#OpenFiber e la rete che non c’è! L'editoriale bomba di @rafbarberio su @Key4biz
OPENFIBER E LA RETE CHE NON C’È. L'EDITORIALE DI RAFFAELE BARBERIO SU KEY4BIZ
È lecito chiedersi come CDP insista nel voler affidare la partita della rete unica ad una società che non è in condizione di mantener fede ai pur limitati (rispetto all’operazione monstre della “rete unica”) impegni già assunti.
Continuano a valanga le segnalazioni di sindaci, imprese e semplici cittadini che si lamentano per il fatto di non avere disponibilità della fibra del Progetto BUL, nonostante il loro indirizzo risulti attivabile con fibra. Non riescono ad avere il servizio o se lo hanno, la connessione a loro offerta è molto scadente. Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza su una questione molto delicata di cui Infratel, da una parte, ed il nuovo governo che scaturirà dalle urne del 25 settembre, dall’altra, dovranno occuparsi con urgenza non solo per rimettere ordine, ma anche per valutare i danni creati.
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Gorbaciov – USA: un rapporto da riscrivere
Con la morte di Mikhail Gorbaciov (1931-2022) scompare l’ultimo dei grandi protagonisti della guerra fredda. Figura complessa e, per certi aspetti, enigmatica, in Russia, Gorbaciov e le sue riforme sono considerati ancora i principali responsabili della crisi politica, economia e sociale che ha colpito il Paese nel corso degli anni Novanta. In Occidente, il giudizio è, nell’insieme, più [...]
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La sicurezza del Golfo è in pericolo con e senza un accordo nucleare iraniano rianimato
Le intese e gli accordi tra tutti gli Stati regionali necessari per introdurre un accordo di sicurezza multilaterale, cambierebbero paradigma e sarebbero tettonici.
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Elezioni politiche 2022: appropriazione del cristianesimo
L'uso della religione da parte del populismo rappresenta una seria sfida per le democrazie liberali e i leader religiosi dovrebbero impegnarsi in modo critico con coloro che si appropriano delle tradizioni che rappresentano
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Eurosovrani
Mentre Putin ricatta, subordinando le forniture di gas all’impossibile revoca delle sanzioni, sperando di piegare il mondo libero e ridurlo al rango dei suoi servitori, che anche qui operano, il cancelliere tedesco ha annunciato una spesa di ulteriori 65 miliardi, per fronteggiare il rialzo del prezzo dell’energia.
La Germania, a partire dal settembre 2021 (perché i prezzi crescono da ben prima della criminale aggressione russa all’Ucraina), ha già mobilitato 60.2 miliardi di spesa pubblica. Ma chi ha trovato e spostato più fondi pubblici, in Unione europea, siamo noi. Ad oggi la Germania ha usato l’1.7% del prodotto interno lordo, noi il 2.8 (per quasi 50 miliardi). In Francia si sono fermati all’1.8, nel Regno unito all’1.6. Contano, naturalmente, i diversi panieri energetici, ovvero le scelte passate.
A dare retta ai No Triv e alla destra di Meloni e Salvini, non estrarremmo più gas dall’Adriatico, mentre già ne estraiamo meno della metà del possibile. A dar retta ai No Tap pentastellati e a quelli di Emiliano, presidente della Regione Puglia ed esponente del Pd, non avremmo quel che ora è vitale, ovvero il gas dall’Azerbaigian. Gli errori si pagano.
Questa settimana il Consiglio dei ministri dovrebbe varare l’ulteriore pacchetto aiuti (abbiamo già scritto che “aiutarsi” sarebbe più saggio), mi aspetto che in tanto dozzinale propagandismo qualcuno guarderà le cifre assolute e indicherà la spesa tedesca come esempio. Meglio, quindi, fermare i numeri prima che se li giochino alla lotteria elettorale.
La richiesta di sfondare deficit e debito, disonestamente facendo credere che quello sia un “dare” agli italiani, sarà respinta. Ma l’argomento si riproporrà in autunno. È e sarà, oltre tutto, uno dei temi di verticale divisione nel centro destra. Abbiamo iniziato la campagna elettorale osservando che le coalizioni sono un falso, ci convinciamo che sono una truffa.
La tesi dei sovranisti da strapazzo è: se la Commissione europea manterrà i vincoli di bilancio, impedendo lo sforamento, allora si faccia carico degli aiuti sociali necessari. Una tesi che, a parte la sua falsità, descrive una specie di nuova dottrina: l’accattonaggio sovrano.
I vincoli sono sospesi, ma non si sospende la realtà. C’è e ci sarà sempre una differenza fra un Paese, la Germania, che ha un debito pubblico nell’intorno del 60% del pil e un Paese, l’Italia, che supera largamente il doppio. Per evitare che tale differenza spacchi il mercato interno europeo e la stessa moneta unica, si sono mobilitate ingenti risorse dell’Unione (vale a dire dei contribuenti di tutti) per sostenere i debiti più squilibrati. Il nostro in testa. Non bastando questo si è creato debito comune per finanziare programmi di sviluppo e il Paese più beneficato è l’Italia. Supporre di andare a dire: siamo sovrani, dateci dell’altro è, appunto, sovrano accattonaggio.
Siccome, appunto, la sola sovranità seriamente difendibile è quella europea, fatta sì di mercato interno e di regole finanziarie, ma anche di comune sentire istituzionale e di identità politica che si riflette anche nella difesa dell’Ucraina, ergo chi prova a minarla non è sovranista, ma servilista dell’imperialismo russo, siccome così stanno le cose, c’è un altro punto da affrontare. Joseph Stiglitz ha dato voce a quel che pensano molti: <<un governo di destra, in Italia, potrebbe destabilizzare l’Europa>>.
Non perché l’Ue sia di sinistra (ridicolo), ma perché certa destra italiana è antieuropea ed antioccidentale. Non è possibile, però, che a ogni elezione in Ue si parli di crisi continentale. Nelle democrazie ci sono sempre istituzioni ed equilibri intoccabili, anche se la maggioranza degli elettori volesse il contrario, per il resto: decidono gli elettori. Ma non gli elettori altrui.
Quindi, dopo una lunga integrazione economia e commerciale (che ci ha fatto guadagnare tutti), dopo il Parlamento eletto a suffragio universale, dopo la creazione di una forte istituzione federale, la Bce, dopo la partenza del debito comune e l’affermazione di una comune politica a favore dell’Ucraina, si proceda ancora sulla via delle istituzioni, giungendo al voto a maggioranza. Per essere Eurosovrani e non bulli vernacolari.
L'articolo Eurosovrani proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
USA – Cina: ‘standard off’ sulla tecnologia 5G
La rivalità tecnologica tra Stati Uniti e Cina è diventata palese quando è scoppiata una disputa sul 5G e Huawei dopo che Washington ha designato Huawei come società soggetta a embargo nella sua “Entity List” nel maggio 2019. Al centro della controversia ci sono gli standard alla base della quinta generazione di tecnologia di rete [...]
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Brasile: il duello Bolsonaro-Lula entra nella fase finale
Il primo dibattito elettorale presidenziale dal vivo in Brasile, come ampiamente previsto, si è rivelato nient’altro che un incontro urlante tra i primi sei candidati, in particolare il Presidente Jair Bolsonaro e il principale contendente ed ex Presidente, Lula da Silva, che insieme si sono concessi un intenso scambio di accuse e contro-accuse per tutta [...]
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Crimini di guerra in Ucraina: alla ricerca di una risposta
Una carrellata sui precedenti storici mostra che perseguire penalmente i responsabili di crimini di guerra crea non pochi problemi
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Afghanistan: la parola ai talebani
Dopo un anno dal ritorno al potere in Afghanistan, parla, in questa intervista, Suhail Shaheen, portavoce internazionale del gruppo e capo del suo ufficio politico in Qatar
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USA: la riduzione del debito degli studenti di Biden è una grande decisione
Ci è stato detto che l’istruzione superiore è uno dei modi migliori per superare la povertà. Ma per molti mutuatari indebitati, è stato esattamente l’opposto. Dal 1980, il costo del college è aumentato di quasi 9 volte il tasso degli stipendi. Se sei povero e non ti unisci all’esercito, ottieni una borsa di studio completa [...]
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Oltre il mito di Lady D: il fascino e l’umanità di una donna
«Mamma sei così triste? In questa casa non c’è futuro, non c’è speranza per me»….In questo frammento di dialogo tra Lady D e il suo piccolo Harry, è racchiuso il senso dell’ultimo film dal titolo ‘Spencer’, dedicato appunto alla ‘Principessa triste’, diretto da Pablo Larrain e scritto da Steven Knight, presentato alla 78 edizione del Festival [...]
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Gender Pay Gap, in Italia 500 euro in meno di stipendio per le donne: l’infografica
In Europa le donne lavoratrici guadagnano il 13% in meno all’ora rispetto agli uomini, anche se retribuire di meno una donna, a parità di tempo e mansioni, è una pratica del tutto illegale. I dati parlano chiaro: il Gender Pay Gap è una realtà che grava su tutte le donne lavoratrici, condizionando le loro scelte [...]
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Lacrime di sangue (L’étrange couleur des larmes de ton corps) di Bruno Forzani e Hélène Cattet [2013]
Della coppia artistica Forzani-Cattet ero fermo al solo “Amer”, debutto sulla lunga distanza datato 2009, visto, tra l’altro, in un momento piuttosto confuso della mia vita, e quindi apprezzato meno del suo effettivo valore. Nei giorni scorsi, soffocato dalla canicola estiva, ho pensato che potessero essere maturi i tempi per una seconda possibilità, e mi sono scaricato “Lacrime di sangue”, il loro secondo lungometraggio.
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CILE. Le ragioni del no alla costituzione
di Emanuele Profumi* –
Pagine Esteri, 6 settembre 2022 – Da Santiago del Cile. Come può accadere che un popolo voti contro una delle costituzioni più avanzate del mondo in termini di diritti umani, prospettiva ecologica e di benessere pubblico? Come può essere che oltre il 60% degli elettori e delle elettrici abbiano rifiutato di abbandonare il sistema neoliberista e lo Stato repressivo, rimandando al mittente una proposta costituzionale che li metteva profondamente in discussione? Come è possibile che la maggioranza della popolazione ha votato contro i propri interessi?
Per rispondere a queste domande servirebbe un’analisi complessa molto articolata e sottile. Impossibile da fare a pochi giorni dal voto del 4 Settembre e in un semplice articolo. È però già possibile indicare almeno un’importante ragione che ha portato quasi otto milioni di cileni a votare contro la proposta costituzionale. Grazie ad essa possiamo evitare di cadere nell’errore di pensare che ci troviamo di fronte al ritorno del pinochettismo, ossia che ci siano milioni di persone che abbiano scelto di tornare alla costituzione del 1980. O anche di pensare che questa parte della popolazione è caduta nelle trappole della manipolazione mediatica e della propaganda. Ovviamente, in parte, entrambe le realtà sono vere. Ma non costituiscono la ragione principale del voto cileno.
A darci una prima importante indicazione in tal senso, spesso sottostimata dai sostenitori dell’Apruebo, è Riccardo Lagos. L’ex presidente socialista, responsabile di una delle principali riforme della costituzione di Pinochet (ma anche di riforme sociali che approfondirono le privatizzazioni economiche portando, per esempio, milioni di studenti ad indebitarsi pesantemente) esprime un’opinione condivisa da molti: “Questa assemblea costituente ha fallito perché ha diviso il Paese: ciò che deve fare una costituzione è unire, non dividere”. Molti, infatti, sostengono che la nuova proposta è stata di parte, di sinistra. Per questo è stata più di una volta associata al governo Boric. “Il popolo cileno è, mediamente, di centro-sinistra. Quindi moderato”, afferma ancora a questo proposito Lagos in una lunga intervista sul cambiamento costituzionale rilasciata qualche settimana fa presso la sua abitazione. L’impressione generale, quindi, è stata che la nuova costituzione non rispecchi l’orientamento generale della popolazione. Non è in grado di rappresentare posizioni non di sinistra. Ciò ha portato a considerarla non tanto diversa da quella del 1980, frutto della dittatura di Pinochet e di una visione di destra. Per questo molti l’hanno considerata “la costituzione di Boric”. Trasformando così il Plebiscito, in un voto contro il suo governo.
La seconda grande ragione si può desumere, invece, da alcune opinioni raccolte durante il processo elettorale nel quartiere “Providencia” e allo Stadio nazionale di Santiago: “Non credo che la proposta sia stata fatta da persone capaci, e ciò si vede quando la si legge. Basti pensare a ciò che c’è scritto in merito all’espropriazione della terra fatta in base al giusto prezzo… quale dovrebbe essere il giusto prezzo?! Non c’è scritto”, dicono Marixa e Micaela, madre e figlia, all’uscita di un seggio. “Non mi ha convinto quando si parla di pensioni e dell’Afp (sistema pensionistico cileno, ndr). Mi sembra che il testo dica che non ci sarà la possibilità di ereditare le pensioni sociali…” dice Camila, prima di votare in un seggio nel quartiere di Providencia, e giurando di aver letto la costituzione, nonostante nel testo non si faccia mai menzione di questa impossibilità.
Cosa ci dicono questi esempi?
Innanzitutto che moltissimi cileni con il loro voto hanno generato un “quid pro quo” politico. Ossia hanno usato il voto costituente per esprimere un dissenso nei confronti del governo Boric (o nei confronti dei partiti di sinistra che lo sostengono o dell’ipotetica ed improbabile instaurazione di regimi simili al Venezuela o a Cuba). Il fatto che Boric e i partiti di sinistra si siano espressi a favore della nuova proposta è senza dubbio la fonte di questo malinteso, ma non basta per spiegarlo.
In secondo luogo, che un’altra buona parte dell’elettorato del Rechazo ha espresso critiche puntuali al testo, a volte senza neanche averlo letto, che sono diventate ragioni sufficienti per rifiutare l’intero impianto costituzionale. In questo caso sono caduti nella classica fallacia logica di prendere la parte per il tutto, senza curarsi dell’irresponsabilità di votare senza cognizione di causa.
Sicuramente la manipolazione mediatica massiccia e costante, da tempo denunciata dai padri e dalle madri della nuova proposta, ha giocato un ruolo importante, ma questo non può spiegare perché molti hanno pensato che con il voto avrebbero “sanzionato” o “rifiutato” il governo, e non solo rifiutato un nuovo ordinamento giuridico. Così come non spiega perché molti hanno preferito evitare che passasse il nuovo testo perché contrari a qualche articolo o a qualche parte particolarmente indigeribile, senza considerare che un testo costituzionale serve a fondare le basi di un nuovo ordinamento giuridico e che è sempre possibile riformarne alcune parti, o abrogarne alcuni articoli, in un secondo momento.
Alla base del risultato straordinario del “Rechazo”, quindi, deve aver giocato un fattore più profondo. L’incapacità di comprendere la valenza politica della proposta costituzionale. Di capire la funzione di una costituzione e la sua rilevanza storica. Questa difficoltà è chiaramente espressione di una profonda depoliticizzazione popolare. L’autoritarismo e il neoliberismo hanno ridotto enormemente la capacità di comprensione e di ragionamento politico della maggioranza della popolazione, e ciò è ancora valido nonostante il processo di politicizzazione in atto. Molti si sono ritrovati un testo costituzionale in mano (quando sono riusciti ad averlo) senza comprendere cosa ci fosse scritto, né il valore di doverlo leggere con attenzione prima di prendere una decisione così rilevante per il futuro dell’intero Paese.
Il processo costituente e democratico cileno, per quanto partecipativo, infatti, non ha avuto il tempo necessario per innescare un profondo processo di politicizzazione sociale, la cui richiesta è stata il sale alla base dell’Estallido Sociale del 2019. Per farlo, molto probabilmente, sarebbe stato necessario un processo costituente di almeno tre anni, per garantire una più completa e ampia partecipazione popolare, per riflettere su come proporre e valutare gli articoli da far rientrare nella nuova proposta giuridica.
Ciò ha comportato, insomma, che la cittadinanza che ha votato per il Rechazo ha generato un rifiuto anche di uno dei mandati più importanti dell’Estalllido social: quello di non scendere a patti sul superamento dello Stato autoritario e dell’economia neoliberista. Se gli eletti hanno rispettato questo mandato, generando un testo costituzionale utile per abbandonare il neoliberismo e gli abusi delle forze dell’ordine e delle forze armate, la maggioranza della popolazione non si è resa conto che la vittoria del Rechazo avrebbe generato un nuovo processo costituzionale frutto del compromesso tra le forze parlamentari di destra e di sinistra (subordinando ancora una volta le proposte della sinistra ai diktat e ai veti della destra). Ritornando così a legittimare la logica che ha impedito di cambiare il modello sociale neoliberista, imposto a partire della dittatura di Pinochet.
D’altro canto, il grande dolore, la delusione e la disperazione che ha colto molti sostenitori dell’Apruebo davanti allo sconvolgente risultato plebiscitario, potrebbe portare molti di loro a individuare nella depoliticizzazione sociale la principale ragione della sconfitta. Così come dare un’indicazione fertile a tutti coloro che vogliono prepararsi ad abbandonare la società neoliberista e superare lo Stato repressivo. Nessuno, in questo momento, può dire se ciò avverrà. Perché politicizzare la popolazione richiede un grande sforzo, una chiara strategia politica, e attori sociali in grado di diffondere pratiche quasi “pedagogiche” capaci di informare capillarmente e di generare e condividere strumenti cognitivi, etici e politici, affinché ognuno prenda una decisione politica all’altezza dell’importanza sociale e storica del caso. Qualcosa che richiede un grande lavoro, un’enorme dedizione, e una chiarezza di intenti fuori dalla norma, e una visione del potere lontana dalla visione rivendicativa che segna i movimenti sociali. Qualcosa di molto più grande ed impegnativo di quanto è stato fatto durante il processo costituente cileno. Per il momento, però, in Cile, nessuna autocritica è stata fatta in questa direzione. E intanto la possibilità di cambiare paradigma non è più all’ordine del giorno.
__________________
*Emanuele Profumi è dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista freelance. Insegna Scienze della Politica all’Università di Viterbo. Ha scritto e pubblicato per riviste italiane (es: Micromega, Left, La Nuova Ecologia) e straniere (es: Le Monde Diplomatique) ed è stato anche corrispondente estero per alcuni giornali e riviste italiani (Londra, Parigi, Atene, Messico). In Italia ha già pubblicato una trilogia di reportage narrativi (le “Inchieste politiche”) sul tema del cambiamento sociale e politico: sul Cile (Prospero, 2020), sulla Colombia (Exorma, 2016) e sul Brasile (Aracne, 2012).
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CAMBIAMENTO CLIMATICO. Il potenziamento militare degli USA nell’Artico pone nuovi rischi geopolitici e ambientali
della redazione
Pagine Esteri, 1 settembre 2022 – Da diversi anni, le forze armate statunitensi si preparano ad espandere la propria presenza nell’Artico. Il 3 agosto, i membri del Senato hanno espresso il proprio interesse per una maggiore presenza militare in quella regione con l’introduzione dell’Artico Commitment Act. Presentata da Lisa Murkowski (R-Alaska) e Angus King (I-Maine), la legislazione propone “una presenza per tutto l’anno della Marina e della Guardia Costiera nella regione artica”. La legislazione si concentra anche sulla concorrenza degli Stati Uniti con la Russia nella regione. La sezione 7 dell’atto richiede l’”eliminazione del monopolio russo sulla navigazione artica”.
L’Artico è la regione che si riscalda più velocemente rispetto al resto del mondo.
Il Piano strategico della Marina per un Artico Blu pubblicato nel gennaio dello scorso anno spiega: “Le opinioni contrastanti su come controllare nell’Artico le risorse marine e le rotte marittime sempre più frequentate, gli incidenti militari, i conflitti e le ricadute della concorrenza tra le principali potenze, hanno tutte il difetto di minacciare gli interessi e la prosperità degli Stati Uniti”.
Mentre il segretario di Stato Antony Blinken annuncia, attraverso il suo portavoce, che ci sarà un nuovo ambasciatore generale per la regione artica, gli esperti avvertono che in un momento in cui le tensioni tra Stati Uniti e Russia stanno aumentando e la minaccia dei cambiamenti climatici cresce, un accumulo di forze militare in quella parte di mondo comporta nuovi rischi geopolitici e ambientali.
La ricercatrice Gabriella Gricius spiega che un rafforzamento degli Stati Uniti previsto nel disegno di legge del Senato alimenterà l’attrito con la Russia.”Ci sono certamente conseguenze reali per la maggiore presenza militare degli Usa nell’Artico”, ha detto Gricius. “Potrebbe essere vista come una provocazione dalla Russia e comportare un aumento delle esercitazioni militari russe”, ha aggiunto. In passato il Consiglio Artico ha supervisionato la cooperazione di vari paesi e nazioni indigene riguardo i rischi geopolitici e climatici ma l’invasione russa dell’Ucraina, il consiglio ha sospeso le sue attività.
Gricius avverte che la mancanza di cooperazione nella regione è un pericolo. “L’Artico russo costituisce circa il 50 percento dell’intero Artico, il che significa che non è possibile che la Russia sia esclusa, Mosca non può essere rimossa dall’Artico e continuerà ad essere un attore chiave nella regione”, ha spiegato.
Oltre al rischio di un conflitto tra Stati Uniti e Russia, un potenziamento militare statunitense nell’Artico minaccia di esacerbare il cambiamento climatico. Sebbene il Dipartimento della Difesa e vari rami delle forze armate statunitensi abbiano recentemente pubblicato piani di “adattamento climatico”, il contenuto si concentra principalmente sull’adeguamento delle operazioni, piuttosto che sulla riduzione delle emissioni. La Marina ha pubblicato a maggio un piano che è stato redatto omettendo riferimenti alle sue navi e aerei da combattimento, le due principali fonti di inquinamento delle forze armate Usa. Peraltro, gran parte dell’impatto delle emissioni militari rimane sconosciuto a causa di una scappatoia nell’accordo di Parigi sul clima che esenta i governi dal segnalare le emissioni dei loro militari.
Secondo una ricerca il 30 percento delle emissioni dei militari provengono da “installazioni”, ossia dall’uso di energia in basi e altri impianti. L’altro 70 percento è generato da “emissioni operative” o dall’uso di energia durante le attività di addestramento, missioni, trasporti e altre attività. Pertanto, l’aumento delle attività militari nell’Artico si tradurrà in un aumento inevitabile dell’inquinamento. Gli aerei in particolare contribuiscono al 70 percento delle emissioni operative.
“Nonostante la frenesia dei media per la militarizzazione e il conflitto nell’Artico, il cambiamento climatico è la minaccia più grande e pervasiva per la regione”, ha affermato Gricius. Il cambiamento climatico, dice, dovrebbe essere un’opportunità di cooperazione. “Gli Stati Uniti, in particolare, dovrebbero e possono svolgere un ruolo importante sia nel sostenere le iniziative locali in Alaska sui cambiamenti climatici sia nell’unire progetti di cooperazione tra scienziati, diplomatici e altri attori nella regione”. Pagine Esteri.
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Khalil Awawdeh sospende lo sciopero della fame. Sarà liberato il 2 ottobre
AGGIORNAMENTO ORE 22
Il prigioniero palestinese Khalil Awawdeh, in sciopero della fame da 172 giorni contro la detenzione “amministrativa” (senza processo), ha sospeso il suo digiuno dopo che le autorità israeliane hanno accettato di rilasciarlo il 2 ottobre. La liberazione di Awawdeh rientrava in un accordo di cessate il fuoco mediato dall’Egitto tra Israele e il Jihad islami che ha posto fine a tre giorni di attacchi aerei israeliani alla Striscia di Gaza il 7 agosto e lanci di razzi verso Israele che hanno ucciso circa 50 palestinesi tra cui 17 bambini e quattro donne.
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di Valeria Cagnazzo –
Pagine Esteri, 31 agosto 2022 – Resterà in carcere il prigioniero palestinese Khalil Awawdeh, in sciopero della fame da oltre 160 giorni e in fin di vita a causa del deterioramento delle sue condizioni di salute. A stabilirlo è la Corte Suprema di Giustizia israeliana che ha rigettato ieri la seconda petizione mossa da diverse ONG internazionali e sostenuta anche dall’Unione Europea per il rilascio del prigioniero. Con un comunicato emesso ieri, martedì 30 agosto, il tribunale ha apparentemente chiuso la porta a qualsiasi richiesta di dialogo sulla scarcerazione di Awdawdeh, che rischia di morire in un carcere israeliano: “Possiamo solo sperare ancora”, ha dichiarato la corte di giustizia, “che il prigioniero rinsavisca e interrompa lo sciopero della fame”.
Le immagini dello scheletro di Awawdeh, costretto su un letto in stato soporoso, avevano scatenato l’indignazione di diverse organizzazioni internazionali. Lo sciopero della fame, iniziato il 3 marzo scorso ha, infatti, prostrato lo stato di salute del detenuto fino a portarlo in una condizione di imminente pericolo per la vita. La neurologa Bettina Birmans che l’ha visitato venerdì scorso ha parlato di “rischio di danno neurologico irreversibile e di morte”. Anche una delegazione israeliana dell’ONG Medici per i diritti umani ha dichiarato che Awdawdeh, a causa del “severo deterioramento della sua condizione”, sarebbe “a rischio di morte e danni irreversibili”.
L’Unione Europea, dopo le immagini diffuse dalla moglie di Awawdeh, ha rilasciato un tweet di sconcerto tramite uno dei suoi account ufficiali: “Sconvolti dalle orribili immagini di Awdawdeh che è in sciopero della fame da 169 giorni in protesta contro la sua detenzione senza accuse e nel pericolo imminente di morire. A meno che non sia emessa una sentenza immediatamente, dev’essere rilasciato!”.
Khalil Awawdeh, quarant’anni e padre di quattro figlie, è stato prelevato nel dicembre 2021 dalla sua abitazione a Ithna, nel sud della Cisgiordania, e si trova da allora in detenzione amministrativa, una pratica che permette a Israele di detenere prigionieri senza processo e senza chiari capi di accusa, per motivi di “sicurezza”. Proprio contro la detenzione amministrativa, Awawdeh quasi sei mesi fa ha smesso di alimentarsi, dichiarando di essere “un prigioniero senza alcuna accusa che si è opposto alla detenzione dell’amministrazione con la sua carne e il suo sangue”.
Awawdeh è solo uno degli almeno 670 Palestinesi detenuti nelle carceri israeliane in detenzione amministrativa, senza conoscere i capi d’accusa per i quali sono stati arrestati né la durata prevista della loro permanenza in prigione. Molti di loro scelgono lo sciopero della fame come forma di protesta non-violenta contro questa pratica di arresto.
Il movimento della Jihad Islamica aveva chiesto la liberazione di Awawdeh a inizio agosto, nelle trattative con Israele successive all’operazione israeliana sulla Striscia di Gaza che aveva provocato 49 morti. Le autorità israeliane avevano, tuttavia, negato il rilascio del detenuto, che dall’inizio di agosto è in ospedale a causa del suo peggioramento clinico. Da allora, ufficialmente, la detenzione del prigioniero è “sospesa”: per questo motivo, già la scorsa settimana la Corte Suprema aveva respinto le richieste di scarcerazione, che secondo i giudici “non sussistevano” alla luce della momentanea sospensione della pena.
Per la seconda volta in una settimana, la Corte Suprema respinge gli appelli umanitari per salvare la vita del prigioniero. Sotto gli occhi di tutti – le sue foto stanno, infatti, facendo il giro del mondo – Khalil Awawdeh, che adesso pesa 38 chili, sta morendo in carcere. In un video-messaggio registrato in carcere e trasmesso ai media dalla famiglia ha dichiarato: “Il mio corpo, sul quale rimangono solo ossa e pelle, non riflette la debolezza e la nudità del popolo palestinese, ma rispecchia piuttosto il volto reale dell’occupazione (israeliana, ndr)”.
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Elezioni 2022: o di qua o di là, la scelta stavolta è radicale
Con quello che sono Meloni e Salvini, con le storie che hanno, con le persone che hanno alle spalle, vi fidate?
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AlphaFold, come l’intelligenza artificiale rivoluziona la biologia. Di @CastigliMirella su @Agenda_Digitale
ALPHAFOLD, COME L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE RIVOLUZIONA LA BIOLOGIA
L’AI di Alphafond ha permesso di creare un archivio digitale con 200 milioni di proteine di cui prevede la forma 3D. Non solo di strutture proteiche umane, ma anche di altri esseri viventi. Accanto alle opportunità di semplificare la ricerca scientifica, non mancano le criticità
L'articolo di Mirella Castigli su #AgendaDigitale
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OMICIDIO ABU AKLEH: Per Israele c’è un’ “alta possibilità” che ad ucciderla sia stato il suo esercito
di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 05 settembre 2022 – Sono stati pubblicati nel pomeriggio di lunedìi risultati dell’inchiesta interna alle Forze di Difesa Israeliane (IDF) in merito all’omicidio di Shireen Abu Akleh, la reporter di Al Jazeera morta l’11 maggio scorso a causa di un colpo d’arma da fuoco che l’ha colpita alla testa mentre documentava alcuni scontri a Jenin, in Cisgiordania, per conto del suo giornale.
Per quanto non si possa “determinare inequivocabilmente l’origine degli spari che hanno colpito la signora Abu Akleh”, si legge nel report, “c’è un’alta possibilità che la signora Abu Akleh sia stata accidentalmente colpita da colpi di arma da fuoco dell’IDF, che sono stati sparati contro sospetti identificati come uomini armati palestinesi armati, durante uno scontro a fuoco in cui sono stati esplosi colpi pericolosi, diffusi e indiscriminati contro i soldati dell’IDF”.
A condurre l’inchiesta, una task force prevalentemente costituita da comandanti dell’IDF – affiancati da “personale aggiuntivo” – che avrebbero fatto ricorso a interrogatori ai soldati presenti sul luogo dell’accaduto, ricostruzioni temporali e potenti tecnologie, non ultima l’analisi balistica in un laboratorio forense del proiettile estratto dal corpo di Abu Akleh. Il proiettile, infatti, era stato consegnato dall’Autorità Nazionale Palestinese che ne era in possesso allo Stato di Israele il 2 luglio scorso, affinché le autorità israeliane conducessero le proprie valutazioni tecniche. “Alla luce del cattivo stato fisico del proiettile”, si legge, “è difficile identificare la fonte da cui è stato sparato”.
Resta comunque, si conclude nell’indagine, l’”alta possibilità” della responsabilità dell’esercito israeliano nella morte della giornalista, uccisa mentre indossava, come i suoi colleghi, la pettorina con scritto “Press”. A dichiarare che a uccidere la reporter sia stato un soldato israeliano erano intervenute in questi mesi già diverse organizzazioni per i diritti umani, associazioni di giornalisti e numerose indagini condotte dalle Nazioni Unite. Dopo tali evidenze, la dichiarazione dell’IDF giunge non certo come un’ammissione di colpevolezza.
Nel report, infatti, si ribadisce più volte l’intento “antiterroristico” dei soldati presenti quel giorno sul campo. “E’ importante enfatizzare”, si scrive, “che durante tutto l’incidente, i proiettili dell’IDF sono stati sparati con l’intenzione di sparare ai terroristi che avevano sparato contro i soldati dell’IDF”. In conclusione, la morte della giornalista sarebbe stato un danno collaterale di un’operazione per la sicurezza israeliana.
Per questo motivo, “l’avvocato generale militare ha ritenuto che, nelle circostanze del caso, non vi sia alcun sospetto di reato che giustifichi l’apertura di un’indagine della polizia militare”. Il caso è chiuso per l’IDF, che esprime le sue condoglianze alla famiglia di Abu Akleh.
Il commento dei familiari di Abu Akleh all’indagine dell’IDF non si è fatto attendere. “Come previsto, Israele ha rifiutato di assumersi la responsabilità dell’omicidio di Shireen”, hanno dichiarato lunedì stesso, “La nostra famiglia non è sorpresa da questo risultato poiché è ovvio per chiunque che i criminali di guerra israeliani non possano indagare sui propri crimini”. Per questo, i familiari della reporter annunciano che non si fermeranno di fronte a questo “tentativo di Israele di nascondere la verità”.
La famiglia della reporter, insieme all’emittente di notizie Al Jazeera per la quale lavorava da oltre 25 anni, aveva già riferito il caso alla Corte Penale Internazionale.
Anche l’ANP ha commentato l’indagine ufficiale dell’IDF. Nabil Abu Rudeineh, portavoce del leader palestinese Mahmoud Abbas, ha bollato l’inchiesta come un “nuovo tentativo israeliano di evadere ogni responsabilità per l’omicidio”.
L’omicidio di Shireen Abu Akleh aveva scatenato forti proteste in Palestina, dove era un volto noto, una delle giornaliste di punta della tv palestinese. Severe erano state le condanne dell’opinione pubblica, colpita dall’omicidio a sangue freddo di una reporter uccisa mentre svolgeva il suo lavoro. Già prima di quest’ultima inchiesta delle autorità israeliane, tuttavia, la speranza in una sentenza che inchiodasse gli autori dell’assassinio era già stata smorzata dall’intiepidirsi dell’interesse internazionale nella faccenda. In particolare, gli Stati Uniti, che avevano inizialmente reclamato un’indagine “credibile e indipendente” sull’episodio, avevano successivamente ammorbidito la loro posizione. Anche negli USA, infatti, il proiettile era stato sottoposto a un’indagine balistica, e il 4 luglio il Dipartimento di Stato Americano aveva dichiarato l’impossibilità di “giungere a una conclusione definitiva circa l’origine della pallottola che ha ucciso la giornalista americano-palestinese”. Un responso molto simile a quanto stabilito dall’IDF il 5 settembre.
Abu Akleh sarebbe per il momento una vittima del fuoco incrociato, nonostante la sua famiglia continui a chiedere giustizia. Il suo nome, secondo il sindacato dei giornalisti palestinese, si aggiunge a quello di almeno altri 45 giornalisti uccisi a Gaza e in Cisgiordania da parte di Israele dal 2000 ad oggi. Pagine Esteri
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CISGIORDANIA. In vigore le nuove regole per gli stranieri, se sposeranno palestinesi avranno un visto ridotto
della redazione
Pagine Esteri, 5 settembre 2022 – Stando agli ultimi sviluppi riferiti dalla stampa locale, gli stranieri in Cisgiordania per motivi di lavoro, in visita o per attività di volontariato non dovranno più informare il ministero della difesa israeliano se hanno avviato una relazione sentimentale con un/una palestinese. Tuttavia se il rapporto instaurato porterà al matrimonio dovranno andarsene dopo 27 mesi per un periodo di almeno sei mesi. Pressioni Usa e dell’Ue, sostiene il Times of Israel, avrebbero spinto il Cogat, il dipartimento delle Forze armate responsabile per gli affari civili nei Territori palestinesi occupati, a rivedere in parte le nuove regole per gli stranieri in Cisgiordania che entrano in vigore oggi.
Erano già pronte lo scorso febbraio ma ricorsi e petizioni le hanno tenute congelate sino ad oggi. Le 97 pagine della «Procedura per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nell’area di Giudea e Samaria», il nome biblico che Israele usa per la Cisgiordania palestinese, vanno ben oltre le relazioni sentimentali tra stranieri e palestinesi. Le nuove restrizioni colpiscono aziende, uomini d’affari, i programmi di aggiornamento professionale nella sanità, le organizzazioni umanitarie e tanti altri settori perché le limitazioni alla durata dei visti e alle loro estensioni consentono agli stranieri di restare in Cisgiordania solo per brevi periodi. Impongono alle università palestinesi una quota di 150 visti per gli studenti e 100 per i docenti stranieri, limiti inesistenti in quelle israeliane. Questa misura, sempre secondo la stampa israeliana, sarebbe stata eliminata. La Commissione europea si è detta «preoccupata» per le discriminazioni che le nuove procedure causeranno allo svolgimento del programma universitario Erasmus+.
Le nuove regole in ogni caso non si applicano a coloro che visitano Israele e gli insediamenti coloniali ebraici in Cisgiordania. Ciò rende evidente la doppia legislazione che Israele applica da decenni nel territorio palestinese sotto il suo controllo. Ad esempio, un italiano che volesse lavorare in un villaggio palestinese della Cisgiordania sarà soggetto alle procedure restrittive stabilite dal Cogat, cioè le forze armate, mentre se vorrà farlo in una colonia ebraica a un paio di chilometri di distanza da quel villaggio, dovrà rispettare le disposizioni, decisamente più leggere, previste per gli stranieri che entrano o intendono risiedere in Israele.
Le regole stabiliscono inoltre che i possessori di passaporto straniero, a cominciare dai palestinesi che vivono all’estero, intenzionati a visitare la Cisgiordania (ad eccezione degli insediamenti coloniali), non potranno più ottenere il visto all’arrivo all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, e invece dovrà farne richiesta con almeno 45 giorni di anticipo. E dovranno entrare dal valico di Allenby/King Hussein, tra la Cisgiordania e la Giordania, quindi dovranno atterrare ad Amman.
Per i palestinesi queste procedure si inseriscono «in un disegno ampio volto a colpire gli stranieri che fanno volontariato e cooperazione nei Territori occupati». Secondo Jessica Montell, direttrice dell’ong israeliana HaMoked, che ha presentato una petizione all’Alta Corte israeliana contro le restrizioni, «siamo davanti all’ingegneria demografica della società palestinese e del suo isolamento dal mondo esterno. Le nuove regole renderanno la vita difficile alle persone che intendono lavorare nelle istituzioni palestinesi, investire, insegnare e studiare».
Le restrizioni vanno ad aggravare altre limitazioni che negano in gran parte dei casi la concessione della residenza ai coniugi stranieri di palestinesi in Cisgiordania dove migliaia di persone continuano a vivere con uno status legale incerto o sono costrette a lasciare le loro famiglie. La campagna «Right to Enter» denuncia che le procedure del Cogat «imporranno a tante coppie di trasferirsi o di rimanere all’estero pur di conservare la famiglia unita».
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‘Credibilità’ degli Stati Uniti intatta un anno dopo il ritiro dell’Afghanistan
I falchi hanno denunciato il ritiro dall’Afghanistan per molte ragioni, ma una delle loro lamentele ricorrenti era che minacciava di rovinare la credibilità degli Stati Uniti nel mondo. Secondo la visione standard da falco, ritirarsi da una guerra fallita segnala debolezza e mancanza di determinazione, che a sua volta fa perdere fiducia agli alleati negli [...]
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GNL, lo spiraglio di speranza in Europa?
Negli ultimi mesi l’Europa è stata colpita da una crisi energetica. Nel mezzo della guerra in Ucraina, che ha visto sia l’Unione Europea che la Russia cercare di liberarsi dalle loro reciproche dipendenze energetiche, la questione più urgente per l’Europa oggi sembra scongiurare un blackout energetico. Mentre misure come la regolamentazione del consumo di energia [...]
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Afghanistan: le decisioni talebane riflettono il disaccordo interno
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Ucraina: guardando la guerra dalla televisione russa
Chi guarda la televisione russa per seguire la guerra in Ucraina vive in una realtà alternativa. I commentatori delle stazioni televisive russe di proprietà dello stato hanno diffuso la falsità secondo cui l’Ucraina sta organizzando falsi attacchi alle proprie città per far sembrare che la Russia sia l’aggressore. Le emittenti di notizie russe hanno anche [...]
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L’elezione più importante nelle Americhe è in Brasile
L’ex Presidente brasiliano Luíz Inácio Lula da Silva (noto come Lula) corre sul palco del Memoriale dell’America Latina a San Paolo. Era lì il 22 agosto 2022, parlando alla presentazione di un libro con fotografie di Ricardo Stuckert sui viaggi di Lula in giro per il mondo quando era Presidente del Brasile dal 2003 al [...]
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Referendum russi truccati: il piano di Putin per annettere l’Ucraina occupata
Con la fine dell’invasione russa dell’Ucraina, il Cremlino si sta attualmente preparando a organizzare falsi referendum nelle regioni occupate del Paese come preludio all’annessione. Sebbene vi sia poco pericolo che la comunità internazionale riconosca ufficialmente i risultati di tali scrutini ovviamente truccati e illegittimi, i piani referendari della Russia hanno comunque il potenziale per intensificare [...]
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L’invasione autolesionista della Russia cioè perché Vladimir Putin ha perso l’Ucraina per sempre
L’invasione genocida dell’Ucraina da parte della Russia aveva lo scopo di estinguere la statualità ucraina e sradicare l’identità ucraina. Invece, sta dando il turbo alla de-russificazione del Paese. Nei sei mesi dall’inizio dell’invasione, il sostegno ucraino alla de-russificazione è diventato un vero fenomeno nazionale, raggiungendo livelli record di gran lunga superiori al sostegno pubblico significativamente [...]
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Il Festival Nazionale dell’Economia Civile al ritorno ‘in buona compagnia’
“La pandemia, la guerra in Europa, il ritorno dell’inflazione che erode il potere d’acquisto e ci rende più poveri, l’emergenza climatica sullo sfondo ed il rischio di un progressivo e sempre maggiore riscaldamento globale. Viviamo un’epoca di shock e sfide e ci domandiamo se e come ne usciremo come persone, famiglie, imprese e comunità”. Questa [...]
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Artemis 1: fallito anche il secondo tentativo della NASA
Sabato sera sarebbe dovuto partire il primo degli Space Launch System progettati per riportare gli esseri umani sulla Luna. Anche il secondo tentativo della NASA -dopo le difficoltà riscontrate alla prima finestra programmata- è stato annullato a causa di una perdita rilevata durante il caricamento dell’idrogeno liquido. È stato la direttrice del lancio Charlie Blackwell-Thompson a [...]
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Instagram - La fiera della vanità
Grazie a un tweet di @Alexis Kauffmann, ho trovato su Arte questo documentario: “Instagram - La foire aux vanités” sulla nascita, l’evoluzione, l’enorme diffusione di Instagram, i meccanismi che ne regolano il funzionamento e l’impatto negativo che ha sui suoi utenti. Considerando anche il fatto del grandissimo numero di giovani che utilizzano questo social network (quasi tutti i miei studenti, ad esempio), il documentario offre, secondo me, diversi spunti di analisi di grande interesse.
C’è anche una versione in lingua originale con sottotitoli in italiano, la si trova qui: https://www.arte.tv/it/videos/095729-000-A/instagram-la-fiera-virtuale-delle-vanita/
Il documentario è disponibile in rete fino al 28.10. 2022.
Qui sotto, trovate la traduzione dell’introduzione alla versione francese, più completa e più chiara rispetto a quella italiana, nella versione in tedesco il titolo è ancora più esplicito: “Instagram – Il social network tossico”.
Lanciato poco più di dieci anni fa, il social network Instagram ha conquistato il mondo. Questa approfondita indagine analizza i meccanismi della sua ascesa e ne evidenzia gli effetti deleteri.
Due miliardi di utenti attivi al mese, 100 milioni di video e foto condivisi ogni giorno: lanciato nell'autunno del 2010, nel cuore della Silicon Valley, da Kevin Systrom e Mike Krieger, due studenti dell'Università di Stanford, il social network Instagram ha conosciuto un'ascesa fulminante. Sfruttando lo sviluppo della fotografia mobile, l'applicazione, inizialmente pensata per modificare (grazie ai suoi famosi filtri) e condividere le foto, ha rapidamente attratto le celebrità e attirato l'attenzione dei giganti digitali.
Nel 2012 Mark Zuckerberg, a capo di Facebook, ne ha intuito il potenziale commerciale e l'ha acquistata per l'incredibile cifra di un miliardo di dollari. Due anni dopo, lsul sito è comparsa a pubblicità, portando a un'esplosione dell'influencer marketing. Da quel momento in poi i marchi si sono rivolti alle personalità più seguite per promuovere i loro prodotti. Le star con milioni di abbonati, come Cristiano Ronaldo o Kim Kardashian, guadagnano cifre astronomiche, mentre in fondo alla gerarchia, soggetti a una concorrenza spietata, i "nano-influencer" si accontentano di contratti pagati in natura o di benefit promozionali.
Trasformata in un gigantesco centro commerciale, la rete dà in pasto ai suoi utenti visioni modificate della realtà, con corpi giovani e svestiti, luoghi turistici che vengono immediatamente fpresi d’assalto e immagini di cibo esteticamente gradevoli, etichettate come "food porn". Conseguenze: la chirurgia estetica tra i giovani è in aumento, facendo arricchire professionisti senza scrupoli, mentre l'ansia e la depressione aumentano in modo preoccupante tra gli adolescenti, che sono particolarmente permeabili a questi ideali standardizzati.
La tirannia
Messa sotto accusa per i suoi eccessi, Instagram ha tuttavia trovato una seconda possibilità durante la pandemia, diventando un luogo per l'espressione artistica, l'intimità e le lotte delle minoranze. Partendo dalla sua nascita fino alla sua recente evoluzione, l’autore, Olivier Lemaire (Le musée et le milliardaire anticonformiste, Let’s Dance) si avvale di una serie di testimonianze (l'influencer Maya Borsali, il "Dr. Miami", chirurgo star dei social network, il sociologo Dominique Boullier e Sarah Frier, autrice di No Filter: The Inside Story of Instagram, oltre alle famiglie di adolescenti vittime di questa tirannia delle immagini) per decifrare l'influenza di una rete che plasma le nostre vite, sconvolge la nostra economia e ridisegna il nostro rapporto con la realtà, spesso in peggio.
Diretto da: Olivier Lemaire
Paese: Francia
Anno: 2022
@informapirata :privacypride: @Le Alternative @maupao @Scuola - Gruppo Fediverso
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