi di costruzione, quella che te lo toglie il permesso, e ciò significa che la tua casa verrà distrutta. Oppure che ti vieta di vedere la tua famiglia perché il permesso non è quello giusto. È una forma di oppressione burocratica. Non voglio dire che sia il lato peggiore dell’occupazione, ma fa parte dell’occupazione, dell’oppressione burocratica e io ho visto quanto sia ridicolo tutto questo. […] Perché neghiamo [ai palestinesi] i permessi? Perché gli stiamo rendendo così difficile ottenere medicine? Perché gli stiamo rendendo difficile procurarsi il cibo?”

Lunedì 1 agosto l’organizzazione israeliana Breaking the silence, ha pubblicato il fascicolo dal titolo Military Rule. Testimonianze di militari dell’Amministrazione Civile. Al suo interno una numerosa raccolta di esperienze di soldati israeliani impiegati nella Civil Administration, un organo militare israeliano che controlla ogni aspetto della vita civile dei palestinesi dei Territori Occupati della Cisgiordania.

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Insieme al Gaza District Coordination e al Liaison Office, tutti subordinati al COGAT (l’Ente di coordinamento delle attività di governo nei Territori Palestinesi), la Civil Administration gestisce e controlla, tra le altre cose, il rilascio dei permessi di spostamento (per motivi di lavoro, salute e altro) dei palestinesi, l’import e l’export dei beni (inclusi quelli di prima necessità), l’utilizzo delle risorse naturali, i permessi di costruzione delle infrastrutture civili.

Il fascicolo richiama l’interesse sulle dinamiche interne agli uffici e ai regolamenti dell’Amministrazione Civile dei Territori, dinamiche che hanno un fortissimo impatto sulla vita quotidiana dei palestinesi e che replicano i principi di subalternità, discriminazione, umiliazione e controllo tipici delle situazioni di dominio di un popolo su un altro.

Breaking the silence si occupa di raccogliere le esperienze dei soldati israeliani che, spesso giovanissimi, si trovano a gestire e controllare ogni aspetto della vita quotidiana di un’intera popolazione. ONG istituita da veterani dell’IDF (le forze armate israeliane), per quasi 20 anni ha dato ai soldati congedati l’opportunità di raccontare le loro esperienzemantenendo l’anonimato, mostrando all’opinione pubblica israeliana un’immagine cruda della gestione quotidiana dell’occupazione. In Military Rule per la prima volta sono state raccolte le testimonianze di ex militari che hanno prestato servizio, negli ultimi dieci anni, negli uffici del COGAT.

Raccontano le umiliazioni continue subite dai palestinesi risucchiati dal vortice delle richieste dei continui e numerosi permessi, il potere assoluto e arbitrario dei soldati agli sportelli, la subalternità spesso mortificante delle forze di sicurezza palestinesi, l’autorità suprema del movimento dei coloni, il sistema generale di oppressione.

C’è un ragazzo che si chiama Nijam. È palestinese. La sua casa è praticamente in mezzo al nulla ma si è trovata, ad un certo punto, sul lato israeliano [della barriera di separazione], che è vicino a Giv’on (un insediamento israeliano). Questo tizio per entrare in casa deve chiamare il centro operativo [israeliano] che deve aprire il cancello per farlo entrare. Non ha alcun controllo sul cancello che apre e chiude la sua casa. Deve chiamare il centro operativo.

Cosa intendi?

La sua casa è dalla parte israeliana. La sua casa è recintata.

Ok.

Non se ne è andato da lì. È stata costruita la recinzione e quindi hanno recintato anche lui. Invece di dargli semplicemente la cittadinanza, o lasciarlo stare. Nijam Faqia, mi pare sia questo il suo nome. Quindi chiama il centro operativo ogni mattina e dice “Ciao, sono Nijam, voglio entrare a casa mia”. Il centro operativo chiama poi gli agenti di polizia di frontiera della zona che gli aprono il cancello. Pazzesco.

Quante volte?

Una, due volte al giorno.

La gestione dell’amministrazione dei distretti dei Territori Occupati e Gaza dimostra piena coerenza con la gestione militare dell’occupazione. “È impossibile comprendere l’occupazione israeliana senza mettere sotto i riflettori queste unità governativespiega Breaking the silence – e nonostante ciò ricevono pochissima attenzione pubblica, sia dentro che fuori da Israele e la loro attività raramente è stata oggetto di inchieste indipendenti”.

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Coda per accedere allo sportello del DCL

Il regime dei permessi

Il DCL (District Coordination and Liaison office) è l’ente di coordinamento e collegamento distrettuale. I suoi uffici sono sparsi in tutta la Cisgiordania. Le responsabilità del DCL includono il coordinamento e il collegamento con l’Autorità Nazionale Palestinese, il rilascio di permessi per la popolazione palestinese, il controllo delle forze dell’ordine e la supervisione delle costruzioni e delle infrastrutture (acqua, elettricità, strade, ecc.) nella regione di competenza. Nella maggior parte dei casi, lo sportello al quale si rivolgono i palestinesi per presentare domande e richiedere permessi si trova all’interno delle strutture del DCL. I permessi di ingresso in Israele servono per poter lavorare, per poter vedere le proprie famiglie, per poter visitare i luoghi sacri in occasione delle festività religiose e per tanto altro.

Uno dei compiti del DCL è il rilascio delle carte magnetiche ai palestinesi. Ne hanno bisogno per passare attraverso i valichi e per richiedere un permesso di ingresso in Israele. Sono stato allo sportello per un mese e in questo mese è capitato un sacco di volte che le stampanti non funzionavano, un sacco di volte che i computer si sono fermati. Non è una cosa importante per i soldati. Ci sono 100 palestinesi seduti in una stanza, le stampanti hanno smesso di funzionare ma non c’è nervosismo. Se funziona funziona, se non funziona la gente torna domani. Una o due volte è capitato che, dopo alcuni problemi con le stampanti, i soldati hanno detto a tutti: “Chiudiamo alle quattro e mezza” non alle cinque, che è la solita ora. Cosa importa? Le persone possono tornare domani. Alcune volte le persone vengono e aspettano dalle due alle tre ore per ottenere la carta magnetica, e alla fine non la ottengono e gli viene semplicemente detto: “Torna domani alle otto e mezza”. A volte arrivi alle 100 persone, e basta, “Abbiamo raggiunto le 100”, non è importante fare molto di più. Non esiste un limite massimo, ma 100 è l’obiettivo minimo quindi se lo raggiungono pensano che hanno già fatto tutto quello che dovevano fare.

All’interno del fascicolo sono riportate alcune delle testimonianze dei residenti di Gazaraccolte da Gisha, una organizzazione israeliana senza scopo di lucro che si occupa di misurare la libertà di movimento dei palestinesi nei Territori Occupati e a Gaza. Gisha ha pubblicato le interviste all’interno di un resoconto dal titolo “Il regime dei permessi”, in cui i residenti della Striscia raccontano episodi di violenza e sopraffazione legati al rilascio delle autorizzazioni da parte dello stato occupante.

Solo pochi giorni fa una ricerca di un’altra organizzazione israeliana, Physicians for Human Rights– Israele, ha dimostrato la dipendenza quasi totale della sanità a Gaza dal regime dei permessi in Israele. Mentre Save the Children denunciava nel 2020 le morti causate dal ritardo del rilascio dei permessi di spostamento per malattie per i bambini e le bambine palestinesi.

Una testimonianza soprattutto, tra le centinaia, assume un significato macabro, che diventa particolarmente raccapricciante in questi giorni in cui si sta ancora dando sepoltura ai morti palestinesi determinati da un nuovo attacco militare israeliano (l’operazione denominata Breaking dawn) sulla Striscia di Gaza. Il tenente intervistato ammette di aver provato sollievo alla notizia di essere stato assegnato agli uffici amministrativi, perché avrebbe così evitato di partecipare a operazioni militari sul campo. Ma dopo alcuni mesi si accorge che quella violenza da cui credeva di essere fuggito in realtà lo circondava, diversa di aspetto ma profondamente affine.

Ero felice [di lavorare al COGAT], di non essere coinvolto in qualcosa che mi costringesse a combattere. Non volevo essere violento.

E la vedi diversamente oggi?

Assolutamente sì. Penso che sia diversa dalla violenza di cui siamo abituati a sentire parlare, la violenza al posto di blocco o i soldati che abusano dei palestinesi. Ma è un diverso tipo di violenza. È violenza burocratica. Usiamo molta violenza contro Gaza. Durante gli attacchi usiamo molta violenza, seminiamo distruzione e questo fa parte della stessa strategia. Ora vedo [quegli attacchi] come se servissero a “falciare il prato” ogni pochi anni, e nel frattempo gli abitanti di Gaza devono essere tenuti a guinzaglio molto corto, non dobbiamo permettere loro troppe uscite ed entrate, non è loro permesso di fare molte cose che noi diamo per scontate, come poter pescare dove vogliamo, o essere in grado di volare. È una prigione”.

Le testimonianze rilasciate a Breaking the silence dai soldati occupati a raccogliere agli sportelli le richieste dei palestinesi, rivelano che la revoca dei permessi di spostamento viene spesso utilizzata dagli organi preposti come misura di punizione collettiva. Che gli stessi soldati possono decidere in maniera soggettiva e capricciosa a chi concedere i permessi e a chi no. Che se arrestano un palestinese che vive nel tuo stesso palazzo, il permesso ti viene revocato.

Gli israeliani agli sportelli quasi mai parlano l’arabo, se non quello base appreso al corso di preparazione. E i palestinesi, anche anziani e anziane, che non conoscono l’ebraico o l’inglese sono non di rado umiliati e a volte mandati via nonostante abbiano atteso ore per essere ascoltati.

E poi lui (il soldato) gli dice (al palestinese), “va bene, vattene da qui, prendi un nuovo numero, non voglio parlarti”, nella speranza che alla fine finiscano con qualcun altro. Sì, ci sono soldati molto crudeli allo sportello. Come ho detto, è potere, ed è ciò che il potere fa a una persona. In questo caso è divertente, perché in altre situazioni non hai alcun potere. Quando arrivi in ​​un posto dove i coloni hanno bruciato il campo di qualcuno, non hai potere lì. Ma allo sportello sì.

I veterani hanno testimoniato che i permessi vengono utilizzati anche per mettere fine agli scioperi della fame, elemento di cui ha scritto lungamente il quotidiano israeliano Hareetz.

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Coda all’entrata del checkpoint

Le forze di sicurezza palestinesi

Le forze di sicurezza palestinesi devono concordare ogni più piccolo movimento con il COGAT. Il loro stesso equipaggiamento, la quantità di armi che indossano viene decisa da Israele, i cui organi amministrativi devono firmarne i permessi. Non solo. Prima di un attacco ad un’abitazione palestinese, prima che i militari israeliani irrompano in una civile abitazione nei Territori Occupati, viene fatta comunicazione alle forze di sicurezza palestinesi: i poliziotti hanno pochi minuti per lasciare le strade e la zona circostante e ritirarsi nelle proprie caserme. “La realtà – in cui i poliziotti palestinesi si affrettano a nascondersi nelle loro roccaforti poco prima che i soldati israeliani irrompano nella casa di una famiglia, puntando fucili contro donne e bambini che si sono appena svegliati – è umiliante. Mortalmente umiliante è vietare alla sicurezza palestinese di difendere il proprio popolonon solo dai soldati ma anche dai civili israeliani che attaccano i palestinesi nei loro campi e frutteti, nelle lore case e quando sono fuori a pascolare le proprie mandrie. Il rispetto da parte dell’Autorità Palestinese di questo divieto è umiliante. Non si fanno vedere se non siamo noi a dirglielo… Anche se non si ha a che fare con i coloni, anche se sono senza uniformi e senza armi, anche se devono indagare solo su un incidente d’auto: devono comunque coordinarlo con Israele” (Haaretz).

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Demolizione di una struttura agricola

Il potere dei coloni

Dalle testimonianze emerge che non solo alle forze di sicurezza palestinesi è vietato intervenire (o anche solo essere presenti) all’occupazione di terre palestinesi da parte dei coloni israeliani e dei movimenti politici a loro collegati. Persino ai militari israeliani è spesso vietata la presenza. E quando ci sono non hanno il permesso di alzare un dito contro i coloni. Seguendo lo stesso principio di annessione, le amministrazioni civili sono ben propense ad accettare lo spostamento di risorse naturali, come l’acqua, togliendole ai villaggi palestinesi per darle alle colonie israeliane.

Persino la scelta di quali case palestinesi demolire è guidata dalle pressioni del movimento dei coloni, seppure gli insediamenti israeliani nei Territori Palestinesi Occupati (lo ricordiamo per dovere di cronaca nonostante la storia ne abbia purtroppo decretato l’inutilità in assenza di regime punitivo) siano illegali per il diritto internazionale.

Come si decide cosa demolire?Ci sono così tante costruzioni abusive, perché demolire una casa e non un’altra?

Guarda una mappa delle demolizioni e potrai constatare che demoliscono le case vicine a un insediamento. Ci sono molti Khirbes (piccoli villaggi palestinesi) sulle colline meridionali di Hebron, ci sono così tanti villaggi illegali nell’Area C tra le colline meridionali di Hebron ma vengono demolite a Susiya o al-Tuwani. È una questione politica.

Raccolta e accesso ai dati riservati

Nella sua testimonianza rilasciata a Breaking the silence, una ex ufficiale addetta al COGAT scrive quanto fosse per gli israeliani importante ottenere notizie e dati sui palestinesi e quanto fosse facile accedervi:

Ci sono dei software che raccolgono diversi tipi di informazioni sui residenti palestinesi, in modo che possiamo tenere traccia dei loro movimenti. Quando digiti il ​​numero d’identità o il nome di qualcuno, hai immediatamente richiamato tutto il suo privato. Posso scansionare il viso della persona o il codice a barre che si trova sulla smartcard. Basta questo per recuperare le informazioni. I loro nomi completi, i parenti – fratelli, sorelle, mamma, papà, nonno, nonna, cugini, cugini di secondo grado, luogo di residenza, il tipo di permesso che hanno in base al settore in cui lavorano, che checkpoint possono attraversare, quali hanno attraversato, qual è stato il loro ultimo viaggio – significa l’ultima volta che hanno attraversato un posto di blocco e in che direzione stavano andando – e se gli è stato rifiutato l’ingresso, e la causa dei rifiuti che hanno ricevuto. E poi, ovviamente, tutto ciò che è legato alla loro storia. Durante il corso ci hanno anche insegnato come si può bloccare il permesso. E questo può accadere per molti motivi. Può essere bloccato dalla polizia israeliana o dallo Shin Bet. L’ingresso può essere rifiutato se si è coinvolti in attività criminali, se si è ricercati dall’Autorità Palestinese, dalla polizia israeliana. Ma anche se si hanno familiari che sono criminali o sospetti terroristi. Persino se si vive nello stesso edificio di qualcuno che è stato condannato o sospettato di essere coinvolto in attività terroristiche: questo è un altro modo in cui i palestinesi vengono puniti collettivamente dall’esercito israeliano. È completamente fuori dal loro controllo, basta solo che si trovino in una situazione in cui un membro della famiglia o un amico o qualcuno nel loro edificio sia coinvolto in attività che Israele considera terroristiche. In che modo a palestinesi innocenti è stata cambiata la vita: negandogli la libertà di movimento.

***

A volte in ufficio mi annoiavo, quindi scrivevo un numero a caso nella ricerca degli ID dei palestinesi e guardavo cosa usciva fuori. Potevo vedere tutto delle loro vite: famiglie, dettagli degli spostamenti, del loro lavoro.

La pubblicazione delle testimonianze ha avuto una certa eco sulla stampa israeliana e internazionale. Il quotidiano israeliano Haaretz ha scritto che “il fattore dell’umiliazione è un altro dei mezzi utilizzati dal governo ostile di una giunta militare. Si legge dentro e tra le righe del fascicolo [di Breaking the silence], nell’arabo stentato pronunciato dai soldati agli sportelli di accoglienza per i palestinesi, il trattamento sprezzante anche nei confronti di chi è vecchio quanto i loro nonni e le loro nonne: nell’assegnare acqua ai coloni a spese di una comunità palestinese, nella revoca all’ingrosso dei permessi di movimento. L’umiliazione dell’altro è parte inseparabile della violenza burocratica – assassina dell’anima, del tempo e della speranza – che noi ebrei israeliani, essendo gli espropriatori di un popolo della sua terra, abbiamo trasformato in una forma d’arte. Usiamo il potere degli editti che abbiamo composto, le leggi, le procedure e le sentenze di onorevoli giudici per abusare continuamente delle altre persone. L’Amministrazione Civile non ha inventato il sistema, ma è la punta di diamante e la lancia di questa violenza burocratica”.

Il quotidiano inglese The Guardian ha scritto che “il sistema tentacolare del governo militare creato dall’occupazione israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza è un mondo che israeliani stanno conoscendo per la prima volta, dopo la pubblicazione di testimonianze di veterani che denunciano il regime dei permessi che governa il popolo e la terra palestinesi”.

In un comunicato stampa il COGAT ha risposto alle testimonianze raccolte da Breaking the silence affermando che non esistono dubbi sull’integrità dell’organizzazione e del suo staff e che casi di violazione delle procedure sono delle eccezioni e non riflettono le pratiche della Civil Administration. Pagine Esteri

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Ucciso da droni Usa il capo di Al Qaeda Ayman al Zawahiri


E' stato colpito a Kabul. Joe Biden: giustizia è fatta. Proteste dei Talebani: è una violazione dell'accordo di Doha. Con ogni probabilità sarà sostituito da Saif al-Adel, uno dei fondatori di Al Qaeda. L'articolo Ucciso da droni Usa il capo di Al Qaeda

della redazione

(Ayman al Zawahiri e Osama bin Laden nella foto di Wikimedia Commons)

Pagine Esteri, 2 agosto 2022 – Il leader di Al Qaeda, Ayman al Zawahiri, è stato ucciso durante un raid aereo condotto dalla Cia con alcuni droni a Kabul, in Afghanistan, domenica 31 luglio. La notizia data inizialmente dai media Usa è stata confermata dal portavoce dei Talebani al potere in Afghanistan, Zabiullah Mujahid. Il raid è avvenuto nel quartiere di Sherpur, nel centro della capitale afghana e ha avuto come bersaglio una abitazione residenziale. Zawahiri, egiziano, medico e uno dei capi del Jihad nel suo paese durante gli anni ’80, aveva preso la guida di Al Qaeda in seguito all’assassinio di Osama bin Laden il 2 maggio 2011 ad Abbottabad, in Pakistan, sempre da parte degli Usa. Con ogni probabilità sarà sostituito da Saif al-Adel, uno dei leader di Al Qaeda sin dai suoi primi giorni.

L’attacco di droni è il primo condotto dagli Usa in Afghanistan dopo quello di un anno fa durante il ritiro americano dal Paese in cui furono uccisi 10 civili a Kabul. I Talebani hanno condannato il raid affermando che è una violazione delle intese di Doha firmate con gli Stati Uniti che prevedevano il ritiro di tutte le forze americane dall’Afghanistan. Le intese comprendevano anche l’impegno degli islamisti di impedire ad Al Qaeda di utilizzare di nuovo il suolo afghano per pianificare attacchi ma non l’espulsione di Al Qaeda.

Nel 2001, Zawahiri, come Osama bin Laden, era fuggito dalle forze statunitensi di occupazione dell’Afghanistan e dove si trovasse è rimasto un mistero. Braccio destro di bin Laden ai tempi dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, il medico egiziano in tutti questi anni ha continuato nell’ombra a guidare l’organizzazione. Figura meno carismatica di bin Laden, considerato il “teorico” di Al Qaeda, Zawahiri ha dovuto fare i conti non solo con la caccia che gli Usa gli hanno dato per oltre venti anni ma anche con la scissione interna che ha dato vita all’Isis, lo Stato islamico, in sfida diretta alla sua autorità.

Sulla sua uccisione è intervenuto qualche ora fa Joe Biden. “Ora giustizia è fatta – ha detto il presidente americano – e il mondo non dovrà più temere questo pericoloso terrorista: ancora una volta, abbiamo dimostrato di essere capaci e determinati a difendere i nostri cittadini da chi vuole farci del male”. Biden ha spiegato che la Cia aveva localizzato Zawahiri quest’anno, dopo che si era spostato a Kabul, in Afghanistan, per riunirsi con i suoi familiari. “Dopo attente valutazioni e verifiche, ho autorizzato la sua eliminazione: l’operazione è stata un successo, senza vittime tra i suoi familiari o altri civili”, ha detto Biden, aggiungendo che gli Stati uniti continueranno “a vigilare, e a fare tutto il necessario per proteggere i nostri cittadini in patria e in tutto il mondo”. Pagine Esteri

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Frammenti #03 - 9 agosto 2022


Roomba e home as a service (non avrai niente e sarai felice), INPS, INAIL e ISTAT formano una nuova software house per dominare il welfare.

Roomba e “home as a service”


In questi giorni Amazon ha annunciato di voler acquistare per 1.7 miliardi di dollari iRobot Corp., l’azienda che produce il famoso Roomba, il robottino che da anni pulisce la casa di milioni di persone (e non bisogna neanche pagargli i contributi).

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Perché Amazon vorrebbe spendere una somma così enorme per acquistare un’azienda che produce elettrodomestici? Il motivo possiamo trovarlo in un’affermazione del CEO di iRobot:

“The vacuum cleaners and the other devices are hands and eyes and appendages of the home robot. Ultimately, this smart home of the future isn’t controlled by you cell phone. If you have 200 devices, you’re not going to turn them on by pulling out your cell phone. We need a home that programs itself, and you just live in your home, and the home does the right thing based on understanding what’s going on.”

Il Roomba, e molti altri ingegni della robotica, non sono più semplici elettrodomestici, ma appendici di un ecosistema informativo molto più ampio, che andrà a definire le “smart home” del prossimo futuro: una casa che vive nel Cloud, con aggiornamenti software, bug fixes, e sistemi decisionali automatizzati che - in teoria - dovrebbero renderci la vita più confortevole.

I dati sono ovviamente la linfa vitale di un ecosistema del genere, ed ecco allora che il Roomba (e altri dispositivi) diventano gli occhi e le orecchie di centinaia di aziende che forniscono i servizi necessari a far funzionare il tutto. Il Roomba non si limiterà a pulire, ma fornirà una scansione in tempo reale e sempre aggiornata della nostra casa, che magari poi potrà essere usata per suggerirci e venderci miglioramenti, rinnovamenti e tanto altro. Insomma, un’altra dimensione della profilazione e dell’advertising.

A questo deve aggiungersi poi una questione etica, che si collega al movimento progressista del “Great Reset”: che succede quando la nostra casa diventa un servizio in Cloud? Che succede quando ciò di cui prima potevamo disporre in quanto proprietari di una casa e dei mobili ed elettrodomestici che la compongono diventa invece un agglomerato di servizi ad abbonamento?

You’ll own nothing and you’ll be happy, dicevano.

Quando tutto sarà un servizio in abbonamento, quando anche la casa diventerà “home as a service”, potremo davvero dire di essere proprietari e liberi di disporre dei nostri beni? Il discorso non vale solo per le case, ma anche e soprattutto per le città in cui viviamo, che qualcuno vorrebbe far diventare “smart” allo stesso modo.

Quanti di voi hanno un Roomba?

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INPS, INAIL e ISTAT formano una software house


Pare che nel 2023 INPS, INAIL e ISTAT si metteranno insieme con le rispettive competenze (?) per creare una software house che promette di fatturare 1 miliardo di euro fin dal primo anno (facile così).

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La software house fornirà servizi ai tre enti, a Palazzo Chigi e al Ministero del Lavoro. Su un articolo di Wired si legge che:

“Ogni servizio che i governi ci chiedono di implementare deve essere progettato guardando all'esperienza utente, che sia cittadino, azienda o intermediario. Puntiamo alla omnicanalità: diamo la possibilità di scegliere le modalità di accesso, digitale, via app o agli sportelli, grazie anche alla forte collaborazione con i patronati e i commercialisti. Con la pandemia ci siamo resi conto di non essere il centro del mondo e che servono sinergie forti per dare le giuste risposte perché il vero servizio digitale non lo può fare una sola amministrazione”.


Lo scopo sarà quindi riunire i sistemi software dei tre enti per migliorare l’efficienza. La principale implicazione di tutto questo è che la neonata software house 3-I sarà un soggetto accentratore e aggregatore di miliardi di dati che oggi viaggiano su binari separati tra INPS, INAIL e ISTAT e spesso vengono trattati da soggetti esterni.

L’accentramento di dati, specie nelle mani dello Stato, non è mai una buona idea; si creano rilevanti asimmetrie informative e (quindi) di potere e aumentano i rischi di utilizzo secondario dei dati, grazie alla maggiore disponibilità degli stessi da parte di un singolo accentratore. È ciò che ha fatto la fortuna di Google e Facebook, ed è il motivo per cui oggi godono di tale potere economico e politico. Non vedo per quale motivo gli stessi principi non debbano valere nei confronti dello Stato.

Oltre a questo evidente rischio, la rinnovata efficienza sarà senza dubbio un ottimo pretesto per centralizzare e uniformare tutti i sistemi statali, a partire proprio dai sistemi di erogazione dei bonus e servizi di welfare statale. Colao ne parlava qualche settimana fa, collegandoli alla necessità di sviluppare un sistema di identità digitale nazionale.

Credo quindi che la nuova software house sia una scelta strategica molto precisa per mettere in atto una rivoluzione digitale statale ben più ampia di ciò che passa negli articoli di giornale, che ci porterà sempre più vicini verso identità digitale e poi social scoring.

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Meme del giorno


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Citazione del giorno


“The smallest minority on earth is the individual. Those who deny individual rights cannot claim to be defenders of minorities.”
― Ayn Rand


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Stati Uniti – Israele: accomunati da un insolito vizietto nel nero mare d’agosto


Non accusati, non processati, non condannati: uccisi. E' la fine che da Gaza all'Afghanistan attende i 'nemici' di Washington e Tel Aviv (non Gerusalemme, prego)

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L’infaticabile Emmanuel ZIMMERT ha appena aggiunto due nuove app online ai servizi liberi di La Digitale: si tratta di Digicut e Digitranscode.

Il primo permette di tagliare un estratto da un file audio o video utilizzando il solo browser,
il secondo permette di convertire file audio e video in diversi formati, sempre dal browser.
L’interfaccia è solo in francese, ma i comandi sono talmente semplici che sono comprensibili anche in questa lingua, si parte sempre dalla scelta di un file sul nostro computer (Sélectionner un fichier).

Per festeggiare questa doppia uscita agostana ecco una traduzione a/al caldo delle due brevi guide all’uso. I due documenti sono distribuiti con licenza Creative Commons BY-NC-SA.

I testi originali si trovano qui:
ladigitale.dev/blog/digicut-po…
ladigitale.dev/blog/digitransc… e

È sempre bene ricordare che gli strumenti di La Digitale sono messi a disposizione gratuitamente e sono finanziati in modo partecipativo, è possibile sostenere il progetto utilizzando questa pagina: opencollective.com/ladigitale

Digicut, per tagliare un estratto da un file audio o video


di EZ
5 agosto 2022 - 3 minuti

Digicut è un'applicazione online che permette di tagliare un estratto da un file audio (.mp3, .wav, .m4a, .ogg, .flac, .aac, .wma) o da un video (.wmv, .avi , . webm, .mkv, .ogm, .mp4, .m4v, .mov, .flv) in diversi formati.
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Digitranscode, per convertire file audio e video


di EZ
5 agosto 2022 - 3 minuti


Digitranscode è un'applicazione online che converte file audio (.mp3, .wav, .m4a, .ogg, .flac, .aac, .wma) e video (.wmv, .avi, .webm, .mkv, .ogm, .mp4, .m4v, .mov, .flv) in diversi formati.
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#PNRR, al via il “Piano Scuola 4.0”: uno stanziamento di 2,1 miliardi di euro per trasformare 100.000 classi tradizionali in ambienti innovativi di apprendimento e creare laboratori per le professioni digitali del futuro negli istituti scolastici del…
#pnrr


Tiene la tregua fra Israele e il gruppo militante della Jihad Islamica che ha portato al cessate il fuoco nella Striscia di Gaza dopo tre giorni di violenze e 44 palestinesi morti.


Kenya: al voto per un cambiamento impossibile


Economia al centro dell'attenzione, con i giovani orfani di programmi di lavoro. La voglia di cambiare è svanita

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L’insicurezza energetica e alimentare sopravviverà alla guerra in Ucraina


È molto probabile che un regime di prezzi elevati del petrolio persista nel medio termine (cioè nei prossimi anni) con sanzioni ancora più severe sulla fornitura di petrolio, carbone e prodotti petroliferi russi. Ugualmente colpita dalla guerra è la produzione e la fornitura di grano, mais, orzo e olio commestibile dall’Ucraina. Una prospettiva a lungo [...]

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La visita di Pelosi potrebbe far deragliare il compromesso USA-Cina su Taiwan


C’è molta colpa per l’apparente quarta crisi dello Stretto di Taiwan dell’agosto 2022. La politica statunitense intensamente partigiana ha preso l’ordine internazionale liberale per una corsa pericolosa. Le politiche sempre più nazionalistiche in Cina hanno prodotto un comportamento di politica estera assertivo e nell’era dei social media, le emozioni in tutto il Pacifico stanno ribollendo. [...]

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Ucraina, Taiwan e Iran: la crisi a tre fronti che Biden deve evitare


Gli americani sono stanchi, in disaccordo con se stessi e incapaci di gestire più intrecci stranieri, tanto meno la catastrofe su tre fronti che incombe davanti a noi. Eppure eccoci qui, con gli Stati Uniti che potrebbero affrontare una guerra prolungata in Ucraina che rischia di degenerare in un confronto diretto USA-Russia, il crollo dell’accordo [...]

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in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

Purtroppo la sua più grande forza sta nella quantità di utenti ridicolmente alta che possiede. Nom usando instagram a volte me lo scordo, ma è il biglietto da visita/vetrina della maggior parte delle persone, giovani soprattutto.

Quando ci si conosce ci si aggiunge su instagram, se ti piace il tipo/a assedi il suo account e guardi le storie ecc.

Per cui sì, può fare schifo e permettersi di farlo.



Anti-americanismo e propaganda russa in Grecia


La politica estera del governo greco nei confronti della Russia ha suscitato reazioni nei partiti parlamentari politicamente opposti e nell’opinione pubblica. Le reazioni variano: dai sentimenti antiamericani dei partiti di sinistra e di estrema destra; forse nel tentativo di ottenere vantaggi politici. In questo contesto, la propaganda russa ha trovato ancora una volta il modo [...]

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Elezioni in Kenya: 5 motivi per cui i Paesi vicini le guardano da vicino


Il Presidente del Kenya Uhuru Kenyatta – il cui mandato scade dopo le urne del 9 agosto – è stato una figura chiave nell’Africa orientale. Negli ultimi nove anni ha cercato di creare mercati e affrontare questioni come la pace, la malaria e il cambiamento climatico. All’interno della Comunità dell’Africa orientale, ha segnato la fine [...]

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Kenyans will soon head to the polls to elect a new President. Elections have always been a delicate moment for the country, sparking fierce contestations.


La visita di Pelosi a Taiwan e i limiti della strategia americana


È tempo che i leader americani smettano di inquadrare la politica internazionale come una competizione tra democrazie e autocrazie

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F-35 italiani alle esercitazioni israeliane “Lightning Shield”


Dieci giorni fa una delegazione militare israeliana è stata ricevuta a Roma dove si è incontrata con il segretario generale della difesa e direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Portolano L'articolo F-35 italiani alle esercitazioni israeli

di Antonio Mazzeo –

Pagine Esteri, 28 luglio 2022 – Quattro cacciabombardieri F-35 dell’Aeronautica militare italiana sono in Israele per partecipare a una complessa esercitazione aerea nel deserto del Negev con i velivoli “cugini” delle forze armate israeliane utilizzati nei bombardamenti in Siria.

Il comando dell’Israeli Air Force ha reso noto che martedì 23 luglio ha preso il via nel sud di Israele l’esercitazione bi-nazionale Lightning Shield (letteralmente Scudo di Fulmine). Le attività addestrative avranno la durata di una settimana e vedono la partecipazione di un imprecisato numero di cacciabombardieri F-35I “Adir” del 118th Lions dello Squadrone Sud e del 140th Golden Eagle Squadron dell’Aeronautica israeliana e quattro caccia F-35 del 13° Gruppo Volo del 32° Stormo dell’Aeronautica italiana di stanza nello scalo aeroportuale di Amendola (Foggia). Tutti i velivoli sono stati trasferiti nella base aerea di Nevatim (denominata in codice Air Force Base 28), localizzata nei pressi della città di Be’er Sheva nel deserto del Negev.

All’esercitazione partecipa anche il 122nd Nachshon Squadron israeliano, reparto d’eccellenza delle più moderne guerre elettroniche, che opera con gli aerei “Gulfstream G-500” nelle tre varianti Eitam (CAEW) Shavit (intelligence) e Oron (l’ultima acquisita dall’Israeli Air Force che ha enormemente potenziato le capacità di intelligence, sorveglianza e riconoscimento). Come sottolinea il sito specializzato The Avionist, gli italiani “hanno una grande familiarità con questi aerei dato che l’Aeronautica militare utilizza la variante CAEW”. Tra l’altro proprio un Gulfstream G-500 del 14° Stormo di Pratica di Mare, con una sofisticata apparecchiatura elettronica a bordo di produzione israeliana, viene impiegato quasi con frequenza quotidiana per operazioni top secret nel Mar Nero e in Est Europa dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina.

“L’esercitazione Lightning Shield rappresenta una pietra miliare nella continua collaborazione tra le nostre forze armate, mentre rafforza il legame unico tra le nostre nazioni”, riporta in un tweet l’Aeronautica israeliana. “Essa contribuirà inoltre a migliorare le competenze dell’F-35 “Adir” e a espandere le sue capacità a possibili scenari operativi”. L’Israeli Air Force non fornisce altri particolari sulle finalità addestrative di Scudo di fulmine, ma come rileva ancora The Avionist è prevedibile che l’esercitazione sia stata pianificata in vista dell’impiego dei cacciabombardieri in “un’ampia varietà di teatri operativi”, dato che l’F-35 è considerato “un aereo multiruolo contro differenti minacce aeree e terrestri avanzate”.

La versione “Adir”, nota anche come The Mighty One (Il Potente) è unica nel suo genere tra i cacciabombardieri F-35 di quinta generazione adottati da nove paesi e che sono in grado di svolgere gli strike con armi nucleari. Israele ha sottoscritto un accordo con Lockheed-Martin, l’holding statunitense che ha prodotto i velivoli da guerra, per ottenere modifiche specifiche all’architettura del caccia, ai sistemi di comunicazione e intelligence e alle suite per la guerra elettronica, con l’aggiunta di pod per il lancio di missili aria-aria.

“Fino ad oggi Israele rimane l’unica nazione che ha utilizzato l’F-35 Lightning II in operazioni di combattimento”, scrive l’analista Maya Carlin del Center for Security Policy di Washington. “Nel 2018 I’Aeronautica militare israeliana ha impiegato la sua flotta di F-35I Adir per portare a termine una serie di attacchi aerei in Siria. Il generale Amikam Norkin ha inoltre dichiarato che l’Israeli Air Force sta volando con gli F-35 in tutto il Medio oriente e ha anche attaccato un paio di volte in due differenti fronti, senza però aggiungere altri dettagli”.

Sempre secondo l’analista Maya Carlin, anche se Israele non ammette che Lightning Shield è diretta contro le minacce che potrebbero giungere dall’Iran, è “però certo che l’Aeronautica vuole perfezionare le capacità necessarie a potenziali situazioni di guerra con il principale paese nemico”. Carlin aggiunge che lo scorso mese di maggio Israele ha svolto un’esercitazione lunga un mese in cui sono stati simulati attacchi contro l’Iran con l’impiego di armi nucleari. “L’attività addestrativa congiunta israelo-italiana Lightning Shield svilupperà ulteriormente e perfezionerà le qualità dei caccia dell’Israeli Air Force”, conclude l’analista del Center for Security Policy.

Nel giugno 2021 sei cacciabombardieri F-35 israeliani hanno partecipato all’esercitazione aeronavale Falcon Strike nei cieli dell’Italia meridionale, congiuntamente ai velivoli di guerra delle aeronautiche di Italia, Stati Uniti d’America e Regno Unito. I velivoli dell’Israeli Air Force furono trasferiti ad Amendola insieme ad alcuni cacciabombardieri F-16 A/B del 116th Squadron e a un G550 del 122th Squadron. Falcon Strike ha avuto come obiettivo centrale “l’integrazione degli aerei da guerra di quarta e quinta generazione così come lo sviluppo della cooperazione tra le forze aeree partner per sviluppare l’interoperabilità durante le operazioni”, come ha riferito lo Stato maggiore dell’Aeronautica italiana.

Lightning Shield prende il via nel Negev dieci giorni dopo la visita in Italia di una delegazione del ministero della difesa israeliano guidata dal generale Amir Eshel, direttore generale del ministero della difesa, già comandante in capo dell’Aeronautica militare dal 2012 al 2017. A Roma gli israeliani si sono incontrati in particolare con il segretario generale della difesa e direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Portolano. “Gli incontri si sono svolti in un clima di reciproca stima e collaborazione e hanno permesso di consolidare ulteriormente le già eccellenti relazioni in atto tra Italia e Israele, con particolare riferimento al rafforzamento della cooperazione industriale, attraverso la condivisione di nuove aree di collaborazione da sviluppare con il pieno coinvolgimento delle rispettive Forze Armate”, scrive l’ufficio stampa della Difesa. “Il costante dialogo strategico tra le parti ha inoltre permesso di confrontarsi in modo schietto, sincero e proficuo sul tema delle sfide imposte dagli attuali scenari di crisi internazionale e sul contesto in cui le parti intendono cooperare”. Pagine Esteri

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L’invasione russa mette a rischio il futuro delle foreste ucraine


L’invasione russa dell’Ucraina ha innescato il più grande conflitto armato d’Europa dalla seconda guerra mondiale e ha inflitto danni catastrofici alla nazione più grande del continente. Oltre allo sbalorditivo bilancio umano ed economico della guerra di Putin, l’Ucraina sta affrontando anche una crisi ecologica con le foreste del Paese particolarmente a rischio. La minaccia più [...]

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Cina: Tiangong, il ‘Palazzo Celeste’ fonte di guai


Anche stavolta è andata bene. Anche stavolta un razzo cinese non ha fatto danni precipitando a Terra. Il Long March 5b -880 tonnellate al lancio- partito il 24 luglio scorso dalla base spaziale di Wenchang per portare in orbita il modulo Wentian della stazione spaziale Tiangong -il Palazzo Celeste– dopo aver completato la sua missione [...]

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Michele Salvati e Roberto Dilmore – Liberalismo inclusivo


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É il momento di una lista liberal-democratica


Basta alibi e ranconri É il momento di un cartello liberale Ora non c’è più tempo da perdere. Non ci sono più alibi. Carlo Calenda e Matteo Renzi diano vita ad una lista che oggi darà voce all’area liberal-democratica e domani sarà il nucleo fondante di u

Basta alibi e ranconri

É il momento di un cartello liberale

Ora non c’è più tempo da perdere. Non ci sono più alibi. Carlo Calenda e Matteo Renzi diano vita ad una lista che oggi darà voce all’area liberal-democratica e domani sarà il nucleo fondante di un partito che rappresenti in Italia quanto ALDE e RENEW rappresentano in Europa:


L’opzione del centro liberale. Solo così l’Italia può rientrare nel sistema politico europeo, che non contempla il falso bipolarismo centro-destra contro centro-sinistra.

Ha ragione Matteo Renzi a ribadire ancora oggi che quella del terzo polo è una opportunità straordinaria. Non c’è davvero spazio per inutili risentimenti, bisogna velocemente riprendere la strada interrotta dalla decisione di Calenda di realizzare un accordo con il Partito democratico di Enrico Letta. Tra l’altro c’è il vantaggio di poterlo fare senza il freno a mano tirato da +Europa, che sin da subito ha evidenziato di preferire un accordo col Pd piuttosto che dar vita a un centro liberale autonomo dai due poli di destra e sinistra.

Si apre invece una straordinaria opportunità: mettere insieme anche in Italia i partiti e i movimenti che in tutti i paesi e nelle istituzioni europee rappresentano il mondo liberal-democratico e che non stanno né con il PSE né con il PPE. Si tratterebbe della realizzazione politica del progetto squisitamente culturale al quale la Fondazione Luigi Einaudi lavora da anni, fianco a fianco con le altre fondazioni liberali presenti e operanti in tutti i paesi europei.

Probabilmente Calenda ha visto i sondaggi e ha capito che gli elettori liberali non avrebbero premiato la scelta di accordarsi con il Partito democratico ma anche con Sinistra Italiana, con i Verdi italiani (perché i Verdi in Europa sono ben più liberali e pragmatici di quelli italiani che restano ancorati a posizioni in auge negli anni ottanta) e con tutti gli altri partiti di sinistra che Enrico Letta sta provando a mettere insieme senza alcuna linea programmatica comune e al solo scopo di provare a depotenziare la vittoria della destra.

A questo proposito è bene forse rammentare che tutti i partiti politici italiani si muovono con decisione all’interno dei dettati della nostra Costituzione. Nel 2022 sarebbe davvero ridicolo affiancare alla figura di Giorgia Meloni il pericolo fascista. Neppure a noi piacciono le posizioni di Orban e ci terrorizza l’idea che la Russia di Putin possa influenzare la nostra politica nazionale e internazionale, ma siamo fermamente convinti che tutti i leader che oggi ambiscono a guidare il Paese, da Enrico Letta a Giorgia Meloni, sapranno tenere senza tentennamenti l’Italia dentro il perimetro dell’Alleanza Atlantica.

Bene ha fatto Carlo Calenda a riconoscere i propri errori e alzare le vele in mare aperto. Non allearsi in fase elettorale con nessuno dei due poli e fare da calamita dei voti di un elettorato moderato sbandato e senza più riferimenti, è compito esaltante. La presenza in Azione di tanti esponenti moderati, da Mariastella Gelmini a Mara Carfagna ad Andrea Cangini, come l’appello di molti amministratori, guidati da Gabriele Albertini, già apprezzato sindaco di Milano, dimostrano le enormi potenzialità di un centro liberale (né Popolare né Socialista) che voglia essere tale non solo nella fase elettorale.

Perché il punto è proprio questo: il futuro e la coerenza della proposta politica. Gli elettori sentono a fiuto se una operazione è solo elettoralistica oppure se ha una prospettiva di più ampio respiro e di più lunga visione. Su temi determinanti come la giustizia, l’ambiente, i giovani, la scuola, il lavoro e la ricchezza, dettaglio non secondario, da creare prima ancora di poterla distribuire, è necessario offrire agli elettori italiani delle proposte chiare, in linea con quelle rappresentate in Europa dai liberali. Lo Stato, come amava ripetere Luigi Einaudi, deve essere presente nella vita del Paese per garantire ai cittadini l’uguaglianza dei punti di partenza non il livellamento a scapito delle qualità e del merito.

Il problema non è quello di garantirsi un seggio in più o in meno, ma di vivere e crescere anche oltre la fase elettorale. Insomma di dar vita ad un vero partito liberale europeo non personalistico. Questa è la sfida che aspetta i rappresentanti di questo mondo e alla quale la Fondazione Luigi Einaudi è pronta a fornire supporto culturale e sostegno ideale.

Il Tempo

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Elezioni 2022: astensionismo, primo partito italiano nelle urne del 25 settembre


Previsioni, motivazioni e ambiti di incertezza ancora da sciogliere, nelle opinioni della demoscopia italiana. Osservatorio sulla comunicazione pubblica IULM proporrà, ad inizio di settembre, un profilo dei dati e delle previsioni agli studenti chiamati (alcuni per la prima volta) al voto

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione, l'ultimo prima della pausa estiva.

🔸 Covid-19: pubblicate le indicazioni operative per le scuole del primo e del secondo ciclo d'istruzione per l’a.s.



Taiwan: che fanno tutte quelle navi grigie in mezzo al mare?


Tutto quello che c'è da capire e da sapere su quanto sta accadendo attorno a Taiwan: la grande esercitazione aero-navale cinese, denominata 'operazione militare mirata'

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Non scostarsi


Si diventa leader, si prende la guida di un gruppo o di una collettività, non solo per capacità personali, pur necessarie, ma perché si riesce a interpretare un bisogno, a coprire un vuoto, a sentire da che parte soffia il vento della storia. Fuori da que

Si diventa leader, si prende la guida di un gruppo o di una collettività, non solo per capacità personali, pur necessarie, ma perché si riesce a interpretare un bisogno, a coprire un vuoto, a sentire da che parte soffia il vento della storia. Fuori da questo ci sono dei caporali che hanno preso la giacca del generale, due o tre taglie sopra la loro.

Il che porta a un altro aspetto, che da troppo tempo è dimenticato e arrogantemente negato: per governare, in una democrazia, serve avere la maggioranza parlamentare, quindi essere riusciti, alle elezioni, ad ottenere, da soli o con alleati, la maggioranza assoluta degli eletti, altrimenti il nuovo governo si dovrà negoziarlo anche con gli avversari di ieri. Come è puntualmente e ripetutamente accaduto.

La maggioranza parlamentare, però, è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Per governare occorre creare consenso attorno alle misure che si adottano. Governare non è comandare, semmai condurre.

È bastato che il Presidente del Consiglio dovesse tornare in conferenza stampa, a illustrare dei provvedimenti, per far subito risaltare una distanza inquietante dal modo in cui si esprimono le voci della campagna elettorale.

Non è una questione di titoli di studio o di frequentazioni internazionali, tutto sommato neanche solo (ma un po’ sì) di curriculum. La piaggeria ci provoca allergie e il qualunquismo demagogico peggio. È una questione di sostanza, di contenuti.

Le misure a sostegno di famiglie e imprese, per contrastare l’inflazione, non saranno mai abbastanza. Tanto che si dovrebbe anche piantarla con l’inseguimento delle promesse. Draghi, però, illustrando quel che è stato predisposto, ha sottolineato che quella spesa è resa possibile dalla crescita del pil e senza scostamento di bilancio.

Questo è il punto. Lì si trova il linguaggio della trasparenza (non faremo spese che sfondino il deficit, già alto), della concretezza (seno possibili perché cresciamo) e della serietà (non promettiamo quel che sappiamo di non potere mantenere). Girata pagina di giornale si trovano promesse di stipendi, pensioni, sovvenzioni, protezioni. La fiera dell’incredibile e dell’insostenibile.

La Banca centrale inglese annuncia la recessione (alla faccia di Brexit propellente) e il rialzo dei tassi, la crescita globale resta bassa, quella di diversi europei ritoccata al ribasso e la nostra al rialzo. È in questo che si vede la differenza e si misura la distanza. Ora che succede? Si vedono nubi.

Ci siamo già profusi in lodi verso Guido Crosetto, esponente di Fratelli d’Italia, per la sua proposta di un patto fra avversari. Poi è andato oltre: certe nostre avversità al Pnrr sono state un frutto di <<eccessiva pignoleria>>, mentre <<in autunno avremo bisogno dell’aiuto dell’Europa>> (si chiama sempre Unione europea).

Vero. Perché abbiamo un debito troppo alto e il rialzo dei tassi è un problema. Questo, però, andrebbe ricordato a tutti, perché sia a destra che a sinistra si chiedeva a Draghi lo scostamento di bilancio, che avrebbe peggiorato tutto subito.

Devono dirlo, sia quelli che sperano di governare in continuità sia quelli che sperano di trovare nell’agenda Draghi quel che non elaborano autonomamente (quel modo di governare è un metodo, l’agenda non si usa più). Torniamo a lodare Crosetto, ma nelle sue parole troviamo una terribile voragine: non siamo noi di Fratelli d’Italia che abbiamo cambiato idea sull’Ue, e l’Ue del Pnrr (semmai di NGEU) a non essere più <<quella che strangolò la Grecia>>.

La Grecia è stata salvata, noi stessi, come gli altri Paesi europei, ci abbiamo messo soldi, il debito insensato è stato spalmato nei decenni, con lo spread domato come quello italiano e con i greci che hanno votato a favore.

Il giochino di conservare i voti di quelli cui si raccontò che l’Ue era l’inferno contro la nostra sovranità e, al tempo stesso, convincere quelli che sanno essere il solo argine per conservare la sovranità, è misero. Per quello la distanza si vede. Grande.

La Ragione

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Il voto inutile | La Fionda

"Le politiche di smantellamento del pubblico (mancati investimenti in servizi ed infrastrutture, blocco del turn over, aziendalizzazione dei saperi e dela salute), tagli al welfare, privatizzazioni selvagge e precarizzazione del lavoro portano la firma alternata di centro-sinistra e centro-destra.
Le politiche antimigratorie e razziste, le guerre della Nato e degli USA (dai Balcani, all’Iraq…, passando per la Libia all’Ucraina) hanno visto come protagoniste le stesse forze."

lafionda.org/2022/08/08/il-vot…



A Gaza è negato il diritto alla vita: intervista al dottor Angelo Stefanini


Un resoconto sulla situazione sanitaria a Gaza del medico volontario del Soccorso Medico per i Bambini Palestinesi (Pcrf), già docente presso l’Università di Bologna e rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nei Territori Occupati, al rie

di Valeria Cagnazzo*

Pagine Esteri, 8 agosto 2022 -E’ rientrato da poco in Italia dalla sua ultima missione a Gaza per conto della Onlus PCRF (Soccorso Medico per i Bambini Palestinesi) il dottor Angelo Stefanini. Esperto di Salute Internazionale, il volontario porta avanti con l’organizzazione un progetto di salute pubblica volto al rafforzamento dei servizi sanitari di base nella Striscia di Gaza, realizzato grazie al supporto dell’Otto per mille Valdese e del Centro di Salute Globale della Regione Toscana, in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Ha lasciato Gaza pochi giorni prima che Israele avviasse la sua nuova campagna militare sul territorio occupato, nota questa volta come Operazione Alba, che ha già provocato almeno 31 vittime.

Stefanini ha lavorato dal 1978 al 1986 in ospedali rurali e in programmi di salute pubblica in Africa. Ha insegnato alle università di Leeds, di Makerere in Uganda e, dal 1997 al 2015, è stato docente presso l’Università di Bologna. Nei Territori Palestinesi Occupati è stato nel 2002 rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e, dal 2008 al 2011, responsabile del programma sanitario italiano. Nel 2007 ha ricoperto il ruolo di Team leader di un progetto dell’Unione Europea di assistenza tecnica a Damasco, Siria. Nel 2006 ha fondato il Centro Studi e Ricerche in Salute Internazionale e Interculturale dell’Università di Bologna, che ha diretto fino al suo pensionamento nel 2015. Dallo stesso anno, presta servizio volontario per il PCRF.

Lei è di recente rientrato dalla Striscia di Gaza, dove si occupa del progetto di salute pubblica della Onlus di cui è volontario, il PCRF. Ha incontrato medici e dirigenti del Ministero della Sanità di Gaza e visitato gli ospedali del territorio. Che situazione ha trovato?

Difficile e azzardato per me dare un giudizio sulla situazione generale (per quanto circoscritto al settore sanitario), anche perché in questa visita mi sono limitato a recarmi in centri sanitari governativi con cui collaboriamo e in fase avanzata di sviluppo del progetto. Quest’ultimo, più nel dettaglio, riguarda il rafforzamento del sistema informativo sanitario dei servizi di “primary health care” attraverso la fornitura di infrastrutture informatiche (l’hardware) e formazione sia tecnica che manageriale del personale locale. L’aspetto secondo me più appassionante di questa collaborazione sta nel fatto che il software, ossia l’insieme delle componenti immateriali del sistema informativo, è stato prodotto interamente e autonomamente con successo dai tecnici palestinesi del Ministero della salute. La visita di due dei centri sanitari già attrezzati e operativi è stata molto soddisfacente, pur dovendo accettare l’inevitabilità della debolezza della rete delle connessioni internet (controllate e prese di mira dalle aggressioni israeliane).

Lavora da molti anni per Gaza, sottoposta a un embargo internazionale dal 2007. A questo, nell’ultimo periodo si sono sommate le conseguenze della pandemia, quelle della guerra tra Russia e Ucraina, per non parlare delle ripetute operazioni militari di Israele sul territorio. Le autorità denunciano che Gaza non si è ancora ripresa dai bombardamenti del maggio 2021, proprio in questi giorni in cui dal cielo piovono di nuovo le bombe. Quanto è peggiorata la situazione negli ultimi due anni?

A un anno e mezzo dalla guerra, Gaza è frustrata dalla lenta ricostruzione. Solo 200 delle 1.700 unità distrutte sono state ricostruite a Gaza, secondo il Ministero dei Lavori Pubblici. Nel corso di giugno scorso molte organizzazioni hanno ricordato con rapporti di vario tenore i 15 anni dall’inizio dell’assedio da parte di Israele in violazione del diritto internazionale.

Dall’inizio del blocco, Israele ha lanciato quattro attacchi a Gaza (2008, 2012, 2014 e 2021). Queste escalation di violenza hanno peggiorato la già terribile situazione di Gaza. Migliaia di palestinesi sono morti nei bombardamenti israeliani, inclusi molti bambini. Decine di migliaia di case, scuole e edifici per uffici sono state distrutte. L’80% della popolazione di Gaza dipende per sopravvivere dagli aiuti internazionali.

Nel frattempo, la pandemia di COVID-19 continua a colpire il sistema sanitario sovraccaricato di Gaza, in particolare perché coincide con le barriere israeliane all’accesso sicuro ed equo ai vaccini; la mancanza di personale medico qualificato e specializzato e la persistente carenza di medicinali essenziali e usa e getta. Alla fine del 2021, il 40 percento dei farmaci essenziali e il 19 percento dei medicinali monouso erano a “zero scorte“, il che significa meno di un mese di fornitura disponibile presso il Central Drug Store di Gaza.

Il sistema sanitario di Gaza, già fragile a causa delle restrizioni di chiusura di Israele, è stato ulteriormente degradato durante l’offensiva militare israeliana del maggio 2021. A ciò vanno aggiunti gli attacchi alle strutture e al personale e restrizioni rigorose ai movimenti, che hanno gravemente compromesso l’accesso ai servizi sanitari sia all’interno che all’esterno di Gaza.

Quali strategie hanno messo in campo gli ospedali di Gaza per far fronte a situazioni estreme, quali l’elettricità disponibile per sole quattro ore al giorno e l’assenza di acqua potabile?

Per far fronte a situazioni estreme gli ospedali di Gaza non hanno che da rivedere continuamente le loro priorità in termini sia di accesso preferenziale a cure salvavita sia di “raschiare il fondo del barile” con l’utilizzo di personale demotivato e stremato. La carenza di elettricità proveniente dalla centrale istituzionale viene per quanto possibile contrastata con l’utilizzo di gruppi elettrogeni dipendenti dal combustibile la cui disponibilità Israele ovviamente provvede a rendere estremamente precaria. Lo stesso si può dire per la disponibilità di acqua potabile accessibile quasi esclusivamente in bottiglie preconfezionate. L’impianto di desalinizzazione inaugurato nel 2017 non è in grado di rispondere ai bisogni.

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Quali sono le possibilità di formazione per i medici e gli studenti di medicina a Gaza? Lei si occupa di salute pubblica e di servizi sanitari di base, ma qual è la disponibilità di cure specialistiche sul territorio?

La disponibilità di cure mediche specialistiche si è gradualmente ridotta in questi ultimi anni sia per la minore disponibilità di specialisti sia per la quasi assenza di opportunità di aggiornamento professionale per gli specialisti esistenti. L’esodo verso l’estero di molti medici specialisti da Gaza ha portato il Ministero della salute a chiudere diversi reparti medici e chirurgici nei più importanti ospedali di Gaza. Questo fatto è il maggiore responsabile dell’aumento delle richieste di trasferimento di pazienti bisognosi di trattamenti specialistici verso ospedali fuori dalla Striscia di Gaza (Israele, Gerusalemme Est occupata, Cisgiordania, e altri paesi esteri).

ll regime dei permessi israeliani pregiudica l’accesso all’assistenza sanitaria essenziale per migliaia di pazienti palestinesi vulnerabili e i loro accompagnatori ogni anno. La politica di chiusura e le relative restrizioni all’assistenza sanitaria derivano da un più ampio sistema di discriminazione che viene imposto collettivamente ai Palestinesi sulla base della nazionalità e dell’etnia, e serve a frammentare il popolo palestinese e i servizi a sua disposizione, come l’assistenza sanitaria.

Delle oltre 15 mila domande di permesso per accedere a cure specialistiche fuori da Gaza presentate tramite l’Ufficio di collegamento sanitario palestinese da pazienti della Striscia di Gaza nel 2021, il 63,4% è stato approvato, lo 0,5% è stato negato e il 36,1% è stato ritardato, senza ricevere una risposta definitiva entro la data della loro nomina in ospedale. Sono proprio questi ritardi che spesso significano una sentenza di morte.

I bisogni di trasferimento sono legati alle lacune critiche nella disponibilità dell’assistenza sanitaria, che hanno un impatto enorme nella Striscia di Gaza. Le tecnologie mediche essenziali come le strutture di radioterapia e la TAC non sono disponibili nella Striscia di Gaza. Nel frattempo, si registra una carenza di farmaci e forniture di lunga data: nel corso del 2021, il 41% dei medicinali essenziali e il 27% dei dispositivi medici essenziali monouso avevano scorte rimanenti per meno di un mese durante le scorte mensili della farmacia centrale di Gaza. In termini di risorse umane, esistono carenze per diverse specialità mediche tra cui medicina di famiglia, nefrologia, oftalmologia e cardiochirurgia.

Un rapporto delle Nazioni Unite del 2012 aveva come titolo “Gaza nel 2020. Un posto vivibile?” e prevedeva che nel giro di otto anni, a causa della scarsità di acqua potabile, di elettricità, di servizi sanitari, la Striscia sarebbe diventata un territorio inabitabile. Nel 2022, Gaza è abitata da oltre 2 milioni di persone, che vivono in condizioni di vita sempre più drammatiche. Dimostrano, dunque, che è possibile abitare un posto inabitabile? E cosa rende abitabile o meno un territorio?

La previsione delle Nazioni Unite è una realtà per molti palestinesi a Gaza, che vivono con livelli vertiginosi di disoccupazione, condizioni economiche disastrose e crescente insicurezza. Un conoscente a cui ho posto questa domanda mi ha risposto: “ We are alive for lack of death”, forse traducibile in “siamo vivi perché non possiamo morire”, quel “non possiamo” inteso sia che “la gente di Gaza resiste contro la morte per darla vinta a Israele”, ma anche che, ormai è risaputo, l’importazione di cibo a Gaza viene regolata da Israele seguendo una cosiddetta “lista rossa” che contiene le quantità di calorie e materiale nutritivo appena sufficiente a tenere in vita il palestinese medio. Come affermò nel 2006 un consigliere del primo ministro Ehud Olmert, la politica israeliana era concepita “per mettere a dieta i palestinesi di Gaza, ma non per farli morire di fame”.

Se Gaza non è abitabile, non si può neanche parlare di “salute”, se ci atteniamo alla definizione dell’OMS.

Certamente no. Gaza è l’esempio paradigmatico, la metafora perfetta dell’assenza dei diritti, a cominciare del diritto alla vita e alla salute.

Ha denunciato anche un drammatico aumento di pensieri suicidari tra i più giovani.

Uno studio di Save the Children ha rilevato che l’80% dei giovani di Gaza vive in uno stato di angoscia emotiva tra il blocco israeliano e i ripetuti attacchi militari. Nell’ultimo anno oltre la metà dei minori palestinesi ha pensato al suicidio.

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Durante il suo ultimo viaggio a Gaza, ha anche tenuto due seminari per il Ministero della Salute di Gaza. Uno di questi si intitolava “Gli aiuti malsani per la salute in Palestina”. Cosa intende con quell’aggettivo? Gaza subisce una condizione di forte isolamento da parte della comunità internazionale. Quando quei pochi aiuti che riceve si definiscono persino “malsani”?

Nonostante in passato mi fossi sempre concentrato su argomenti tecnici e con rilevanza locale, questa volta ho pensato (e ottenuto un faticoso assenso da parte della controparte palestinese) di offrire ai partecipanti, alti dirigenti del ministero della salute, una prospettiva più ampia delle questioni relative alla salute, nel tentativo di aiutarli a saltare virtualmente il muro che li tiene chiusi da oltre quindici anni impedendo loro di dare un’occhiata ai problemi globali solo apparentemente distanti dalla loro vita professionale e personale quotidiana.

La domanda che ho posto ai partecipanti per la discussione è stata: “Come mai abbiamo avuto un aiuto internazionale volto a sostenere il processo di pace israelo-palestinese e portare alla creazione di uno Stato palestinese e invece quello che è successo è una complessa frammentazione della Palestina che ha reso sempre meno plausibile la probabilità di una soluzione a due Stati?”

Il pensiero che ho loro presentato è che gli aiuti internazionali ai palestinesi sono uno strumento politico per limitare i danni creati da un problema politico che i Paesi donatori non osano affrontare. Perpetuando i difetti strutturali del settore sanitario, gli aiuti sono diventati una condizione essenziale per la sua sopravvivenza. Nonostante questa realtà, la tendenza è di “fare sempre più dello stesso”. Mentre è evidente che l’aiuto senza libertà di movimento per i palestinesi è ampiamente sperperato, i donatori si astengono dal fare pressioni su Israele sottovalutando l’effetto dell’occupazione israeliana sull’efficacia dell’aiuto. Tutto sommato come donatori siamo complici dello status quo.

I partecipanti al seminario sono rimasti d’accordo, pur con un sorrisino complice.

A proposito di aiuti internazionali, puntualmente quando inizia una nuova campagna militare su Gaza, come l’Operazione Alba, una parte della società civile si interroga su cosa si può fare. E’ ancora lecito, alla luce di quanto dice, chiedersi cosa potrebbe fare la comunità internazionale per aiutare la popolazione palestinese? Quali potrebbero essere alcune strategie di salute internazionale da mettere in campo, sul breve e sul lungo termine, per aiutare una terra “invivibile”?

Non esistono, secondo me, strategie di “salute internazionale” per aiutare la popolazione palestinese. Per aiutare la popolazione di Gaza dobbiamo smetterla: 1) di considerarla sempre e soltanto un problema umanitario, una continua “cronica” emergenza. Come ho scritto di recente , Gaza è un laboratorio in cui Israele sta sperimentando nuove regole, creando e mantenendo un problema umanitario per occultare quello politico. Sostituendo la politica con la compassione non si aiuta Gaza anzi le si fa violenza. 2) Di identificarla con Hamas. E’ ora di vederla per quella che è, fatta cioè di bambini, donne, uomini, famiglie, persino morti e sepolti, persone innocenti che sono padri o madri, sorelle o fratelli, figlie o figli.

Il nostro compito, il vostro compito di giornalisti deve essere quello di riportare Gaza nella sfera politica, di parlare di quello che succede a Gaza anche quando non viene bombardata, inserendola in una cornice giuridica internazionale (15 anni di blocco illegale!) e denunciando la crisi umanitaria esistente come sintomo e risultato dell’occupazione, della colonizzazione e dell’apartheid dell’intera Palestina.

*Valeria Cagnazzo (Galatina, 1993) è medico in formazione specialistica in Pediatria a Bologna. Come medico volontario è stata in Grecia, Libano ed Etiopia. Ha scritto di Palestina su agenzie online, tra cui Nena News Agency. Sue poesie sono comparse nella plaquette “Quando un letto si svuota in questa stanza” per il progetto “Le parole necessarie”, nella rivista “Poesia” (Crocetti editore) e su alcune riviste online. Ha collaborato con il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna. Per la sezione inediti, nel 2018 ha vinto il premio di poesia “Elena Violani Landi” dell’Università di Bologna e il premio “Le stanze del Tempo” della Fondazione Claudi, mediante il quale nel 2019 ha pubblicato la sua prima silloge poetica, “Inondazioni” (Capire Editore). Nel 2020, il libro è stato selezionato nella triade finalista del premio “Pordenone legge – I poeti di vent’anni”.

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Elezioni 2022: Calenda (e Letta) e il senso di democrazia


Nella questione delle alleanze elettorali, Calenda, Letta, e gli altri politici hanno dato la prova provata dell'assenza di senso e di cognizione della democrazia

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